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Lo strano caso degli istituti comprensivi…

Lo strano caso degli istituti comprensivi,
la crisi infinita della scuola media e l’ignavia della politica

di Nicola Puttilli

Nel bel convegno organizzato da ANDIS a Jesolo lo scorso 29 ottobre il presidente di INVALSI Roberto Ricci ha ancora una volta ricordato come la scuola primaria italiana non sfiguri affatto nei confronti internazionali, mentre si registra una caduta verticale non appena il riferimento ricade sui dati relativi alla scuola secondaria di primo grado. Nell’intervento immediatamente successivo la prof.ssa Barbara Romano di Fondazione Agnelli (entrambe le relazioni sono visibili nell’area riservata del sito dell’associazione) ha illustrato in modo dettagliato numeri, condizioni e caratteristiche di questa crisi ormai più che ventennale, esito di una ricerca recentemente pubblicata.

Così come più che ventennale è l’istituzione dei primi istituti comprensivi, nati a metà degli anni ’90 come risposta al progressivo spopolamento di alcune specifiche e circoscritte aree del Paese (comuni montani, piccole isole, ecc.).

In poco più di un ventennio quella che era un’esperienza di nicchia legata a condizioni del tutto particolari è diventata la forma organizzativa largamente prevalente nella scuola di base, verosimilmente destinata ad ulteriori incrementi, fino a rendere di fatto residuali direzioni didattiche e scuole medie autonome.

Il tutto senza riferimenti normativi particolarmente significativi se si considera che quello più rilevante può essere considerato il DL 98 del 6.7.2011 dall’eloquente titolo “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” (neanche successivamente confermato dal Parlamento), scritto in tutta fretta dal governo Berlusconi in risposta alla famosa lettera a firma congiunta Commissione Europea – BCE, nel tentativo disperato di frenare la crisi economica dilagante.

Per il resto la L 97/94 ne decreta la nascita nell’ambito, come già detto, delle misure sulla “tutela delle zone di montagna”, mentre la crescita esponenziale di questo modello organizzativo è dovuta sostanzialmente al DPR 233/98 relativo a norme sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche. Nessuna analisi né motivazione di ordine pedagogico nelle norme citate. Eppure, laddove nulla ha potuto la L 30/00 con il suo disegno complessivo di riforma è stato l’intervento fin troppo determinato di comuni e regioni (comunque ben assecondato dai vari governi in carica) a modificare sostanzialmente in pochi anni il panorama organizzativo (e non solo) della nostra scuola di base.

In realtà le prime esperienze di comprensivo erano nate in condizioni quasi sperimentali, in contesti fortemente motivati e protetti, con attenzione prioritaria alle variabili di ordine pedagogico, a partire dalla non semplice costruzione di un curricolo verticale, come base e premessa dei cambiamenti organizzativi.

I due ordini di scuola venivano del resto da storie e vissuti molto diversi: oltre un ventennio di riforme nate dal basso e in buona misura metabolizzate dalla scuola primaria (L 820 sul tempo pieno, L 517 sulla valutazione formativa, nuovi programmi dell’85, buona attitudine alla formazione in servizio), mentre la scuola media era sostanzialmente rimasta quella delle “vestali della classe media” così ben descritte da Barbagli e Dei nel loro saggio degli anni ’70, con riforme che pur ci sono state in analogia con quelle della scuola primaria (tempo prolungato, programmi del ’79) ma che non hanno inciso in modo sostanziale sul reale modo di essere di questo ordine di scuola.

 Nonostante tutto ciò il messaggio lanciato dal comprensivo è risultato suggestivo e accattivante: come rispondere alle sacrosante esigenze di continuità e alla crisi, già nettamente percepita, della scuola media senza intervenire formalmente sugli ordinamenti, materia sempre scottante anche sul piano ideologico e soprattutto senza toccare lo stato giuridico, e i conseguenti aspetti retributivi, del personale docente. Una volta scongiurato il “pericolo” della L 30 il personale (e i sindacati) della scuola hanno accettato come male minore le proposte (a volte folli più che stravaganti) degli enti locali sul dimensionamento, purtroppo entusiasticamente sostenuti (non sempre per fortuna) da dirigenti scolastici in vena di manie di grandezza.

E’ del tutto ovvio e generalmente condiviso che una reale continuità didattica, curricolare, organizzativa possa essere di grande giovamento ai due ordini di scuola e in particolare a quello che si trova in maggiore difficoltà e il modello originale di comprensivo offriva per intero questa potenzialità. Il fatto di nascere “dal basso” ne costituiva, inoltre, un ulteriore punto di forza. La continuità, tuttavia, non si ottiene magicamente mettendo semplicisticamente  insieme due pezzi di scuola che, tra l’altro, per decenni non si sono parlati, guardandosi  spesso con sospetto e diffidenza.

Chi ha effettivamente lavorato su una vera continuità sa che si tratta di un percorso lungo, faticoso e delicato che deve essere costantemente guidato e supportato e che richiede, per avere successo, alcune condizioni di contesto e di fattibilità. Almeno su alcune di queste si sarebbe dovuto intervenire prima di procedere (o al limite contestualmente) ai massicci processi di accorpamento ai quali abbiamo assistito e alla quasi generalizzazione degli istituti comprensivi:

– la continuità tra i flussi di alunni e la dimensione delle autonomie scolastiche. Viene meno la continuità del progetto educativo elaborato congiuntamente se gli alunni della scuola primaria, per ragioni di vicinanza ad esempio, vanno a frequentare la scuola media di un’altra autonomia scolastica. La dimensione dell’autonomia è inoltre un fattore cruciale: i parametri delineati dal DPR 233/98 (tutt’ora in vigore, di norma tra 500 e 900 alunni) consentono un confronto non solo formale nell’ambito del Collegio dei docenti e al dirigente scolastico l’esercizio di quella leadership educativa e relazionale che tante ricerche hanno dimostrato essere elemento centrale nel buon funzionamento della scuola e nei relativi esiti.

