Scuola, basta con l’orgoglio degli asini

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Scuola, basta con l’orgoglio degli asini

Messaggiodi edscuola » 26 giugno 2009, 7:56

da Il Giornale

Scuola, basta con l’orgoglio degli asini
di Cristiano Gatti

Anche quest’anno il rito si sta celebrando nella più rigorosa tradizione: leggendo i giornali, i nostri ragazzi apprendono da vip e intellettuali di grido quanto sia borghesuccio, grigio e banale superare bene gli esami di maturità. Chiamata puntualmente ad aprire l’album delle memorie giovanili, per rispondere all’originalissima domanda «com’è stata la sua maturità», la bella gente d’Italia sfodera nel complesso la solita risposta: terribile, un incubo, un disastro. Grandi racconti di notti insonni, di preparazioni abborracciate, di camicie sudate, di scopiazzature, di temi fuori tema. Con risultati adeguati alle sgangherate premesse: promozioni fortunose, salvataggi per i capelli, miracoli di San Gennaro.
Non è un problema, faticare alla maturità. Resta pur sempre l’ultimo ostacolo, oggigiorno tutto sommato pure il primo, in vista della vita adulta e dei problemi adulti. È normale l’insonnia, è normale l’amnesia totale, è normale la disperazione davanti al titolo imprevisto. Quello che non è normale, anzi decisamente stucchevole, è quest’uso vanitoso dell’esperienza personale che tanti nomi illustri annualmente ripropongono. Mentre raccontano delle loro fatiche e dei loro fallimenti, lanciano un chiaro messaggio: visto quant’è stupido, grottesco, inattendibile l’esame di maturità?
Esibiscono la prova maldestra di allora con toni vezzosi, rivendicando l’orgoglio d’essere andati male. Chiarissima la convinzione che ci sta dietro: non erano loro inadeguati alla prova, era la prova inadeguata a loro. Difatti, andando avanti nella vita, s’è visto chi era inadeguato. Ora io, genio, tanto affermato e tanto famoso, posso raccontarti l’esame come una barzelletta. Sono la prova vivente di quanto assurda fosse quella prova, se ne parlo adesso è soltanto perché mi mette un po’ di tenerezza e un po’ di divertita nostalgia. Ma non prendiamola troppo sul serio, questa maturità: come sappiamo, non conta niente e non dice niente sul reale valore di una persona. Ci vuole altro, nella vita. Te lo ripeto, ragazzo mio: guarda me, che sono un genio.
Certo che ci vuole altro nella vita. La scuola non riesce sempre a coltivare le attitudini e le passioni migliori dei ragazzi. Non sempre riesce a valutarli compiutamente. Lo sappiamo bene: la scuola, per fortuna, non assesta giudizi assoluti e definitivi. C’è tutto il tempo per rimediare, dopo. Ma fermiamoci qui. Punto e a capo, senza aggiungerci la briscola del compiaciuto disfattismo personale. Vediamo di piantarla con il narcisismo della maturità sbrindellata, esibito trent’anni dopo come patente di genio incompreso. I nostri ragazzi, leggendo certi ricordi, sarebbero autorizzati a recepire questa regola fissa: maturità eccellente uguale vita grigia e modesta, maturità disastrosa uguale vita estrosa e di successo. Ma non è così. Se è vero che una maturità strappata sanguinosamente non significa obbligatoriamente una vita di fallimenti, è altrettanto vero che una bella maturità non impedisce una luminosa vita di glorie e di successi. Vorrei dire di più: una bella maturità può persino aiutare.
Il resto poi è tutto da costruire. Non è una novità. Dopo il diploma, comincia la lotta vera. Ma tra i tanti consigli che piovono in testa ai nostri ragazzi in questi giorni, vorrei darne uno anch’io: diffidare di chi racconta la maturità con il compiacimento d’averla fallita, dimostrando con questo che la maturità non era all’altezza del suo genio. Magari è verissimo che poi, dopo l’esame, questi personaggi di successo si sono imposti a pieni voti, umiliando il verdetto della maturità. Però attenzione: nella vita, andando avanti, entrano in gioco tanti altri fattori. Non solo la competenza e la preparazione. C’è il servilismo, il conformismo, il lecchinismo, l’opportunismo. Tutte virtù che la maturità, certamente, non è ancora in grado di valutare. Ma che in tanti luminosi successi, negli anni a seguire, contano molto più del sapere.
Cristiano Gatti
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