Scatti di anzianità, è allarme

SCUOLA – Scatti di anzianità, è allarme: contro il personale sempre più povero pronto un nuovo ‘scippo’

 

Mentre l’Istat colloca gli stipendi del personale sempre più vicino alla soglia di povertà, il Governo crea i presupposti per annullare gli aumenti automatici e legare gli incrementi stipendiali a performance di stampo aziendale.

 

Non era mai accaduto che il Governo italiano negasse in toto gli aumenti stipendiali del personale della scuola previsti per legge: pur mettendo sul ‘piatto’ della trattativa risorse sempre meno corpose, da quando è stato privatizzato il rapporto di lavoro nel pubblico impiego, con il decreto legislativo 29/93, non avevamo mai dovuto commentare un Esecutivo che non mettesse da parte un euro per cercare di allineare la busta paga di docenti, Ata, educatori, Dsga e dirigenti scolastici al costo della vita.

 

Quel che sta accadendo oggi, a quattro anni dall’approvazione del decreto legislativo 150/09, imposto dall’ex ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, è che i nostri governanti non si limitano più a tagliare risorse dal MOF, già abbattuto di un quarto rispetto a quello di appena un anno fa, ma già ragionano con la logica del prossimo contratto. Quando gli scatti scompariranno, per fare spazio ad un “merito” legato ai risparmi fatti in casa e alla performance individuale.

 

Ma il quadro che si sta delineando è purtroppo ancora più fosco: dopo che dal 2010 chi governa cerca di utilizzare i risparmi derivanti dallo stesso comparto scuola per finanziare gli scatti automatici, si fanno sempre più concrete le possibilità di approvazione di un decreto interministeriale attraverso cui verrebbero annullati gli effetti di quegli scatti, come anche quelli del 2011, sulle ricostruzioni di carriera.

 

Quello che vuole fare il Governo – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è sempre più chiaro: erogare gli scatti di anzianità al personale della scuola non più attraverso l’allocazione di risorse aggiuntive ma, avvalendosi della legge Brunetta, ricavando fondi dalla stessa scuola, da destinare solo ad una parte del personale. Quella parte che avrà dimostrato di meritarlo, tramite performance adeguate. Un po’ come accade in azienda“.

 

Anche per arrivare a questo modello sono stati prodotti una serie di tagli impressionanti: da quelli derivanti dalla Legge 133/2008, con l’incremento del rapporto alunni/docenti, la riduzione del tempo scuola in ogni ordine e grado, il ritorno al maestro unico e la cancellazione dell’insegnante specialistico di lingua inglese, sino allo scellerato dimensionamento dell’ultimo triennio e ai 200mila posti cancellati tra il 2006 e il 2012. Per non parlare della riduzione di progetti fondamentali per i nostri giovani, come l’alfabetizzazione motoria nella scuola primaria e la frantumazione dei fondi destinati alle funzioni ‘obiettivo’.

 

Abusando della delega che gli è consentita – prosegue Pacifico – il Governo sta sempre più violentando l’articolo 36 della Costituzione, dimenticando che gli stipendi dei dipendenti della scuola sono ufficialmente considerati, lo dice l’Istat, prossimi alla soglia di povertà. Tanto che al termine della carriera, un docente italiano guadagna più di 8mila euro in meno rispetto ad un collega  dell’area OCSE. E ora che si prefigura la fine degli scatti di anzianità, l’unica forma di incremento possibile per il personale della scuola, c’è veramente da mettersi le mani nei capelli“.

 

Tutto questo diventa ancora più paradossale perché si va a concretizzare proprio nel momento in cui il giovane sindacato ha ottenuto dal giudice quanto avrebbe dovuto fare lo Stato da sempre nei confronti di tutti i supplenti della scuola: far valere tutti gli anni di precariato per la ricostruzione di carriera. Ma anziché adeguarsi, il nostro CdM che fa? Decide di bloccare, approvando il DL 104, la carriera dei neo-assunti addirittura per 10 anni.

 

È giunto il momento di dire basta e aderire al ricorso contro il blocco degli stipendi inviando una mail a r.stipendio@anief.net.

 

Decreto 104 del 12 settembre 2013

Decreto 104 del 12 settembre 2013
Nota della UIL Scuola Audizione VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione Camera dei Deputati
24 settembre 2013 Per la Uil Scuola è intervenuta Noemi Ranieri

A parere della UIL Scuola si tratta di un provvedimento che va nella direzione giusta: favorisce la continuità didattica e di funzionamento e mostra attenzione e sostegno al sistema di istruzione.
Non si tratta certo del cambiamento necessario in termini di qualificazione della spesa pubblica (siamo ai livelli più bassi in termini di rapporto tra spesa per istruzione e spesa pubblica e nelle retribuzione degli insegnanti e del personale).
In particolare rappresentano elemento positivo l’aumento di organico di diritto dei posti per il sostegno, la reiterazione per un ulteriore triennio del piano triennale di immissioni in ruolo, l’immissione in ruolo fino ad ora bloccata, per amministrativi e tecnici.
Rappresentano elemento di positività anche la possibilità di ingresso gratuito per insegnanti nei musei e l’attenzione ed il potenziamento delle attività di orientamento per gli studenti, il rilancio della istruzione tecnica superiore, elemento innovativo che va ulteriormente valorizzato.
Auspichiamo un cambio di passo per sostenere l’impegno professionale già nel decreto fiscale con la reintroduzione della possibilità di defiscalizzare spese per l’autoaggiornamento (acquisto di libri, riviste, materiale informatico).
Va sviluppato il processo di aggiornamento e formazione continua.
Va, a parere della UIL Scuola, trovata soluzione al mancato riconoscimento della specificità dell’anno scolastico in materia previdenziale (così detta Quota ’96).
In merito all’articolato si evidenziano le seguenti proposte di modifica:
Articolo 5 – Comma 4 – Si ritiene improprio finanziare un’azione di infrastrutturazione tecnologica come quella dei laboratori scientifico tecnologici con i fondi della legge 440/97; il suo spirito è quello dell’ampliamento e dell’arricchimento dell’offerta formativa a supporto dei processi di sviluppo dell’autonomia scolastica. L’infrastrutturazione tecnologica va sostenuta attraverso un piano di ampio respiro temporale e sistemico.
Articolo 6 – Adozione dei libri di testo: lasciare il termini “sono adottati”, non “possono”. Non si capisce chi altro dovrebbe decidere se non gli insegnanti.
Articolo 7 – Eliminare tra le competenze del ministero il”fissa i metodi didattici”. Non può il ministero intervenire sui metodi didattici,che sono in capo agli insegnanti. Si prospetterebbe una sorta di didattica di Stato.
Articolo 8 – Togliere il termine “interessati” dopo studenti. L’orientamento costituisce una misura di intervento rivolta a tutti gli studenti e non solo agli interessati.
Articolo 12 – Conveniamo che vadano rivisti i parametri, ma occorre fare riferimento alla Conferenza Stato-Regioni, va evitato un rinvio decisionale ad un organismo che non ha specifiche competenze decisionali di impianto nazionale, né giova creare un ulteriore intreccio decisionale. Si può sostituire la formulazione con il termine “tenendo conto di quanto definito in sede di Conferenza Stato-Regioni”.
Articolo 15 – Eliminare, con riferimento al piano triennale, “previo contrattazione”. Già prima del piano triennale, concordato con il governo in carica nel 2011, è stata definita una modifica del contratto nazionale che ha ridotto la incidenza della progressione economica. Tale modifica rimane operante fino a nuovo contratto. Non si comprende quale ulteriore modifica si ipotizza, tra l’altro in regime di ulteriore blocco del contratto.
A parere della Uil Scuola vanno assicurate tutte le tutele necessarie al personale docente inidoneo all’insegnamento che può svolgere altre mansioni. Queste le proposte emendative al testo :
− consentire a coloro che hanno i requisiti ‘pre-Fornero’ di poter andare in pensione, come previsto per i dipendenti in sopranumero;
− prevedere il passaggio ad altra amministrazione scolastica lì dove già c’è l’utilizzo (ad es. provveditorati, direzioni regionali, ministero);
− consentire la mobilità intercompartimentale, con passaggio ad altra amministrazione, con disponibilità di organico con tutte le tutele territoriali e professionali.
Articolo 15 – Comma 5 – Eliminare la previsione di integrare le commissioni mediche operanti nelle Asl ai fini della dichiarazione di inidoneità del personale scolastico con un rappresentante del MIUR, onde evitare confusione di competenze.
Articolo 15 – Comma 9 – Eliminare “purché non si determini soprannumero”; il richiamo è superfluo in quanto il transito ad altra classe di concorso od insegnamento avviene già, ed ovviamente solo per chi possiede i titoli necessari, solo a condizione che non ne risultino generate nuove situazioni di esubero.
Articolo 16 – Tale articolo va a nostro parere riformulato. E’ infatti, ad esempio, improprio il riferimento a “formazione obbligatoria”. Per quale personale, per quante ore, chi decide. Si tratta tra l’altro di materia che, riguardando obblighi dei servizio, è connessa all’orario ed alla retribuzione, materie squisitamente di competenza contrattuale.
L’articolo andrebbe semplificato, essendo tra l’altro positivo l’intervento finanziario che andrebbe però stabilizzato. Il recente contratto integrativo per la formazione, pur nella scarsità di risorse, va nella direzione che può essere da riferimento all’articolo 16.
Si tratta di sostenere le innovazioni e nel contempo di prevedere le sedi reti di scuole per la realizzazione.
Proposta di emendamento:
Articolo 16 – Comma 1:
− Cassare “ i risultati dei test di valutazione sono meno soddisfacenti ed“
− Cassare, dopo formazione, la parola “obbligatoria”
Articolo 16 – Comma 2:
Cassare “anche attraverso convenzioni con le università statali e non statali, da individuare nel rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza”.
Abbiamo preoccupazione che anche questa volta anziché operare per sostenere e qualificare aggiornamento e formazione come momenti ineliminabili (in tal senso obbligatori) ed insiti nella funzione docente ci sia un impoverimento professionale a vantaggio delle università, ed il tutto si riduca a difficili controlli burocratici di ore di ascolto.
Per quanto attiene all’accesso gratuito ai musei statali e siti archeologici va eliminata la dicitura “in via sperimentale”: non si comprende, infatti, che attività possa essere prevista se non quella che si verrà a realizzare, concretamente, a seguito di tale disposizione. La previsione di una fruizione limitata da parte dei docenti contrasta con lo spirito della norma orientata a favorirne l’utilizzo.
Il decreto poco interviene sul valore del lavoro e dell’impegno professionale.
Sul versante retributivo c’è una vera emergenza e non possiamo accettare la sottrazione di 300 milioni di euro avvenuta con il decreto del Governo di agosto che ha ulteriormente bloccato gli aumenti per anzianità coperti da fondi (appunto 300 milioni già stanziati).
Cogliamo la occasione per sollecitare governo e parlamento a rivedere tale decisione. Per il personale della scuola si tratta di una doppia penalizzazione, blocco del contratto e della progressione per anzianità.
Al contrario il lavoro e l’impegno professionale vanno valorizzati e riconosciuti come una leva ineliminabile per una scuola di qualità.

