I BES: un’invenzione… BEStiale?!

I BES: un’invenzione… BEStiale?!

 di Maurizio Tiriticco

Gli anni Cinquanta del secolo scorso costituirono uno dei decenni migliori della nostra storia sotto ogni profilo: 1945, fine della guerra; nel 1954 nasce la TV; nel 1955 la Seicento!!! In dieci anni riuscimmo a ricostruire il Paese sotto il profilo istituzionale – la democrazia, la Repubblica, la Costituzione – e socioeconomico. La ricaduta che le nuove strutture materiali ebbero sulla sovrastruttura culturale fu enorme e si tradusse con una richiesta di conoscenze e di istruzione da parte di classi sociali che per millenni avevano dovuto pensare solo a lottare per la sopravvivenza. Ovviamente non tutto fu rose e fiori e le lotte per il lavoro erano dure! Giova ricordare l’occupazione delle terre da parte dei contadini nel Sud, le lotte operaie nel nord. TV e Seicento non conclusero affatto un periodo di lotte dure! Ancora nel luglio del 1960 avemmo i morti di Reggio Emilia, operai! E nel dicembre del ’68 i morti di Avola: braccianti! La polizia allora non guardava tanto per il sottile!!

Comunque il nostro Paese cresceva, e anche rapidamente, e non fu un caso che in pochi anni diventammo una delle maggiori potenze industriali del mondo. E la ricaduta che quel mai conosciuto benessere economico ebbe sull’intera popolazione fu quanto mai interessante. Dopo millenni di ignoranza e analfabetismo quanto mai diffusi, il nuovo benessere spingeva anche le classi più povere a chiedere nuove conoscenze, cultura e scuola! Soprattutto per i loro figli!

La prima risposta che potemmo dare a questa nuovissima domanda fu quella di innalzare di tre anni l’obbligo di istruzione: la storica legge 1859 del 1962! Però, la necessità e l’urgenza di erogare l’istruzione a tutti, anche quella minima, ci spinse anche, con la stessa legge, a istituire le cosiddette classi differenziali, “per alunni disadattati scolastici”. Si avvertiva la necessità di impartire istruzione a tutti, ma… Si crearono così aree separate di insegnamento, che in effetti contraddicevano quel principio della eguaglianza di tutti i cittadini, di cui all’articolo 3 della Costituzione, e quel principio dell’inclusione e dell’integrazione, che avrebbe dovuto costituire lo spirito e il corpo di una scuola che garantisse a ciascuno il diritto/dovere all’istruzione.

L’avvio della scuola media obbligatoria non fui affatto facile! Com’è noto, nei primi anni le bocciature fioccarono, soprattutto perché l’organizzazione degli studi e gli stessi insegnanti erano rimasti quelli di sempre! Ci vollero la Lettera di Don Milani nel ’67 e copiose innovazioni sperimentali per dare l’avvio a una scuola che fosse veramente aperta a tutti. Rimaneva, comunque, l’area della “esclusione”, legittimata – se si può dire così – dalle classi differenziali. In molti ci domandammo quanto fosse corretto, anche e soprattutto sotto un profilo di una civiltà costituzionale, mantenere aree separate per cittadini che comunque “hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni … di condizioni personali e sociali” (art. Cos. 3).

Fu così che, dopo anni di animose discussioni, nel 1977, con la legge 517, ci decidemmo a liquidare le classi differenziali e sancimmo la necessità di integrare nelle scuole dell’obbligo i bambini “portatori di handicap”. Prevedemmo tutta una serie di misure, soprattutto la formazione di insegnanti specializzati per i nuovi percorsi e l’istituzione di una “necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno, secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali”: così, infatti, scrivemmo nella citata legge, che invito a rileggere per tutte le puntualizzazioni che riguardavano anche e soprattutto lo svolgimento delle nuove attività didattiche, fortemente individualizzate. In seguito, a tali tipologie di alunni venne consentito l’accesso anche agli studi di secondo grado e ai relativi esami finali. In tali iniziative fummo anche confortati da una successiva coraggiosa iniziativa legislativa, la famosa legge 104 del ’92, che così esordisce: “La Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola (la sottolineatura è mia), nel lavoro e nella società”.

Per anni l’integrazione degli alunni handicappati ha costituito un’attività convenientemente e convintamente sostenuta dallo Stato e dall’amministrazione scolastica, anche se le difficoltà non sono mai mancate! Ma, a partire dal nuovo millennio le cose sono profondamente cambiate! Da quando la scuola, secondo alcuni, non ha più costituito un settore primario su cui investire, ma una sacca inutile di spreco su cui tagliare, perché “con la cultura non si mangia”, l‘area della integrazione è quella che ha subìto i danni maggiori! E proprio in un periodo in cui accedono alle nostre scuole in numero sempre maggiore bambini delle più diverse nazionalità. Così, in una istituzione sociale in cui occorre investire di più – se si ha la prospettiva del futuro – invece si investe sempre di meno. E chi paga di più sono proprio gli alunni che presentano i bisogni maggiori!

Si taglia progressivamente il numero degli insegnanti di sostegno, si diminuisce il numero delle ore di sostegno, si aumenta il numero degli alunni per classe, ma non si ha il coraggio di “far fuori” in via formale gli handicappati! Io li chiamo con il loro nome! E allora che cosa si fa? Si inventano sigle nuove, ora i DSA, ora i BES, domani non so! Da un lato si riduce progressivamente l’area del riconoscimento legale dell’handicap, dall’altra si inventano soluzioni “fantasiose” con cui coprire l’handicap reale! Gli enti locali incontrano sempre maggiori difficoltà per adempiere a incombenze che avevano osservato fino a qualche anno fa. E il tutto finisce con lo scaricare – è il verbo esatto! – la responsabilità di attendere a un handicappato a un insegnante di classe “normale”, diciamo così, assolutamente impreparato per far fronte a situazioni difficili che richiederebbero ben altre tipologie di interventi. E ancora: le famiglie incontrano difficoltà sempre maggiori per ottenere i dovuti riconoscimenti legali per i figli handicappati e cercano, ovviamente, le vie dei BES!

Tutto ciò non costituisce forse un vero e proprio ritorno a una situazione anteriore alla legge del ’77 e un vero e proprio dietro front rispetto alla stessa legge 104? Non stiamo forse cancellando uno dei principi più alti, sotto il profilo della civiltà, quello sancito dal citato articolo 3 della Costituzione? Pagheranno i bambini e le loro famiglie! E pagheranno anche gli insegnanti “normali”, costretti da un lato ad abbassare l’assicella delle competenze richieste ai loro alunni, e dall’altro ad essere valutati in relazione ai risultati dagli stessi alunni raggiunti.

E non è questione di bastone e di carota! E’ solo di bastone!

Condizionamento e Decondizionamento

Condizionamento e Decondizionamento

Riflessioni delle docenti Maria Rita Natella e Rosa Maria Cannavale

 

 Lo scorso 27 dicembre 2012 è stata emanata, dal Ministro Profumo della PI, la direttiva “Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, un documento particolarmente interessante che parla di inclusione scolastica e di realizzazione del diritto all’apprendimento per tutti gli alunni, soprattutto per quelli in situazione di difficoltà.

Tra gli aspetti innovativi della direttiva si evidenzia il concetto di Bisogni Educativi Speciali (BES), che si basa su una visione globale della persona con riferimento al modello ICF della classificazione internazionale del funzionamento, disabilità e salute (International Classification of Functioning, disability and health), fondata sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2002).

Rientrano nella più ampia definizione di BES tre grandi sotto-categorie:quella della disabilità; dei disturbi evolutivi specifici e dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale.

Le Norme primarie di riferimento per tutte le iniziative che la scuola ha finora intrapreso sono state moltissime, dalla legge 104/1992 per la disabilità, alla legge 170/2010 e successive integrazioni, per gli alunni con DSA, e sul tema della personalizzazione con la L. 53/2003.

Tutte si rifanno alla “nostra amata” Costituzione e ai suoi articoli, così ben studiati dai nostri padri costituenti:

  • art. 2: … riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’ uomo… ;
  • art. 3: … dare pari dignità sociale … senza distinzione di sesso …condizioni personali e sociali;
  • art. 4: … riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro (Quindi sistema scolastico diversificato);
  • art. 30: E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli …..
  • art.31: … agevolare con misure economiche ed altre provvidenze le famiglie, soprattutto quelle numerose, nell’adempimento dei propri doveri verso i figli.
  • art. 34: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni,  è obbligatoria e gratuita (diritto allo studio).
  • art.38: … diritto di educazione mantenimento e assistenza per inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere …..

E, si potrebbe ancora continuare.

Sono norme e principi che ripetiamo da circa 2000 anni, quando già Marco Fabio Quintiliano, nato intorno al 35 D.C. a Calagurris (oggi Calahorra), ne ha parlato nella sua imponente opera l’ “Istitutio Oratoria“, nella quale si proponeva di educare il perfetto oratore già dalla primissima infanzia. Fu il retore più importante della sua epoca, ma non solo. Forte della sua esperienza di insegnante, in tarda età compose l’opera che é divisa in dodici libri, nel primo e secondo si parla di pedagogia, di grande pedagogia.

La sua attività di insegnante riscosse grande successo (Ebbe fra i suoi discepoli Plinio il Giovane e forse anche Tacito), tanto che nel 78 Vespasiano gli affidò la prima cattedra statale con uno stipendio di centomila sesterzi annui. Quindi fu il primo professore la cui cattedra fosse pagata dallo Stato. Domiziano lo incaricò dell’educazione dei suoi nipoti.

