SULLA QUESTIONE DEL MANCATO PAGAMENTO DELLE FERIE NON GODUTE

SULLA QUESTIONE DEL MANCATO PAGAMENTO DELLE FERIE NON GODUTE DEI PRECARI DELLA SCUOLA

Con l’arrivo del mese di novembre 2013 è arrivata la consapevolezza che per quest’anno i precari della scuola non riceveranno come di consueto la monetizzazione delle ferie non godute per  l’anno di lavoro passato, il 2012/2013.

La ‘legge di stabilità’, che prevede la cassazione di questo diritto a partire dal 2013/2014, contravvenendo incredibilmente ad ogni regola, sembra rendere operativa questa norma retroattivamente. A causa di interpretazioni confuse e contrastanti e di uno sterile botta e risposta tra MIUR e MEF, le ragionerie territoriali, sappiamo, sono state raggiunte da una non ben precisata circolare operativa che sospende per il momento ogni iniziativa di pagamento e lascia, senza una parola di spiegazione, i lavoratori della scuola privati dei loro soldi e completamente inascoltati.

Vedersi attribuire, in questo periodo dell’anno,  il corrispettivo in denaro di 2,6 giorni di ferie maturati di diritto ogni mese, non ha mai rappresentato per i precari un “regalo autunnale” gentilmente concesso dallo Stato, piuttosto un modo per sanare una situazione tipicamente scolastica e profondamente ingiusta: quella, cioè, di non poter usufruire delle ferie dovute nel corso dell’attività didattica, se non per soli 6 giorni previo reperimento dei propri sostituti, né al termine dell’attività didattica, ovvero dopo il 30 di giugno, data che, come è noto, coincide con la scadenza del contratto di lavoro per la gran parte del precari.

Rivendichiamo con forza il pagamento delle ferie non godute in quanto esso costituisce un diritto fondamentale che cerca almeno in parte di ristabilire una equiparazione di fatto tra docenti di ruolo e docenti di precari, docenti che svolgono pari mansioni e hanno pari responsabilità e che solo a causa dell’inadempienza colpevole dello Stato si ritrovano professionalmente su piani diversificati, ovviamente peggiorativi per questi ultimi.

Evitare il pagamento delle ferie non godute ai precari della scuola appare come un gesto drammaticamente simbolico, l’ennesimo schiaffo per una categoria che negli ultimi anni ha subito più di molte altre restrizioni e tagli e che sempre con maggiore evidenza è considerata dal proprio “datore di lavoro” priva di dignità e indegna di considerazione.

Quale giustificazione può essere trovata da questo governo allo scippo delle ferie dei precari della scuola? Consideriamo questo provvedimento iniquo e fortemente lesivo di un diritto costituzionale: il diritto alle ferie per chiunque svolga un lavoro.

Ancora una volta, nel momento in cui si inneggia da più parti ad un cambiamento di rotta per quanto riguarda il settore dell’istruzione, laddove si parla di nuovi investimenti, di rigenerata attenzione o addirittura di “ripartenza” da parte del Ministro Carrozza,  siamo costretti a constatare che le parole che ci investono si rivelano quanto mai false e vuote. A smentirle ci pensano i fatti con un’emergenza che non lascia dubbi su quali siano le reali priorità e con quali terribili modi siano perseguite.

5 DICEMBRE ore 15,30 – 18,00
PRESIDIO
SOTTO LA RAGIONERIA DI STATO
via Zuretti 34
contro il FURTO DELLE FERIE NON GODUTE OPERATO DALLO
STATO A DANNO DEI DOCENTI PRECARI
In base alla Spending Review i lavoratori precari della scuola non hanno più diritto alla
monetizzazione delle ferie non godute pur svolgendo le stesse attività dei colleghi assunti
a tempo indeterminato. Tale atto comporta un grave danno a livello economico (in media
ogni lavoratore precario perderà circa 1100 euro!) e lede un diritto fondamentale sancito
dalla nostra Costituzione e dallo Statuto dei Lavoratori, il diritto alle ferie!
Si crea inoltre un pericoloso precedente che apre la strada ad ulteriori disparità di
trattamento fra lavoratori dello stesso settore. Lo scopo evidente è quello di mettere in
discussione il sistema stesso dei Contratti Collettivi del Lavoro e lo Statuto dei lavoratori.
Quale sarà dunque il prossimo attacco ai diritti dei lavoratori della scuola?
Un aumento delle ore a parità di stipendio? Una riduzione complessiva delle ferie per tutti i
docenti? Una riduzione dell’autonomia dell’insegnamento? Una gerarchizzazione dei docenti
che vedranno diminuire il proprio stipendio in base ai risultati dei test Invalsi?
Dobbiamo mantenere alta la pressione sul MIUR, sul Governo, sulle forze politiche, perché i
Governi cambiano, ma le nostre rivendicazioni restano!
Solo attraverso la mobilitazione, le manifestazioni e gli scioperi possiamo difendere i nostri
diritti e riprenderci quelli che ci hanno tolto, anche grazie al nostro silenzio!
CHIEDIAMO QUINDI A TUTTI I LAVORATORI DELLA SCUOLA DI SCENDERE IN
PIAZZA PER UN PRIMO MOMENTO DI PROTESTA CONTRO QUEST’ENNESIMO
ATTACCO!
GIORNO 5 DICEMBRE, TUTTI SOTTO LA RAGIONERIA DI STATO
PER DIFENDERE I NOSTRI DIRITTI!

Atenei pugliesi in difficolta’ nella erogazione dei servizi

Atenei pugliesi in difficolta’ nella erogazione dei servizi
Tagli alle Universita’, Vendola scrive al Presidente Letta e ai Parlamentari della Puglia
“Una grave ingiustizia che colpisce il Sud”
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Il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ha scritto una lettera al Presidente del Consiglio Enrico Letta e al Ministro dell’Istruzione Universita’ e Ricerca Maria Chiara Carrozza in merito alla preoccupante situazione relativa alla gestione del turnover del personale delle Università statali pugliesi e, piu’ in generale, meridionali.
“I decreti attuativi del Miur – scrive Vendola – di attribuzione di punti organico e del Fondo di finanziamento ordinario non tengono in alcun conto le cessazioni intervenute nelle singole Universita’ nei periodi precedenti, ma ripartiscono i punti organico spalmandole sul “sistema delle università statali”, grazie ad una norma, il comma 13/bis, inserita nel 2012 all’art. 66 del Decreto Legge 112/2008, convertito in Legge: l’effetto concreto, per quanto riguarda gli Atenei pugliesi, consiste nel fatto che gli stessi possono assumere in una percentuale irrisoria rispetto alle quote agli stessi singolarmente spettanti (50% o 20% a seconda dei casi), invece previste nel precedente comma 13, stesso Decreto, per il triennio 2009-2011 e di cui taluni Atenei pugliesi, per altre vicende, non si sono neppure potuti giovare”.

