Le attività formative della Scuola IAD e del Baicr

Le attività formative della Scuola IAD Università di Roma Tor Vergata e del Baicr

 

Con l’avvio del nuovo anno accademico, il Prof. Aurelio Simone, Direttore della Scuola IAD (Istruzione A Distanza) dell’Università di Roma Tor Vergata, e la Prof.ssa Teresa Di Giovanni, responsabile dei master di formazione continua per insegnanti e dirigenti scolastici banditi dall’Università degli Studi di Roma Tor Vergata- Scuola IaD in convenzione con il Baicr Cultura della relazione, hanno rivolto alcune domande ai curatori dei corsi perché ne illustrassero i contenuti, le finalità e il valore aggiunto che costituiscono ai fini di un incremento delle competenze professionali.

 

Segue l’intervista al Prof. Maurizio Tiriticco

 

Gentile Professore, Lei ha curato particolarmente il master online “Pedagogia e Scuola”, diretto dalla professoressa Donatella Palomba, relativo alla formazione continua degli insegnanti e dei dirigenti scolastici. Ci vuol dire quali sono gli obiettivi e i contenuti del corso?

 

La scuola italiana nel corso degli ultimi anni ha subito profondi cambiamenti che hanno spesso creato serie difficoltà negli insegnanti, tenuti a continui aggiornamenti. Occorre considerare che i cambiamenti sono stati anche di sostanza. Per tutti gli anni Settanta, fino ai ministri Berlinguer e De Mauro, la nostra scuola aveva sposato i principi, la teoria e la pratica del curricolo. Con l’amministrazione Moratti e le sue riforme, questa pratica è stata spazzata via e sostituita dai Piani di studio personalizzati. Quindi, da una scuola che poneva agli alunni finalità e obiettivi eguali per tutti, ovviamente letti e curvati a seconda delle esigenze degli utenti mediante la pratica della “individualizzazione”, si è passati a una scuola in cui è prevalsa la pratica della “personalizzazione”: in altri termini, il voler “dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno”. E ciò con il grave rischio di rompere quella stessa unità educativa e culturale nazionale che ha connotato la nostra scuola pubblica fin dalla nascita della Repubblica e della Carta costituzionale.

Con il ministro Fioroni si è ritornati al curricolo. Poi con il ministro Gelmini si è scelta una sorta di via di mezzo. Ma ciò che ha interessato fortemente la scuola sotto quell’amministrazione è stata la politica dei tagli, che ha reso quasi meno importante la questione delle scelte metodologico-didattiche. Soltanto con il ministro Profumo, infine, si sono individuati dei punti fermi e con la definitiva pubblicazione delle Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia, per il primo ciclo e per i licei e le Linee guida per gli istituti tecnici e professionali, si è tornati in via definitiva a indicare attività di insegnamento/apprendimento basate sulla teoria del curricolo e della progettazione educativa e didattica. Per non dire poi delle vicende che hanno riguardato la valutazione e il ritorno ai voti nella scuola dell’obbligo. E giova anche ricordare che oggi l’obbligo di istruzione ha una durata decennale.

Ebbene, tutti questi avvenimenti La Scuola IaD e il Baicr li hanno seguiti puntualmente, e hanno dovuto aggiornare costantemente gli obiettivi e i contenuti di apprendimento proposti agli insegnanti, per offrire loro i panorami sempre nuovi che le normative che si succedevano proponevano. E questa possibilità che un master online ha di curvarsi rispetto alle indicazioni normative che si succedono, costituisce un valore aggiunto di grande importanza. Va anche detto che Scuola IaD e Baicr hanno una loro filosofia e visione dei problemi dell’insegnare e dell’apprendere, che  deriva dai contributi di studiosi e ricercatori di alto livello di cui si avvalgono, studiosi che elaborano e sottoscrivono i materiali didattici online.

Ed è per tali motivi che, nel panorama delle numerose proposte di formazione, questa è senz’altro una delle migliori e delle più apprezzate.

 

Lei, con l’Ispettore Luciano Favini, ha curato il master online in Didattica della lingua latina, diretto dal professor Fabio Stok. Vuol dirci perché un insegnante dovrebbe iscriversi a questo corso?

 

Il master intende far riflettere l’insegnante di latino sul valore che oggi può avere, e ha, lo studio di questa lingua, e non solo per gli studi classici liceali. Io sono personalmente dell’avviso – che ci viene suggerito del resto da Martha Nussbaum, la cui fama è internazionale – che una formazione umanistica per tutti è quanto mai necessaria oggi, ai fini della comprensione di un mondo e di una società che si fanno sempre più complessi. Il latino, quindi, non va inteso tanto come esercizio tecnico (memorizzare tutte le declinazioni e le forme verbali, esercitarsi sulle copiosissime regole), quanto come “piacere” di accedere a un mondo, la cui scoperta, per un ragazzo abituato ad internet e al cellulare, può costituire un alto gradiente di curiosità.

Il fine del master, quindi, non è tanto quello di insegnare ad insegnare la grammatica latina, ma di insegnare come avvicinare lo studente a quel mondo meraviglioso che non è affatto riducibile solo alla costruzione di videor o alla perifrastica passiva. Il mondo degli antichi romani, presente ovunque nel nostro Paese, è ricco di suggestioni che vanno anche al di là del semplice apprendimento linguistico.

Ed è per questo che le stesse Indicazioni nazionali per i licei consigliano l’insegnante di avvalersi di un metodo “attivo”. Viene citato come esempio il metodo Ørberg, il latino cosiddetto “naturale”. Io nel mio modulo introduttivo ricordo Joseph Cahour che nel suo Manuel pour l’Etude de la Langue Latine adaptée aux usage de la vie moderne, edito a Parigi nel 1928 per le “Editions de la Pensée Latine”, sostenne tra i primi la necessità di avvicinarsi al latino secondo un metodo vivo e colloquiale.

Insomma il Latino va oltre rosa rosae! Nel mio modulo affermo tra l’altro che “lo studio del latino in quanto lingua e in quanto cultura classica assume un rinnovato valore, rispetto ai valori che da sempre lo hanno connotato, a due condizioni: la prima è che lo si assuma in un impianto pluridisciplinare di Educazione Linguistica Integrata (ELI); la seconda è che se ne rinnovi profondamente la didattica”. E fornisco anche una serie di esempi, desunti in gran parte dalla cultura delle origini, che dovranno essere contestualizzati, modularizzati – se si può dir così – con altri contenuti di storia, di storia del pensiero e del costume, dei primitivi culti pagani, con il greco e così via. Sono esempi scelti a caso, ma interessanti, a mio avviso, per la loro semplicità di lettura e soprattutto di immediata comprensione da parte dello studente.

Il contenuto del master è il seguente. La questione relativa al metodo e alla didattica del latino viene affrontata in apertura da Maria Grazia Jodice. Quindi Luciano Favini ricerca e sottolinea tutte le intersezioni pluridisciplinari che passano attraverso il latino, il greco e l’italiano. Fabio Stock ravviva – se si può dir così – lo studio del latino ricercando le relazioni che questa lingua ha con la ricerca scientifica e le stesse scienze naturali. E voglio sottolineare anche altri preziosi contributi, quello di Paolo Marpicati (Insegnare la grammatica: problemi e proposte), e quello di Giovanni Sega (Insegnare la sintassi).

In conclusione, il master costituisce, a mio avviso, un affascinante viaggio in un mondo che è molto più bello e intrigante di quello che può sembrare a un ragazzo annoiato dal memorizzare amussis, buris, ravis, sitis e tussis! Hanno l’accusativo in -im! Mai trovate in un classico queste parole!!! Eppure le ho cercate tanto!!! Un corso ricco di suggerimenti e di suggestioni! Che finora ai nostri iscritti sono piaciute.

 

Lei ha curato con il professor Luciano Corradini il master, diretto dalla professoressa Donatella Morana, in Cittadinanza e Costituzione, la nuova disciplina che è stata recentemente introdotta nelle nostre scuole. Ce ne vuole illustrare contenuti e finalità?

 

In effetti, mi sono occupato soprattutto della parte introduttiva del master con il Prof. Luciano Corradini, ambedue sempre impegnati nella ricerca di un nuovo statuto dell’Educazione civica, proprio per sottolineare l’importanza e la necessità della nuova disciplina. Tutti gli aspetti specifici, che rinviano a particolari discipline, sono stati curati da esperti di grande valore. Mi limito soltanto a citare i temi che seguono: L’organizzazione costituzionale dello Stato, di Luca Pirozzi; Diventare cittadini e cittadine, di Francesco Bonini; Migrazioni e fenomeni identitari nell’era della globalizzazione, di Gino Satta; Le autonomie territoriali e l’ordinamento regionale dopo la riforma del Titolo V, di Concetta Giunta.

