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Quel 2 giugno del 1946

Quel 2 giugno del 1946!

di Maurizio Tiriticco

Avrei compiuto 18 anni il 14 luglio di quel 1946! Ero un ragazzo pensante! Riuscivo a coniugare la riflessione sui classici – le stimolazioni di un terzo liceo interessante e severo nonostante la guerra e la fame – con l’attenzione agli accadimenti del giorno dopo giorno. Ed erano accadimenti importanti. Il nostro Paese si stavarivoltando come un guanto… e il tutto in pochi mesi! Il 9 maggio Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio, il Principe Umberto, che già era Luogotenente del Regno fin dal giugno del ’44. In effetti l’abdicazione formale sarebbe dovuta avvenire solo dopo che il popolo si fosse pronunciato per mantenere la Monarchia o scegliere la Repubblica. In effetti le sorti della monarchia erano così compromesse – la fuga da Roma del Re e di tutta la sua corte ed il Governo l’8 settembre del 1943 dopo la proclamazione dell’armistizio e l’abbandono dell’”amato popolo italiano” nelle mani dei tedeschi – che Pippetto – così chiamato il Re per la sua bassa statura – aveva preferito uscire di scena, tentando così di rafforzare l’istituto monarchico. E poi ecco il 2 GIUGNO del 1946! Le prime elezioni politiche! Libere dopo tanti anni di dittatura fascista!

Vennero consegnate contemporaneamente agli elettori la scheda per la scelta fra Monarchia o Repubblica, il cosiddetto Referendum Istituzionale, e quella per l’elezione dei Deputati dell’Assemblea Costituente, a cui veniva affidato il compito di redigere la nuova Carta Costituzionale (come stabilito con il Decreto legislativo luogotenenziale n. 98 del 16 marzo). Il Paese necessitava di una nuova Costituzione, che sostituisse in via definitiva quello Statuto albertino che dal 1848 in poi non era mai riuscito a garantire la sovranità popolare – il Sovrano di fatto era pur sempre il Re – e non aveva evitato l’avvento della dittatura fascista! Statuto poi letteralmente stracciato dalla dittatura fascista!

Ma io non potevo votare! Non ero maggiorenne! Allora lo si diventava al compimento dei 21 anni di età. Eppure mi sentivo privato di un diritto! Io che forse più di mille altri ero profondamente convinto di una scelta repubblicana! Antifascista e democratica! Io non potevo votare! La battaglia nelle strade era più che accesa! I manifesti rivestivano muri e monumenti! I giornali uscivano tutti con caratteri cubitali. E comizi, quanti comizi! Non c’era la Tv, e la radio nazionale – non c’erano radio private – non dava notizie di parte. Tutto si svolgeva nelle piazze e nelle strade. Ogni partito aveva i suoi giornali e i suoi propagandisti! Capannelli di accese discussioni in tutte le piazze del Paese. Il Partito Comunista Italiano si avvaleva dei cosiddetti agitprop, i responsabili di agit-azione e prop-aganda.! Ed il PCI era agli occhi di tutti il partito più organizzato e più deciso per l’opzione repubblicana! La “svolta di Salerno” si era manifestata una scelta vincente!

Mi spiego. Nei giorni 30 e 31 marzo 1944, a Salerno, nel corso del Consiglio Nazionale del Partito Comunista Italiano, il Segretario Politico, Palmiro Togliatti, rientrato dall’URSS, espose le misure necessarie per sbloccare la situazione politica, ferma sulla decisione o meno di allearsi, anche solo momentaneamente, con la Corona, pur di arrivare alla fine della guerra e riunificare il Paese.Togliatti era stato chiaro! Riconoscere il Governo in carica! Questala sua proposta: quindi nessun estremismo! Con grande meraviglia di tanti concittadini convinti che i comunisti fossero assatanati divoratori di bambini! Un ramoscello d’ulivo lanciato in un Paese in cui invece monarchici e repubblicani lottavano quotidianamente tra di loro! Ma accettazione della monarchia solo via provvisoria. E promozione di un governo cosiddetto di Unità Nazionale! Così, quei sei partiti animatori della Resistenza (Democrazia Cristiana, Partito Comunista Italiano, Partito Socialista Italiano, Partito Repubblicano, Partito d’Azione, Partito Liberale) che, dopo l’8 settembre 1943 si erano accapigliati sulla questione istituzionale, invece si erano ritrovati tutti uniti nei Comitati di Liberazione nazionale! La parolad’ordine era: prima cacciamo i tedeschi, vinciamo la guerra, e solo dopo mettiamo sul tappeto la questione istituzionale, monarchia o repubblica, nonché la questione sociale: a chi i mezzi di produzione e di scambio? L’ipoteca comunista, o social comunista, tutto il potere economico alla mano pubblica? Oppure l’ipoteca liberale, la libera iniziativa, perseguita dalla DC, dal Partito Repubblicano e dal Partito Liberale?

Questioni grosse, qui ricordate “in soldoni”, come si suol dire, ma anche allora – se non ricordo male – avanzate più in pillole che non in meditate riflessioni. In effetti, un Paese che per vent’anni era stato fuori dal mondo, tagliato fuori dalla ricerca che su tutti i campi si faceva sempre più internazionale, un popolo con alti tassi di analfabetismo funzionale – quella strumentale bene o male aveva toccato soglie attendibili, perché il Duce voleva che tutti sapessero leggere e scrivere, anche se solo per osannare le scelte del fascismo – non possedeva gli strumenti necessari per “leggere” un Keynes o un White o per sapere che cosa avessero deciso inglesi e americani a Bretton Woods. E non li possedevo neanch’io allora, ovviamente! E forse neanche adesso!

In quel 2 giugno del 1946 votarono più di 20 milioni di italiani e votarono anche le donne! Ricordo la grande emozione della mamma, quasi piangeva, lei che ancora portava all’anulare la fede di ferro perché quella d’oro l‘aveva donata alla Patria!!! Un pizzico di storia. La Società delle Nazioni, l’11 ottobre del 1935 aveva deliberato le sanzioni economiche contro l’Italia fascista, colpevole di avere aggredito l’Etiopia. Quindi, per il nostro Paese niente più armi, niente crediti, niente materie prime, non si importano più merci italiane. E il Duce chiese agli Italiani di donare oro alla Patria! E alle donne di donare la fede d’oro nuziale. La prima a donare la propria fede, unitamente a quella del marito, fu la regina Elena. A essa seguì Rachele Mussolini, insieme con numerose popolane di Roma. La moglie di Mussolini ricordò nelle sue memorie di aver inoltre donato mezzo chilo d’oro e due quintali e mezzo d’argento, frutto dei doni ricevuti dal marito.

In quel 2 giugno volli accompagnare mia madre a votare e feci una lunga fila – l’emozione era sul volto di tutti – per vedere come si votava… ma al seggio non mi fecero entrare! Non ero maggiorenne e non avevo diritto al voto. E poi seguirono lunghe giornate di attesa! Il ministro degli Interni, Giuseppe Romita, non ci dava mai i risultati. I grandi sospetti di tutti! Che cosa staranno facendo al Ministero degli Interni? Ma quanto ci voleva per la conta delle schede? Non c’erano gli exit poll. Non c’erano le proiezioni! Bisognava solo pazientemente aspettare! Repubblicani e monarchi erano sicuri di aver vinto! Tutti sospettavano dei brogli, ma a favore di chi? Poi finalmente i risultati il 12 giugno! 12 717.923 voti alla Repubblica! 10.719.284 alla Monarchia! Lo scarto era tale che i monarchici gridarono subito ai brogli! Ma fu lo stesso mancato Re a tacitarli! Umberto II di Savoia il 13 giugno parte per Cascais dove rimarrà in esilio volontario fino al giorno della sua morte. E solo il 18 giugno la Corte di Cassazione proclamò ufficialmente la vittoria della Repubblica. Quanta attesa! Ma la macchina della democrazia doveva ancora essere oliata! I tempi delle “decisioni irrevocabbbiliii” e, ovviamente, rapide, tanto care al Duce, erano ormai terminati! La dittatura è veloce, la democrazia è lenta!

Il 28 giugno l’Assemblea Costituente elesse Enrico De Nicola come Primo Presidente Provvisorio del nuovo Stato repubblicano. Com’è noto, l’Assemblea Costituente lavorò per poco più di un anno e il 27 dicembre del ’47 Enrico De Nicola, Umberto Terracini e Alcide De Gasperi apposero la loro firma alla Costituzione repubblicana che entrò in vigore il primo gennaio del ’48. In tempi brevissimi i Padri Costituenti ci hanno dato una delle Costituzioni più belle del mondo! E non lo dico solo io!

Ma erano uomini veri! E donne vere! Grandi per la loro onestà, la loro cultura, e le tante sofferenze che avevano affrontato e sopportato negli anni bui della dittatura fascista. Il 2 giugno! Sì… la vacanza… la gita “for de porta”… la sfilata sulla Via dei Fori Imperiali… il rombo delle frecce tricolori! Oggi grande festa per una giornata conquistata con tanti sacrifici e tanto sangue! Via la Repubblica! Viva la Costituzione!

In attesa del 9 maggio!

