Benedetti Cinquestelle…

Benedetti Cinquestelle… si fa per dire…

 di Maurizio Tiriticco

I deputati Cinquestelle che hanno recentemente visitato l’Invalsi hanno dichiarato tra l’altro, e cito testualmente: “Abbiamo rilevato anche una sproporzione delle competenze tra i ricercatori dell’Ente: molti sono econometristi ed esperti in statistica, ma c’è una totale assenza di pedagogisti e di specializzati in didattica”. Però!?!? Da sempre ho scritto e detto che molte delle prove Invalsi lasciano a desiderare, almeno quelle relative alla lingua italiana: non ho competenza in altre materie. E allora ribadisco. In materia di valutazione si avverte un assoluto scollamento tra la pratica che se ne fa nelle scuole, da un lato, che è quella della votazione decimale, e dall’altro le pretese innovative condotte dall’Invalsi. Si tratta di due percorsi a ipsilon, destinati ad allontanarsi sempre più l’uno dall’altro: le scuole insistono nella pratica valutativa che viene da molto lontano; l’Invalsi insiste nel proporre pratiche misurative avanzate, ma non sempre corrette, che le scuole fanno difficoltà a comprendere e ad accettare! Per capire le ragioni di questa ipsilon occorre fare un po’ di storia.

Negli anni Sessanta e Settanta abbiamo cominciato a por mano seriamente alla “programmazione educativa e didattica” e a quella che chiamiamo “cultura della valutazione” – la valutazione è una disciplina, non un’appendice dell’insegnare/apprendere – sull’onda delle innovazioni normative e di quanto suggerito dalla ricerca docimologica. Ricordo i decreti delegati del ’74, la legge 517/77, le cosiddette “nuove schede di valutazione”, successive all’abolizione dei voti nell’istruzione obbligatoria, le sperimentazioni ex “art. 2 e 3”, le sperimentazioni assistite, la didattica per progetti nell’Istruzione tecnica, i Programmi Brocca, il Progetto 92, il Progetto 2002, per citare le vicende più significative! Tra mille difficoltà, scuole e insegnanti furono condotti quasi per mano sulla strada dell’innovazione, sia della didattica che della valutazione!

Poi un improvviso arresto! A mio vedere, tutto è cominciato quando il Ministro Berlinguer – e non me ne voglia: altre sue innovazioni sono state importanti – con un improvvido… provvedimento, la CM 491/96, volle semplificare le schede di valutazione allora in adozione per rispondere ad alcune difficoltà di scrittura e di lettura avanzate da una certa parte degli insegnanti e delle famiglie. Ne sortì una scheda unica per l’intero percorso obbligatorio, nella quale venivano individuate cinque posizioni, non sufficiente, sufficiente, buono, distinto, ottimo: quindi, un solo valore negativo e ben quattro positivi!!! In effetti, la pretesa semplificazione comportò una svolta di non poco conto rispetto ai cinque valori delle schede precedenti, che prevedevano due valori negativi, uno sufficiente e due positivi: in effetti le cinque posizioni E,D,C,B,A, largamente adottate anche a livello internazionale.

La “semplificazione” sortì un effetto negativo! La CM venne letta come se l’amministrazione stessa non credesse fino in fondo a quanto dal ’77 al ’96 (20 anni di faticose ma pur produttive innovazioni) aveva prodotto in materia di valutazione. Va ricordato che nel frattempo il secondo ciclo continuava a operare con la valutazione decimale, anche se nella didattica – si pensi ad esempio alla didattica modulare e a quella laboratoriale – si misurava con altri criteri misurativi e valutativi. E costituiva certamente una difficoltà il dover passare da processi innovativi, realizzati nell’anno scolastico, a scritturazioni formali di fine d’anno che dovevano rispettare la norma della valutazione decimale di sempre!

Successivamente, com’è noto, il dicastero dell’Istruzione nel giugno 2001 venne affidato a Letizia Brichetto Arnaboldi. E va ricordato che nell’ottobre dello stesso anno, con la legge cost. n. 3, venne riscritto l’intero Titolo V della nostra Costituzione, che prevedeva non pochi cambiamenti nell’intero assetto del nostro sistema di istruzione e di istruzione e formazione professionale. Pertanto, l’impegno del nuovo ministro non poteva non essere che quello di procedere a tutto campo a una riforma complessiva. Venne varata la legge delega 53/03, a cui seguirono il dlgs 59/04, relativo al primo ciclo, e il dlgs 226/05, relativo al secondo ciclo; quest’ultimo rimase non operante – pur se vigente – per la caduta del governo: aprile 2005.

Furono anni in cui la tematica della valutazione dovette cedere il passo a vicende ben più importanti, relative ai nuovi ordinamenti strutturali che riguardavano l’intero sistema di istruzione. In effetti, di valutazione non si parlò più – fatta eccezione per la ricadute che aveva sulle tematiche della personalizzazione e del portfolio – e le schede del ’96 rimasero vigenti. Finché una improvvida iniziativa di due ministri, Tremonti e Gelmini, tagliò la testa al toro e impose a tutto il sistema scolastico la valutazione decimale di sempre, quella precedente alla riforma del ’77!

Di qui il tremendo iato, la ipsilon a cui ho accennato precedentemente! Da un lato un Invalsi che pretende innovare in materia di valutazione – e lo fa con modi e forme assolutamente discutibili, con l’avallo dell’amministrazione – dall’altro le scuole che in materia di “cultura della valutazione” sono in larga parte digiune!

Quando supereremo questo iato? Quando chiuderemo questa ipsilon che contrassegna due percorsi che sembrano destinati a non incontrasi mai? Dinanzi a questa complessità non ha senso continuare a insistere sull’imporre alle scuole prove che non accettano e/o non capiscono! La strada da imboccare è un’altra e l’ho scritto più volte: rilanciamo nelle scuole una cultura della valutazione, malamente interrotta sul finire del secolo scorso e, per quanto è possibile, utilizziamo l’Invalsi – e l’Indire anche e non so chi altri – come strumenti di promozione in materia valutativa. Il tutto nella prospettiva di mandare in soffitta, in tempi da definire, quella valutazione decimale che è solo un retaggio di una scuola che oggi ha fatto il suo tempo.

Infine mi chiedo: se ancora non sappiamo misurare e non sappiamo valutare, quando mai impareremo a certificare? Mah! A meno che non si voglia ancora attendere – e fino a quando? – che le indagini Ocse, Pisa, Piaac e altri nonsoccchééé continuino a bastonarci!!!

