Dimensionamento

Dimensionamento – Anief: non c’è nulla di che essere soddisfatti, come stanno facendo alcuni sindacati: il prossimo anno si perderanno altre 500 scuole e migliaia di docenti e Ata verranno collocati in soprannumero.

Si tratta di provvedimenti illegittimi, perché derivanti dalla sparizione o dall’accorpamento di istituti che per la Corte Costituzionale dovevano rimanere autonomi: per questo li impugneremo.

 

Altro che sedi scolastiche recuperate: l’unica verità è che il prossimo anno avremo altri 500 istituti in meno. E rispetto al periodo precedente all’approvazione della Legge 111/2011 sul dimensionamento, ne mancano all’appello almeno 1.400. Anziché battersi in tutte le sedi per disapplicare quella norma che obbliga a chiudere o accorpare gli istituti con meno di mille alunni, perché bocciata dalla sentenza della Consulta n. 147 del 7 giugno 2012, nelle ultime ore alcuni sindacati hanno assunto quasi posizioni di conquista. Come se lo Stato avesse deciso finalmente di rispettare le proprie leggi sulla formazione degli istituti scolastici, mai decadute, a partire dai criteri previsti dal D.P.R. 233 del 18 giugno 1998.

 

In tempi non sospetti, all’inizio del corrente anno scolastico – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief – avevo scritto ai Governatori delle Regioni richiamandoli al rispetto dei criteri generali fissati dal quel D.P.R. e dal D.P.R. 81/09 sulla materia concorrente con lo Stato nella rideterminazione della rete scolastica. Ma le Regioni non ne hanno voluto sapere: invece di riattivare i vecchi decreti assessoriali emanati prima dell’applicazione della norma cancellata dal nostro ordinamento, hanno disposto dei provvedimenti illegittimi, sia perché basati su parametri reputati incostituzionali sia perché prodotti in modo unilaterale. Dimenticando infatti, prima di approvarli, di consultare lo Stato”.

 

A rendere ancora più drammatica la situazione è che assieme alla sparizione degli istituti autonomi, proprio in questi giorni migliaia di docenti e Ata stanno ricevendo (o presto riceveranno) la comunicazione di soprannumerarietà a seguito dell’incrocio delle graduatorie d’istituto, appena pubblicate, con i dati in ribasso riguardanti gli organici del prossimo anno scolastico. Vale la pena ricordare che questo stato, l’essere considerati in soprannumero, comporta, a seguito dell’approvazione della spending review, l’obbligo ad essere trasferiti d’ufficio, su posti vacanti, ma qualora questi non vi siano nella propria provincia di titolarità, anche in una regione diversa rispetto a quella di appartenenza. E per chi si oppone scatterà anche la “punizione”: il declassamento professionale o, peggio ancora, la cassa integrazione con rischio di licenziamento.

 

A tal proposito, Anief conferma che, come già annunciato per i Direttori dei servizi generali ed amministrativi, sta predisponendo i ricorsi avverso tutti quei provvedimenti di dimensionamento che stanno producendo gli illegittimi stati di soprannumerarietà anche per dirigenti scolastici, docenti (compresi gli itp provenienti dagli ex Enti Locali), amministrativi, tecnici e ausiliari.

 

Chi intende ricevere le istruzioni operative per ottenere la salvaguardia del proprio posto di lavoro, ha ancora la possibilità di inviare una e-mail a dimensionamento@anief.net indicando nell’oggetto la rispettiva voce: “dsga”, “ata”, “docente”, “dirigente”.

 

Aria pulita in classe, nuove direttive. Misure per prevenire allergie e asma

da Repubblica.it

Aria pulita in classe, nuove direttive. Misure per prevenire allergie e asma

Gli ambienti scolastici rappresentano un concentrato di fattori di rischio – dalla polvere all’anidride carbonica – vuoi per carenze di progettazione architettoniche, edilizie o a carenze gestionali. Ora la normativa italiana raccomanda una serie di buone pratiche per renderli più vivibili