DL 104/13 in materia di istruzione

DL 104/13 in materia di istruzione
Memorie FLC CGIL audizione Camera dei Deputati del 24 settembre 2013

Premessa
Il D. L. 104/2013 ha il merito di iniziare ad invertire la stagione dei tagli epocali all’istruzione e al diritto allo studio.
Questo è un bene perché da anni i settori pubblici della Conoscenza sono stati oggetto di incessanti riduzioni di spesa, frutto della povertà culturale di chi li ha promossi e dell’intento di procedere verso la privatizzazione dei saperi. Tuttavia considerando le drammatiche condizioni di partenza può essere considerato solo il primo passo per risalire la china
Sottolineiamo che sarebbe un intervento complessivo di segno positivo rivolto anche ad università, ricerca, alta formazione artistica e musicale.
Infatti, a nostro avviso, occorre una radicale inversione di visione rispetto agli ultimi anni a partire dalla necessità di aumentare di 1 punto di Pil gli investimenti per istruzione e ricerca nei prossimi 5 anni per raggiungere la media europea. Rileviamo che è proprio l’incongruenza tra gli interventi previsti e le risorse stanziate una delle maggiori criticità del decreto. Così come è necessario chiarire il quadro d’insieme entro cui il Governo intende muoversi per evitare che si riduca ad un provvedimento emergenziale ma sia collocato entro un percorso per ridare valore e funzione sociale all’intero sistema della conoscenza rivedendo radicalmente le scelte degli ultimi anni. Per questa ragione la valorizzazione del lavoro in tutti i comparti della conoscenza deve essere il riferimento strategico per il miglioramento qualitativo di scuola, università,ricerca e Afam. In tal senso sono un pessimo segnale il blocco ulteriore dei contratti nazionali nel pubblico impiego, degli scatti d’anzianità e l’ostilità di parti del Governo, del Parlamento, della dirigenza di alcuni Ministeri e della Ragioneria Generale dello Stato rispetto ai necessari processi di stabilizzazione del precariato che rimane una delle priorità fondamentali per la FLC CGIL.
Serve poi uno specifico intervento per i lettori e cel ponendo fine alla gravissima discriminazione di questa categoria di lavoratori che sono stati oggetto di provvedimenti già al centro di contenziosi tra governo Italiano e corte di giustizia e in aperta violazione di una consolidata giurisprudenza della corte costituzionale.
Il decreto legge ora in fase di conversione in Parlamento, se, da un lato, mostra la volontà del Governo di voler iniziare a riaffrontare alcuni problemi, dall’altro ripropone alcune soluzioni già presenti nei provvedimenti dei precedenti governi che la FLC aveva duramente contestato e contesta anche oggi. E’ nostra intenzione salvaguardare gli aspetti qualificanti del decreto, relativi soprattutto al comparto scuola, e nel contempo modificarlo con emendamenti specifici implementando le parti in cui è carente.
Segnaliamo in particolar modo la ricorrente propensione ad invadere, per legge, il campo contrattuale: questo accade, in particolare per la parte rivolta all’istruzione, in una pluralità di disposizioni. Come organizzazione sindacale non possiamo che leggere negativamente interventi di questa natura soprattutto in una fase in cui i contratti dei nostri comparti sono bloccati per effetto del Regolamento approvato dal Governo l’8 agosto scorso che proroga il rinnovo dei contratti per un altro anno.
Di seguito le nostre considerazioni sui singoli punti.

Scuola

Misure sul personale
Piano triennale e sostegno. Positiva la stabilizzazione del personale della scuola oltre il turn over e la stabilizzazione dei posti di sostegno. Ma ancora una volta si fa riferimento alla sessione negoziale con il solo scopo di ridurre lo stipendio per i nuovi immessi in ruolo e in ogni caso si vuol tagliare le risorse a disposizione del personale della scuola. Tutto ciò in una situazione in cui per effetto del Regolamento approvato dal Governo l’8/08/2013 sono stati ulteriormente bloccati gli scatti di anzianità; inoltre viene rinnovata fino al 2015 la proroga per il rinnovo economico dei contratti e restano congelati gli stipendi. Inaccettabile che il Contratto venga chiamato in causa solo quando si tratta di sottrarre soldi e diritti ai lavoratori. Non è praticabile, in tale contesto, alcuno scambio tra diritti dei lavoratori precari e piano triennale.
Inidonei e insegnanti tecnico pratici (ITP) in particolari situazioni. È vero, viene eliminato il transito forzoso nei ruoli ATA, tuttavia rimane l’impraticabilità delle soluzioni proposte dal D.L, non solo perché la mobilità intercompartimentale è terreno non agibile (le amministrazioni di destinazione non danno disponibilità di accoglienza), ma anche perché il transito si configura come un peggioramento delle condizioni lavorative di questi lavoratori più utilmente impiegabili in compiti connessi con le attività scolastiche. Per questi lavoratori chiediamo soluzioni diversificate che vadano dalla possibilità della mobilità intercompartimentale a domanda al proficuo utilizzo nella scuola da definire tramite accordo sindacale come previsto dall’art. 4 comma 2 lettera a) del CCNL 2007. Si tratta di modifiche che non comportano aumenti di spesa, essendo già prevista la copertura in sede di relazione tecnica.
In quanto agli ITP delle classi di concorso C999 e C555 (circa 430 lavoratori), vogliamo ricordare che si tratta di docenti a tutti gli effetti. I primi originariamente erano alle dipendenze delle province e sono stati trasferiti allo Stato nel 2000. I secondi sono diventati soprannumerari tout court dopo la riforma dei programmi.
La legge prevedeva per questo personale, nel caso in cui fosse sprovvisto di titolo di studio idoneo, la riconversione professionale che non è mai avvenuta per responsabilità del Ministero dell’Istruzione. Si tratta di docenti che nel frattempo sono stati già utilmente impiegati nelle istituzioni scolastiche prevalentemente in attività di laboratorio. Inoltre l’abrogazione del comma 81 dell’art. 4 L. 183/2011 (spending review) ha la finalità di ridare funzionalità alle scuole laddove per effetto della suddetta norma si opera un congelamento dei posti di assistente tecnico se presenti insegnanti tecnico-pratici (ITP) in esubero come se si trattasse di profili intercambiabili.
In realtà ciò comporta il licenziamento del personale assistente tecnico privando la scuola (malcapitata) di una figura tecnica con preparazione specifica sul piano operativo. È bene sottolineare che gli ITP, vista la loro formazione specifica, rappresentano una risorsa per la scuola dell’autonomia e potrebbero essere proficuamente utilizzati anche nell’ambito delle reti di scuola già previste dalla legge in materia di sviluppo e semplificazione (art. 50 Legge n. 5 del 9 febbraio 2012). Cosi facendo le scuole potrebbero risparmiare una quota dei fondi per il funzionamento didattico e amministrativo, dal momento che specie le scuole del primo ciclo (scuole dell’infanzia, primaria, medie) ricorrono a collaborazioni esterne non disponendo di nessuna figura tecnica docente/Ata.
Per i docenti ITP, che loro malgrado si trovano in questa situazione, chiediamo che si aprano subito le porte della riconversione professionale e nel contempo che continui il loro proficuo utilizzo nelle istituzioni scolastiche. Alla bontà di queste misure sono legate le sorti di diverse migliaia – e dietro ci sono altrettante famiglie – di tecnici e di amministrativi che verrebbero licenziati in tronco dopo anni di lavoro.