Partono i corsi di riconversione sul sostegno

Partono i corsi di riconversione sul sostegno per i docenti appartenenti a classi di concorso in esubero a livello provinciale. Nuove domande o rinunce, per coloro che avevano già presentato domanda, entro il 20 novembre.

 

 Al fine di dare massima informativa fra il personale docente interessato il sindacato SAB, tramite il segretario generale prof. Francesco Sola, comunica che il MIUR, con nota prot. n. 11235 del 22/10/13 indirizzata ai Direttori Generali delle direzioni scolastiche regionali d’Italia, ha fornito indicazioni operative per l’attivazione dei corsi di riconversione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati al personale docente appartenente a posto o classi di concorso in esubero a livello provinciale per l’a.s. 2013/14.

Il MIUR, nel ribadire la volontarietà di partecipazione, con la predetta nota ha dettato disposizioni operative alle quali attenersi per le ammissioni di chi aveva già fatto domanda e per i nuovi che vogliono partecipare ai corsi e per coloro che, pur avendo già presentato domanda, intendono rinunciare; per tutti la scadenza di presentazione delle domande è fissata al 20 novembre 2013.

La situazione dell’esubero deve essere riferita all’organico di diritto predisposto per l’a.s. 2013/14 nella provincia di titolarità, la priorità di partecipazione è riservata ai docenti delle classi di concorso A075Dattilografia e Stenografia, A076 Trattamento testi, Calcolo, Contabilità Elettronica ed Applicazioni Gestionali, C555 Esercitazione di Pratica Professionale, C999 Assistenti di Laboratorio transitati dagli ex Enti Locali; per questi ultimi sarà data la precedenza a chi non potrà usufruire del transito di cui al D.L. n. 104/2013 in altra classe di concorso (tab. C o A) per l’a.s. 2013/14.

A seguire, in base ai posti disponibili già previsti, complessivamente in 1500 suddivisi fra le varie regioni, saranno ammessi a frequentare i corsi, i docenti appartenenti alla tabella C (Insegnanti Tecno-Pratici) in base all’entità dell’esubero su scala regionale ed in subordine quelli appartenenti alla tabella A (Laureati in esubero), secondo l’elenco già fornito agli uffici scolastici regionali ordinato per priorità e per minore età anagrafica.

Il SAB informa inoltre che, in base ai dati posseduti, con la predetta nota, in allegato, sono stati riportati anche il numero dei posti da destinare alla riconversione che suddivisi per regione, risultano essere: 40 per l’Abruzzo, 29 per la Basilicata, 73 per la Calabria, 108 per la Campania, 82 per l’Emilia Romagna, 40 per il Friuli Venezia Giulia, 154 per il Lazio, 56 per la Liguria, 197 per la Lombardia, 46 per le Marche, 6 per il Molise, 102 per il Piemonte, 73 per la puglia, 64 per la Sardegna, 192 per la Sicilia, 82 per la Toscana, 21 per l’Umbria e 135 per il Veneto per un totale di 1500 posti a fronte di un esubero nazionale di 3821 docenti.

Inoltre, è ribadito che i predetti docenti che parteciperanno ai corsi di riconversione avranno la precedenza per la fruizione dei permessi retribuiti del diritto allo studio, max 150 ore, per come già anticipato dal SAB.

F.to Prof. Francesco Sola

Segretario Generale SAB

 

Elogio del paradosso

Elogio del paradosso

di Ariella Bertossi

Spesso nel vivere quotidiano eventi incomprensibili e difficilmente giustificabili si parano davanti ai nostri occhi. Qualcuno preferisce chiamarli incongruenze, qualcuno assurdità, altri ancora “il colmo”: in ogni caso che nella vita  tutti giorni ci si trovi davanti a frequenti paradossi è innegabile.

Accade però a volte che tali situazioni si possano ritrovare anche nel mondo della scuola, dando al tutto una caratteristica ancora più “paradossale, poiché dalla scuola tutti si aspettano congruenza e linearità di processi.

A tale proposito ripenso a quando, trasferita in Svizzera, ho iscritto i miei figli alla scuola primaria italo-tedesca di Zurigo. Dopo il secondo giorno di lezione la maestra di italiano, un altoatesina il cui nome poteva essere simile a Ruth Hofenbach mi fermò e, con un italiano alquanto traballante e che facevo fatica a comprendere, mi consigliava di sottoporre mio figlio a delle sedute di logopedia poiché il suo tedesco era incomprensibile.

Immaginate il mio sgomento di fronte a questa affermazione. Posto che mio figlio in tedesco non sapeva neanche contare, non osavo pensare a chissà cosa avesse potuto mai dire in tedesco dopo due giorni e aggiungendo il fatto che pronuncia l’erre “moscia” come tutti i maschi di famiglia, sono rimasta comunque sconcertata di fronte ad una docente di italiano che mi parlava della pronuncia di un bambino mentre la sua, di docente,  era pessima. Paradosso…

Poniamo ora di possedere una macchina che debba essere sottoposta alla revisione prevista per legge. Ci rivolgiamo al meccanico abilitato che rilascerà l’attestazione e gli chiediamo di effettuare tutte le manutenzioni necessarie perché la macchina sia dichiarata idonea. Il meccanico svolge diligentemente le riparazioni del caso, ma mettiamo che, al momento del rilascio del certificato, ci dica che la macchina non ha superato la revisione. Ognuno di noi reagirebbe in maniera diversa, ma da tutti la cosa sarebbe percepita assurda: una situazione simile non è giustificabile.

Ebbene nella scuola paradossi simili avvengono ogni anno. Mi riferisco al fenomeno della bocciatura. Definisco tale situazione un paradosso perché uno studente preparato ed “allenato” per tutto l’anno scolastico da un team di docenti, da quello stesso team alla fine dell’anno scolastico può non essere giudicato idoneo, non superare la revisione insomma. Tutto ciò genera imbarazzo quando avviene nella scuola primaria, ma nella scuola secondaria, invece, è diventato un fenomeno tollerato e giustificato. Altre volte si arriva definire di qualità una scuola selettiva, rendendo gli istituti più “severi” quelli gettonati da un utenza convinta che “selezione” coincida con “qualità”. L’elogio del paradosso, dunque.