Perchè la sua opera è di grande interesse, ancora oggi così attuale e nel leggerla ha attirato la nostra attenzione? Proprio perché, nella sua attenta e amorevole osservazione del comportamento dei bambini, è il primo trattato di pedagogia della storia.

“….Si deve avere la massima cura per la formazione dei bambini, che sono tutti, per la stessa natura, portati a imparare e usare il pensiero. Poiché la prima età è estremamente duttile rispetto a ciò che le viene proposto, bisogna evitare che le persone con cui il bambino si relaziona possano trasmettergli insegnamenti sbagliati, che sarebbero difficili da correggere in seguito. Per questo è bene che le nutrici, i genitori e i paedagogi (schiavi greci che svolgevano il ruolo di maestri nell’ambito domestico) − parola, che letteralmente significa  “guida dei fanciulli“−, siano non solo irreprensibili, ma anche il più possibile colti e corretti, anche nel linguaggio1.

E inoltre Quintiliano, nella sua somma esperienza e saggezza, quale grande precursore della Pedagogia come scienza, afferma che: il “maestro” deve imparare a conoscere la psicologia di ogni alunno, non deve infliggere assolutamente punizioni fisiche o psicologiche, deve adattarsi a tutti gli allievi studiando per loro i metodi d’insegnamento più idonei alle singole caratteristiche: solo in questo modo tutti possono apprendere secondo le loro possibilità.

Egli ritiene il gioco, non una perdita di tempo da proibire o limitare, ma un’occasione per apprendere precetti utili in modo piacevole; mostra di considerare l’infanzia un’età particolarmente disposta all’apprendimento2.

E ancora: ” Il maestro di scuola deve sentire nei confronti dei suoi alunni la stessa responsabilità dei genitori che glieli hanno affidati. Il suo atteggiamento dovrà essere equilibrato e propositivo,coniugando autorevolezza e simpatia. Il maestro deve avere due grandi amori, lo studio e i ragazzi, e quindi è felice quando questi due amori si incontrano. Di conseguenza deve evitare più di ogni altra cosa che il ragazzo odi lo studio(par.6taedium laboris) 3

Riassumendo, Quintiliano giustifica la sua insistenza sul modello di perfezione a cui deve tendere tutto l’ambiente umano che circonda il fanciullo dicendo che formare un oratore è impegnativo e difficile( res ardua).

Una squisita opera di grande pedagogia scritta, ripetiamo, circa duemila anni fa, ma ancora così attuale.

Non ci sono più le nutrici, i paedagogi o il grammaticus, ma la scuola, scuola pubblica o privata ma pur sempre scuola.

Quindi, là dove l’ambiente umano che circonda il fanciullo non è un modello di perfezione e lo condiziona negativamente nel suo apprendimento, la scuola deve intervenire. la scuola che ha l’obbligo di organizzarsi come “Ambiente Educativo e di Apprendimento” un ambiente, cioè, che deve costituirsi come fonte di stimoli positivi.

La scuola non può ignorare, ma deve farsi carico, dello “scarso apprendimento” di tutti quegli alunni che, pur frequentandola, non traggono beneficio dagli stimoli educativi offerti dall’ambiente scolastico e quindi non riescono a raggiungere un’eguaglianza di risultati. Per gli alunni con difficoltà di apprendimento non basta essere immessi, a partire dall’età dell’obbligo, nell’ambiente scolastico, in quanto il loro processo di apprendimento, come per tutti i bambini, inizia sin dalla nascita. I bambini arrivano a scuola già con un bagaglio di esperienza che ha condizionato lo sviluppo, esperienze che potranno ostacolare o facilitare l’azione formativa che la scuola si prefigge di svolgere.

L’opera di G.Petracchi, Decondizionamento4, presenta una panoramica abbastanza esaustiva del problema dei condizionamenti ed affronta il delicato problema del “DECONDIZIONAMENTO” scolastico per garantire agli alunni in difficoltà di apprendimento il raggiungimento della piena formazione della loro personalità.

Ma cosa intendiamo per condizionamento e decondizionamento?

Il decondizionamento è “l’intenzionale intervento finalizzato alla rimozione di ogni forma d’influsso che l’ambiente, largamente inteso, va esercitando sull’individuo, condizionandone o limitandone lo sviluppo”.

Il condizionamento, come tutti sappiamo, è costituito dall’azione di fattori interni ed esterni che influenzano il processo formativo, ed è costituito dall’azione di tutti i fattori, interni al soggetto o esterni ad esso, derivati dall’ambiente, che influiscono sul processo di apprendimento e sullo sviluppo della personalità di un soggetto nel corso dell’età evolutiva.

Esso può essere positivo e negativo: l’educazione, ad esempio, come azione intenzionale e sistematica attuata dalla scuola, è senz’altro un’opera di condizionamento positivo. Quindi il processo di apprendimento è un processo condizionato dai tipi di stimoli ricevuti, cioè dall’ambiente da cui gli stimoli provengono, e l’apprendimento raggiungerà livelli più o meno elevati in relazione agli stimoli ambientali.

Su questo problema si è accesa la controversia tra genetisti e ambientalisti.

Per gli ambientalisti è la classe sociale di appartenenza a costituire il fattore determinante non solo del destino scolastico ma anche del complesso dei modelli di comportamento.

Per i genetisti la classe sociale e le razze hanno presupposti genetici diversi che renderebbero del tutto vano l’impegno di un’educazione compensativa, diretta a colmare nel soggetto, il suo stato di deprivazione culturale.

Mediando le posizioni di entrambi, si può dire che ogni individuo ha la sua natura personale ed originale e che le influenze dell’ambiente naturale ed umano incidono nello sviluppo e nelle strutture mentali.

A partire dagli anni ’60, negli Stati democratici furono impegnate ingenti somme per permettere a tutti i fanciulli di frequentare la scuola, e questo per assicurare a tutti pari opportunità. Si rimase sorpresi nel constatare che una gran parte di alunni non raggiungeva gli stessi risultati formativi, ma presentava grosse difficoltà nell’apprendimento. Gli Stati Uniti, per primi, mostrarono sensibilità al problema e cercarono di risolverlo avviando un’inchiesta su oltre 4000 scuole che coinvolse oltre 60.000 bambini e si concluse con il famoso RAPPORTO COLEMAN.

Si capì che le cause del fallimento di alcuni studenti non sono da attribuire tanto alla sua volontà o alla inadeguatezza della scuola, ma vanno ricercate nell’ambiente sociale di appartenenza del ragazzo.

Queste conclusioni diedero il via ad una serie di programmi di interventi compensativi denominati “HEAD- START”. Programmi di educazione compensativa da attuarsi in età prescolastica che avevano l’obbiettivo di offrire stimoli intellettuali ed emotivi che motivassero i bambini appartenenti a famiglie culturalmente, socialmente ed economicamente deprivate, in modo da colmare gli svantaggi culturali. Il fallimento di questo programma fece capire che l’educazione compensativa non ha effetti risolutivi nei riguardi dello svantaggio, perché anche se questi bambini all’atto dell’ingresso nella scuola primaria presentavano una migliore attitudine iniziale questo si esauriva e scompariva del tutto in due o tre anni. Inoltre il persistere degli svantaggi si presenta come un ostacolo alla realizzazione dell’eguaglianza educativa perché nella scuola dell’obbligo ha luogo il fenomeno del “deficit cumulativo” (il bambino appartenente ad una classe sociale disagiata rimane via via più indietro).

Ciò avvalora la tesi degli ambientalisti, cioè che l’ambiente familiare e sociale sono forze che non possono essere sconfitte dalle iniziative di decondizionamento della scuola.

È, quindi, indispensabile una radicale riforma della struttura del sistema sociale: riforma che elimini la povertà, la scarsa acculturazione e l’emarginazione sociale, che sono le cause dello svantaggio culturale.

I genetisti, a loro volta, interpretano questo fallimento dell’educazione compensativa come naturale conseguenza delle differenze ereditarie. Secondo loro esiste un condizionamento naturale e non sociale e quindi la scuola deve solo prendere atto delle potenzialità innate del singolo.

Poi fu avviata un’analisi per stabilire quali fossero i fattori negativi dell’ambiente socio-culturale e ne furono messi in evidenza tre:

  1. Povertà economic: – dell’alimentazione; – del tenore di vita; – delle abitazioni;
  2. Povertà culturale: – scarsità di stimoli; – scarsità di interessi culturali; – codice ristretto ( povertà di linguaggio).
  3. 3.      Povertà dei rapporti sociali: – chiusura nel proprio ambiente; – riluttanza ad aprirsi.

Successivamente ci si rese conto che anche i bambini che non provenivano da ambienti culturalmente ed economicamente deprivati presentavano difficoltà di apprendimento e si ipotizzò che le cause fossero dovute a” fattori affettivi”.

Lo sviluppo intellettuale del bambino ha bisogno di un’atmosfera affettiva che sovente in famiglie numerose o indigenti viene meno.

L’inadeguatezza di questo ambiente riduce fortemente la possibilità di instaurazione di quella fiducia di base che è indispensabile ad uno sviluppo equilibrato della personalità.

I soggetti che soffrono di tali carenze sono apatici, scarsamente motivati, difficilmente propensi a socializzare.

Altro fattore che condiziona e aggrava la già difficile situazione degli svantaggiati è, paradossalmente, proprio la scuola. Il criterio dell’uguaglianza delle opportunità educative avrebbe senso se i soggetti pervenissero alla scuola portando doti ereditarie e capacità acquisite diffuse omogeneamente in ciascuno. Quindi ad una sostanziale uguaglianza di partenza corrisponde una uguaglianza di opportunità. Ma a scuola giungono soggetti con caratteristiche profondamente diverse, che non sempre si riesce a cogliere, e qui, io credo, che si trova la radice dei meccanismi di discriminazione e selezione.

