MIUR travolto in Sicilia dal Pettine

MIUR travolto in Sicilia dal Pettine ANIEF: altre cinque immissioni in ruolo riconosciute ai nostri iscritti

 

Inarrestabili le vittorie ANIEF in tribunale contro le “code della vergogna”. Anche i Giudici del Lavoro di Catania e Messina si uniformano all’univoca giurisprudenza ottenuta in materia dagli Avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli e accolgono in toto le richieste dei nostri legali: altre cinque immissioni in ruolo decretate per altrettanti nostri iscritti e MIUR, sempre soccombente, condannato al pagamento di 8.000 Euro di spese di giudizio.

 

Presso il Tribunale Messina l’Avv. Emilio Magro – che con impegno e professionalità si occupa dei nostri iscritti sul territorio – ottiene dal Giudice pieno accoglimento delle tesi portate avanti dall’ANIEF e l’ulteriore conferma che il MIUR nelle graduatorie 2009/2011 ha compiuto un atto illegittimo. Richiamando i precedenti positivi già ottenuti dagli stessi avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli presso i Tribunali di Torino e di Palermo, il Giudice chiarisce ancora una volta al MIUR che quello della nostra iscritta è un diritto pieno e perfetto e che non può assumere alcun rilievo sulla posizione della ricorrente l’eventuale posizionamento in graduatoria di altri pretendenti. Costatando che “quest’ultima ha pienamente assolto l’onere probatorio su di essa incombente”, avendo dimostrato che l’Amministrazione aveva assunto docenti in possesso di un punteggio inferiore rispetto al suo, il Giudice ha condannato il MIUR all’immediata immissione in ruolo della nostra iscritta e a 1.800 Euro di spese di lite.

 

Stesso importantissimo successo viene raggiunto dall’ANIEF presso il Tribunale di Catania: grazie all’ottimo operato dell’Avv. Antonio Chiarenza, infatti, il Giudice del Lavoro di questa provincia per la prima volta si esprime sulla “questione pettine” ed emana quattro sentenze di pieno accoglimento che permetteranno ad altrettanti iscritti ANIEF di poter finalmente stipulare quel contratto a tempo indeterminato che il MIUR aveva loro negato inserendoli in coda nelle graduatorie 2009/2010. La condanna alle spese del MIUR, sempre soccombente, ammonta a complessivi 6.280 Euro.

 

Altri due tribunali del lavoro, dunque, sposano in pieno le tesi dell’ANIEF e confermano l’illegittimità dell’operato del MIUR nelle graduatorie 2009/2011. Ancora una volta i docenti che si sono affidati con fiducia al nostro sindacato per veder riconosciuto il proprio diritto all’immissione in ruolo in base al merito nelle graduatorie 2009/2011, hanno ottenuto ragione e potranno finalmente stipulare quel contratto a tempo indeterminato che il Ministero dell’istruzione si ostinava a negare loro.

Con-correre al futuro

Con-correre al futuro:
bellezza e produttività del pensare e del far scuola pensando

di Gabriele Boselli 

 

Confidare che siano il pensiero e il cuore a dirigere gli eventi, non il solo caso e la forza

 

Urgenze e contingenze, necessità ineludibili e assurdità sistemiche, adempimenti burocratici e prove INVALSI ci coinvolgono spesso al punto di non lasciarci pensare alle cose che valgono davvero. Il sentire e il pensare sono schiacciati sul momento, lo sguardo è corto, il pensiero non va molto più lontano e scaviamo buche per riempirle. Non è questo il compito di chi, insegnanti, dirigenti o ispettori, ha per professione il pensare: le scuole, le università e i centri di ricerca dovrebbero essenzialmente insegnare a pensare e lasciar pensare nelle forme antiche come in quelle necessariamente nuove che il mondo dominante e quello emergente e insorgente richiedono. Insegnino la “fatica del concetto” come la gioia della pura attività del conoscere, a leggere del piacere e della sofferenza del costruire. Siano luoghi di formazione sul pensare ri-assuntivo, produttivo e auspicabilmente anche creativo, dunque “bello”.

Se molte istituzioni pubbliche e private e numerosi singoli intellettualmente autonomi lavorano per un pensiero libero, critico e creativo, d’altro lato il sistema informativo globale, nel baricentro assiologico di internet e dei media in genere, fa sì che grandi masse di umanità si smarriscano nella rumorosa ed escludente narrazione del tardo moderno. Troppi finiscono così per perdere coscienza di sé, non acquisendo autentica (scientificamente personale e fondata) conoscenza del mondo; si allontanano da ogni percezione pur indeterminata della sterminata estensione dell’ignoto e della gravità/levità del mistero.

Non riusciamo a educare nel senso di “trar via da…”: dalle favole tardomoderne del profitto, dell’efficienza, dell’efficacia come valori assoluti, dal non-pensiero; mancano desiderio e coraggio per nuotare entro le correnti di senso del pensare occidentale nel loro incontrarsi con pensari di altra origine.

 

Pro-tensione

 

TV, internet e stampa di massa (quella che eccede le 500 copie) presentano agli spettatori-non-lettori un quadro di conoscenze epi-stemico, che “siede”, o pretende di farlo, sopra il fluire degli eventi e dell’attività rappresentatrice dei soggetti individuali e collettivi. Produce e stratifica conoscenze come sospese dal complesso e mutevole campo intenzionale delle soggettualità come dalla pluralità e dalla mutevolezza delle pro-tensioni verso l’alterità. Come dire, prosaicamente: il sapere è fatto e confezionato, prendi su com’è, ricorda e porta a casa.

Credo di poter rilevare come ogni atto di conoscenza -e ogni conoscenza intesa come stratificazione storica di conoscenze, ogni disciplina- derivi in ciascuno di noi da proprie radici e dal proprio ambiente; che sia partigiano, intenzionato e intenzionante. Soprattutto lo sia quando sussista l’ingenua convinzione di esser di fronte alla “cosa in sé” (per lo stato mentale che pone un fenomeno rappresentativo in rapporto a un contenuto, invero, a mio avviso, costituito essenzialmente da una direzione verso un oggetto e poco d’altro) l’atteggiamento epistemico ma non epistemologico fa smarrire coscienza e conoscenza. Negli atti di conoscenza “ingenui” tale oggetto potrà essere o no “reale”; esso è inizialmente percepito non come “la cosa così come rappresentata” ma “la cosa”, la verità incontrovertibile; poi –se andrà bene- verrà la consapevolezza del suo essere solo un epifenomeno variamente connesso al reale.