Sebbene tutte le indagini Ocse Pisa e altri sondaggi sostengano che bocciare è inutile, gli insegnanti continuano in questo tipo di pratica senza porsi veramente dalla parte dell’alunno che essi stessi avrebbero dovuto preparare, per la formazione e il successo del quale essi sono tenuti, anche contrattualmente, ad impegnarsi. La giustificazione data è che alcuni studenti non raggiungono quegli obiettivi che gli insegnanti decidono debbano essere raggiunti sulla base di determinate osservazioni, per la normativa, per i quadri comuni di riferimento e per paura dei sondaggi Invalsi che poi si abbattono come una scure sulle scuole classificandole in più o meno virtuose.

“Secondo la classifica Pisa (2011) – che valuta i sistemi educativi nell’area Ocse – più di uno studente su dieci (il 13%) è stato bocciato almeno una volta nel suo percorso di studio. Il 7% alle elementari, il 6% alle scuole medie e il 2% al liceo. L’Italia si colloca appena al di sopra della media Ocse, con una percentuale di allievi bocciati del 18%. I ricercatori danno inoltre un giudizio negativo su un’altra pratica comunemente utilizzata per trattare gli studenti che vanno male a scuola, o hanno un comportamento inadeguato: il trasferimento in altre strutture scolastiche. Un metodo che, scrivono, “tende ad essere associato con una segregazione nel sistema scolastico, in cui gli studenti che provengono da contesti avvantaggiati finiscono in scuole con risultati migliori mentre quelli di origini svantaggiate finiscono in scuole peggiori”.
Condannando la pratica delle boccature poiché inutile, l’ Ocse raccomanda anche maggiore elasticità da parte dei dirigenti scolastici sulla valutazione di fine anno, in base a criteri meno rigidi. Laddove i presidi hanno infatti più autonomia nel decidere la promozione, spesso vengono agevolati percorsi di accompagnamento che incentivano gli alunni più in difficoltà” (da “La Repubblica 26 luglio 2011). I docenti insorgono di fronte a questi argomenti, da un lato non accettando la pratica buonista del 6 politico poiché sostenengono che la bocciatura risponde anche ad un concetto di giustizia, naturale conseguenza per chi non si è impegnato, dall’ altra continuando a sostenere che sono gli alunni a non adeguarsi a quanto proposto.

“Dal punto di vista sociale, inoltre, bocciare costa. Oltre a non garantire il progresso educativo, far ripetere un anno scolastico pesa sui bilanci dell’Istruzione pubblica, proprio in un momento di crisi economica e tagli alle scuole. Ogni bocciatura, hanno calcolato gli esperti dell’Ocse, costa in media tra i 10 e i 15 mila dollari annuali. In paesi come la Spagna, il Belgio o l’Olanda, i “ripetenti” incidono sul 10% del budget complessivo per l’educazione. Un altro effetto di lungo termine, registrato dall’Ocse, è il ritardato ingresso dello studente nel mondo del lavoro e la diminuzione di manodopera qualificata. Se le bocciature si ripetono nel ciclo scolastico, gli alunni tendono ad abbandonare lo studio, già prima del diploma. Un fallimento. Non solo per loro.” (cit.)

Dove sta l’inghippo? Dov’è dunque la falla? Come mai un sistema istituzionale che dovrebbe formare ed istruire ad un certo punto fallisce e non raggiunge l’obiettivo previsto? Certamente c’è la matrice individuale: per fortuna gli essere umani non sono macchine da revisionare e ogni persona può rispondere in modo diverso alle stimolazioni, a volte anche rifiutandosi di imparare.

Una soluzione al paradosso però deve essere trovata, non ci si può infatti più permettere che l’investimento sull’istruzione che ogni stato promuove non produca i risultati sperati.

Il cambiamento di prospettiva non è facile da comprendere, ma in effetti è talmente semplice quanto disarmante. Si chiama didattica per competenze. I nuovi orientamenti pedagogici prospettano infatti una metodologia che, invece di insistere sulla trasmissione di contenuti che trova risposta solo in una fetta della popolazione, punti sullo sviluppo di risposte che potremmo definire “pratiche”, cioè il possesso di determinate competenze. Che cosa esse siano dovrebbe essere ormai ben noto a tutti i docenti, ma come in definitiva si possa passare al loro sviluppo non è ancora ben chiaro. La didattica per competenze prevede che il lavoro dell’insegnante non si esaurisca in una lezione classica volta all’imbonimento di conoscenze da parte di studenti che le ripeteranno per il tempo necessario a ricordarle e poi finiranno nel dimenticatoio. Le conoscenze, importanti e necessarie in tutte le discipline, devono essere completate con la padronanza di determinate competenze, cioè del saper veramente usare quelle conoscenze dimostrando di aver compreso e sapendo traslare i contenuti applicandoli in altri contesti. La prospettiva quindi non sarà più quella di valutare quanto un ragazzo sa, ma quanto sa fare.

 

 

Pensiamo a quanto ognuno di noi ha imparato durante gli anni della crescita, all’interno delle proprie famiglie. Sicuramente i genitori avranno raccontato, insegnato, trasmesso idee ed insegnamenti, ma gran parte delle conoscenze si sono tradotte in comportamenti pratici. La mamma che vuole insegnare ad un bambino ad allacciarsi le scarpe non inizierà mai a dire “prendi una spighetta con la mano destra e fanne un cappio, ecc”, ma avrà fatto vedere come si fa, facendo ripetere l’esercizio varie volte finchè ognuno di noi non è riuscito, con somma soddisfazione, a fare il proprio fiocco: così siamo diventati competenti con i lacci delle scarpe. Non si comprende perché invece nella scuola, soprattutto in alcune materie, l’insegnamento sia così astratto da ridursi solo in conoscenze, tralasciando completamente la sua utilità sul piano pratico.

Tutti i docenti della scuola italiana già da qualche anno sono tenuti a certificare le competenze raggiunte dai propri alunni alla fine di alcune tappe del percorso scolastico. Ora la normativa lo prevede, ma perché tale certificazione non si riduca ad un mero formalismo burocratico, il lavoro da fare è molto. Gli insegnanti non sanno ancora lavorare per lo sviluppo delle competenze, soprattutto quelli che dicono di averlo sempre fatto. Si tratta di capovolgere la prospettiva e ragionare in termini diversi, strutturando le prove di verifica in modo nuovo, per poter valutare veramente quanto è passato del loro insegnamento.

Per quanto io non apprezzi il sistema scolastico svizzero, devo dire che riguardo a questo aspetto i docenti svizzeri erano ben abituati a tale tipo di operatività. Durante i tirocini che ho potuto seguire, ho visto maestri che entrando in classe scrivevano alla lavagna che cosa e come avrebbero imparato gli alunni durante quella lezione, i contenuti, in che modo sarebbero stati valutati, nonché come sarebbero state recuperate le carenze.