Come sappiamo, una delle forme più conosciute di selezione è la bocciatura che ha un duplice effetto sugli alunni:

  1. li stigmatizza come inadatti ed incapaci di seguire gli studi;

  2. li costringe ad entrare in una nuova classe dove i compagni tendono a rifiutarli.

Spesso, poi, la scuola modella il suo sistema di valori su quello delle classi medio-alte, per cui costringe, seppur involontariamente, i ragazzi delle altre classi ad adattarsi a quei valori, pena l’insuccesso scolastico.

Il successo scolastico di un soggetto di classe inferiore è un successo pagato a caro prezzo della perdita della cultura originaria, venendo assimilato nella classe media. A volte nella scuola si valorizzano i comportamenti, le capacità, le aspirazioni degli alunni provenienti dai ceti sociali simili a quelli degli insegnanti che spesso non gradiscono, seppur in maniera inconscia, lavorare con alunni di classi sociali inferiori o del sottoproletariato. Per questo si addebita ai docenti la mancanza di neutralità nei confronti di alunni diversi per estrazione socio-culturale.

Vi sono forme di discriminazione anche meno visibili da riferire al comportamento degli insegnanti, si parla, infatti, di “selezione occulta” 5, cioè quando, all’interno della classe, ha luogo una precisa stratificazione, all’apparenza meritocratica. L’insegnante che rimprovera allo svantaggiato la mancanza di buona volontà, non si pone il problema delle cause che producono il ridotto rendimento. C’è poi il così detto “effetto Pigmalione” 6 , cioè il fallimento di questi alunni è dovuto anche al livello di aspettative che l’insegnante ha nei loro confronti, e “l’effetto alone” 7 cioè la prima impressione del maestro, la quale determina, in parte, le sue considerazioni successive sull’alunno.

Spesso nell’istituzione scolastica si aiuta e si privilegia chi naturalmente è già nelle condizioni di riuscire e si scoraggia chi parte da posizioni di svantaggio, allargando a forbice le differenze iniziali.

Cosa fare allora per poter, se non risolvere, almeno avviare un miglioramento?

Ricordandoci che lo scopo del decondizionamento è dare all’individuo il modo di realizzare, sia nella scuola sia nel mondo del lavoro, tutte le potenzialità del suo essere, credo che spetta già alla scuola dell’Infanzia dare l’avvio all’opera di decondizionamento esercitando una funzione di compensazione ed un’azione di rimedio perché, se è vero che gli alunni delle classi più sfortunate possono restare confinati a livelli inferiori, è anche vero che queste differenze in giovane età non sono ancora cristallizzate, quindi un’educazione opportuna può modificare radicalmente i processi di pensiero e la competenza linguistica.

È necessario offrire ai bambini culturalmente svantaggiati un ambiente ricco di stimoli ed un’istruzione intensiva (qualità e quantità di contenuti) per rendere effettiva la possibilità di recupero.

Sappiamo bene che le carenze di cui soffrono i bambini svantaggiati riguardano l’apprendimento e non la capacità di apprendere: perciò è bene che la scuola dia un’istruzione intensiva già nella scuola dell’Infanzia.

Sono già attuati, ma, a nostro avviso, si potrebbero migliorare, alcuni criteri organizzativi quali:

  • la flessibilità nei programmi, nei metodi e negli ordinamenti, il che significa utilizzare interessi e curiosità degli alunni;
  • ridurre la convinzione che la disciplina di studio ha un ambito circoscritto;
  • assumere, da parte dei docenti, un ruolo più di consigliere, guida, stimolatore, animatore che di puro trasmettitore e didatta;
  • la scuola a tempo pieno che può gettare le basi dell’effettiva realizzazione dell’eguaglianza educativa se organizzata con laboratori, classi aperte, lavori di gruppo, circle time, cooperative learning, mastery learning, metodo didattico euristico e sperimentale, personalizzazione, role playing;
  • per la durata della frequenza scolastica il bambino riduce i tempi di permanenza nell’ambiente di appartenenza e perciò si può sottrarre al condizionamento negativo del suo ambiente.

È chiaro che all’interno di una società stratificata va combattuta la battaglia del diritto allo studio e quindi si rende necessario l’intervento assistenziale che deve essere attento, vigile ed efficace ed avere la totale, piena ed attiva collaborazione della scuola.

In modo specifico, per attuare, nella scuola, un decondizionamento che risulti efficace si devono individuare tre ordini di svantaggio:

  1. svantaggi cognitivi
  • inferiorità percettiva;
  • inferiorità nella capacità di concentrazione dell’attenzione;
  • necessità di attenersi a cose concrete;
  • rallentato sviluppo delle capacità di induzione e deduzione;

2. svantaggi del linguaggio

  • carenza del patrimonio lessicale;
  • scarsa capacità di uso della sintassi nella strutturazione della frase;
  • frasi brevi, grammaticalmente semplici e poco corrette;
  • uso limitato di aggettivi e verbi;
  • quindi un così detto codice ristretto;

3. svantaggi non cognitivi

  • che appartengono al comportamento. Infatti  la vita disordinata dei quartieri poveri non favorisce lo sviluppo di quei controlli interiorizzati che mantengono il bambino impegnato in un compito per lunghi periodi di tempo. Sono soggetti che, come ben sappiano noi docenti, mal si adattano alla disciplina e all’ordine.

Occorre attuare, quindi, dei principi didattici personalizzati che si prefiggano di adeguare gli interventi educativi a ciascuno degli alunni, tenendo conto delle reali condizioni iniziali di partenza, dei ritmi, dei tempi e dei modi di apprendimento di ciascuno.

Cose che moltissimi docenti fanno già, ma che bisognerebbe fare con più convinzione perchè altrimenti non si spiega il perdurare se non l’aggravarsi di tali situazioni.

Una delle condizioni di deprivazione è, come abbiamo visto, la povertà del linguaggio. Quindi, per i soggetti deprivati, occorrono molteplici opportunità per parlare sia con gli insegnanti sia con i compagni di diverse estrazioni sociali:

  • Il dialogo deve diventare un criterio didattico fondamentale; occore ricercare, inoltre, tutte le occasioni che possono fornire la partecipazione alla vita della scuola.
  • L’alunno che partecipa, non solo avrà modo di esprimersi ma anche di maturare nuove capacità ed abilità.
  • La Scuola deve inoltre motivare nel bambino curiosità e osservazione che facciano intuire all’alunno svantaggiato che le motivazioni che la scuola vuole accendere per l’apprendimento puntano non tanto sul rendimento e quindi sul risultato scolastico, quanto sull’accrescimento e sull’espansione della sua personalità.

Quindi, per concludere, la nostra riflessione, se l’apprendimento è un processo condizionato dall’ambiente naturale, sociale e familiare di appartenenza dell’individuo, come già detto da Quintiliano 2000 anni fa, ma anche dalla sua natura personale ed originale. Spetta  soprattutto alla SCUOLA e alle altre  istituzioni, con tutti i suoi principali attori, l’azione efficace e mirata di decondizionare per garantire, come già detto in precedenza, anche agli alunni in difficoltà il raggiungimento della piena formazione della loro personalità.

 

Bibliografia

1. Istitutio Oratoria di Marco Fabio Quintiliano, 1,1,1-11.

  1. Idem, 1,1,12-23.

  2. Idem, 2,2,4-13.

  3. Petracchi G ., Decondizionamento, La Scuola, Brescia 1976.

  4. Giovannini M.L., Le ricerche di Mario Gattullo sulla selezione nella scuola dell’obbligo, in Morgagni, E. (a cura di), Adolescenti e dispersione scolastica, pp 113-131, Roma, Carocci, 1998.

  5. E. Bacciaglia e N. Cuomo, Le buone prassi tra il dichiarato e l’agito” 2005.Aemocon Emozioni di Conoscere, Bologna;

  6. Luigi Cancrini, Bambini diversi a Scuola, Boringhieri ’74.

Dematerializzazione e registri elettronici

Dematerializzazione e registri elettronici

La scheda Uil Scuola

Negli ultimi tempi sono state introdotte diverse disposizioni che, intervenendo per razionalizzare la spesa pubblica hanno promesso effetti dirompenti per l’organizzazione delle scuole, sia dal punto di vista amministrativo che didattico.
In particolare con il decreto legge n. 95/2012 contenente “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”, convertito dalla legge n. 135/2012, viene dato un ulteriore impulso al processo di dematerializzazione che, nella scuola riguarda:
− le iscrizioni da effettuare con modalità on-line;
− la pagella in formato elettronico, con la stessa validità legale del documento cartaceo, da rendere disponibile per le famiglie sul web o tramite posta elettronica o altra modalità digitale;
− i registri on line;
− l’invio delle comunicazioni agli alunni e alle famiglie in formato elettronico.
Sul primo punto, le iscrizioni on-line, si prende atto che un’attenta azione amministrativa è riuscita ad attivare questa modalità operativa, dopo una prima fase di disorientamento, con l’utilizzo avanzate tecnologie della comunicazione.
I tre punti restanti sono invece stati abbandonati, per un anno, alla libera interpretazione delle scuole: quelle che da anni investono sulla digitalizzazione hanno visto riconosciuti i loro sforzi, altre invece hanno continuato a muoversi con fatica soprattutto quando non si sono trovate tra quelle beneficiarie del Personal Computer che avrebbe dovuto essere collocato in ogni classe di medie e superiori con i 24 milioni di euro stanziati, per il 2012 “per strumenti da utilizzare nelle lezioni quotidiane, innovando la didattica e i processi di apprendimento” o i loro insegnanti non siano tra quelli delle quattro regioni dell’obiettivo convergenza destinatari di un tablet.