Secondo il Presidente della Regione Puglia “con criteri discrezionali, e che non tengono conto delle realta’ locali e della deprivazione insistente nelle stesse, gli Atenei pugliesi si trovano in serissime difficolta’ nella erogazione dei servizi istituzionali”.

Vendola ha poi rammentato al Presidente Letta “che a breve usciranno gli elenchi di coloro che saranno risultati idonei nelle procedure di abilitazione nazionale. La mancanza di fatto di punti organico impedira’ agli Atenei pugliesi di poter assumere i propri migliori scienziati e docenti, il cui costo corrisponderebbe solo al cosiddetto delta (0.2 per gli associati, 0.3 per gli ordinari). La possibilita’ di poter scegliere i migliori scienziati e docenti ci e’ di fatto preclusa a causa dell’esiguità del contingente assunzionale destinato agli atenei pugliesi. Di contro, invece, alcuni Atenei si ritroveranno ad avere un surplus di punti organico che potranno utilizzare per chiamare i migliori scienziati e docenti, e i nostri in particolare. L’effetto che si verrebbe a determinare nel giro di pochissimi anni se non si dovesse porre immediatamente rimedio a questa pericolosa deriva, sara’ quello di costringere alcuni Atenei meridionali alla chiusura o in alternativa determinarne un declassamento ad Università di serie B”.

“Ritengo – conclude Vendola nella missiva – e con me tutta la comunità accademica pugliese, che non puoi lasciare cosi inalterata la situazione e che vorrai mettere in campo ogni possibile iniziativa per evitare riparti cosi  punitivi delle realta’ territoriali piu’  svantaggiate”.

Il Presidente della Regione Puglia, con una seconda lettera, ha poi informato tutti i parlamentari pugliesi di aver scritto al Presidente Letta. “Si tratta – si legge nella nota ai deputati e senatori della Puglia – di una vicenda di assoluto interesse pubblico, perche’ nessuna comunità può tutelarsi e competere senza un investimento strategico in istruzione, alta formazione e ricerca. Con queste norme si condanna il sistema universitario meridionale ad un destino di marginalita’ ed insignificanza. Il Parlamento puio’  e deve, a nostro avviso, correggere cio’ che rappresenta un errore rilevante, ma anche una grave ingiustizia che colpisce il Sud. Certo della vostra considerazione e del vostro impegno, mi dichiaro disponibile a coordinare con voi ogni utile iniziativa atta a sensibilizzare il Governo e la pubblica opinione”.

CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE

IL MIUR CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE

(Roma, 25 novembre 2013) Campagne di sensibilizzazione, concorsi, promozione e diffusione di spettacoli nelle scuole. Sono solo alcune delle azioni del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il contrasto alla violenza di genere. L’ultima è sul piano della formazione dei docenti, così come previsto dal Decreto ”
L’istruzione riparte”, che punta “all’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere”. “Dobbiamo fare in modo che la scuola non sia semplicemente un luogo in cui si celebrano le ricorrenze, ma lo spazio in cui si sedimenta un reale cambiamento culturale”, ha dichiarato il Ministro Maria Chiara Carrozza. Il Miur quindi è al lavoro per un vero e proprio piano di formazione degli insegnanti contro la violenza di genere, che coinvolga anche i dirigenti scolastici e i direttori degli Uffici scolastici regionali, con il sostegno delle università e delle associazioni.
Quest’anno il Miur ha preparato anche la campagna di sensibilizzazione “Tante diversità uguali diritti”, con diffusione on line di materiali informativi e formativi, un concorso per corti cinematografici ed approfondimenti curriculari sul tema donne e legalità. Come ogni anno, poi, l’8 marzo verranno premiati al Quirinale i migliori progetti delle scuole che partecipano al concorso “Donne per le donne”.
Tra gli altri appuntamenti annuali, la settimana contro la violenza e la discriminazione, che si celebra dal 10 al 16 ottobre.

Riconoscere contributo donne nella società

Carrozza, “Riconoscere contributo donne nella società”
La scuola sia lo spazio per un reale cambiamento culturale

“Il vero cambiamento culturale non passa solo per la sacrosanta denuncia degli episodi di violenza, ma per un riconoscimento concreto del contributo delle donne nella società a tutti i livelli, nel mondo dell’università e della ricerca, nella pubblica amministrazione e nell’impresa. Su questi temi dobbiamo essere costantemente impegnati, per far sì che il contrasto alla violenza contro le donne ci accompagni tutti i giorni”. Lo dichiara il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
“La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dalle Nazioni Unite nel 1999, chiama in causa le istituzioni e la società civile contro un fenomeno inaccettabile – prosegue il Ministro – Dobbiamo fare in modo che la scuola non sia semplicemente un luogo in cui si celebrano le ricorrenze, ma lo spazio in cui si sedimenta un reale cambiamento culturale”.
“Questo è vero a livello globale, se consideriamo che in molti Paesi il diritto all’istruzione viene negato ad alcune persone solo in quanto donne. Il Presidente Napolitano, proprio in occasione dell’apertura dell’anno scolastico, ha ricordato le coraggiose parole della giovane pakistana Malala Yousafzai: “I libri e le penne sono le armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”.
“Il cambiamento culturale è il complemento essenziale delle sanzioni”, conclude Carrozza, ricordando che “il decreto “L’istruzione riparte”, proprio in attuazione della legge sul femminicidio, nella formazione del personale scolastico sottolinea l’importanza dell’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”.