Una didattica per competenze non ammette fallimenti. Un alunno potrà possedere la determinata competenza in livelli diversi: base, intermedio o avanzato, ma non potrà non essere competente del tutto perché in quel caso vorrebbe dire che la didattica non è stata strutturata nel modo corretto. Sono da prevedere tutte le strategie perché ogni individuo si impossessi del saper fare almeno a livello base, poiché l’interesse sociale e la valenza dell’insegnamento deve produrre individui che siano inseriti in una società, la quale chiede appunto il traslare nella pratica quanto è stato interiorizzato: la fine dell’accademia.

Il modello di certificazione delle competenze proposto in questi mesi dal MIUR si rifà alle competenze chiave di cittadinanza europea, esse sono: comunicazione  nella madrelingua, comunicazione  nelle lingue straniere, competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia, competenza digitale, imparare ad imparare, competenze sociali e civiche, senso di iniziativa e imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale. Se le prime quattro sono riportabili in maniera generale alle conoscenze e certamente si potrebbero dare quasi per scontate (ma tanto scontate non lo sono) le ultime quattro sono meno intuitive. Ad un individuo che si sa esprimere correttamente nella propria lingua e in lingua straniera, che da nativo digitale padroneggia il linguaggio informatico, quello scientifico e matematico e che si inserisce correttamente all’interno di una società viene chiesto anche di porsi, alla luce della mobilità della conoscenza, in continua formazione diventando il tutor di se stesso, per attivare la propria iniziativa e l’imprenditorialità in un mondo che chiede tutta la flessibilità possibile ai giovani in cerca di impiego. Certificare tali tipi di abilità con una verifica di storia sui contenuti della “Prima guerra mondiale” certamente non sarà possibile. Ciò non significa che saranno banditi tutti i tipi di test conoscitivi, ma alla fine del suo percorso la scuola dovrà aver trasmesso ben oltre alle conoscenze.

Nelle prove per competenze i ragazzi meno studiosi spesso raggiungono risultati migliori e nei test di accesso all’università gli alunni con i punteggi più alti della scuola superiore spesso non riescono ad entrare, soppiantati da ragazzi meno studiosi, ma più competenti. Infatti all’università sempre più spesso le prove richiedono una preparazione ad ampio spettro, per selezionare non soltanto gli alunni diligenti, ma le menti più fresche e sveglie, che hanno già imparato, ma purtroppo non sempre grazie alla scuola, ad applicare quanto raggranellato qua e là.

Tutto ciò getta nello sconforto quei ragazzi che per il loro impegno si sono visti sempre premiati nella scuola, ma non in un mondo dominato dalla logica economico- produttiva che schiaccia il più debole con molta facilità. Le Università selezionano i loro iscritti con dei parametri che non coincidono con quelli della scuola secondaria, fino a quando non ci si adeguerà e non si comprenderà che la scuola non si può più considerare un viaggio su binari paralleli rispetto alla società.

Per ultima cosa vorrei affrontare il discorso della motivazione. Per troppo tempo il riuscire o meno a scuola è coinciso con la capacità di saper esporre determinate conoscenze, saper risolvere determinati quesiti, produrre disegni e così via nelle varie discipline. Lo studente modello che si prefigurava uscito da un tipo di scuola prevedeva determinati requisiti da classificare con un voto finale. Ciò è stato terribilmente frustrante per quella parte di ragazzi che, per tutti i motivi che la sociologia e la psicologia hanno analizzato, non sono riusciti a dare quanto la scuola chiedeva loro. Ora la società non ha bisogno solo di liceali più o meno bravi nel fare i compiti, ma di individui completi che, pur possedendo competenze a livelli diversi, possano inserirsi nel mondo produttivo. Quante volte il ragazzo che a scuola non combinava niente è diventato un ottimo lavoratore, magari più di successo del primo della classe? Ha dovuto attendere però il lavoro per il proprio riscatto sociale perché dalla scuola non era stato dichiarato idoneo. Ecco, credo che la scuola non possa permettersi la dispersione che ogni anno crea, mettendo ai margini chi non riuscendo a produrre conoscenze, automaticamente viene bocciato. La didattica per competenze può essere una risposta anche alla motivazione per tutti i ragazzi che nella scuola spesso non vedono la risposta alle loro domande..

Concludo dicendo che forse sarebbe utile che tutti coloro che operano nella scuola non fossero più solo insegnanti, ma diventassero finalmente educatori. C’è infatti una profonda differenza tra le due categorie, perché per insegnare basta conoscere, per educare è necessario essere, con tutto ciò che ne consegue.

Gli studenti occupano, presidi in assemblea

da Corriere della Sera

roma

Gli studenti occupano, presidi in assemblea

Dirigenti scolastici riuniti al liceo Newton per discutere le strategie da adottare. Il sondaggio di Skuola.net fra i ragazzi

Mariolina Iossa

Comincia l’autunno caldo delle occupazioni, una stagione, ormai da oltre trent’anni ad oggi, vissuta come irrinunciabile dagli studenti delle scuole superiori italiane, una sorta di necessario passaggio formativo che di formativo in realtà ha poco o niente. A Roma quest’anno l’apripista e’ stato l’Itc Bachelet, occupato da Blocco studentesco, movimento di destra legato a casa Pound. Si confrontano, ma si potrebbe anche dire che si scontrano, da un lato i presidi e i professori, dall’altro i ragazzi, sempre convinti che non c’è altra forma di protesta adeguata se si vuole far sentire la propria voce. Se Il 57 per cento di studenti dei licei e degli istituti tecnici e professionali, in un sondaggio di Skuola.net condotto su oltre tremila giovani, ha annunciato la propria volontà di voler occupare la scuola quest’anno, i presidi non si sono fatti trovare impreparati. Si sono riuniti al Newton di viale Manzoni per un convegno al quale hanno partecipato moltissimi presidi romani, il presidente nazionale dell’ Anp, Giorgio Rembado, il presidente dell’Anp romana Mario Rusconi e anche dirigenti di licei di altre Regioni per portare la propria testimonianza.