Aule polverose e ambienti scolastici insalubri? Arrivano le “Linee di indirizzo per la prevenzione nelle aule scolastiche dei fattori di rischio indoor per allergie ed asma”. Dai prossimi giorni bidelli, capi d’istituto e direttori dei servizi amministrativi – quelli che un tempo erano conosciuti come segretari – saranno chiamati a rispettare – o far rispettare – una serie di buone pratiche per rendere le vecchie aule scolastiche italiane un po’ più vivibili. Non è infatti un segreto per nessuno che molto spesso gli ambienti scolastici sono piuttosto inospitali, oltre che sporchi, e per nulla adatti a soggetti delicati, particolarmente predisposti alle allergie e all’asma.
Secondo il decimo rapporto di Cittadinanzattiva, “Sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici 2012”,  negli ambienti scolastici visitati dall’associazione ambientalista “la polvere è un po’ dappertutto”. Ma insegnanti e capi d’istituto italiani, nonostante le lamentele di genitori e studenti, finora sono stati impotenti. Adesso però la vita degli otto milioni di alunni che siedono nelle scuole del Belpaese e degli 800mila docenti che vi lavorano dovrebbe migliorare: per tamponare il boom di allergie e casi di asma che si registrano da anni tra i più giovani, per la prima volta la normativa italiana prende in considerazione la qualità dell’aria negli ambienti scolastici.
Raccomandando a bidelli, presidi e segretari –  che devono controllarli – una serie di buone pratiche che possono rendere più vivibili gli ambienti scolastici. Secondo il gruppo di lavoro Gard Italy (Global Alliance against Chronic Respiratory Diseases), che ha elaborato il Programma di prevenzione per le scuole dei rischi indoor per malattie respiratorie e allergiche, “in Europa attualmente oltre un bambino su tre soffre di asma bronchiale o allergie e l’incidenza delle malattie respiratorie aumenta di anno in anno”. Inoltre “l’asma e la rinite allergica sono le più comuni malattie respiratorie croniche nei bambini europei”.
E “nei prossimi dieci anni le morti totali per malattie croniche ostruttive potranno aumentare più del 30 per cento se non verranno posti in essere interventi adeguati per prevenire/ridurre i fattori di rischio, in particolare l’esposizione a fumo di tabacco, che costituisce il principale fattore di rischio evitabile, l’inquinamento indoor e outdoor, gli allergeni e le esposizioni occupazionali”. Anche perché “la scadente qualità dell’aria nelle scuole può determinare seri problemi sanitari tra i bambini che, come è noto, sono più sensibili degli adulti alle conseguenze dell’inquinamento”.
Alcuni studi condotti in Nord-Europa hanno dimostrato che l’asma corrente in bambini ed adolescenti risulta associata a numerosi fattori presenti nell’ambiente scolastico, fra cui umidità, muffe, composti organici volatili, formaldeide, allergeni e batteri. Inoltre, gli studi hanno evidenziato anche che una cattiva qualità dell’aria e condizioni microclimatiche non ottimali possono influenzare negativamente la performance scolastica degli studenti. Così, edifici scolastici vecchi, presenza di inquinanti e scarsa igiene portano gli alunni predisposti alle allergie ad aggravare il proprio stato di salute anche tra le mura scolastiche.
“Nelle strutture scolastiche italiane – si legge nel rapporto Gard – si rilevano numerose criticità igienico-sanitarie e di qualità dell’aria indoor, attribuibili a problematiche di tipo ambientale (legate all’aria di insediamento dell’edificio), a carenze progettuali, architettoniche, edilizie o a carenze gestionali”, relative alle operazioni di pulizia e manutenzione. Manca, inoltre, una normativa organica e aggiornata volta a disciplinare i requisiti igienici e funzionali degli ambienti scolastici e regole omogenee per il monitoraggio periodico della qualità dell’aria negli ambienti scolastici”.
La situazione in Italia. In Italia, il 59 per cento degli edifici scolastici è stato realizzato prima del 1975. Si tratta cioè di edifici progettati seguendo criteri ormai superati. Alcuni studi sulla qualità dell’aria negli ambienti scolastici sono stati condotti in Toscana, a Udine e in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio, Sicilia e Sardegna. Da questi studi è emerso che i valori più elevati di inquinanti (CO2, Formaldeide e PM2,5) si registravano quando nelle aule erano presenti i bambini. Si è invece registrata un’associazione statisticamente significativa tra il benzene presente all’interno delle aule e l’intensità di traffico automobilistico al di fuori delle stesse.
In un campione di scuole di Udine e Siena “molto frequentemente è stata riscontrata la presenza di umidità, polvere e allergeni di cane e gatto, sia nell’aria che nella polvere”. Inoltre, in tutte le aule monitorate, la concentrazione di particelle sottili – M10 – superava la soglia massima di 50 microgrammi per metro cubo di aria. Anche la concentrazione di CO2 superava la soglia massima consentita in quasi tutte le classi. Le aule risultavano poco ventilate – nel 94 per cento dei casi – e in metà delle aule erano presenti miceti (funghi). Nel 94 per cento delle aule si usavano ancora i gessi, che sono fonte di polvere, per scrivere sulla lavagna.
Solo una scuola sorgeva in una zona con traffico limitato e all’interno degli edifici scolastici italiani, inoltre, le concentrazioni di formaldeide (inquinante chimico che si libera nell’aria da mobili, colle adesive, vernici, detergenti per le pulizie degli ambienti e spray mangia polvere, considerato tra le sostanze cancerogene per la specie umana) sono risultate più elevate rispetto alla media delle altre scuole europee, pur rimanendo lontane dai livelli di pericolosità indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità. Con conseguenze sui bambini piuttosto deleterie: il 30 per cento soffre di rinite allergica e il 20 per cento tossisce frequentemente, anche di notte. Con conseguente aumento dei giorni di assenza da scuola.
Buone prassi. Per migliorare la situazione occorrerebbe controllare periodicamente temperatura e umidità dell’aria, ventilare gli ambienti scolastici adeguatamente per ridurre le concentrazioni di CO2, limitare il traffico veicolare in prossimità delle scuole  e utilizzare prodotti per la pulizia a basso impatto inquinante. Ma non solo. Nelle scuole dovrebbe essere completamente vietato il fumo da sigaretta, ma tutti sanno che gli studenti e qualche docente continuano a fumare. Bisognerebbe evitare di svolgere attività in ambienti in cui sono presenti muffe alle pareti e le pulizie andrebbero effettuate almeno due ore prima che le aule vengano occupate dalle classi. Occorre, infine, assicurare un adeguato sistema di manutenzione dei locali, di ventilazione delle classi e monitorare periodicamente i parametri della qualità dell’aria.

Maturità, la paura più grande è il vuoto di memoria

da LaStampa.it

Maturità, la paura più grande è il vuoto di memoria 

La psicoterapeuta: “Il nostro cervello è come un computer, i file non si perdono mai”
roma

L’incubo dei maturandi è il vuoto di memoria, lo rivelano gli studenti intervistati da “La Guida alla maturità” del Corriere dell’università.

Più religiosi che superstiziosi, confidano nei tradizionali bigliettini e sperano nella tecnologia.

Per i maturandi l’Esame di Stato è la prova più temuta, anche se l’anno scorso la percentuale degli ammessi è salita al 94,4% mentre quella dei non ammessi si è fermata al 5,6%. E nonostante sia cresciuta anche la percentuale degli studenti che ha avuto voti da 71 a 99, l’esercito dei maturandi, che il 19 giugno darà l’assalto al tanto sospirato diploma, dichiara di concentrare tutte le forze per il colloquio finale.

Tra le paure di molti studenti c’è il blocco davanti alla commissione e l’angoscia di provare l’esperienza del classico vuoto di memoria.

«Il respiro è molto importante, in caso di bisogno provate a sgombrare la mente e aspettare qualche istante, il nostro cervello è come un computer, i file non si perdono mai», suggerisce la psicoterapeuta Paola Felici ai lettori della Guida.

Sconsiglia, invece, la ricerca di pozioni magiche la nutrizionista Arianna Bonfiglio. «I rimedi miracolosi per superare la stanchezza e la paura della prova di maturità sono per lo più integratori vitaminici per la memoria, sedativi artificiali o calmanti contro l’ansia. Meglio affidarsi a quelli più antichi e naturali, come la pappa reale, la valeriana o la camomilla».