L’intenzionalità è tendersi verso l’oggetto su di una linea di trascendimento; nel trascendersi il soggetto non può lasciare indietro se stesso ma senza l’atto del trascendersi un se stesso autentico o l’autoconoscenza di una costellazione culturale non possono nemmeno avere autenticamente luogo.

Ma il problema è: quanto l’intenzionalità che crediamo di avere è propria del nostro io e del nostro variamente esteso noi? Quanto una cultura sa di sé e delle condizioni del suo pro-tendersi verso un proprio sapere del campo oggettuale? Ci tendiamo a qualcosa/qualcuno che in effetti ci attende o a un ectoplasma proiettato sulla parete, magari dalle macchine da proiezione dei signori del mondo?

Ad esempio la didattica tardomoderna di sistema (quella che prescinde dai Maestri e dalle Costellazioni culturali ) pretende di fatto che il soggetto dimentichi se stesso per apprendere senz’altro la verità senza soggetto di discipline senza Maestro e senza Discepolo e risponda intenzionalmente non con il prodotto del proprio pensare ma con la ripetizione di quanto pensato da coloro che compilano i non-testi dei test. Una risposta critica o creativa, per sistemi di valutazione come INVALSI od OCSE-PISA, è una risposta sbagliata: quella che vale è l’intenzionalità sistemica. I processi di valutazione sistemici rafforzano un certo tipo di pensiero, quello conformistico, ripetitivo, applicativo; forme di pensiero sempre utili, ma più al sistema committente che al soggetto.

Certo, in fenomenologia la soggettualità è resa altra da ogni oggetto e ogni oggetto è alterato da ogni soggetto; tutto è variamente in-teso da tutto. Non vi è nulla di immediato e ogni atto richiederà la fatica della liberazione dall’indichiarata intenzionalità ambientale, attraverserà pericolosamente e faticosamente un complesso e insidioso terreno di indichiarate e “oggettive” mediazioni anonime.

 

Dis-trarsi dalla chiacchiera

 

L’evidenza accessibile alle masse è prevalentemente quel che deriva dalla manipolazione, un trucco del non-pensiero sistemico per le sue masse-bersaglio. Il sistema informativo globale insegna e rappresenta e soprattutto usa quotidianamente il mito dell’evidenza. Contro le ultime “scuole del sospetto” si tratta di far credere che l’oggetto A, B o C si autodia e si automanifesti originalmente e immediatamente alla visione della coscienza: “l’ho visto in televisione!” o su internet. Le discipline scientifiche e scolastiche sarebbero mere prese d’atto di quel che assolutamente sta; specie da quando la realtà virtuale delle lavagne pseudo-interattive porta i meno provveduti, i meno dotati di capacità critiche, a credere che la realtà rappresentata sia il reale. Saranno rinchiusi a doppia mandata nella caverna platonica.

Nella tradizione idealistica e fenomenologica in cui mi riconosco, l’evidenza non è data assolutamente, si coglie attraverso atti di limitata e parziale riduzione dell’accidentale. Non è nel porsi/imporsi della cosa in sé ma il frutto faticoso di un’attiva azione di apertura al più possibile diretto ma sempre curvato e sfuggente mostrarsi dei fenomeni. E’ aperto all’evidenza l’atto del lasciare che ciò che si manifesta sia (il più possibile) autenticamente visibile, possa divenirlo con il minimo di interventi esterni al soggetto che conduce le operazioni conoscitive. Proporre scientificamente e pedagogicamente qualcosa come evidente comporta sempre, a mio avviso, il dovere della presentazione delle cose negli esplicitati limiti del loro incontrarsi con il soggetto; è discorrerne al congiuntivo. Il lasciar-vedere si sviluppa nel  lasciar essere, nel  costruire un orizzonte di attesa che il soggetto avverta come chiamata a esperire se stesso nel duro confronto con scenari di evidenze senza consistenza, e di evidenze più consistenti, dove però mai l’evidenza sia posta come indipendente dall’ambiente, dal momento storico e dal soggetto che l’avverte e/o la presenta come tale.

L’oggettività del mondo dei saperi istituzionalizzati –l’inestinguibile mito positivistico- non è l’in-sé e il per-sé; è inverabile (criticabile) come l’esser oggetto di operazioni di umana coscienza; fuori di questa non vi sono altri oggetti. Nessuno –credo- ha mai pensato sul serio all’io come creatore della realtà; troppi hanno invece pensato, non sempre con l’orrore necessario, a una “realtà” creatrice dell’io dal nulla. Nella mia visione della fenomenologia l’io/noi è il punto di prospettiva da cui il mondo è configurabile e ogni io ordina i fenomeni secondo le forme dell’intersoggettività e gli statuti disciplinari. Questo è costituire (meglio forse ri-costituire) autenticamente il mondo.

 

Mutazioni

 

Il futuro dell’essere è già vigorosamente cominciato e occorre ben disporsi e proporsi per in-tenderlo, preparandoci anche a una diversa concezione di quel che vale così come posta dalle nuove vicende politiche, economiche e tecnologiche dell’idea. Per un buon futuro personale e collettivo dobbiamo pensare criticamente e creativamente e tener conto di cosa il pensare e il conoscere significhino oggi: le direzioni di senso del pensare come i contenuti e le stesse categorie classiche della conoscenza umana stanno mutando nel nuovo mondo globalizzato e informatizzato, con radicalità e velocità assai maggiori che nel tempo della pura parola o della comunicazione pre-elettronica. I modi e gli schemi in cui veniva rappresentato e ordinato il personale e collettivo vissuto del mondo e progettato il nostro intervenirvi (categorie di soggetto, oggetto, causa, fine, tempo, spazio) stanno divenendo altro. Quelli delle istituzioni economiche e politiche (categorie di territorio, autorità, diritti, efficacia) forse ancora di più, essendo ancor più massicciamente connessi alla globalizzazione.