La prima gestione
Che le scuole avrebbero dovuto attrezzarsi per proprio conto risultava chiaro dalla nota del ministero n.1682/2012 secondo cui l’anno scolastico 2012-2013, da poco concluso, avrebbe rappresentato un periodo di transizione durante il quale le scuole si sarebbero attivate per realizzare al meglio il cambiamento.
In quella fase il ministero ha stipulato un accordo di massima aperto a tutti i fornitori di software che volessero aderirvi, per la gestione delle attività delle segreterie amministrative e didattiche delle scuole, per garantire la trasferibilità dei dati, generati dalle applicazioni che gestiscono i vari processi soggetti a dematerializzazione, verso il sistema informativo centrale del ministero.
L’obiettivo dell’accordo era – e resta – quello di garantire l’aggiornamento continuo e la compatibilità delle soluzioni software in uso presso le scuole con il sistema informativo del MIUR.
L’accordo è stato aperto per questo a tutti i fornitori che garantissero due condizioni:
– tenere sempre aggiornate le applicazioni;
– mantenere gli standard tecnici necessari per il trasferimento dei dati verso il sistema informativo del MIUR.
Nella stessa nota il Miur ha chiarito che essendo l’obiettivo quello di abbandonare la carta, le eventuali proposte commerciali che obblighino le istituzioni scolastiche all’acquisto di registri cartacei per fornire, gratuitamente, quelli elettronici vanno nella direzione opposta a quella legislativamente definita.
Alle scuole spetta nell’esercizio della loro autonomia, di valutare al meglio, sia dal punto di vista della funzionalità dei pacchetti sia, soprattutto, dal punto di vista della convenienza economica, le proposte disponibili, utilizzando anche modalità di coordinamento e di scambio di informazioni con altre scuole aventi esigenze simili.
A distanza di un anno è rimasta sostanzialmente sulla carta la possibilità per le scuole secondarie di primo e secondo grado interessate, per le aule dove non sia presente un personal computer, di farne richiesta al Ministero attraverso una procedura on line.

Registri elettronici – Le opportunità
Con l’avvio del nuovo anno scolastico il provvedimento di più difficile attuazione per gli istituti scolastici è senz’altro l’adozione di registri on-line e di strumenti di comunicazione telematica con le famiglie. Gli obiettivi dichiarati per la dematerializzazione sono altri, il risparmio, la trasparenza, la confrontabilità e l’integrabilità dei dati. È indubbio, sebbene la digitalizzazione della scuola costituisca tema di posizioni contrastanti, che questa possa contribuire a modernizzare il sistema e dovrebbe servire in primo luogo a sburocratizzare il lavoro degli insegnanti.

Utilità ed usi
Nella scuola più si dematerializza quindi, più dovrebbe esserci spazio per guardare ai ragazzi, ai colleghi, potenziando la relazione educativa all’interno della comunità educante. Ogni insegnante potrà elaborare una cartella personale per ogni alunno, incrociando i dati con quelli dei colleghi; potrà creare grafici e statistiche sull’andamento dell’alunno e della classe, mettendo ordine nella valutazioni e garantendo trasparenza alle famiglie, la generalizzazione della procedura può certamente fornire dati per migliorare la qualità organizzativa e didattica della classe e della scuola tutta, mantenendo questa istituzione al pari con le altre agenzie educative, le famiglie e con altri enti, quelli locali, quelli sanitari ecc. ecc. Per arrivare ad un graduale superamento della situazione che vede solo raramente un computer per ognuna delle 365.000 classi della penisola, ora più frequentemente attestati su uno per ciascuna sala professori, o peggio, un pc itinerante, dove i docenti caricano voti e assenze a fine lezione, dopo aver «preso appunti» in classe occorre partire da elementi di concretezza.

Anno scolastico 2013-2014 – Cosa fare
Quello corrente, per le novità imposte da diversi decreti si annuncia come un anno di transizione verso una direzione già tracciata dall’attuazione delle disposizioni richiamate cui si deve però provvedere con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Da ciò deriva che in realtà non c’è un formale obbligo all’adozione dei registri ma che questo adempimento è condizionato dalle effettive disponibilità di risorse umane, strumentali e finanziarie di ciascun istituto.
Con l’invito ad adottare registri elettronici e strumenti telematici di comunicazione scuola/famiglia, ogni scuola dovrà seguire la propria strada a seconda delle risorse umane, strutturali e finanziarie a sua disposizione. Ciò significa che le scuole più preparate e con maggiori risorse, con reti estese all’intero edificio scolastico e PC in ogni classe, potranno da subito dotarsi dei nuovi strumenti richiesti dalla normativa. Le scuole con minori risorse, riteniamo debbano almeno avviare delle sperimentazioni per valutare l’impatto di queste nuove tecnologie e per individuare il modo di sopperire alle carenze che impediscono il loro uso generalizzato.

Un vademecum per le scuole
Per queste scuole ci uniamo ai consigli di quegli esperti che individuano le seguenti condizioni minime necessarie per l’adozione dei registri elettronici:
o la presenza di una rete locale estesa all’intero edificio scolastico
o la presenza di dispositivi quali PC, tablet, notebook per ciascun docente o, più comunemente, uno per ciascuna classe.
Se è vero che molte soluzioni permettono l’impiego di un qualunque PC collegato ad Internet (il PC di casa del docente, il PC del laboratorio informatico, il PC della sala professori, etc.) ma il registro elettronico potrà sostituire quello cartaceo solo se potrà essere usato in classe. L’impiego del PC di casa o di altri PC della scuola deve essere visto dal docente come una ulteriore possibilità che ne semplifica l’uso ma non può essere l’unico modo di accedere al registro elettronico.

Il registro personale del docente
Il registro personale attraverso il quale il docente raccoglie le annotazioni sul processo di apprendimento degli alunni, è un documento utile nelle operazioni del consiglio di classe in sede di espressione di scrutinio.
Sempre la Corte di Cassazione a tal proposito afferma: “La mancanza di tale registro (quello del docente ndr) renderà forse più complicato lo scrutinio finale, ma non può in alcun modo impedirlo o invalidarlo, essendo il docente tenuto a formulare i suoi giudizi, indipendentemente dalle eventuali annotazioni sul registro”.
Quindi il registro elettronico, dove ci sono le condizioni, può da subito sostituire quello cartaceo del docente.
Il registro di classe La Corte di Cassazione con la sentenza n. 208196 del 1997 ha chiarito in modo definitivo che il registro di classe è un atto pubblico “in quanto posto in essere dal pubblico ufficiale nell’esercizio della sua pubblica attività e destinato a fornire la prova di fatti giuridicamente rilevanti, costitutivi di diritti e obblighi attraverso la quotidiana annotazione della presenza”, ma molto più problematica è la sostituzione del registro di classe in cui la firma del docente ha l’esplicita funzione di dimostrare la presenza dello stesso in classe, cosa che un registro elettronico, a parte certe condizioni, non può garantire.
In mancanza di specifici decreti attuativi o circolari che specifichino a quali condizioni il registro cartaceo di classe può essere sostituito da uno elettronico, riteniamo che anche per il corrente anno le scuole non possano rinunciare ad un registro di classe cartaceo che potrà tuttavia essere più snello e sintetico in presenza di un registro elettronico, fino forse a ridursi ad un semplice foglio di presenze.

La scelta delle applicazioni
La informatizzazione delle procedure scolastiche va ben al di là della semplice digitalizzazione dei registri cartacei e deve consentire:
– di trattare le informazioni tipicamente presenti nel registro di classe e del professore (assenze, giustificazioni, provvedimenti disciplinari, argomenti svolti, valutazioni, etc.)
– di facilitare le comunicazioni con le famiglie mediante l’accesso riservato ad informazioni quali assenze degli alunni, valutazioni, comunicazioni da parte dei docenti o della scuola, etc.
– di realizzare un ambiente con nuove funzionalità rivolte alla didattica quali comunicazione dei compiti per casa, messa a disposizione di materiale didattico, gestione dei compiti per casa e di classe, etc. fino alla realizzazione di vere e proprie classi virtuali.
L’effettivo uso dello strumento va legato al livello delle dotazioni informatiche, all’esperienza ed alla formazione dei docenti in questo campo.
In ogni caso si suggerisce un’introduzione graduale delle nuove funzionalità limitandosi, in una prima fase, alla gestione delle funzioni tipiche dei registri e ai più semplici strumenti di comunicazione scuola/famiglia.

Per effettuare la scelta
Sul mercato esistono molte tipologie di registro elettronico con grandi differenze dal punto di vista tecnico, di semplicità d’uso, di garanzie in termini di affidabilità e sicurezza e di costi.
Occorre quindi valutare varie soluzioni alternative e decidere poi per la soluzione che meglio si adatta alle effettive esigenze dell’istituto, anche facendo riferimento a servizi e convenzioni già sperimentate, ovvero alla modifica delle piattaforme informatica già in uso.
La scelta è in ogni caso delicata che deve essere valutata attentamente sotto molteplici aspetti, non ultimo quello dei costi.

La normativa vigente
Sulla dematerializzazione per il nuovo anno scolastico il ministero non ha emanato ulteriori norme applicative, il riferimento resta quindi ancor quello del decreto n. 95 del 6 luglio 2012.

