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La scuola in frantumi

Rassegna Stampa e News su Scuola, Università, Formazione, Reti e Nuove Tecnologie

La scuola in frantumi

Messaggiodi edscuola » 20 gennaio 2010, 12:48

da Associazione Città Futura - Alessandria

La scuola in frantumi
di Maria Luisa Jori

Negli ultimi giorni dell’anno appena trascorso mi era arrivata indirettamente la seguente informazione, proveniente da un autorevole e attivo esponente del Partito democratico: Giovanni Bachelet, recentemente nominato presidente del Forum della istruzione del PD (uno dei “gruppi di studio” tematici di prodiana memoria, ora ricreati da Bersani), dovendo presentare una proposta di riforma della scuola secondaria alternativa a quella della ministra Gelmini, avrebbe trovato il vuoto di idee in proposito. Com’è noto infatti l’opposizione ha fin qui trascurato completamente il tema dell’istruzione pubblica. Già la relativa trattazione nel programma elettorale del Partito democratico del 2008 era stata molto vaga, oltre che disordinata nell’esposizione, con obiettivi così generici ed ovvi che avrebbero dovuto essere ancora riempiti di contenuti e ordinatamente classificati, per diventare significativi, definendo una idea di scuola su cui basare l’azione attenta di un opposizione di sinistra. Era forse questa la conseguenza del fatto che già con il ministro Fioroni, nel precedente governo Prodi, erano venuti meno competenza e studio progettuale complessivo per una seria politica dell’istruzione? Allora, abolita la riforma Moratti, piccoli cambiamenti vennero introdotti cautamente, quasi casualmente, e alla spicciolata, ma venne anche stabilita per legge una innovazione storica, attesa da anni per adeguare il nostro Paese agli standard europei: l’innalzamento dell’obbligo di istruzione fino a sedici anni. E contemporaneamente se ne preparava l’adeguata attuazione anche progettando il necessario aggiornamento degli insegnanti, specialmente quelli del biennio. Ora, con il ministero di Mariastella Gelmini, il problema è stato distorto derubricando l’obbligo dopo la scuola media da quello dell’ istruzione a quello soltanto formativo. L’opposizione non ha fiatato.

Poi c’è stato il silenzio di tutta l’opposizione mentre il governo Berlusconi varava, pezzo per pezzo, i decreti sui cambiamenti della scuola a firma Gelmini (alcuni dei più fondamentali per altro bocciati dal TAR Lazio, dal CNPI, dal Consiglio di Stato). Così, poco per volta, attraverso interventi a pezzi e bocconi, di cui solo alcuni sono in fretta divenuti legge mentre altri giacciono da mesi ancora in bozza, ed altri ancora consistono in estemporanee direttive attraverso circolari (alla faccia della riaffermata autonomia degli istituti), se ne sta andando in pezzi il nostro sistema della pubblica istruzione. Inoltre, nell’ansioso affastellarsi dei singoli cambiamenti, sembra dimenticato che, nonostante siano state prolungate fino a marzo le iscrizioni alla secondaria superiore, in mancanza a tutt’oggi dei nuovi programmi (pur annunciati) per i nuovi curricula, viene impedita agli studenti la possibilità di un adeguato orientamento nella scelta del curriculum e alle case editrici quella di definire in modo certo i nuovi contenuti dei libri di testo, in modo da poterne assicurare la pubblicazione in tempo per l’adozione e l’uso previsto. Ma come mai succede che si sta distruggendo la scuola, forse perfino al di là delle stesse intenzioni dell’ attuale maggioranza al governo?

Il presidente del Consiglio ha scelto come guida di un ministero complesso com’è il Miur una persona assolutamente inesperta sia del settore sia della politica in genere, quindi facilmente malleabile(d’altra parte la stessa cosa è stata fatta anche nell’assegnazione degli incarichi di alcuni altri ministeri). Non per nulla alla base dei cambiamenti a nome Gelmini manca qualsiasi idea di scuola, un progetto complessivo ispiratore, rispondente ad una determinata concezione della società da governare e costruire, sia pure naturalmente di destra, essendo di tale orientamento il governo. Ecco perché è stato facile per Tremonti imporre tagli a non finire proprio al settore della pubblica istruzione.

Nella fretta del governo Berlusconi di apparire efficientemente riformatore, decreto dopo decreto e circolare dopo circolare dunque sono piovute rapidamente sulla scuola, senza ricorrere a consultazioni di esperti e operatori del settore, modifiche normative che, anche nei casi di un relativo apparente buonsenso nel cercare di dare una risposta a problemi reali, non tengono conto né della effettiva attuabilità né di eventuali conseguenze della reciproca interazione, perfino a volte a rischio, all’atto pratico, di contraddizione. A ben osservare gli attuali interventi innovativi nella pubblica istruzione, soprattutto confrontandoli con le interviste e le dichiarazioni della ministra stessa, si intuisce che in realtà questi sono tutti di iniziativa e redazione da parte della competenza tecnica dei funzionari del suo ministero, forse ciascuno nel proprio ambito specifico. Ma autore esplicito più spesso è naturalmente il direttore generale per gli Ordinamenti scolastici e per l’autonomia scolastica, Mario G. Dutto. Anche l’ultima circolare, n.2 dell’8 gennaio 2010, sul limite del 30 % degli stranieri negli istituti e nelle classi, porta il suo nome. Dutto, infatti, che, ex Direttore dell’Ufficio scolastico regionale della Lombardia, conosce bene le esperienze delle scuole milanesi, nel redigere questa circolare potrebbe essersi ispirato all’esperienza di distribuzione equa degli allievi stranieri in una rete di scuolelocali, tramite lamedia Majno, di Milano(descritta in L’Espresso, 10-09-09, p. 63).