Il master è nato perché avevamo avvertito come e quanto fosse necessario sottolineare e descrivere in quale misura le rapide trasformazioni della società contemporanea sottopongano a continua tensione i principi che costituiscono il fondamento della cittadinanza e perché inducano la necessità di restituire centralità ai temi dell’educazione civica, aggiornandone però strumenti e metodologia. Abbiamo ritenuto che le stesse tradizionali categorie del diritto e della storia non sono più sufficienti a sostenere la nuova disciplina e che è necessario, invece, aprire a metodologie e a contributi interdisciplinari del tutto nuovi. I nuclei portanti del master sono almeno tre: il rapporto tra istituzioni centrali e locali; le dimensioni sovranazionali e internazionali e i contesti migratori; la società della conoscenza e dell’informatizzazione.

La presentazione di contenuti assolutamente nuovi intende, appunto, sottolineare che la nuova disciplina Cittadinanza e Costituzione ha poco a che fare con la vecchia Educazione civica. Con questa, infatti, ci si limitava a illustrare la struttura organizzativa della nostra Repubblica “democratica fondata sul lavoro” e l’assetto tripartito del nostro Stato, soprattutto in funzione del fatto che gli studenti non dovessero limitarsi a studiare solo le materia strettamente scolastiche, ma comprendessero anche le responsabilità che avrebbero dovuto assumere in uno Stato costituito di cittadini liberi e non di sudditi ubbidienti. Con la nuova disciplina, invece, l’orizzonte si apre al di là del nostro Stato democratico, in primo luogo all’Europa, e al mondo intero anche in ragione delle correnti immigratorie che interessano il nostro Paese e di tutti quei complessi fenomeni che vanno sotto il nome di globalizzazione.

Tali finalità hanno indotto a una scelta molto ampia, per cui abbiamo voluto introdurre nel master tematiche di largo respiro, tutte sostenute da argomentazioni puntuali e corrette, stante la statura e la competenza di ciascuno degli autori. Per queste ragioni, l’insegnante impegnato nell’insegnamento di Cittadinanza & Costituzione troverà indubbiamente una fonte inesauribile di temi, argomenti, approfondimenti e rinvii assolutamente necessari perché possa disporre di un materiale di prim’ordine per organizzare il progetto educativo della disciplina.

Si tratta di un servizio che difficilmente un’altra agenzia educativa è in grado di offrire! E lo dico con assoluta certezza!

“C.S.O. Cittadini Solidali Ora”

Mercoledì 18 settembre al MIUR la presentazione del progetto “C.S.O. Cittadini Solidali Ora”

Verrà presentato mercoledì 18 settembre alle ore 10,30 nella Sala Comunicazione del Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca a Roma (viale Trastevere, 76/a) il nuovo progetto multimediale di AVIS Nazionale intitolato “C.S.O. – Cittadini Solidali Ora”.

Si tratta di un gioco interattivo che sarà reso disponibile gratuitamente sul sito www.avis.it  in occasione del nuovo anno scolastico 2013-2014, con l’obiettivo di sviluppare negli istituti secondari di primo e secondo grado un percorso più concreto verso le tematiche che animano l’azione del volontariato.

Protagonista della storia è un gruppo di adolescenti inserito nel contesto odierno che, attraverso una serie di avventu­re ed enigmi, sarà guidato in percorso di consapevolezza dei problemi del sociale e potrà, così, assumere maggiore coscienza della propria identità e di quella della comunità di appartenenza.

Grazie al supporto di un docente e di un rappresentante di AVIS, le classi saranno invitate a visionare e commentare una serie di filmati e documentari, leggere articoli giornalistici e ascoltare brani musicali scelti per la loro particolare vicinanza ai temi della solidarietà.

Alla conferenza parteciperanno il Sottosegretario all’Istruzione, on. Marco Rossi-Doria, il Presidente di AVIS Nazionale, dott. Vincenzo Saturni, la responsabile dell’Area Scuola, prof.ssa Rina Latu, e il pedagogista e formatore prof. Enrico Carosio, che ha coordinato la realizzazione del progetto.

«La proposta creativa offerta da questo nuovo strumento vuole proseguire il percorso di sensibilizzazione alla cittadinanza attiva che la nostra Associazione ha intrapreso ormai da anni, accanto alla promozione del dono del sangue e degli emocomponenti – commenta il dott. Saturni. Tale approccio si propone, quindi, di mettere a disposizione degli studenti utili spunti per la crescita con­sapevole della propria personalità e per l’adozione di gesti concreti di volontariato, nell’ottica di una sempre più capillare diffusione di stili di vita sani, responsabili e attenti ai bisogni della collettività».

« “C.S.O. – Cittadini Solidali Ora” è un ottimo esempio di come le istituzioni, le associazioni e il mondo del non profit possano interagire positivamente per offrire a bambini e ragazzi occasioni di crescita, impegno e riflessione critica sul proprio ruolo di cittadini – dichiara il Sottosegretario all’Istruzione, Marco Rossi-Doria. Con questo progetto, anche grazie all’ausilio delle nuove tecnologie multimediali, AVIS e MIUR possono insieme offrire ai docenti un ulteriore strumento didattico per avvicinare concretamente le nuove generazioni all’impegno, alla partecipazione e al volontariato. Le scuole italiane sono da sempre attivissime su tale fronte e per questo siamo certi che anche in questa occasione aderiranno numerose all’iniziativa».

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No ad un nuovo svuotamento dei fondi MOF

No ad un nuovo svuotamento dei fondi MOF

Si sta riproponendo, in questi giorni, il problema del recupero degli scatti di anzianità maturati dal personale della
scuola relativi all’anno 2012. Problema reale la cui soluzione richiede la disponibilità di ingenti risorse finanziarie che
meritano di essere reperite, ma che non possono e non devono gravare sulla posta MOF, come invece è accaduto
per il recupero degli scatti 2011.
È necessario ricordare che il CCNL 13 marzo 2013 e le Intese del 30 gennaio e del 6 febbraio 2013 hanno
pesantemente inciso sull’ammontare complessivo dei fondi MOF, passati improvvisamente da 1.385,21 milioni di
euro a 924,04 milioni di euro, con un taglio netto del 33%.
Questo ha significato per gli istituti scolastici significativi decurtazioni del FIS (‐238,91 per il 2012 e – 275,41 milioni di euro per il 2013), delle ore eccedenti (‐11,65 per il 2012 e – 15,50 milioni di euro per il 2013), delle funzioni
strumentali al POF (‐ 23,47 per il 2012 e – 31,22 milioni di euro per il 2013) degli incarichi specifici al personale ATA (‐ 10,34 per il 2012 e – 13,75 milioni di euro per il 2013), dei progetti per le aree a rischio e a forte processo
immigratorio (‐ 10,14 per il 2012 e – 13,48 milioni di euro per il 2013). Un vero e proprio salasso a carico di
stanziamenti strettamente legati alla retribuzione accessoria del personale scolastico, alla progettualità degli istituti,
alle attività e agli incarichi che direttamente afferiscono all’efficienza del servizio e alla produttività sociale delle
scuole.
Né va dimenticato che l’Intesa del 30 gennaio 2013 ha introdotto una rimodulazione della disponibilità MOF per il
2013, consistente nell’aumentare la disponibilità per i primi otto dodicesimi del 2013 (da 690,24 a 741,42 milioni di
euro) e nel ridurre la quota disponibile per i restanti quattro dodicesimi del 2013 (da 345,12 a 293,94 milioni di
euro), con la conseguenza che sul primo quadrimestre del nuovo anno scolastico, che si è appena aperto, grava già
un primo significativo handicap.
Dal momento che il CCNL citato prevede un ulteriore prelievo per ciascuno degli anni a venire di 381 milioni di euro,
è facile concludere che la realizzazione di questa previsione condurrebbe al rapido prosciugamento dei fondi MOF e
al totale blocco di tutte le attività aggiuntive che permettono di attivare progetti di miglioramento dell’offerta
formativa a vantaggio di alunni e studenti, andando a colpire proprio le iniziative qualitative che scaturiscono
dall’applicazione dei margini di autonomia attribuiti alle scuole.
Ulteriori decurtazioni del MOF non sono accettabili perché colpiscono il valore aggiunto del miglioramento
dell’offerta formativa previsto dal Regolamento sull’autonomia di cui al DPR 275/1999 e ne vanificano la portata
innovativa, a danno dell’utenza e del suo diritto ad un servizio scolastico di qualità.
Peraltro, si osserva che proprio in questi giorni i dirigenti scolastici sono chiamati ad adottare i relativi provvedimenti
amministrativi di costituzione del fondo e che questi atti sono necessari e prodromici a tutta l’attività di
contrattazione integrativa. La pianificazione organizzativa e progettuale – ed il relativo, conseguente, ricorso alle
deleghe ed agli incarichi nei confronti del personale – non può e non deve, per il secondo anno consecutivo, fare
pesantemente ricorso alla clausola di salvaguardia finanziaria che, per quanto obbligatoria ai sensi dell’art. 48 del
D.lgs. 165/2001, suona indubitabilmente come una presa in giro nei confronti dei dipendenti più impegnati.
L’Amministrazione scolastica e le organizzazioni sindacali non devono rendersi responsabili di un nuovo e grave
attentato alla funzionalità degli istituti, ai diritti degli utenti del servizio e all’autonomia scolastica.