DECRETO-LEGGE 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012 n.135 Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini. Titolo II – Riduzione della spesa delle amministrazioni statali e degli enti non territoriali Art. 7 – Riduzione della spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri
(…)
27. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca predispone entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto un Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie.
28. A decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, le iscrizioni alle istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado per gli anni scolastici successivi avvengono esclusivamente in modalità on line attraverso un apposito applicativo che il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca mette a disposizione delle scuole e delle famiglie.
29. A decorrere dall’’anno scolastico 2012-2013 le istituzioni scolastiche ed educative redigono la pagella degli alunni in formato elettronico.
30. La pagella elettronica ha la medesima validità legale del documento cartaceo ed è resa disponibile per le famiglie sul web o tramite posta elettronica o altra modalità digitale. Resta comunque fermo il diritto dell’’interessato di ottenere su richiesta gratuitamente copia cartacea del documento redatto in formato elettronico.
31. A decorrere dall’anno scolastico 2012-2013 le istituzioni scolastiche e i docenti adottano registri on line e inviano le comunicazioni agli alunni e alle famiglie in formato elettronico.
32. All’attuazione delle disposizioni del presente articolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

F. Filia, La neve

FRANCESCO FILIA, POETA. LA NEVE E NAPOLI

Francesco filia La neveChi conosce Francesco Filia, l’insegnante, ne identifica il passo fermo, mentre, spiegando ai suoi allievi di storia e di filosofia, come un leone in gabbia, percorre l’aula avanti e indietro. Non sta mai fermo: un giovane uomo che si misura coi suoi ragazzi e parla, tuttavia sereno, anche se in quel movimento vivace, dei tempi, dei luoghi di quanti fecero o disfecero la storia; di quanti tesserono  filosofie complesse, da districare senza che la matassa, tuttavia, ne perda il filo.

Il professore Filia, è un poeta. No: non di quelli che immergono in rime baciate il loro sentimentalismo. Lui non bacia le rime, piuttosto le intreccia di pensieri complessi, che si lasciano scorgere, tra le righe, soltanto da chi davvero vuole farlo.

Francesco Filia vive e insegna a Napoli, dov’è nato nel 1973. Padre e marito. Non si può dimenticare il suo passo, stavolta tranquillo, ragionato, mentre stringe le mani delle sue bambine e le conduce a scuola, prima di recarvisi a sua volta:

-“Riconoscerai/ il tuo sguardo negli occhi di tua figlia, nel suo piangere/ e gioire ad ogni istante e saprai che non sei l’ultima cosa/ rimasta ma solo quel che non hai voluto, le impronte/ delle dita nella calce e uno sguardo di donna senza pace/ la linea severa della fronte e un sorriso appena accennato”.[1]

L’infanzia che gli appartenne, visse anche il terremoto dell’80:- “Abbiamo imparato di nuovo a contare da zero/ ad avere un nuovo prima e dopo come fosse/ un’altra nascita di cristo come lo era stato prima/ il colera ola guerra, per chi se la ricordava”-[2]

Cercando sempre quell’infanzia nei suoi “versi”, cui Giuseppe Carracchia attribuisce “competenza stilistica e capacità “lirica”, la ritroviamo in quei: “Tuffi ripetuti sempre più in alto e l’ultimo della sfida/ sospeso, tra paura e gloria. Rimarremo per sempre nell’attimo tra lo slancio e lo stacco/ del corpo dagli scogli”.[3]

per la verità tutti noi, quando lasciamo le certezze dell’infanzia e ci lanciamo nella nostra vita da adulti, compiamo un po’ il tuffo verso “lo sconosciuto” che compie, eternamente il giovane uomo del dipinto del “Tuffatore di Paestum”.[4]

Molti dei suoi scritti parlano di Napoli. Una città che il poeta, malgrado tutto, ama di un amore incompreso, un sentimento vicino alla sofferenza:- “La neve, quella vera, non l’abbiamo mai vista/ se non nella bocca a nord del vulcano/ nei pochi giorni di cristallo dell’inverno come una minaccia/che ricorda quel che non abbiamo temuto abbastanza/ ma il gelo quello s’, è dentro di noi fino alle ossa/ e lo sentiamo che morde le giunture…”[5] La neve, a Napoli, non è candida, soltanto per poco ci allieta, ci sembra volteggiare nell’aria come fatta di farfalle bianche, meravigliose, ma poi, affonda nel terreno e si tramuta in fango. Come i nostri sogni, che sprofondano nella realtà di una città da cui non ci stacchiamo, ma neanche ci protegge. Questo sembra si possa intuire da ciò che ci regala Francesco Filia nelle sue poesie. E tanto di altro, per chi vorrà cercarlo in esse.

L’autore è  risultato vincitore della sezione inediti del premio Dario Bellezza (edizione 2001) e finalista di altri premi, tra cui Città di Tortona, per l’opera prima, nel 2008. Sue poesie sono apparse su varie riviste blog e riviste on.line) (La Clessidra, Capoverso, La Mosca di Milano, Poesia, Nazioneindiana, VDBD, Poiein, Poetrydream, Poetry Wave, Sagarana, Sinestesie  eccc…) e tra le altre nelle antologie Subway, Poeti italiani Underground (a cura di Davide Rondoni e con l’introduzione di Milo De Angelis, Net, 2006)  e Il miele del silenzio ( a cura di Giancarlo Pontiggia, Interlinea, 2009). Ha pubblicato il poema in frammenti “Il margine di una città”, con prefazione di raffaele Piazza e dieci tavole di Pasquale Coppola (Il Laboratorio 2008). Collabora con nell’occhiodelpavone.blogspo,it

Bianca Fasano



[1] da  Francesco Filia. “la neve”. Fara editore (XI frammento, Napoli 2007). Discendenze.

[2] (X frammento, Napoli 23 novembre 1980).

[3] (XI frammento, Napoli 2007), Dodici anni.

[4] La tomba del tuffatore è un manufatto dell’arte funeraria della Magna Grecia, proveniente dall’area archeologica di Paestum.

[5]( I frammento, Napoli 2007).

Percorsi Abilitanti Speciali, garantire l’avvio dei corsi

Percorsi Abilitanti Speciali, garantire l’avvio dei corsi

La Cisl Scuola sollecita in modo fermo l’avvio dei PAS, che devono essere attivati senza inaccettabili atteggiamenti di disimpegno da parte delle Università. Va garantita, a chi ne ha titolo, la frequenza dei percorsi formativi

Sono quasi 70.000 le domande di partecipazione ai Percorsi Abilitanti Speciali. Un numero rilevante, come ci si attendeva. A fronte di questo, giungono segnali preoccupanti di un possibile atteggiamento di disimpegno che talune Università sembrerebbero intenzionate a mettere in atto, rifiutandosi di procedere all’attivazione dei PAS.

È di tutta evidenza il grave danno che ne deriverebbe per tutti coloro che vedrebbero vanificarsi l’opportunità di conseguire l’abilitazione, o sarebbero costretti a sopportare oneri non indifferenti per accedere a percorsi formativi attivati in sedi molto lontane dalla propria residenza. Si tratta di un’eventualità incomprensibile e inaccettabile.

L’autonomia delle Università non può diventare fattore sperequante nell’attuazione di norme vigenti e di provvedimenti del MIUR la cui valenza nazionale non può essere ignorata, né disattesa.

La Cisl Scuola chiederà al Ministro di intervenire affinché le Università adottino tempestivamente le deliberazioni di loro competenza in attuazione del DM 25 marzo 2013. Le annunciate manifestazioni di protesta del personale precario sono più che legittime e trovano tutto il nostro appoggio.

Sono tantissime le persone che lavorano precariamente nella scuola, accumulando anni di esperienza “sul campo” che non può essere ignorata e che giustamente chiede di essere valorizzata. Noi consideriamo quel bagaglio di esperienza come uno dei fattori che possono concorrere a realizzare un obiettivo di fondamentale importanza: assicurare alla scuola il più alto livello possibile di qualità della classe docente.

Da sempre abbiamo, sulla formazione e il reclutamento, una posizione chiara, che fa della buona preparazione degli insegnanti e della trasparenza delle procedure di accesso al lavoro nella scuola i propri punti fermi. Con altrettanta convinzione, abbiamo sempre sostenuto che per governare senza traumi una situazione di così forte squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, come quella che la scuola vive, è indispensabile un’alta dose di equilibrio e buon senso.

È doveroso aprire le porte della scuola a energie fresche, ma lo è altrettanto valorizzare l’esperienza d’insegnamento concretamente vissuta; questo il principio che anche oggi dovrebbe essere seguito, accantonando i furori ideologici di una malintesa “meritocrazia” che possono soltanto innescare nuove tensioni e acuire quelle già esistenti.

Stavolta è il Mef a sbagliarsi sulla quantificazione delle ferie dei supplenti temporanei

SCUOLA – Stavolta è il Mef a sbagliarsi sulla quantificazione delle ferie dei supplenti temporanei nell’anno scolastico 2012/13: non possono essere sottratti dal computo i giorni di sospensione delle lezioni

 

Anief: è una posizione chiaramente in contrasto con le indicazioni comunitarie e con la giurisprudenza nazionale. Inevitabile il ricorso al giudice del lavoro.

 

Quando sembrava che la questione della monetizzazione delle ferie non godute nell’anno scolastico 2012/13 dal personale precario temporaneo volgesse al termine positivamente, è arrivata un’altra doccia fredda: il Ministero dell’Economia, attraverso la Nota del 4 settembre 2013, ha comunicato alla Ragioneria territoriale dello Stato, dopo il quesito espresso proprio da quest’ultima, che per quantificare le ferie da pagare al supplente occorre detrarre i giorni di sospensione delle lezioni. In base a questa originale interpretazione, bisognerebbe scorporare, ad esempio, i giorni di lavoro effettivamente svolti a scuola dalle vacanze di Natale e di Pasqua, ma anche da ogni eventuale sospensione della didattica per l’organizzazione di attività non prettamente scolastico-formative. Come l’attivazione dei seggi elettorali o lo svolgimento di pubblici concorsi.