Certamente la presenza in classe di allievi privi di conoscenza della nostra lingua in un numero eccessivo rispetto a quello dei parlanti italiano, anche se il fenomeno non è poi così frequente, è un problema che va affrontato, per realizzare una duplice efficacia dell’azione che deve essere compito primario della scuola: quella dell’apprendimento e dell’integrazione reale da parte dei minori stranieri insieme a quella dell’apprendimento necessario da parte dei coetanei italiani.

Va riconosciuto un merito all’attuale iniziativa ministeriale sulla equa distribuzione tra le scuole degli allievi stranieri: l’intenzione di offrire una risposta al problema democraticamente alternativa alla proposta razzista della Lega di relegare i figli degli immigrati in classi ghetto. Ma, per realizzare obiettivi di questo tipo, come viene ribadito da dirigenti e docenti esperti, rispettare un tetto di presenze degli stranieri in classe fissato dall’alto uguale per tutti è troppo difficile all’atto pratico nelle diverse situazioni: come distribuire piccoli immigrati in scuole lontane dall’abitazione? Come non accorgersi della differenza tra la definizione giuridica di “straniero” e quella dovuta al grado di conoscenza dell’italiano? Non a caso nella stessa circolare non si è potuto fare a meno di ammettere una infinità di deroghe, al cui elenco si è aggiunta quella dichiarata dalla ministra Gelmini in televisione( l’esclusione dal conteggio del 30 % i figli degli immigrati nati in Italia).

Inoltre nelle scuole così come sono, povere di mezzi e con insegnamenti ex cattedra, spesso con classi numerose e in mancanza di aggiornamento dei docenti, la presenza di un 30% di allievi che non padroneggiano la nostra lingua, magari provenienti da culture diverse fra loro, mette già di per sé in difficoltà lo svolgimento efficiente dei compiti dell’insegnante e dell’apprendimento di tutti(in tale condizione la dispersione scolastica è assicurata e l’integrazione degli stranieri assai difficile). Occorrerebbe dunque ripensare ad una politica scolastica dell’integrazione dotata dellenecessarie risorse. La figura del docente facilitatore, in questo caso, è una risorsa specifica dalla quale non si può prescindere. Così come le “compresenze”( ahimé del tutto cancellate dai tagli economici) che consentirebbero interventi flessibili specialmente, ma non solo, dove, per il piccolo numero di alunni neoarrivati, non fosse possibile disporre di un facilitatore. Inoltre bisognerebbe poter provvedere al consolidamento delle lingue materne degli allievi stranieri(come si esperimenta già in alcune scuole efficienti). Ma anche qui si è pensato prima al risparmio e, solo dopo i tagli dei finanziamenti, alle riforme della scuola, che avrebbero richiesto un processo inverso.

Anche la bozza del regolamento sulla formazione dei docenti, che sembra per ora congelata(da notare che, abolite le Siss, e in assenza di concorsi attualmente non è possibile ai neolaureati diventare insegnanti), non è comunque che un frammento del relativo progetto di riforma, anche perché non tratta contestualmente il reclutamento e la carriera degli insegnanti. Su questo argomento specifico viene invece in soccorso a Gelmini il Disegno di legge (n° 953) dell’on. Valentina Aprea, ex dirigente scolastica laureata in pedagogia, già braccio destro della ministra Moratti e attualmente presidente della Commissione cultura, scienza e istruzione.

Il ddl Aprea prevede nel complesso un sostanziale processo di privatizzazione del sistema scolastico, sotto la maschera di pubblico: l’assunzione da parte degli istituti scolastici, con un proprio concorso dei docenti che risulteranno iscritti in un albo regionale; la loro distinzione in tre livelli per la carriera(insegnante iniziale, ordinario ed esperto); le scuole trasformate in fondazioni e pertanto soggette al condizionamento di chi le finanzia e le gestisce con la presenza nel consiglio di amministrazione, come se si trattasse di una SpA. Infine dispone l’eliminazione delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) e per i docenti l’istituzione di una specifica area contrattuale.

In conclusione il neopresidente del forum del Pd sull’istruzione,Giovanni Bachelet, per assolvere al suo compito di attrezzare il Partito democratico nell’attività di opposizione per quanto riguarda la scuola, dovrà ricondurre ad unità le disiecta membra del sistema scolastico e delle sue funzioni, per costruire una proposta di riforma complessiva, che possa essere alternativa a quella della ministra Gelmini : un Disegno di legge quadro, basata su un modello aderente al dettato e allo spirito costituzionale, e in quanto tale capace di andare incontro ad una condivisione quale una degna riforma dell’istruzione in un Paese normale esigerebbe. Per fare questo basterebbe rivolgersi in particolare alle associazioni professionali degli insegnanti e dei dirigenti, da anni ricche di esperienze sul campo e di riflessioni collettive in materia, per essere aiutati anche nello studio e nell’analisi critica dei più importanti e completi progetti di riforma precedenti( dai Programmi Brocca alla Legge quadro di riforma di Berlinguer).
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