I super prof difendono l’Invalsi «Aprono la scuola alla realtà»

da Corriere della sera

I super prof difendono l’Invalsi «Aprono la scuola alla realtà»

Le critiche di nozionismo. «No, rivelano competenze concrete»

ROMA — Nelle scuole primarie italiane oggi secondo appuntamento con l’Invalsi, il Sistema nazionale di valutazione della macchina educativa italiana. Toccherà alle classi II e V per la prova di matematica. E anche quest’anno le polemiche accompagnano l’appuntamento. La Federconsumatori ha chiesto al nuovo ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, la sospensione dei test. Il sindacato Unicobas ha parlato del 20% dei docenti che martedì 7 maggio avrebbe scioperato nelle II e V classi per la prova di italiano. Il ministero ha replicato parlando di scioperi limitati allo 0,69% per le II classi e allo 0,62% per le V e di prove non sostenute complessivamente nello 0,82% dei casi per le II e nello 0,75% per le V. In più c’è stato l’attacco del professor Luciano Canfora intervistato da www.ilsussidiario.net: «Le prove Invalsi sono una mostruosità, una cosa senza alcun senso, che può servire se mai a premiare chi è dotato di un po’ di memoria più degli altri, non chi ha spirito critico. La miglior cosa è eliminare i test». Sempre per Canfora «l’Invalsi e tutta la quizzologia di cui siamo circondati» sarebbero lo strumento per ottenere «un pappagallo parlante dotato di memoria e nulla più, suddito e non un soggetto politico» sottraendo ai ragazzi negli anni della formazione «l’abito alla critica, alla capacità di comprendere e di studiare storicamente, di distinguere». I responsabili dell’Invalsi (le prove sono scelte selezionando proposte avanzate da circa 150 docenti sparsi per l’Italia) respingono le accuse. A partire da Paolo Sestito, commissario straordinario Invalsi e dirigente dell’area ricerca e relazioni internazionali della Banca d’Italia, economista studioso anche di sistemi educativi: «Le nostre prove sono quanto di più lontano dal nozionismo, dall’automatismo dei test, dal Rischiatutto. Il nostro scopo è l’esatto contrario: misurare le competenze dei ragazzi e la qualità dell’insegnamento, calandole nella vita concreta. Assicuriamo alle scuole uno strumento di auto-conoscenza». Conferma Giorgio Bolondi, docente di Matematiche complementari all’università di Bologna, che coordina la predisposizione delle prove: «Abbiamo incontrato migliaia di insegnanti e registrato molte comprensibili prevenzioni. C’è un malinteso: non intendiamo esprimere giudizi, ma informare ragazzi, insegnanti e scuole sulla qualità dell’apprendimento. Ogni domanda è legata agli obiettivi di legge per i diversi gradi dell’istruzione. Nemmeno un quesito punta su memoria o formule: ciò spetta agli insegnanti, non all’Invalsi». Giudizio condiviso dal linguista Luca Serianni, che ha analizzato le prove: «L’Invalsi funziona come le analisi del colesterolo per un adulto. Servono al medico come indice importante per stilare una diagnosi dopo aver studiato altri parametri. Trovo le prove realizzate con intelligenza per tarare le competenze a seconda della fascia d’età. Non hanno nulla del quiz né vedono il nozionismo come valore. Possono aiutare le scuole a conoscersi meglio e a mettere in atto i meccanismi per migliorarsi» A difendere l’Invalsi a spada tratta è Enza Ugolini, fresca ex sottosegretario all’Istruzione nel governo Monti (insegna storia e filosofia ed è preside del liceo «Malpighi» di Bologna), che negli anni ha lavorato sul tema della valutazione (in modo politicamente trasversale) con i ministri Luigi Berlinguer, Letizia Moratti, Giuseppe Fioroni, Mariastella Gelmini e Francesco Profumo: «Il primo scopo è aiutare le scuole ad avere un punto di vista esterno per capire come si lavora al proprio interno e nelle singole classi. I dati Invalsi sugli apprendimenti non sono solo “numeri” (percentuali, pesi, tassi di difficoltà, coefficienti di validità) che riducono la reale portata educativa della scuola. Anzi proprio perché i risultati sono tratti da prove concrete, gli esiti di queste prove finiscono con l’aiutare i singoli insegnanti, i consigli di classe, i dipartimenti, i collegi docenti, a fare una diagnosi anche a livello didattico». Enza Ugolini contesta l’autoreferenzialità di una certa scuola: «Uno dei nemici nella valutazione è la parzialità, quella abitudine che porta a non cercare in modo costante di tener conto di tutti i fattori della realtà. Non c’è solo la “tua” scuola, il “tuo” alunno, la “tua” classe con i “suoi” “livelli medi”: esiste il mondo… Ogni scuola e ogni classe ha uno specchio col quale confrontarsi». E conclude, per sostenere la bontà del sistema, ricordando le disparità: «In II e V primaria la situazione, specie in matematica, nel Nord è pari alla media nazionale, mentre il Sud ha mediamente +2,5 punti. Già nella prima classe della scuola secondaria di primo grado la situazione si capovolge e mentre il Nord supera di oltre 6 punti percentuali la media, nel Sud si va sotto la media, per arrivare fino a oltre -15 punti nella classe terza del Sud-Isole… Mi sembra essenziale saperlo, per rimediare». Paolo Conti

Test Invalsi, è proprio valutazione?

da l’Unità

Test Invalsi, è proprio valutazione?

Benedetto Vertecchi

LA CAMPAGNA DI RILEVAZIONI CHE SI STA AVVIANDO NELLE SCUOLE ITALIANE CONTIENE NON POCHI ELEMENTI DI AMBIGUITÀ.