C’e una nuova “crisi delle scienze europee”, di tipo diverso da quello husserliano, secondaria alla nuova distribuzione dell’economia e della comunicazione politica. Sono entrate in crisi anche le concezioni di spazio, tempo, causa, fine, autorità, diritti, da sempre elementi essenziali dello costruzione dello scenario pedagogico.

La ricerca scolastica e accademica deve pertanto ripensare non solo i contenuti della conoscenza ma anche le tradizionali strutture portanti delle discipline, operare scarti dalle direzioni di senso tradizionali della visione europea del mondo. Preparare a pensare in forme nuove il nuovo mondo.

Nuovi atti ideali, nuovi assemblaggi e disassemblaggi di tradizioni epistemiche ed epistemologiche, concetti altri di autorità e di diritto si formano a livello globale, nazionale e subnazionale, tutti variamente connessi nella complessità dell’universo globale di questo “esperimento naturale” (Sassen) che è la storia. Nella disarticolazione delle costellazioni valoriali, gravità e mondi di vita singolari prevalgono sui tradizionali assetti assiologici ed è difficile pervenire od attuare princìpi condivisi. La teleologia dell’educazione e dell’istruzione deve allora sforzarsi di arricchire il soggetto di quella forza autentica che può farlo aprire all’Intero senza perdere singolarità e volto.

Chi è nell’istruzione o nella ricerca deve operare non solo ex cathedra o in laboratorio ma muoversi nei plurali e pluristratificati mondi della vita politica, morale ed economica. Le strutture istituzionali andranno profondamente ripensate: la tendenza allo svuotamento dello Stato nazionale e della sua capacità di imposizione fiscale priva infatti il sistema/costellazione dell’istruzione e della ricerca di parte rilevante delle sue giustificazioni giuridiche e delle sue basi materiali. Altrimenti la scuola potrebbe scomparire e la ricerca essere condotta solo su obiettivi a breve termine e rapida resa.

Certo, l’istruzione sarà sempre più slegata da luoghi fisici e riferimenti nazionali e locali e sempre più su un mercato globale che prescinde dalle identità, dai tradizionalismi come purtroppo anche dalle tradizioni, dalle memorie e dalle intenzionalità nazionali.

Gli enti sovranazionali sono per ora estremamente deboli e non hanno capacità di orientamento delle economie dei servizi sociali e della scuola. Una coscienza e un impegno politico dei lavoratori della scuola –uniti a una intelligenza fenomenologica ed ermeneutica delle loro élites- sono condizione per la difesa e la conquista dei propri spazi, mezzi e diritti.

Ad es. una nuova geografia, caratterizzata da estrema compressione, distensione e giocabilità dello spazio/tempo, sta nascendo sopra le carte geografiche che abbiamo studiato. Altro esempio: la virtualizzazione del denaro e la sua creazione più o meno truffaldina (hedge funds, futures, ghost banking….) e la ridislocazione di grandi masse di ricchezza a livello internazionale e interno hanno creato forti disagi o agi in rapporto alla collocazione dei soggetti nelle direzioni di flusso. Entrambi i fenomeni sono accentuati anche a seconda di come vengono capiti e affrontati e della capacità di cambiamento e riposizionamento competitivo dei singoli e delle organizzazioni.  Anche di quelle aventi per scopo istruzione e ricerca sono costrette a rispondere alla domanda sul quantum di resa a breve.

Per essere in sintonia con i mutamenti della scienza, dell’economia e dell’etica occorre difendersi dal non-pensiero, seguire la trasformazione del conoscere e possibilmente anticiparne le tappe. Vince chi sa farlo, se ha fortuna; o almeno si salva.

 

Primato dell’ideazione e della speranza, sol dell’avvenire

 

Sono un socialista e dunque credo nel “sol dell’avvenire” e che nell’avvenire le giornate di sole siano più di quelle di tempo cattivo. Per questo cerco di difendermi dalla rappresentazione mediatica del mondo e dalla sua versione per le scuole:  queste ci porterebbero a pensare che la storia proceda per una mera “naturale” meccanica degli eventi basata sul disordine/ordine dell’economia e che l’umanità (lo spirito che s’incarna in ciascuno di noi) abbia abbandonato la fiducia nella possibilità di decidere in che mondo vivere. Ci si vuol far credere che le idee non valgano e comunque non contino, che siano solo chiacchiere vuote e improduttive, mere sovrastrutture del reale; che solo i fatti materiali operino nella costruzione del futuro; che i destini del mondo dipendano solo dalla forza economica o militare. Che una democrazia autentica –si fa capire- sia impossibile, una scienza in atto e non come sedimentazione di statuti consolidati da ignorarsi poichè eretica e sia invece doveroso rassegnarsi a ripetere i pensieri programmati. Altrimenti il sistema decreta: risposta sbagliata, i giovani più brillanti non entrano nelle facoltà desiderate, gli insegnanti intelligenti e creativi vengono esclusi dai concorsi fin dalle prove preliminari (vedi concorso a DS) o la scuola crolla nelle classifiche INVALSI (Istituto Nazionale Vere Assurdità senza Logica nè Intelligenza).

Non può essere così, non sarà sempre così; o meglio non necessariamente. Se la cronaca deriva dalla contingenza, sono le idee che a lungo termine fanno la storia, anche quella materiale, economica o militare, per non dire di quella politica, civile o religiosa. Un aereo che solca maestoso i cieli poco tempo fa era solo nella mente di Leonardo o di Verne, poi degli ingegneri e dei costruttori; un’impresa economica parte dal volgersi di un sogno di un imprenditore in un progetto, in un fabbricato, in una struttura di relazione. Uno Stato da un’idea.

La storia è essenzialmente (generativamente) una realizzazione della produzione ideale, origine, sintesi e frutto dei miliardi di idee che l’uomo ha concepito nei millenni. E poiché le idee e i sentimenti rientrano nella capacità di pensarle e di sentirli che è in ciascuno di noi e in noi tutti (o quasi) insieme, il futuro –a meno che non ce lo lasciamo portar via- è nostro.