In attesa del 9 maggio!

di Maurizio Tiriticco

9 maggio 1945! La fine di un incubo! La sconfitta del nazifascismo! La Giornata della Vittoria! In russo День Победы, Den’ Pobedy. In ucraino День Перемогі, traslitterato Den’ Peremohi! In bielorusso Дзень Перамогi, Dzen’ Peramohi! La Giornata del 9 maggio viene celebrata in ricordo della capitolazione della Germania nazista nella seconda guerra mondiale. Che è conosciuta anche come la Grande guerra patriottica sia in Russia che in alcuni Stati post-sovietici. La resa fu firmata nella tarda sera dell’8 maggio 1945 (già il 9 maggio a Mosca), in seguito alla capitolazione concordata in precedenza con le forze alleate sul fronte occidentale. Il governo sovietico annunciò la vittoria la mattina del 9 maggio, dopo la cerimonia della firma avvenuta a Berlino. Tuttavia, è solo dal 1965 che la Giornata della vittoria è stata proclamata festa nazionale.

Ai tempi dell’Unione Sovietica, il Giorno della Vittoria (9 maggio) era festeggiato in tutti i Paesi del blocco orientale, ed è diventata una festa ufficiale proprio a partire dal 1965. La guerra è diventata un tema di grande importanza nel cinema, nella letteratura, nelle lezioni di storia a scuola, nei mass media e nella produzione artistica. Il rituale della celebrazione ha gradualmente raggiunto un carattere distintivo con una serie di manifestazioni: incontri cerimoniali, discorsi, conferenze, ricevimenti e fuochi d’artificio.

Nel corso degli anni ’90 il Giorno della Vittoria era commemorato con feste molto più modeste. Ma, da quando è salito al potere Vladimir Putin, la situazione è profondamente cambiata. Perché Putin ha iniziato a promuovere, in parallelo, il prestigio storico e culturale della Russia. Pertanto le feste e le commemorazioni nazionali sono diventate una forte occasione di orgoglio per l’intero popolo russo. In effetti i festeggiamenti per il 60º anniversario del Giorno della Vittoria in Russia nel 2005 diventarono la più grande festa nazionale e popolare. Ma è nel 2015 che il 70º anniversario della vittoria sulla Germania nazista ha espresso una grande ondata di orgoglio nazionale di fronte alle inedite sfide geopolitiche ed economiche. Ben 16.000 soldati russi, 1.300 militari provenienti da dieci Paesi, circa 200 mezzi corazzati, 150 aerei ed elicotteri da combattimento hanno sfilato a Mosca in quella che è stata la più imponente parata della Russia contemporanea. Facendo gli onori di casa, il Presidente Putin, oltre al tradizionale discorso, annunciò un minuto di silenzio in memoria delle vittime sovietiche: che furono ben 27 milioni!

Pare che il prossimo 9 maggio sulla Piazza Rossa volerà l’aereo cosiddetto “fine del mondo” L’aereo, progettato per evacuare il Presidente Russo in caso di guerra nucleare, in questi giorni è stato coinvolto nelle esercitazioni per la parata militare. Pertanto in questa “Giornata della memoria per i caduti della grande guerra patriottica”, l’aereo “fine del mondo” sorvolerà la Piazza Rossa – almeno sembra – come già avvenne nel 2010. Il velivolo in questione si chiama Ilyushin Il-80, fu costruito nel 1987 ed è stato pensato per essere un “Cremlino volante”, un centro di comando per il Presidente della Federazione Russa e per le altre alte cariche dello Stato in caso di guerra nucleare.

A Mosca l’orgoglio nazionale patriottico pare essere molto alto! Non so ciò che accadrà nelle altre Capitali dei Paesi convolti nella seconda guerra mondiale! Festeggiare è necessario! Non solo per ricordare! Ma anche e soprattutto per rafforzare quei legami di collaborazione che in molti Paesi di questo Pianeta oggi così instabile problematico sembrano abbastanza sfilacciati. Perché – è bene ricordarlo sempre – nelle precedenti guerre mondiali ci siamo precipitati tutti forse senza neanche renderci conto! E le leggerezze si pagano care!

E allora, che la festa trionfi! Ma che sia la Festa della Pace! Quella Vera! Ovunque nel mondo e, soprattutto… per sempre!

Quel cinque di maggio

Quel cinque di maggio

di Maurizio Tiriticco

…era primavera inoltrata! E noi poveri alunni stanchi e impotenti accasciati sui banchi! In attesa del suono della campanella liberatoria, pronti ad uscire dall’aula, a precipitarci per le scale e correre via da quell’orrendo posto dove per cinque ore cinque eravamo stati zitti e istupiditi ad ascoltare sonnolenti le paroleparoleparole… non di Mina, ma di un insegnante dopo l’altro! Uno ogni ora per cinque ore cinque! Pillole medicinali… e micidiali… che provocavano solo sonno, noia, torpore, languore, fantasie a volte, fughe oltre le pareti dell’aula… verso il cielo… verso la libertà!!!

Ma veniamo a noi! Chi di noi a scuola non è stato afflitto dal Cinque Maggio di Alessandro Manzoni? E chi se lo scorda? Ei fu siccome immobile… andava in automobile… così esorcizzavamo la magniloquenza manzoniana… dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; né sa quando una simile orma di pie’ mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà…

Macchissenefregaaa!!! E’ morto! E allora? Pace all’anima sua! Ma allora… quando io stavo sui banchi… chi me l’avrebbe mai detto che poi… a distanza di anni… io, sì proprio io da una cattedra… sì ex cathedra… avrei dovuto declamare quei versi… io… a propinare quel sonnifero… a dei poveri ragazzi… colpevoli soltanto… di avere scelto di studiare oltre i nefasti anni obbligatori? Consapevole che poi sarebbe toccata loro anche “la morte di Ermengarda”! “Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto, lenta le palme, e rorida di morte il bianco aspetto, giace la pia, col tremolo sguardo cercando il ciel…”. E, a seguire… “Soffermati sull’arida sponda, volti i guardi al varcato Ticino…”.

Ma ora la butto sul serio! Perché Napoleone Bonaparte, il Grande Corso, in verità merita di essere ricordato come si deve! Perché ne aveva fatte fin troppe! Una vita ricchissima! Amori, tradimenti, battaglie, vittorie, sconfitte! Non poteva uscirne indenne! E così, se ne andò… in vecchiaia… si fa per dire… perché, quando fu relegato a Sant’Elena nel 1815 dopo la sconfitta di Waterloo, aveva appena 46 anni!!! Un giovanotto!!! Oggi!!! Ma un anziano un po’ malandato per quei tempi! In effetti soffriva di forti dolori allo stomaco a causa di quello che poi si rivelerà un tumore che lo porterà alla morte… sei anni dopo, in quel fatidico 5 maggio del1821.

La notizia della… augusta dipartita giunse in Europa solo alcuni mesi dopo. Non c’erano né telefono né radio! Per non dire dei giornali! Rarissimi! Il primo numero del primo quotidiano italiano, un foglio di 21 centimetri per 15, il “Diario Notizioso”, era uscito a Napoli il 10 agosto del 1759.A Napoli, sì, dove regnavano i Borbone! Una grande dinastia! Perché Napoli allora, dopo Parigi e Londra, era la Terza Città d’Europa! Ma un secolo dopo, nel 1860 l’intero SudItalia fu annesso al nuovo Regno Sabaudo! Ed ebbe inizio la “questione meridionale”, il declino di un grande ex regno! E Roma? Allora era soltanto un paesucolo distribuito sui Sette Colli storici, di cui il più celebre era il Quirinale, dedicato dai Romani appunto al Dio Quirino, identificato conRomolo, il primo re di Roma. E il Quirinale solo molto più tardi divenne Sede Pontificia! Quando, a partire dal 1583,ebbe inizio la costruzione del Palazzo, appunto, del Quirinale, concepito come residenza estiva del Papa Gregorio XIII che, a sue spese, volle un luogo di riposo diverso dal Palazzo Vaticano o dal Palazzo Laterano, in effetti ambedue schiacciati sul livello umidiccio del Tevere… e pieni di zanzare…

Ma il Quirinale fu residenza estiva papale solo fino alla storica Breccia di Porta Pia! Era il 20 settembre del 1870! Quando il povero Pio IX fu costretto a sgombrare da uno dei Colli più alti di Roma per cedere il posto regale a Vittorio Emanuele II, il “Re Galantuomo”! Ma, secondo i malevoli, galantuomo solo “dalla cintola in su”, stando ai suoi insaziabili appetiti sessuali. Tutti soddisfatti in una bella villa costruita sulla Via Nomentana in Roma, a partire dal 1874, per la “bella Rosina”, al secolo Rosa Teresa Vercellana, moglie morganatica di Vittorio Emanuele II, contessa di Mirafiori e Fontanafredda. La villa è oggi una delle sedi della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma.

Pio IX, sfrattato dal Quirinale, si ritirò nel Palazzo delVaticano. E i cattolici apostolici romani erano incavolati come non mai! Monsignor Antonelli, Cardinale di Santa Romana Chiesa e Segretario di Stato di un Pontefice ormai sovrano del solo Vaticano, scriveva che «Vittorio Emanuele ha commesso un attentato di fronte al quale era rifuggito lo stesso Mazzini, allorquando nel 1848 aveva proclamato la sua Repubblica Romana». Comunque il Regno d’Italia non aveva alcuna intenzione di “fare la guerra” al Papa e con la “legge della Guarentigie” – 13 marzo 1871 – varò un insieme di provvedimenti con cui garantì al Papa il libero esercizio del potere spirituale, l’inviolabilità e l’immunità dei luoghi dove risiedeva, nonché il diritto di ricevere ambasciatori e di accreditarsi presso i Paesi stranieri. In effetti, com’è noto, solo con i cosiddetti Patti Lateranensi sottoscritti tra il Regno d’Italia (Governo Mussolini) e la Santa Sede l’11 febbraio del 1929, fu firmata “una pacedefinitiva”! I Patti, dopo la caduta della Monarchia Sabauda e del Fascismo e l’avvento della Repubblica, furono recepiti nella nostra Carta Costituzionale Repubblicana. Con la fiera opposizione di tanti onorevoli laici nonché “mangiapreti”! E fu recepita anche grazie ad un appassionato discorso che Palmiro Togliatti, Segretario del Partito Comunista Italiano – e noto divoratore di bambini – tenne all’Assemblea Costituente il 25 marzo 1947. Ne consiglio vivamente la lettura!