Proprio da tali ambiguità hanno origine sia gli atteggiamenti critici di tipo complessivo, sia gran parte delle obiezioni sollevate sulle scelte tecniche e organizzative effettuate. Cercherò di definire qui i principali aspetti della questione valutativa, al fine di affermare, almeno sul piano concettuale, riferimenti corretti. Per cominciare, è difficile considerare valutativa un’attività che consiste nel rilevare sull’intera popolazione la capacità di soddisfare un certo numero di consegne. Un conto è, infatti, che un numero limitato di allievi (una classe, una scuola) sia sollecitato a dimostrare le conoscenze di cui dispone, altro conto che la medesima operazione sia compiuta sui grandi numeri. In una classe, o in una scuola, gli insegnanti possono avvertire l’esigenza di fondare le scelte ulteriori su un quadro meglio definito di quello già disponibile e che, se si avverte tale esigenza, è presumibile che non soddisfi pienamente. Quella che viene compiuta è un’operazione di verifica (o di misurazione) che è solo parte di una strategia valutativa che si fonda sulla considerazione del modo in cui si distribuiscono tre principali gruppi di variabili. Il primo gruppo riguarda le caratteristiche dei singoli allievi, il secondo quelle del contesto socioculturale che fa da contorno alla scuola e il terzo le scelte organizzative e didattiche cui si conforma l’attività educativa. Ciascun gruppo di variabili dev’essere considerato per la maggiore o minore prossimità degli effetti che può indurre sia nel tempo breve sia, a maggior ragione, nei tempi lunghi. In altre parole, le caratteristiche degli allievi sono da collegare alle esperienze e alle interazioni della vita quotidiana, ma anche ai condizionamenti di provenienza remota, per esempio quelli consumistici e valoriali derivanti dall’esposizione ai messaggi della comunicazione sociale. È evidente che le scuole incontrano maggiori o minori difficoltà nello svolgere il loro compito educativo se la cultura informale degli allievi converge con quella formale. Ci sono due modi per interpretare i dati che si riferiscono a questi due gruppi di variabili: si può operare un taglio sincronico nel fluire dell’attività, o si può cercare di coglierne l’evoluzione attraverso il tempo. Il taglio sincronico (è come dire la fotografia della condizione esistente) ha una sua utilità didattica, ma può portare a stabilire inferenze improprie se si tentano interpretazioni che riguardano il processo educativo, e quindi i cambiamenti che è possibile rilevare nei due gruppi di variabili menzionati. Una prospettiva temporale estesa è dunque la condizione per valutare l’attività educativa. Ed è su questa valutazione che le scuole possono fondare le decisioni che riguardano le scelte organizzative e didattiche (terzo gruppo di variabili). Le considerazioni appena esposte hanno senso se riferite a situazioni non troppo diverse le une dalle altre. Ne hanno molto meno quando il quadro di riferimento presenta, come nel sistema scolastico italiano, livelli elevati di dispersione nella distribuzione delle variabili tra le aree geografiche, le tipologie di territorio, i diversi insediamenti della popolazione, le attività produttive, la qualificazione culturale dei contesti. È da notare che queste condizioni sono note da decenni, e sono state rilevate, su basi campionarie con procedure definite nell’ambito d’istituzioni internazionali, già una quarantina d’anni fa. Il fatto è che dai dati allora raccolti, così come da quelli rilevati in occasioni successive, una volta scontato l’effetto emotivo del momento, non sono state tratte conseguenze. Le misurazioni sono rimaste misurazioni e le valutazioni, che avrebbero comportato una qualche assunzione di responsabilità, non ci sono state. Si comprende, di conseguenza, l’atteggiamento negativo che si è prodotto nei riguardi di una misurazione della quale sono troppo poco definiti gli intenti per offrire un riferimento attendibile al dibattito sullo sviluppo del sistema educativo e, considerando gli orientamenti che hanno prevalso nella politica scolastica di questo inizio di secolo, si capisce anche perché non pochi sospettino che l’intento perseguito non sia quello di migliorare il sistema, ma di riversare la responsabilità di ciò che non soddisfa sulle scuole e sugli insegnanti. Non è facile tuttavia indicare che cosa soddisfi e che cosa non soddisfi. Sono stati troppi e contraddittori i segnali rivolti alle scuole circa gli intenti da perseguire con la loro attività. Siamo tutti sensibili ai livelli scadenti della capacità di comprensione della lettura o delle competenze matematiche e scientifiche, ma non si capisce per quale ragione non si sia posto impegno nella riorganizzazione della lettura pubblica o delle biblioteche scolastiche e si siano lasciati andare in malora, quando esistevano, i laboratori per le esperienze e le dimostrazioni scientifiche. Al contrario, sono stati agitati lustrini sostitutivi con l’unico effetto di ridurre ancora di più le risorse utilizzabili dalle scuole per proporre esperienze di apprendimento valide per tempi estesi. Le reazioni di rifiuto indotte da comportamenti improvvidi rischiano di disperdere anche quel poco di sistematica valutativa che, molto faticosamente, si era affermata nella scuole: per esempio, la distinzione tra le varie funzioni della valutazione, l’individuazione delle possibilità e dei limiti delle diverse soluzioni strumentali ecc. Non contribuisce a creare un clima favorevole l’enfasi che è stata posta sulle misure per individuare comportamenti impropri (cheating: ma perché dirlo in inglese? La parola italiana imbroglio è forse meno densa di significato?). C’è bisogno di ricostruire un clima di fiducia, senza il quale nessuna valutazione è possibile. Occorre chiarezza nell’indicazione degli intenti, oltre a una competenza valutativa che non derivi da semplice imitazione di quanto avviene altrove, ma da una accumulazione originale di conoscenza quale può fornire solo un serio impegno per lo sviluppo della ricerca educativa.