Nella gran parte dei dimensionamenti realizzati che hanno portato alla formazione degli istituti comprensivi non si è assolutamente tenuto conto di questi fattori. Nei contesti a forte urbanizzazione in particolare, sovente non è rispettata la continuità dei flussi e l’accorpamento si è spesso verificato mettendo semplicemente insieme una direzione didattica e una scuola media, a volte neanche la più vicina. Altre volte si è proceduto alla scomposizione della direzione didattica assegnando i relativi plessi a diverse scuole medie. In ogni caso l’esito conclusivo è stato quasi sempre il raddoppio della popolazione scolastica, con medie intorno ai 1500 alunni, delle singole autonomie (peraltro in molti casi, come in Piemonte, già perfettamente dimensionate ai sensi di legge) quasi fosse vanto dell’assessore di turno procedere al maggior numero di accorpamenti possibile (nelle superiori è andata anche peggio con la creazione di mostri di 2500/700 alunni, per i dirigenti scolastici è un altro lavoro).

– Le condizioni di lavoro, lo stato giuridico e il trattamento retributivo del personale docente. A oltre un ventennio dall’istituzione dei primi comprensivi continuiamo ad assistere al paradosso dell’insegnante che lavora di più pagato meno di tutti. Sempre da un ventennio circa per tutti i docenti è prevista la formazione universitaria, ma un’insegnante di scuola dell’infanzia con 25 ore settimanali di insegnamento (certo non meno impegnativo degli altri ordini di scuola) guadagna meno dell’insegnante di scuola primaria che di ore ne ha 22+2 di programmazione e ancora meno dell’insegnante di scuola media il cui orario di cattedra è di 18 ore (senza programmazione, evidentemente serve solo nella primaria, mentre nella costruzione di una realtà così complessa e innovativa sarebbe una condizione irrinunciabile).

– Il piano strategico della formazione. La situazione generale della nostra scuola per come emerge dai confronti internazionali e per le forti disparità che la caratterizzano, richiederebbe un’azione di formazione qualificata e permanente in tutti gli ordini di scuola e in particolare nella secondaria per quanto concerne gli aspetti pedagogici, psicologici e relazionali. La costituzione degli istituti comprensivi avrebbe a sua volta richiesto un parallelo percorso di formazione particolarmente centrato sulla continuità curricolare.

L’idea di istituto comprensivo, per quanto nata per e in contesti specifici e particolari, si è ben presto rivelata un’idea di successo apprezzata dal personale della scuola, contrariamente a leggi di sistema che intervenivano in modo più completo e organico sugli ordinamenti e le prime esperienze lasciavano intravvedere interessanti sviluppi sia sul piano organizzativo che sul piano pedagogico e didattico. L’aver praticamente identificato il percorso del comprensivo con quello del dimensionamento, senza minimamente curarne le condizioni di fattibilità (corretta dimensione e rispetto dei flussi di continuità, omogeneizzazione delle condizioni di lavoro e di stato giuridico del personale, congruo tempo per la progettazione e la programmazione comune tra ordini di scuola, formazione mirata e qualificata) rischia di bruciare nel caos e nella frustrazione un’esperienza che avrebbe potuto essere vincente (si aggiunga, non ultimo per chi lo deve gestire, il caos generato dai processi amministrativi diventati molto più complessi senza alcun adeguamento del personale).

Quanto ai dimensionamenti è impossibile tornare indietro, ma è doveroso considerare con attenzione estrema quelli futuri e correggere le distorsioni più evidenti e insostenibili, per il resto le risorse ci sarebbero anche, quello che manca è un po’ di visione e di volontà politica, anche nel contrastare le resistenze “a prescindere” di parte del personale.

Cura, accompagnamento, supporto e qualche solido finanziamento per un serio percorso di formazione e per l’adeguamento e l’omogeneizzazione dello stato giuridico e del trattamento economico del personale. Invece si è colta l’occasione di ulteriori risparmi con la soppressione, senza condizioni, di centinaia di autonomie scolastiche, con l’alibi più o meno consapevole della continuità didattica. A quanto pare la scuola media non è migliorata, speriamo non peggiori la scuola primaria.

Verticale che passione!

Verticale che passione!
In ricordo di Giancarlo Cerini

di Marisa Bracaloni

Ho letto con profondo dispiacere della morte di Giancarlo Cerini, è stata una notizia improvvisa e inaspettata che mi ha gettata nello sconforto.

Quando scompare una persona importante ci si aggrappa al passato per fissare meglio il suo ricordo nella memoria, ma la figura di Giancarlo Cerini resterà invece nel presente e continuerà ad influenzare il futuro per gli importanti contributi offerti nel suo lavoro. 

Come possiamo dimenticare le sue idee pedagogiche leggendo i bellissimi “Orientamenti per la scuola dell’infanzia”, alla cui stesura partecipò attivamente e in modo determinantenegli anni novanta.

Lavorando a quel tempo nella scuola dell’infanzia, apprezzai molto quel documento che orientava il lavoro e valorizzava un segmento di scuola che Cerini riteneva molto importante per lo sviluppo del bambino e a cui sempre dedicò attenzione e cura considerandolo “Il gioiello di famiglia”.