16 settembre Il ministro inaugura l’anno scolastico

Il 16 settembre il ministro Carrozza inaugura l’anno scolastico a Casal di Principe, presenti le scuole e le istituzioni di Casal di Principe e della Provincia di Caserta e il capo della Direzione nazionale antimafia Franco Roberti.

Traccia del discorso del Ministro On. Prof. Maria Chiara Carrozza
Inaugurazione dell’anno scolastico 2013/2014 a Casal di Principe

Carissimi studenti,
Cari insegnanti, dirigenti scolastici, personale tecnico amministrativo, Autorità,
Siamo venuti a Casal di Principe per lanciare, da qui, un messaggio che arrivi a tutta l’Italia che va a scuola: agli alunni di tutti i cicli che hanno ripreso a frequentare le lezioni in questi giorni, agli insegnanti, al personale tecnico – amministrativo, alle famiglie. Perché la scuola ci riguarda tutti. Siamo venuti a Casal di principe, in Campania, nel cuore del sud, perchè la scuola deve essere il simbolo del riscatto di questi territori e dell’intero paese.
Nelle settimane della sua riapertura, l’Italia scopre nella scuola un fattore essenziale di unità e di coesione.
La scuola è una presenza diffusa e fondamentale nel nostro Paese. Abbiamo 44000 plessi scolastici, in tutto il territorio italiano. In Campania ci sono oltre 940.000 alunni e oltre 87.000 insegnanti (compresi gli insegnanti di sostegno) in oltre 45.000 classi, in 1030 istituzioni scolastiche.
La scuola è in ogni paese, in ogni quartiere delle nostre città: la scuola è l’istituzione che dà un senso concreto alla parola “pubblico”, alla cosa pubblica, all’interesse pubblico. La scuola è l’istituzione che garantisce l’accesso alla conoscenza. Accesso alla conoscenza vuol dire anzitutto accesso agli studi e quindi accesso alla vita.
La funzione del sistema di istruzione nella società è infatti principalmente quella di preparare i ragazzi ad affrontare le sfide di oggi, a essere cittadini italiani ed europei, a confrontarsi con le sfide internazionali, ad accedere a una “mappa” in cui l’Italia ha l’obbligo di relazionarsi con il mondo.
Accesso agli studi è tutto questo.
Il mancato accesso agli studi è il primo fallimento educativo, e, di conseguenza, il primo fallimento di un Paese, dato che l’educazione è lo specchio del suo futuro.
Simbolo della ferita dell’accesso agli studi è soprattutto la dispersione scolastica.
In questi giorni sta cominciando l’anno scolastico, in tutta Italia. Quanti ragazzi abbiamo già perso?
Per quanto riguarda la dispersione scolastica, siamo lontani dai parametri europei. La Strategia Europa 2020 punta a scendere sotto il 10% di dispersione scolastica entro il 2020: il dato italiano del 2012 si attesta al 17,6%, a fronte di una media europea del 13,5%. Anche se il dato italiano appare in discesa rispetto agli ultimi anni, si riscontrano ancora picchi elevatissimi, soprattutto nelle isole (Sardegna, con il 25,8% e Sicilia, con il 25%) e al Sud.
I vantaggi portati dall’accesso e dalla permanenza di un ragazzo a scuola sono innumerevoli: meno criminalità, meno corruzione, maggiore rispetto delle istituzioni, maggiore ricchezza per il Paese, più tolleranza verso gli altri, più senso del dovere, più senso civico.
Infatti, non dobbiamo dimenticare che dispersione scolastica, in gran parte del territorio italiano, vuol dire che a vincere è un altro reclutamento rispetto a quello della scuola: i ragazzi che vengono persi dal sistema formativo trovano rifugio nella strada e nella criminalità organizzata. Parliamoci chiaro. La dispersione scolastica, anche qui a Casal di Principe, in questi territori, è spesso il campo di una battaglia tra la scuola e la camorra. Nella vita di un ragazzo, si sfidano due tipi di reclutamento: il reclutamento della scuola e il reclutamento della criminalità. Dobbiamo tutti insieme far sì che lo Stato sia più forte, dobbiamo far sì che le istituzioni siano più credibili ed affidabili. Dobbiamo far si che i nostri ragazzi non debbano scegliere, che i nostri ragazzi trovino al loro fianco la scuola e le istituzioni.
Dobbiamo educare tutti al reclutamento della scuola contro il reclutamento della criminalità. Come diceva Benedetto Croce, “tutti siamo e dobbiamo e possiamo essere effettivi educatori, ciascuno nella propria cerchia e ciascuno in prima persona verso se stesso”.
La dispersione è un assillo, per un Ministro è una cosa che non fa dormire la notte: superare la dispersione dei talenti, superare quella rassegnazione che in Italia colpisce poi oltre 2,2 milioni di giovani, i cosiddetti NEET (i giovani che non studiano e non lavorano), che hanno disperso il loro accesso alla vita e alla società.
La dispersione dei talenti dei ragazzi è una tragedia, è la ferita più grande che possiamo arrecare al futuro, in un Paese dove il numero dei giovani che non studiano né lavorano ha raggiunto la cifra di 2,2 milioni. Sarebbe la decima regione italiana per popolazione! La lotta alla dispersione scolastica riguarda tutta la società, una società allargata di educatori.
Qui – come in altri 206 territori del Mezzogiorno – sono già al lavoro, con fondi europei gestiti dal MIUR, altrettanti prototipi contro la dispersione scolastica che vedono lavorare insieme scuole, privato sociale, enti locali, volontariato. Queste azioni sono rivolte ai bambini e ragazzi in difficoltà, con un percorso che registra punto di partenza e punto d’arrivo, centrato sullo sviluppo di competenze e conoscenze irrinunciabili. Si tratta di 50 milioni di euro investiti fino alla fine dell’anno prossimo.
Su questo esperimento abbiamo avviato un rigoroso percorso di accompagnamento e di valutazione. Ed è con questo spirito e con questo metodo che stiamo affrontando, insieme alle regioni, la nuova progettazione dei fondi europei del periodo 2014 – 2020 intorno all’obiettivo di lotta all’abbandono scolastico e formativo che riguarderà, insieme, le aree più critiche del Mezzogiorno e anche quelle del Centro-Nord.
La scuola è il pilastro della coesione sociale e territoriale, il luogo dove si costruisce la cittadinanza e dove inizia la realizzazione dei valori costituzionali, il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Abbiamo voluto aprire qui l’anno scolastico perché riconosciamo che qui questo compito è più difficile. È più difficile – per le ragazze e i ragazzi del Sud – conquistare lavoro, dignità, felicità, perché c’è un legame perverso tra la povertà delle famiglie e la povertà di istruzione. Un legame che non spezzeremo, ma che abbiamo cercato di allentare con le risorse stanziate nel recente decreto “L’istruzione riparte”, con misure volte a ridurre il costo dei libri, dei trasporti e degli altri servizi, per aiutare studenti e famiglie.
Abbiamo inoltre fatto ripartire gli investimenti in edilizia scolastica: 450 milioni nel “decreto del fare” di cui 150 milioni già distribuiti alle regioni (alla Campania sono stati assegnati 18 milioni) che hanno avviato le procedure per l’assegnazione a comuni e province (vi ricordo anche che i sindaci e presidenti di province saranno commissari di governo per l’edilizia scolastica e potranno, quindi, utilizzare procedure semplificate). Nel decreto scuola è stata prevista, inoltre, la possibilità per le regioni di attivare mutui con la Bei e con la Banca del consiglio d’Europa.
Il Ministero e la Regione Campania daranno subito un segnale a queste aree, a cominciare da Casal di Principe, affinchè si proceda con la costruzione di una scuola dell’infanzia su terreno confiscato alla criminalità organizzata (con il Presidente Caldoro abbiamo firmato ad inizio dello scorso mese di agosto un protocollo sull’utilizzo dei beni confiscati a fini educativi e formativi in aree ad alto rischio di criminalità organizzata).
Noi dobbiamo affrontare questa tragedia parlando il linguaggio della verità: c’è un legame strettissimo tra la dispersione scolastica e il diritto alla legalità.
Come sapete, alcuni comuni casertani tra cui Casal di Principe sono stati sciolti per infiltrazioni camorristiche.
Cosa può fare la scuola? La legalità non è una materia scolastica. Non si prende il voto in pagella sulla legalità, che si basa su “nuovi modelli di comportamento, di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili”, come diceva Don Peppino Diana, l’eroe civile di Casal di Principe che non dobbiamo mai dimenticare. Mi fa piacere che a luglio gli sia stata intitolata la Sala Consiliare del vostro Comune. Voglio ringraziare soprattutto per questo, oltre che per il lavoro svolto per l’organizzazione di questa giornata, la Commissione straordinaria per la gestione dell’ente ed in particolare il Prefetto Silvana Riccio.
Ringrazio naturalmente per la perfetta organizzazione della giornata il Prefetto di Caserta, dott.ssa Pagano, il Questore, il Comandante Provinciale dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, e tutto il Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, i nostri dirigenti regionali e provinciali.
Di quale scuola ha bisogno l’Italia? La nostra Costituzione dice: “La scuola è aperta a tutti”.
Dobbiamo avere sempre più cura di questo aggettivo bellissimo: aperta. L’apertura è il contrario della dispersione, che è la chiusura delle prospettive.
Bisogna essere aperti nello spazio e nel tempo. Il tempo della scuola non è solo tempo dello studio: è il tempo della società, dell’incontro. Aprire la scuola vuol dire dare altro tempo ai nostri ragazzi, per leggere in biblioteca, per fare sport, per stare insieme.
Per questo, abbiamo stanziato i primi 15 milioni per tenere gli istituti comprensivi aperti il pomeriggio. Un primo passo, ma molto importante.
Anche noi al Ministero dobbiamo essere aperti. E aprirsi vuol dire stare nel territorio e ascoltare i suoi problemi.
In questi giorni, sto cercando di girare il più possibile per le scuole italiane, di ascoltare i problemi degli studenti, del personale e dei dirigenti scolastici: credo che il mio dovere come Ministro sia anche questo, non stare sempre chiusa in un ufficio. Ma quando sono al Ministero dell’Istruzione, mi ritrovo spesso a guardare una frase affrescata tra le nostre mura: Docendo vitae consolimus.
E penso alla relazione della scuola con la vita, all’antica formula – così vera – della scuola come maestra di vita. Ma cosa significa “provvedere alla vita”? L’insegnante si occupa della vita dei ragazzi, perché ha cura della loro indipendenza e della loro intraprendenza.
Gli insegnanti non ordinano agli alunni come devono vivere. Piuttosto, aprono alla vita. Gli insegnanti non sono tutori. Sono affezionata a un termine che viene dall’Odissea, ma che oggi usano soprattutto gli inglesi ed è molto importante nel mondo da cui provengo, la ricerca scientifica. È la parola “mentore”.
Mentore è il saggio al quale Ulisse affidò Telemaco prima di partire per la guerra di Troia, ed ebbe cura di un bambino che poi divenne ragazzo e uomo. Il mentore dà consigli, non ordini: il suo scopo è far sviluppare la persona e renderla indipendente, educandola al confronto, appunto all’apertura.
Noi sappiamo che Casal di Principe è un simbolo. Ma siamo venuti qui per dire che non ci deve bastare guardare un simbolo da lontano, leggere i libri, guardare i film. Dietro i simboli ci sono i luoghi, ci sono le persone che ogni giorno lavorano con un obiettivo essenziale: la normalità.
Essere presenti in questi territori vuol dire affermare, assieme alle persone che garantiscono la presenza straordinaria dello Stato, che la normalità può essere rivoluzionaria.
La “Costituzione vivente” siamo noi: vediamo di dimostrarlo.
Il mio impegno è quello di fare tutto il possibile perché non vi sia nessuna ambiguità tra lo Stato e il malaffare, perché non ci siano zone grigie, abbassamenti della tolleranza, a Casal di Principe, nell’area casertana, in tutta la Campania. Il nostro compito è traghettare questi territori nella normalità, insegnando il rispetto degli altri e senza dare mai nessuno per perso.
Iniziare la scuola è più difficile in Campania, la regione più giovane d’Italia, ed è più difficile a Casal di Principe, dove assicuro l’impegno mio personale e del Ministero affinchè sin dai prossimi mesi siano qui impegnate le migliori energie dirigenziali.
Vorrei ringraziare i docenti, i dirigenti, gli uffici territoriali e le scuole di questa terra, della Campania e del sud per l’impresa educativa e civile che portano avanti ogni giorno.
Un’ultima riflessione: per aprire le scuole, per combattere la dispersione, per vincere la battaglia del reclutamento con la criminalità organizzata, per compiere tutti questi passi verso una “normalità rivoluzionaria”, abbiamo bisogno veramente di un ministro che mette il suo nome su una riforma? Io non lo credo.
Bisogna superare il concetto della riforma come annuncio politico e come legge grande e roboante, e capire che una riforma della scuola si costruisce coi piccoli passi, con la presenza territoriale e con le politiche giuste, le politiche dell’apertura.
Albert Hirschman, un economista che sapeva guardare il mondo con ottimismo, diceva: “In ogni momento c’è una riforma possibile”. In ogni momento: non solo nel consiglio dei Ministri, non solo in Parlamento, ma con ogni azione che innesca un cambiamento culturale reale.
Voi, ragazzi, siete i veri attori di questo cambiamento e di questa riforma. Non dimenticatelo, quest’anno e negli anni a venire.
Buon anno scolastico!

