di Giuseppe Corsaro, docente di Lettere presso I.C. Leonardo da Vinci – Mascalucia (CT)
Fondatore e animatore della Comunità Facebook “Insegnanti 2.0”
Alcuni recenti interventi e prese di posizione in merito alla questione dell’uso di libri digitali a scuola, sono un evidente sintomo della centralità di tale argomento per l’intero universo scolastico. Su tale questione, infatti, sono intervenuti ultimamente in tanti a cominciare dal ministro Carrozza. Voci autorevoli come quelle di sottosegretari o alti funzionari del MIUR, docenti universitari, esponenti sindacali, rappresentanti di case editrici, associazioni studentesche e dei genitori, ma anche singoli docenti.
Si ha l’impressione però che l’approssimarsi del nuovo anno scolastico porti con sé una contraddizione in più rispetto agli anni passati e che ci sia ancora parecchia confusione sull’argomento. Proviamo a capire che succede. La sensazione è che si stiano sempre più delineando due fronti opposti ma assolutamente trasversali e del tutto svincolati dall’agone politico. Possiamo per nostra comodità etichettarli (con una deliberata forzatura semplificante) in: progressisti pro-digitale e conservatori anti-digitale.
Accenno soltanto (con voluta superficialità) a tutta una serie di argomentazioni di scarsa importanza difficilmente giustificabili in modo serio e scientifico (e pertanto non degni di particolare attenzione), addotti in varie occasioni e a più voci dai conservatori anti-digitale:
1. sondaggi (farlocchi) che vedrebbero gli studenti contrari all’introduzione del libro digitale;
2. presunti effetti negativi per la salute derivanti dall’eccessivo uso di schermi;
3. presunta inutilità/dannosità del digitale nel processo di apprendimento;
4. presunta impossibilità di utilizzare il digitale per alcune discipline.
Di contro anche da parte del fronte progressista pro-digitale vengono a volte alquanto sottovalutate alcune reali difficoltà:
1. negazione dell’esistenza di una impreparazione strutturale;
2. negazione della necessità di una imprescindibile formazione mirata per docenti e genitori;
3. scarsa considerazione delle implicazioni metodologico-didattiche della questione;
4. eccessivo ottimismo sui tempi di adeguamento da parte degli editori e dell’intero sistema.
La questione dell’adozione di testi scolastici digitali veramente innovativi (non semplici trasduzioni in digitale di ciò che era prima cartaceo) investe certamente tutti gli attori che hanno a che fare con il mondo della scuola: editori, insegnanti, studenti, genitori, apparati ministeriali e fornitori. A partire dal famoso decreto 209 del 26 Marzo 2013 dell’ex-ministro Profumo l’attenzione si è focalizzata maggiormente sul “quando” iniziare la migrazione dal cartaceo al digitale dei testi scolastici ed in misura inferiore la questione del “se” o del“perché” iniziare o meno tale migrazione.
Anche le parole dell’attuale ministro Maria Chiara Carrozza, in un recente incontro con gli editori, non lasciano spazio a dubbi in tal senso: “… il sentiero dei libri digitali è segnato e non vogliamo uscirne, i tempi, però, mi sembrano troppo rapidi e il ministero non vuole nuovi contenziosi.“. Pur considerando che proprio per tale intervento (visto da molti come un ulteriore stop al percorso tracciato dal precedente ministro) la Carrozza ha attirato su di sé parecchie critiche e persino qualche sgradevole sospetto di “atteggiamento debole” nei confronti della lobby degli editori, è comunque chiaro che anche al ministero hanno digerito la decisione che la rivoluzione digitale dovrà (prima o poi) pervadere anche la scuola. A conferma di tale decisione in ambito ministeriale è emblematico l’intervento sul blog del sottosegretario Gabriele Toccafondi che seppur con tanti interrogativi conclude con la speranza che si arrivi presto anche in Italia all’adozione di “libri digitali veri”. Parecchie altre voci – fra cui la mia in occasione del 1° Meeting Docenti Virtuali e Insegnanti 2.0 (vedi testo e slide) – hanno già espresso la stessa speranza, anche indicando, in qualche caso, come responsabili dell’evidente ritardo italiano sul digitale a scuola (testimoniato anche da un recente rapporto OCSE) una volta il ministero, una volta i politici in genere, una volta gli editori, una volta i sindacati e chi più ne ha più ne metta.
Quello che finora non sembra essere stato posto al centro della questione (neanche dai favorevoli al digitale) è un interrogativo che non possiamo non porci ed a cui è certo più complicato trovare risposte: non se, non perché, non quando introdurre i testi scolastici digitali… ma “come” arrivare ad una adozione diffusa e realmente proficua per tutto il nostro sistema d’istruzione nazionale. E’ questo interrogativo (non ancora del tutto esplicitato) che, probabilmente, è circolato ai piani alti del ministero in quest’ultimissimo periodo. Non credo affatto allo stop di convenienza dettato da pressioni più o meno palesate da parte degli editori. Penso piuttosto che realisticamente al ministero ci si stia interrogando su come rendere oltre che fattibile anche veramente efficace il passaggio ai libri di testo digitali. Sta tutto nel“come”, il problema! E’ iniziando a parlare di ”come” che forse potrebbe ridursi la confusione e magari potremmo tutti meglio chiarirci le idee su cosa intendiamo per “testi scolastici digitali”.