 

 

 

Bibliografia

 

G. Gentile Teoria generale dello spirito come atto puro, letto in Opere filosofiche, Garzanti, 1991

AA VV  La svolta relativistica nell’epistemologia contemporanea, F.Angeli, 1988

I. Mancini Tornino i volti,  Marietti,  1989.

M. Heidegger La svolta,  Il Melangolo, 1990

I. Mancini L’Ethos dell’Occidente, Marietti,  1990

M. Heidegger Seminari, Adelphi, Milano 1992 2.a

C. Magris  Utopia e disincanto. Saggi 1974-1998. Milano, Garzanti 1999

Guido Ceronetti  La fragilità del pensare  Rizzoli, Milano, ’99

E. Husserl, Fenomenologia e teoria della conoscenza, Bompiani, Milano, 2000

S. Sassen Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal Medioevo all’età globale, B. Mondadori, 2008

G. Boselli Non-pensiero. Scenari e volti per un’educazione al pensiero venturo, Erickson, 2008

M. Epis Teologia fondamentale, Queriniana, 2009

R. Esposito Pensiero vivente, Einaudi, 2010

 

Scuola: il digitale [non] può attendere

da L’Espresso

21 luglio 2013

Avvocato del Diavolo di Guido Scorza

Scuola: il digitale [non] può attendere

Settembre 2014 è troppo presto per lo sbarco dei libri digitali nelle scuole italiane.
È questo il pensiero del Ministro dell’Istruzione Anna Maria Carrozza che, nei giorni scorsi, ha incontrato i rappresentanti dell’editoria scolastica e anticipato loro l’intenzione di bloccare l’efficacia del provvedimento con il quale il suo predecessore, Francesco Profumo aveva dettato tempi e modi per la progressiva introduzione degli e-book nelle scuole italiane.
Hanno vinto, dunque, gli editori che nelle scorse settimane avevano trascinato il Ministero davanti ai Giudici amministrativi contestando la legittimità del provvedimento che avrebbe previsto – a loro dire – una troppo rapida digitalizzazione dell’editoria scolastica.
Ed hanno vinto ancora prima che la partita cominciasse perché il Ministro dell’Istruzione ha  detto di voler evitare ogni contenzioso.
«L’accelerazione sui libri digitali – hanno spiegato gli editori – non poggiava su alcuna seria e documentata validazione di carattere pedagogico e culturale, così come non sono state valutate le possibili ricadute sulla salute di bambini e adolescenti esposti a un uso massiccio di apparecchiature tecnologiche».
Ma naturalmente queste sono solo considerazioni di facciata se non balle.
Le uniche vere preoccupazioni degli editori riguardano il loro portafoglio.
Dover mandare al macero tonnellate di carta stampata pensando – in modo tanto miope da lasciare senza parole – che il futuro, in Italia, non sarebbe mai arrivato e doversi adattare a nuovi modelli di business.
Ma il punto non è questo perché la posizione degli editori è assolutamente legittima come legittima è la difesa dei loro bilanci.
Il punto è la decisione del Ministro Carrozza, sbagliata nel metodo prima ancora che nei contenuti.
È inaccettabile, tanto per cominciare, che ad ogni cambio di Governo si ceda all’irresistibile tentazione di disfare tutto quel che è stato fatto da chi c’era prima e che – come in questo caso – un provvedimento adottato un pugno di mesi fa da un Ministro, venga cancellato dal suo successore, all’esito di un procedimento di valutazione più breve di quello che aveva portato all’adozione del provvedimento stesso.
Specie quando certe decisioni riguardano il digitale e la politica dell’Innovazione.
Il Paese è in uno stato di conclamato deficit digitale, inchiodato da anni sul fondo di tutte le classifiche internazionali che misurano il livello di diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione eppure continuiamo a permetterci il lusso – perché di questo si tratta – di giocare con il futuro, facendo un passo avanti e due indietro ad ogni cambio di guardia a Palazzo Chigi.
Un approccio inammissibile da parte di chi è chiamato a gestire, solo temporaneamente, nel superiore interesse generale, la cosa pubblica.
Ma c’è di più.
A quanto consta, infatti, il neo-Ministro dell’Istruzione – che pure è persona straordinariamente competente e di grande spessore scientifico – avrebbe assunto la sua pre-decisione riunendo attorno ad un tavolo solo gli editori scolastici.
Salvo smentite, non c’erano i rappresentanti dei genitori che pure in fatto di formazione dei loro figli forse avrebbero avuto qualcosa da dire, non c’erano le associazioni dei consumatori che certamente avrebbero potuto rappresentare i risparmi stratosferici che l’ebook nelle scuole avrebbe consentito in un momento di crisi economica come questa, non c’erano né gli insegnanti, né gli studenti, come se il loro pensiero non contasse e dovesse necessariamente appiattirsi su quello di Ministro ed editori.
Come dire che si per riscrivere il futuro della scuola, non serve sentire cosa ne pensa chi nella scuola deve viverci, lavorarci e crescerci.
Le questioni di merito, d’altra parte, non appaiono meno rilevanti di quelle di metodo.
«Fermiamo tutto, l’accelerazione impressa all’introduzione dei libri digitali è stata eccessiva – ha detto il Ministro agli editori – voglio prendere in mano la questione ed esaminarla a fondo. Deponete le armi».
Difficile chiamare eccessiva un’accelerazione sulla strada della digitalizzazione in Italia.
Siamo tanto in ritardo che qualsiasi accelerazione può solo produrre effetti positivi e qualsiasi effetto collaterale sarebbe ampiamente giustificato e giustificabile.
Ma sono le ragioni per le quali, secondo il Ministro, l’accelerazione sarebbe stata eccessiva a spiazzare completamente.
Stando a quanto riferito dagli editori, infatti, “Il ministro Carrozza avrebbe scelto di congelare i libri digitali anche perché ha compreso il ritardo infrastrutturale tecnologico della scuola italiana: banda larga, wifi, cose per ora residuali nelle nostre aule.
Ammesso che il ritardo sia davvero così grave, si tratterebbe comunque di un ritardo non legato a doppio filo all’introduzione degli ebook che si leggono anche se internet e, comunque, agevolmente superabile.
Sarebbe, probabilmente, stato auspicabile che il Ministro si preoccupasse di colmare il ritardo rilevato piuttosto che cavalcarlo come alibi per il repentino dietro-front sulla digitalizzazione del pianeta scuola.
Ma non basta.
Il punto è che la scuola è esattamente il canale dal quale occorre partire per alfabetizzare, finalmente, i cittadini all’uso delle nuove tecnologie.
Se si frena anche qui, se si torna indietro, se si rallenta il processo di digitalizzazione solo perché qualcuno rischia di rimetterci dei soldi, possiamo dire addio al futuro del Paese.
E’ dalla scuola che ci aspetta da tempo parte la rivoluzione digitale italiana e, ora, immaginare che parte attraverso i cari e vecchi libri di carta è davvero difficile.
Senza contare – ed uno degli ulteriori elementi per il quale la decisione del Ministro Carrozza è pericolosa e sbagliata – che nessuno potrà impedire agli studenti più fortuati di iniziare ad utilizzare tablet e libri digitali già domani mattina con la conseguenza che, in pochi mesi, avremo studenti di serie A, pronti a confrontarsi con le sfide del futuro e studenti di serie B, condannati a continuare a studiare come i loro padri e prima i loro nonni.
La scuola deve essere la sede per eccellenza, almeno, della democrazia culturale e formativa: pari possibilità di accesso al sapere per tutti.
Così, però, non sarà.
I più fortunati, ora, saranno online e pronti a confrontarsi con il futuro nello spazio di qualche mese mentre i meno fortunati dovranno attendere anni.
Al contrario di quello che pensa il Ministro Carrozza il digitale, nella scuole, non può attendere oltre e peccato se per portarcelo sarà necessario produrre effetti collaterali che si ripercuoteranno sulle tasche degli editori di carta.
Uno studente alfabetizzato in più vale ben qualche euro in meno nella tasca di un editore che, peraltro, se si ritrova in questa condizione lo deve, in buona misura, solo ed esclusivamente alla propria miopia ed alla pretesa di continuare a risparmiare sul futuro in danno dei suoi lettori.