Agli inizi del 2000 Cerini fu presente nello scenario italiano per la sua posizione a favore dell’autonomia scolastica e per il sostegno alla creazione di nuove figure professionali quali ad esempio le funzioni obiettivo.

Posizione molto scomoda allora perché erano ruoli mal visti che creavano sospetti e timori e, poiché nessuno sapeva chiaramente “chi doveva fare cosa” gli insegnanti cercavano coraggio e chiarezza tra di loro, creando gruppi di lavoro.

Cerini dotato di lungimiranza incoraggiava le novità e viveva le scommesse sul futuro con forza e coraggio, partecipando alle discussioni e dando il suo contributo personale. Pur essendo convinto sostenitore di una scuola democratica e inclusiva, era favorevole a diversi ruoli in base alla disponibilità, capacità e vocazione di ciascuno.

Durante la partecipazione ad un forum virtuale lo conobbi ed iniziò così una collaborazione durata un decennio.

Prima per la diffusione degli Istituti Comprensivi. La valorizzazione ed espansione di queste scuole che raggruppavano infanzia, primaria e secondaria di primo grado, veniva vista come importantissima in quanto seguiva un percorso coerente di sette anni accompagnando l’alunno fino alle soglie dell’adolescenza.

Nacque su questo tema una rubrica in Edscuola a cui Cerini volle dare il nome “Verticale che passione!

E la passione nel fare le cose fu proprio la caratteristica con cui si dedicava al suo lavoro.

Passione ma anche misura e sobrietà, a Cerini non piaceva la confusione, la sciatteria, le urla. Era un uomo tollerante e rispettoso, ma anche esigente e chiedeva ai collaboratori professionalità e impegno. I suoi silenzi erano significativi, se non rispondeva o ignorava una domanda o uno scritto o un pensiero, voleva dire che quella domanda o quel pensiero andava corretta o riscritta perché non andava bene. Per collaborare con lui, bisognava studiare e molto.

Nel 2004 la diffusione dei comprensivi si arrestò e si temette anche la loro soppressione a favore di altri modelli di scuola.

Fu allora che Cerini promosse varie iniziative sia sulla composizione dei Comprensivi sia sul curricolo che costituisce la base degli Istituti e che egli riteneva fondamentale per il fluire armonioso del percorso di ogni bambino. 

Per molti anni si è visto impegnato in presenza nelle scuole per aiutare gli insegnanti a risolvere le problematiche. I suoi interventi, che poggiavano su un semplice canovaccio di idee, erano interessanti, coinvolgenti e chiari. Accompagnati sempre da esempi pratici e indicazioni didattiche.

La scuola era dentro di lui e non aveva bisogno di preparare un discorso preconfezionato, lui parlava e raccontava “cosa e come una cosa si poteva fare”.

E’ stato un uomo disponibile, che non si tirava mai indietro anche quando gli veniva richiesto un gran sacrificio.

Come ad esempio quando gli chiesero aiuto i dirigenti e gli insegnanti delle piccole scuole di montagna, destinate a scomparire per la riorganizzazione del servizio.

Cerini cominciò a seminare chilometri su e giù per l’Appennino, raggiungendo anche zone isolate, per incontrare quelle realtà.

Durante un paio di convegni organizzati da queste piccole scuole di montagna a cui volli partecipare, mi resi conto di quanto fosse conosciuto e stimato. Insegnanti e genitori si rivolgevano a lui con simpatia ed emozione. Ha coniugato passionalità e sobrietà, teoria e pratica, autorevolezza e rispetto, amore per la scrittura e per la tecnologia, disponibilità alle innovazioni e rispetto delle buone tradizioni.

Ha costituito un vero modello da seguire.

La valutazione esterna degli apprendimenti degli alunni

Per una Scuola italiana più europea:
La valutazione esterna degli apprendimenti degli alunni

di Caterina Di Lella

INDICE

Introduzione

Parte prima

CAPITOLO I

VALUTARE PER LA QUALITÀ DELL’ISTRUZIONE

  1. Valutare il sistema scolastico
  2. Valutare le singole scuole
  3. Valutare gli apprendimenti degli alunni
  4. Valutare il personale scolastico

CAPITOLO II

IL CAMMINO DELL’ITALIA VERSO UN SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONE

1. La necessità di una valutazione esterna degli apprendimenti degli alunni

1.1. Valutazione interna ed esterna: interdipendenza necessaria

2. L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo, di istruzione e di formazione: dal CEDE all’INVALSI

2.1. I quadri di riferimento SNV: italiano e matematica

2.1.1.  Le prove di italiano

2.1.2.  Le prove di matematica

2.2. Il quadro di riferimento per la rilevazione delle informazioni sugli studenti

Parte seconda

CAPITOLO III

LA VALUTAZIONE ESTERNA DEGLI APPRENDIMENTI DEGLI ALUNNI NELLA PROSPETTIVA EUROPEA

1. Modelli europei di valutazione esterna degli apprendimenti

1.1. La Francia

1.2. L’Inghilterra

1.3. La Finlandia

2. La qualità dell’istruzione nel contesto europeo e il contributo del sistema di valutazione nazionale: quale rapporto?

CAPITOLO IV

VALUTAZIONE E EFFICACIA DEI SISTEMI DI ISTRUZIONE: PROSPETTIVE FUTURE

  1. I risultati nazionali e internazionali a confronto
  2. Rendere la scuola italiana più europea: cosa fare?
  3. La parola agli esperti: Cerini Giancarlo, Bagni Giuseppe, Berni Maurizio, Conti Paola.