RIFLESSIONI SUL NUOVO DECRETO

RIFLESSIONI SUL NUOVO DECRETO

L’analisi del D.L. 104 pubblicato in G.U. indubbiamente obbligherà a tirare le somme sui moltissimi mesi di mobilitazione, sulle rispettive capacità e possibilità di influire su Governo e Parlamento, sul fatto che la proposta “magica” di un emendamento possa davvero scalfire dei decreti emergenziali emanati da governi “a termine” e traballanti.

Rileviamo piuttosto che l’annuncio ripetuto per giorni dell’abrogazione del transito obbligatorio nel ruolo Ata ha il sapore di una funambolica beffa da parte di governi che continuano a maltrattare la Scuola italiana, affidandola alle presunte competenze di persone che occupano ruoli senza una vera preparazione specifica.

Nei fatti, abrogati i commi della S.R. 2012, resta in vigore la L.111/2011 (di Gelmini e Brunetta), che prospetta il transito volontario nel ruolo ATA o in alternativa impone la mobilità intercompartimentale quale sbocco residuale obbligato.

NOVITA’ RISPETTO AL DECRETO GELMINI

Questa mobilità intercompartimentale viene adesso ristretta all’ambito provinciale e in deroga ai bilanci dei vari Enti: ciò significa che questi potranno pareggiare i propri organici, deficitari a causa del blocco delle assunzioni.

Ma verso quali livelli di carriera condurrebbe tale mobilità e con quali speranze di successo/stabilità nel tempo per le persone interessate? Cosa accadrebbe poi degli inidonei numericamente in eccesso rispetto alle disponibilità di posti?

E quali prospettive avrebbero quei docenti che usufruiscono della L.104 (per se stessi o per parenti) e che hanno diritto all’inamovibilità o, in alternativa, a scegliere la sede viciniore?

Del resto queste preoccupazioni risalgono a vecchia data. Invece la “novità” più significativa del decreto risiede nell’indicazione che gli attuali docenti permanentemente inidonei saranno sottoposti a nuova visita e che a questa sarà presente un “membro Miur”.

Al riguardo le perplessità sono molteplici: da chi e fra chi sarà scelto costui? con quali competenze? e con quali funzioni e prerogative parteciperà alla Commissione MEDICA? Non dimentichiamo che sono pochissimi i dipendenti Miur esperti di Disagio e Malattie professionali e che negli ultimissimi corsi di formazione sulla Sicurezza tali temi spesso non sono stati nemmeno nominati.

Inoltre si pone il problema della riservatezza delle diagnosi (legata al segreto professionale dei medici componenti le Commissioni) e non si capisce come il “membro Miur” possa affiancarle (a titolo consultivo? per pareri sul funzionamento delle varie mansioni?) senza presenziare ed accedere ai dati sensibili.

Oltre a ciò suscita perplessità il fatto che chi opta per il ruolo Ata possa sottrarsi alle visite in questione: molti referti di inidoneità non sono sufficientemente chiari circa una valida destinabilità verso i compiti amministrativi.

Inoltre nel decreto non si parla delle inidoneità temporanee e forse questo è l’unico punto positivo, che lascia aperto almeno uno spiraglio come via di fuga alle malattie professionali -riconosciute e non- dei docenti.

LO STRUMENTO DISPENSA

Altra perplessità riguarda la possibilità di dispensa.

Le Commissioni così composte saranno autorizzate a concedere l’inidoneità “permanente assoluta” (secondo la dicitura del DPR 171/2011 ufficialmente accettata per la dispensa) o si assisterà al balletto di verbali “fantasiosi” e impossibili da interpretarsi, con dannosi, estenuanti rimpalli tra UST, CMV e INPS?