Sui duecentomila pecari deciderà la Corte europea

da altroquotidiano

Sui duecentomila pecari deciderà la Corte europea

È ufficiale: l’assunzione di 200mila precari della scuola dipenderà dal volere dei giudici di Lussemburgo. Con ordinanza n. 207/13, la Corte Costituzionale ha infatti rinviato alla Corte di Giustizia europea la questione sulla compatibilità della normativa italiana con la direttiva comunitaria in tema di reiterazione dei contratti a termine e assenza di risarcimento del danno per docenti, amministrativi, tecnici ed ausiliari precari della scuola con almeno 36 mesi di servizio

La posizione della Consulta ribalta quella assunta esattamente un anno fa della Cassazione, che aveva gettato sui precari una doccia fredda sostenendo che la norma nazionale era chiara e che fosse quindi inutile rivolgersi alla Corte di Lussemburgo su possibili conflitti con la norma comunitaria: l’Italia, infatti, per non rispettare le indicazioni dell’Ue ha introdotto nella Legge 106/2011 una norma che aggira l’obbligo di assumere il personale precario anche se ha superato i tre anni di supplenze. Ora, però, la Consulta riapre le speranze e sposta la partita in Europa.

“La decisione dei giudici delle leggi è stata saggia – afferma Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – considerato che un’altra ordinanza di remissione, promossa dal giudice del lavoro di Napoli nel gennaio scorso, è pendente alla Corte di giustizia europea. A tal proposito, c’è da ricordare che sono migliaia i ricorrenti che si sono rivolti all’Anief in questi anni per ottenere giustizia dai tribunali della Repubblica. Molti di essi hanno ottenuto in primo grado risarcimenti fino a 30.000 euro per la mancata stabilizzazione”.

Il tutto mentre la nuova proposta di legge europea approvata in Senato continua a ignorare una procedura d’infrazione attivata dalla Commissione Ue contro l’Italia proprio sui precari della scuola, il cui testo rimane secretato persino ai parlamentari della Repubblica. “Speriamo – conclude il sindacalista Anief-Confedir – che giunga presto il momento di porre fine alla piaga del precariato e di stabilizzare finalmente tutti i supplenti sui posti vacanti e disponibili. Non di certo fermandosi ai soli 15mila proposti dal ministro Carrozza, peraltro ancora nemmeno sicuri. Oppure agli 11.542 che vinceranno il concorso a cattedra senza però che vi siano tutti i posti liberi”.

J. Otsuka, Venivamo tutte dal mare

Dalla voce dei “vinti”

di Antonio Stanca

otsukaNel 2002 quando scrisse il suo primo romanzo, When the Emperor Was Divine, che in Italia non è stato ancora pubblicato, ebbe molti riconoscimenti. Un classico della letteratura contemporanea fu considerata l’opera. Anche il secondo romanzo, The Buddha in the Attic, scritto nel 2011, è stato premiato nel 2012 col PEN/Faulkner Award for Fiction. Questo è stato ora pubblicato in Italia dalla Bollati Boringhieri di Torino, nella serie “Varianti”, col titolo Venivamo tutte dal mare (traduzione di Silvia Pareschi, pp. 140, € 13,00). La scrittrice è Julie Otsuka, nata in California, laureata in Belle Arti alla Yale University e con un Master of Fine Arts conseguito presso l’Università di Columbia. La Otsuka, che vive e  lavora a New York, è pure pittrice e questa sua attività spiega come in Venivamo tutte dal mare sembra di assistere ad una serie interminabile d’immagini che si susseguono e che, pur se legate dal tema dell’opera, valgono ognuna per proprio conto tanto sono cariche di significato e di effetto. Molto valore e molto colore contengono tali immagini, scrittrice e pittrice si rivela la Otsuka di questo libro che intende riscoprire, recuperare le tante storie delle tante giovani donne giapponesi che nel 1930-40 lasciarono il loro paese per recarsi in America, a San Francisco, dove le attendevano quegli immigrati, pure giapponesi, che prima di loro erano andati alla ricerca di un lavoro. Con questi si sarebbero dovute sposare senza averli mai visti né conosciuti se non mediante le  fotografie e le lettere che avevano ricevuto.
Il viaggio in mare sarà il primo dei loro problemi dal momento che si vedranno collocate in cabine sudicie e scarsamente illuminate, su cuccette maleodoranti ed avranno pochi alimenti a disposizione. Si sentiranno, però, animate dall’idea del matrimonio che hanno da fare, della famiglia che potranno formare. Molti pensieri facevano, molti discorsi correvano tra loro a questo proposito, senza fine risultavano le domande che si ponevano circa gli uomini che le attendevano, i nuovi ambienti, la nuova vita. Gravemente deluse rimarranno poiché niente di quanto avevano immaginato esisteva, gli uomini erano diversi da quelli delle fotografie e delle lettere, più vecchi e spesso prepotenti, le case che avevano sognato non c’erano ma solo baracche in luoghi periferici, non illuminati e non igienici, la vita  che dovevano condurre era quella del lavoro nei campi da fare per tutto il giorno in cambio di pochi soldi. Per sfuggire a questa situazione alcune giungeranno a prostituirsi, altre, le più fortunate, diventeranno domestiche nelle città  vicine. Verranno i figli e sarà difficile metterli al mondo e allevarli tra tanti stenti. Alcune moriranno. Si arriverà all’inizio della seconda guerra mondiale, all’attacco giapponese contro la base navale americana di Pearl Harbour e alla decisione del presidente Roosevelt di considerare nemici tutti i giapponesi presenti sul suolo americano. Si comincerà a deportarli, lo sgomento, la paura, il terrore si diffonderanno tra quelli rimasti e soprattutto tra quelle donne. Decideranno di andarsene insieme ai bambini e agli uomini. Dopo aver formato un lungo corteo partiranno senza che si sappia dove. Così si conclude il libro, con le immagini di questo grande esodo venuto dopo una serie infinita di umiliazioni e tribolazioni. Ancora ad una vita migliore penseranno, tuttavia, le tante donne in cammino ma stavolta non si sa cosa le attende.