Dirigenti scolastici. Positiva la cadenza annuale del concorso e la centralizzazione delle procedure. Queste misure le aveva chieste anche la FLC a seguito dell’enorme contenzioso che si è verificato. Tuttavia l’affidamento alla scuola superiore di Amministrazione non dà sufficienti garanzie circa la specificità del settore scolastico. Pertanto pensiamo che la soluzione si possa trovare nel momento in cui si affida a personale scolastico tutto ciò che riguarda le prove selettive.
Ingresso gratuito ai musei. La misura è ottima, finalmente si comincia a ragionare sugli strumenti di supporto alla professione. Ma chiediamo che si superi la fase sperimentale e che la misura venga estesa a tutti gli operatori della scuola, dirigenti e Ata compresi.
Dimensionamento della rete scolastica. La norma va bene, ma manca una certezza numerica che invece riteniamo necessaria per dare serenità alle scuole e alle famiglie. A questo fine potrebbe essere utile adottare il parametro numerico medio regionale di 800 alunni per istituto nelle regioni ad alta dispersione scolastica e ad alta densità criminale e di 900 alunni nelle altre realtà regionali.

Dispersione scolastica, orientamento e formazione del personale. Ci trova d’accordo lo stanziamento dei fondi per contrastare la dispersione scolastica, per potenziare l’offerta formativa e l’orientamento degli studenti nella scuola secondaria di secondo grado ecc. Ma gli articoli sulla dispersione scolastica e l’orientamento vanno profondamente rivisti perché è del tutto sbagliato il modo con cui vogliono affrontare questi temi legati alla didattica, all’autonomia organizzativa delle scuole e alla libertà di insegnamento. Ad esempio il recupero è più efficace se affidato a personale che già conosce i bisogni formativi degli alunni e soprattutto se effettuato da chi definisce già in orario curricolare gli interventi di recupero e potenziamento.
Pur condividendo la necessità di affrontare il tema della dispersione scolastica con una maggiore integrazione tra intereventi interni alle scuole e territorio, coinvolgendo una pluralità di attori, il ricorso a risorse esterne deve passare in seconda istanza.
In quanto alla formazione dei docenti e l’utilizzo del FIS, istituto contrattuale, è bene che tutto ciò sia la contrattazione a decidere criteri e modalità e non l’intervento legislativo (come è accaduto in passato). E’ concettualmente e politicamente sbagliata la definizione dal parte del MIUR di metodi didattici e obiettivi specifici. Come è sbagliato concentrare le risorse formative in quelle situazioni con quelle motivazioni: questo vuol dire far passare l’dea che i risultati di apprendimento derivano da deficit di insegnamento. Siamo sicuri, invece, che, passato l’anno 2014 (l’unico anno finanziato per l’aggiornamento), tutto rimarrà come prima perché il livello economico, culturale, sociale, produttivo, relazionale, di edilizia scolastica, di strutture laboratoriali, di stimolazione culturale dei territori di riferimento ecc. rimarrà come prima. Ed è proprio il contesto, invece, che sta alla radice dei risultati dei test inferiori alla media nazionale.
Potenziamento offerta formativa. Il DL prevede la finalizzazione dei fondi per l’autonomia scolastica (legge 440/97) alle innovazioni tecnologiche. Sarà poi un successivo DM a stabilire i criteri “la tipologia di laboratori e i materiali per i quali è possibile presentare proposte di progetto finanziate” . Questa misura non ci trova d’accordo perché invasiva dell’autonomia organizzativa e didattica delle scuole. Ancora una volta, in continuità con il passato, si predica l’autonomia, ma si pratica la centralizzazione delle scelte. Crediamo e sosteniamo una modifica per dare modo alle scuole di crescere sul terreno della cultura programmatoria. Esse hanno bisogno di un budget certo di risorse e non tagliabili al 1 settembre di ogni anno. Riteniamo che sia arrivato il momento di inviare direttamente questi i fondi alle scuole tramite parametri nazionali trasparenti e oggettivi.

Istituti tecnici superiori. Riteniamo che L’art. 14 del Decreto Legge 104/13 che ha previsto la cancellazione della parte dell’art. 52 della Legge 35/12 sull’offerta coordinata regionale – travolgendo, evidentemente, anche le specifiche norme applicative definite dalle Linee guida e dal relativo decreto interministeriale 7 febbraio 2013 – determini conseguenze negative.
Quindi grandi difficoltà nel coordinare l’offerta formativa regionale di settore, sia in termini didattici che di risorse umane, strumentali e finanziarie; mantenimento, per ciascun ITS che insiste nella stessa regione nella medesima area tecnologica, degli organi di governo (presidente, giunta esecutiva,
consiglio di indirizzo ecc.).

Università, Afam, Ricerca

Diritto allo studio universitario e borse di studio per l’alta formazione artistica musicale e coreutica
L’incremento di 100 milioni di euro annui, a decorrere dal 2014 del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio universitarie e l’esclusione dei pagamenti dai limiti del patto di stabilità interno delle Regioni può essere considerato un primo segnale di inversione di tendenza in materia di diritto allo studio dopo anni di decurtazioni. Siamo però ancora lontani dal garantire una reale possibilità per tutti gli studenti meritevoli di accedere al sistema universitario.
Con il finanziamento attuale non si raggiungerà l’obiettivo di eliminare la figura dell’idoneo non vincitore.
La stessa considerazione vale per lo stanziamento di 6 milioni di euro, per l’anno 2014, per borse di studio per l’Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica cioè che si tratta di un primo, seppur modesto, intervento di sostegno al diritto allo studio in un settore piccolo ma di grande qualità ed importanza.
Corsi di laurea ad accesso programmato
L’abrogazione del cosiddetto “bonus maturità” per l’accesso ai corsi a numero programmato era una decisione inevitabile dopo il pasticcio creato dal precedente Ministro Profumo e non risolto dagli interventi successivi del Ministro Carrozza. Resta l’amarezza per la totale improvvisazione su un tema così delicato e sensibile per centinaia di migliaia di ragazzi. La scelta di eliminarlo a test in corso produrrà una ondata di nuovi ricorsi. È arrivato il momento di aprire una discussione seria e poco ideologica sull’utilità del numero chiuso. I fatti dimostrano che si tratta di un sistema anacronistico e ben poco efficiente. La strada è un vero potenziamento dell’orientamento e dell’offerta formativa.
Formazione specialistica dei medici
La definizione di una graduatoria nazionale è un atto sensato, peraltro da tempo sollecitato dalle associazioni dei medici specializzandi. Anche l’aggiornamento triennale del compenso è senza dubbio un fatto positivo. Restano aperti tutti i nodi di una figura professionale che meriterebbe una regolamentazione contrattuale vera e propria determinata all’interno di un CCNL.

Afam
Per quanto riguarda la risoluzione delle problematiche inerenti al personale la proposta dell’art.19 è ancora molto lontana dall’essere soddisfacente. Infatti, con questo provvedimento si dovrebbero salvaguardare I precari e le istituzioni. Non è così: lascia “a piedi” circa 1000 docenti con anzianità superiore mediamente ai 5 anni dopo ripetuti esami idoneativi perché più volte costretti a valutazione artistico-professionale, non sana i 28 EP 1 che stanno garantendo con competenza altrettante istituzioni, lascia irrisolta la questione docenza.