Ma torniamo a Pio IX! Pare che abbia abbandonato la sua reggia scagliando un terribile anatema su tutti gli usurpatori che vi si sarebbero istallati. Fu forse per questo che, dopo la cacciata del Papa Re, Vittorio Emanuele II evitò di farsi vedere a Roma prima del dicembre 1870, e solo quando la capitale fu vittima della peggiore inondazione della sua storia! Perché di fatto il Re si vide costretto a recarsi in visita alla popolazione colpita. E una zingara incavolata,vedendolo passare, gli predisse che sarebbe morto al Quirinale. E così fu, qualche anno dopo, esattamente il 9 gennaio 1878. Ma la maledizione sembrò estendersi a tutti gli esponenti di Casa Savoia: suo figlio Umberto cadde sotto i colpi dell’anarchico Bresci; era il 29 luglio del 1990. E suo nipote Vittorio Emanuele III finì i suoi giorni nell’esilio di Alessandria d’Egitto, dopo aver assistito al disfacimento della monarchia. E il successore, suo figlio Umberto, fu un re che svolse le sue funzioni regali solo dal 9 maggio al 18 giugno del 1946. Com’è noto, nel referendum del 2 giugno di quell’anno il popolo italiano optò in favore della Repubblica.

Ma qui mi fermo! Avrebbe inizio un’altra storia!

Per una stampa libera

Per una stampa libera…

di Maurizio Tiriticco

…sempre e ovunque! L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 3 MAGGIO “Giornata Mondiale della Libertà di Stampa”, soprattutto per ricordare ai Governi di ogni Paese il dovere di sostenere e far rispettare la libertà di parola, sancita dall’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, e per celebrare l’anniversario della Dichiarazione di Windhoek. Si tratta di un documento promulgato dai giornalisti africani a Windhoek nel 1991, che sottolinea l’importanza fondamentale dei principi in difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media. A cominciare dal 1993, le Nazioni Unite hanno iniziato a celebrare la Giornata mondiale della libertà di stampa conferendo dei premi e tenendo conferenze in tutto il mondo.

L’UNESCO ricorda la “Giornata Mondiale della Libertà di Stampa” con il conferimento del premio UNESCO “Guillermo Cano World Press Freedom Prize” a persone, organizzazioni o istituzioni che hanno dato un contributo evidente alla difesa e al supporto della libertà di stampa ovunque nel mondo, specialmente quando essa è stata ottenuta in una situazione di pericolo. Istituito nel 1997, il premio è assegnato da una giuria indipendente di 14 giornalisti professionisti. I candidati vengono proposti da organizzazioni non governative regionali e internazionali che lavorano in favore della libertà di stampa e dagli stati membri dell’UNESCO.

Il nome del premio è stato scelto in onore di Guillermo Cano Isaza, un giornalista colombiano che il 17 dicembre 1986 venne ucciso mentre usciva dalla sede del suo giornale a Bogotà, El Espectador, per ordine dei potenti baroni della droga della Colombia che erano stati accusati dai suoi articoli. Nel 2000 Cano è stato inserito dall’International Press Institute World Press Freedom Heroes tra i cinquanta Eroi della Libertà di Stampa nel mondo del XX° secolo.

L’UNESCO celebra ogni anno la Giornata mondiale della libertà di stampa, riunendo giornalisti professionisti, organizzazioni per la libertà di stampa, agenzie delle Nazioni Unite, al fine di valutare lo stato della libertà di stampa in tutto il mondo e discutere le possibili soluzioni adottabili nelle sfide del momento. Ogni conferenza è incentrata su un tema relativo alla libertà di stampa, inclusi buona amministrazione, copertura mediatica del terrorismo, impunità e ruolo dei media soprattutto nei Paesi che versano in una situazione post-bellica.

E, per concludere, è opportuno ricordare quanto recita l’articolo 21 della nostra Costituzione in materia di libertà di stampa: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.— La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.— Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.— In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.— La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.— Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.

Roma, 3 maggio 2022

Due maggio 1945

Due maggio 1945!

di Maurizio Tiiriticco

Il 2 maggio del 1945: una grande ricorrenza! La Bandiera Rossa sventola sul Reichstag, a Berlino!

La grande Primavera del 1945!!! Siamo alla fine della terribile Seconda Guerra Mondiale! E la Bandiera della Vittoria viene finalmente piantata dai soldati sovietici sulle rovine del Reichstag, in Berlino. Il palazzo del Reichstag era statocostruito come sede per le riunioni del Reichstag, appunto, ovvero il Parlamento del Reich Tedesco. Era stato inaugurato nel 1894 ed è tornato ad essere la sede del Parlamento Tedesco nel 1999. Rimasto fortemente danneggiato dopo l’incendio del 1933, il palazzo non fu più utilizzato durante il Terzo Reich, ma venne comunque ritenuto un simbolo della Germania nazista.

Il Reichstag fu attaccato dai soldati sovietici dell’Armata Rossa durante la fase decisiva della cosiddetta battaglia di Berlino del 1945. E riuscirono a conquistarlo dopo un violento combattimento contro la guarnigione tedesca asserragliata all’interno e nei sotterranei! Dopo la conquista vi issarono la Bandiera Rossa della Vittoria. Una celebre foto ritrae due soldati dell’Armata Rossa mentre alzano la bandiera dell’Unione Sovietica sul tetto del Palazzo del Reichstag, appena conquistato. L’identità degli uomini ritratti è stata a lungo discussa, e solo dopo diverso tempo i due sono stati identificati come il sergente Aleksej Leont’evič Kovalëv, che regge l’asta della bandiera, e il sergente Abdulchakim Isakovič Ismailov, che sospinge Kovalëv per una gamba. Appartengono alla Ottava Armata Rossa. Anche l’identità dell’autore dello scatto, il fotografo dell’Armata Rossa Evgenij Chaldej, rimase nascosta per motivi politici e fu resa nota solo dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

La tradizione storiografica continua a registrare peraltro che il merito reale di aver issato la bandiera della Vittoria Sovietica sulle rovine del Reichstag, alle ore 22,50 del 30 aprile 1945, spetta alla sezione da ricognizione del Battaglione 756º Reggimento fucilieri della 150ª Divisione fucilieri della 3ª Armata d’Assalto, guidata dai sergenti Meliton Kantaria, georgiano, e Michail Alekseevič Egorov, russo.

La foto, pubblicata per la prima volta sulla rivista Ogonëk il 13 maggio 1945, divenne subito iconica, in quanto rappresenta la vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista. Questa foto, insieme a quella che ritrae l’alzabandiera dei marines statunitensi a Iwo Jima il 23 febbraio 1945, a cui Chaldej si era ispirato per la sua istantanea, è una delle più celebri e riconoscibili tra quelle realizzate durante la seconda guerra mondiale.

La ricorrenza del 9 MAGGIO 1945 riguarda la Giornata della Vittoria: a) in russo День Победы, Den’ Pobedy; b) in ucraino День Перемогі, traslitterato Den’ Peremohi: c) in bielorusso Дзень Перамогi, Dzen’ Peramohi. E viene celebrata ogni 9 maggio, in ricordo della capitolazione della Germania nazista. E’ doveroso ricordare che la resa in effetti fu firmata nella tarda serata dell’8 maggio 1945 (9 maggio a Mosca), in seguito alla capitolazione concordata in precedenza con le forze alleate sul fronte occidentale. Il governo sovietico annunciò la vittoria la mattina del 9 maggio, dopo la cerimonia della firma avvenuta a Berlino. Tuttavia, è solo dal 1965 che nell’Unione Sovietica la Giornata della vittoria è stata proclamata festa nazionale.

Donna Assunta

Donna Assunta

di Maurizio Tiriticco

Dalla stampa —- E’ morta, all’età di 100 anni, Donna Assunta! O meglio, Raffaela Stramandinoli, detta Assunta, conosciuta come Donna Assunta Almirante. E stata la moglie del marchese Federico de’ Medici ed in seguito di Giorgio Almirante, fondatore e leader storico del Movimento Sociale Italiano: scomparso in Roma il 22 maggio del 1988. Pertanto Donna Assunta è stata da molti considerata la memoria storica della destra italiana. Ma, in realtà, chi è stato Giorgio Almirante? Andiamo indietro negli anni. In piena Era Fascista, ed esattamente il 14 luglio del 1938 (in quel giorno io compivo dieci anni), venne pubblicato a Roma il “Manifesto della razza”, firmato purtroppo anche da alcuni scienziati italiani. Era il documento costitutivo del fondamento ideologica e scientifico – si fa per dire – della politica razziale e razzista dell’Italia fascista. In seguito venne pubblicata la rivista antisemita intitolata “La difesa della razza”: ovviamente della presunta “razza bianca”, l’unica “pura” e destinata a governare il Mondo! Ne fu direttore fino al 1943 Telesio Interlandi; e vicedirettore il giovane Giorgio Almirante. Sì, proprio il marito di Donna Assunta nonché, più tardi, il padrino spirituale e politico di Giorgia Meloni!