Un documento indiscutibile può essere ritenuta l’opera, una testimonianza autentica visto che riporta la voce delle protagoniste, quella che diceva dei loro pensieri, dei loro sentimenti, dei loro dubbi, delle loro speranze, delle circostanze che erano loro occorse nel periodo compreso tra il viaggio d’inizio e quello di fine. Nel libro la Otsuka ha riportato le loro parole senza intervenire, ha fatto di esse il contenuto e la forma dell’opera. Un’idea originale e senz’altro riuscita se si tiene conto che in tal modo è stata recuperata una vicenda della quale poco o nulla si sapeva, la si è fatta rientrare nella storia, diventare un momento, un aspetto di questa.

Un volto, un nome, una voce hanno acquistato con la Otsuka persone che non li avevano mai avuti, dal buio, dal silenzio sono state sottratte, una vita è stata loro riconosciuta, un significato hanno acquistato.

Di alto valore umano e morale è l’operazione compiuta dalla scrittrice, un invito essa rappresenta a ricercare, riscoprire altri casi di vita individuale e collettiva rimasti sepolti nel tempo e restituirli alla loro verità, alla loro luce.

Stop ai libri digitali a scuola

da Repubblica.it

Stop ai libri digitali a scuola

No, i libri digitali a scuola non saranno obbligatori neppure nel settembre 2014, l’ultima data fissata dal decreto Profumo (che lo scorso 26 marzo aveva spostato in avanti l’inizio della nuova era, in un primo momento previsto per il settembre 2013). Il ministro dell’Istruzione in carica, Anna Maria Carrozza, a metà di questa settimana ha incontrato gli editori, arrabbiati per la rapida evoluzione digitale della scuola (che assorbe un quinto del totale dei libri venduti in Italia, un fatturato di 650 milioni di euro), e ha comunicato loro: «Fermiamo tutto, l’accelerazione impressa all’introduzione dei libri digitali è stata eccessiva, voglio prendere in mano la questione ed esaminarla a fondo. Deponete le armi».
Già, gli editori, conservativi e conservatori, due mesi dopo avevano fatto un ricorso al Tar contro il decreto Profumo: temevano un crollo delle vendite dei libri cartacei e temevano il contenimento dei prezzi dei loro prodotti, sia cartacei che digitali. La Carrozza, che ha ispirato il suo inizio mandato a un prudente monitoraggio del sistema scolastico in attesa di riforme “a settore” di lunga durata, ha detto agli editori: il sentiero dei libri digitali è segnato e non vogliamo uscirne, i tempi, però, mi sembrano troppo rapidi e il ministero non vuole nuovi contenziosi. Presto, interverrà in maniera formale per rivedere le indicazioni del suo predecessore, che, va ricordato, impose il decreto agli editori dopo diversi scontri culminati in un’infuocata  riunione lunga cinque ore in viale Trastevere. È fortemente probabile che l’obbligo di libri scolastici digitali (o misti) slitti alla stagione scolastica 2015-2016. Il Miur non ha ancora spiegato se alla frenata sui testi digitali corrisponderà lo sblocco del tetto sui costi imposti da Profumo alle aziende (con risparmi per le famiglie dal 20 al 30 per cento).
Il ministro Carrozza ha scelto di congelare i libri digitali anche perché ha compreso il ritardo infrastrutturale tecnologico della scuola italiana: banda larga, wifi, cose per ora residuali nelle nostre aule. Gli editori, soddisfatti per i loro bilanci, commentano: «Avremmo dovuto macerare interi magazzini». E offrono queste spiegazioni alla loro posizione: «L’accelerazione sui libri digitali non poggiava su alcuna seria e documentata validazione di carattere pedagogico e culturale, così come non sono state valutate le possibili ricadute sulla salute di bambini e adolescenti esposti a un uso massiccio di apparecchiature tecnologiche».
L’Associazione editori non ricorda, tuttavia, che alcuni editori hanno già lanciato versione 2.0 dei manuali scolastici e che soprattutto l’Ocse, l’organizzazione che raggruppa i paesi industrializzati, ha bocciato la lenta progressione della scuola digitale italiana ricordando che in Inghilterra l’80 per cento delle classi è attrezzata per il digitale. Sul piano dei libri digitali (non solo quelli scolastici), a fine giugno è stato certificato che il mercato è in rapida crescita: i titoli in formato digitale sono 60.598, ovvero l’8,3% dei titoli in commercio, e il 44,6% delle novità italiane sono pubblicate anche in ebook. Rispetto al 2012, i lettori in digitale sono il 45,5% in più. Ma la scuola resta fuori.

