Diagnosi urgente della salute della scuola

Diagnosi urgente della salute della scuola
Valutiamo la scuola per salvarla

di Umberto Tenuta

Che la scuola italiana non stia bene sembra una conclusione alla quale tutti arriviamo, quale che sia la prospettiva dalla quale si fa l’analisi.

E siccome la salute della scuola è la salute della Nazione, la Nazione e chi la rappresenta non può rimanere con le mani in mano.

Occorre un intervento urgente, perchè questa è la più dolorosa calamità nazionale.

Ma gli interventi si fanno solo sulla base di un’analisi.

Tutte le analisi e tutte le riforme finora fatte non hanno portato ad alcun miglioramento delle condizioni di salute della scuola italiana che, anzi, sono peggiorate tanto che più non si può attendere.

Ed allora, Onorevole ministra Carrozza, lo scrivente le propone quella che egli ritiene l’analisi risolutiva di tutti i guai della scuola e dei suoi operatori.

Sappiamo bene che qualsiasi azienda vive vita prospera solo se i suoi clienti sono soddisfatti.

In ogni campo, soprattutto in quello produttivo, la soddisfazione dei clienti è la sola bussola che ne orienta i comportamenti.

E, allora, Onorevole Ministra, quale responsabile della soddisfazione dei clienti, conditio sine qua non del funzionamento dell’azienda scuola, non può non procedere con urgenza ad una analisi della soddisfazione dei clienti della scuola, cioè degli studenti.

A tal fine lo scrivente si permette di proporre uno schema di indagine che i Suoi Magnifici Esperti avranno certamente modo di perfezionare, salvandone la sostanza, però.

L’indagine dovrà essere effettuata su un campione rappresentativo e dovrebbe avere carattere riservato, perché solo in questo modo essa risulterà veritiera, utile, giovevole alla scuola ed ai suoi operatori.

Perciò faccia pervenire a un campione rappresentativo delle famiglie di tutti gli studenti di tutte le scuole italiane una busta affrancata per la risposta con un foglio di una sola pagina scritta a carattere grandi:

 

Noi genitori di un giovane che frequenta la scuola: 

1)    dell’infanzia

2)    primaria

3)    secondaria di primo grado

4)    secondaria di secondo grado 

Le comunichiamo che nostro figlio: 

a) ama più di ogni altra cosa andare a scuola 

b) ama, tra le altre cose che fa, anche a andare a scuola 

c) va ogni mattina a scuola senza problemi

d) va a scuola seppure recalcitrante

e)  va a scuola perché è costretto da noi 

f) va scuola con sofferenza 

g) odia a morte andare a scuola

h) cerca sempre di procurarsi una malattia per non andare a scuola 

 

Onorevole Ministra, da questa indagine avrà il quadro esatto del come la scuola italiana funziona e di quello che Ella, quale responsabile del successo formativo che deve essere garantito ad ogni figlio di donna, deve fare per non venir meno ai Suoi doveri istituzionali.

 

La ringrazio sentitamente, anche a nome di tutte le Madri che ogni mattina debbono asciugare le lacrime dei loro figli che vanno a scuola con il mal di pancia e che mi auguro risultino una insignificante percentuale dei milioni di giovani studenti italiani.

 

Con ogni ossequio

 

F.to

IL GENITORE DI UNO STUDENTE

CHE AD OGNI PIè SOSPINTO

DICHIARA DI ODIARE LA SCUOLA

Digitale a scuola, meglio a piccole dosi

da Redattore Sociale

Digitale a scuola, meglio a piccole dosi: “il tablet non è un coltellino svizzero”

Durata: 4′ 29”

Roberto Casati è direttore di ricerca del Cnrs dell’Institut Nicod di Parigi e autore del libro “Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere”. Oltre a difendere il libro cartaceo dal suo cugino digitale, Casati affronta la spinosa questione del rapporto tra didattica e tecnologia. “Bisogna esercitare un sano principio di precauzione – risponde il ricercatore a chi gli chiede quale ruolo la tecnologia debba rivestire all’interno della scuola pubblica – perché non è ancora chiaro il contributo pedagogico che le nuove tecnologie possano dare”.