Considerazioni conclusive

Riferimenti bibliografici

Sitografia

Il curricolo verticale

Che l’educazione tradizionale fosse una “routine” in cui i piani e
i programmi erano trasmessi dal passato, non implica affatto che
l’educazione progressiva debba essere una improvvisazione.

J.Dewey, Esperienza e educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1949, p. 13-14.

 

Il curricolo verticale[1]

di Carlo Fiorentini

Pur essendo trascorsi più di dieci anni dall’avvio dell’autonomia scolastica,  caratterizzata con il DPR 275 dal passaggio della scuola del programma alla scuola del curricolo per competenze, le interpretazioni più diffuse nelle scuole non hanno modificato nella sostanza il modo di fare scuola tradizionale, chiamando curricolo quello che in precedenza veniva chiamato programma o programmazione, ma il tutto inteso come operazione solo formale, e intendendo invece l’autonomia scolastica essenzialmente come “progettificio permanente”. Le nuove Indicazioni possono costituire un’importante occasione per iniziare effettivamente in tutte le scuole di base a costruire il curricolo verticale per competenze se le condizioni necessarie verranno affrontate e gradualmente risolte.

Nelle nuove Indicazioni per la scuola di base vengono ribaditi principi importanti con la decisiva novità della sottolineatura (pratica e non solo teorica) della verticalità del curricolo, dovuta tuttavia, più che a un chiaro progetto riformatore, alla generalizzazione degli Istituti comprensivi effettuata nel luglio 2011 per motivi di risparmio. La logica della scuola del curricolo poteva essere realizzata anche in scuole elementari o medie separate, ma è indubbio che, a livello di sistema, si possono ottenere risultati molto più significativi in un’unica istituzione scolastica. “L’itinerario scolastico dai tre ai quattordici anni, pur abbracciando tre gradi di scuola caratterizzati ciascuno da una specifica identità educativa e professionale, è progressivo e continuo. La presenza, sempre più diffusa, degli Istituti comprensivi consente la progettazione di un unico curricolo verticale e facilita il raccordo con la scuola secondaria di secondo grado”. La continuità educativa, che è decisiva se interpretata in modo sostanziale e non rituale, coincide così con l’implementazione del curricolo verticale.

Il centro della scuola del curricolo non è più la prescrittività di un presunto programma (per alcuni insegnanti il programma era ed è quello che c’è nel loro manuale), ma l’apprendimento di ciascun studente: “Fin dalla scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado l’attività didattica è orientata alla qualità dell’apprendimento di ciascun alunno e non ad una sequenza lineare, e necessariamente incompleta, di contenuti disciplinari”. La qualità dell’apprendimento è possibile con precise scelte culturali e didattiche: occorre, da una parte, “evitare trattazioni di argomenti distanti dall’esperienza e frammentati in nozioni da memorizzare” e,  dall’altra, “realizzare attività didattiche in forma di laboratorio per favorire l’operatività e allo stesso tempo il dialogo e la riflessione su quello che si fa. Il laboratorio, se ben progettato, è la modalità di lavoro che meglio incoraggia la ricerca e la progettualità, coinvolge gli alunni nel pensare, realizzare, valutare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri, e che può essere attivata sia nei diversi spazi e occasioni interni alla scuola sia valorizzando il territorio come risorsa per l’apprendimento”. Tale scuola “è una scuola che include: la scuola italiana sviluppa la propria azione educativa in coerenza con i principi dell’inclusione delle persone e dell’integrazione delle culture, considerando l’accoglienza delle diversità un valore irrinunciabile”.

 

Traguardi per lo sviluppo delle competenze e certificazione delle competenze

La problematica delle competenze ha subito in questi 13 anni la stessa sorte di quella del curricolo; a nostro parere, non poteva andare diversamente perché curricolo e competenze sono strettamente intrecciati e non è un caso se la certificazione delle competenze (diventata anche obbligatoria alla fine del biennio negli ultimi due anni) sia stata nella maggior parte dei casi una finzione. Infatti, come è specificato nel documento, solo a seguito di “una regolare osservazione, documentazione e valutazione delle competenze è possibile la loro certificazione”, e se effettivamente la scuola “finalizza il curricolo alla maturazione delle competenze previste nel profilo dello studente al termine del primo ciclo”.

Sempre in modo inoppugnabile, viene stabilita la diversa natura giuridica dei traguardi per lo sviluppo delle competenze e degli obiettivi di apprendimento; mentre i primi vengono indicati come prescrittivi, i secondi solo come indicativi: “I traguardi costituiscono criteri per la valutazione delle competenze attese e, nella loro scansione temporale, sono prescrittivi, impegnando così le istituzioni scolastiche affinché ogni alunno possa conseguirli, a garanzia dell’unità del sistema nazionale e della qualità del servizio”. Invece gli obiettivi di apprendimento “sono utilizzati dalle scuole e dai docenti nella loro attività di progettazione didattica, con attenzione alle condizioni di contesto, didattiche e organizzative mirando a un insegnamento ricco e efficace”. E fin dall’inizio del paragrafo dedicato all’organizzazione del curricolo si stabilisce che le indicazioni “sono un testo aperto, che la comunità professionale è chiamata ad assumere e a contestualizzare, elaborando specifiche scelte relative a contenuti, metodi, organizzazione e valutazione coerenti con i traguardi formativi previsti dal documento nazionale”.