Indire: sempre più studenti sognano di studiare in Europa

da Tecnica della Scuola

Indire: sempre più studenti sognano di studiare in Europa
di A.G.
Nel 2012 l’Italia si è confermata tra i primi Paesi per partecipazione al “Lifelong Learning Programme” – di cui fanno parte Comenius ed Erasmus – con circa 10mila candidature. Oltre alle trasferte all’estero, l’apprendimento vi sono pure esperienze virtuali, come i gemellaggi elettronici tra scuole o le community eTwinning, che contano già 200mila iscritti.
Sono e si sentono studenti d’Europa. E sanno che la loro formazione non ha “confini”. Sono un esercito di oltre 36 mila persone, che ogni anno lasciano per un periodo il loro paese per andare all’estero a studiare, lavorare o fare ricerca, aderendo così al “Lifelong Learning Programme” (Llp), il programma di azione europeo nel campo dell’apprendimento permanente. Nel 2012 l’Italia si è confermata tra i primi paesi per partecipazione al programma, con circa 10 mila candidature. La tendenza risulta in crescita rispetto agli anni passati. I dati sono diffusi dall’Indire, che assieme all’Isfol, promuove una serie di workshop sull’istruzione del Terzo millennio nell’ambito del Festival d’Europa di Firenze. Mentre oggi parte della politica e dell’opinione pubblica italiane guardano con riserva verso l’Unione europea del “rigore e dell’austerità”, gli studenti e i giovani lavoratori si dimostrano invece più legati all’idea originaria di Europa unita, un’occasione di crescita e opportunità per tutti. Lo testimoniano i numeri: nel 2008 per aderire al programma Llp si erano candidati 6.073 italiani, nel 2012 erano quasi 10 mila. In crescita tra il 2011 e il 2012 anche il trend delle candidature approvate, che sono passate dal 31% al 33% del totale. Dell’Llp, spiega l’Indire, fanno parte progetti come Comenius ed Erasmus. Grazie a Comenius, “soprannominato l’Erasmus delle superiori”, dal 2007 sono partiti dall’Italia per esperienze di studio all’estero circa 600 alunni, mentre 167 alunni stranieri sono stati ospitati in 43 scuole italiane. In generale, in Europa, sono stati realizzati circa 4 mila partenariati scolastici, all’interno dei quali oltre 80 mila, tra docenti e alunni di tutta Europa, hanno realizzato un’esperienza di mobilità all’estero. Circa 6 mila invece sono state le borse di studio erogate per la formazione in servizio dei docenti. Oltre alle trasferte all’estero, l’apprendimento permanente europeo si traduce anche in esperienza virtuale, attraverso i gemellaggi elettronici tra scuole. La community eTwinning conta oltre 200.000 utenti iscritti, di cui oltre 14 mila solo in Italia, con circa 7.500 progetti approvati e “rappresenta a oggi – osserva l’Indire – l’unica esperienza di networking online di docenti europei estremamente attivo e vivace”.

Tornando all’Erasmus, l’Italia è al quarto posto per mobilità di studenti in uscita, con una crescita annua del 15%. Sempre scorrendo i dati dell’Indire, in generale, in Europa, nel periodo 2007-2012 per studio si sono spostati circa 94.600 studenti, per placement circa 9.600. Negli ultimi 5 anni il placement Erasmus ha registrato una crescita consistente: nell’anno accademico 2011/2012 l’incremento del numero degli studenti in mobilità è stato del 31,7%, contribuendo alla mobilità Erasmus per il 12,7%, in netta crescita rispetto al 4,4% del 2007/2008.

Le province insistono: basta burocrazia, servono risorse!

da Tecnica della Scuola

Le province insistono: basta burocrazia, servono risorse!
di A.G.
Controreplica del presidente Upi Saitta al capo dipartimento Stellacci: noi negli ultimi cinque anni abbiamo dato alle scuole 8 miliardi per il funzionamento e 2,4 miliardi per nuovi edifici. Dallo Stato non è arrivato un euro. Anzi: la spending review ha penalizzato utenze e funzionamento. Non ci si meravigli se poi ci sono tante palestre scolastiche in stato di abbandono. Il sostegno di Cittadinanzattiva.
Stavolta le province non si sono limitate alla denuncia. Dopo aver lanciato l’allarme sull’avvio del prossimo anno scolastico, attraverso il presidente Upi, Antonio Saitta, che ha parlato di tagli derivanti dal patto di stabilità che ad oggi hanno limitato gli interventi di circa il 60% rispetto a quelli previsti, era arrivata la replica del capo dipartimento Miur, Lucrezia Stellacci: l’alta dirigente ministeriale aveva ammesso la presenza di alcune difficoltà, ma anche avuto da ridire sulla dura presa di posizione dell’Upi, definita un’esagerazione.
La controreplica di Saitta non ha tardato ad arrivare. “Per affrontare con determinazione l’emergenza scuola – ha detto il presidente Upi – non servono risposte burocratiche: serve un impegno politico serio e la determinazione di tutti a volere risolvere l’allarme che è reale. Le Province ricevono ogni giorno segnalazioni dai presidi, dagli studenti, dal personale delle scuole, che chiedono giustamente – ha aggiunto Saitta – di poter lavorare in un ambiente sano, sicuro e accogliente. Rispondere a questa emergenza con la burocrazia equivale a decidere di non volere affrontare il problema. Noi non siamo più disposti a rispondere ai nostri cittadini facendoci scudo dietro la burocrazia: la scuola merita l’impegno di tutti. Ci auguriamo – conclude – che anche il Governo sia della stessa opinione”.
Qualche minuto prima che arrivasse la risposta della Stellacci, il presidente delle province italiane aveva anche fornito una serie di cifre a sostegno della sua teoria allarmistica: “il Governo attraverso il presidente del Consiglio – ha spiegato sempre Saitta – rilancia l’utilità dello sport ma non fa nulla per evitare la chiusura di 1.000 palestre, che nel frattempo hanno dovuto azzerare la propria attività per poter operare i risparmi necessari per evitare il taglio di risorse sulle spese degli istituti scolastici”.
Attualmente le Province gestiscono oltre 4.000 palestre, affidate in genere in orari extrascolastici ad associazioni sportive per favorire la diffusione della pratica sportiva a tutta la comunità a costi contenuti. “Ha fatto bene il premier Letta quando nel suo discorso per la fiducia alla Camera ha ricordato che ‘la pratica dello sport significa prevenzione delle malattie, lotta contro l’obesità, formazione a stili di vita sani, lealtà e rispetto delle regole e quindi dobbiamo impegnarci per diffondere la pratica sportiva sin dalle scuole elementari con un piano di edilizia scolastica su tutto il territorio nazionale. Ma poi – ha esortato Saitta – bisogna agire di conseguenza”. La chiusura delle palestre è dovuta principalmente, ha ricordato il leader delle Province, ai tagli imposti dalla spending review, che interviene principalmente sul pagamento delle utenze e delle spese di funzionamento.
L’Upi ha quindi fornito delle cifre sulle risorse fornite alla scuola negli ultimi cinque anni. Secondo questo dossier, dal 2008 al 2012 le Province hanno destinato alle scuole 10,4 miliardi di euro, di cui 8 per il loro funzionamento e 2,4 miliardi per investimenti in nuovi edifici, messa in sicurezza e interventi strutturali. Per Saitta, nello stesso periodo “il governo ha destinato agli interventi e alla messa in sicurezza delle scuole zero euro”. Nello stesso periodo le manovre economiche hanno tagliato i bilanci delle Province di 1 miliardo e 779 milioni, riducendo la spesa per il funzionamento delle scuole gestite dagli Enti di oltre 434,5 milioni di euro, vale a dire del 24%. Inoltre, sempre dal 2008 al 2012, le Province hanno dovuto fare i conti con un patto di stabilità pari a 2 miliardi e 700 milioni, vincoli che hanno ridotto la spesa per investimenti del 52%, a 366,7 milioni. “Ma nonostante i tagli e i vincoli del patto di stabilità nel 2012 le Province hanno continuato a destinare il 18% dei propri bilanci alle funzioni per scuole”.