ANVUR e finanziamento degli enti di ricerca vigilati dal Miur
A parte le norme di “aggiustamento” delle modalità di nomina dell’organo direttivo dell’Agenzia manca ciò che davvero servirebbe. Un cambiamento dell’indirizzo dell’Anvur e una separazione netta tra organo di valutazione organo politico.
Infatti le scelte operate da questa agenzia nell’impostazione dell’esercizio di valutazione della qualità della ricerca si sono dimostrate alla prova dei fatti inadeguate.
Pur in ritardo rispetto ai sistemi di valutazione adottati dagli altri paesi occidentali siamo stati capaci di scegliere le modalità più discusse e screditate culminando con l’arrogante classifica a punteggi per strutture talora spesso incomparabili. Basti pensare che la mole di informazioni e di dati raccolta in due anni di lavoro costato certamente non poco in termini di impegno e di risorse, è stato ridotto a scoop giornalistico e ad una sequela di inutili pagelline su chi è più bravo e su chi è più ciuccio. Che questi sarebbero stati gli esiti di un approccio “ideologico” alla valutazione lo avevamo purtroppo ampiamente previsto e denunciato.
Inoltre ribadiamo che la metodologia utilizzata per stilare i famosi elenchi di università ed enti di ricerca non trova, ormai, riscontro in alcun paese al mondo dove esiste una analoga agenzia o un analogo esercizio di valutazione come ad esempio quello inglese.
Con le classifiche si è “scoperto l’acqua calda”, premiando strutture più ricche e collocate in contesti territoriali ed economici in cui è più facile attrarre risorse. E si è stilato inutili e fuorvianti elenchi di strutture più o meno cattive che non tengono adeguatamente conto di dimensioni, caratteristiche territoriali e storiche, specificità e articolazioni interne. Per rincorrere i titoli sui giornali, si è fatta un’operazione di presentazione di dati, che importanti ed utili se ben interpretati e ponderati, diventano così fuorvianti anche per famiglie e studenti ed in generale per il Paese.
Lo scopo della valutazione di sistema, pur necessaria, è stato già travisato nelle finalità. Invece che strumento di sostegno al ministero ai fini di raccogliere quegli elementi informativi utili al miglioramento del sistema, diventa strumento di natura punitiva che rischia solo di scatenare una competizione infruttuosa, se non dannosa, tra i nostri atenei e enti di ricerca nonché la giustificazione per un’ulteriore riduzione della spesa.
Pensare che parte consistente del finanziamento alle Università, e agli Enti di Ricerca vigilati dal Miur possa essere ripartita tramite una lettura distorta e ingenua dei prodotti della ricerca è cosa allarmante. Indipendentemente dalla quantità di dati raccolti si tratta comunque di decidere come valutare i risultati e rifiutare parte consistente della metodologia adottata dall’Anvur. Del resto, in questi due anni sono stati rilevati più volte i limiti di questo esercizio di valutazione – sistematicamente ignorati dall’Anvur bollando tutto ciò che veniva loro obiettato con “non vi ascoltiamo perché voi non volete la valutazione”. E’ stato ben spiegato in altre sedi come la distribuzione statistica dei dati, se utilizzata per stilare classifiche, finisce per favorire tendenzialmente le strutture più piccole su quelle più grandi falsando ogni lista di più o meno meritevoli.
L’idea di distribuire quote di FFO sulla base dei dati Anvur è quindi pericolosa per le ragioni che sommariamente abbiamo esposto. Inoltre il sottofinanziamento del Fondo ordinario delle Università a prescindere dal modo in cui i dati Anvur verranno pesati, quindi anche se si utilizzeranno modalità meno ideologiche di quelle proposte in sede di presentazione della VQR, rischiano di essere comunque disastrose per molti Atenei. Siamo ormai al collasso del sistema universitario e non vorremmo che l’Anvur si limitasse a certificarlo.
Il caso specifico degli enti di ricerca è ancora più pernicioso. La scelta di obbligare i ricercatori degli enti a presentare 6 prodotti anziché 3 come se l’attività di trasferimento tecnologico, servizio, monitoraggio e in generale tutta la terza missione degli enti sia secondaria era ed è palesemente sbagliata. Ma non solo. La stessa comparazione tra strutture così diverse è semplicemente puerile oltre scientificamente falsa.
Come si potrebbe dubitare che un ente nato nel 2003 come l’IIT – quindi con 0 attività in quell’anno – abbia nel tempo, ed in corrispondenza di un enorme finanziamento che non ha equivalenti nelle strutture statali, un indice di miglioramento clamoroso rispetto a una grande struttura come il CNR, che risente di una ventennale politica di definanziamento? Oppure che utilizzare ingenti risorse per finanziare progetti di ricerca esterni all’ente con firme pesanti, come nel caso dell’ IIT incrementa qualunque indice citazionale? La domanda vera da porsi è, semmai, per quale ragione un ente nato per produrre innovazione tecnologica finanzia la ricerca pura. Forse perché è l’unico modo di incrementare il proprio peso nella comunità scientifica a fronte di una debolezza plateale di risultati della missione principale per cui è nato?
In sostanza gli indicatori utilizzati dall’Anvur sono, per gli enti valutati, platealmente parziali e non funzionali ad un’efficace analisi comparativa delle performance scientifiche.
Probabilmente per questa ragione il decreto modifica la legge 213/09 nella parte in cui disciplina l’attribuzione della quota premiale del fondo ordinario degli enti di ricerca. Si prevede che il FOE (Fondo Ordinario degli Enti di ricerca) verrà prioritariamente assegnato con riferimento alla missione strategica degli enti e ai progetti e programmi che rientrano nella loro azione. La quota premiale pari oggi al 7% verrà assegnata anche tenendo in qualche misura conto della valutazione VQR, la cui pesatura è però rimessa ad un decreto del Ministro, nonché di “specifici programmi e progetti, anche congiunti, proposti dagli enti.” Per quanto ci riguarda è la conferma che i criteri utilizzati dalla VQR per valutare in particolare gli EPR sono assolutamente inadeguati tanto che nonostante le fanfare che hanno accompagnato la presentazione dei dati e il “battage” giornalistico dei giorni successivi non viene stabilito per gli Epr alcun automatismo nell’attribuzione della quota premiale ma un generico riferimento ANCHE alla VQR.
La VQR deve essere interamente rivista e soprattutto bisogna eliminare l’assurdità delle classifiche che non hanno alcuna logica pesando enti con missioni dimensioni e funzioni differenti e che peraltro non vengono più utilizzate da anni nei paesi che hanno una tradizione nella valutazione ben più solida della nostra. Peraltro stiamo parlando di distribuzione di risorse ordinarie (Fondo di finanziamento ordinario degli Enti) ridotte ormai all’osso dai continui tagli perpetrati dai vari governi negli scorsi anni.
Ragion per cui la norma contenuta nel decreto è un correttivo necessario ma non sufficiente. Il FOE richiede, come già ricordato proprio da questa commissione, e dalla commissione cultura del Senato un consistente incremento e un diverso meccanismo di distribuzione. L’idea, ad esempio, dei progetti bandiera e premiali finanziati senza alcuna preventiva valutazione (quando serve stranamente non c’è mai) con risorse estratte dal fondo è chiaramente una follia. Confidiamo in un vero piano nazionale della ricerca che faccia giustizia di questo scempio.
Lo stesso pasticcio dell’abilitazione scientifica nazionale è la cartina di tornasole della necessità di un immediato ripensamento dell’Agenzia su cui ci auguriamo si trovi velocemente una soluzione pena il perpetrarsi di un già disastroso blocco del reclutamento.

Contratti flessibili negli enti di ricerca e nelle università
Il decreto interviene sull’articolo della legge finanziaria 2006 che consente a università ed enti di ricerca di assumere personale con contratto a termine o di collaborazione o assegni di ricerca su progetti anche a sostegno alla didattica o alla ricerca, senza limiti se finanziati con risorse diverse dal Fondo di finanziamento Ordinario. Si tratta di una riscrittura della norma su cui si era intervenuti con il decreto del “fare”, che poteva dare adito ad un superamento dei limiti assunzionali anche sui progetti di ricerca a carico del Fondo di finanziamento ordinario. Quindi si tratta di una ripetizione o un rafforzamento della nota e ampiamente utilizzata possibilità di attivare contratti a termine sul progetti di vario genere evitando la norma tagliola del blocco della spesa sul fondo ordinario per queste tipologie di personale.
Non è più rinviabile, come anche questi interventi confermano, rilanciare un percorso di stabilizzazione dei precari della ricerca (i quali peraltro hanno superato più e più concorsi) insieme ad un reclutamento straordinario.

Personale degli enti di ricerca
La norma che dispone l’incremento della dotazione organica dell’INGV di 200 posti per reclutare nel quinquennio 2014-2018 personale ricercatore, tecnologo, tecnico e di supporto alla ricerca in scaglioni annuali di 40 unità rientra certamente tra i contenuti positivi di questo decreto.
Il personale dell’INGV precario vede finalmente la possibilità di essere assunto. E’ una battaglia che ci ha visto in prima linea per anni a supporto delle lavoratrici e dei lavoratori culminata con uno sciopero di ente. Ricordiamo che la stragrande maggioranza dei lavoratori precari aveva ed ha diritto alla stabilizzazione ai sensi delle leggi finanziarie 2007 e 2008. Riteniamo che la norma per meglio rispondere alle esigenze del personale e dell’ente deve essere emendata aumentando il numero dei posti così come era previsto almeno nelle prime bozze del decreto e con un esplicito riferimento alla platea interessata e al processo di assunzione con procedura riservata così come previsto nel decreto legge occupazione. Inoltre i contratti devono poter essere prorogati fino all’avvenuto completamento del processo di assunzioni.
Vogliamo inoltre sottolineare che la previsione di 5 anni per completare le procedure è chiaramente troppo lunga, lo stesso percorso di può e si deve chiudere molto più in fretta.
Si prevede inoltre l’esclusione degli enti vigilati dal Miur dall’applicazione del comma 34 bis del dlgs 165 2001 che prevede per le amministrazioni l’obbligo di procedere, prima dell’avvio di bandi di reclutamento, ad esperire la procedure obbligatorie di mobilità anche intercompartimentale, ma solo per i profili di ricercatore e tecnologo. In sostanza si semplifica ulteriormente il processo iniziato nel decreto sul pubblico impiego per facilitare per le assunzioni negli epr, che però non aveva eliminato l’obbligo della mobilità prima di indire nuovi concorsi. Siamo in ogni caso di fronte ad un paradosso: infatti mentre il decreto sul pubblico impiego prevede che tutti gli epr già alla presentazione dei piani triennali possano essere autorizzati a bandire i concorsi, questa norma si rivolge solo agli enti vigilati dal Miur e solo per i profili di ricercatore e tecnologo. Come se non ci fosse bisogno di tecnici (sempre di meno ormai, tanto da costringere i ricercatori a fare il loro lavoro) o di personale di supporto alla ricerca e se queste assunzioni, richiedessero una vigilanza speciale da parte funzione pubblica. Oppure come se gli altri enti avessero bisogno comunque di una sorveglianza speciale al momento delle assunzioni. Si deve arrivare ad un unico momento autorizzatorio per tutti gli enti e per tutto il personale e deve essere la presentazione dei piani triennali, momento in cui si definisce oltre la strategia e gli obiettivi dell’ente la politica di reclutamento e sviluppo delle carriere.
Crediamo indispensabile utilizzare questo vettore normativo per affrontare una volta per tutte il tema del reclutamento e del precariato negli enti di ricerca.
Si deve riconoscere la peculiarità di questo settore confermando la possibilità di avviare percorsi di tenure track peraltro già previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro e ribaditi in un accordo siglato tra le organizzazioni sindacali e il precedente governo. Bisogna superare il barocco meccanismo della dotazione organica riconoscendo le funzioni reali degli enti che sono garantite da anni con contratti a termine, assegni di ricerca e collaborazioni.
Serve un piano di stabilizzazione dei precari e il rilancio di un reclutamento ciclico. Serve una governance comune della ricerca pubblica facendola finita con l’assurdità di separare gli enti in virtù del ministero di riferimento, e un piano strategico per il suo rilancio.