 

Le condizioni per la realizzazione della scuola del curricolo

La costruzione del curricolo non è un adempimento formale, ma è “il processo attraverso il quale si sviluppano e organizzano la ricerca e l’innovazione educativa”, è, cioè, un  cammino di costante miglioramento dell’aspetto centrale della scuola, il processo di insegnamento-apprendimento.

Sono qui indicate le condizioni necessarie, per la realizzazione della scuola del curricolo: la trasformazione di tutte le scuole in comunità professionali caratterizzate da “partecipazione” ed “apprendimento continuo”. “Questo processo richiede attività di studio, di formazione e di ricerca da parte di tutti gli operatori scolastici ed in primo luogo da parte dei docenti. Determinante al riguardo risulta il ruolo del dirigente scolastico”. Le norme innovative sono indispensabili, ma sono sempre tutt’altro che sufficienti per garantire trasformazioni significative; le nuove Indicazioni per il curricolo della scuola di base potranno essere effettivamente attuate se le scuole diventeranno istituzioni caratterizzate da ricerca e innovazione educativa[2], ma tutto ciò impone una lunga azione di accompagnamento da parte di tutte le istituzioni che hanno responsabilità di governo e di gestione del sistema scolastico.

 

C. Fiorentini, Il curricolo verticale, in C. Fiorentini (a cura di), Il curricolo verticale, Rassegna, 2008, n. 36.

F. Cambi (a cura di), L’arcipelago dei saperi, Firenze, Le Monnier, 2001.

http://www.cidifi.it/

 


[1] in G. Cerini (a cura di), Passa parole, Chiavi di lettura delle Indicazioni 2012, Faenza, Homeless Book, 2012.

[2] Il testo delle nuove Indicazioni è in un certo senso paradossale perché i due aspetti fondamentali che lo caratterizzano sono sviluppati in modo totalmente diverso: il primo, quello culturale, è contenuto in poco meno di 70 pagine, ed il secondo, quello istituzionale-organizzativo, in poche righe.

Sul merito

Sul merito

di Mauro Ceruti (07/06/12)*

L’annunciato “Decreto sul merito nella scuola” suscita profonde preoccupazioni. Ancora una volta rischiamo di eludere l’urgenza di “entrare nel merito”, a proposito della scuola. Con facili slogan sulla meritocrazia si confondono gli effetti con le cause e soprattutto non si affrontano le sfide inedite della scuola nella società della conoscenza. Si rischia di prendere una sviante scorciatoia, basata sull’idea fallace che l’eccellenza “possa” essere solo di pochi, che possa concentrarsi in pochi luoghi, e che riguardi solo alcune competenze.
In taluni casi, l’accezione strettamente individualistica della meritocrazia assume toni elitari: mostra una nostalgia per una società gerarchizzata in strati sociali ben definiti, incompatibile con un’evoluta società della conoscenza quale vuole essere la nostra. Ma l’insidia maggiore sta altrove, nel pensare che una meritocrazia individualistica possa oggi essere affermata in nome della mobilità sociale, al fine di consentire all’individuo meritevole di emergere, quale che sia il punto di partenza.
Peraltro, dovremmo ricordare che questo presunto sostegno dell’individuo meritevole si coniuga oggi con un impoverimento dei contesti e della società in cui dovrebbe svilupparsi il percorso formativo.
Non basta evocare parole magiche: questa volta, lo studente dell’anno… Tutto ciò, anzi, serve a “parlare d’altro”, a rifuggire ancora dalle proprie responsabilità. È venuto il tempo di entrare davvero nel merito dei problemi della scuola, di parlare davvero di qualità della scuola. È cambiato il mondo in cui viviamo. Globalizzazione e tecnologie dell’informazione in pochi anni hanno trasformato radicalmente la condizione umana.
Le conseguenze per la scuola sono state immediate e dirompenti. Gli studenti sono, nello stesso tempo, sempre più “globalizzati” e sempre più “diversi”; sempre più “interdipendenti” e sempre più “isolati”.
Ciò che lo studente apprendeva a scuola fino a pochi anni fa era sostanzialmente la totalità dei suoi apprendimenti. Ciò che gli studenti apprendono oggi a scuola è solo una parte (spesso una piccola parte) di ciò che apprendono nel corso delle loro giornate.
Si sono trasformati contenuti, forme, organizzazione e trasmissione dei saperi. Nella sua esperienza quotidiana extrascolastica, lo studente acquisisce una miriade di informazioni e incontra una molteplicità di culture diverse. Ma tutto ciò accade in modo frammentario, senza filtri interpretativi e senza prospettive educative in grado di unificare le molteplici esperienze di ogni studente.
Di fronte a questa situazione, forte è la tentazione di ridurre la finalità della scuola alla semplice trasmissione di alcune tecniche e di alcuni frammentati saperi, rinunciando ai suoi compiti educativi e formativi. E forte è la tentazione, appunto, di una concezione del merito, inteso come puramente individuale, indipendente dai contesti e dalle relazioni. Ma ciò confligge con quanto ci dicono scienze e buone pratiche: le capacità della persona si costruiscono in funzione della ricchezza dei contesti e dell’intensità delle relazioni.
L’apprendimento non corrisponde a una trasmissione astratta di contenuti, che possa avvenire indipendentemente dal corpo, dai vissuti e dall’emotività di docenti e studenti. E che i contesti scolastici di apprendimento siano contesti di socializzazione primaria non vuol dire semplicemente che, oltre all’apprendimento, promuovano anche socializzazione. Vuol dire che non si dà apprendimento senza una continua socializzazione; vuol dire che questa socializzazione è la condizione irrinunciabile dell’apprendimento.
È proprio a causa dei nuovi contesti sociali, antropologici e tecnologici che il compito formativo della scuola diventa ancora più decisivo. Compito della scuola, quale comunità educante, è di sostenere gli studenti nella capacità di dare senso alla varietà delle loro esperienze, scolastiche ed extrascolastiche, di ricomporre la frammentazione delle informazioni cui hanno accesso, di integrare e unificare lo sviluppo della loro formazione culturale.
Compito della scuola è di consentire a tutti gli studenti di acquisire le competenze necessarie allo sviluppo personale, all’integrazione sociale e alla vita professionale, nel quadro di un apprendimento che possa durare e persino intensificarsi lungo il corso della vita.
Entrando nel merito, oggi più che mai – come già sosteneva Montaigne – compito della scuola è formare “teste ben fatte”, non “teste ben piene”.
Nella società della conoscenza, ancor più inadeguata risulta dunque l’idea che il merito emergerebbe da una competizione a “somma zero”: “vinco io” (prestigio, vantaggi economici, strada spianata), “perdi tu” (lasciato solo, dato che ci sono sempre meno risorse).
Il rischio è che questa idea di merito risulti rapidamente fatale innanzitutto per il sistema formativo stesso, poi per il mondo del lavoro e alla fine per la vitalità dell’intero paese, producendo l’estromissione di molti giovani da un autentico processo formativo e producendo conformismo, standardizzazione e chiusura degli stessi contesti di eccellenza.
Tutte le comunità eccellenti e creative, ristrette o ampie che siano, mostrano al contrario che l’eccellenza e la creatività o sono diffuse oppure non sono affatto!

