da Il Messaggero
Scuola, i presidi: «Vietato premiare, vietato punire e norme inapplicabili»
Parlano i dirigenti del Giulio Cesare di Roma, del Niccolò Tommaseo di Torino e dell'Euclide di Bari
di Nino Cirillo
ROMA (23 maggio) - «Maledetti anni Novanta». Così, tutto d’un fiato, come per liberarsi d’un peso che non porta solo lei, ma la scuola italiana tutta. La scuola ammuffita, ringhiosa, ormai vicina alla paralisi che Carla Sbrana, da due anni preside del Liceo Classico Giulio Cesare a Roma, non avrebbe mai voluto vedere e mai vivere.
La scuola delle occasioni perdute, delle eccellenze frustrate, del merito che non c’è, la scuola che avrebbe potuto risogere - proprio in quegli anni Novanta - e che invece buttò alle ortiche tutta una serie di incredibili possibilità. «Lei sa - picchia duro e d’anticipo la preside Sbrana, amabile versione di nomen omen - lei sa che se oggi faccio un complimento davanti a tutti a un professore particolarmente bravo, a uno che s’è impegnato, che gli studenti adorano, che ha mostrato metodo e volontà, beh, lei lo sa che ottengo l’effetto contrario? Che danneggio, che lo metto soltanto in difficoltà davanti ai suoi colleghi?».
Un complimento invece di un aumento di stipendio, invece di un’accelerazione di carriera. A questo siamo ridotti oggi se si vuol parlare di merito nella scuola, e forse neanche a questo se si vuole dar retta alla Sbrana. «Una volta il capo d’istituto poteva e doveva dare dei giudizi sui docenti: servizio ottimo, buono, e così via. Oggi siamo ridotti a estenuanti trattative con la rappresentativa sindacale interna sulla distrubuzione dei soldi del Fondo Incentivante. Alla fine vanno a chi ha presentato e svolto un progetto particolare, a chi si è accollato prestazioni aggiuntive, a chi ha mostrato magari soltanto maggiore disponibilità di tempo. A chi, per dirla in parola povere, si è semplicemente fatto carico di un lavoro in piu, ma questo che c’entra con la qualità? Che c’entra con l’essere un bravo docente?».
Facciamo il ragionamento al contrario, preside, non si può premiare il merito ma neanche punire il demerito? «No, questo no - puntualizza questo fiume in piena - perché le norme ci sono. Ma sapesse quanta fatica costa applicarle. Quanto è difficile prendere provvedimenti contro chi non c’è mai, contro chi insegna male, contro chi -e succede- magari ha proprio sbagliato mestiere. Uno parte con la proposta di sanzione disciplinare e non si sa mai come va a finire. Siamo un paese in prescrizione, anche nella scuola. Nel migliore dei casi tendono a sfinirti: ti torna indietro la proposta di sanzione accompgnata da due righe che ti consigliano: perché non una semplice lettera di avvertimento? Eppoi i docenti che ti guardano in cagnesco: che vuole questa qui che è appena arrivata?».
Carla Sbrana ha 1.400 studenti e 120 insegnati sulle spalle, in uno dei quartieri di Roma più benestanti. Una piccola azienda, insomma, che se solo si accendesse la lucetta del merito funzionerebbe molto meglio, ma la luce del merito non si accende e molte altre se ne spengono. «Pensi ai genitori - si sfoga ancora - pensi a quelli che ormai sono diventati i peggiori sindacalisti dei loro figli. Si presentano qui e ti sfidano: questo è il cellulare del mio avvocato... Capito che personaggi?».
All’altro capo del Paese, nel centro di Torino, in un pomeriggio caldo di fine anno, Lorenza Patriarca è ancora china sulla sua scrivania di preside dell’Istituto comprensivo Niccolò Tommaseo, in via dei Mille - 1.200 alunni di elememtari e medie e 115 insegnanti - un altro quartiere di commercianti e professionisti, ben integrati con qualche caseggiato popolare e una presenza stabile di immigrati. «Ecco, ho davanti una lettera di un gruppo di genitori che vorrebbe veder riconfermata per il prossimo anno l’insegnante di musica, una supplente annuale. E’ brava, è preparata, i ragazzi pendono dalle sue labbra, per noi è particolarmente importante perché abbiamo, guarda caso, un indirizzo musicale. Ma io che posso fare? Che poteri di reclutamento del personale ho? Zero».
La preside Patriarca sogna. Sogna che a un capo d’istituto venga addirittura data la possibilità di scegliere gli insegnanti «invece di far ricorso all’estenuante meccanismo delle graduatorie». Ben oltre il merito, quindi, ben oltre quel poco che bastrerebbe a rimettere in moto un minimo di circolo virtuoso. L’altra faccia della medaglia invece non la preoccupa. «Quando c’è qualche insegnate che non va, ce ne accorgiamo subito e cerchiamo di correre ai ripari con i poteri che abbiamo. Il meccanismo funziona, abbiamo gentiori molto attenti, un tessuto sociale che comunque ci protegge da brutte sorprese»
Ma Torino non è la Finlandia e anche Lorenza Patriarca ha dovuto accorgercene: «Sono stata lassù a un convegno e ho parlato, appunto, di casi di insegnanti che non funzionano, da noi si può stimare attorno al due per cento. Sa cosa mi hanno risposto? Che loro questo problema non se lo sono mai posto, che hanno meccanismi di formazione e di selezione tali da escludere ch questo accada».
Da Torino a Bari, all’Istituto superiore Euclide, diretto da quasi vent’anni da Vincenzo Fiorentino. Un megaistituto: 1.700 alunni, 210 insegnati e tre indirizzi, geometri nautico e aeronautico. Fiorentino ammette: «Abbiamo le armi spuntate. Non possiamo né premiare il merito né punire il demerito dei docenti». Ma gli preme fare un discorso che ritiene più alto: «Bisogna rimettere la scuola al centro del Paese, altrimenti non se ne esce. I docenti si motivano così, sapendo che c’è un governo - e non è che che si siano così differenziati tutti i governi di questi ultimi anni - che sulla scuola investe il 10 per cento del pil, come in Finlandia. O almeno l’otto, come in Irlanda. Invece ci trasciniamo in una situazione di pillage, come dicono i francesi, di piccole ruberie, cioè, e tutte ai danni della scuola».