Fondamentale è legare la questione dei testi scolastici alla questione metodologico-didattica. Questo è il punto di partenza obbligato. A nulla servirebbero i più innovativi ed evoluti testi digitali, a nulla la presenza di nuove tecnologie e di dispositivi modernissimi nelle aule, se non si ripensa in maniera radicale e completa il nucleo stesso dell’azione educativa e con esso inevitabilmente il rapporto insegnante/discente e il ruolo del docente stesso. Ripensare (o forse riscoprire) un’attività didattica che possa accogliere pienamente tutte le potenzialità offerte dalle innovazioni tecnologiche (traendo profitto da esse). Chiunque può rendersene conto solo dedicando un po’ d’attenzione ai tanti esempi positivi di cui si trova notizia in autorevoli riviste specialistiche che alla didattica supportata dalle nuove tecnologie dedicano da tempo grande attenzione ed ampio spazio (Bricks diretta da A. Fini e P. Ravotto, TD dell’ITD-CNR, Form@re diretta da Antonio Calvani, Education 2.0 diretta da Luigi Berlinguer), in centinaia di blog di alta qualità promossi da singoli docenti (non cito nessuno ma sarebbero centinaia) e non ultimi in tanti gruppi Facebook centrati sul tema (Insegnanti 2.0, Docenti Virtuali, Docenti e LIM, Il tablet a scuola, La scuola nella nuvola, L’iPad in classe, ecc…).
Sull’argomento metodologia didattica con le nuove tecnologie poi c’è veramente moltissimo in rete: mobile-learning, flipped classroom, serious game, eduteinement, cooperative-learning, ambienti virtuali, piattaforme e-learning, …). Veri scenari innovativi che in grandissima parte danno un reale conforto a sperimentazioni spesso partite dal basso e quasi sempre su base volontaristica. Se poi volgiamo lo sguardo fuori d’Italia, molte di queste idee stanno diventando “buone pratiche innovative” e sono già state recepite, istituzionalizzate entrando di sovente nella prassi ordinaria.
Il primo “mattone” metodologico porta quindi inevitabilmente con sé la facile conclusione di poter essere applicato solo se il docente modifica profondamente la sua attività in classe. Potrei qui tirare in ballo tutte le questioni metodologiche più o meno sul tavolo da anni ma sento di non averne l’autorità (e neanche la voglia a dire il vero). Preferisco invece chiamare in causa direttamente due delle categorie protagoniste della questione: i docenti e gli editori. Ipotizzando una condivisione di obbiettivi ed una sinergia strategica tra loro si potrebbe forse superare l’impasse in cui ci troviamo e chiarirci tutti meglio le idee.
I docenti dovrebbero ammettere di aver bisogno di una seria formazione mirata all’effettiva integrazione delle nuove tecnologie nell’attività didattica e gli editori dovrebbero scommettere maggiormente su una vera innovazione. La rete offre già oggi una quantità di risorse e di strumenti utilizzabili a scuola (quando non propriamente nati per essere impiegati a scuola nell’attività didattica). Dovrebbero solo essere sperimentati, dovrebbe esserne testata la validità didattica e la reale efficacia; potrebbero essere tradotti in italiano; si potrebbero creare dei video-tutorial per aiutare i docenti.
Potremmo ipotizzare una nuova generazione di “testi” scolastici completamente dematerializzati innestati in piattaforme aperte che prevedano la possibilità di azioni collaborative tra docenti, studenti ed editori. E’ già oggi, quindi, possibile invertire quello che è stato finora. Non più libri cartacei con estensioni digitali (opzionali o meno) ma al contrario: libri di testo totalmente in digitale che lavorino sia in presenza che in assenza di connessione e (semmai) con la possibilità di stampare parti del contenuto.
Agli editori toccherebbe il compito di realizzarli ed innestarli in ambienti cloud-based che agevolino e potenzino il lavoro del docente. Dotarli di tools interattivi e apps per i docenti e per gli studenti (ne esistono già centinaia in rete che in molti casi andrebbero solo tradotti in italiano: Prezi, Glogster, Powtoon, Symbaloo, GoogleDocs, …). Arricchirli con contenuti digitali selezionati, recensiti ed appropriati. Innestarli in ambienti cloud collaborativi e aperti che favoriscano l’interazione docente-studente e docente-docente anche oltre le mura scolastiche. Prevedere prove autocorrettive strutturate.
Affiancarli a veri e propri social-network protetti. Supportarne l’utilizzo diffuso con i video-tutorial. Renderli personalizzabili con applicazioni creative e tools di authoring.
I docenti, dal canto loro, dovrebbero aprirsi di più all’innovazione. Farsi promotori, sperimentare, proporre, testare, ricercare gli strumenti e le risorse più appropriate e rinnovare l’azione didattica modificandone profondamente le modalità. La formazione in servizio (da incrementare, certo) dovrebbe essere ben tarata su queste abilità piuttosto che su altro. Non si tratta di diventare dei tecnici informatici e tantomeno dei programmatori ma semplicemente di imparare a sfruttare le opportunità che le nuove tecnologie offrono per svolgere meglio il proprio compito nel ventunesimo secolo (come ogni altra categoria professionale ha già fatto).
Condivisione di obbiettivi e sinergia strategica fra docenti ed editori, quindi, possono aprire la strada ad un reale salto di qualità nei testi scolastici che possa avere una effettiva ricaduta nella didattica destinata ai nativi digitali. Cominciare a parlare seriamente (innanzitutto docenti ed editori ma poi anche genitori, studenti e ministero) di come arrivare all’adozione diffusa di testi scolastici innovativi interamente e veramente digitali è, a mio parere, una strada obbligata.
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