Sciopero 5 dicembre 2013 per i lavoratori co,co,co, ex LSU assimilati Ata

Ministero dell’Istruzione dell ‘Università e della Ricerca
AOOUFGAB – Ufficio del Gabinetto
REGISTRO UFFICIALE
Prot. n. 0023888 – 22/ 11 /20 13 – USCITA
Titolario: 51.01

Ai Direttori Generali Uffici Scolastici Regionali
Loro Sedi

Oggetto: Comparto Scuola. Nidil/Cgil, Felsa/Cisl, UilTemp per i lavoratori co,co,co, ex LSU assimilati Ata.
Sciopero 5 dicembre 2013.

Si comunica che le organizzazioni sindacali Nidil/Cgil, Felsa/Cisl e UilTemp hanno proclamato “lo sciopero
nazionale unitario dei lavoratori co.co.co. ex LSU assimilati Ata nel settore della scuola per l’intera giornata del
5 dicembre 2013.”
L’azione di sciopero in questione interessa il servizio pubblico essenziale “istruzione” di cui all’art. I della legge
12 giugno 1990, n. 146 e successive modifiche ed integrazioni e alle nonne patti zie definite ai sensi dell’art. 2
della legge medesima. pertanto il diritto di sciopero va esercitato in osservanza delle regole e delle procedure
fissate dalla citata nonnativa.
Le SS.LL., ai sensi dell’art. 2, comma 6 , della legge suindicata sono invitate ad attivare, con la massima
urgenza, la procedura relativa alla comunicazione dello sciopero alle istituzioni scolastiche e, per loro mezzo alle
famiglie ed agli alunni, ed assicurare durante l’astensione le prestazioni relative ai servizi pubblici essenziali
cosi’ come individuati dalla nonnativa citata che prevede, tra l’altro, all’art. 5, che le amministrazioni “sono
tenute a rendere pubblico tempestivamente il numero dei lavoratori che hanno partecipato allo sciopero,
la durata dello stesso e la misura delle trattenute effettuate per la relativa partecipazione”.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Funzione Pubblica – con circolare 8111, nel dare
indicazioni operative per la comunicazione dei dati relativi alle adesioni agli scioperi nel pubblico impiego, ha
richiamato l’obbligo delle amministrazioni di comunicare tutte le infonnazioni richieste dallasuccitata
nonnativa.
Dette infonnazioni dovranno essere acquisite attraverso il portale SIDI, sotto il menù “I tuoi servizi”, nell’area
“Rilevazioni”, accedendo all’apposito link “Rilevazione scioperi”; le modalità operative di questa nuova
versione sono indicate nella mail inviata agli istituti scolastici il l° agosto 2013 e nel manuale disponibile in
linea nella home-page del SIDI nell’area “Procedimenti Amministrativi”.
Si pregano le SS.LL. di invitare i Dirigenti Scolastici ad ottemperare a quanto sopra esposto, tenendo conto che i
dati devono essere inseriti nel piu’ breve tempo possibile e che la sezione dovra’ essere comunque compilata
anche in caso di risposta negativa.

IL VICE CAPO DI GABINETTO VICARIO
Dott. ssa Simona Montesarchio

Sardegna, riprese le attività didattiche: entro la settimana tutti a scuola

Sardegna, riprese le attività didattiche: entro la settimana tutti a scuola

(Roma, 25 novembre 2013) Le lezioni riprendono in Sardegna dopo l’alluvione che la scorsa settimana ha colpito l’isola. Grazie allo sforzo organizzativo dei Comuni, dell’Ufficio Scolastico Regionale (Usr) e della task force del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca voluta dal Ministro Maria Chiara Carrozza, stamattina la maggior parte delle scuole dei territori più colpiti dal maltempo ha riaperto i battenti.
Di 313 scuole presenti sul territorio sardo 73 sono state danneggiate dall’alluvione, 14 in modo grave. Sono circa 50.000 gli alunni che frequentano istituti che hanno riportato danni, di questi solo un migliaio, di cui 611 a Olbia, non sono tornati oggi in classe proprio a causa dei danni o del cattivo funzionamento dei riscaldamenti. Problemi che saranno risolti a breve.
Il Miur ha poi predisposto, in accordo con gli Enti locali e l’Usr, punti di accoglienza e laboratori didattici con educatrici dedicate per i bambini più piccoli a sostegno delle famiglie. Il Ministero sta provvedendo anche a rispondere alle molteplici richieste di sostegno psicologico che provengono dai ragazzi e dagli operatori scolastici.

Nel frattempo continuano ad arrivare offerte di aiuto dalle istituzioni scolastiche di tutta Italia. La scuola dell’infanzia dell’Istituto comprensivo ‘Mozart’ di Roma ha voluto inviare ai compagni sardi diari e matite colorate. Mentre l’Istituto superiore ‘Europa’ di Pomigliano d’Arco (Na) ha offerto la disponibilità ad accoglierli per scambi e laboratori durante questo difficile periodo di ripresa.

L’Invalsi nel paese dell’assurdo

L’Invalsi nel paese dell’assurdo

di Enrico Maranzana

La valutazione del sistema scolastico è una problematica di cui si dibatte, si dibatte, senza giungere a soluzioni condivise.

Questa nota sostiene la necessità di fondare il monitoraggio delle attività scolastiche sulla legge, sulla razionalità e sulla dottrina.

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Il servizio sanitario nazionale ha deciso di valutare il lavoro degli ospedali: ha incaricato una squadra di rilevatori per ottenere sistematiche osservazioni sulla temperatura ascellare dei cittadini.  Per evitare le sanzioni che deriverebbero da accertamenti negativi ha suggerito l’uso di pomate refrigeranti.

Sorprendente il fatto che gli esperti, i giornalisti, i sindacati non abbiano colto la miopia strategica dell’accertamento e si soffermino sulla forma e sull’utilizzo dei termometri, sull’indebita intromissione, sulle modalità comunicative, sulle ascendenze teoriche, sulla condanna delle resistenze frapposte  ..

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L’Invalsi DOVREBBE ESSERE un organismo a servizio delle scuole.

L’attività dell’Invalsi DOVREBBE VALORIZZARE E SOSTENERE l’autonomia delle istituzioni scolastiche operando per potenziare  la progettazione educativa, la progettazione formativa, la progettazione dell’istruzione, la progettazione dell’insegnamento.

Il fondamento dell’attività Invalsi DOVREBBE ESSERE il mandato che il Miur ha conferito agli istituti scolastici.