 

Tuttavia, ai consulenti legali dell’Anief risulta che questa scelta del Ministero dell’Economia, derivante da un’adozione estrema dell’art. 54 della Legge n. 228/12, è in palese contrasto con la Direttiva Comunitaria n. 2033/88. Oltre che con la giurisprudenza nazionale. Secondo cui, al fine dalla quantificazione corretta dei giorni di ferie da assegnare ad ogni lavoratore non di ruolo, va necessariamente computato l’intero periodo lavorativo svolto. Fermo restando che i tutti quei casi in cui i giorni di ferie non sono stati fruiti, vanno necessariamente quantificati e pagati (formula della modalità sostitutiva).

 

Anche i giorni di sospensione delle lezioni incidono, dunque, sulla quantità delle ferie da monetizzare ai supplenti temporanei in servizio nell’anno scolastico 2012/13. “Quanto indicato dal Mef alle ragionerie dello Stato – ribadisce Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non solo appare in evidente contrasto con il dispositivo previsto in Europa. Ma anche con le varie decisioni assunte dal giudice nazionale su casi simili: in passato, ad esempio, è stato stabilito che non si può ridurre il monte ore delle ferie da far percepire ai lavoratori della scuola sottraendo dal computo il numero di giorni che il dipendente ha passato nello stato di malattia. Ora, per estensione, lo stesso ‘metro’, va applicato a coloro che al termine dell’anno scolastico chiedono all’amministrazione – conclude Pacifico – di veder monetizzare i propri giorni di ferie non godute”.

 

Dopo il dietrofront del Ministero dell’Istruzione sulle ferie ‘coatte’, che di fatto ha riabilitato quanto disposto dal CCNL sulle ferie dei precari agli artt. 13 e 19, presto potrebbe arrivare anche quello sulla quantificazione dei giorni da monetizzare. Ma per far valere questo diritto è necessario ricorrere al giudice del lavoro: tutti coloro che desiderano ricevere supporto sindacale per un’eventuale impugnazione possono inviare una e-mail a ferie@anief.net.

Bonus maturità cancellato, ma il caos rimane. Protesta studenti: “Cambiato a test in corso”

da Repubblica.it

Bonus maturità cancellato, ma il caos rimane.  Protesta studenti: “Cambiato a test in corso”    

Si annunciano molti ricorsi per la decisione del Consiglio dei ministri di abolire i punti in più per chi era uscito dalla maturità con voti alti mentre i candidati svolgevano l’esame di ammissione a Medicina. Ma il ministro non ci sta: “Ricorsi? Brutta abitudine italiana”

di FLAVIA CAPPADOCIA

ROMA – Sono cambiate le regole in corso d’opera: mentre oltre 84mila studenti svolgevano il test d’ammissione nelle facoltà a numero chiuso, il Consiglio dei ministri aboliva il bonus maturità. Dopo le proteste e il tiro alla fune tra mobilitazioni studentesche e il ministero dei mesi scorsi, il Cdm ha cancellato per sempre i punti derivati dall’esame di Stato. Ma non tutti l’hanno presa bene, anzi.
Nel day after – cavalcato dalle polemiche per la decisione presa in extremis e mentre l’esame era ancora in corso – il ministro dell’Istruzione  Maria Chiara Carrozza risponde alla critiche e non teme i ricorsi: “Abbiamo fatto i conti, abbiamo ritenuto che l’abolizione sin da quest’anno fosse la soluzione più equa”. E attacca chi già pensa di rivolgersi a un tribunale: “Una brutta abitudine italiana. Ci sono persone che pensano sempre a come fare ricorso. Non deve essere lo standard che ci si rivolge alla giustizia perché si perde un concorso”.
Eppure l’abolizione del bonus ha diviso in due gli aspiranti medici: sul sito Studenti.it si parla di possibili ricorsi che i candidati potrebbero in ogni caso avanzare sulla base del fatto che le regole della prova sono state cambiate in itinere. E su Facebook sono nati almeno tre gruppi – ci sono già un migliaio di iscritti in poche ore – che protestano e minacciano di ricorrere agli avvocati.
Questo perché la strategia di chi ha svolto il test è stata inevitabilmente alterata dal bonus, sostengono i ‘ricorsisti’: visto che le domande sbagliate davano una penalizzazione e quelle non date invece valevano zero, i ragazzi potrebbero aver fatto scelte diverse. Chi sapeva di avere diritto a dei punti in più potrebbe aver rischiato meno, rispondendo di conseguenza a meno domande; viceversa coloro che sapevano di non essere in possesso del bonus potrebbero aver intentato un numero maggiore di risposte, aumentando le possibilità di cadere in errore.
Insomma, un caos. Ma cos’è esattamente il bonus maturità, che da ieri non esiste più? I ragazzi usciti dalla maturità potevano contare su alcuni punti in più in base al voto dell’esame di stato: da un minimo di 1 a un massimo di 10, per i voti compresi tra l’80 e i 100 centesimi. A maggio scorso, prima che il test fosse posticipato dal 23 luglio al 9 settembre, la pubblicazione del calcolo del bonus maturità in base alla media dell’istituto scolastico frequentato, aveva fatto insorgere professori, studenti e genitori al punto da convincere il Ministero a far slittare la prova e a semplificare il calcolo del punteggio, eliminando la graduatoria tra istituti. Ma anche questo non era bastato e quindi con il decreto Scuola si è provveduto a cancellarlo del tutto.
Sarebbe bastato farlo non a esame in corso, dicono in molti. Per il ministero, il numero di ricorsi sarà comunque minore che nel caso in cui si fosse lasciato il bonus. In attesa delle graduatorie, la polemica difficilmente si placherà. Come se la carriera medica non fosse già abbastanza complessa e l’esame d’ammissione una prova per molti insormontabile (84mila candidati per 11mila posti), quest’anno ci s’è messo – per l’ultima volta – la roulette del bonus maturità.

Per un ragazzo su due la scuola apre le porte al mondo del lavoro

da LaStampa.it

Per un ragazzo su due la scuola apre le porte al mondo del lavoro

Il 46 per cento degli italiani ritiene lo studio fondamentale: un dato più alto rispetto alla media europea

flavia amabile
roma

Serve andare a scuola per trovare lavoro? Secondo gli italiani ha ancora un peso. Il 46% ritiene che l’educazione scolastica influisca positivamente nella ricerca del posto di lavoro. Non fatevi ingannare dal fatto che sia meno della metà. In Europa solo il 41% pensa che l’educazione scolastica conti e il 43% nel mondo. Diverso è invece è quello che accade dopo aver trovato un lavoro.

Secondo gli italiani la formazione non è particolarmente determinante per la carriera o per guadagnare di più. Sono più convinti che la differenza in termini di carriera e retribuzione sia legata non tanto alla formazione ricevuta quanto all’effettiva capacità dei singoli di “mettere in pratica” le conoscenze (teoriche) acquisite.

E’ quello che emerge dai dati elaborati da Nielsen all’interno della Global Survey sulle tematiche relative all’Istruzione nel secondo trimestre del 2013, su un campione costituito da più di 29.000 intervistati online in 58 Paesi.

In Italia più che in altri Paesi (Italia 13% vs 22% Europa, global 32%) la formazione scolastica non è considerata un fattore chiave per guadagnare di più. Oltre la metà degli italiani (Europa 40%, mondo 28%) esprime totale disaccordo su questo punto, mentre il 37% crede che il livello di istruzione possa incidere parzialmente sulla retribuzione.

Risulta una minoranza (l’8%) quella degli italiani che danno un giudizio positivo sulle opportunità di borse di studio messe a disposizione dalle istituzioni governative locali,il 30% ritiene che gli enti locali eroghino borse di studio in modo adeguato (Europa 31%, mondo 39%), mentre ben il 63% (media europea 59%, global 39%) non si ritiene soddisfatto delle opportunità offerte in questo senso.

Oltre un terzo dei consumatori italiani (34%, in Europa il 45%, global 49%) ritiene che le strutture per l’educazione primaria e secondaria di primo grado presenti nelle proprie zone di residenza siano eccellenti. Oltre la metà (53%, Europa 43%) considera, comunque, più che adeguato il servizio educativo disponibile; il 14% si esprime, invece, in totale disaccordo (Eu e global 12%). Un giudizio analogo si riscontra per ciò che concerne le scuole superiori: il 31% degli italiani ritiene ottime (il 41% in Europa, 43% nel mondo) quelle situate vicino a casa, il 52% abbastanza buone (Eu 44%), il 17% per nulla sufficienti. Un calo sensibile della soddisfazione si rileva in merito ai poli universitari e college. In questo caso, ben un terzo degli italiani (31%) ritiene che non coprano le aree di residenza (Eu 29%, global 25%), il 44% che siano discretamente accessibili (Eu 40%), il 25% (Europa 31%) ritiene il servizio più che sufficiente.

Nielsen ha voluto verificare il peso dei casi in cui non ci sono le condizioni per la frequentazione scolastica nelle proprie zone di residenza. E’ risultato che solo il 12% degli italiani non ha modo di accedere a servizi formativi nella propria zona, un dato significativo ma comunque inferiore alla media europea, pari al 16% (global 17%). Ciò significa che la copertura territoriale della rete formativa nel nostro Paese risulta più capillare che in altri.