STRATEGIA COMUNE – «Abbiamo sentito la necessità di elaborare una strategia comune per fronteggiare questo fenomeno – ha detto Rusconi, che per dieci anni è stato preside del Tasso, storico liceo classico romano -. Vogliamo arrivare ad un regolamento unico valido per tutti i licei, perché fino ad oggi ogni istituto ha agito in modo diverso, c’è chi chiude un occhio, chi reagisce in maniera troppo rigida o chiude la comunicazione con gli studenti». Dalle testimonianze portate al convegno risalta subito che la via maestra è sempre quella del dialogo con gli studenti senza però cadere nel buonismo e in un atteggiamento paternalistico. «Va detto con chiarezza ai ragazzi, e questo è compito di noi presidi e docenti, che occupare la scuola non è solo un reato per il quale spesso non c’è di fatto alcuna forma di sanzione, ma è soprattutto un atto contro la scuola pubblica che gli studenti vorrebbero difendere. – ha sottolineato Antonino Petrolino, della direzione nazionale dell’Anp -. Ai giovani va detto che le occupazioni non hanno mai prodotto qualcosa di durevole o ottenuto vittorie nette e durature mentre danneggiano soprattutto i ragazzi più deboli, per esempio quelli degli istituti tecnici e professionali, per i quali perdere un mese di scuola può voler dire perdere l’anno e l’unica occasione di salto formativo e sociale della loro vita».

RISCHIO DANNI ALLA SCUOLA – Le occupazioni, a parere unanime dei presidi intervenuti, non soltanto non sono affatto uno strumento di difesa della scuola pubblica ma in realtà portano ad un ulteriore impoverimento e degrado. Soprattutto in caso di danni, In due giorni si brucia l’equivalente di quanto la scuola ottiene dal ministero come finanziamento per un anno di attività. Da Firenze è arrivata la testimonianza, attraverso il preside Valerio Vagnoli, di come agire di concerto con gli altri dirigenti scolastici, con la collaborazione dei docenti e di tutta la comunità cittadina, possa di molto abbassare livello delle occupazioni. «Spesso le autorità che dovrebbero intervenire, le forze dell’ordine, ma anche la comunità tutta, i giornali, alcuni professori troppo accondiscendenti, gli stessi genitori memori delle loro proteste giovanili che guardano con nostalgica benevolenza alle occupazioni dei loro figli oggi, tutto ciò concorre a convincere i ragazzi che occupare è giusto e bello – ha spiegato Vagnoli -. Alcuni genitori di studenti dei tecnici e dei professionali addirittura pensavano che i presidi fossero d’accordo con le occupazioni, che le occupazioni stesse fossero normali e condivise da tutti. Aprire un dibattito pubblico cittadino è stato determinante. Bisogna adottare una linea di dialogo ma nella netta condanna dell’occupazione. A Firenze abbiamo dimezzato le occupazioni dal 2010 da quando abbiamo solidarizzato con i primi dirigenti che hanno cercato di opporsi a questa pratica e abbiamo proposto alternative, spazi di discussione per gli studenti, ricerca del dialogo preventivo con i genitori, collaborazione dei docenti».

GENITORI E FIGLI – Favorevole al dialogo con gli studenti, a offrire giornate di approfondimenti diversi dalle lezioni tradizionali, che non è affatto l’autogestione ma forme di co-gestione, è anche la preside del Primo Levi di Roma Letizia Policella: «Ai miei studenti ho proposto 5 giorni di attività didattica alternativa e loro hanno interrotto l’occupazione. Poi però i nuovi rappresentanti degli studenti nel consiglio di istituto hanno cambiato idea e hanno occupato. Ho sempre cercato di non interrompere il dialogo – ha raccontato la preside -. E ho continuato a mantenere le comunicazioni per controllare quello che accadeva all’interno della scuola». Conferma la linea del dialogo anche la preside del liceo scientifico Righi, Monica Galloni: «Per tre anni ho proposto ai miei studenti attività alternativa e ho evitato le occupazioni. Poi lo scorso anno mi sono trovata a dover fronteggiare non solo i ragazzi che hanno occupato ma anche i loro genitori che guardavano con benevolenza e giustificavano le occupazioni. Io non ci sto a questo, anche se i ragazzi non hanno fatto danni e si sono comportati bene, le famiglie non devono spalleggiarli. Dobbiamo essere compatti nel dire no». Dal convegno non è uscito un regolamento unitario ma delle linee guida generali: cercare il dialogo e proporre alternative di cogestione reali, nel caso di occupazione mantenere sempre la comunicazione con il «dentro» per non pregiudicare il rapporto con gli allievi, per controllare quello che accade nella scuola e calcolare eventuali danni. Come estrema ratio, far intervenire le forze dell’ordine.

La Cgil: rischio licenziamento per i precari

da Corriere della Sera

IL DECRETO SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

La Cgil: rischio licenziamento per i precari

L’allarme di Pantaleo (Flc): interi laboratori, in istituti di ricerca e università, potrebbero essere costretti a chiudere

Valentina Santarpia

A rischio il personale precario degli enti superiori di ricerca e delle università. L’allarme, lanciato dalla Cgil, arriva dopo la decisione da parte della Commissione lavoro alla Camera dei deputati di approvare un emendamento al decreto sulla pubblica amministrazione che consente di utilizzare solo per i profili di tecnologo e ricercatore i contratti precari.

L’ARTICOLO IN BILICO – In pratica, fino ad oggi, grazie a una decisione presa nel corso dell’approvazione della Finanziaria Tremonti, tutti gli enti di ricerca potevano avvalersi, per progetti specifici pagati con fondi internazionali o privati, di personale assunto con contratti a tempo determinato o con collaborazioni. Come prevedeva l’articolo 188 della legge 266, «Per gli enti di ricerca, l’Istituto superiore di sanità (ISS), l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), l’Agenzia per i servizi sanitari regionali (ASSR), l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), l’Agenzia spaziale italiana (ASI), l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA), il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), nonché per le università e le scuole superiori ad ordinamento speciale e per gli istituti zooprofilattici sperimentali, sono fatte comunque salve le assunzioni a tempo determinato e la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l’attuazione di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica ovvero di progetti finalizzati al miglioramento di servizi anche didattici per gli studenti, i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle università». Un articolo pensato all’epoca proprio per fare salvi dal vincolo della dotazione organica e delle limitazioni alla spesa il personale pagato sui progetti degli enti di ricerca e per far funzionare regolarmente interi laboratori.

IN SALVO TECNOLOGI E RICERCATORI – Ora non potranno più farlo: solo per le figure di tecnologo e ricercatore sarà possibile fare dei contratti «precari». «Se si somma a questa decisione il fatto che il governo ha vincolato, nel decreto sulla pubblica amministrazione, la possibilità di fare contratti a termine solo se ci sono altrettanti posti in pianta organica, ci rendiamo conto che il risultato è assolutamente dannoso», spiega Francesco Sinopoli, Cgil. Secondo il sindacato, questo significherà bloccare il lavoro non solo degli enti di ricerca, che non potranno più assumere personale amministrativo e tecnico, egualmente indispensabile al funzionamento dei laboratori come i ricercatori.