Conclusione
Cogliamo l’occasione per ribadire l’opportunità di accogliere i cambiamenti proposti, su cui proporremo nostri emendamenti, e di aprire un grande dibattito pubblico in tutti i comparti della conoscenza avviando quei cambiamenti condivisi per ridefinire un nuovo rapporto tra conoscenza, lavoro e democrazia e tra essi e un nuovo modello di sviluppo.

E’ d’obbligo… il loro futuro!

Programma Convegno 2013

Scheda di adesione


42° Convegno Nazionale CIDI

 

E’ d’obbligo… il loro futuro!

Una  scuola  pubblica  della preadolescenza

1 – 2 ottobre 2013 – Grand Hotel Adriatico, Montesilvano (Pe)

 

 

Il/La sottoscritto/a ………………………………………………………………………………………………

nato/a a ……………………………………………………………………….………………………..……

il ……………………………………………..……………………..………………………

qualifica ………………………………………………………………………………………………………………

scuola di appartenenza …………………………………………………………………………………………

e mail …………………………………………………………………………………………………………

cell ………………………..…………………………………………………………………

 

chiede

 

di partecipare al Convegno Nazionale E’ d’obbligo… il loro futuro”     che si terrà martedì 1 e mercoledì 2 ottobre 2013 presso il Grand Hotel Adriatico di Montesilvano (PE).

La partecipazione al Convegno è gratuita

Sarà rilasciato un attestato di partecipazione

l’iniziativa, essendo organizzata da soggetti qualificati per l’aggiornamento (DM 177/00 e DM 8/6/2005), è automaticamente autorizzata ai sensi degli artt. 64 e 67 CCNL 2006/2009 del Comparto Scuola, con esonero dal servizio e con sostituzione ai sensi della normativa sulle supplenze brevi e come formazione e aggiornamento dei Dirigenti Scolastici ai sensi dell’art. 21 del CCNL 2002/2005 dell’Area V e dispone dell’autorizzazione alla partecipazione in orario di servizio.

INOLTRARE LE ADESIONI ENTRO IL 21 SETTEMBRE 2013 ESCLUSIVAMENTE A cidipescara@alice.it

Informazioni per un’eventuale sistemazione alberghiera presso la stessa sede del convegno:

  • Pensione completa in camera doppia uso singola – minimo 2 giorni di soggiorno:  € 45,00  al giorno
  • Pensione completa in camera doppia – minimo 2 giorni di soggiorno:  € 40,00  per persona al giorno
  • Pensione completa in camera doppia uso singola – per una sola giornata:   € 50,00
  • Pensione completa in camera doppia – per una sola giornata:  € 45,00   per persona
  • Pasto singolo:  € 25,00  a persona                                   

Per prenotazione compilare la scheda sottostante

Per informazioni rivolgersi a:

 

Daniela Casaccia  347.3882454                 Cidi Pescara   345.2665748                  Cidi Nazionale   06.5809374

                                                                                      cidipescara@alice.it                               mail@cidi.it

……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..

 

SCHEDA PRENOTAZIONE ALBERGHIERA

Spedire la presente scheda a mezzo fax o e-mail a:

Grand Hotel Adriatico – Via Carlo Maresca, 10 – 65016 Montesilvano ( PE)

Tel. 085.4452695  –  Fax 085.4683270

www.grandhoteladriatico.com                      info@grandhoteladriatico.com

 

Cognome e Nome …………………………………………………………………………………………………………………

Istituto …………………………………………………………………………………………………………………………………

Indirizzo ………………………………………………………………………………………………………………………………

Città ……………………………………………………………  Cap ……………………………………………………………

Tel ………………………………………………………………   Fax ………………………………………….……………………

Prego riservare la seguente camera dal ………………………………………… al ………………………………………

  • Doppia n. giorni  ……………………………………………………………………………………………………….
  • Doppia uso singola n. giorni  ……………………………………………………………………………
  • Pasto singolo giorno ………………………………………………………………………………………………

Scuola: 8 milioni per il comodato d’uso

Scuola: 8 milioni per il comodato d’uso, il ministro Carrozza firma il decreto
Priorità ai meno abbienti e ai meritevoli

Via libera alla distribuzione delle risorse stanziate nel dl scuola per il comodato d’uso. Il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, ha infatti firmato il decreto che stabilisce i criteri per ripartire gli 8 milioni disponibili (2,7 per il 2013, 5,3 per il 2014) alle istituzioni scolastiche .
I fondi serviranno per l’acquisto, da parte di scuole o reti di scuole, di libri di testo e dispositivi elettronici per la lettura di materiali didattici digitali da concedere in comodato d’uso agli studenti delle secondarie di primo e secondo grado. Si tratta del primo decreto attuativo del decreto scuola “L’Istruzione riparte” varato il 9 settembre scorso dal Consiglio dei ministri.

Priorità a meno abbienti e meritevoli:
Nella ripartizione delle risorse disponibili per il 2013 è stata data priorità ai territori dove le famiglie vivono una situazione di maggiore disagio economico e ai meritevoli. I 2,7 milioni disponibili per quest’anno sono infatti destinati alle scuole secondarie statali di primo e secondo grado che si trovano in Regioni dove il tasso di famiglie disagiate (con reddito netto fino a 15.493,71 euro) è superiore al 15%. Le risorse saranno date a ciascuna scuola in base al numero di studenti iscritti. I fondi disponibili per il 2014 (5,3 milioni) saranno destinati, con un successivo decreto, anche alle scuole delle restanti Regioni.

Criteri per l’accesso al comodato:
Le scuole daranno in comodato d’uso i testi o i dispositivi elettronici agli studenti che ne faranno richiesta, che avranno i requisiti economici necessari e che non risulteranno beneficiari di altri contributi per la fornitura gratuita, totale o parziale, dei libri di testo e per l’acquisto di supporti elettronici per la didattica. A parità di condizioni economiche, il comodato d’uso sarà concesso agli studenti più meritevoli in base ai voti finali dell’anno scolastico precedente. Viene data priorità, poi, ai ragazzi iscritti nelle classi dove i tetti di spesa sono più elevati: le prime delle scuole secondarie di primo grado e le prime e terze delle secondarie di secondo grado. Saranno le scuole, in piena autonomia, a decidere come ripartire la somma ricevuta tra l’acquisto di libri e l’acquisto di dispositivi elettronici. Sempre le scuole stabiliranno, nei loro regolamenti, i termini per l’utilizzo annuale e la restituzione di libri e dei dispositivi concessi in comodato.

Ricorso Stabilizzazione – Nuova conferma a Trani

Ricorso Stabilizzazione – Nuova conferma a Trani: un’altra precaria immessa in ruolo grazie all’ANIEF

 

Nuova conferma per l’ANIEF sui ricorsi Stabilizzazione: diventa definitiva un’altra sentenza che censurava l’operato del MIUR per illecita reiterazione di contratti a termine ottenuta dall’Avv. Michele Ursini in favore di una nostra iscritta. Ora il Ministero dell’Istruzione, che ha ceduto nuovamente le armi contro le ragioni dell’ANIEF e non si è opposto alla decisione ottenuta dal nostro legale, non potrà che uniformarsi a quanto stabilito dal Giudice del Lavoro e registrare la trasformazione del contratto della docente, precaria dal 2004, che dovrà essere considerato a tempo indeterminato con decorrenza dall’anno scolastico 2008/2009.

 

Il Giudice del Lavoro di Trani aveva correttamente accolto tutte le richieste del nostro sindacato e condannato il MIUR per violazione delle norme nazionali ed europee sul divieto di reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi. La sentenza ha riconosciuto la responsabilità del Ministero dell’Istruzione dichiarando che “il rapporto di lavoro tra la ricorrente e il MIUR deve essere considerato a tempo indeterminato con decorrenza 1/4/2009”, momento in cui risultavano effettivamente superati i 36 mesi di servizio a tempo determinato della nostra iscritta. Il MIUR era stato condannato, inoltre, al pagamento delle spese di lite e “al pagamento di un’indennità onnicomprensiva di 9 mensilità” in favore della docente, per un totale che supera i 15.000 Euro.