Ma perché ne fu direttore solo fino al 1943? Perché il 25 luglio di quell’anno – stante il fatto che ormai su ogni fronte di guerra i nostri soldati segnavano solo sconfitte e che i bombardamenti angloamericani distruggevano fabbriche, porti, strade e nodi ferroviari– il Re Vittorio Emanuele III, nonché Re d’Albania ed Imperatore d’Etiopia, ritenne opportuno liquidare il governo fascista. Imprigionò Mussolini e pose fine alla ventennale dittatura fascista. Veniva così restaurata la democrazia, ma la guerra, purtroppo continuava. Continuava, sì, ma, sotto sotto, in gran segreto, si trattavano le condizioni dell’armistizio! Che fu infine reso pubblico la sera dell’otto settembre! Una delle giornate più infauste per l’Italia! Perché l’intero Paese, la popolazione e l’esercito vennero letteralmente abbandonati e lasciati al loro destino! Perché il Red’Italia… e d’Albania… e Imperatore d’Etiopia… questi i suoi titoli… e la sua corte fuggirono come lepri da Roma! In automobile, per tutta la Via Salaria, fino a Pescara, dove si imbarcarono sull’incrociatore Baionetta e fecero rotta fino a Brindisi, che già era stata liberata dalle truppe anglo-americane. Quale vergogna! Un re che abbandona e tradisce i suoi sudditi! E così l’Italia intera – quella gran parte ancora non liberata – divenne preda della feroce dominazione nazista.

In seguito, nell’Italia del centro-nord ancora occupata dai nazisti, il 23 settembre 1943 venne formalmente costituita la “Repubblica Sociale Italiana”, o meglio la cosiddetta “Repubblica di Salò”, alla quale aderì con entusiasmo Giorgio Almirante! Che si arruolò nella “Guardia Nazionale Repubblicana”. Non solo! Successivamente, il 30 aprile 1944, fu addirittura nominato capo gabinetto del Ministero della Cultura Popolare, presieduto da Fernando Mezzasoma. Dopo la guerra e la caduta del fascismo, Almirante, in forza di quella democrazia che aveva comunque contribuito a distruggere, fu tra i più autorevoli e convinti fondatori del Movimento Sociale Italiano, partito di chiara ispirazione neofascista, tollerato e addirittura riconosciuto dalla nostra Repubblica democratica. Almirante fu anche tra i fondatori del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano… e padre spirituale della nostra Giorgia Meloni!

E Donna Assunta fu moglie fedele e… fedele missina! Mai un ripensamento! Ovviamente, sempre grande rispetto a chi ci lascia. Perché, per dirla con Totò, “A morte ‘o ssaje che d’è? E’ una livella. ‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo trasenno stucanciello ha fatt’o punto. Sti ppagliacciate ‘e ffannosulo ‘e vive. Nuje simmo serie, appartenimmo à morte”.

Cara Cinzia

Cara Cinzia

di Maurizio Tiriticco

Cara Cinzia! Io sono sempre d’accordo con te e sottoscrivo sempre ciò che scrivi. Nel tuo ultimo post su FB affermi che “i test a risposta multipla sono ispirati al più bieco nozionismo”. Sottolineo “IL… PIU’ BIECO NOZIONISMO”!!! Hai ragione da vendere, MA… PERO’…solo SE… e QUANDO… l’elaborazione, l’amministrazione, la misurazione e la valutazione di questa tipologia di prova vengono affidate a persone che non ne conoscono l’efficacia, che non hanno la cultura in merito e che quindi avranno difficoltà ad elaborarle, proporle, misurarle e valutarle.

In effetti, la “prova a crocette” – come tu la definisci –quando è elaborata, proposta, verificata e valutata da persone esperte, non è affatto ciò che tu pensi. E lo dico a ragion veduta, per la lunga esperienza che ho in merito. Il fatto è che nel nostro Paese una tradizione “colta” – mi sia concessa l’espressione – in tale complessa materia non esiste. Anni fa con Benedetto Vertecchi, Gaetano Domenici et al lavorai a lungo su questa tipologia di prove. E penso di averti già suggerito Mario Gattullo, “Didattica e docimologia, misurazione e valutazione nella scuola”, Armando, Roma, 1967; nonché Benedetto Vertecchi, “Manuale della valutazione, analisi degli apprendimenti”, Editori Riuniti, Roma, 1984. Ed ecco un ulteriore suggerimento: “Prove strutturate e semistrutturate di verifica finale dell’apprendimento per il biennio della scuola secondaria superiore”. Si tratta di quattro volumi (italiano, matematica, inglese, biologia e scienze della terra), pubblicati da Monolite, Editrice in Roma, nel 1997.

Ovviamente, costruire una prova a scelta multipla richiede un’esperienza in materia ed una professionalità che i nostri insegnanti, in ordine alla loro preparazione di base, non hanno. Un conto è proporre: “Napoleone Bonaparte è stato un generale a) tedesco, b) inglese, c) austriaco, d) francese”. La risposta è scontata! Altro conto è proporre: “Il fatto che gli organismi pluricellulari siano costituiti da molte cellule può essere attribuito: a) al maggior rapporto superficie-volume; b) al minor rapporto superficie-volume; c) alla diversa forma delle cellule; d) alla molteplicità delle funzioni delle cellule”. In questo secondo caso siamo forse nell’area del più bieco nozionismo? Non credo proprio.

Ed ancora: il più bieco nozionismo potremmo, del resto,ritrovarlo anche in un’aula, quando, ad esempio, l’insegnante chiede ad un alunno quale sia la capitale della Francia, o quanto fa tre per tre! Insomma, il bieco nozionismo lo si può ritrovare ovunque, quando il rigore scientifico che dovrebbe caratterizzare qualsiasi attività di insegnamento e di verifica dell’apprendimento viene a mancare. Ed ancora: posso costruire e proporre un test a scelta multipla di 20 item su un dato argomento con quesiti molto facili, o, al contrario, molto difficili.

E qui entra in causa la valutazione, ovvero la manifestazione di un “giudizio di valore”, che succede alla “aritmetica misurazione”. Potrei pensare che la prova sia superata, nel primo caso, se le risposte corrette sono almeno 16; nel secondo caso, se le risposte corrette sono almeno 12. Insomma, per concludere, non è vero che le “prove a crocette” sono ispirate al “più bieco nozionismo”. Al contrario, hanno a monte la loro degna cultura. Che però nella nostra scuola è poco diffusa. Ma ora resta da vedere come saranno confezionate le prove oggettive che saranno somministrate al prossimo concorso. Saranno confezionateda personale esperto in tale materia? Vorrei sperare di sì.

Lettera a Cinzia

Lettera a Cinzia

di Maurizio Tiriticco

L’amica Cinzia Mion è sempre presente su FB con interventi sempre pungenti nonché sempre misurati in ordine a quanto accade nel contesto del sociale e dell’educativo. In ordine ai suoi ultimi scritti, ho ritenuto opportuno interagire con queste mie riflessioni. In ordine ai suoi ultimi scritti, ho ritenuto opportuno ricordarLe e far conoscere al lettore due documenti, datati, ma importanti e – penso – o poco conosciuti o dimenticati da più: ovviamente, non da Cinzia.

ECCO IL PRIMO —- Edgar Morin —- Les sept savoirsnécessaires à l’éducation du future —- Unesco- Paris, 2000

  1. potenziare lo studio dei caratteri mentali, culturali della conoscenza umana per evitare errori o illusioni

  2. insegnare a cogliere le relazioni che corrono tra le parti e il tutto in un mondo complesso

  3. insegnare la condizione umana per mostrare il legame che corre tra l’unità e la diversità

  4. insegnare come tutti gli esseri umani siano di fronte agli stessi problemi di vita e di morte

  5. insegnare a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze

  6. insegnare la reciproca comprensione perché le relazioni umane escano dallo stato di incomprensione;

  7. educare ad una nuova etica: l’essere umano è allo stesso tempo individuo, parte di una società, parte di una specie, in funzione di una cittadinanza terrestre.

ED ECCO IL SECONDO —- L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Si tratta di un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Sono stati individuati 17 obiettivi globali da perseguire per garantire al pianeta e all’umanità uno sviluppo sostenibile. Eccoli:

  1. Porre fine alla povertà in tutte le sue forme in tutto il mondo

  2. Porre fine alla fame, realizzare la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile

  3. Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età

  4. Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti

  5. Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze

…6. Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitari

  7. Assicurare a tutti l’accesso a sistema di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni

  8. Promuovere una crescita economica durature, inclusiva e sostenibile, la piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti

  9. Infrastrutture resistenti, industrializzazione sostenibile e innovazione

  10. Ridurre le diseguaglianze

  11. Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili

  12. Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo

  13. Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere i cambiamenti climatici

  14. Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile

  15. Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre

  16. Pace, giustizia e istituzioni forti

  17. Rafforzare i mezzi di attuazione degli obiettivi e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile

MIO COMMENTO —- E’ triste leggere questi documenti,pensando a quanto di tragico oggi avviene in Ucraina. Comunque, mi viene in mente l’adagio gramsciano, secondo cui è sempre bene opporre al pessimismo della ragione l’ottimismo della volontà. Anche se oggi è molto difficile!

Lettera a Tullio

Lettera a Tullio

di Maurizio Tiriticco

Ricordando TULLIO DE MAURO, scomparso il 5 gennaio 2017 e che oggi giovedì 31 marzo 2021 avrebbe compiuto novant’anni.
Ripropongo una mia lettera che, comunque, volli inviargli in quel terribile giorno

CaroTullio! Tu sai quanto mi dispiace il fatto che tu non sia più qui con noi, ma… ed è un MA grosso così! Perché soffriresti! Nel vedere come oggi la nostra bella lingua viene umiliata e offesa quotidianamente! E non dalle classi più umili! Queste ormai, bene o male, sono abbastanza acculturate! Ormai tutti i nostri concittadini hanno superato gli anni dell’istruzione obbligatoria! E tutti, soprattutto, smanettano cellulari ad ogni pie’ sospinto, con tanto di auto-correttore, per cui, bene o male, un linguaggio comunicativo, più o meno corretto, lo utilizzano. Ma ritorno al MA grosso così! Il fatto è che sono i nostri politici, i nostri rappresentanti al Parlamento, i nostri governanti, ad umiliare e ad offendere quotidianamente – ripeto – la nostra bella lingua!