Tre condizioni disattese a causa dell’interpretazione del termine/concetto “valutazione”:  la razionalità delle procedure di “controllo” è stata rigettata.

L’approccio etico/autoritario ha prevalso  sul metodo scientifico/della responsabilità.

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Il controllo implica:

l’enunciazione delle finalità;

la scomposizione delle finalità in obiettivi;

la definizione dei “criteri generali della programmazione educativa”;

la programmazione dell’azione educativa”;

l’esistenza di un adeguato sistema organizzativo;

la presenza di un efficace sistema informativo;

la costituzione di punti di feed-back;

          la scansione temporale: controllo antecedente; controllo concomitante;

                                                      controllo susseguente; controllo  dell’evoluzione;

            Il parallelismo sinergico tra controllo interno e controllo esterno.

IN TRE ANNI TAGLIATI 47MILA NON DOCENTI: A RISCHIO VIGILANZA E GESTIONE ISTITUTI

da IMGPress

IN TRE ANNI TAGLIATI 47MILA NON DOCENTI: A RISCHIO VIGILANZA E GESTIONE ISTITUTI

 

I tagli al personale della scuola si sono abbattuti anche su collaboratori scolastici, assistenti amministrativi e tecnici: a seguito della cancellazione spropositata di migliaia di istituti autonomi, solo negli ultimi tre anni sono stati cancellati 44.500 Ata. Cui vanno aggiunti 2.395 direttori dei servizi generali e amministrativi. In tutto 47mila posti in meno, che corrispondono ad un quinto del totale dei non docenti.
Il dato è stato reso noto nel corso di un seminario Anief su pianeta Ata e scuola autonoma, svolto questa mattina a Roma presso l’hotel H10: la riduzione di organico ha ridotto a 205mila gli Ata complessivi della scuola italiana, rispetto ai 252.000 effettivi dell’anno scolastico 2007/08. Invece di incrementare il loro numero, a seguito dell’introduzione dell’autonomia scolastica, che ha prodotto forti sgravi per le amministrazioni periferiche del Miur e degli ex provveditorati agli studi, per meri motivi di risparmio finanziario nazionale si è deciso di cancellare un Ata su cinque.
“È sempre più evidente – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – che questa spregiudicata opera di dimensionamento voluta dagli ultimi governi sta mettendo a serio rischio il funzionamento delle scuole: tagliare in un solo triennio il 20% del personale a supporto della didattica compromette inevitabilmente tasselli fondamentali per il nostro sistema di istruzione, come la vigilanza negli istituti e le pratiche riguardati studenti, famiglie e personale”.
Purtroppo non è finita: secondo le ultime indiscrezioni sulla nuova spending review, il Governo sarebbe in procinto di eliminare altri 800 istituti. In tal caso, considerando almeno una decina di Ata per ogni scuola, più altrettanti Dsga, vi sarebbero altri 10mila tra collaboratori, amministrativi e tecnici che verrebbero meno. “Uno dei punti centrali per risparmiare sulla spesa pubblica – commenta ancora Pacifico – dovrebbe anche stavolta andare incostituzionalmente a ridurre il numero di istituti e plessi scolastici. Dimenticando che ha però già messo in ginocchio l’erogazione del servizio, visto che oggi una scuola, quindi un solo dirigente scolastico, in media coordina a distanza altre quattro scuole”.
Durante il seminario è anche emerso che sono davvero poche le nuove immissioni in ruolo previste nel triennio 2013-2015 attraverso la Legge 128/13: appena 13.400 tra amministrativi, tecnici ed ausiliari. A tal proposito i delegati Anief hanno messo in luce che tra i posti già vacanti, al netto dei futuri pensionamenti, ve ne sono quasi altrettanti ancora disponibili: ben 12.773, considerando 2.692 assistenti amministrativi, 1.032 assistenti tecnici, 8.172 collaboratori scolastici, 126 cuochi, 104 collaboratori scolastici tecnici, 111 guardarobieri, 36 infermieri.
Il giovane sindacato autonomo ha, infine, preso posizione contro l’illegittimità dell’invarianza finanziaria che lascia allo stipendio iniziale i neo-assunti, nonostante i tanti anni di precariato alle spalle: “secondo la Comunità europea – conclude Pacifico – questi precari dovevano già percepire gli scatti biennali di anzianità, che quindi non possono essere negati solo perché queste unità di personale sono state assunte in ruolo”.

Scuole occupate, ma solo i disabili mandati a casa

da La Stampa

Scuole occupate, ma solo i disabili mandati a casa

La denuncia della madre di una ragazza con handicap di un liceo romano. Gli studenti occupano, ma dei trenta compagni disabili nessuno si fa carico

gianluca nicoletti

I disabili non hanno diritto di stare a scuola quando i loro compagni la occupano. Lo  denuncia a Redattore Sociale  Fabiana Gianni, la mamma di una ragazza romana con handicap, che si è vista riportare la figlia a casa perché il liceo che frequenta non è attrezzato per occuparsi di lei in quel frangente.

Inizia il periodo “caldo” delle occupazioni invernali,  gli studenti prendono possesso degli istituti e mettono in atto la loro protesta.  Accade da più di quarant’anni almeno, sempre  le stesse parole, i contro corsi, i cartelloni, quelli che dormono in classe con il sacco a pelo… Quelli che ci credono, quelli che ne approfittano. Non è una novità.  A nessuno questo è vietato, solo i disabili sono rimandati a casa.  Le scuole hanno un loro piano di gestione dell’evento occupazione, che oramai è entrato quasi ovunque nel calendario liturgico dell’anno scolastico, come le ferie natalizie e le feste civili.

La denuncia di Fabiana però apre un capitolo inedito  sulla effettiva inclusione  dei ragazzi non perfettamente abili:  “Martedì mattina presto mi chiama la mamma di una compagna disabile di Diletta: mi dice che è stata appena chiamata dall’assistente che aveva accompagnato la figlia a scuola con il solito pulmino. Doveva andare subito a riprendere la ragazza, perché la scuola era occupata: fuori i professori, fuori tutto il personale scolastico, compresi insegnanti di sostegno e assistenti. Di conseguenza, fuori anche gli studenti disabili, almeno quelli che non sono autonomi, come mia figlia e la sua compagna”.