 

Piena soddisfazione da parte dell’ANIEF che ha nuovamente ripagato con i fatti la totale fiducia che i propri iscritti continuano a riporre nelle azioni intraprese per la tutela dei loro diritti. Ora il nostro legale provvederà a intimare alle amministrazioni competenti l’immediata esecuzione della sentenza in modo che la nostra iscritta possa finalmente porre fine al suo lungo e ingiustificato periodo di precariato che durava da oltre 10 anni scolastici e stipulare il contratto di lavoro a tempo indeterminato che le spettava sin dal 2009.

Il futuro della scuola. Il fallimento delle riforme ‘partisan’

da tuttoscuola.com

Il futuro della scuola. Il fallimento delle riforme ‘partisan’ 

Si è visto in passato che le riforme ‘partisan’ (da Berlinguer a Moratti a Gelmini) sono sostanzialmente fallite sia per il fatto di essere state fortemente contrastate al momento del varo e dell’implementazione (sia sul piano politico parlamentare che su quello sociale-sindacale) sia perché sono state in gran parte contraddette da riforme di segno diverso o opposto adottate dai governi successivi.

L’esperienza, non solo quella italiana, dimostra che per realizzare grandi e durature riforme scolastiche (come sarebbero oggi, per esempio, un piano di digitalizzazione della scuola a tutti i livelli, o l’eliminazione in radice della dispersione scolastica, o l’introduzione di una carriera per i docenti, o una vera ‘pari dignità’ di tutti i percorsi educativi) servirebbe la convergenza delle principali forze politiche su un disegno strategico di medio-lungo periodo. Servirebbero cioè vere ‘larghe intese’ per obiettivi di evidente interesse nazionale che sono perseguibili solo sulla base di un consenso ampio. Così è stato negli USA per le riforme Bush jr (No Child Left Behind) e Obama (Race to the top), ed è noto che i governi laburisti di Tony Blair non hanno contraddetto le riforme Thatcher, anzi le hanno rafforzate e rese più efficaci.

Da questo punto di vista eventuali iniziative o proposte del ministro Carrozza, o di esponenti del Pdl-Forza Italia o di Scelta civica, che si ponessero obiettivi di rilevanza strategica per il miglioramento della scuola non dovrebbero essere concepite e percepite come di parte, ma come occasioni per misurare la capacità delle ‘larghe intese’ di guardare lontano. Sarebbe un errore, per esempio, considerare le iniziative del ministro Carrozza come “del Pd”, sia che lo commetta lo stesso Pd per evidenziare la discontinuità con Gelmini, sia che lo commetta il Pdl-Forza Italia per sostenere la tesi che se il Pd non rispetta gli accordi su IMU e IVA, allora il Pdl non sosterrà le riforme Carrozza (copyright Renato Brunetta). Due errori simmetrici, entrambi rovinosi perché segnerebbero il ritorno a un’ottica ‘partisan’ di corto respiro.

Il problema di fondo da risolvere è tirare la scuola fuori dalla contesa politica, costruendo un’attenzione unitaria centrata sull’esigenza prioritaria di restituire autorevolezza e riconoscimento sociale al ruolo della scuola e quindi di chi con diverso ruolo e titolo lavora nella scuola e per la scuola. Nel dossier “Sei idee per rilanciare la scuola e contribuire alla crescita del Paese” crediamo di aver fornito numerosi elementi e piste di dibattito su come tentare di farlo.

Riforma della scuola: ops, ci siamo dimenticati i bambini

da Il Fatto Quotidiano

Riforma della scuola: ops, ci siamo dimenticati i bambini

di Alex Corlazzoli

“Drinnnn”. E’ suonata anche quest’anno la campanella. Quella della scuola è indimenticabile. Ha un suono che non trovi da nessun altra parte. E’ diversa da quella dell’operaio in fabbrica, differente da quel trillo che segna a teatro l’imminente apertura del sipario. La campanella della scuola è nell’immaginario di ciascuno di noi, resta nei ricordi, segna il valore dell’inizio di una giornata, ha il potere di interrompere una lezione. Accompagna l’inizio e la fine dell’anno scolastico. E’ l’alfa e l’omega del cammino dell’uomo. Ecco anche stavolta è suonata. Tutti a scuola. Ci risiamo, ognuno al suo posto: il preside ad aspettare sulla porta, la maestra, la bidella, mamma e papà ansiosi per il primo giorno. C’è anche il sindaco a portare il saluto: “Sarà un anno meraviglioso”. Chi manca?

Ops, i bambini. Dove sono?

Non ci siamo accorti ma sui banchi ci sono solo gli astucci, i libri ancora una volta nuovi, la risma di carta portata perché la scuola non ha più i soldi per comprarla, il libretto delle assenze, i quaderni a righe, a quadretti, piccoli e grandi, le penne proprio come le vuole la maestra, i vecchi gessetti e la lavagna d’ardesia che non manca mai. Ah, dimenticavo anche la vecchia cattedra di legno c’è, puntuale come sempre! Ma dietro i banchi la sedia è rimasta vuota.

“Impossibile! Guarda bene, forse si saranno tutti nascosti”, afferma sconsolato il mio collega.

No, non ci sono proprio i bambini quest’anno. Forse ci hanno fatto uno scherzo, forse si sono dimenticati di venire proprio oggi. Non credo che si siano stancati della nostra scuola. Abbiamo pensato a tutto per loro: i maestri e i professori abbiamo cercato di trovarli qua e là in Italia; a Cremona abbiamo mandato quelli di Napoli, a Bologna quelli di Reggio Calabria, a Catania quelli che abitano a Palermo. In ogni aula hanno ancora qualche cartina geografica.

Nel laboratorio d’informatica abbiamo cercato di rimettere in sesto i vecchi pc per iniziare al meglio. L’intervallo è preparato. Anche la mensa con la crema di legumi con riso e crostini è pronta a fare la sua parte. E’ tutto come sempre: abbiamo anche i pifferi che aspettano da mesi di essere suonati dai bambini. E il consueto lavoretto per Natale, Pasqua, festa del papà e della mamma aspetta solo il momento di entrare in scena. Ma guarda, è arrivata anche la maestra “nuova”: l’hanno appena assunta, ha 52 anni. Dicono che era precaria ma ora fa parte della squadra di noi giovani docenti italiani. Aspetta, aspetta sono certo che ora i bambini arriveranno. Anzi sento dei rumori, forse sono loro. “Ma che fanno?” chiede il collega.

Stanno protestando. Hanno tutti un cartello: “Vogliamo un’altra scuola”. “Vogliamo i tablet in classe”, “Meno ore più gite”, “Appassionateci alla scuola”. C’è persino uno con in mano un lungo cartello: “Vorrei una scuola dove i maestri mi fanno divertire, dove hanno il tempo di giocare con me e non di compilare registri. Vorrei una scuola con le aule sempre aperte. Vorrei una scuola senza votiaperta anche il pomeriggio e la sera per vedere un film. Vorrei una scuola di tutti i colori pennellati su pareti e dentro ai cuori. Una scuola come un grande girotondo interamente aperta al mondo. Una scuola con grandi finestre, come occhi dentro il muro per vedere al di là del futuro.

Dove c’è posto per lo studio e per il gioco perché ahimè….lo spazio è sempre poco! E con piante e animali da curare per crescere imparando ad amare. Una scuola per il cervello e per le mani per conoscere e costruire il domani. Sì questa è la scuola che vorrei dove conta ciò che sai ma ancora di più ciò che sei”. Forse ci siamo dimenticati proprio di loro, di chiedere ai bambini come vogliono la scuola.

Napolitano: «Basta tagli ciechi alla scuola» Carrozza ai ragazzi: «Il Paese ha bisogno di voi»

da Corriere della Sera

Inaugurato al Quirinale nuovo anno scolastico con 3.000 studenti

Napolitano: «Basta tagli ciechi alla scuola» Carrozza ai ragazzi:  «Il Paese ha bisogno di voi»

Il presidente: «La scuola fa bene alla democrazia». E sull’immigrazione: «Si lasci entrare il mondo nelle aule»

Scuola motore del cambiamento e dell’innovazione sociale. Luogo principe per l’integrazione. Cuore pulsante del nuovo «Rinascimento» del Paese. Il ministro dell’Istruzione Maria  Chiara Carrozza ha parlato agli studenti e alle famiglie, agli insegnanti e alle istituzioni. Ai tremila ragazzi di tutta Italia raccolti nel cortile d’onore del Quirinale, per assistere alla cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico 2013-14, alla presenza del Presidente della Repubblica, il ministro ha raccontato una «scuola che per la prima volta da tempo torna al centro delle politiche». Ed è tornata a chiedere che «le risorse utilizzate per l’istruzione siano considerate come un investimento in un’ottica pluriennale e non come “spese”».

PIÙ ISTRUZIONE – Il presidente Napolitano, che ha dedicato un lungo discorso ai ragazzi che da qualche giorno sono tornati tra i banchi e ai loro insegnanti, ha ammesso che «la scuola negli ultimi anni ha sofferto delle ristrettezze provocate dalla crisi generale. Di incomprensioni e miopie, di rifiuti e tagli alla cieca». Ma ora, «grazie anche alla decisione e alla passione del ministro Carrozza, la tendenza si sta invertendo», ha detto. Bisogna cambiare strada, sostiene il capo dello Stato: «Rafforzare l’istruzione a tutti i livelli, sviluppare la ricerca scientifica, rendere più elevata e moderna la formazione dei giovani attraverso tutti i canali. Ciò è decisivo per superare la crisi, per combattere la disoccupazione per competere nel mondo di oggi».