Riordinare gli organi collegiali

da Tecnica della Scuola

Riordinare gli organi collegiali
di Lucio Ficara
Dopo lo stop del ddl Aprea sul riordino degli organi collegiali, naufragato durante un tentativo di larghe intese al termine della passata legislatura, si sente comunque il bisogno di un serio e condiviso riordino degli organi collegiali
Su una cosa sono tutti d’accordo , quella della necessità urgente di una legge sulla governance della scuola. Bisogna ricordare che gli attuali organi collegiali, sono il frutto dei decreti delegati del 1974, che hanno rappresentato un grande strumento di partecipazione e apertura della scuola agli studenti e alle famiglie. I decreti delegati dei primi anni settanta hanno portato valori democratici e di confronto, garantendo il diritto di assemblea, la libertà di insegnamento, le libertà sindacali per tutto il personale della scuola; riformando gli stati giuridici ed il trattamento economico di docenti, dirigenti, ispettori e personale ausiliario, tecnico e amministrativo. La recente legge 297 del 16 aprile 1994, nota come il testo unico in materia d’istruzione, ha raccolto gran parte delle disposizioni dei decreti delegati, anche su temi riguardanti gli attuali organi collegiali e le elezioni che in alcuni casi li decretano. Oggi la scuola è molto cambiata dagli anni settanta e con l’introduzione dell’autonomia scolastica si sente il bisogno di adeguare gli organi collegiali ad un sistema scolastico autonomo e capace di aprirsi sinergicamente allo scambio culturale con il proprio territorio. Il timore di molti è quello che un riordino degli organi collegiali, come stava avvenendo con l’approvazione del ddl Aprea, possa compromettere valori costituzionali come la libertà d’insegnamento e la partecipazione democratica delle varie anime che compongono una scuola. I sindacati, per evitare colpi di testa da parte della politica delle larghe intese, credono opportuno che il governo e il parlamento debbano incominciare ad avviare un confronto con le scuole, le organizzazioni sindacali, le associazioni professionali e tutti i soggetti interessati affinché si possa arrivare ad un riordino degli Organi Collegiali scolastici condiviso e allo stesso tempo adeguato alle esigenze della scuola dell’Autonomia. Oggi nella scuola dell’autonomia esiste un evidente problema di leadership culturale e didattica, necessaria per la condivisione da parte dei docenti della scuola del progetto educativo e didattico, quindi per esempio la riforma degli organi collegiali potrebbe essere un’occasione per determinare, finalmente, un’ autonomia scolastica di qualità, dando al Collegio dei Docenti la possibilità di nominare una o più figure che possano rappresentare una vera e propria leadership culturale e didattica. Poiché le buone idee riformatrici non camminano mai da sole, c’è un grande bisogno di dialogo, rispetto e buon senso di tutte le parti politiche, che dopo tante delusioni e mortificazioni, adesso hanno la possibilità di fare, una volta tanto, una cosa utile per il futuro della nostra scuola.

Ebook e app cambieranno l’editoria scolastica?

da Tecnica della Scuola

Ebook e app cambieranno l’editoria scolastica?
di Aldo Domenico Ficara
Se una buona percentuale di studenti Usa ha espresso poco interesse per i libri di carta, il 39% si è espresso a favore, ma soprattutto circa 1 su 5 non ha espresso preferenza
Un sondaggio eseguito presso gli studenti dal prof. Mark Kerrigan della Greenwich University, evidenzia una serie di rilevazioni interessanti. Infatti, se è vero che una buona percentuale (circa il 37%) di studenti intervistati ha espresso scarso interesse nei confronti del libro cartaceo e quindi una preferenza chiara verso l’editoria digitale, sono di più (il 39%) coloro che si sono espressi a favore del libro di carta, e soprattutto circa 1 su 5, sono coloro che non hanno espresso preferenza in nessun senso. Segno che probabilmente i cardini della questione si trovano da un’altra parte.
Un altro esempio per capire l’evoluzione dell’editoria scolastica, è la notizia del boicottaggio che migliaia di accademici hanno operato nei confronti della casa editrice olandese Elsevier, numero uno al mondo nell’ambito dell’editoria scientifica e accademica, per protesta nei confronti delle politiche editoriali adottate, ritenute economicamente vessatorie verso gli atenei e le biblioteche. Ciò che gli scienziati chiedevano non è passare a una nuova tecnologia di pubblicazione, ma una trasformazione radicale della logica editoriale nel suo complesso: maggiore accessibilità da parte dei lettori e minore voracità da parte degli editori. Quindi i cardini della questione passano dalla dualità cartaceo/digitale alla minore o maggiore accessibilità dei contenuti in rete sotto un profilo squisitamente economico. Si ricorda che è errato confondere un qualunque documento in formato digitale con un eBook, dato che l’eBook non si limita a presentare la sostanza del documento cartaceo ma cerca anche di replicarne la forma, in modo da rendere la lettura il più possibile simile a quella che si avrebbe sfogliando le pagine di un libro.
Da ciò deriva che tutte le azioni che in un normale libro cartaceo sono immediate e scontate, come ad esempio lo scorrere le pagine o l’inserimento di un segnalibro, possono essere emulate dal software del dispositivo di lettura. Inoltre si ricorda che con l’app gratuita iTunes U su iPad tutti i materiali dei corsi scolastici sono sempre a portata di mano degli studenti, che possono seguire lezioni, leggere eBook, guardare video e restare al passo coi compiti. E se mandi un messaggio o un aggiornamento, gli studenti ricevono una notifica push con le nuove informazioni.

