La dinamica secolare della formazione degli insegnanti: persistenze e discontinuità. Modelli del presente e radici storiche di una necessità.
Sono stati pubblicati da poco gli atti del convegno svoltosi a Parigi nel 2010 su: La formation initiale des enseignants en Europe:convergences, divergences, évolutions1.
L’incontro, assente l’Italia, ha analizzato un tema estremamente spinoso giacché, in Europa, l’organizzazione dei sistemi educativi e le loro finalità
appaiono essere estremamente diversificati nonostante gli obiettivi di Lisbona fissati per il 2010. Sull’agire degli insegnanti si possono rintracciare rappresentazioni iconografiche estremamente efficaci quali quella trasmessa dall’opera di Heniricus de Alemannia ove l’aula è teatro di noia, di distrazioni, di approcci galanti e di chiacchiere il tutto sovrastato da un maestro distante dai suoi allievi2.
Altrettanto interessante è la raffigurazione di Salomone che insegna a giovani e a adulti3.
Persistenze secolari che spesso non sono percepite da quanti operano nella scuola e per l’istruzione di tutti. E infatti il convegno parigino “scopre” che il docente del futuro non trasmetterà solamente saperi, ma sarà anche protagonista di quel cambiamento necessario “per far fronte ai bisogni della società”. Sorprendono in particolari i dati -del 2009- relativi all’impegno per la formazione professionale dei docenti: in Francia è il 20% del curriculum, mentre in Austria arriva al 90 %, con una media europea del 40-50 %. La grande difficoltà è data dai numeri: gli insegnanti in Europa sono oltre sei milioni: una massa di lavoratori sicché si tende ad assegnare un certificato di idoneità al lavoro invece di una qualifica professionale. Inoltre “al giorno d’oggi i professori di scienze dell’educazione sono degli psicologi, più raramente dei sociologi, che soprattutto non conoscono affatto la realtà della scuola e questo fatto crea una frattura tra il mondo della formazione universitaria e quello dell’insegnamento”. La distanza tra scuola e università era stata già avvertita dall’inchiesta Scialoja4 sullo stato delle scuole italiane che era stata organizzata nel 1872. Allora si chiedeva con lungimiranza: “Quali frutti diedero i corsi speciali istituiti presso alcune facoltà universitarie per abilitare i professori delle scuole tecniche e magistrali? /…/ Quali modificazioni si stimano necessarie nei regolamenti a rendere più sicure le prove d’idoneità per quest’ordine di professori? Non si dovrebbe chiedere anche a questi un tirocinio scolastico prima di concedere il diploma di abilitazione?”. E ancora: “Non è avvertito negli allievi delle scuole normali il difetto d’un opportuno tirocinio scolastico? Gioverebbe a questo fine coordinare un istituto secondario alle scuole normali e alle facoltà universitarie per servire alle esercitazioni pratiche? Può tenersi sufficiente il solo diploma di laurea per abilitare all’insegnamento? Non dovrebbe richiedersi anche l’attestato di un lodevole tirocinio fatto in una scuola?”
Già nel 1872 si prospettava la necessità di un tirocinio (il TFA). Allora -nel 1873- il filologo Graziadio Isaia Ascoli5 denunciava la distanza tra saperi e capacità didattiche: “Nella Germania le cose scolastiche da un pezzo sono ben regolate; le scuole sono strettamente efficacemente coordinate insieme e il seminario altro in fondo non fa se non perfezionare tale allievo dei licei che già uscendo dalla scuola secondaria si potrebbe dire un buon candidato maestro. Da noi all’incontro nella maggior parte dei casi se non sempre bisogna rifare la coltura del giovane e poi perfezionarlo. /…/ Nessuna spesa, mi pare, che possa farsi per la pubblica istruzione sarebbe più proficua di questa che veramente gioverebbe che veramente gioverebbe a rinvigorire ad ampliare i vivai dei buoni insegnanti”. E significativi punti di contatto tra passato e presente vengono dalle note dell’ispettore Francesco Acri che, coincidendo con l’incontro di Parigi del 2010, rilevano come troppe siano le materie insegnate: “Ho raccolto parecchie osservazioni facendo ispezioni nelle scuole secondarie: il male che travaglia queste scuole è che i mezzi non sono semplificati per l’ottenimento del fine; e anche il fine a cui sono indirizzati è ancora incerto nella coscienza dei professori stessi. Si ritiene da molti che le scuole secondarie abbiano per fine di formare l’uomo e non il professionista. Quali debbono essere gli insegnamenti da dare per il perfezionamento di quest’uomo? Chi dice che le materie sono troppe e chi sono poche”. In realtà a Parigi è stato enunciato un principio importante spesso disatteso: occorre formare e non ‘formattare’, occorre rendere gli insegnanti capaci di duttilità e non erogatori di ripetitività! Formare e non formattare questo è il punto di ogni tirocinio che voglia attivare le intelligenze. E dunque educare all’innovazione e non all’imitazione. Su questa strada in Italia credo ci sia proprio molto da fare. Dunque occorre essere formati per ascoltare. E non –come sottolineava Honoré Daumier nel 18006- per pisolare!
Occorre che gli insegnanti siano formati affinché possano operare in una pluralità di contesti nell’interesse pubblico e questo principio era stato già affermato nel 1762 in Francia: allora si ravvisava la necessità di fondare una scuola per la formazione dei maestri perché questa professionalità difende l’interesse dei cittadini7, interesse dello Stato dunque e non dei singoli clienti!