In serata, la posizione delle province è stata sostenuta da Cittadinanzattiva. “Condividiamo l’allarme lanciato dal presidente dell’Upi Antonio Saitta. I dati forniti sulla sicurezza degli edifici e sulla situazione delle palestre sono verosimili: si parla di rischio riapertura di 400 scuole su 5.179 e da anni sosteniamo, a seguito dei monitoraggio della campagna ‘Impararesicuri’, che una scuola su dieci è in condizioni pessime”, ha detto Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale della scuola di Cittadinanzattiva. “La risposta del capo dipartimento del Miur, Lucrezia Stellacci, ci pare dettata – ha aggiunto Bizzarri – da una scarsa consapevolezza della gravità della situazione e dalla mancanza di una programmazione puntuale degli interventi da attuare per la sicurezza delle nostre scuole. Una logica da ‘mettere le toppe’ non più accettabile. Al Ministero chiediamo di prendere in considerazione le proposte che da qualche settimana abbiamo lanciato con ‘La scuola che vorrei’, già sottoscritte da numerose scuole. L’allentamento del patto di stabilità per gli interventi di edilizia scolastica più urgenti – conclude l’esponente di Cittadinanzattiva – e la previsione, come proposto dall’Upi, di un piano straordinario triennale di almeno 1 miliardo di euro l’anno: sarebbero queste le prime risposte immediate che vorremmo avere dal Ministro”.

Stellacci (Miur), nessun rischio per avvio anno

da Tecnica della Scuola

Stellacci (Miur), nessun rischio per avvio anno
Dopo l’allarme di Antonio Saitta, presidente dell’Unione delle Province d’Italia, secondo cui l’inizio del prossimo anno scolastico è a rischio per causa della spending review e del patto di stabilità, il Miur risponde con il capo dipartimento istruzione, Stellacci
”Un allarme analogo – ricorda Stellacci – fu lanciato dalle province l’anno scorso, negli stessi tempi. E ora rispondiamo come allora. Fermo restando che tutte le spese per la scuola, per l’istruzione, dovrebbero essere escluse dal Patto di stabilità – afferma – e che siamo assolutamente d’accordo con le province nel ritenere la sicurezza degli edifici scolastici di primaria importanza, la situazione di 400 istituti non mette in pericolo la normale apertura dell’anno scolastico e l’avvio delle lezioni. Sono pochissimi rispetto ai 100.000 edifici scolastici esistenti. E, comunque, se ci sono strutture dove non è possibile fare interventi di manutenzione, gli studenti verranno spostati altrove, in aule e stabili sicuri. Non e’ certo il primo anno che le province non riescono, per motivi anche diversi da quello denunciato, a fare interventi necessari a garantire la sicurezza e sempre e’ stata trovata una soluzione. In ogni caso l’avvio regolare dell’anno scolastico dipende dal personale – insegnanti, bidelli ecc…- e quello lo assegniamo noi”. ”Con questo – conclude il capo dipartimento istruzione – non è che voglio dire che tutto va bene e funziona a meraviglia, ma l’allarme delle province mi pare eccessivo”

Dirigenti scolastici ed insegnanti in Europa a confronto

da Tecnica della Scuola

Dirigenti scolastici ed insegnanti in Europa a confronto
di Lara La Gatta
Secondo il nuova rapporto di Eurydice il 50% dei paesi europei non ha ancora programmi di inserimento e formazione in ingresso per i docenti neo-assunti. E per diventare capo d’istituto è generalmente sufficiente un’esperienza d’insegnamento di 5 anni.
Key Data on Teachers and School Leaders in Europe – 2013” (Cifre chiave su insegnanti e dirigenti scolastici in Europa) è il titolo del nuovo rapporto di Eurydice che mette a confronto 62 indicatori su insegnanti e capi di istituto, dal livello preprimario al livello secondario superiore, di 32 paesi comprendenti i 27 stati membri, la Croazia, l’Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia e la Turchia.
I dati riguardano le seguenti aree tematiche: formazione iniziale dei docenti e misure di sostegno all’inizio di carriera; reclutamento, datori di lavoro e contratti; sviluppo professionale continuo e mobilità; condizioni di lavoro e retribuzioni, livelli di autonomia e responsabilità di insegnanti e capi di istituto.
Il rapporto contiene dati statistici e informazioni qualitative forniti dalla rete Eurydice, dati Eurostat ed anche alcuni dati tratti dalle indagini internazionali TALIS 2008, PISA 2009 e TIMMS 2011.
Tra i vari aspetti analizzati, la formazione per i futuri docenti. Per diventare insegnanti, in media, è necessario studiare tra i 4 e 5 anni. Per insegnare al livello pre-primario, primario e secondario inferiore è sufficiente un diploma di istruzione superiore di primo livello, mentre nella maggioranza dei paesi solo gli studenti che vogliono insegnare a livello secondario superiore devono studiare fino al diploma di istruzione superiore di secondo livello (master).
Una volta diventati insegnanti, solo la metà dei paesi europei ha programmi di inserimento e formazione in ingresso per i docenti neo-assunti. Tra questi l’Italia, dove programmi di formazione e inserimento alla professione docente sono obbligatori.
Per quanto riguarda invece i capi d’istituto, ad un insegnante che volesse avanzare alla posizione è generalmente richiesta un’esperienza di insegnamento di 5 anni, sebbene in molti paesi siano richiesti ulteriori requisiti, quali il possesso di un’esperienza amministrativa o aver ricevuto una specifica formazione per dirigenti. Come per i docenti, anche per i Dirigenti scolastici sono previsti  quasi ovunque programmi di formazione.