Mobbing: quanto è diffuso nelle scuole?

da Tecnica della Scuola

Mobbing: quanto è diffuso nelle scuole?
di Pasquale Almirante
Quanto è diffuso nelle scuola il mobbing? Alcuni anni addietro furono proprio i sindacati della scuola a mettere in evidenza questo fenomeno, perché fu registrato un aumento di richieste di aiuto e di giustizia da parte di docenti e personale Ata, con il coinvolgimento sia dei loro uffici legali e sia di quelli di studi privati.
Molti insegnanti, solo alcuni anni addietro, dichiararono, denunciandolo, di sentirsi perseguitati da disposizioni talvolta incomprensibili e capziosi da parte dei dirigenti, e messi anche in condizione di inferiorità e di stress nei confronti di altri colleghi. Concausa di tale “malattia” sarebbe stata la gerarchizzazione di tante istituzioni scolastiche, cosicchè anche il più semplice dei diritti talvolta ha rischiato di diventa un favore, come la più semplice richiesta avrebbe avuto il valore di un compromesso di cui il preside e il suo staff sarebbero stati gli elargitori. Non a caso da allora è entrato nel vocabolario un novo termine: bossig che è il potere del boss, del capo che, nel caso di alcune scuole dell’autonomia, starebbe assumendo autorità singolare per una pluralità di personale, sempre più impaziente di lasciare la scuola, come del resto l’ascesa costante della sindrome del burn-out segnala. E il mobbing avrebbe proprio questo scopo: costringere a lasciare, abbandonare il campo, senza intromissioni sindacali e legali. Da qui il pressing psicologico sottile e diabolico per isolare e mortificare il collega.
Forme di persecuzione psicologica sarebbero: calunniare o diffamare; negare informazioni o fornirle scorrette; sabotare o boicottare o disprezzare; intimorire o avvilire (come nel caso di molestie sessuali); insultare e applicare sanzioni senza motivo. Sarebbe il mobbing, in altre parole, una sorta di terrore psicologico attraverso attacchi che assumono le forme dell’ emarginazione, della diffusione di maldicenze, delle continue critiche, della lapidazione dell’immagine sociale. Per questo i sindacati all’epoca puntarono il dito contro la gerarchizzazione della scuola che però, aggiungiamo noi, l’elezione diretta da parte del collegio del preside e dei suoi collaboratori, potrebbe evitare; e probabilmente si riuscirebbe anche senza tale disposizione, solo se gli incarichi assegnati poi non diventassero una sorta di diritto ereditario che non si riesce più a revocare. Sarebbero dunque anche queste neonate gerarchie la causa della crisi di tanti docenti non adusi alla competizione, né ai favori o a qualche ora aggiuntiva per qualche euro in più? Forse. Tuttavia con il mobbing qualcuno spiega pure la causa della dispersione, il rifiuto che molti giovani hanno di frequentare la scuola, dove sentono ostilità, sia all’interno della classe e qualche volta pure del docente, e sia dal solito gruppo dei bulli che li contestano o li deridono. Quali le soluzioni?

Pas (Tfa speciali), ecco perché ci sarà un boom di docenti delle paritarie

da Tecnica della Scuola

Pas (Tfa speciali), ecco perché ci sarà un boom di docenti delle paritarie
di A.G.
Mentre negli istituti pubblici i posti vacanti sono coperti in prevalenza da abilitati, nelle paritarie sono molti gli aspiranti docenti privi di abilitazione che per scalare le graduatorie accettano di fare supplenze in cambio di stipendi più magri e meno garanzie. Ma ora questi lavoratori passano alla “cassa”, perché lo Stato gli dà la possibilità di partecipare al prezioso corso riservato: perfino chi è di ruolo può fare domanda (possibilità negata a chi è assunto a tempo indeterminato dallo Stato). Di Menna (Uil): una realtà che riguarda soprattutto il Centro-Sud.
Come già rilevato su questa testata giornalistica, la prossima settimana verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’atteso decreto dirigenziale sui Percorsi abilitanti speciali: ad iscriversi, tramite il sito internet ministeriale “Istanze On Line”, saranno in decine di migliaia. Forse anche più di 80mila. Secondo alcuni esperti, una larga fetta (forse anche il 50 per cento) è rappresentata da precari operanti nelle scuole paritarie.
Il ragionamento che porta a questa anticipazione è semplice. E parte da questo assunto: i docenti precari che operano nella scuola pubblica siano in buona percentuale già abilitati. Certo, potrebbero essere interessati a conseguire una seconda abilitazione all’insegnamento. Ma in tal caso, per accedere ai Percorsi abilitanti speciali devono fare i conti con il ‘paletto’ dell’annualità svolta sulla disciplina nella quale chiedono ora di abilitarsi.
Dal ministero dell’Istruzione hanno specificato che non sarà ritenuto utile nemmeno il servizio svolto sul sostegno, anche se nell’area attinente alla materia. Non ci sono “scappatoie”: occorre la supplenza annuale (o da inizio febbraio) necessariamente sulla disciplina. Un requisito che, appunto, probabilmente posseggono in misura maggiore i supplenti delle paritarie. Che pur accumulare punteggi e salire nelle graduatorie d’istituto sono disposti a lavorare per magri stipendi (in casi, nemmeno rari, anche in cambio del solo certificato di servizio).
E poi c’è un altro passaggio nel decreto dirigenziale in via di approvazione che gioca a favore di chi opera nelle scuole paritarie: i docenti già immessi in ruolo nelle scuole pubbliche non potranno fare domanda. La potranno fare, invece, quelli, anche se assunti a tempo indeterminato, nelle scuole paritarie.
Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola, ritiene che “il ragionamento in termini generali è fondato: i docenti delle paritarie potrebbero aver lavorato maggiormente senza abilitazione. Ma il discorso vale soprattutto per il Centro-Sud. Mentre al Nord occorre ricordare che continuano ad esistere delle province con diverse classi di concorso esaurite: in questi casi – continua Di Menna – gli istituti affidano le cattedre a candidati con la sola laurea o il diploma specifico richiesto. In ogni caso, avventurarsi in proiezioni sui numeri o sulle tipologie di candidati mi pare al momento difficile”.
Il leader della Uil Scuola ricorda che, comunque, “pure nelle scuole paritarie esiste un meccanismo di scelta del personale precario, analogo a quello della pubblica. La normativa – conclude – consente la parità di considerazione giuridica di questi istituti proprio perché i loro responsabili debbono garantire la precedenza ai supplenti con l’abilitazione”. Tuttavia questa procedura, sappiamo bene, spesso viene elusa. La realtà, purtroppo, è ben diversa. E ora lo Stato conferma, con le modalità di selezione per accedere ai Pas, che quelle supplenze svolte nelle paritarie sono tutt’altro che marginali.