Interesse delle Istituzioni che operano collegialmente come auspicava l’inchiesta Scialoja chiedendo: “Tra i professori d’un medesimo istituto si stabilisce quell’accordo intelligente ed operoso che agevola le fatiche di ciascuno, unifica i metodi e cresce efficacia alla disciplina? I presidi e i direttori vedono ben accolta dai professori la loro autorità e la esercitano generalmente con profitto? Visitano con frequenza le classi, assistono le lezioni, consigliano i professori e li sorreggono nel mantenere la disciplina?”. Il quesito che invita ad un insegnamento operoso e critico rammenta quella circolare che un preside di una scuola vicentina scrisse nel 1958: “Prego ciascun professore di fare egli stesso, per qualche giorno, le lezioni che affida ai propri alunni per casa; di farle con i mezzi e i sistemi che essi usano, onde verificare che esiste proporzione fra il quanto delle lezioni e le possibilità degli alunni”. Il che significa che una volta svolto il tirocinio l’attività non è conclusa ed occorre provare e riprovare metodologie e materiali didattici perché il docente è un professore e non un ripetitore che detta dalla cattedra.
E la cattedra richiama appunto una questione che non può essere disgiunta dalla formazione dei docenti e questa è la questione dei luoghi in cui si svolgono le lezioni tanto quanto degli arredi. Si rimane oggi davvero sorpresi nel leggere i dipinti di Winslow Homer8 che nel 1871 tratteggiava spazi per un apprendimento libero e dinamico.
Aule che poi nel 1900 tendono a irrigidirsi in un ordine fisso che dovrebbe propiziare la concentrazione e il lavoro didattico come appare nel ‘pittore dei bambini e degli studenti’ Henry Jules Jean Geoffroy9. O nell’opera di Carl Conrad Julius Hertel10
E la rigidità di questi modelli non viene incrinata nemmeno dall’introduzione dell’iPAD: uno strumento flessibile aperto ai contatti e alle interazioni viene utilizzato come un Abbecedario del ‘900 benché l’introduzione delle nuove tecnologie dovrebbe ampliare gli orizzonti delle metodologie didattiche.
Eppure la necessità di formare e non di formattare era stata avvertita già nel passato sia nel 1841 quando Mazzini11 fondò a Londra una scuola per i figli degli emigranti e personalmente andava a recuperare i ragazzi di strada sia nel 1889 quando all’ Exposition Universelle di Parigi una vasta sezione venne dedicata alla Scuola12.
Per il futuro della formazione non si può prescindere dall’insegnamento del passato: da Giuseppe Mazzini che indirizzava i ragazzi di strada di Londra nella scuola da lui fondata, da Antonio Gramsci che esortava all’insegnamento critico, da don Lorenzo Milani che insegnava come “le regole dello scrivere sono: Aver qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarIo. Eliminare ogni parola che non serve”, da Arturo Carlo Jemolo che in Anni di prova del 1969 rammentava come l’insegnante che tutto lascia correre e che è sordo agli errori è un docente che comunica ai suoi studenti il suo disinteresse per la Scuola.
E tutto ciò viene anche dal presente sia dal convegno parigino sia da chi - come Daniel Pennac - ci rammenta che, quando gli insegnanti si lamentano di non essere stati formati per questa quotidiana moltitudine di situazioni difficili che si incontrano nelle aule scolastiche, “il questo per il quale non sono stati formati resisterà comunque /…/ i prof. non sono preparati alla collisione tra sapere e l’ignoranza, tutto qua! /…/ I professori ritengono di non essere stati preparati a trovare nelle loro classi studenti che non ritengono di non essere fatti per stare lì. Da entrambe le parti lo stesso ‘questo’!”
“Vi chiediamo di aggiungere a tutte le vostre conoscenze l’intuizione dell’ignoranza e di andare a ripescare i somari, è questo il vostro lavoro! Il ragazzo che va male a scuola riuscirà a impegnarsi quando gli avrete insegnato a impegnarsi!”13.
A tutto questo dovrebbe pensare chi sta organizzando le selezioni per il TFA: a un’organizzazione critica della formazione professionale degli insegnanti.
Piero Morpurgo
(2 febbraio 2012)
1 http://irea‐sgen‐cfdt.fr/IMG/pdf/flyerA4‐sansouscription‐14182_formation.pdf
2 http://faculty.isi.org/catalog/resource/view/id/1732
3 http://www.bridgemanart.com/image.aspx? ... j6&lang=fr
4 http://www.archivi.beniculturali.it/ser ... nti21.html
5 http://it.wikipedia.org/wiki/Graziadio_Isaia_Ascoli
6 http://hammer.ucla.edu/exhibitions/deta ... ion_id/126
7 http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k8 ... nts.langEN
8 http://vi.wikipedia.org/wiki/T%E1%BA%AD ... School.jpg Saint Louis Art Museum
9 http://www.photo.rmn.fr/cf/htm/CSearchZ ... 6NU0SDNEW9
10 Consultabile sub voce in http://www.photo.rmn.fr/
11 http://badigit.comune.bologna.it/mostre ... o/6A_2.htm
12 http://cnum.cnam.fr/fSYN/8XAE348.4.html
13 D. Pennac, Diario di Scuola, Paris 2007, Milano 2008, pp. 238‐239.
Centro studi nazionale Gilda degli Insegnanti
web: www.gildacentrostudi.it - www.gildains.it