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SCUOLA/ L’ora di Educazione Fisica. Una proposta per renderci competitivi con l’Europa
Redazione
sabato 10 ottobre 2009
L’Italia non si può più permettere che scuola e mondo dello sport continuino ad ignorarsi, guardarsi con diffidenza o addirittura ostacolarsi a vicenda.
Non se lo può permettere lo sport di alto livello, che continua a vedere esclusa una grande fascia di bambini dal bacino da cui possono provenire i campioni di domani. Bene lo ha capito Petrucci, presidente del CONI, che, in crisi di risultati internazionali in molte discipline, ha recentemente scritto una lettera aperta alla Gelmini offrendo collaborazione e mezzi per entrare alle elementari.
Non se lo può permettere neppure lo sport dell’associazionismo di base, che per bocca di Edio Costantini del Centro Studi del CSI, il più grande Ente di Promozione Sportiva italiano, lancia l’allarme su uno sport asfittico a scuola e nelle parrocchie.
Né se lo può permettere la scuola, che presenta una proposta sportiva peggiore di molti paesi del terzo mondo. Le direttive appena giunte dal Ministero su come attivare dei Centri Sportivi Scolastici sono il segno di un tentativo per recuperare un gap clamoroso.
Ma soprattutto non sono più disponibili le famiglie a vedere direzioni didattiche e maestri impotenti di fronte ai loro figli sempre più afflitti da inerzia psicofisica, sedentarismo e precoce obesità. Così i genitori pressano le scuole perché attivino iniziative motorie, col risultato che, per carenza di mezzi e criteri chiari, in classe arriva di tutto e di più.
In presenza di un simile quadro non ci sono soluzioni magiche né direttive illuminate perché il problema è innanzitutto culturale. È necessario che le due parti in causa prima di tutto prendano atto di ciò che c’è e provino a farci seriamente i conti.
La scuola deve prendere atto che il patrimonio motorio e sportivo in Italia è stato coltivato dalle società sportive di base, quelle del quartiere per intendersi, o del paese o dell’oratorio; messe su nel tempo libero dal meccanico, l’impiegato o la massaia, persone appassionate che si sono improvvisate dirigenti, allenatori, magazzinieri,… per seguire i figli o gli amici dei figli.
Gente che con la propria opera ha supplito al vuoto assoluto lasciato da una scuola che, nella sua impostazione da Gentile in qua, è stata e rimane idealistica ed ha perciò preteso di educare “dimenticando” il corpo (Ben diverso, detto per inciso, era lo sguardo con cui don Bosco coglieva tutto dei bambini e dei ragazzi!).
E’ una storia tutta italiana che non ha solo limiti, anzi è segno di una vivacità popolare straordinaria. Le decine di migliaia di società sportive che popolano il nostro Paese, con una capillarità che fa invidia ai Carabinieri, testimoniano che il desiderio di bellezza suscitato dallo sport (è prima di tutto questo lo sport: un fascino provocato attraverso l’universale linguaggio del corpo!) non si è lasciato intimorire dall’ostracismo della cultura ufficiale ed ha realizzato una vera resistenza popolare organizzata.
Chi non volesse fare i conti con una tale imponente presenza, o è del tutto fuori della realtà o è interessato a mantenere lo status quo, magari vagheggiando di modelli stranieri, soprattutto anglosassoni. A imitazione di chi vede con fastidio nel sistema economico italiano una presenza tanto consistente delle piccole imprese.
Ma anche le società sportive devono aprire gli occhi e la mente per rapportarsi realisticamente alla scuola. E prima di tutto rendersi conto che la scuola è, per sua inalienabile natura, interessata non solo ai fenomeni ma altrettanto, e forse più, alla loro rielaborazione culturale. La scuola non ha bisogno solo di “cose da fare”, ma del significato, del perché, della ragione delle cose che si fanno.
Nelle scuole, soprattutto elementari, entrano continuamente esperti delle più svariate discipline, cercando, come è loro dovere, di inserirsi nella didattica in un rapporto organico con le maestre. E’ quanto invece fatica ad avvenire per le attività motorie, dove gli inviati delle società sportive fanno volentieri a meno delle insegnanti, con la scusa che “a quelle non gliene importa niente”.
Che gli insegnanti facciano fatica su questo terreno lo abbiamo detto, ma è un inammissibile errore di prospettiva chiedere alla scuola di rinunciare a se stessa, anche se apparentemente gli si risolve un problema.
Il vero problema invece è delle società sportive che, pur meritorie dell’opera davvero storica sopra descritta, non sono state in grado di elaborare coscienza e strumenti culturali adeguati al loro compito. E quando entra in rapporto con una realtà più attrezzata come la scuola, la contraddizione diventa stridente.
Come superare l’impasse? Come favorire l’incontro?
Fornendo un quadro di riferimento chiaro e praticabile: autonomia da una parte, libera progettualità dall’altra. Con gli Enti di livello superiore a sorvegliare sui parametri di qualità e tirare fuori qualche soldo.
Partiamo da questi ultimi. La qualità degli interventi deve essere garantita prima di tutto nella professionalità certificata degli operatori: insomma ci vuole un laureato in Scienze Motorie. Altrettanto irrinunciabile è l’interazione tra i docenti delle scuole e gli operatori delle società sportive: i progetti la devono prevedere e definire.
All’interno di questo quadro minimale, ai singoli Consigli di Circolo deve essere lasciata l’autonomia decisionale per quale progetto optare tra quelli presentati dalle società sportive del territorio.
Ovviamente sono molteplici i criteri che intervengono in una simile scelta: economici, organizzativi, contenutistici,…Ma la cosa interessante è che normalmente le società sportive sono ben conosciute dalla gente perché sono solidamente radicate nelle città, nei quartieri, nei paesi. I Consigli di Circolo non avranno delle carte anonime in mano, ma fatti e storie ben noti da confrontare e valutare. E, cosa molto importante, legati ad una tradizione locale, con ricchezze che sono ben diverse tra Auronzo di Cadore e Tropea.
Ché il rischio, non dimentichiamolo, nella nostra statalistica penisola, è che si parta da un sacrosanto bisogno per costruire l’ennesimo centralistico carrozzone. Cosa peggio dell’assegnazione d’ufficio di esperti inviati da CONI o Ministero a risollevare le tristi sorti dell’attività motoria alle elementari? Un immenso ed incontrollabile dispendio di denaro, che non c’è; l’azzeramento della possibilità di scelta per le scuole e, non ultima, l’impossibilità di crescita per le società sportive nell’assumersi un rischio imprenditoriale.
Sì, usiamola questa espressione, rischio imprenditoriale, a suggello del discorso ed ultima provocazione. Ché il passo decisivo spetta alle società sportive ed è quello di diventare capaci di presentare, e quindi gestire, progetti. Per questo dovranno attrezzarsi e strumentarsi, ma prima di tutto ripensarsi in un orizzonte più ampio e professionale, come la società contemporanea richiede ormai in ogni sua articolazione. Fino a diventare capaci di costruire posti di lavoro stabili per i laureati in Scienze Motorie, che né Stato né CONI potranno mai assorbire. È una grande scommessa, un salto di qualità, che anche in questo le accomuna al destino di tante piccole imprese italiane.
Dove non arrivassero le società di base a proporre interventi qualificati nelle scuole, sarà giusto che qualcun altro intervenga dall’alto (non si chiama sussidiarietà questo metodo? E non è ora di provare a sperimentarlo anche nel mondo dello sport?). Ma se vogliamo rompere un assetto sclerotizzato da decenni dobbiamo accettare la sfida ed iniziare un rinnovamento profondo.
(Alberto Fornari)