Fabiana però non è restata a casa, ma è andata comunque a scuola, insieme a Diletta: “Volevo capire cosa stava succedendo e speravo anche che per mia figlia esistesse un’alternativa: magari quella di entrare in un altro plesso dello stesso istituto, insieme all’assistente e all’insegnante di sostegno. Invece, niente da fare: mi è stato detto che dovevo solo riportarla a casa. Intanto, nessuno aveva chiamato la polizia, per segnalare l’occupazione: l’ho chiamata io. Allo stesso modo, nessun altro genitore era stato chiamato, se non le famiglie degli studenti disabili: almeno 5, quelli che frequentano il plesso occupato, ma oltre 30 in tutto l’istituto. “

La madre non si arrende, si è messa in contatto con il Miur, l’ ufficio scolastico regionale, si sta battendo per ottenere un’ attività alternativa, una sorta di piano d’emergenza perché in casi come questi non ci sia il fuggi fuggi degli insegnanti e la scuola si faccia come giusto carico dei soggetti più deboli che ha in affidamento.

E gli studenti occupanti? Possibile che nelle tante assemblee non sia stato posto il problema dei loro compagni meno “attivi”? Chi occupa e protesta lecitamente s’immagina che lo faccia per migliorare la società che avrà in eredità, non si pongono qualche domanda su quella parte dei propri coetanei che, qualunque sia il mondo che erediteranno, avrà sempre  difficoltà oggettive a vivere una vita decorosa? Sarebbe stato sicuramente un segno di maturità, da parte di questa generazione di occupanti, farsi, loro per primi, carico del problema di quelle trenta famiglie, almeno permettendo che i loro compagni avessero la stessa loro opportunità di vivere la scuola, anche se occupata.

Loro che si affacciano ora all’idea di una partecipazione alla vita civile, non ripetano lo stesso sbaglio di tutte le precedenti generazioni di occupanti, oggi magari noti personaggi della politica nazionale. Includano nei loro pensieri di lotta anche il diritto alla dignità dei compagni disabili. Che i giovani esordienti leader non valutino gli esseri umani  come hanno sempre fatto, e ancora fanno, i politicamente attivi, ovvero solo  in ragione della loro possibilità di poter popolare un futuro collegio elettorale.

Incontri, lezioni, teatro e web Il rispetto comincia nelle scuole

da Corriere della Sera

I PROGETTI SUI BANCHI

Incontri, lezioni, teatro e web Il rispetto comincia nelle scuole

Dalle elementari alle superiori, corsi e filmati contro la discriminazione: tante le associazioni coinvolte

CARLOTTA DE LEO

Ripartire dalla scuola per cambiare il mondo. Si può, si deve. Lo sostengono da anni le associazioni che, con sacrificio e altrettanto volontariato, entrano nelle scuole per educare al rispetto dei generi e rompere gli stereotipi che ingabbiano i «maschi» e le «femmine» in un ruolo sociale ben definito. Nella maggior parte di casi si tratta di cicli o singoli incontri per alunni, insegnanti e genitori pagati dalle scuole. Di programmi ministeriali non ce ne sono ancora, anche se comuni coraggiosi come quello di Torino stanno sperimentando nuovi approcci. Nel decreto da poco approvato poi, il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha stanziato 10 milioni per l’aggiornamento dei professori anche in tema di educazione all’affettività e pari opportunità.

Risvegliare la critica «Partire dagli educatori è essenziale perché sono il fulcro di un meccanismo che coinvolge alunni e famiglie» dice Lorella Zanardo che, con il documentario Il corpo delle donne ha iniziato il suo percorso nelle scuole e dopo migliaia di incontri ha scritto il libro Senza chiedere il permesso. «Più andiamo avanti e più sono convinta che se lavoriamo con le studentesse e gli studenti, il mondo lo miglioriamo. Agendo in quella fascia d’età che va dai 14 ai 19 anni tutto può succedere – dice Zanardo – Quando mostriamo ai ragazzi, in maniera critica, gli stereotipi che le immagini tv veicolano, iniziano a riflettere. È come se si svegliassero». Il suo è un progetto globale di educazione ai media focalizzata sugli stereotipi di genere (www.nuoviocchiperimedia.it), in cui gli insegnanti sono chiamati a svolgere il ruolo di media education. «Sono già diverse decine in Toscana e in Trentino e hanno incontrato i ragazzi di mille scuole – spiega Zanardo – Abbiamo un dialogo aperto con il Miur per allargare il progetto. Ogni mese, circa un centinaio di scuole ci contatta, ed è frustrante dire no».

Di pari passo Si rivolge ai ragazzi delle medie, invece, Di Pari Passo, il progetto di Terre des Hommes e Soccorso Rosa. «È nella preadolescenza che si cristallizzano la percezione discriminatoria dell’altro e gli stereotipi che giustificano l’uso della violenza» spiega Fulvia Giannotta di Terre des Hommes. Il progetto, che lo scorso anno ha coinvolto 300 studenti milanesi, ha fatto emergere i primi dubbi dei ragazzi sulla parità tra i sessi. «Agire subito è determinante. Per esempio, prima del corso, il 20,4% sentiva la violenza come un fatto privato, della coppia e basta. Il dato è sceso all’11% dopo gli incontri, anche perché gli studenti hanno capito che l’isolamento è uno dei motivi che impedisce la cultura dell’aiuto e il sostegno delle vittime». Il progetto – che è stato condensato in un manuale per le scuole contro la violenza di genere, appena pubblicato – ripartirà a gennaio. Per candidarsi: www.terredeshommes.it

È meglio iniziare presto È specializzata nei corsi per le elementari l’associazione L’ombelico (www.lombelico.org) che opera a Roma e Milano. Ma non è troppo presto? «Gli studi internazionali dimostrano che corsi di educazione all’affettività alle elementari dimezzano il rischio di abusi – spiega Stefania Ghirelli – E oggi i bambini entrano in contatto con la pornografia, anche attraverso i videogiochi. Ragazzini di nove anni mi chiedono cosa sia un rapporto orale, ma poi non sanno come nascono i bambini». L’Ombelico ha anche realizzato incontri per i genitori del nido. «Ci sono modelli che, inconsciamente, riproponiamo ai nostri figli. Bisogna rifletterci per aiutare i bimbi a crescere liberi».