Per quel che riguarda la scuola primaria e secondaria di primo grado gli italiani hanno giudicato sopra media la qualità dei principali insegnamenti in seguente misura: il 10% del campione considera sopra media l’insegnamento delle scienze (Europa 16%, mondo 24%); il 9% quello delle materie tecniche (Europa 16%, global 23%); il 10% quello della matematica (Eu 20%, mondo 26%); il 9% quello delle materie artistiche (Eu 17%, mondo 23%).

Gli intervistati italiani che hanno dato giudizi sotto media sono stati i seguenti: il 14% del campione ritiene sotto media l’insegnamento delle scienze (Eu 15%), il 22% quello delle materie tecniche (Eu 18%), il 13% quello della matematica, il 21% quello delle materie artistiche.

Per quel che riguarda la scuola secondaria superiore, sopra media il 12% degli intervistati giudica l’insegnamento delle scienze (Europa 18%, mondo 25%), il 12% quello delle materie tecniche (Europa 18%, mondo 24%), l’11% quello della matematica (Eu 21%, mondo 26%), l’8% quello delle materie artistiche (Eu 18%, mondo 22%).

Hanno giudicato sotto media: il 15% degli italiani l’insegnamento delle scienze, il 19% quello delle materie tecniche (Eu 16%), il 13% quello della matematica, il 20% quello delle materie artistiche (Eu 17%).

«Dalla Global Survey sull’Istruzione emerge che gli italiani ritengono che la qualità del sistema scolastico e universitario nazionale sia soddisfacente, – ha dichiarato Roberto Pedretti, Amministratore Delegato di Nielsen Italia – seppur consapevoli del disallineamento, in alcuni casi evidente, con gli standard europei. Nello stesso tempo, rimane però alta l’aspettativa verso i servizi scolastici, che sono ritenuti un punto di avvio importante per l’inserimento nel mondo del lavoro da oltre la metà degli italiani».

Ha continuato Pedretti: «Va, inoltre, sottolineato che gli intervistati mostrano una propensione ad acquistare presso aziende ed esercizi che investono a supporto di iniziative scolastiche, a conferma della consapevolezza sociale che caratterizza, più che in altri paesi, il profilo del consumatore italiano».

Gli apprezzamenti dei sindacati sul governo danno il via libera al rinnovo del contratto?

da Tecnica della Scuola

Gli apprezzamenti dei sindacati sul governo danno il via libera al rinnovo del contratto?
di Lucio Ficara
Raccogliamo , dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto legge sulla scuola, gli apprezzamenti univoci dei sindacati sull’attenzione posta dal governo sui temi in materia d’istruzione
Chiare e forti giungono le affermazioni del leader della Flc Cgil Mimmo Pantaleo, che sottolinea l’importanza del fatto che si sia ristabilito un rapporto stretto tra qualità dell’offerta formativa, stabilizzazione degli organici e investimenti in edilizia, formazione dei docenti e tecnologie. Anche Il numero uno della Gilda insegnanti Rino di Meglio plaude alla stabilizzazione dei precari della scuola, con un ragionevole piano triennale di assunzioni. Sulla stessa linea di pensiero si trova il responsabile della Cisl scuola Francesco Scrima , che riservandosi di leggere con attenzione il testo definitivo di questo decreto legge, dichiara che si sta andando senz’altro una direzione di marcia giusta. Stessa linea sintonica per il segretario Di Menna della Uil Scuola, che sottolinea l’impegno governativo che va nella direzione giusta nel dare certezza e continuità al lavoro nella scuola, nell’azione didattica e dei servizi. Ma cosa ci dicono in buona sostanza tutti questi apprezzamenti dei sindacati sull’operato del governo sulla scuola? La risposta è presto data: “ci dicono che il via all’apertura di un confronto sindacati-miur sull’ rinnovo contrattuale è dietro l’angolo”. Si notano rapporti distesi e sereni che sono il viatico e il preludio per avviare il delicato tavolo contrattuale. Che ci sia distensione e serenità tra sindacati e governo è dato dal fatto che nessuno dei firmatari del contratto scuola attualmente vigente, abbia eccepito sull’art.8 del decreto legge sulla scuola. Ma cosa ci sarebbe da eccepire su questo articolo del decreto? A quanto è dato sapere, ma bisogna attendere il testo definitivo, nell’art.8 del decreto ci sarebbe scritto quanto segue: “ le attività inerenti ai percorsi di orientamento sono ricomprese tra le attività funzionali all’insegnamento non aggiuntive e riguardano l’intero corpo docente. Ove siano necessarie attività ulteriori, che eccedano l’orario d’obbligo, queste possono essere remunerate con il Fondo delle istituzioni scolastiche nel rispetto della disciplina in materia di contrattazione collettiva .” Se questo fosse confermato dal testo definitivo , si tratterebbe di una riscrittura dell’art.29 del contratto scuola, in cui si normano le attività funzionali all’insegnamento. Perché i sindacati tacciono rispetto a questa ulteriore invasione di campo della legge sui patti contrattuali? È solo una questione di cautela, in attesa del testo definitivo o si tratta di uno stato di assuefazione rispetto agli atti parlamentari invasi del contratto? Queste sono domande che dovranno avere presto una risposta, in attesa dell’avvio delle trattative del rinnovo contrattuale, sempre che il governo non entri in crisi e tutto va gambe all’aria

Il decreto del CdM risolleva i prof di geografia

da Tecnica della Scuola

Il decreto del CdM risolleva i prof di geografia
di Alessandro Giuliani
Dal prossimo anno verrà adottata un’ora di insegnamento della geografia generale ed economica (A039) in tutti i bienni iniziali degli istituti tecnici e professionali. De Vecchis (Aiig) ringrazia Ministro e Governo. Rimangono ancora da centrare alcuni punti: programmi aggiornati, formazione adeguata ed esclusività dell’insegnamento per i laureati nella disciplina.
Dopo tanto penare, per i docenti di geografia alle superiori arriva una buona notizia: attraverso il decreto sulla scuola, approvato il 9 settembre dal CdM, è stato deciso che dal prossimo anno scolastico verrà adottata un’ora di insegnamento della geografia generale ed economica (classe di concorso A039) in tutti i bienni iniziali degli istituti tecnici e professionali. Per molti docenti, finiti in soprannumero a seguito della riduzione oraria conseguente alla riforma Gelmini, questo incremento potrebbe significare ritrovare la titolarità. Per tanti precari, invece, la possibilità di tornare a sperare nelle supplenze.
“E’ significativo constatare che il Consiglio dei Ministri di ieri ha in parte recepito le istanze contenute nella recente “dichiarazione di Roma sull’Educazione geografica in Europa”, ha fatto sapere il professor Gino De Vecchis, presidente nazionale dell’Associazione Italiani Insegnanti di Geografia. Che ora “resta a disposizione del Ministero per collaborare in tutte le azioni che si renderanno necessarie per la formazione dei docenti e chiede di affidare l’insegnamento della disciplina a figure specializzate”. Il rifermento è alla possibilità, fornita dal Miur in attesa della riforma delle classi di concorso, di far accedere all’insegnamento della geografia (utilizzando le tabelle di “confluenza”) anche docenti non laureati nella disciplina.
A nome dell’Aiig, De Vecchis ringrazia “il ministro Carrozza e il Governo per la considerazione verso il ruolo formativo dell’educazione geografica, finora fortemente penalizzato”. Nella “dichiarazione di Roma”, approvata a conclusione del IV Congresso EUGEO 2013, che dal 5 al 7 settembre ha riunito all’università Sapienza di Roma più di 600 ricercatori, studiosi e docenti di diversi paesi, si era affermato, tra l’altro, che “l’educazione geografica fornisce agli studenti elementi chiave essenziali, necessari per conoscere e comprendere il mondo”. Ma anche che “l’uso dell’informazione geografica è strategico per il futuro dell’Europa”, tramite “un appropriato uso dei dati geospaziali”, per aiutare la società ad affrontare i molteplici aspetti sociali, economici, culturali, geopolitici, ambientali, climatici e tecnologici del cambiamento.
I sottoscrittori si erano rivolti in particolare ai politici, chiedendo di “riconoscere il valore educativo delle conoscenze e delle competenze geografiche” e di “considerare il ruolo strategico della geografia per conseguire le competenze concernenti la cittadinanza”. Sempre in quell’occasione erano stare richieste più ore per l’insegnamento, programmi aggiornati e formazione adeguata per i docenti di geografia. Sul primo punto sono stati subito accontentati.