Ricordiamo tutti il linguaggio a volte criptico di tanti dirigenti democristiani ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica! Ricordiamo le evoluzioni – se si può dir così – delle dissertazioni di Aldo Moro! O il linguaggio spesso caustico e tagliente di Giulio Andreotti. Ma ricorderai anche quel magistrale discorso che Palmiro Togliatti tenne all’Assemblea Costituente il 25 marzo del 1947 a proposito dell’introduzione o meno nella Carta costituzionale della Repubblica di quell’articolo 5, che poi divenne articolo 7, che così recita: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale». Si tratta di un discorso ricco, argomentato, e in primo luogo grammaticalmente più che corretto! Ma, soprattutto, un discorso importante, perché doveva convincere l’intera Assemblea! E in primo luogo i laici impenitenti! E intendeva metter fine a una polemica sterile, promossa allora da tanti gruppi politici contrari ai Patti Lateranensi, sottoscritti in Roma l’11 febbraio del 1929 nel Palazzo di San Giovanni in Laterano! E, solo perché erano stati promossi e firmati dal Cardinal Gasparri e, udite udite, da Benito Mussolini in persona!

Ma perché – mi chiederai – queste argomentazioni? Tu pensi che ormai noi italiani la battaglia per un linguaggio grammaticalmente corretto l’abbiamo vinta! Per il semplice fatto che è quanto mai necessario il “parlare e scrivere bene”, come si suol dire! Per comprendere e farsi comprendere! E ragionare prima di dar fiato alla lingua! E ciò avviene quando viene rispettata la grammatica in tutte le sue parti, la fonologia (i suoni), la morfologia (le forme) e la sintassi (i costrutti). Perché in effetti un corretto uso della grammatica è necessario e indispensabile non solo per “leggere e scrivere”, ma anche per produrre pensieri e parole “intelligenti”, che cioè abbiano un significato e si propongano un fine.

Quante lotte per una lingua italiana corretta! E tu ne sei stato maestro e autore! Ma oggi stiamo assistendo ad un processo contrario! Un ritorno a un italiano balbettante, scorretto e scurrile anche! Ed è un ritorno promosso, sollecitato e sostenuto da un’intera classe politica! Alludo ai nostri attuali governanti! I pentastellati e i leghisti in primo luogo! Una corsa ad un italiano succinto, approssimato, sgrammaticato, nonché, a volte, ricco di parolacce! Perché tutti intendano e tutti capiscano! Come se gli Italiani fossero un popolo di ignoranti! Un ultimo esempio, di qualche giorno fa. Lucia Borgonzoni, Sottosegretaria alla CULTURA della Lega, ha introdotto Matteo Salvini sul palco di Fontevivo, in provincia di Parma. Prima di passare il microfono al segretario del Carroccio, ha detto: “Grazie al vostro supporto conquistiamo la Regione e diamo un calcio in culo ai comunisti”. Ripeto: Sottosegretaria alla CULTURA! Povera CULTURA! Ridotta alla sola prima sillaba, CUL! Confesso che mi vergogno di avere una Sottosegretaria di Stato che si esprime così!!!

E allora mi chiedo: perché noi insegnanti dovremmo darci tanto da fare perché i nostri alunni parlino e scrivano in un italiano corretto? Dovremmo fare il contrario! Gettare al macero la grammatica e sdoganare le parolacce! Comunque, potremmo fare anche a meno del libro di grammatica, che del resto io non ho mai adottato! Perché una lingua corretta si impara e si insegna parlando e scrivendo! Più che memorizzare che ‘questo’ e ‘quello’ sono aggettivi e pronomi dimostrativi! E a questo proposito, mi piace ricordare quel bel libro “Contare e raccontare”, scritto da te e da Carlo Bernardini, che ci ha lasciati lo scorso mese! Carissimo! Con questi politici da strapazzo, che ti conti?! Che ti racconti?! Con questa classe dirigente, cosiddetta, maestra della più assoluta ignoranza, politica e linguistica, c’è poco da sperare! Mah!!! Usciremo da questo tunnel? Speriamo! Ma sarà difficile! E richiederà tempo!

Un forte abbraccio da quaggiù! Maurizio

Delle prove oggettive

Delle prove oggettive

di Maurizio Tiriticco

Se, come insegnante, propongo ad un alunno “quanto fa due più due”, egli deve rispondere ASSOLUTAMETE “quattro”. Se gli propongo di dirmi chi ha scritto la Divina Commedia, mi deve rispondere ASSOLUTAMENTE “Dante Alighieri”. Se, invece,propongo all’alunno di parlarmi o di scrivere dei suoi giochi o passatempi preferiti, o di che cosa pensa dell’Infinito leopardiano, le sue risposte sono ASSOLUTAMENE non prevedibili. Ebbene, questa è la differenza che corre tra una prova OGGETTIVA ed una NON OGGETTIVA. Poi, in relazione allaMISURAZIONE e alla VALUTAZIONE della prova, per quanto riguarda il misurare, la prova o è corretta o è errata; per quanto riguarda il valutare, entra in gioco anche in larga misura la soggettività del correttore, Molte volte, ad esempio, in sede di esami di Stato, gli insegnanti correttori concordano su un “a” verbo scritto senza “h”, ma non concordano sulla valutazione complessiva dell’elaborato scritto di italiano. Ed il che non è affatto peccaminoso.

Ma perché ho scritto misurazione e valutazione con tanto di maiuscole? Ecco le ragioni. Se Antonio, alunno sempre preparatissimo, al quesito “quanto fa due più due”, mi risponde “cinque”, io insegnante mi meraviglio e gli dico: “Antonio, che dici? Da te non me lo sarei mai aspettato”. La MISURAZIONE della prova è negativa; ma la VALUTAZIONE è diversa, in quanto esprimo tutta la mia meraviglia. Se, invece, Giuseppe, impenitente somarello, al medesimo quesito mi risponde “quattro”, ho il vago sospetto che qualche alunno dal primo banco glielo abbia suggerito: la MISURAZIONE della prova è positiva, ma la VALUTAZIONE è negativa.

Ed ora vengo al dunque! Ho letto su “la Repubblica” del 28 u. s. che “migliaia di candidati non sono riusciti a superare la prima selezione per salire in cattedra ascuole medie e superiori. In alcune regioni sono stati respinti 8 su 10”. Non mi stupisco. Ormai viviamo in un Paese in cui il progress dell’ignoranza civica e culturale è sempre più veloce, per cui… Ed ancora! MI chiedo: Voglio essere preciso! Purtroppo vengono definiti quiz test di verifica che, invece, hanno una loro dignità. Il fatto è che costruire un test – ad esempio –di dieci item a quattro uscite, di cui una sola è quella corretta, non è affatto cosa facile. Occorrono una cultura ad hoc ed una particolare esperienza docimologica. E oserei pensare, purtroppo – e mi si perdoni – che nei recenti concorsi per insegnanti, i compilatori dei test non abbiano una preparazione tale che consenta loro di poterli costruire secondo criteri corretti ed efficaci! Sono cattivello? Lo so! Ma il fatto è che io, in materia di prove oggettive, mi sono fatta una bella esperienza, di studio, di ricerca e di lavoro, con le cosiddette “scuole per corrispondenza”.Il funzionamento è il seguente: si inviano agli “alunni” materiali di studio o per la posta tradizionale o via email, corredati alla fine di opportune prove di verifica dell’apprendimento. In genere si tratta di un TESTcomposto di un determinato numero di ITEM a più OPZIONI – in genere quattro – di cui una sola è quella corretta.

Ecco un esempio. L’insegnante propone ai suoi alunni un test di 20 item sulla vicenda napoleonica, ciascuno a quattro uscite, di cui una sola è quella esatta. Ed ecco un item: Napoleone è morto: a) ad Ajaccio; b) a Sant’Elena; c) a Parigi; d) all’Elba. Edecco un altro item: Napoleone nella ritirata dalla Russia dovette traversare: a) il Volga; b) il Dnieper; c) la Beresina; d) il Don.

Ho avanzato tutte queste riflessioni perché, inmateria di prove oggettive o, se volete, di e-learning in generale, mi sono fatta una bella esperienza, di ricerca e di lavoro, con le cosiddette scuole per corrispondenza. Le quali, quando non esistevano ancora il web e le email, operavano per posta. Notissima è stata la Scuola Radio Elettra di Torino, una società che ha fornito corsi di formazione per corrispondenza nel campo dell’elettronica, attiva dal 1951 al 1995. E’ nota anche Accademia, di Roma, che ora non esiste più. Ma, invece, è attivo il Baicr, sempre di Roma, anche in sede universitaria nonché di “formazione continua” degli insegnanti.