Il Pdl regala la cultura alla sinistra?

da Tecnica della Scuola

Il Pdl regala la cultura alla sinistra?
di Pasquale Almirante
Un articolo su “Il Giornale” rimprovera al Pdl di avere lasciato il Miur in mano alla sinistra e a cui fa eco l’on Centemero:“ abbiamo perso il coraggio di quelle riforme per vedere crescere i giovani grazie ai frutti del nostro lavoro”. Eppure il Miur, in 10 anni, per 8 è stato gestito dal Pdl
Un articolo su Il Giornale lamenta che il Pdl abbia lasciato alla sinistra l’egemonia della cultura, considerato che nel nuovo governo il dicastero del Miur sia andato a Maria Chiara Carrozza, del Pd, mentre i dei tre sottosegretari solo uno è della destra, nella persona di Gabriele Toccafondi, dirigente di cooperativa ed ex deputato del Pdl. A questa riflessione fa immediatamente eco una nota dell’on. Elena Cetemero, responsabile scuola del Pdl, per la quale il Popolo della libertà non sarebbe riuscito “ad assolvere come avrebbe dovuto e potuto fare, un compito importante, cioè quello di farsi interprete di un modo di concepire la scuola e la cultura improntate alla libertà di scelta, alla sussidiarietà, al mercato, alla qualità”. Una lagnanza che potrebbe essere legittima se si scorda che negli ultimi dieci anni, ben otto sono stati egemonizzati al Miur proprio dal Pdl nelle persone dei ministri: Letizia Moratti e Maria Stella Gelmini e solo due dal Pd, con Giuseppe Fioroni. E sono stati otto anni contrassegnati solo da tagli, da licenziamenti, da classi pollaio, mentre le cosiddette riforme hanno avuto il solo obiettivo di umiliare insegnamenti, classi di concorso, docenti, mentre il punto più basso subito dal merito si ebbe allorché Moratti volle agli esami di stato che la commissione esaminatrice coincidesse col consiglio di classe e un solo presidente esterno per una intera scuola, insieme al mancato recupero dei debiti accumulati dagli alunni nel corso degli anni. Ma non solo. Le grandi strategie di Gelmini hanno avuto come risultato, relativamente alla valutazione e al merito, quello di implementare qualche sperimentazione per valutare docenti, per un verso, e scuole, per l’altro, a cui quasi tutti gli istituti scelti opposero un secco rifiuto e dei cui esiti, delle scuole che vi aderirono per amore di pace, ancora oggi nulla è dato sapere. Sia il Giornale dunque e sia l’on. Centemero dimenticano anche le accuse di fannullonismo, ignoranza, neghittosità, di “inculcatori di idee della sinistra” che durante i governi di centrodestra presero i docenti da parte di loro esponenti illustri, Berlusconi compreso, insieme al blocco del contratto di lavoro, gli aumenti salariali, gli scatti settennali, agli accorpamenti e ai dimensionamenti, mentre il ministro del tesoro, Giulio Tremonti, sibilava che “la cultura non dà da mangiare” e che la scuola non era “l’ufficio di collocamento” per gli oltre 150mila precari chiamati a tenere in vita l’istruzione italiana ma sbattuti a casa quando non c’era più bisogno di loro. Un lamento quindi peloso, considerati gli anni di gestione del centro destra della scuola e considerate pure le scelte fatte, comprese quelle di consentire alle scuole la chiamata diretta dei docenti messa in campo dalla Regione Lombardia ma che la Consulta ha dichiarato “incostituzionale”. Non si tratta dunque di regalare la cultura alla sinistra o a un partito politico, si tratta di vedere cosa si intende fare della scuola e dell’istruzione, se si intende seguire il dettato costituzionale o stravolgerlo, implementando, così come ha chiesto la stessa on Centemero, la cosiddetta libertà di educazione che in altri termini significa umiliare la libertà di insegnamento, creare scuole con ognuna una propria caratteristica culturale e ideologica, visto che una libertà di educazione “atea” può configgere con una libertà di educazione “confessionale” e col rischio anche di creare scuole ghetto, per poveri e immigrati, e scuole di elite, per possidenti. “Tocca proprio al Popolo della libertà riequilibrare le forze in campo e sdoganare nelle stanze della burocrazia ministeriale termini come «merito», «competizione», «mercato», «sussidiarietà», dice ancora Il Giornale, ma non se ne capisce il significato se ricordiamo la corsa dei neutrini sotto il tunnel alla conquista del merito appollaiato nei concorsi calabresi. La riflessione più ovvia che ci viene, leggendo quanto scrive il quotidiano, è quella di una assillante volontà a smantellare la scuola pubblica, a deprivarla delle sue ricchezze e delle sue possibili glorie future, senza tenere conto che se si riuscisse finalmente a ragionare non già per ideologie, né per partito, né per interesse economico ma solo per il bene di questa nazione, forse almeno sul versante della istruzione si potrebbe riuscire a trovare una unità condivisa e stabile sui banchi del sapere, della educazione, della cittadinanza.