Lo sport fa bene ai voti

da LaStampa.it

Lo sport fa bene ai voti

Secondo uno studio dell’università  scozzese di Strathclyde and Dundee i ragazzi che fanno esercizio fisico sono più bravi a scuola
corrispondente da londra

Nulla di nuovo sotto il sole; già i latini dicevano “mens sana in corpore sano” e anche se non volevano dare a quel motto il significato odierno, l’ideale è diventato saggezza popolare. Adesso l’arcaico slogan è raccolto e riproposto dalla scienza che chiude un ciclo (riciclo persino) da brivido. L’università scozzese di Strathclyde and Dundee ha infatti pubblicato uno studio che dimostra come i ragazzi che fanno esercizio fisico vanno meglio agli esami.

La ricerca, condotta su 5 mila giovani britannici, stabilisce un legame tra la ginnastica e il risultato agli esami, specialmente in quelle materie in cui il cervello deve funzionare al massimo, come matematica e scienze. Le ragazze in particolare hanno bisogno di meno esercizio rispetto ai ragazzi: 12 minuti contro 17. I benefici si vedono a tutte le età prese in considerazione: 11,13 e 16. L’ideale stabilito dalla ricerca scozzese sarebbe di fare esercizio almeno un’ora giorno, una soglia decisamente più altra della media britannica, e, si immagina, ancora più alta rispetto a quella italiana.

Dice uno degli autori dello studio, Josie Booth: “L’attività fisica non è soltanto importante per la salute fisica. Ci sono altri benefici che genitori, politici ed educatori dovrebbero tenere in considerazione”.

Gli autori dello studio, pubblicato sul British Journal of Sports Medicine sono convinti che ulteriori approfondimenti potranno avere un impatto maggiore sulle politiche della Sanità e dell’Educazione.

Come si diceva, pare tuttavia che Giovenale con le parole “mens sana in corpore sano” non intendesse dire che una mente sana sia il risultato di un corpo sano. Come ha osservato Romano Amerio nel suo libro deliziosamente anti-moderno “Iota Unum”, il poeta dice in realtà che “Bisogna pregare gli Dei perché ci diano una mente sana in un corpo sano”. Insomma, il legame causale tra i due termini ce l’avrebbero messo i secoli a venire.

Chi è in esubero può ancora riconvertirsi al sostegno

da Tecnica della Scuola

Chi è in esubero può ancora riconvertirsi al sostegno
di Lucio Ficara
La CM del 22 ottobre riapre i termini per iscriversi ai corsi di specializzazione per il sostegno. Chi non è più in esubero puè rinunciare.
È quanto previsto dalla circolare ministeriale 11235 del 22 ottobre 2013. Infatti il Miur ha deciso di avviare i corsi di formazione finalizzati alla conversione del docente per svolgere l’insegnamento del sostegno.
La novità principale di quest’ultima circolare è quella che verrà consentito ai docenti, che non lo avessero già fatto, di presentare la domanda entro e non oltre il 20 novembre 2013 e, contestualmente al fatto della possibilità di presentare nuove istanze, verrà consentito fare domanda di rinuncia, per coloro che non sono più interessati al conseguimento di tale specializzazione.
Bisogna ricordare che, la richiesta di partecipazione ai corsi era stata presentata oltre un anno e mezzo fa, quindi è possibile che alcuni docenti non si trovino più, attualmente, in situazione di esubero.
Inoltre nella circolare si forniscono, tramite allegato A, le tabelle con i posti disponibili suddivisi per regione, in rapporto alla consistenza dell’esubero di ciascuna regione, relativi ai corsi di formazione attivabili.
Si ricorda anche che i corsi sono attivabili per un massimo di 1.500 corsisti a livello nazionale.
Resta confermato che la partecipazione ai suddetti corsi è su base volontaria e si riconfermano anche le priorità per la partecipazione, vale a dire:
1. i docenti in posizione di esubero nelle classi di concorso A075, A076, C555 e C999, nel caso in cui questo personale non sia transitato su altra classe di concorso o posto in quanto in possesso dell’abilitazione o di titolo idoneo;
2. a seguire i docenti appartenenti alla Tabella C in relazione all’entità dell’esubero da verificare su base regionale;
3. in subordine i docenti appartenenti alle classi di concorso in esubero della Tabella A o di altri ordini di scuola.

L’esame di maturità del 2014 non cambierà. Parola di Ministro

da Tecnica della Scuola

L’esame di maturità del 2014 non cambierà. Parola di Ministro
di A.G.
Le rassicurazioni di Maria Chiara Carrozza: nell’ottica di una riforma del sistema scolastico sarebbe bello lavorare per una revisione, ma bisogna essere pragmatici e capire che per fare cambiamenti occorre un maggiore dibattito. Le tracce? Non le rileverei nemmeno sotto tortura.
L’esame di Stato conclusivo della scuola secondaria superiore, in programma il prossimo mese di giugno, avrà un’impostazione organizzativa identica a quella del 2013. Ad assicurarlo è stato il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ospite di SkuolaTV su skuola.net.
Per l’esame di maturità del 2014 “non sono previsti cambiamenti”, ha spiegato Carrozza. Perchè “nell’ottica di una riforma del sistema scolastico sarebbe bello lavorare in futuro per una revisione della maturità, ma bisogna essere pragmatici e capire che per fare cambiamenti per un esame del genere occorre un maggiore dibattito. Da ora all’esame non lo cambieremo certamente”.
A proposito delle tracce dell’esame di maturità, in particolare quella di italiano che come sempre inaugurerà le prove, il Ministro non ha dato alcuna indicazione. “I temi non li abbiamo ancora scelti e non ne parlerei mai neanche sotto tortura”, ha concluso il primo responsabile del ministero dell’Istruzione.