Tornando a bomba, penso che a monte di tutto “questo casino” in atto “dalla Lombardia alla Puglia”, come recita l’articolo de “la Repubblica”, ci siano in primo luogo l’ignoranza e l’inesperienza degli “esperti” che hanno costruito le prove. Sono cattivello? Ebbene, sì! Comunque, mi sembra opportuno rinviare il lettore a “Prove strutturate e semistrutturate di verifica finale dell’apprendimento per il biennio della scuola secondaria superiore”. Si tratta di più dispense pubblicate da Molonite Editrice in Roma nel lontano 1997, esito di attività di formazione continua di insegnanti di istruzione secondaria superiore, svoltesi presso l’Istituto Professionale di Stato “E. Datini” di Prato, con la consulenza del Prof. Gaetano Domenici, dell’Università di Roma. Ed, ovviamente, c’ero anch’io!

Buon sangue non mente!

Buon sangue non mente!

di Maurizio Tiriticco

Putin come Mussolini? O peggio… come Hitler? Purtroppo la risposta e SI?! Questa orribile e inutile guerra, di cui ogni giorno vediamo le immagini in TV, l’ha scatenata Putin, non appena ha avuto sentore che gli Ucraini stavano strizzando l’occhio all’Unione Europea! Guai a guardare ad Occidente, quando si deve essere drammaticamente agganciati all’Oriente! O meglio all’Oriente di Putin e di Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese nonché Segretario Generale del Partito Comunista Cinese. Dall’Europa all’Asia! Si tratta di un’estensione territoriale che va da Pietroburgo (temo che prima o poi Putin tornerà a ridenominarla Leningrado) a Vladivostok, una grande città russa situata sull’Oceano Pacifico, nella Baia di Zolotoj Rog vicino al confine con la Cina e la Corea del Nord.

Agghiacciante il discorso di Putin allo Stadio di Mosca! Ma ancora più agghiacciante la folla festosa che gremiva gli spalti! Agitavano bandiere russe tutte eguali e nuove nuove! Tutti mobilitati! Hanno dovuto lasciare fabbriche, uffici e case per correre ad applaudire il loro leader! Ciascuno con la sua bandiera! Mi ricordo i discorsi del Duce a Piazza Venezia! Tutti – da fabbriche e uffici – erano stati mobilitati, e con tanto di cartolina rossa di precetto! E in piazza più si applaudiva e meglio era! Purtroppo la folla festante gridò il suo entusiasmo al Duce, anche quando dal balcone di Palazzo Venezia il pomeriggio del 10 giugno del 1940 disse tra l’altro: “Ho già consegnato agli ambasciatori di Francia ed Inghilterra la dichiarazione di guerra”. E ciò nonostante il parere contrario dei generali che gli avevano chiaramente detto che le nostre forze armate non erano pronte per una guerra, i cui sviluppi sarebbero stati assolutamente imprevedibili! Ma il Duce aveva risposto testualmente: “Mi basta un migliaio di morti per sedere al tavolo della pace”: illuso che avrebbe potuto fare come a Monaco, due anni prima.

A Monaco, il 29 e il 30 settembre del 1938, si era svolto un incontro a cui avevano partecipato i capi di governo del Regno Unito (Arthur Nevillee Chamberlain), della Francia (Eduard Daladier), della Germania (Adolph Hitler) e dell’Italia (Benito Mussolini). Si era discusso delle rivendicazioni tedesche sulla regione cecoslovacca dei Sudeti, abitata prevalentemente da popolazione di lingua tedesca, i cosiddetti Sudetendeutsche. Fu però cosa grave che i rappresentanti cechi e slovacchi non erano stati invitati a partecipare alle trattative. Pertanto quel trattato venne da loro etichettato come “diktat di Monaco”. La conferenza si concluse con un accordo che portò, purtroppo, all’annessione di vasti territori della Cecoslovacchia da parte dello Stato tedesco. Di ritorno da Monaco, Mussolini venne pressoché incensato da tutta la stampa nazionale – eravamo in piena dittatura – come lo stratega politico che, con il suo equilibrio e la sua abilità diplomatica, aveva salvato l’Europa dalla guerra. Tutto questo nella tarda estate del 1938! Ma l’anno successivo, esattamente il primo settembre 1939, Hitler varca il confine polacco e dà inizio, di fatto, alla seconda guerra mondiale. L’anno successivo Mussolini precipita l’Italia in una guerra in cui non avrebbe mai potuto vincere… e infatti nel 1945, indossato un cappotto da soldato tedesco, salito su camion di soldati tedeschi in fuga dall’Italia del nord, tenta di scappare in Svizzera con soldi, documenti e l’amante. Ma viene scoperto! E il resto è noto!

Comunque non dobbiamo dimenticare che qualcosa di analogo a quanto oggi accade nell’Europa dell’Est, accadde nell’America Centrale, ed esattamente a Cuba nel lontano 1962. A Cuba vigeva un regime dichiaratamente comunista, dopo la rivoluzione condotta e vinta da Fidel Castro contro il regime corrotto di Fulgencio Batista. Nel maggio 1962, il premier sovietico Nikita Chruščёv, convinto di dover contrastare il crescente potere degli Stati Uniti nello sviluppo e nella diffusione di missili strategici, pensò di schierare missili nucleari sovietici proprio a Cuba. Il che ovviamente preoccupò non poco gli Stati Uniti,che si sarebbero visti piazzare missili nucleari nel cuore del continente americano. Fu così che in quella primavera del 1962 fummo tutti sull’orlo dello scoppio di una nuova guerra mondiale. Comunque, la trattativa vinse e la crisi fu superata.

Ma perché questo ricordo? Perché allora il Presidente degli Stati Uniti minacciò fuoco e fiamme se non avessero subito tolto i missili nucleari “vicino a casa sua”! E perché oggi il Presidente della Russia non dovrebbe preoccuparsi se “vicino a casa sua” qualcuno possa pensare di cercare alleanze con la NATO? Ovviamente un conto è la preoccupazione, giustificabile, altro conto è l’azione intrapresa, il massacro di un popolo innocente! Assolutamente ingiustificabile!

Che dire? Speriamo che al più presto l’attività diplomatica messa in atto possa “tranquillizzare” Putin e porre così fine alla tragedia che il popolo ucraino sta vivendo in questi giorni. Spes ultima Dea?!

Oggi in Russia, ieri in Italia

Oggi in Russia, ieri in Italia

di Maurizio Tiriticco

La giornalista che è apparsa alla TV russa con un cartello contro la guerra ha fatto il giro del mondo! E’ stata audace e coraggiosa ed ora purtroppo dovrà pagare per il suo gesto. La cosa mi ha fatto tornare in mente quanto accadde nell’Italia fascista, in piena guerra, nel corso dei giornali radio di allora, tutti ovviamente allineati a quanto ordinava il famigerato MinCulPop, ovvero il Ministero delle Cultura Popolare, che ovviamente esercitava una oculatissima censura su quanto pubblicato sulla stampa e alla radio.

Mario Appelius era un giornalista di grande popolarità, ovviamente fascista, a cui il Duce in persona aveva affidatoil commento serale, alla radio, dei fatti politici e militari della giornata. Ed ogni sera Appelius invocava con grande fogagli strali divini contro la “perfida Albione”, ovvero l’Inghilterra. Ed ogni sera terminava la sua trasmissione con lo slogan “Dio stramaledica gli inglesi”. E lo slogan divenne anche un distintivo che io portavo orgogliosamente sul mio fez di balilla moschettiere. Ma la sera del 6 ottobre 1941 accadde qualcosa di impensabile. Mentre Appelius snocciolava le ultime bugie relative al fronte russo, dalla radio uscì una voce che non era quella del commentatore, ma di un’altrapersona! Che diceva: “Italiani, qui parla la voce della verità, la voce dell’Italia libera, la voce dell’Italia antifascista”.

Una voce che si ripeteva ogni sera e che non andò più via sino al 5 giugno 1944, quando Roma fu liberata. Questa intrusione rappresentò un grande smacco per la macchina della propaganda fascista. Inizialmente il buon Appelius provò a ignorare “lo spettro”. Ma questi attendeva le sue pause per introdursi nei suoi monologhi e sbugiardarlo “Sei un bugiardo, inganni il popolo italiano”, tuonava la “voce della verità”. Mussolini fece di tutto per capire da dove arrivava quellʼinterferenza. Invano! Così sino alla liberazione di Roma, “lo spettro” continuò a invitare gli italiani alla rivolta contro il fascismo. Appelius provò anche a parlare tutto d’un fiato per non lasciare spazio allo “spettro”, ma alla fine fu costretto a dialogarci.

E noi italiani ogni sera assistevamo a botte e risposte di ogni tipo. Appelius diceva: “Contro il fronte germanico l’Inghilterra si romperà il muso!”. Ma subito lo “spettro” replicava: “Bugiardo! Venduto! Asino!”. E Appeliusrispondeva: “Almeno io sono un asino italiano, un venduto alla mia Patria! Non ai nemici come te!”. Ma “lo spettro” era ben informato, implacabile e per nulla intimorito: “Tu sei venduto ai nazisti! Criminale sei tu, che inganni il popolo italiano! L’Asse non può vincere, e Mussolini è un assassino che manda a morire milioni di italiani! E ha ucciso Matteotti, Gramsci, Amendola, Piero Gobetti, i fratelli Rosselli”.

Si può solo immaginare quale smacco potesse rappresentare per il fascismo questo spettro! Si trattava di Luigi Polano, classe 1897, comunista di ferro, che aveva conosciuto Lenin ed era stato agente del Komintern, impegnato in delicati incarichi in giro per lʼEuropa, nonché uomo di fiducia di Palmiro Togliatti nel forzato esilio moscovita. Nel 1918 Polano si era schierato contro l’intervento dell’Italia in guerra e si fece diversi mesi di prigione. Nel 1921, al Congresso di Livorno del Partito Socialista Italiano, votò per l’uscita della corrente comunista dal partito e per la fondazione del Partito Comunista d’Italia, sezione italiana dell’Internazionale Comunista.