Ma c’è di più: qualunque mobilità professionale ci porterà a non essere più “in aggiunta” all’organico ma inquadrati a tutti gli effetti nel personale. Vediamo dunque come si renda urgente e primario affrontare il problema sfoltendo il settore, con l’avvio di un primo turno di dispense per  anziani ed invalidi, che di per sé tolgono in partenza ogni credibilità e legittimità a queste discutibili operazioni di mobilità.

Poniamo anche all’attenzione il fatto che tornando indietro alla normativa 2011 si riattualizzano le disposizioni sulla dispensa, tralasciate dalle norme più recenti: nel decreto attuativo della L.111/2011 (D.M. 79/2011 *) la dispensa veniva recuperata dal CCNI 2008 ** tuttora in vigore  ed indicata quale opzione per quanti non possono adeguarsi né alla mobilità interna (ruoli AA e AT) né a quella intercompartimentale.

E’ lecito domandarsi se l’opzione dispensa è ancora attuale o se potrebbe essere citata incontrovertibilmente in un futuro decreto attuativo.

UNA FALSA SOLUZIONE

Ciò detto ci sembra che il provvedimento abbia come unica motivazione la possibilità di sbloccare le immissioni in ruolo degli AA e AT  -già sollecitate dal Consiglio europeo – ed esaudisca con banali giochi verbali  la “richiesta di abrogazione dei commi della S.R.”, ma di fatto evidenzi l’impotenza politica a farsi carico del problema della inidoneità nella docenza.

Al contrario il MIUR dovrebbe indicare una buona volta come intende gestire il problema delle malattie professionali -riconosciute e non – del personale docente, così come accade in altri Comparti: Sanità, Forze armate ecc. Non è più possibile che lo Stato finga di non vedere che il problema è strutturale ed in crescita numerica (quand’anche silenziato) e che quindi non va superficialmente “risolto” con leggi finanziarie ma va affrontato con provvedimenti specifici: se non risultasse possibile adesso per motivi economici, si potrebbe congelare la questione per 12 o 24 mesi, in attesa della ripresa economica o di una maggiore armonizzazione europea della materia istruzione.

Il Conbs ha già formulato varie ipotesi per una più efficiente fruizione dei servizi resi dai docenti utilizzati e mette la propria “esperienza sul campo” a disposizione di Ministero e OO.SS.

Nel contempo chiede che gli argomenti fin qui  illustrati vengano affrontati negli imminenti incontri Miur – Sindacati e si ponga fine, con ogni strumento normativo possibile, alla liquidazione antistorica dei docenti inidonei, che si tenta senza riflessione alcuna da ben 11 anni.

I docenti utilizzati in altri compiti aderenti al
Coordinamento Nazionale Bibliotecari Scolastici
http://conbs.blogspot.it/

* [Art. 2 – Comma 2: Il personale che viene riconosciuto permanentemente inidoneo, per motivi di salute, allo svolgimento della funzione di docente o di educatore, nelle more dell’espletamento delle procedure di mobilità, può, a domanda:

[….]      b) essere dispensato dal servizio per motivi di salute. ]

**  [Art.4.4 Considerato che il passaggio in altro ruolo comporta il cambiamento di stato giuridico, il personale interessato può chiedere, in alternativa ai passaggi di ruolo di cui ai commi 12 e 15 della richiamata legge 111/2011, di essere dispensato dal servizio per motivi di salute, secondo le modalità previste dalla normativa vigente al momento della domanda.

VALUTAZIONE: “EFFICACIA INSEGNAMENTO NON SI MISURA CON I TEST INVALSI”

VALUTAZIONE, GILDA: “EFFICACIA INSEGNAMENTO NON SI MISURA CON I TEST INVALSI”
“E’ sbagliato e ingiusto gettare la croce solo sulle spalle dei docenti se il rendimento degli alunni ai test Invalsi è scarso, perché bisogna tenere conto anche di altri fattori, tra cui il contesto socio-ambientale in cui sono inserite alcune scuole”. Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, difende la professionalità dei docenti e critica senza mezzi termini l’articolo del decreto scuola che prevede un programma di formazione obbligatoria per gli insegnanti nei casi, presenti soprattutto al Sud, di risultati negativi conseguiti dagli studenti alle prove Invalsi. “Percorreremo tutte le strade possibili – annuncia Di Meglio – affinché questo ingiusto articolo venga emendato in sede di conversione in legge del decreto”.
La contestazione della Gilda riguarda sia l’aspetto politico che quello culturale: “L’aggiornamento dei docenti non può essere trasformato in un obbligo attraverso un decreto e scavalcando il contratto di lavoro. E poi – incalza il coordinatore nazionale – quali competenze ha l’Invalsi per poter valutare gli insegnanti? Non ci risulta che tra le sue fila annoveri grandi luminari di pedagogia in grado di decidere cosa e come si debba insegnare. Si vuole trasformare questo ente privato in una specie di grande maestro?”.
 
“Non siamo mai stati contrari a un serio e condiviso sistema di valutazione a livello nazionale – precisa la Gilda – ma non possiamo accettare che un soggetto esterno alle scuole e agli insegnanti come Invalsi rivesta un ruolo così preponderante. I test possono servire, in tutt’altro contesto, ai docenti e agli studenti per capire e aiutare a migliorare la qualità dell’offerta formativa ma – sottolinea Di Meglio – non possono essere il metro oggettivo dell’efficacia dell’insegnamento”. Da qui, dunque, la richiesta al ministero dell’Istruzione di abolire le prove Invalsi e di modificare profondamente il regolamento sul sistema nazionale di valutazione.
“Invitiamo i docenti – conclude la Gilda – a non inserire nei Pof le prove Invalsi, chiedendo che correzioni e tabulazioni vengano effettuati dall’Istituto a proprio carico e senza sfruttare i docenti”.

Disabili a Montecitorio

Martedì 17 settembre alle ore 10,30 in piazza Montecitorio manifestazione promossa dalla associazione tutti a scuola per “costringere” la politica ad occuparsi dei disabili.
Le testimonianze dei genitori si alterneranno con i canti dal vivo del gruppo musicale ” Collettivo popolare” .
Fiduciosi nella  sensibilità e vicinanza alle nostre battaglie di civiltà ti chiediamo di esserci.

Associazione tutti a scuola onlus

Sostegno, le cifre: 100mila insegnanti, meno della metà degli alunni disabili

da Il Fatto Quotidiano

Sostegno, le cifre: 100mila insegnanti, meno della metà degli alunni disabili

Pochi giorni fa il governo ha annunciato l’inserimento di 26mila docenti dedicati a questo servizio nei prossimi tre anni. Gli addetti ai lavori (sindacati, associazioni, genitori) riconoscono l’inversione di tendenza rispetto al passato: “Ma le risorse sono ancora scarse”. Secondo i dati Flc Cgil raccolti da ilfattoquotidiano.it, in dieci anni gli alunni con diagnosi sono aumentati del 51%. In Lombardia, Lazio e in tutte le regioni del centro-nord non si arriva nemmeno a un insegnante ogni due allievi

di Enrico Bandini

“Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca”. Il consiglio dei ministri ha dato il via libera pochi giorni fa al decreto legge presentato da Maria Chiara Carrozza. Tra le varie disposizioni si è stabilita l’immissione in ruolo in 3 anni (2014-2016) di 26 mila docenti di sostegno. L’organico di diritto (cioè le assunzioni “stabili”) si arricchirà di 4.800 unità quest’anno, 13 mila l’anno prossimo e 9 mila nel 2015/2016. Come questo contingente verrà distribuito sul territorio e nei vari livelli scolastici, però, ancora non è dato saperlo: sarà necessaria una contrattazione a livello nazionale e regionale. All’indomani del provvedimento sono in molti a chiedersi se con queste nuove assunzioni verranno davvero attutiti i problemi ormai strutturali di una scuola che dovrebbe essere “dell’integrazione e dell’inclusione”, ma che non sempre riesce a esserlo.

Il sistema scolastico statale accoglie ogni giorno nelle classi il 95% dei bambini e ragazzi con disabilità: secondo i dati del ministero dell’istruzione si tratta di circa 203 mila alunni, seguiti nel 2012/2013 da 101.301 insegnanti di sostegno (erano 98.083 nel 2011/2012), che costano allo Stato circa 4 miliardi all’anno.

I dati della Flc Cgil nazionale, relativi all’anno scolastico 2012/2013, evidenziano una situazione di squilibrio tra le cattedre di sostegno messe a disposizione dal Miur e il numero degli alunni disabili. Il divario è più forte al centro-nord del Paese, a partire dal Lazio dove 23.405 alunni disabili un anno fa erano seguiti da 9.889 insegnanti, in un rapporto quindi di 2,4. Seguono Lombardia (31.327 studenti e solo 13.675 posti di sostegno per un rapporto di 2,3), Veneto (15.479/6.908; rapporto 2,2), Umbria (2790/1245; 2,2), Abruzzo (5.842/2.639; 2,2), Toscana (10.729/5.092; 2,1), Liguria (5.102/2.434; 2,1), Marche (5.827/2.718; 2,1), Emilia Romagna (13.098/6.430; 2,0), Piemonte (13.943/6.839; 2,0), Friuli (2.861/1.402; 2,0). Al Sud la situazione è di poco migliore, ma non scende sotto il rapporto di 1,6 di Molise, Basilicata e Calabria (Campania, Puglia, Sardegna sono a 1,7, Sicilia a 1,8). E la forbice si amplia: gli alunni con una disabilità crescono ogni anno di quasi 7 mila unità, aumentando così del 5%, tanto che dall’anno scolastico 2000/2001 al 2010/2011 si è avuto un incremento del 50,9%, mentre i docenti messi a disposizione non sono in grado di rispondere a tutte le loro esigenze per una carenza di organico.