Il teatro sociale Sono diversi poi, i corsi che utilizzano altri strumenti. Come la performance di teatro sociale «15.22» che ha portato mille studenti romani a parlare di femminicidio davanti a Montecitorio. «Domani saremo a Napoli – spiega Pina Debbi – e porteremo sul palco il lavoro di quattrocento ragazzi delle superiori». Anche a Parma l’esperimento Maschere e Volti (www.giollicoop.it) chiede aiuto al teatro. «Un mezzo che dà ai ragazzi la possibilità di parlare liberamente di violenza di genere – spiega Massimiliano Filoni – Abbiamo raccolto le loro idee con una serie di laboratori che hanno coinvolto 400 studenti. Poi abbiamo portato in scena una performance e consegnato al Consiglio provinciale le loro proposte per cambiare». Un progetto che restituisce speranza. «Questi ragazzi vogliono cambiare: i modelli culturali che noi adulti gli abbiamo cucito addosso sono ormai troppo stretti».

Il web per tutti Sfrutta il web, invece, Safebook, il programma di educazione sessuale e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili che si basa su video-lezioni del professor Luca Bini. Lo scorso anno circa 600 mila ragazzi delle medie e delle superiori hanno visto sulle Lim (lavagne elettroniche) i filmati che toccano anche il tema del rispetto: «Relazione vuol dire un gioco dinamico e non potere e prevaricazione» spiega Bini. Si muove dentro e fuori le aule, invece, il Progetto Alice (ilprogettoalice.wordpress.com) che a Bologna ha coinvolto ormai più di tremila ragazzi. «Un antidoto alla violenza – spiega Cristina Gamberi – e a tutta la cultura che è alla base del femminicidio, della subordinazione delle donne sul lavoro, in famiglia e nella vita politica». L’ultimo progetto realizzato con gli studenti è Bolorights Area, una mappa dei diritti che raccoglie i servizi di ascolto e protezione della città per aiutare chiunque sia in difficoltà.

Bambini e bambine: mondi divisi da camerette, giochi e frasi fatte

da Corriere della Sera

LA SOCIOLOGA TEDESCA E GLI STUDI SULL’INFANZIA

Bambini e bambine: mondi divisi da camerette, giochi e frasi fatte

Baumgartner: «Già a 4 anni vengono inculcati gli stereotipi di genere. Il picco arriva in terza elementare e poi sfuma»

Elena Tebano

È nei cortili degli asili, quando i bambini sfuggono al controllo diretto dei «grandi», che si giocano i rapporti tra i generi: le regole non dette delle relazioni che legheranno da adulti, molti anni dopo, anche uomini e donne. Basta spingere gli occhi in quei cortili, tra gli scivoli e i girotondi, per vedere qualcosa di molto evidente ma per niente scontato: da una parte stanno i maschi, dall’altra le femmine. Separati. «Succede sempre: lo abbiamo osservato nel 90-95% dei casi. Ed è un fenomeno universale, che non riguarda solo il mondo occidentale o le società industrializzate. Già a un’età molto precoce c’è una norma implicita che dice: le bambine giocano con le bambine e i bambini con i bambini», spiega la professoressa Emma Baumgartner, psicologa, direttore del Dipartimento di psicologia dei processi di sviluppo all’università La Sapienza di Roma e autrice di numerose ricerche sui rapporti tra i generi in età prescolare.

«Sono soprattutto i bambini a non volersi mescolare, perché hanno un’immagine negativa delle loro coetanee. “Le bambine sono stupide”, “sono pettegole”, “con loro non ci gioco”, sintetizzano a tre anni. Anche quando le bimbe provano a interagire, i loro tentativi vengono sistematicamente rifiutati o ignorati, fino a farle desistere. E a 4 anni i gruppi sono rigidamente formati in base al genere. Il picco si ha nelle terze elementari, poi sfuma nella preadolescenza», aggiunge Baumgartner. Alla radice della violenza sulle donne ci sono anche questi atteggiamenti che si radicano fin dall’infanzia, pregiudizi e aspettative sui ruoli; una svalutazione diffusa e pervasiva del femminile che condiziona da subito il modo in cui interagiscono le due metà del mondo: è una sorta di zavorra che ci portiamo dietro senza neanche esserne consapevoli.

«I bambini percepiscono prestissimo il genere: imparano che il mondo è diviso tra maschi e femmine, che nell’universo femminile accadono e si fanno certe cose, nell’universo maschile altre. Tutto comunica questa separazione: anche le loro camerette. Studi realizzati negli anni Ottanta e Novanta in Nord America hanno mostrato che nelle stanze dei bambini c’è per esempio una maggior varietà di giocattoli: giochi scientifici, attrezzi, mezzi di trasporto. Nelle stanze delle bambine prevalgono invece bambole, peluche, oggetti in miniatura, giochi che rimandano alle attività domestiche». Nelle loro cose sono già impliciti condizionamenti e giudizi di valore. «Piccoli e piccole inoltre vedono subito che questi due universi sono sbilanciati: a scuola il 90% degli insegnanti sono donne, i calciatori sono maschi, la danza è una cosa da femmine, il presidente della Repubblica sempre un signore. C’è una percezione di diseguaglianza che i bimbi traducono e mettono in pratica quando si ritrovano in cortile».

Sono messaggi così profondi che le bambine cambiano addirittura il loro modo di comportarsi. «La psicologa Eleanor Maccoby ha fatto una serie di esperimenti con bimbe di 33 mesi, osservandole quando interagivano con persone di sesso diverso, ma che in entrambi i casi conoscevano molto bene. Le bimbe erano molto vivaci, propositive e allegre quando avevano a che fare con le compagne; diventavano invece passive e inespressive al cospetto dei bambini. Questi ultimi al contrario non cambiavano modalità di interazione al variare dei partner», chiarisce Baumgartner.

Per quanto condizioni i comportamenti fin dall’infanzia, la svalutazione del femminile è tutt’altro che innata: viene appresa osservando i comportamenti degli adulti, ascoltando le loro parole. «I messaggi più potenti sono quelli di dissuasione. E mentre le bimbe “maschiaccio” sono più tollerate, ai bambini non si perdonano atteggiamenti considerati femminili – spiega Baumgartner -. Ancora oggi insegnanti e genitori guardano con allarme quelli che preferiscono la compagnia delle bambine, giocano con giochi “da femmina” o che prevedono trucchi o travestimenti». E in qualche misura ci si aspetta ancora che i maschi siano, se non più aggressivi, almeno più irruenti delle femmine.