Educazione fisica già dalla primaria? L’idea piace, ma servono 11mila nuovi docenti

da Tecnica della Scuola

Educazione fisica già dalla primaria? L’idea piace, ma servono 11mila nuovi docenti
di A.G.
Stavolta a rilanciare la proposta è senatrice fiorentina Pd Rosa Maria Di Giorgi: serve supporto dai ministeri per la realizzazione di progetti europei che sostengano l’attività sportiva nelle scuole. Occorrono però almeno 250 milioni di euro per gli stipendi. A meno che non si sottraggano le ore alle materie di oggi.
Se ne parla da tempo. Ma di fatti concreti sinora non si sono visti. Stiamo parlando dell’inserimento dell’educazione motoria tra le materie curricolari della scuola primaria. Stavolta l’esortazione arriva dalla senatrice fiorentina del Pd, Rosa Maria Di Giorgi, a seguito dell’intervento del ministro per gli Affari Territoriali, Graziano Delrio, presente in Commissione.
“Introdurre gli insegnanti di educazione fisica nella scuola primaria – ha detto Di Giorgi – vuol dire investire in salute, cultura e socialità. Lo sport è uno degli elementi fondanti del concetto di welfare e come tale richiede interventi intersettoriali, capaci di coinvolgere più ministeri, e può diventare uno strumento di sviluppo economico”.
“Abbiamo il dovere – ha aggiunto sempre la senatrice Di Giorgi – di sostenere il mondo dell’associazionismo di base e delle società sportive non professionistiche, che svolgono un lavoro fondamentale sul territorio, rivolto a persone di tutte le età. Serve supporto dai ministeri per la realizzazione di progetti europei che sostengano lo sport per tutti e implementino la pratica dell’attività sportiva nelle scuole. Non dimentichiamo che lo sport può essere un importante volano di sviluppo economico, sia dal punto della produzione di materiali che dalla realizzazione di impianti adeguati alle richieste”.
Sin qui siamo tutti d’accordo. Ora però, ci ripetiamo, è il caso di passare ai fatti. Iniziando a finanziare progetti impegnativi come quelli di introdurre migliaia di docenti. Nella scorsa primavera, quando la stessa proposta fu rilanciata dall’ex ministro per le Pari opportunità e per lo Sport, Josefa Idem, calcolammo che introdurre il docente di motoria per due ore a settimane comporterebbe il coinvolgimento di 130mila classi primarie. E un nuovo fabbisogno in organico di circa 11mila nuovi docenti specializzati: per lo Stato la spesa sarebbe di circa 250 milioni di euro. A meno che le ore non si sottraggano ai docenti oggi in organico, sempre nella primaria.

Le “nuove” Indicazioni sono già vecchie ?

da Tecnica della Scuola

Le “nuove” Indicazioni sono già vecchie ?
di Reginaldo Palermo
Dal 2004 ci sono state 4 diverse edizioni delle Indicazioni Nazionali. Adesso il Ministro dice che bisogna cambiare i programmi della scuola media. Ma le scuole sono al lavoro per applicare la “versione” del febbraio 2013.
Colpisce molto la dichiarazione del ministro Carrozza sulla scuola media italiana. Mentre è scontato ma condivisibile l’ “elogio” della scuola media unica, il richiamo alla necessità di rivedere i programmi di studio risulta davvero incomprensibile.
Intanto il Ministro parla di “programmi” e non di “indicazioni” è già questo è curioso. Ma vogliamo credere che parlando dai microfoni di un programma radiofonico rivolto a tutti, dalla casalinghe ai pensionati, non ha usato la precisione che sarebbe stata necessaria se avesse dovuto parlare ai docenti.
Diciamo insomma che una certa approssimazione è anche comprensibile.
Ma ciò che davvero non si capisce è il motivo per cui Maria Chiara Carrozza ritenga necessaria una revisione dei programmi (o indicazioni che dir si voglia).
Forse il Ministro dimentica che proprio in questi giorni tutte le scuole medie d’Italia sono al lavoro per dare attuazione alle nuove Indicazioni nazionali che sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale meno di 8 mesi fa.
E, giusto per la precisione, bisognerebbe anche ricordare che dal 2004 in avanti si sono succedute nell’ordine: le “Indicazioni Moratti” allegate al decreto 59, le Indicazioni per il curricolo di Fioroni (2007), le Indicazioni Gelmini (2009) e infine le “nuove” Indicazioni del 2013.
In altre parole abbiamo avuto 4 diversi documenti nell’arco in 9 anni.
Parlare di una ulteriore revisione dei programmi/indicazioni ci sembra davvero fuori luogo, anche perché non sarebbe male ricordare che il Regolamento sull’autonomia prevede esplicitamente che i curricoli sono di competenza delle scuole e non dell’apparato centrale.

Carrozza: i programmi della scuola media vanno rivisti

da Tecnica della Scuola

Carrozza: i programmi della scuola media vanno rivisti
di Alessandro Giuliani
Il Ministro: ci vorrebbe una costituente della scuola italiana per aggiornarla. Nessuna anticipazione però sulle modifiche da apportare. Poi torna ad elogiare la riforma epocale di 50 anni fa: riuscì ad abbattere la separazione tra chi proseguiva gli studi e chi doveva andare a lavorare in maniera precoce. Un concetto che anche oggi rimane inamovibile.
Il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, torna a parlare di scuola media di primo grado. E a sostenere l’esigenza che il suo impianto a livello di programmi vada aggiornato. Con dei contenuti più pertinenti ai cambiamenti sociali, culturali e tecnologici degli ultimi anni.
“Certamente la scuola media va rivista, come tutta la scuola italiana dovrebbe subire un ripensamento, ci vorrebbe una costituente della scuola italiana, deve essere aggiornata soprattutto nei programmi”, ha detto il ministro, intervenuto il 22 ottobre alla trasmissione “Prima di tutto” su Radio Uno.
“Quando la scuola media unica fu fatta fu una riforma – ha osservato il Ministro commentando l’anniversario dei 50 anni della scuola media – di portata veramente epocale, che ha inciso profondamente sull’ idea che tutti dovessero avere accesso all’istruzione, e che non ci fosse una separazione tra chi proseguiva gli studi e chi doveva andare a lavorare in maniera precoce”. Il responsabile del Miur non vuole però fornire anticipazioni sulle novità che vorrebbe introdurre e sulle materie che intende cancellare, ridimensionare o adeguare ad oggi.
Carrozza si è soffermata anche sulle scelte troppo precoci a livello di corso di studi, promuovendo, seppure indirettamente, le modifiche apportate dalla riforma Gelmini alle superiori, dove dal 2009 è stato introdotto un biennio iniziale con i tre quarti delle materie comuni a tutti i corsi di studio: “i dati dimostrano ancora che non è vincente separare così presto le carriere degli studenti: la vocazione deve emergere più avanti per tutelare anche chi viene da classi sociali più in difficoltà”.