Sono molti di più i disabili nelle scuole secondo Toni Nocchetti, presidente dell’associazione “Tutti a scuola”: “L’anno prossimo – chiarisce – ci saranno 221mila alunni certificati di cui l’80% è grave (con una disabilità intellettiva, non autosufficienti al 100%) ovvero 176.800 di loro. Siamo di fronte a una carenza da almeno 80-90mila unità. Ora uno studente disabile ha dalle 14 alle 10 ore alla settimana con un insegnante di sostegno, su una frequenza di almeno 30 ore. A ciò si aggiunga che al Sud non ci sono enti locali in grado di finanziare assistenti all’educazione che sopperiscano, almeno in parte, alla carenza di insegnanti”.

Sui forum online appaiono le prime reazioni al decreto approvato lunedì scorso: a commentare la notizia sono associazioni e familiari di alunni con una disabilità, ma anche insegnanti di sostegno che cercano di capire che ricaduta vi potrà essere sulla loro situazione lavorativa. Dal mondo dei docenti proviene, lapidario, il commento di Libero Tassella, responsabile di “Professione Insegnante” che pubblica un post sul sito dell’associazione intitolato “La montagna ha partorito il topolino”. “Se leggo di applausi e sorrisetti – scrive – di comunicati sindacali compiacenti nei confronti di quel decreto legge non posso che pensare a due cifre: i 400 milioni nel triennio stanziati dal governo per la scuola, un niente, e agli 8 miliardi e più che alla scuola pubblica statale, non alla paritaria, sono stati sottratti nel corso degli ultimi 5 anni. E questo niente, questa bazzecola, a fronte della colossale cifra sottratta da Gelmini e da Tremonti oggi viene sapientemente venduta dalla propaganda ministeriale, governativa, politica, sindacale come un’inversione di tendenza! È una vittoria di Pirro: ben altra inversione di tendenza era auspicata dagli insegnanti e da tutto il personale della scuola, soprattutto da Letta, dalla Carrozza e dal loro partito, il Pd, dopo anni di finta opposizione alle decisioni di Tremonti e Gelmini sulla scuola, dopo mesi e mesi di propaganda su scuola e insegnanti, dopo alcuni mesi di governo a parlare e a lanciare moniti”.

Su altri toni, sempre critici ma decisamente più moderati, è la Flc Cgil nazionale che vede nel decreto un “intervento utile ma non risolutivo”, “un’inversione di tendenza” sì, ma “rispetto al niente degli ultimi anni in cui era funzionato solo il solo turnover, diminuito dall’introduzione della riforma Fornero”. Insomma si tratta di un primo passo, di “un impegno, ma “le risorse sono ancora scarse”, come dichiara dal sindacato Domenico Pantaleo. “E ora toccherà al ministero dell’economia renderle esigibili”.

Per Gabriella D’Abbiero, madre di un disabile di 44 anni e presidente di Anffas Onlus Bologna (associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) “il cammino che la scuola deve fare è ancora molto lungo: certo la situazione è un po’ migliorata e hanno riparato all’obbrobrio fatto negli anni passati, ma quelli contenuti nel decreto sono numeri ancora esigui e poi quando si parla di studenti certificati non bisognerebbe dimenticare il tipo di disabilità che presentano: un insegnante di sostegno dovrebbe avere un numero congruo di ore e con un solo alunno, se costui è un disabile grave. C’è infine la questione della formazione”, conclude D’Abbiero: “Le famiglie e il mondo della scuola hanno bisogno di insegnanti motivati a lavorare sul sostegno e preparati sulle varie problematiche psico-fisiche. È un impiego che richiede umanità e competenza. Non può essere svolto bene da chi lo vede solo come un ripiego, una scorciatoia per arrivare prima al posto di ruolo”. Insomma, il provvedimento firmato dal ministro Carrozza segna certamente un’inversione di tendenza, ma basta confrontare i numeri per concludere che per gli alunni che necessitano un sostegno i problemi sono tutt’altro che risolti.

Cade un tabù: obbligo di formazione dei docenti

da TuttoscuolaNews

Cade un tabù: obbligo di formazione dei docenti

L’art. 16 del decreto legge sull’istruzione (n. 104 del 12.9.2013) prevede lo stanziamento per il 2014 di almeno 10 milioni per attività di formazione degli insegnanti. “Al fine di migliorare il rendimento della didattica, particolarmente nelle zone in cui i risultati dei test di valutazione sono meno soddisfacenti ed è maggiore il rischio socio-educativo, e potenziare le capacità organizzative del personale scolastico, per l’anno 2014 è autorizzata la spesa di euro 10 milioni, oltre alle risorse previste nell’ambito di finanziamenti di programmi europei e internazionali, per attività di formazione obbligatoria del personale scolastico”.

La norma indica anche le priorità d’intervento con riferimento particolare alle aree a rischio, ai territori con livelli di apprendimento sotto la media nazionale, ai processi di digitalizzazione di innovazione tecnologica e ai percorsi di alternanza scuola-lavoro.

Negli anni ’70, con la riforma dei decreti delegati, la formazione in servizio (aggiornamento) costituiva un diritto-dovere per gli insegnanti.

Diversi anni dopo, il Contratto nazionale di lavoro ha previsto invece che l’aggiornamento – scomparsa l’obbligatorietà – è soltanto un diritto dei docenti. L’art. 64 del CCNL afferma che “La partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità”.

Questo ritorno dell’obbligo di aggiornamento, com’era prevedibile, non è piaciuto ai sindacati di settore. Il segretario dell’Uil-scuola, Massimo Di Menna, ha posto immediatamente l’altolà.

“Una formazione decisa per decreto – ha dichiarato Di Menna – significa modificare, per legge, il contratto di lavoro che già prevede uno spazio orario che può essere dedicato all’aggiornamento. … In ogni caso, ricordiamo al Governo che decidere in materia di lavoro per decreto, e non per contratto, non porta lontano”.

La proposta di rendere l’aggiornamento obbligatorio per il personale della scuola è contenuta anche nel dossier “Sei idee per rilanciare la scuola” di Tuttoscuola (punto n. 3). C’è da dire che il tema diritto o dovere si pone nella misura in cui vengano stanziate adeguate risorse. Oggi sono tanti i docenti che devono provvedere a proprie spese, e questo è assurdo. Altri invece usano il fatto che sia “solo” un  diritto alla formazione come scudo/alibi per disimpegnarsi.

Insomma, risorse per un aggiornamento di livello (e nel dossier suggeriamo possibili strade per trovarle a invarianza di spesa per le casse pubbliche) e obbligo di avvalersene (che è anche un piacere, in quanto arricchimento professionale) ci sembrano le vie da percorrere.

Dispersione scolastica: basta stanziare soldi per sconfiggerla?