Il controcanto di questo atteggiamento, e uno dei molti fili che legano i pregiudizi nell’infanzia con la violenza contro le donne, è la richiesta implicita nei confronti delle bambine tipica del «sessismo benevolo», un atteggiamento discriminatorio non aggressivo, ma che comunque limita e confina la donna in ruoli subordinati. «La sua retorica vuole le bambine prima e le donne poi per natura più fragili, diverse dall’uomo in quanto meno forti, “preziose” per mille ragioni (riproduttive innanzitutto). E quindi bisognose di protezione, per definizione dipendenti: anche da adulte al ristorante o al bar il conto lo paga l’uomo – dice Baumgartner -. Quando però la donna infrange questo modello e si mostra indipendente, autonoma e assertiva scatta la reazione del possesso che può arrivare all’omicidio: “Puoi esistere soltanto nello spazio mentale definito da me marito, amante, fidanzato”, dice il violento con le sue azioni».

Solo allargando gli spazi mentali di uomini e donne, dunque, si disinnesca il meccanismo della violenza. Ma bisogna iniziare a lavorare fin dall’infanzia: «L’unica misura davvero efficace è promuovere le occasioni di contatto. Tutte le ricerche mostrano che dove i bimbi frequentano coetanei di sesso opposto, migliorano le aspettative nei confronti dell’altro genere e diminuiscono i pregiudizi – assicura Baumgartner -. Al contrario, tollerare la “segregazione di genere” significa tollerare che il valore del sesso maschile e quello del sesso femminile siano diversi». I cortili degli asili devono abbattere i muri invisibili che li dividono. Abbiamo una grande risorsa: la sconfinata capacità di imparare dei bambini.

Tagli alla scuola, non è finita

da Tecnica della Scuola

Tagli alla scuola, non è finita
di Alessandro Giuliani
Voci insistenti indicano una nuova spending review comprendente la cancellazione del 10% degli istituti. Secondo l’Anief siamo di fronte ad una ipotesi impraticabile che porterebbe ulteriori disservizi: già oggi i ds costretti a gestire 5 istituti, preoccupa poi il personale Ata che ha aumentato i carichi di lavoro ma negli ultimi tre anni ha già perso 47mila posti.
La stagione dei tagli alla scuola non sembra finire mai. Voci insistenti danno per imminente l’approvazione di un nuova spending review, affidata all’esperto internazionale Carlo Cottarelli, che ingloberebbe anche la cancellazione del 10% degli istituti pubblici. In pratica, oltre 800 scuole autonome verrebbero soppresse.
Per ora si tratta di indiscrezioni. Intanto, però, l’Anief ha già messo le mani avanti. Reputando l’ipotesi “improponibile”, perché “già oggi un dirigente scolastico gestisce 5 sedi. Inoltre, tagliare di un altro 10% il numero di scuole, oltre che incostituzionale, comporterebbe un danno sociale ulteriore per le aree già oggi più in difficoltà”.
Il presidente del sindacato autonomo, Marcello Pacifico, è convinto che questa ipotesi “comporterebbe sicuri disservizi all’utenza scolastica: bisogna infatti ricordare che negli ultimi sei anni è stata già cancellata una scuola su tre. Visto che da 12mila sono passate alle attuali 8mila. Con conseguente riduzione dell’organico di dirigenti e Dsga di 4mila unità per profilo. Con il risultato finale che oggi un preside gestisce la propria scuola, più, in media, altri 4 plessi. Tra l’altro spesso posizionati a decine di chilometri l’uno dall’altro”.
L’Anief, come suo stile, è pronto a dare battaglia patrocinando i ricorsi contro il conseguente taglio al personale: il sindacato, a tal proposito, ricorda che “esistono leggi sulla formazione degli istituti scolastici mai decadute, a partire dai criteri previsti dal D.P.R. 233 del 18 giugno 1998. E che la Consulta con la sentenza n. 147 del 7 giugno 2012 ha anche bocciato la chiusura o l’accorpamento degli istituti con meno di mille alunni”.
Sempre il sindacato autonomo si è detto preoccupato per le conseguenze negative che si rifletteranno sul personale Ata. Durante un seminario nazionale, svolto a Roma su ‘pianeta Ata e scuola autonoma’, è stato ricordato che negli ultimi tre anni sono già stati tagliati 47mila non docenti. E che “anziché aumentare gli organici delle scuole, diventate autonome, gli ultimi governi hanno ridotto di un quinto il contingente nazionale degli Ata”. Inoltre, “con la nuova spending review” sarebbero “a rischio altri 10mila posti” tra amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici.
“Uno dei punti centrali per risparmiare sulla spesa pubblica – ha detto il presidente Anief, Marcello Pacifico – dovrebbe anche stavolta andare incostituzionalmente a ridurre il numero di istituti e plessi scolastici. Dimenticando che ha però già messo in ginocchio l’erogazione del servizio, visto che oggi una scuola, quindi un solo dirigente scolastico, in media coordina a distanza altre quattro scuole”.
Durante il seminario è anche emersa l’esiguità delle nuove immissioni in ruolo previste nel triennio 2013-2015 attraverso la Legge 128/13: appena 13.400 tra amministrativi, tecnici ed ausiliari. A tal proposito i delegati Anief hanno messo in luce che tra i posti già vacanti, al netto dei futuri pensionamenti, ve ne sono quasi altrettanti ancora disponibili: ben 12.773, considerando 2.692 assistenti amministrativi, 1.032 assistenti tecnici, 8.172 collaboratori scolastici, 126 cuochi, 104 collaboratori scolastici tecnici, 111 guardarobieri, 36 infermieri.
Il giovane sindacato autonomo ha, infine, preso posizione contro l’illegittimità dell’invarianza finanziaria che lascia allo stipendio iniziale i neo-assunti, nonostante i tanti anni di precariato alle spalle.