Stipendi supplenti: in pagamento il 10 maggio

da Tecnica della Scuola

Stipendi supplenti: in pagamento il 10 maggio
Il MIUR ha predisposto, comunica la Flc-Cgil, i caricamenti degli importi dei contratti immessi al sistema entro il 28 aprile 2013. Ciò vuol dire che fino a tale data è garantito il pagamento degli stipendi dei supplenti, con decorrenza 10 maggio 2013
Le scuole, sulla base del loro budget, possono continuare pagare anche dopo il 28 aprile a condizione che inseriscano i dati entro il 10 maggio. Forse si conclude senza sorteggio la strana vicenda dei sorteggi che sta coinvolgendo tante scuole

Docenti inidonei: appello della Flc-Cgil

da Tecnica della Scuola

Docenti inidonei: appello della Flc-Cgil
di L.F.
Sul tema dei docenti inidonei che che devono transitare nei ruoli Ata la Flc-Cgil scrive una lettera appello al Governo chiedendo di intervenire per una modifica alla legge in vigore
Sul sito nazionale della Flc Cgil è stata pubblicata una lettera appello, a firma Mimmo Pantaleo, sulla vergognosa questione che vede coinvolti qualche migliaio di docenti inidonei all’insegnamento per gravi motivi di salute. Questa lettera-appello è stata indirizzata, dal Segretario nazionale della Flc Cgil, ai ministri dell’Istruzione, dell’Economia e della Funzione Pubblica, appena insediati al governo, per chiedere l’abrogazione del vergognoso decreto firmato dell’ex ministro Profumo, alla vigilia delle sue dimissioni, per il transito forzato dei docenti inidonei e degli insegnanti tecnico pratici titolari nelle classi di concorso C999 e C555 nei ruoli ATA. Con questa lettera si invita l’intero parlamento a meditare seriamente sull’abrogazione di questa legge, in ottemperanza ad un ordine del giorno approvato recentemente dal parlamento della scorsa legislatura, ed a farsi carico della soluzione dei problemi di questi docenti, nell’interesse non solo degli stessi, ma anche nell’interesse di tutta la scuola. In questa lettera dove si ricorda l’atto discriminatorio e vessatorio riguardo il provvedimento di deportazione dei docenti inidonei all’insegnamento, verso mansioni inferiori e ignote professionalmente, la Flc Cgil sottolinea l’ingiustizia ed illegittimità prevista dall’art. 14 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95. Quindi si appella al Parlamento e al nuovo Governo affinché tale norma venga cancellata e venga ritirato il decreto attuativo di tale disposizione. Mimmo Pantaleo al termine della lettera auspica che il Parlamento e i Ministri affrontino tale vicenda nell’interesse della qualità della scuola statale e dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte.

Stellacci (Miur), da Province allarme eccessivo

da tuttoscuola.com

Stellacci (Miur), da Province allarme eccessivo 

“Nessun rischio per l’avvio del prossimo anno scolastico”. Lucrezia Stellacci,  capo dipartimento del ministero dell’istruzione, smorza l’allarme lanciato oggi dall’Upi secondo cui molti istituti non potranno inaugurare nel prossimo autunno le attività a causa del patto di stabilità e dei tagli.

“Dalle province è arrivato un allarme eccessivo”, afferma la dirigente di viale Trastevere spiegando che  il regolare avvio delle lezioni “dipende dal personale della scuola. E quello lo assegniamo noi”.

Stellacci ricorda che un allarme analogo fu lanciato dalle province l’anno scorso, negli stessi tempi, e che la risposta resta la stessa: “Fermo restando che tutte le spese per la scuola, per l’istruzione, dovrebbero essere escluse dal Patto di stabilità – afferma – e che siamo assolutamente d’accordo con le province nel ritenere la sicurezza degli edifici scolastici di primaria importanza, la situazione di 400 istituti non mette in pericolo la normale apertura dell’anno scolastico e l’avvio delle lezioni. Sono pochissimi rispetto ai 100.000 edifici scolastici esistenti. E, comunque, se ci sono strutture dove non è possibile fare interventi di manutenzione, gli studenti verranno spostati altrove, in aule e stabili sicuri”.

Ciò premesso, conclude il capo dipartimento “non è che voglio dire che tutto va bene e funziona a meraviglia, ma l’allarme delle province mi pare eccessivo’”. 

Non ci sta il presidente dell’Upi Antonio Saitta, che così replica alle rassicurazioni del Ministero dell’Istruzione: “Per affrontare con determinazione l’emergenza scuola non servono risposte burocratiche: serve un impegno politico serio e la determinazione di tutti a volere risolvere l’allarme che è reale”.

Per Marco Rossi Doria, i test Invalsi ”sono migliorabili”

da tuttoscuola.com

Per Marco Rossi Doria, i test Invalsi ”sono migliorabili”

I test Invalsi “servono per valutare punti di forza e debolezza del nostro sistema: sono dei misuratori, ma sono sempre meno quiz e sempre più test che permettono di capire la vera competenza, poi naturalmente tutto è migliorabile”. Così Marco  Rossi Doria, riconfermato Sottosegretario all’Istruzione, questa mattina ai microfoni di radio Città Futura, ha commentato i test Invalsi che hanno scatenato polemiche all’interno della scuola.

Anche io sono preoccupato se diventano un metodo astratto oltre che sull’aspetto della preparazione al test – ha proseguito Rossi Doria – ma penso che se il Governo riuscisse a rispostare un po’ di investimenti verso la scuola si potrebbero utilizzare per migliorarli, fare un grande dibattito con i docenti e al contempo allocare le risorse lì dove è più necessario”.

Per le Province, l’apertura del nuovo anno scolastico è a rischio

da tuttoscuola.com

Per le Province, l’apertura del nuovo anno scolastico è a rischio

A rischio l’apertura del nuovo anno scolastico: l’allarme, per la verità non nuovo ormai, lo ha lanciato il presidente dell’Upi Antonio Saitta, secondo il quale “molti istituti non potranno inaugurare nel prossimo autunno le attività a causa del patto di stabilità e dei tagli imposti dalla spending review”.

Secondo una rilevazione effettuata dalle province riguardante il piano programmatico delle opere scolastiche, gli enti nel 2013 avevano definito gli impegni di spesa per gli investimenti nelle scuole pari a 727,9 milioni di euro.

A causa dei tagli imposti e degli obiettivi del patto di stabilità, che – ha sottolineato il presidente dell’Upi Antonio Saitta – stanno azzerando la capacità di programmazione in opere e infrastrutture, le province sono state costrette a ridurre gli impegni di 513,2 milioni di euro”. Pertanto, ha aggiunto, “potranno essere realizzate nel corso di quest’anno opere per un ammontare complessivo di soli 212 milioni di euro”.