DEMOCRAZIA – Napolitano ha poi puntato i riflettori su dati tristemente noti: «L’Italia resta ancora indietro rispetto agli altri Paesi avanzati – ha detto. – Siamo agli ultimi posti nei Paesi europei per il numero di quanti proseguono negli studi fino agli ultimi gradi: sono addirittura calate le iscrizioni alle università in concomitanza con la crisi economica». «È a rischio il progresso realizzatosi nel lungo periodo precedente», ha avvertito il capo dello Stato. Sulle istituzioni scolastiche devono invece concentrarsi sforzi e attenzione. Perché «la scuola, in quanto istituzione, contribuisce a far crescere una cultura diffusa, fa bene alla democrazia». E lo fa «attraverso l’impegno degli insegnanti a sensibilizzare ai temi della legalità, dei valori costituzionali, della non violenza e del dialogo. Senza dimenticare l’esempio di «apertura al mondo» dato dalla presenza di studenti di origine straniera nelle scuole: «La scuola deve lasciare che il mondo entri nelle sue aule».

INTEGRAZIONE – Di scuola «luogo principe per l’integrazione» ha parlato anche il ministro Carrozza. Che ha poi esortato i giovani: «Prendete in mano la vostra vita e il vostro Paese». «Sviluppate la vostra personalità trovando ogni occasione per partecipare alla vita pubblica. La politica – ha detto – ha bisogno di voi e di spirito di servizio».

«STUDIARE, UN PRIVILEGIO» – Il presidente della Repubblica ha concluso il suo discorso rivolgendosi direttamente agli studenti: «All’inizio dell’anno scolastico – ha ammesso – capita di affrontare la scuola con riluttanza, perfino come un pesante dovere, ma la scuola, il poter studiare è soprattutto un privilegio».

LA CERIMONIA – Alla cerimonia, che si è svolta nel cortile del Quirinale, erano presenti circa tremila ragazzi e ragazze, bambini e bambine con le magliette verdi, bianche e rosse, provenienti da tutta Italia. Numerose le personalità presenti: dal neopresidente della Corte Costituzionale, Gaetano Silvestri, al presidente del Coni, Giovanni Malagò, alla presidente della Rai, Anna Maria Tarantola. A salutare l’avvio del nuovo anno scolastico, anche personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo: Claudio Baglioni ha cantato «Strada facendo»; la vincitrice di XFactor 6, Chiara Galiazzo, ha proposto il brano «Vieni via con me».

Intellettuali, assistenti sociali o semplici fannulloni: chi sono gli insegnanti?

da Corriere della Sera

Intellettuali, assistenti sociali o semplici fannulloni: chi sono gli insegnanti?

di Simone Giusti
La scuola è fatta principalmente dagli insegnanti. Che sia giusto o sbagliato, per pensare e, eventualmente, ripensare la scuola occorre partire da questa semplice constatazione. Specialmente in Italia, infatti, la scuola investe quasi tutte le sue risorse negli stipendi degli insegnanti. E quando si parla di scuola o la si rappresenta nei film o nelle fiction televisive, i protagonisti sono sempre gli insegnanti, impegnati nel loro lavoro quotidiano con gli alunni.

E chi sono, quindi, questi personaggi che popolano l’immaginazione di alunni, genitori, amministratori pubblici, legislatori e cittadini comuni? Come sono rappresentati? E come si vedono loro stessi?

Diciamolo subito: per molti sono semplicemente dei fannulloni. Si tratta di un luogo comune che si è diffuso negli ultimi anni, durante i quali si è consolidata l’idea degli insegnanti come dipendenti pubblici che godono di particolari privilegi, quali lo stipendio fisso garantito a vita, periodi di vacanza più lunghi della media dei lavoratori, assenza di valutazione, ecc.

D’altronde è comprensibile che in tempi di crisi economica gli statali – per quanto essi stessi ne siano colpiti – divengano bersaglio di polemiche. E va detto che, al di là delle formule dispregiative, si diffondono nelle scuole pratiche e strumenti tipici del lavoro da impiegato: il cartellino da timbrare, le scartoffie da compilare, regole sempre più centrate sulle ore di lavoro piuttosto che sugli obiettivi da raggiungere.

Più nobile, per quanto vagamente elitario (e in molti casi velleitario), è l’insegnante intellettuale. È una rappresentazione che si è diffusa soprattutto tra gli insegnanti dell’area umanistica ai quali, soprattutto nel nostro paese, è riservata un’attenzione particolare da parte dei media e dell’opinione pubblica.

È l’insegnante che illumina la classe con la sua cultura, rischiara le menti e intimorisce colleghi e genitori: un modello difficile da standardizzare e replicare nella società di massa, che può dare soddisfazioni e, anche, produrre grandi frustrazioni.

Mi è capitato di sentire più di una volta colleghi insegnanti affermare con forza: «Ma io non sono un assistente sociale». Affermazione antipatica, utile a rappresentare il malcelato e offeso orgoglio di una categoria professionale che ha visto declinare il proprio prestigio con l’avvento della società di massa. All’insegnante, invitato anche dalle scienze pedagogiche a spostare l’attenzione verso la persona che apprende, può capitare di rivendicare il suo ruolo di esperto in una determinata disciplina (lo scienziato, il matematico, il letterato, ecc.): dei problemi degli alunni e del loro benessere se ne occupino gli operatori sociali!

Il vero problema, semmai, è rappresentato dal fatto che gli insegnanti, per quanto obbligati a affrontare problemi educativi e sociali complessi e sempre nuovi, non ricevono una preparazione professionale adeguata. Ma questo è un altro discorso.

Io ho sempre preferito associare la figura dell’insegnante a quella dell’artigiano. Certo, sono un po’ impiegato, un po’ intellettuale e un po’ operatore sociale, non c’è dubbio, ma se dovessi scegliere per un ruolo più chiaro e definito mi vorrei rappresentare come un artigiano.Come l’artigiano, infatti, domino l’intero processo produttivo, ho una notevole autonomia che mi consente di risolvere i problemi che incontro nel mio lavoro quotidiano in modo diretto e immediato. Inoltre, dialogo in modo continuo col committente (l’alunno e i suoi familiari), ne conosco le aspettative e i desideri e sono in grado di verificarne la soddisfazione. Per questo, come un buon artigiano, sono in grado di personalizzare il mio servizio. Ancora, aspiro a portare a termine un lavoro ben fatto: non mi verrebbe mai in mente di vantarmi delle bocciature dei miei alunni, che vivo come dei veri e propri fallimenti.

E voi, che insegnanti siete? E che insegnanti vorreste?

A partire da questa domanda, forse, potremmo ripensare la formazione degli insegnanti e quindi, finalmente, riformare davvero la scuola.

I nativi digitali hanno bisogno di guida

da LaStampa.it

I nativi digitali hanno bisogno di guida

 Un’indagine condotta sugli studenti lombardi
Più si è connessi meno si studia. Sembra una banalità, uno di quei mantra ripetuti dalle madri ai figli, ma è anche un’affermazione supportata da un’indagine condotta sugli studenti lombardi risultati molto social, forse troppo. Trascorrono circa tre ore al giorno in rete, principalmente chattando sui social network (83 per cento) e cercando informazioni e approfondimenti (53 per cento). Ma per ogni ora passata in più su Internet, l’apprendimento cala. Secondo quanto calcolato utilizzando i dati Invalsi la diminuzione di 0,8 punti in italiano e di 1,2 punti in matematica.

È il risultato a cui è giunta l’Indagine sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde condotta dal Gruppo di Ricerca sui Nuovi Media del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca, coordinata da Marco Gui, ricercatore in Sociologia dei media e con la supervisione scientifica di Giorgio Grossi, ordinario di Sociologia della comunicazione. Alla ricerca ha collaborato anche l’Osservatorio sulla Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

La ricerca è stata svolta su un campione di 2.327 studenti delle seconde superiori in Lombardia, e ha analizzato le dotazioni tecnologiche, l’uso dei nuovi media e le competenze digitali degli studenti. Per la prima volta in Italia, inoltre, ha associato l’utilizzo dei media digitali ai livelli di apprendimento, utilizzando i dati dei test Snv/Invalsi . Il campione è rappresentativo per tipo di scuola e area geografica.

E, quindi, c’è poco da fare, più si è connessi meno si riesce a studiare. Il calo nell’apprendimento è ancora più marcato se si considera solo la quota di tempo che gli studenti trascorrono online per motivi di studio: meno 2,2 punti in italiano e meno 3,2 punti in matematica. Inoltre, gli usi poco frequenti e molto frequenti della rete sono associati alle performance peggiori, mentre gli utilizzi moderati sono associati a quelle migliori.

La posizione sociale dei ragazzi non conta. I ragazzi dei centri di formazione professionale ormai superano quelli dei licei e dei tecnici nel tempo speso online. La permanenza online dello studente medio è infatti di circa 3 ore giornaliere, ma i ragazzi dei licei stanno online in media circa 2 ore e 48 minuti, quelli dei centri di formazione professionale circa 3 ore e un quarto.