La digitalizzazione nelle scuole non naviga bene, anzi si incaglia

da Tecnica della Scuola

La digitalizzazione nelle scuole non naviga bene, anzi si incaglia
di P.A.
Come si fa a connettere a Internet tutte le 328mila classi italiane? Iscrizioni online, registro elettronico e pagelle digitali dovevano entrare già l’anno scorso, ma ancora oggi i prof adoperano penna, calamaio e carta
Wired.it solleva un problema non di poco conto, quello cioè di trasformare l’impostazione della scuola italiana con le nuove tecnologie “ senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. E il risparmio sulla carte e sulle fotocopie è sufficiente per potere acquistare un computer in tutte le classi, o di dare un tablet in mano a tutti gli studenti?
Fra l’altro il Miur non ha definito una linea guida precisa per pagelle e registri online: non esiste un software unico e ogni scuola deve cavarsela da sola. Se alcune scuole virtuose sono avanti nelle sperimentazioni digitali, la gran ha difficoltà a collegare la spina della scuola digitale. Il motivo? Wired.it cerca di spiegarlo. Secondo una indagine promossa da Kion (Cineca) condotta su 200 presidi, il 45% degli intervistati ha dichiarato di non aver ancora tra le mani alcuna soluzione per il registro digitale. Di questi, il 72% cercherà un software sul mercato, mentre il 20% non ha le idee chiare. C’è poi un l’8% convinto di poter rinviare la decisione nel tempo grazie a una proroga di legge. Insomma, ognuno dei quasi 28mila istituti statali – dalle primarie in su – dovrebbe adeguarsi con le proprie forze. Visti i numeri in gioco, monitorare la digitalizzazione caso per caso è praticamente impossibile.
Nonostante lo stanziamento di fondi, i programmi del Miur sono diretti soprattutto alle scuole già dotate di attrezzature e connessione soddisfacenti. C’è il rischio, cioè, che gli istituti più arretrati siano penalizzati nella transizione dalla carta al digitale. E come si fa a fornire dotazioni informatiche del tutto nuove le scuole senza svuotare le casse degli istituti nel giro di pochi mesi? Una delle soluzioni, dice Wired.it, potrebbe essere quella di optare per software open source – il cui aggiornamento da parte di tecnici esterni non è comunque gratis – e per il riuso di macchine usate. Le spese sarebbero più contenute e a trarne vantaggio sarebbe l’intero territorio.
Ma la vera sfida resta comunque quella di insegnare proprio agli insegnati, oltre 700mila, come ci si muove tra strumenti online e linguaggi di programmazione. Altro dato ancora non risolto: l’adozione dei testi digitali che è stata rimandata di almeno altri due anni scolastici. Lo ha detto a Wired anche Ernesto Belisario ( @diritto2punto0), avvocato esperto di e-gov e nuove tecnologie: “Il rinvio degli ebook al 2015 è una follia e il ‘non siamo pronti ‘ del ministro Carrozza è un segnale pessimo. Non sappiamo neppure quali saranno le tecnologie disponibili tra due anni: se l’innnvoazione non è veloce tutto diventa inutile. Serve un piano effettivo di switch off delle vecchie tecnologie che abbia una scadenza precisa. In parole chiare: non si torna più indietro. Purtroppo l’Italia ha il difetto di essere il paese dell’eterna sperimentazione. Però nel nostro paese gli esempi virtuosi esistono. Questo lo sappiamo. È arrivato il momento che i progetti pilota diventino esempi da seguire e applicare su vasta scala”. Uno spiraglio si è aperto nel versante tecnologico col decreto del 9 settembre scorso, che prevede lo stanziamento di fondi a favore della scuola e dell’ istruzione universitaria. In particolare, ci sono 15 milioni di euro per incrementare la connettività wireless nelle scuole secondarie (con priorità a quelle di secondo grado); 8 milioni (2,7 per il 2013 e 5,3 per il 2014) per finanziare l’acquisto da parte di scuole secondarie di libri di testo – da ora facoltativi e sostituibili con altro materiale – e ebook da dare in comodato d’uso agli alunni bisognosi; 10 milioni per il 2014 per la formazione del personale scolastico anche sul piano delle competenze digitali.

Carrozza: “Il voto non deve avere valore legale in un concorso”

da Tecnica della Scuola

Carrozza: “Il voto non deve avere valore legale in un concorso”
di P.A.
A Radio 24 la ministra Carrozza parla di scuola e del Governo: “La vicenda Berlusconi? Si risolverà. Sono convinta che tra 48 ore sarò ancora ministro”.
La ministra carrozza ha parlato del provvedimento varato ieri dal Consiglio dei ministri coi 400 milioni destinati alla scuola, ma reperiti dalle accise sugli alcolici: “Da un punto di vista etico “tassare il vizio” non è di per sé una cosa negativa. Ma certamente il ministro Saccomanni ha detto che dobbiamo avviare un processo di revisione di spesa pubblica con task-force interministeriali, in questo la stabilità politica deve aiutare. Questo è il percorso, e dalla revisione della spesa libereremo altre risorse per la scuola”. Per quanto riguarda invece l’eliminazione del bonus maturità per l’accesso alle università a numero chiuso, il ministro ha detto a Radio 24: “In Italia cambiamo un po’ troppo i ministri, un governo dovrebbe durare. Ma non credo che si possa dire “ministro che viene, regole che cambiano”. Noi abbiamo provato ad applicare la valorizzazione dell’esame di maturità ma è risultato statisticamente inapplicabile perché la valutazione è soggettiva, dipende dalle commissioni e introduce disparità. Se un 95 al classico vale meno di un 95 all’istituto tecnico è un problema perché così si introduce il principio per cui si sceglie un istituto in modo da ottenere un credito più alto. Noi come governo siamo contrari a dare una valorizzazione estrema del voto di diploma e laurea. L’importante è studiare, non puntare al 100 perché questo dà punti in più in un concorso pubblico. Questo concetto lo combatterò sempre, il voto alto è fonte di orgoglio ma non deve avere un valore legale, questa è una distorsione inaccettabile”. Ma ha pure spiegato il perché dell’investimento nel wireless e nei libri tecnologici: “Non è solo per una questione di contenimento dei costi dei libri, è l’avvio di un processo che porterà all’utilizzo definitivo dei libri digitali. È una rivoluzione che non potrà essere arrestata. Ma per applicare l’agenda digitale i nostri studenti devono avere i dispositivi, in molte scuole non siamo coperti neanche con la connettività wireless”.

Ds in cattedra con la Scuola nazionale di amministrazione

da Tecnica della Scuola

Ds in cattedra con la Scuola nazionale di amministrazione
di P.A.
Si cambia nel reclutamento dei dirigenti ed entra in campo la Scuola Nazionale di Amministrazione rinnovata dal precedente Governo
Secondo quanto è previsto dal decreto legge sulla scuola varato ieri dal Consiglio dei ministri, scattano nuove pratiche per reclutare i dirigenti scolastici. Le procedure saranno gestite dalla Scuola nazionale della pubblica amministrazione, alla frequenza della quale potranno accedere gli aspiranti presidi che superano la solita preselezione, composta da scritti e orali. In pratica un concorso a tutti gli effetti, chiamato preselezione, che consente ai vincitori di accedere alla scuola di formazione dove dovranno partecipare ancora a un corso di formazione con relativo e susseguente concorso finale. Per largheggiare, e per non farsi trovare impreparati, alla frequenza di questo fatidico corso-concorso è stato previsto un incremento del 20% di candidati in più oltre al fabbisogno effettivo, cosicchè, a conclusione degli studi e delle selezioni, si possa stilare una graduatoria dentro la quale però, e qui sta forse la furbata del Miur, verrebbero inclusi tutti i vincitori che annualmente superano le prove. In pratica questa graduatoria non sarebbe a scorrimento, ma a punteggio aggiornato anno per anno, seguendo proprio la scadenza annuale dei corsi-concorsi, in modo che i primi a essere sistemati sarebbero i più bravi, quelli cioè che man mano conquistano le vette più alte, mentre nel punteggio complessivo è prevista pure la valutazione dei titoli che dovrebbero per lo più essere quelli finora conteggiati. Ma se il fine di questa nuova procedura è l’affossamento definitivo dei ricorsi, non si capisce il motivo per il quale è previsto che possa accedere alle preselezioni solo il personale con laurea e con almeno 5 anni di ruolo effettivo. Vedremo nel dettaglio e nei successivi decreti esplicativi come sarà affrontata questa vicenda, mentre colpisce il pagamento di una somma a carico degli aspiranti dirigenti per coprire le spese delle procedure concorsuali. In ogni caso il corso-concorso si svolgerà presso la scuola nazionale di amministrazione e dovrebbe avere un periodo formativo non inferiore ai sei mesi. I criteri di accesso e di esame saranno esplicitati nei bandi di reclutamento, che, a norma di legge, dovranno contenere indicazioni sufficienti a discernere classi di concorso, titoli richiesti, modalità di svolgimento e valutazione elle prove. La singolarità del testo, nella fase in cui lo stiamo leggendo, e le perplessità riguardano il fatto che tali corsi dovrebbero essere organizzati con scadenza annuale, mentre parte dei costi saranno a carico dei candidati.

Con le nuove regole spunta un “contributo” nel corso-concorso per Ds

da Tecnica della Scuola

Con le nuove regole spunta un “contributo” nel corso-concorso per Ds
di Aldo Domenico Ficara
Cambia la procedura concorsuale per il reclutamento dei Dirigenti scolastici dopo l’approvazione del Decreto scuola. Dall’articolo 18 dello schema di decreto-legge recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca si legge:
“Il reclutamento dei dirigenti scolastici si realizza mediante corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola nazionale di amministrazione . Il corso-concorso viene bandito annualmente per tutti i posti vacanti, il cui numero è comunicato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica e alla Scuola nazionale di amministrazione, sentito il Ministero dell’economia e delle finanze e fermo restando il regime autorizzatorio in materia di assunzioni di cui all’articolo 39, comma 3-bis, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni . Al corso-concorso possono essere ammessi candidati in numero superiore a quello dei posti, secondo una percentuale massima del venti per cento, determinata dal decreto di cui all’ultimo periodo . Al concorso per l’accesso al corso-concorso può partecipare il personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche ed educative statali, in possesso del relativo diploma di laurea, che abbia maturato dopo la nomina in ruolo un periodo di servizio effettivo di almeno cinque anni . E previsto il pagamento di un contributo, da parte dei candidati, per le spese della procedura concorsuale. Il concorso può comprendere una prova preselettiva e comprende una o più prove scritte, cui sono ammessi tutti coloro che superano la preselezione, e una prova orale, a cui segue la valutazione dei titoli. Il corso-concorso si svolge presso la Scuola nazionale di amministrazione, in giorni e orari e con metodi didattici compatibili con l’attività didattica dei partecipanti, con eventuale riduzione del carico didattico . Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità di svolgimento delle procedure concorsuali, la durata del corso e le forme di valutazione dei candidati ammessi al corso “.