Secondo le ultime ricerche scientifiche l’introduzione della tecnologia a scuola potrebbe essere vantaggiosa per i discenti se impartita a piccole dosi, ma diventerebbe controproducente all’aumentare del tempo dedicatole. “Una delle ragioni più probabili del perché questo accade – spiega Roberto Casati – risiede nel fatto che le tecnologie di oggi siano molto distraenti e abbassino la soglia dell’attenzione”. “Io non sono assolutamente contro la tecnologia nella scuola, ma sono contro a una pericolosa logica di sostituzione che oggi sembra prevalere –  conclude lo scrittore. – La scuola oggi sembra vedere nei tablet una sorta di coltellino svizzero, uno strumento cioè che permette di fare tutto, ed è per questo che si sta dirigendo nella direzione della sostituzione degli strumenti didattici con questo supporto digitale. Ma, pensateci bene, nessuno chef sostituirebbe i suoi strumenti da cucina con un coltellino svizzero”.(Servizio a cura dell’Agenzia Amisnet – 24 gennaio 2014)

Video

http://www.redattoresociale.it/Multimedia/Audio/Dettaglio/453345/Digitale-a-scuola-meglio-a-piccole-dosi-il-tablet-non-e-un-coltellino-svizzero

Cambio paese

da Redattore Sociale

Cambio paese: web serie sulle peripezie dei disoccupati italiani all’estero

Di web series, su Youtube, ce ne sono molte, però la prima sui giovani disoccupati e precari italiani è certamente degna di nota. Si chiama “Cambio Paese”, ed è la creatura di un gruppo di ragazzi italiani trasferitisi a Bruxelles, che vogliono documentare la lotta dei loro compatrioti all’estero per sbarcare il lunario, trovare un lavoro e magari tenerselo pure. Per ammissione degli stessi ideatori della serie, c’è ancora molto da migliorare dal punto di vista tecnico, delle riprese, dello story telling etc., però gli scatch che già sono online parlano di un progetto promettente. Un progetto che si può sostenere anche facendo una donazione, tramite il crowdfunding. Vai all’articolo.

Video

http://www.redattoresociale.it/Multimedia/Video/Dettaglio/453379/Cambio-paese-web-serie-sulle-peripezie-dei-disoccupati-italiani-all-estero

L’intelligenza deve essere leggera

L’intelligenza deve essere leggera

di Adriana Rumbolo

Ieri sera l’intervista di Lilli Gruber e Beppe Severgnini  all’architetto Renzo Piano

Tutta l’intervista è stata molto, molto, molto interessante e si potrebbe riassumere  nella citazione dell’architetto: “L’intelligenza deve essere leggera”

Finalmente una conversazione ricca  di argomenti ,con le sole parole  necessarie. Il dialogo scorreva fluido ,caratterizzato dalla freschezza dell’improvvisazione, che tradiva in profondità  studi,scambi produttivi, esperienze a largo raggio.

Poi il gioco dei contrasti: niente può essere assoluto se vogliamo che esista

I limiti  nel desiderio  che mi   ricordano  i  bassi muri che limitano le colline a terrazza per aumentarne lo spazio e rafforzarle. Mentre troviamo un’idea che ci affascina nella sua assolutezza ci scontriamo con la sua negazione che invece di cancellare la prima ne fa nascere una nuova,  spesso migliore

Avviene nel nostro cervello ed è il segnale che spesso denuncia che stiamo uscendo dall’adolescenza con la morbidezza dell’ostinazione perché  la rigidità  ha una sola soluzione..

L’intelligenza deve essere leggera,  agile,  fluida ed essere vaccinata subito nel bambino/a piccolo/a dai pregiudizi ,dai luoghi comuni,  dalle banalità,  dalle parole inutili e aperta alla musica e all’armonia alle quali la natura lo ha già abituata/o se non venisse in fretta disturbato da tanti insegnamenti anossici. In quel momento ho anche fatto pace  con me stessa  sulla comunicazione.

Sempre più di frequente sento dire di un politico: “E’ un genio della comunicazione: è un vero comunicatore solo perchè  riesce a trasmettere un messaggio che non condivide e solo finalizzato al proprio interesse “.

Ieri sera l’architetto Piano è stato  un ottimo comunicatore: le sue parole sulla progettualità delle periferie erano chiarissime e rispondevano ai tanti perché  che l’argomento suscitava perché  il suo pensiero era chiaro e aveva lo scopo di arrivare con la stessa chiarezza  a quanti erano interessati al progetto Ha spiegato con garbo che il lavoro politico dell’architetto  ha come scopo finale,oltre la conoscenza di tecniche ,di materiali, il benessere del cittadino nella risposta ai suoi bisogni estetici ,esistenziali , di comunicazione e pratici.

Proprio una piacevolissima e intelligente intervista.

Prof da pensione «prigionieri» a scuola

da IL Tempo

Prof da pensione «prigionieri» a scuola        

Hanno 35 anni di insegnamento: per la legge Fornero ne servono 41 e 6 mesi I 4000 docenti si appellano a Letta: mandateci a casa e fate largo ai giovani

          Hanno inondato le poste elettroniche dei più importanti quotidiani con email praticamente uguali (cambiano solo le firme). Sono insegnanti di scuola, perlopiù dell’infanzia, e scrivono a nome dei 4000 colleghi della cosiddetta «Quota 96». Non stiamo parlando di docenti precari che reclamano un’assunzione in pianta stabile ma colleghi vicini alla soglia dei sessant’anni che vorrebbero andare in pensione. Ma non possono farlo nonostante abbiano accumulato 35 anni di lavoro che fino al 2011 bastavano e stravanzavano. Questi 4000 docenti (ma sembra che in tutt’Italia siano molti di più) sono «vittime» della legge Fornero che ha già elevato, dal 1° gennaio del 2012, l’età minima per accedere all’assegno di quiescenza da 60 a 62 anni. Nel 2014, come previsto, la forbice è aumentata: servono 63 anni e 9 mesi. Tra due anni aumenterà ancora. Inoltre chi non possiede il requisito dell’età anagrafica deve avere un’anzianità contributiva di 41 anni e 6 mesi entro il 31 dicembre 2014 (per gli uomini un anno in più).