Per quanto riguarda invece l’utilizzo dei social network, Facebook è protagonista: l’82 per cento degli intervistati possiede un profilo e il 57 per cento lo tiene addirittura aperto mentre fa i compiti. Tuttavia esistono due diversi modi di usarlo: uno più chiuso con poche informazioni condivise online, profilo privato e con contatto prevalentemente con persone conosciute offline (tipico dei ragazzi dei licei e di chi ha genitori istruiti) e uno più aperto alle nuove conoscenze online con molte info messe a disposizione e profilo aperto (più frequente tra gli studenti con meno risorse culturali ed economiche: il 35 per cento degli studenti dei Centri di formazione professionale hanno un profilo completamente pubblico contro il 18 per cento dei liceali).

I genitori sono percepiti dai ragazzi come meno competenti di loro e sembrano non essere in grado di fornire competenze digitali avanzate. Un po’ più competenti i genitori dei liceali che sono anche quelli che controllano maggiormente i tempi di permanenza al computer dei figli.

L’uso di Internet per la scuola appare diffuso (il 32,4 per cento cerca informazioni che non trova nei testi, il 41 per cento scambia informazioni con i compagni) ma poco guidato da genitori e insegnanti, cosa che spiega probabilmente anche la relazione non incoraggiante di queste attività con l’apprendimento.

Il livello di competenza digitale critica (inteso come capacità di valutare le fonti, capire i rischi, comprendere la natura dei contenuti) mostra disuguaglianze per tipo di scuola e tra italiani e figli di immigrati (i liceali rispondono correttamente al 69 per cento delle domande del test, gli studenti dei Centri di formazione professionale solo al 56 per cento; un divario simile si nota tra figli di italiani e figli di genitori immigrati). In generale, i problemi principali si riscontrano nella consapevolezza del funzionamento del web e delle logiche commerciali che lo sostengono. Ad esempio solo il 32,7% ha risposto correttamente a una domanda dettagliata sul modo in cui funziona Wikipedia, un’analoga percentuale (34,8%) riesce a riconoscere una pagina di login falsificata a partire dall’indirizzo web, e il 33% si rende conto dello scopo di lucro dietro a siti commerciali di uso comune.

«Quelli che vengono definiti nativi digitali appaiono invece bisognosi di guida rispetto agli usi significativi della Rete», afferma Marco Gui. «C’è oggi un grande spazio di intervento per scuola, istituzioni e ricerca nell’identificazione e promozione di “diete mediali” che supportino lo sviluppo scolastico e personale dei ragazzi».

Adesso la vera sfida è accettare i controlli

da Il Messaggero

Adesso la vera sfida è accettare i controlli

di Giorgio Israel

La necessità di un’azione profonda e durevole sull’istruzione non è favorita dal contesto instabile della politica. Ma l’esigenza resta. Alla scuola dovrebbero essere dati gli strumenti per divenire protagonista, e non oggetto, di un’azione che ne inverta il declino. Il primo obbiettivo dovrebbe essere una grande indagine conoscitiva, mediante un questionario con cui le scuole illustrino, in prima persona e in modo non burocratico, la condizione degli edifici e delle strutture, dell’organico, la densità delle classi, la presenza di studenti immigrati e di studenti diagnosticati con disturbi di apprendimento, la propria valutazione dei risultati conseguiti sul piano didattico. A tale indagine dovrebbe accompagnarsi l’inizio di un processo di autovalutazione che si sviluppi in modo progressivo negli anni. È chiaro che una valutazione deve riferirsi a obbiettivi prefissati. Crediamo poco alle mitologie aziendaliste dei “benchmark” quantitativi. Diane Ravitch, già consigliere del presidente Clinton e autrice della riforma basata su test e “accountability” ha scritto un libro di radicale autocritica in cui sostiene che il ricorso estensivo ai test sta distruggendo l’istruzione negli Usa. Secondo noi, Ravitch ha indicato perfettamente in che cosa consista il successo educativo e quindi l’obbiettivo da perseguire. Esso è dato dalla definizione di persona ben istruita: «Una persona bene istruita ha una mente ben fornita, formata dal leggere e dal pensare la storia, la scienza, la letteratura, le arti e la politica. Una persona ben istruita ha appreso come spiegare le idee e come ascoltare rispettosamente gli altri». Sono indicazioni quasi rivoluzionarie in un contesto in cui troppi predicano che i contenuti e le discipline non contano nulla, che leggere non è importante, ancor meno sapersi spiegare e non si fa nulla per educare all’ascolto, anzi si incentiva la chiacchiera presuntuosa. Occorre inoltre che la scuola sia un luogo in cui si lavora in modo disteso e sereno, che non è sinonimo di un clima “ludico”, che può ben essere improduttivo e isterico. Le scuole debbono impegnarsi a farsi valutare. Invece di insistere con progetti confusi e sperimentazioni di scarso successo, occorre seguire l’unica via sensata: un sistema di ispezioni incrociate da parte di commissioni composte da insegnanti esterni e ispettori. In attesa che questo sistema venga definito in dettaglio, le scuole potrebbero promuovere un processo virtuoso sottoponendosi a forme di giudizio tra pari. Ad esempio – sul modello di istituzioni estere – si potrebbe introdurre la prassi di sottoporre al giudizio di colleghi di altre scuole una scelta a campione di testi e valutazioni di compiti scritti. Questi giudizi andrebbero discussi nell’ambito di una commissione di valutazione d’istituto ponendoli a confronto con quelli dei docenti interni. Ciò determinerà forme di confronto, anche dialettico, che saranno un sicuro fattore di crescita. Un maestro che propone a raffica calcoli ripetitivi o un professore di letteratura che propone schede di lettura standardizzate avranno modo di riflettere, di difendere o rivedere le proprie scelte.

Quanto all’Invalsi è bene che si limiti alla valutazione complessiva del sistema senza entrare direttamente in campo. La prova Invalsi di terza media basata sull’idea assurda di interferire sulla valutazione e poi valutarla, va cancellata. Per riqualificare la scuola italiana occorre responsabilizzarne i protagonisti e non deresponsabilizzarli riducendoli a esecutori di precetti standardizzati. Una forte parsimonia nel ricorso ai test può evitare la piaga dell’insegnamento volto al superamento dei test (“teaching to the test”) che ovviamente fa emergere gli insegnanti peggiori, quelli che anziché fare il lavoro di classe si limitano a trasmettere ricette confezionate altrove.

Nuovo contratto oltre gli scatti

da ItaliaOggi

Nuovo contratto oltre gli scatti

Nel Def le riforme per la scuola: svincolare la carriera dagli aumenti per anzianità

Alessandra Ricciardi

Una nuova modalità di sviluppo della carriera. Che superi gli scatti di anzianità per legare lo stipendio alle prestazioni professionali. Ne scrive il governo Letta nel paragrafo, dedicato alla scuola e al capitale umano, della nota di aggiornamento del Def, il documento di economia e finanza.

Ma non solo. La revisione della carriera dei docenti, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, è al centro del dibattito tra i tecnici del dicastero della Funzione pubblica e quelli dell’Istruzione in vista della prossima direttiva per il rinnovo contrattuale. Il governo ha infatti aperto all’ipotesi di un nuovo contratto per i dipendenti pubblici e per la scuola che però sarà solo normativo visto che non ci sono risorse da mettere sul piatto degli stipendi. Su questo il ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, è stato tassativo. Salvo quelle economie di spesa frutto di eventuali risparmi interni ai comparti, che però nella scuola sono già assorbiti proprio dagli scatti di anzianità. Insomma, la riapertura della stagione contrattuale pubblica dovrà necessariamente essere caratterizzata da una portata innovatrice in larga misura di carattere normativo. E quelle poche risorse che nella scuola possono essere attivate dal bilancio statale sono al momento impegnate per il pagamento degli scatti, l’unica progressione che consente a circa un milione di lavoratori aumenti di stipendio rispetto all’inquadramento iniziale. Facile dunque immaginare che, senza risorse aggiuntive, il confronto governo-sindacati sul punto sarà a rischio di tensioni se non di rotture, visto che tutte le sigle sindacali di settore, Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda, hanno sempre rivendicato il mantenimento degli scatti, seppur diluiti come già avvenuto con l’ultima manovra.

Il Def messo a punto dal Tesoro, con l’apporto dei singoli ministri competenti, sottolinea tra i comparti necessari per il rilancio del paese quello della conoscenza, «un sistema di istruzione qualitativamente migliore, con un’attenzione costante alla riduzione degli abbandoni scolastici, con la promozione dell’apprendimento permanente e il potenziamento del rapporto tra scuola e esigenze del mercato del lavoro». Una centralità, quella dell’istruzione, che il titolare del dicastero di viale Trastevere, Maria Chiara Carrozza, chiede a gran voce che sia anche sostenuta finanziariamente. Qualcosa si è fatto, soprattutto grazie all’utilizzo dei fondi europei, con il decreto legge sulla scuola. Ma per il personale c’è ancora da attendere. Intanto arriva il via libera al confronto sulla valorizzazione del personale. Che per il governo passa, si legge nel Def, attraverso l’avvio «di un sistema di valutazione delle prestazioni professionali collegato a una progressione di carriera svincolata dalla mera anzianità di servizio. Inoltre è necessario avviare una riflessione per il nuovo reclutamento dei dirigenti scolastici e dei docenti per assicurare una selezione di alto profilo e una maggiore qualità alle istituzioni scolastiche». Per i presidi il dl scuola ha già previsto che ci sia il corso-concorso affidato alla Scuola della pubblica amministrazione.