Durante il ventennio della dittatura fascista, Polano fu impegnato in missioni in Francia e nella guerra civile di Spagna contro i fascisti del Generale Franco. Nel 1934 riparò a Mosca. In seguito, grazie alla rete di fuoriusciti italiani e, provvisto di potenti apparecchiature di trasmissione radio, si imbarcò su un aereo da guerra diretto in Serbia. Là, da una piccola stanza in un edificio di un’anonima cittadina, Polano cominciò a far partire i segnali radio destinati a mandare su tutte le furie il Duce.

E così, ieri gli antifascisti contro Mussolini ed Hitler, oggi i democratici russi contro Putin!

Le prove di verifica

Le prove di verifica

di Maurizio Tiriticco

Nella nostra scuola in genere le prove di verifica consistono nelle interrogazioni e nella correzione dei compiti effettuati in casa o in aula! Dico AULA, che è un luogo, e non CLASSE, che indica, appunto la classe di età degli alunni che in quell’aula studiano. E, per quanto riguarda la valutazione, sono adottate di norma le prime dieci cifre della scala decimale. Nelle scuole di altri Paesi sono adottate altre scale: In Francia una scala di venti punti; negli Stati Uniti di cinque. Per altro i dieci punti della nostra scuoladovrebbero essere usati tutti e per intero, come la norma vuole! Invece, la fantasia dei docenti è ricchissima! E così, da decenni, non si assegnano quasi mai uno o dieci, ma invece abbondano gli altri voti, spesso seguiti dai più, dai meno, dai meno meno, dai mezzi, e tutti “fuori legge”! Sono stramberie! Ma purtroppo docenti e dirigenti sono convinti che i voti interi si debbano usare soltanto per le valutazioni tri- o quadrimestrali e alla fine dell’anno scolastico! Per non dire poi delle prove di verifica in aula, di correzione di compiti assegnati per casa e interrogazioni.

Comunque, tutti sappiamo che esistono le cosiddette prove oggettive. Di cui si ha un chiaro esempio nelle prove Invalsi! Sono quei… famigerati interventi, vere e proprie… invalsioni, come piogge primaverili, che si abbattono puntualmente su tutte le scuole! E con grande sofferenza di docenti e studenti! Un medicinale indigesto! Ma indigesto perché? Per la semplice ragione che le prove oggettive proposte dall’Invalsi non sono conosciute né praticate dai nostri insegnanti! Tranne qualche rara avis!

Anche e soprattutto perché costruire una prova oggettiva non è un’impresa facile! Occorre in primo luogo che l’insegnante abbia una vera e propria cultura della MISURAZIONE e della VALUTAZIONE: che rinviano a due operazioni concettuali diverse, anche se, ovviamente complementari. Ma spesso confuse! Due esempi banali. PRIMO esempio:ANTONIO, un alunno sempre preparatissimo, nel compito x compie un gran numero di errori: è un esito OGGETTIVO. L’insegnante gli dice: “Antoniooo! Che hai combinatooo? Non me lo sarei mai aspettato da te!”. Se analizziamo le parole dell’insegnante, la proposizione interrogativa è l’esito OGGETTIVO di una MISURAZIONE; e la seconda proposizione,esclamativa, è la sua considerazione SOGGETTIVA. SECONDO esempio: MARCELLO, un alunno scansafatiche, nel medesimo compito x non compie alcun errore: è l’esito OGGETTIVO. Ma l’insegnante lo apostrofa: “Marcellooo!!! Dimmi la veritààà!!! Da chi hai copiato?”. La proposizione interrogativa è la considerazione soggettiva dell’insegnante. Di fatto nel comportamento dell’insegnante due considerazioni assolutamente diverse sono invece agglutinate insieme.

MISURARE e VALUTARE! Che poi non sono solo operazioni scolastiche. In effetti le compiamo quotidianamente. Al supermercato c’è quel baccalà norvegese che… mi tira tanto, VALUTAZIONE; ma costa l’iradiddio, MISURAZIONE. La camicia esposta in vetrina mi piace tanto, VALUTAZIONE; ma, purtroppo, non è della mia misura, appunto, MISURAZIONE. Mi piacerebbe tanto una lunga vacanza al mare, VALUTAZIONE, ma non ho soldi, MISURAZIONE.

Ma torniamo a scuola! Un insegnante “bravo” ed “avanzato” propone ai suoi alunni un test di 20 itemsulla vicenda napoleonica, ciascuno a quattro uscite, di cui una sola è quella esatta. Ecco l’esempio di un item: Napoleone è morto: a) ad Ajaccio; b) a Sant’Elena; c) a Parigi; d) all’Elba. Ecco un altroesempio: Napoleone nella ritirata dalla Russia dovette traversare: a) il Volga; b) il Dnieper; c) la Beresina; d) il Don.

Come fa l’insegnante a considerare una prova sufficiente? Potrebbe attestarsi su 12 item superati: !2 è multiplo di 6, la sufficienza. Potrebbe però fare un’altra scelta: attestarsi su 14 o 15 item superati, considerando la prova facile; oppure attestarsi su 11 o 12, considerando la prova difficile.

Altro discorso è quello della media! Vediamo questa sequenza temporale di voti: 3,4,5,6,7. Ed ora vediamo quest’altra: 7,6,5,4,3. Le due medie sono eguali: 5. Ma questo 5 riflette veramente le conoscenze via via conseguite dai due alunni? Nel primo caso c’è un progressivo miglioramento; nel secondo un progressivo peggioramento. E un semplice numero non è in grado di attestare né il miglioramento né il peggioramento.

E poi perché fermarsi alla media? Quando invece potrebbero seguire altre elaborazioni: la mediana, la moda, la gamma, il sigma, i punti Z e i punti T. Elaborazioni che nella nostra scuola… fortunatamentenon sono… di moda!!! E potrei continuare, ma qui mi fermo. Troppi i dubbi che ho acceso! E infine, con un pizzico di ironia, vi chiedo: che voto mi date?

Un libro bellissimo

Un libro bellissimo

di Maurizio Tiriticco

Simonetta Fasoli su FB propone la lettura di un bellissimo libro. Si tratta di “Educazione e autorità nell’Italia moderna”, che costituisce un importante punto di riferimento nell’ambito degli studi storico-pedagogici. Ne è autore il pedagogista e insegnate Lamberto Borghi, e fu pubblicato per la prima volta nel 1951 da La Nuova Italia, un’editrice fiorentina, con l’introduzione di Carmen Betti e di Franco Cambi. Ma perché tanta e così persistente attenzione? Come spiegano nelle loro presentazioni Betti e Cambi, che ne riepilogano e discutono il messaggio e il contesto di riferimento, il volume si colloca fra i classici e, dunque, in una dimensione metastorica, di autentica e perenne attualità. Borghi ripercorre cent’anni della nostra storia politico-educativa a partire dall’Unità, con alcuni rapidi ma cruciali sguardi retrospettivi. Il web ci dice che a renderlo così speciale è l’intento che lo anima: trovare indizi e chiavi di lettura per poter comprendere a fondo le ragioni che, nel nostro Paese, hanno consentito l’instaurarsi di un regime autoritario, repressivo e cruento, per oltre vent’anni.Rifiutando la definizione crociana del fascismo come parentesi, Borghi riesamina con occhio sereno ma penetrante le molte proposte e forme educativo-culturali, esplicite ma anche implicite, che hanno avuto una connotazione autoritaria. In virtù di un’analisi finissima, pervasa da un’elevata tensione libertaria che ne costituisce il motivo-guida, vengono così discusse le correnti di pensiero e i modelli pedagogici proposti nel corso di un secolo, fino alle forme resistenziali messe in atto sottotraccia già durante il fascismo e poi nel corso del secondo conflitto mondiale. Così ci ricorda Simonetta.

Purtroppo, la gloriosa casa editrice, La Nuova Italia, non c’è più. E’ opportuno ricordare che fu proprio La Nuova Italia a pubblicare “Democrazia e Educazione”, opera di un grande della ricerca e della proposta pedagogica, John Dewey! Era stata pubblicata a New York nel 1916. Ma in Italia fu pubblicata solo nel 1949 da La Nuova Italia di Firenze. Ma perché nel ‘49? Perché l’Educazione Nazionale fascista – e così era stato ridenominato il Ministero della Pubblica Istruzione – non poteva consentire che un Dewey, democratico, fosse oggetto di studio nei nostri istituti magistrali. Breve nota: l’Educazione investe la persona stessa, attiene a dati valori; l’Istruzione si limita all’erogazione di saperi disciplinari. E la dittatura fascista non poteva non coinvolgere la persona stessa! Quante volte io balilla moschettiere negli anni trenta e quaranta ho dovuto reiterare il giuramento fascista! Un testo che so ancora a memoria: “Nel nome di Dio e dell’Italia, giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se è necessario col mio sangue, la causa della Rivoluzione Fascista”. E’ evidente che solo dopo la seconda guerra mondiale l’opera Dewey giunse alla nostra attenzione. E non a caso Dewey era nel programma del corso universitario di Aldo Visalberghi, da cui Simonetta rimase “folgorata”! Nel liceo classico da lei frequentato la pedagogia era una materia di studio sconosciuta, perché considerata – soprattutto per l’influenza gentiliana – una disciplina/materia di secondo ordine, una sorta di coda della filosofia, adatta solo per le maestre della scuola elementare.