Violenza sulle donne: “Ripartire dalla scuola”

da Tecnica della Scuola

Violenza sulle donne: “Ripartire dalla scuola”
La presidente di Telefono Rosa, Gabriella Carnieri Moscatelli, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che sarà celebrata lunedì 25 novembre, ha detto che per arginare la violenza sulle donne occorre partire dalla scuola
“In questi ultimi anni c’è stato un aumento delle donne che si sono rivolte a noi, perché il problema della violenza sta finalmente uscendo fuori in tutta la sua enormità. Per questo bisogna parlare ancora di più di prevenzione del fenomeno. E bisogna farlo a partire dalla scuola” E lunedì al Tatro Quirino di Roma si parlerà di maltrattamenti e femminicidi insieme a 950 ragazzi delle scuole, “perché secondo noi la violenza è una questione culturale –spiega Moscatelli -. E si deve affrontare fin dalla più tenera. Bisogna che i ragazzi capiscano i comportamenti sbagliati. Sono gli stessi professori spesso a chiederci di aiutarli a far capire cosa è una violenza, e quanto siano sbagliati anche gli atti di bullismo”. Al centro di viale Mazzini di Telefono Rosa solo lo scorso anno sono arrivate ben 1.300 donne a chiedere aiuto, a partire dalle consulenze legali. “Quando arrivano da noi le donne sono distrutte, noi le aiutiamo a ricostruirsi la vita e reinserirsi nel sociale, cerchiamo di fare in un modo che possano rendersi indipendenti attraverso il lavoro, per questo organizziamo corsi di formazione –spiega Moscatelli- Contemporaneamente ci sono i figli, che anche loro vanno seguiti e accompagnati dopo una storia di violenza domestica”. Secondo la presidente di Telefono Rosa, però, per una donna la difficoltà maggiore sta nel decidere di denunciare la violenza: “prima di riuscire a spezzare questa catena a volte possono passare anche anni.” Durante l’incontro al Teatro Quirino verrà proiettato un video sulle violenza in Pakistan. Sarà presente poi Malalai Joya, giovane parlamentare afghana costretta all’esilio e minacciata di morte da parte dei talebani. Il 26 novembre, verrà distribuito inoltre, ai giovani studenti di Valmontone, alle porte di Roma, un opuscolo sulla Convenzione di Istanbul.

Consulta degli Studenti: poca attenzione

da Tecnica della Scuola

Consulta degli Studenti: poca attenzione
“Con nostra perplessità, sgomento e delusione, l’attenzione dei mass media  sul mondo scuola è quasi sempre spenta”. È quanto rilevato dalla Consulta Provinciale degli Studenti di Novara, che ha espresso rammarico in una nota recentemente diffusa
«L’Ufficio Scolastico Territoriale  si adopera da lungo tempo per organizzare e diffondere iniziative di caratura anche internazionale volte a promuovere i temi della Legalità, della Solidarietà, della Difesa dei Diritti di tutti a cominciare dai malati, dagli emarginati, dai diversamente abili, il tutto finalizzato allo sviluppo di una coscienza critica per la società di domani Migliaia gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado statali e paritarie di tutta la provincia, coinvolti nelle iniziative per Italia 150, nei seminari su temi riguardanti la salute al Salone dell’Orientamento “Wooooow, Io e il mio Futuro”   Inoltre «spesso alcuni riflettori di alcune testate novaresi si accendono solo e soltanto quando c’è scarsa partecipazione da parte delle scuole  presa come cifra di una mancanza di interesse. In realtà, spesso e volentieri le adunate oceaniche di studenti sono “inutili” perché vi è la presenza di ragazzi non motivati che approfittano dell’evento solo per perdere ore di scuola e non per riflettere  e condividere, senza contare la possibilità che vi siano delle sovrapposizioni di eventi nella stessa giornata costringendo studenti e insegnanti a fare delle scelte. Perché la cattiva notizia, singolare ed occasionale,  deve essere sempre messa in risalto e cancella automaticamente anni di buon lavoro?-  continua la nota- Nel mondo che sogniamo e che vogliamo costruire la cattiva notizia non farà più “notizia” , nel mondo che siamo impegnati a costruire è la buona notizia, quella bella, positiva,  ricca di valori e di contenuti che farà  davvero notizia. È l’informazione trasparente e libera che verrà premiata. Soprattutto l’informazione che mette al centro la Scuola, vero baluardo contro la desertificazione dei sentimenti che con questo modo di fare giornalismo, i mass media continuano ad  alimentare. Questo nostro appello vuole essere un invito a tutte le testate  novaresi a dedicare ampio spazio alla valorizzazione delle attività del mondo scuola, per premiare gli studenti, gli insegnanti, i dirigenti scolastici più meritevoli, per dare visibilità  al loro lavoro, per contribuire a creare una società, almeno nel nostro territorio, migliore e più giusta»

La scuola si occupa per “marinarla”

da Tecnica della Scuola

La scuola si occupa per “marinarla”
“Da tempo gli studenti hanno capito che il vento soffia a loro favore e quindi, approfittando anche del clima invernale, così come oramai accade da qualche anno a questa parte, in molti plessi scolastici stanno anticipando le festività natalizie di un mese”
A dirlo il giornale online Caserta24Ore che riporta quanto dichiarato da un professore napoletano: “L’eccessivo atteggiamento buonista nei loro confronti anche in quei casi nei quali in passato si è parlato di scuole vandalizzate con il danneggiamento di arredi e suppellettili a seguito dell’occupazione, ha comportato il convincimento , con effetto a catena, che da questa assurda situazione, tutta italiana, che si ripete come un rituale sempre uguale nel mese di novembre, quest’anno aggravata dai raid alla creolina, i responsabili ne possano sortire senza alcuna conseguenza.  S’ignora o, peggio, si finge d’ignorare che il testo unico sulle leggi della pubblica istruzione, il decreto legislativo n. 297 del 1994, all’art. 74 prevede che, per la validità di un anno scolastico, occorrono almeno 200 giorni di effettive lezioni.  E’ evidente che, laddove nei giorni da computare in questo calcolo non venissero considerati quelli nei quali gli allievi disertano le lezioni in massa o, caso più grave, occupano la scuola, il Ministero potrebbe valutare la possibilità di annullare l’anno scolastico.  Nel contesto attuale è facile prevedere che nei prossimi giorni il fenomeno andrà ad incrementarsi estendendosi a buona parte delle scuole pubbliche, nel mentre si prende ancora una volta atto che la scuola privata non è per nulla interessata, e non da oggi, da questo deprecabile fenomeno, con tutto ciò che ne discende”.