– – – – –
(*) L’autore è professore ordinario di Logica e Filosofia della Scienza presso l’Università di Bergamo e Senatore della Repubblica (PD)

(Fonte: http://www.cislscuola.it/content/20120606-merito-lintervento-di-mauro-ceruti ) 

Pensare per Competenze

PENSARE PER COMPETENZE….
alcuni appunti su quello che vado rimuginando

di Nella Lucia Zini

“La parola capire è molto importante in questo contesto, perché direi che oggi la parte predominante di ciò che si fa a scuola, almeno in America, non ha niente a che fare con il capire. Ha a che fare con la memorizzazione di materiale che poi viene verificato con i test. Capire per me significa partire da qualcosa che si è imparato, una competenza, una conoscenza, un concetto, e saperlo applicare adeguatamente in una situazione nuova. Raramente chiediamo agli studenti di farlo. La scoperta più interessante della scienza cognitiva nei confronti dell’istruzione è stata quella di avere verificato che quando chiediamo anche ai migliori studenti delle migliori scuole di utilizzare le conoscenze in una situazione nuova, normalmente non sanno farlo.”

Lettera del dirigente scolastico

Lettera del dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Sestri
al personale della scuola e ai genitori degli alunni .

L’inizio di un anno scolastico non è mai un fatto scontato. Tantissime potrebbero essere le suggestioni, le prospettive e le ricchezze di un impegno: di queste risorse è ricca e viva la scuola italiana.
Da  queste mi interessa partire. Non si tratta di negare o dimenticare  l’abbandono istituzionale  o i  guai strutturali.
Si tratta di guardare più oltre, più in alto, cioè più nel profondo: dove vorrei potessimo guardare noi della scuola, i nostri alunni e i loro genitori. Tra le tante (troppe) cose che si leggono sulla scuola in questi giorni, ho scelto le riflessioni di un insegnante che è anche uno scrittore amato dai giovani. Un augurio di un buon anno scolastico a tutti!

Giacomo Buonopane

Scuola al debutto.  Il primo giorno che vorrei.

Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi dicessero se tornassi studente? Il racconto delle vacanze? No. Quelle dei miei compagni? No. Saprei già tutto. Devi studiare? Sarà difficile? Bisognerà impegnarsi di più? No, no grazie. Lo so. Per questo sto qui, e poi dall’orecchio dei doveri non ci sento.
Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga almeno un po’ voglia di cominciarlo, quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento benissimo. Dimostratemi che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarvi. Ditemi per favore che tutto questo c’entra con la vita di tutti i giorni, che mi aiuterà a capire meglio il mondo e me stesso, che insomma ne vale la pena di stare qua.
Dimostratemi, soprattutto con le vostre vite, che lo sforzo che devo fare potrebbe riempire la mia vita come riempie la vostra. Avete dedicato studi, sforzi e sogni per insegnarmi la vostra materia, adesso dimostratemi che è tutto vero, che voi siete i mediatori di qualcosa di desiderabile e indispensabile, che voi possedete e volete regalarmi. Dimostratemi che perdete il sonno per insegnare quelle cose che – dite – valgono i miei sforzi. Voglio guardarli bene i vostri occhi e se non brillano mi annoierò, ve lo dico prima, e farò altro. Non potete mentirmi. Se non ci credete voi, perché dovrei farlo io?
E non mi parlate dei vostri stipendi, del sindacato, della Gelmini, delle vostre beghe familiari e sentimentali, dei vostri fallimenti e delle vostre ossessioni. No. Parlatemi di quanto amate la forza del sole che brucia da 5 miliardi di anni e trasforma il suo idrogeno in luce, vita, energia. Ditemi come accade questo miracolo che durerà almeno altri 5 miliardi di anni. Ditemi perché la luna mi dà sempre la stessa faccia e insegnatemi a interrogarla come il pastore errante di Leopardi. Ditemi come è possibile che la rosa abbia i petali disposti secondo una proporzione divina infallibile e perché il cuore è un muscolo che batte involontariamente e come fa l’occhio a trasformare la luce in immagini. Ci sono così tante cose in questo mondo che non so e che voi potreste spiegarmi, con gli occhi che vi brillano, perché solo lo stupore conosce.
E ditemi il mistero dell’uomo, ditemi come hanno fatto i Greci a costruire i loro templi che ti sembra di essere a colloquio con gli dei, e come hanno fatto i Romani a unire bellezza e utilità come nessun altro. E ditemi il segreto dell’uomo che crea bellezza e costringe tutti a migliorarsi al solo respirarla. Ditemi come ha fatto Leonardo, come ha fatto Dante, come ha fatto Magellano. Ditemi il segreto di Einstein, di Gaudì e di Mozart. Se lo sapete, ditemelo.
Ditemi come faccio a decidere che farci della mia vita, se non conosco quelle degli altri. Ditemi come fare a trovare la mia storia, se non ho un briciolo di passione per quelle che hanno lasciato il segno. Ditemi per cosa posso giocarmi la mia vita. Anzi no, non me lo dite, voglio deciderlo io, voi fatemi vedere il ventaglio di possibilità.
Aiutatemi a scovare i miei talenti, le mie passioni e i miei sogni. E ricordatevi che ci riuscirete solo se li avete anche voi i vostri sogni, progetti, passioni. Altrimenti come farò a credervi? E ricordatemi che la mia vita è una vita irripetibile, fatta per la grandezza, e aiutatemi a non accontentarmi di consumare piccoli piaceri reali e virtuali, che sul momento mi soddisfano, ma sotto sotto sotto mi annoiano.
Sfidatemi, mettete alla prova le mie qualità migliori, segnatevele su un registro, oltre a quei voti che poi rimangono sempre gli stessi. Aiutatemi a non illudermi, a non vivere di sogni campati in aria, ma allo stesso tempo insegnatemi a sognare e ad acquisire la pazienza per realizzarli quei sogni, facendoli diventare progetti. Insegnatemi a ragionare, perché non prenda le mie idee dai luoghi comuni, dal pensiero dominante, dal pensiero non pensato.
Aiutatemi a essere libero.
Ricordatemi l’unità del sapere e non mi raccontate solo l’unità d’Italia, ma siate uniti voi dello stesso consiglio di classe: non parlate male l’uno dell’altro, vi prego. E ricordatemelo quanto è bello questo Paese, parlatemene, fatemi venire voglia di scoprire tutto quello che nasconde prima ancora di desiderare una vacanza a Miami. Insegnatemi i luoghi prima dei non luoghi.
E per favore, un ultimo favore, tenete ben chiuso il cinismo nel girone dei traditori. Non nascondetemi le battaglie, ma rendetemi forte per poterle affrontare e non avvelenate le mie speranze, prima ancora che io le abbia concepite.
Per questo, un giorno, vi ricorderò.

Alessandro D’Avenia (da Avvenire, 10 settembre 2011)

Progetto di Continuità sulla Lingua Italiana

Progetto di Continuità sulla Lingua Italiana

Istituti Comprensivi di Ala – Cembra – Rovereto Nord (TN)

Progettazione e sperimentazione di Unità di Lavoro ad opera dei docenti di V primaria e I secondaria di 1° per sviluppare competenze negli ambiti:
Comprendere e analizzare testi narrativi
Parafrasare e riassumere testi informativi

Sicura…Mente Cresco

Progetto d’Istituto

Sicura…Mente Cresco
dagli Iblei all’Europa

Il sistema educativo deve formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività ampie e complesse, quali quella nazionale, europea e mondiale. Pertanto, la finalità che esso persegue è la costruzione di una cittadinanza vincolata ai valori della tradizione nazionale, arricchita, altresì, da una varietà di espressioni ed esperienze provenienti da un contesto più ampio: quello europeo e mondiale. Obiettivo della scuola, infatti, è quello di formare cittadini italiani che siano, al tempo stesso, cittadini dell’Europa e del mondo, rappresentanti di grandi tradizioni comuni.

La scuola deve, inoltre, promuovere l’acquisizione di comportamenti responsabili affinché l’alunno possa interagire positivamente e produttivamente nel contesto ambientale di riferimento come cittadino attivo.

Curricolo e Competenze

CURRICOLO E COMPETENZE

di Marisa Bracaloni

CANTIERE APERTO SUL CURRICOLO VERTICALE
L’Istituto Comprensivo “P.Vanni” ha attivato un corso di formazione per docenti sul Curricolo Verticale, in rete con l’I.C. “P.Egidi”. Relatrice Dirigente Scolastica Rosanna Ghiaroni. Il primo incontro ha avuto luogo nella sede centrale dell’I.C. “P.Vanni” il 14 gennaio 2010. I docenti dei due istituti sono attualmente impegnati in percorsi di autoformazione incentrati sulla ricerca di indicatori di competenze disciplinari.

Cantiere aperto:
siamo impegnati nella riflessione e nella ricerca sulla costruzione del Curricolo verticale

IL CURRICOLO VERTICALE è il costante processo di adattamento delle programmazioni didattiche di tre ordini di scuola ad una situazione formativa concreta e unitaria, tenendo conto delle fasi di sviluppo ricorrenti alle età specifiche.