Così solo nel dopoguerra la pedagogia tornò in auge! Ne furono promotori Raffaele Laporta, la cosiddetta Scuola di Firenze, la rivista Scuola e Città, Aldo Visalberghi, Mauro Laeng, Clotilde Pontecorvo, Lidia Tornatore e non so quanti altri! Ciascuno a dare alla pedagogia la visibilità che merita. Insegnare è importante, ma sapere insegnare è doveroso! Pertanto, non dobbiamo dimenticare “Lettera a una Professoressa”, di cui fu autore, con i suoi alunni, Don Lorenzo Milani! Che meriterebbe un discorso a parte. Visalberghi nel suo “Pedagogia e Scienze dell’Educazione” – siamo nel 1978 – enfatizza così tanto la problematica pedagogico-educativa fino a parlare addirittura di una “enciclopedia pedagogica”. Ed individua ben 24 discipline afferenti a quattro settori, psicologico, sociologico, metodologico didattico e quello dei contenuti. In tale scenario è forse opportuno ricordare la pubblicazione, nel 1968,de “La pedagogia degli oppressi” di Paulo Freire, il pedagogista brasiliano che propose la cosiddetta “teologia della liberazione”, ovvero l’educazione come strumento di liberazione, dall’ignoranza e dalla povertà! Famoso il suo “nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo,Gli uomini si educano insieme con la mediazione del mondo”.

Per non dire poi di Pierre Bourdieu e Jean Claude Passeron, autori di un libro che fece molto scalpore: “La Reproduction. Éléments pour une théorie du système d’enseignement”, pubblicato nel 1970 per Les Éditions de Minuit”. Vi si sostiene che in ciascun Paese gli apparati culturali e la scuola in primo luogo tendono a “riprodurre” idee e valori tipici della classe dominante. La quale intende così “trasmettere ed imporre ai propri discendenti i privilegi di cui gode”. La teoria della riproduzione servirebbe così a dimostrare “il funzionamento latente dell’apparato educativo che, a dispetto della libertà di accesso e del funzionamento formale, determina di fatto una selezione basata sui criteri culturali della classe dominante” Così affermano Renaud Sainsaulieu e Denis Segrestin, in “Vers une théorie sociologique de l’entreprise”: in “Sociologie du travail”, XXVIII 3/86, Dunod.

Insomma, dopo la Liberazione dal fascismo e dal Gentile dominante – quando l’educazione era finalizzata solo a formare un buon fascista (libro e moschetto, fascista perfetto) – segue una vera e propria sbornia educativa! Nel nostro Paese nascono le tre riviste che hanno fatto storia! “Scuola e Città”, edita a Firenze da “La Nuova Italia”, la cosiddetta rivista dei socialisti; vi scrivono Ernesto Codignola, Guido Calogero, Robert. Cousinet, CharlesWashburne, Lamberto Borghi, Francesco de Bartolomeis. “Orientamenti pedagogici” edita a Roma dai salesiani, la rivista dei cattolici; tra gli altri, vi scrivono Luigi Calonghi e Michele Pellerey. “Riforma della Scuola”, di cui fui anche redattore, edita a Roma, la rivista cosiddetta dei comunisti; tra gli autori Lucio Lombardo Radice, Tullio De Mauro, Roberto Maragliano, Gaetano Domenici, Gianni Rodari. Per non dire poi di altri validissimi pedagogisti: Giovanni Maria Bertin, Raffaele Laporta, di cui sono stato allievo ed amico, Margherita Fasolo, Francesco De Bartolomeis, Giuseppe Flores d’Arcais, Luigi Stefanini, Clotilde Pontecorvo, Benedetto Vertecchi, Emma Nardi, Gaetano Domenici, Claudio Volpi, Roberto Maragliano, e tanti altri che rappresentano in Italia l’ultima frontiera della pedagogia come disciplina filosofica. Alcuni in pensiome, ma, comunque, attivi! E sono attive oggi due importanti riviste del pedagogismo cattolico, “La scuola e l’Uomo” edita dall’Unione Cattolica Insegnanti Italiani Medi, e “il Maestro”, edita dall’Associazione Italiana Maestri Cattolici. Ed è attiva anche “Insegnare”, la rivista del Cidi, Coordinamento insegnanti democratici italiani, diretta dal grande Beppe Bagni! Ma ora… chissà quanti ho dimenticato… parafrasando il Poeta, “altro dirti non vo’; ma la tua festa, ch’anco tardi a venir non ti sia grave”. E la festa semmai… fatela a me!

Un po’ di storia recente

Un po’ di storia recente…

di Maurizio Tiriticco

…tanto per capire quello che accade oggi in Ucraina. Tanti anni fa, finita la seconda guerra mondiale, i grandi vincitori, USA ed URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) decisero di “spartirsi l’Europa” in due precise zone di influenza, separate da un lungo confine invalicabile, a cui poi fu dato il nome di “cortina di ferro”. In tale scenario, la capitale della Germania sconfitta, Berlino, fu divisa in quattro zone, rispettivamente sotto il controllo americano, inglese, francese e sovietico. Com’è noto, mentre nelle prime tre zone i berlinesi potevano godere di quelle libertà tipiche del mondo occidentale, nella zona controllata dai sovietici erano invece considerati e trattati, di fatto, come nemici vinti. Pertanto, assenza di libertà, miseria e controlli polizieschi – la famigerata Stasi – opprimevano i berlinesi e costringevano i più giovani e audaci a fuggire ed a “saltare il muro”. Che di fatto non era più un solo muro, ma due, con all’interno un largo cerchio di territorio, costellati di filo spinato ed intralci di ogni tipo. Una città sotto assedio!

Per quanto riguarda l’intero continente europeo, al di là della cortina di ferro si trovavano, oltre a Berlino Est, la DDR, ovvero la Repubblica Democratica Tedesca, la Polonia, la Cechia, la Slovacchia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria, e, spostate verso est, la Jugoslavia, duramente governata dal Maresciallo Tito, e l’Albania. E’ opportuno ricordare che tutti i succitati Paesi erano fortemente controllati dai Sovietici. Nella zona più a nord dell’Europa Orientale si trovavano – e si trovano – la Moldavia, l’Ucraina e la Belorossija (ovvero la Russia Bianca). La città di Kaliningrad, ovvero la Koenisberg che aveva dato i natali ed Emanuele Kant, situata tra la Polonia e la Moldavia, è oggi un exclave che appartiene alla Russia. Le Repubbliche costitutive dell’Unione Sovietica erano le seguenti: Armenia, Azera, Bielorussia, Estonia, Georgia, Kazakistan, Kirghisistan, Lettonia, Lituania, Moldavia, Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina, Usbekistan. In seguito, con la caduta del “muro di Berlino” ed il dissolversi della stessa URSS, una certa fame di libertà cominciò a serpeggiare nelle Repubbliche più vicine all’Europa centrale.

La Jugoslavia e l’Albania meritano un discorso a parte. Dopo la seconda guerra mondiale, nella Jugoslavia comunista il Maresciallo Tito procede nella sua opera di costruzione di un Paese comunista, pur con particolari prese di posizione ed iniziative che spesso si situano al di fuori della cieca obbedienza a Stalin. Questo comportamento, oltre all’indiscusso prestigio personale di Tito, era dettato dal fatto che la Jugoslavia, unico Paese comunista europeo, era riuscita a liberarsi da sola, senza l’intervento dell’Armata Rossa. Pertanto Tito, in primo luogo, aveva cominciato a costruire uno Stato fondato sul concetto di autogestione e non comunista propriamente detto. In secondo luogo, aveva tentato di assurgere al rango di leader regionale anche in materia di politica estera. Il che provocò ovviamente le ire di Stalin, che condannò, ovviamente sul piano politico, Tito e la sua politica di fatto filoccidentale. E addirittura non esitò a perseguirlo come traditore.

Per quanto riguarda l’Albania, dopo la feroce dittatura di Enver Halil Hoxha, staliniano di ferro, che durò dalla fine della guerra fino al 1985, anno della sua morte, e dopo la Caduta del Muro di Berlino del 9 novembre del 1989, il Paese tentò di risollevarsi, ma con grande fatica. La miseria l’attanagliava, per cui migliaia e migliaia di albanesi decisero di lasciare la loro terra e di raggiungere il Paese antistante più vicino, l’Italia. Via mare, cominciarono a riversarsi sulle coste pugliesi e su tutto il litorale salentino tra Brindisi e Otranto. Oggi, com’è noto, la crisi è stata superata e l’Albania dispone di una nuova Costituzione. Ha avviato un sistema politico ed economico di tipo liberistico; ed in particolare la gestione statale dei beni – modello sovietico – è stata via via sostituita con il ripristino della proprietà privata. E’ stata anche intrapresa la lunga strada verso l’adeguamento ai programmi europei del Patto di stabilità e crescita, secondo il protocollo del Trattato di Maastricht. Inoltre, il 4 aprile 2009 il Paese è divenuto membro della NATO. Oggi il Paese è candidato ad entrare nell’Unione Europea L’iter di adesione ha avuto inizio con la presentazione della relativa richiesta, da parte dello Stato albanese, il 28 aprile 2009.

Tutte queste “belle cose” hanno interessato l’Europa centro-occidentale. Ben altra è, invece, la situazione dell’Europa orientale, dove i confini con la Russia di Putin e con i Paesi con essa confinanti sono oggi accesi, purtroppo, da incendi di guerra. Il fatto è che l’area della democrazia avanza ed investe fortemente tutti i Paesi dell’EstEuropa. E non solo quelli che la Russia di Putin intende controllare, ma la Russia stessa. O meglio, i suoi cittadini, che la propaganda di Stato inonda di bugie! E tutti i Russi ci devono credere, altrimenti, finiscono in galera accusati di alto tradimento!

Che dire? Quousque tandem abutere, Vladimir, patientia nostra?