da Tecnica della Scuola

Dispersione scolastica: basta stanziare soldi per sconfiggerla?
di P.A.
Lo stanziamento di 15 milioni di euro per la lotta alla dispersione scolastica, previsto sul “Dl Scuola” , per implementare programmi di didattica integrativa, è sufficiente per contenere un fenomeno particolarmente grave in Italia?
Secondo il prof Orazio Niceforo, professore di Sistemi scolastici contemporanei all’università Tor Vergata di Roma, così come riporta il Redattoresociale.it, servono altri interventi per quei ragazzi, fino ai 16 anni, che abbandonano la scuola o che sono bocciati. “Per raggiungere un risultato ottimale, bisogna fare qualcosa di traumatico rispetto al naturale svolgersi delle cose, come prevedere, ad esempio, una drastica riduzione dei tassi di bocciatura attraverso una diversa valutazione degli obiettivi di apprendimento, almeno fino ai 16 anni, dato che il grosso della dispersione scolastica si concentra tra i 14 e i 16 anni”. La dispersione scolastica in modo particolare riguarda gli alunni che per certi verso sono stati allontanati dalla scuola e per una serie di motivi come la condotta o difficoltà che gli insegnanti non riescono a risolvere; ma ci sono pure coloro che non sentono alcun interesse per l’istruzione e quindi per la scuola, in ciò supportati dalla famiglia che non li cura né ha interesse, ritenendola inutile; poi ci sono coloro che non possiedono gli strumenti culturali adeguati e di apprendimento per completare il corso di studio e si sbandano, lasciando così l’istruzione, come la lasciano gli studenti che si credono non in grado di affrontare la scuola, che non avrebbero le capacità necessarie sia a livello culturale e sia di apprendimento. È vero però che negli ultimi 3 anni il tasso di abbandono scolastico è sceso di 3 punti percentuali dal 21 al 18, ma la diminuzione riguarda solo alcune aree e ben precise Regioni, mentre nel Mezzogiorno il fenomeno continua ad essere preoccupante e più grave che nel resto d’Europa.
Dice a questo proposito il professor Niceforo: “Per ridurre i tassi di bocciatura fino a 16 anni occorrono delle indicazioni precise a livello ministeriale. Cioè, bisogna dire esplicitamente agli insegnanti di gestire la didattica in modo tale da attenuare o addirittura sostituire la logica degli standard, quella per cui al di sotto di un certo livello interviene la bocciatura, con una logica diversa, come quella della valorizzazione delle competenze specifiche di ciascuno studente. Se uno studente va bene in italiano ma va male in matematica, certamente occorrerà fare dei corsi di recupero per rimediare a quella insufficienza, senza considerarla sufficiente per far ripetere l’anno. Ci sono isole felici dove applicando questo metodo di maggiore flessibilità e personalizzazione dei piani di studio si è riusciti a contenere molto e in qualche caso azzerare la dispersione, come per esempio in Corea e Finlandia. Vuol dire che si può fare. Se non si fa è perché manca un esplicito invito a fare così. Non è vero che bocciando migliorano i livelli di prestazione. Quei paesi stanno in testa alle classifiche e non bocciano nessuno”. Per incidere positivamente in questa area, la scuola dovrebbe avere la consapevolezza della sua fondamentale funzione educativa, accettando la sfida di un disagio scolastico non più saltuario: infatti, non c’è classe, dalle elementari al biennio delle superiori, che non abbia al proprio interno ragazzi problematici nei confronti dei quali quotidianamente i docenti misurano la propria fatica, provando spesso un enorme senso di frustrazione e a volte di isolamento e di solitudine.

La procura di Palermo starebbe indagando sul concorso per ds

da Tecnica della Scuola

La procura di Palermo starebbe indagando sul concorso per ds
di A.D.F.
Si sta diffondendo a macchia d’olio la notizia secondo la quale la procura di Palermo starebbe indagando sul concorso per Dirigenti scolastici svolto in Sicilia nel 2011 La notizia dice che anche la Digos sta investigando ormai da mesi
Per quanto viene riportato su diverse testate giornalistiche siciliane qualcuno sarebbe riuscito a sottrarre un file da un computer di un componente della commissione esaminatrice, dove c’erano segnati accanto ai “protetti “ una serie di annotazioni il cui contenuto risulterebbe alquanto sospetto: “ammesso per necessità”, “stentato aiutato”. Oppure nel file erano segnate anche le domande da fare agli aspiranti dirigenti: “chiedere strategie e territorio”. Se fosse tutto ufficializzato dalla procura, ci troveremmo al cospetto di materiali sufficienti per invalidare il concorso e ripartire da zero. Dalle carte in possesso della magistratura sembra emergere un altro fatto grave, infatti, dalla comparazione dei file excel, quello che sarebbe stato realizzato come promemoria dal commissario e quello pubblicato dal provveditorato regionale si vede che l’effetto segnalazione o raccomandazione ha avuto i suoi frutti. I “protetti” dal commissario tranne uno hanno avuto l’incarico. Monta lo sconcerto e l’indignazione di chi ha gridato in vano nei mesi scorsi all’ingiustizia valutativa e all’irregolarità procedurale. Oggi stanno venendo alla luce fatti nuovi, che destabilizzano le fondamenta del merito e della deontologia professionale. Si rimane in attesa degli sviluppi di questa triste vicenda, per vedere se i sospetti dell’esposto saranno confermati dall’indagine della magistratura.

Carrozza ai colleghi di partito: la scuola prima di tutto

da Tecnica della Scuola

Carrozza ai colleghi di partito: la scuola prima di tutto
di A.G.
Il Ministro ha annunciato che presto scriverà a tutti i candidati alla segreteria del Pd, per chiedere loro cosa pensano di scuola, formazione dei prof, ricerca e innovazione: l’investimento nella cultura deve essere un nodo centrale per la politica futura. Un concetto difficile da contraddire.
Per il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, non vi sono dubbi: la scuola deve essere al centro del programma di rilancio del Paese. Ne è così convinta che dalla Scuola di politica del Pd, a Cortona, ha dichiarato che il congresso del Pd dovrà parlare “non solo di persone ma di programmi e contenuti”. Quindi di rilancio dell’istruzione pubblica, che secondo l’attuale responsabile del Miur va posto necessariamente tra le priorità del programma.
Non si tratta solamente di un invito sincero. La Carrozza ha detto che scriverà a tutti i candidati alla segreteria, “per chiedere loro cosa pensano della scuola italiana, della formazione degli insegnanti, della ricerca e dell’innovazione” e soprattutto come intendono “porre questo tema al centro della politica del Pd nel prossimo futuro”.
Il ministro dell’Istruzione ha quindi ribadito che questo tema, quello di una scuola sana, “è centrale per la ricostruzione di questo Paese: la politica economica si deve basare anche sul ruolo dell’istruzione e della conoscenza”, ha aggiunto.
In sostanza al prossimo congresso del Pd, secondo Carrozza, bisognerà affrontare “il ruolo che la scuola deve avere nel futuro della società e del Paese”, perché “l’investimento nella cultura – ha concluso il ministro – deve essere un nodo centrale per la politica futura del Pd”. Ma anche di tutti i partiti che, aggiungiamo noi, intendono portare a casa un alto numero di consensi: per godere di credibilità, infatti, non si può prescindere dalla salvaguardia della formazione delle nuove generazioni.

Dalla libertà d’insegnamento alla responsabilità del fallimento

da Tecnica della Scuola

Dalla libertà d’insegnamento alla responsabilità del fallimento
di Lucio Ficara
I recenti provvedimenti sulla scuola sembrano dettati dalla convinzione che i mali della scuola italiana (e in particolare i bassi risultati degli studenti) sono una precisa responsabilità dei docenti.
C’era una volta la scuola in cui regnava  la libertà d’insegnamento e, la figura del professore di quella scuola del passato, era una figura rispettata e molto considerata sul piano sociale e culturale.
Questo è il rimpianto diffuso tra molti insegnanti  di oggi, incantati nel ricordo di una scuola che ormai non esiste più, una scuola che, comunque la si voglia pensare, ha inciso profondamente, attraverso i suoi percorsi educativi e per merito principale della categoria degli insegnanti, sullo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese. Il corpo insegnante, bisogna sempre ricordarlo, ha dato anche un contributo fondamentale per lo sviluppo democratico della Nazione. Oggi non è più così, tutto è cambiato, anzi la visione sociale che viene data degli insegnanti si è addirittura capovolta, si è quindi passati, con un’ accelerazione nell’ultimo quinquennio, dalla libertà d’insegnamento alla responsabilità del fallimento del nostro sistema scolastico.
Il corpo docenti del nostro Paese è oggi percepito come socialmente marginale, viene scarsamente considerato, tranne rare eccezioni, sul piano sociale e culturale, infine, è necessario sottolinearlo, i docenti sono stati messi sul banco degli imputati come primi responsabili del disfacimento del sistema della scuola pubblica. Questo grave capo d’imputazione, che colpisce la classe degli insegnati del Paese, indebolisce ancora di più la categoria del personale docente, che oltre ad essere malpagata e ad essere considerata socialmente irrilevante, subisce anche l’onta di essere additata come responsabile dell’insuccesso formativo dei propri studenti. Queste sono le basi fondamentali che hanno spinto con convinzione gli esperti del Miur ad approvare nel decreto legge n.104 del 12 settembre 2013  una norma che obbliga, per le scuole dove i risultati dei test Invalsi sono al di sotto della media nazionale, gli insegnanti a seguire corsi di formazione e aggiornamento, al fine di raggiungere lo scopo di aumentare le conoscenze e le competenze degli alunni, ma anche di incrementare le competenze di gestione, di programmazione e informatiche dei docenti.  Con questi provvedimenti legislativi e con la continua e rafforzata autonomia decisionale dei dirigenti scolastici, si colpisce indiscriminatamente la classe docente italiana, si limitano fortemente i principi costituzionali della libertà d’insegnamento e c’è il concreto rischio di compromettere definitivamente il buon funzionamento della scuola pubblica, che ha nella maggior parte del suo corpo docente la parte migliore delle sue energie potenziali. La strada da percorrere sarebbe un’altra, che scorre nella direzione opposta a quella intrapresa. Bisognerebbe puntare nel riconsegnare alla classe docente la dignità sociale perduta, valorizzando la professionalità di questo ruolo e retribuendolo adeguatamente. Bisognerebbe avere il coraggio deontologico, di distinguere, come è noto a tutti nelle singole comunità scolastiche, i bravi insegnanti dalle cariatidi che non riescono nemmeno a gestire una classe. I bravi insegnanti sono anche ottimi comunicatori, grandi motivatori, veri e propri leader carismatici in grado di catalizzare l’attenzione dei propri alunni anche per ore, questi non hanno bisogno di formazione per raggiungere il migliore risultato possibile con le proprie classi, poi ci sono quei docenti che per indole caratteriale non riescono nemmeno a gestire l’ordine e la disciplina, costoro, ma per fortuna sono una piccola minoranza, non sono recuperabili con corsi di formazione, ma c’è da dire che hanno solo sbagliato mestiere. Il fatto che a causa di una sparuta minoranza di docenti che non hanno le particolari e peculiari capacità per fare gli insegnanti, si colpiscono i principi costituzionali della libertà d’insegnamento, il principio della valorizzazione professionale, rischiando di compromettere e debilitare le forze sane che nella scuola pubblica ancora esistono e resistono.