Decreto Scuola, in Aula il 28 ottobre

da Tecnica della Scuola

Decreto Scuola, in Aula il 28 ottobre
di A.G.
E il giorno dopo sono previste le votazioni. A comunicarlo, nella giornata del 22 ottobre, è stata la conferenza dei capigruppo di Montecitorio accogliendo la richiesta in tal senso avanzata dalla VII Commissione Cultura.
Il decreto legge sulla scuola arriverà nell’Aula della Camera solo nella prossima settimana: la discussione generale è stata fissata per il 28 ottobre e le votazioni sono previste per il giorno dopo. A comunicarlo, nella giornata del 22 ottobre, è stata la conferenza dei capigruppo di Montecitorio accogliendo la richiesta in tal senso avanzata dalla VII Commissione Cultura presieduta dall’on. Giancarlo Galan (Pdl).
La pubblicazione delle date è arrivata dopo che lo stesso Galan alcuni giorni fa aveva chiesto uno spostamento in avanti “in considerazione dell’ingente numero di emendamenti presentati”.
La maggior parte non arriveranno in Aula. Ma qualcuno sì. E, considerando gli impegni presi dai raggruppamenti politici presenti nella maggioranza, a meno che non vi siano sorprese, avranno anche il via libera dell’Aula. Con inevitabile “coda” in Senato.

A breve l’avvio i corsi di riconversione su sostegno

da Tecnica della Scuola

A breve l’avvio i corsi di riconversione su sostegno
di L.L.
La Cisl scuola anticipa la nota del Miur. Confermata la data del 20 novembre 2013 per la presentazione delle domande
Sono confermate le anticipazioni sulla data per la presentazione delle domande per partecipare ai corsi di formazione finalizzati alla riconversione del personale docente in esubero con la specializzazione per attività di sostegno. Come riportato sul sito della Cisl scuola (che pubblica anche la nota Miur in corso di pubblicazione), il termine è fissato al 20 novembre prossimo.
La partecipazione ai corsi è volontaria e i dirigenti scolastici del personale interessato dovranno adottare tutte le misure per favorire la partecipazione dei docenti ai corsi, e, in tale ottica, verrà data loro la precedenza per la fruizione dei permessi del diritto allo studio (150 ore).
Entro il 10 dicembre 2013 i Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali dovranno inviare l’elenco dei docenti individuati secondo le priorità indicate negli elenchi allegati alla nota stessa.
Ulteriori indicazioni per l’avvio dei corsi saranno fornite successivamente.

Inizia la ricorrezione degli scritti nel concorso a Ds Lombardia

da Tecnica della Scuola

Inizia la ricorrezione degli scritti nel concorso a Ds Lombardia
di Aldo Domenico Ficara
In Lombardia il concorso per dirigenti scolastici inizia nuovamente con la ricorrezione delle prove scritte
La nuova commissione scelta dal Miur comincerà a valutare gli elaborati all’istituto Zappa-Cremona di viale Marche, operando quattro giorni alla settimana. Nei giorni scorsi Palazzo Trastevere ha nominato la nuova commissione esaminatrice, comprendente due sottocommissioni, chiedendo al dirigente ministeriale Luiciano Favini di presiederla. Successivamente in data 1° ottobre si sono concluse le operazioni di reimbustamento delle prove scritte.
In questi giorni nel quotidiano milanese Il Giorno si afferma: “Il direttore scolastico regionale Francesco de Sanctis prevede che “entro gennaio possano finire le correzioni. Al massimo entro il 1° settembre 2014 avremo i nuovi dirigenti scolastici”. Si ricorderà che il motivo principale per cui il Consiglio di Stato a luglio aveva stabilito che il concorso ripartisse da metà era stato l’astratta leggibilità dei nominativi dei candidati attraverso le buste, troppo poco spesse, che accompagnavano gli scritti“.
A questo punto ci sono tutti gli elementi per poter fare un paio di calcoli. Ipotizziamo che la commissione lavori 4 giorni la settimana e ogni sottocommissione corregga 976 elaborati e il termine della ricorrezione degli scritti scada entro gennaio 2014, allora potremmo affermare: “ci sono 12 settimane di correzione per un totale di 48 giorni di lavoro (considerando la pausa natalizia).
Dividendo 976 per 48 otteniamo il numero di elaborati che la sottocommissione potrà correggere ipoteticamente al giorno, ovvero 20 elaborati. Considerando inoltre un tempo di lavoro quotidiano pari a otto ore, si può dedurre che potrebbero essere corretti in media 2 o 3 elaborati ogni ora, in altre parole un tempo più che sufficiente per una serena valutazione.
L’inizio della nuova correzione sembra essere improntato su solide basi procedurali, ma sarà il tempo a dire se saranno sufficienti a garantire l’assenza di nuovi ricorsi amministrativi

Decreto Scuola: le ultime novità

da Tecnica della Scuola

Decreto Scuola: le ultime novità
di P.A.
A parte il problema delle coperture, che vale 470 milioni di euro, ci sono i nodi politici: il bonus maturità e l’alternanza scuola-lavoro
Il ministero del Lavoro non avrebbe posto resistenza agli emendamenti Pdl, richiesti da Elena Centemero sul valore educativo e formativo dell’apprendistato, bloccando invece quelli dalla vice presidente della commissione Cultura, Manuela Ghizzoni, con cui si vorrebbe consentire agli istituti professionali di implementare contratti di formazione con aziende convenzionate.
I tempi sono stretti e l’intenzione sembra essere quella di trovare un accordo politico, visto che le “larghe intese” hanno visioni differenti ma il comune obiettivo di andare avanti nella legislatura. La fretta è dovuta dal fatto che il cosiddetto decreto Carrozza dovrà poi passare al Senato, dove c’è pure il Ddl Stabilità, per essere convertito in legge entro l’11 novembre.
Gli emendamenti approvati sono intanto circa 80 fra cui quello del Pd che vuole anticipare l’orientamento all’ultimo anno delle scuole medie, insieme agli ultimi due anni delle superiori.
Ma anche il Pdl è stato accontentato con un emendamento attraverso cui si apre alla formazione in azienda dei docenti impegnati nelle attività di alternanza scuola-lavoro per promuovere lo sviluppo professionale dei docenti coinvolti, attraverso l’apprendimento degli strumenti tecnico-laboratoriali più avanzati.
Scelta Civica non poteva mancare con un altro emendamento sul divieto di fumo esteso anche alle aree all’aperto di pertinenza delle istituzioni scolastiche statali e paritarie.
Del Movimento 5Stelle è arrivato un comunicato