I docenti :
• Prevedono obiettivi da tradursi in termini di competenze
• Scelgono e organizzano in maniera sequenziale e progressiva i contenuti
• Individuano modalità organizzative delle attività
• Prevedono metodi, strumenti, modalità condivise di verifiche di processi e prodotti

IL CURRICOLO VERTICALE è proposta didattica articolata e in progressione per garantire continuità e gradualità sui tre ordini di scuola, condividendo, in sede di programmazione didattica generale, finalità, obiettivi e metodi.
IL CURRICOLO VERTICALE implica la predisposizione di una serie di ambienti di apprendimento differenziati con una regia coordinata dei docenti
IL CURRICOLO VERTICALE necessita di articolazione per obiettivi di apprendimento e per traguardi di sviluppo di competenze, in relazione ai diversi percorsi disciplinari, con riferimento ai fondamentali documenti ministeriali.

In sintesi occorre che tutti i docenti, a partire dalla conoscenza accurata delle Indicazioni per il Curricolo, che costituiscono il fondamentale documento ministeriale di riferimento professionale per l’espletamento della funzione docente (rif. art. 8 del D.P.R. 275/99 – Regolamento dell’Autonomia), nonché dalla conoscenza accurata del documento sull’Obbligo di istruzione (2007), che contiene i riferimenti agli Assi Culturali e alle Competenze-Chiave, concordino le scelte formative e didattiche che costituiranno la spina dorsale del POF. Tutti gli obiettivi formativi, i nuclei fondanti, le competenze previste, gli obiettivi di apprendimento specifici, le modalità di valutazione delle abilità e competenze, dovranno essere riveduti sui vari piani didattico, contenutistico, metodologico, in un’ottica di progressione verticale che attraversi le dimensioni:
1. dei campi di esperienza
2. poi degli ambiti disciplinari
3. per approdare alle discipline

IL BILANCIO DELLE COMPETENZE
Il Bilancio delle Competenze è un percorso/processo utile ai lavoratori occupati, disoccupati o inoccupati, per fare il “punto” della situazione sul proprio sviluppo professionale. In casi specifici serve ad un’azienda (o all’orientatore/consulente), per “gestire” il percorso di carriera del dipendente o del neoassunto.

Strumento fondamentale del Bilancio delle Competenze è il colloquio supportato da una serie di prove o di strumenti specifici, a seconda dell’impostazione seguita dal consulente. Può trattarsi di schede pedagogiche, di questionari di autovalutazione, di una analisi di esperienze passate, una scrittura della propria biografia professionale, oppure ancora possono essere test, simulazioni ed altri simili. Una grande attenzione è attribuita all’individuazione e alla descrizione delle capacità e competenze non certificate, cioè dimostrate o acquisite al di fuori dei percorsi formativi istituzionali e all’esplicitazione di capacità e competenze che il soggetto non è cosciente di avere.

I risultati di ciascuna attività vengono raccolti su appositi fogli che alla fine, insieme ad una relazione finale elaborata di comune accordo fra consulente e soggetto, vanno a costituire un fascicolo che rimane a quest’ultimo.

Ad integrazione di queste prove bisogna aggiungere l’esplorazione dell’ambiente esterno da parte del soggetto interessato, la stesura di un progetto d’inserimento nella vita attiva e la fase dell’accompagnamento alla ricerca attiva di un lavoro, costituita da incontri regolari, per verificare la realizzazione dell’obiettivo professionale.

Nel Bilancio sono previste attività individuali o di gruppo, la durata dei quali è collegata alle caratteristiche dell’individuo. La dimensione di gruppo, attraverso la condivisione e il confronto dei vissuti, delle esperienze professionali e formative, delle aspirazioni dei partecipanti, costituisce un setting. La cura e la costruzione di un “setting adeguato”, lo rendono una modalità privilegiata per l’analisi di sé, l’esplicitazione e la progettazione di obiettivi professionali, l’apprendimento di comportamenti attivi. Altresì, esso può costituire un potente strumento di rinforzo dell’autostima e della motivazione.

Uno dei prodotti del Bilancio è il portfolio (termine inglese che ha anche il significato di raccolta di documenti: risultati di esercitazioni, prove di abilità, progetti, disegni, foto, campioni, ma anche, in senso più ampio, attestati, certificazioni, dichiarazioni di datori di lavoro, ecc.), che dimostra le capacità e i risultati ottenuti da una persona.

Il portfolio o dossier di bilancio è il fascicolo che resta nelle mani dell’interessato, costituito dalle schede di lavoro utilizzate durante il percorso di bilancio, nelle quali sono riportati i risultati delle attività di animazione, ricostruzione della propria storia formativa e professionale e il processo di autovalutazione. Esse devono essere catalogate in maniera sistematica e facilmente consultabili in modo da potervi attingere le informazioni per la costruzione di un curriculum.

Assume importanza anche l’altro prodotto, definito la sintesi di bilancio, ossia la relazione elaborata di comune accordo fra l’interessato e il consulente, dove sono riportati in sintesi i più importanti aspetti che risultano dalle schede di lavoro e il progetto professionale.

In sintesi:
un modello di bilancio, a prescindere dalle distinzioni teoretiche e terminologiche, non è altro che un insieme di attività riconducibili a informazione/empowerment/consulenza (ricostruzione, allargamento delle competenze, definizione di un progetto individuale), e di azioni (esplicitazione degli impegni; ricostruzione della biografia personale e professionale; rilevazione degli orientamenti ed interessi professionali; identificazione delle risorse personali spesso definito anche Bilancio delle Risorse; identificazione degli sbocchi professionali; individuazione dei vincoli personali, sociali e strutturali; verifica della fattibilità del progetto individuale; esplorazione degli eventuali percorsi formativi; analisi del mercato del lavoro; monitoraggio e verifica della realizzazione; ecc.).