I nuovi media aiutano ad apprendere o opprimono la fantasia?

da Tecnica della Scuola

I nuovi media aiutano ad apprendere o opprimono la fantasia?
di P.A.
Le nuove tendenze portano sempre con sé inquietudini e dubbi, con il consueto interrogativo: hanno effetti negativi sui giovani?
È successo con la televisione e successe pure con la diffusione degli ideali del “Romanticismo” quando alcuni giovani, sul mito del Werter di Goethe, si suicidarono con le stesse modalità. Se poi la moda riguarda una tecnologia precedentemente ignota è facile che le preoccupazioni parentali abbiano come comune denominatore il rischio di danni permanenti al cervello dei figli. A parlarne è Linkiesta che ricorda come in alcuni casi di cronaca i colpevoli ammettono di essersi ispirati a film o videogiochi, dimostrando così scientificamente la fondatezza dei peggiori sospetti. Dopo la straordinaria diffusione di smartphone e tablet si è conseguentemente diffusa la preoccupazione se tali ordigni avessero influenza sui più piccoli, i bambini in età pre-scolastica, particolarmente attratti dallo schermo luccicante che, se toccato, cambia colori ed emette suoni esercita un’attrazione irresistibile rispetto a qualsiasi altro giocattolo che pure possa essere presente nella stessa stanza. Secondo alcuni scienziati americani il cervello del bambino che gioca con tablet o smartphone rilascia dopamina, un neurotrasmettitore associato al piacere. Nel momento in cui i genitori provano a sottrarre al figlio il suo personale spacciatore di felicità – “ci hai già giocato cinque ore di fila” – il bambino tende a dare in escandescenze, facendo sospettare fenomeni di dipendenza. Secondo l’associazione dei pediatri americani, rimanendo esposti per numerose ore ai nuovi media si rischiano problemi di attenzione, difficoltà scolastiche, disordini alimentari e del sonno, obesità e predisposizione a comportamenti illegali o rischiosi. Ma non tutti sono d’accordo. Il Joan Ganz Cooney Center, un’associazione che si occupa di apprendimento dei bambini nell’era digitale, ad esempio ha concluso che i bambini dai quattro ai sette anni hanno molto migliorato il loro vocabolario (+27%), usando una app educativa chiamata “Martha speaks”. Altri studi analoghi testimoniano come, essendo la tecnologia touch molto interattiva (a differenza ad esempio della tv), i bambini siano in grado di sviluppare abilità e ampliare le proprie conoscenze grazie ad essa. «Bisogna evitare gli approcci ideologici, in un senso o nell’altro», afferma Alba Marcoli, psicologa esperta di infanzia e scrittrice. «È chiaro che l’uomo si deve adattare all’evoluzione della società. Ciò che apprendono i bambini poi lo utilizzano nel resto della vita». Quindi se immaginiamo che nel futuro questo tipo di tecnologie avranno sempre più spazio non è assurdo lasciare che i bambini familiarizzino con esse fin da subito. «Il pericolo che va evitato – prosegue la dottoressa Marcoli – è che l’eccesso di tecnologia impedisca ai bambini di costruire i propri contenitori mentali, cioè la capacità, che si costruisce lentamente nell’infanzia, di adattarsi alle situazioni difficili della vita senza esserne distrutti. Faccio un esempio: un ragazzo che in tenera età abbia potuto costruire i suoi contenitori mentali, anche accecato da un momento di rabbia, saprà dare uno sfogo evolutivo alle sue emozioni. Al contrario se quei contenitori mancano è più facile avere comportamenti esagerati o autolesivi. Purtroppo si vedono sempre più spesso bambini che sono cognitivamente molto grandi, ma emotivamente ancora piccoli». Non esiste una regola aurea con cui evitare che la tecnologia danneggi la formazione di questi contenitori, riporta Linkiesta.it «Ognuno – afferma la dottoressa Marcoli – trova il proprio sistema. Non si può avere la pretesa di avere una sola soluzione unica e valida per tutti. Ciò che rende pericoloso l’eccesso di tecnologia è che spesso va a scapito delle relazioni, che sono il contesto in cui i contenitori mentali di cui parlavo si creano. Invece anche in questo ambito è fondamentale che ci sia una relazione – conclude la dottoressa – specialmente tra genitori e figli».
Il consiglio insomma è sempre quello: non lasciare soli i bambini con questi strumenti, guidarli nella scoperta e nell’apprendimento, evitare che entrino nel tunnel (nel caso, evitare di arredarglielo), limitare le ore di esposizione agli schermi e insegnargli anche a divertirsi in altro modo. Se poi ci fossero conseguenze ulteriori e imprevedibili legate all’utilizzo di questa tecnologia lo scopriremo a breve. Secondo un articolo pubblicato sul Wall Street Journal i bambini di due-cinque anni che oggi usano l’Ipad (o altri apparecchi touch-screen) devono essere considerati delle “cavie”. La tecnologia touch-screen ha iniziato a diffondersi sul mercato da un paio d’anni mentre per studi scientifici rigorosi è necessario un periodo di osservazione di tre-cinque anni. Nel frattempo la scelta tra lassismo e paranoia, con un generico buon senso nel mezzo, è lasciata ai genitori.

Decreto Carrozza, svolta decisionista

da TuttoscuolaFOCUS

Decreto Carrozza, svolta decisionista

Tanto tuonò che piovve, dice il Manzoni dei ‘Promessi sposi’. E’ stato così anche per il decreto scuola, più volte annunciato nelle scorse settimane come punto di svolta rispetto alle politiche riduzioniste degli ultimi governi, a partire almeno dal 2007?

Sì e no. Sì perché dal punto di vista finanziario, sia pure per un ammontare limitato (400 milioni), questa volta per l’istruzione il segno è stato positivo: si dà e non si toglie. No perché il provvedimento nel suo complesso non esprime una strategia di ampio respiro, ma è costituito da una serie di interventi, molti dei quali apprezzabili, la cui fattibilità ed efficacia dovranno però essere dimostrate nei fatti.

Proprio il fatto che si investa il piccolo “tesoretto” a disposizione su tanti fronti fa sì che per quasi nessuno l’intervento sia risolutivo. Però questo potrebbe avere il senso di un’inversione di tendenza a 180 gradi. Una ripartenza, come suggerito dallo slogan scelto nel comunicato stampa del Miur.

Così il tratto distintivo del decreto Carrozza è ravvisabile più nel metodo impiegato – decisionista e per alcuni versi neocentralista – che nel merito delle misure assunte. Decisionismo esibito in particolare su questioni che riguardano il personale, e che hanno subito suscitato riserve e proteste dei sindacati. La Flc Cgil critica la “propensione ad invadere, per legge, il campo contrattuale”. Entra nel merito la Uil scuola, che mette sotto accusa l’art. 16 (‘Formazione del personale scolastico’) che prevede interventi formativi obbligatori per gli insegnanti i cui alunni ottengano cattivi risultati nelle rilevazioni Invalsi e Ocse-Pisa. “Scherziamo?” è la battuta di Di Menna, segretario del sindacato.

Protesta anche l’ANP, il cui presidente Giorgio Rembado teme che l’affidamento dei futuri concorsi a dirigente scolastico alla Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione possa privilegiare le competenze giuridico-amministrative dei capi di istituto a scapito di quelle legate alla promozione delle risorse umane.

In questa direzione sembrerebbe andare la norma che stabilisce che i dirigenti scolastici siano chiamati a vigilare sul rispetto dei tetti di spesa per i libri di testo e a non dare esecuzione alle decisioni del Collegio che li superano: se lo facessero incorrerebbero in sanzioni per “illecito disciplinare” (art. 6, comma 1). Echi di un neocentralismo burocratico o interventi efficaci per dare concretezza alle misure evitando che restino, come tante volte in passato, proclami non applicati?