Una bella botta per quei docenti che erano pronti a tagliare il traguardo accarezzando l’idea di cambiare la vita per potersi dedicare finalmente alle attività preferite e sempre accantonate, alla famiglia, ai viaggi o semplicemente all’ozio. In verità i 60enni possono anche andare in pensione se proprio insistono. ma vengono fortemente penalizzati e rischiano di perdere quasi ogni mese il 20% della pensione, circa 300-400 euro. Senza possibilità di recupero e «con questi chiari di luna – confessa un insegnante – in pochi se la sentono a rinunciare a quanto spetta loro di diritto dopo tanti anni di docenza». E così gli insegnanti si sentono ancora una volta cornuti e mazziati. Ma torniamo alle lettere di protesta che mettono il dito nella piaga: «Siamo tenuti in classe e in servizio forzato mentre centinaia di migliaia di giovani sono per strada senza lavoro». Non è una novità : nella scuola italiana , l’età media delle assunzioni è intorno ai 40 anni. Due insegnanti su tre hanno almeno 50 anni. Quelli con meno di 30 anni sono appena lo 0,5%, in Germania il 3,6%, in Spagna il 6,8%.

Insomma un corpo docente «vecchietto» che resta imbullonato alle cattedre suo malgrado anche in virtù di certi governi che a parole si impegnano a favorire l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro e nei fatti procrastinano l’uscita degli aventi diritto. Fino a rasentare il ridicolo. «È possibile che i bambini di tre anni abbiano maestre d’asilo di 61 o 62 anni?» si chiedono nella lettera i docenti ai quali non resta ora che scuotere il governo Letta affinché «si trovino le risorse per mandare in pensione gli insegnanti di Quota 96 e per rimediare all’errore del governo Monti».

«Serve un patto di turn over generazionale almeno nelle scuole» aggiungono «considerando che in Italia un giovane su tre è disoccupato». In effetti le maestre d’asilo – nonne non sono una rarità.«Francamente per lavorare in una classe di 25-28 bambini tra i 3 e 5 anni ci vogliono sì esperienza e competenze ma anche tanta energia fisica – dice un’altra insegnante – e una forte spinta motivazionale che, chi si sente arrivato al capolinea dopo una lunga carriera, non ha più». E allora che si può fare se, obtorto collo, bisogna tirare comunque avanti fino ai 6 5 anni? «Si potrebbe pensare alla creazione di ruoli alternativi alla docenza pura – spiega Maria Rita De Santis reponsabile Snals Lazio – attività di supporto, di ricerca, di progettualità innovativa oppure orientata sui rapporti con le famiglie. Ma su questo fronte nella scuola italiana stiamo all’anno zero».

Natalia Poggi

La rivolta via mail dei prof a un passo dalla pensione: “Noi bloccati dalla Fornero, e i giovani a spasso”

da Repubblica.it

La rivolta via mail dei prof a un passo dalla pensione: “Noi bloccati dalla Fornero, e i giovani a spasso”

Sono almeno 4mila e si stanno fancendo sentire sull’onda del caso degli scatti di stipendio. Chiedono a Renzi e Letta di risolvere “un pasticcio che produce la classe docente più vecchia d’Europa e il record di precari bloccati”

di SALVO INTRAVAIA

La rivolta degli insegnanti della scuola corre di nuovo sul web. Dopo quella sul pasticcio degli scatti dello stipendio, che ha costretto il governo a fare marcia indietro (anche se la partita non è ancora conclusa), scoppia la grana dei docenti che nel 2011 stavano per andare in pensione e sono stati bloccati dalla riforma Fornero: i cosiddetti “quota 96”. Centinaia di lettere – tutte firmate, alcune indirizzate al “sindaco Metteo Renzi” – stanno inondando le caselle di posta elettronica dei giornali. Il tormentone è sempre lo  stesso: “Un altro pasticcio si abbatte sulla scuola: quota 96”. Diversi partiti politici sono alla ricerca di una soluzione, ma si devono trovare le ormai arcinote “coperture finanziarie”. Ecco di cosa si tratta.

Nel dicembre 2011, fu varata la riforma Fornero sulle pensioni, che allungò di colpo sia l’età per lasciare il lavoro, sia gli anni di contribuzione da mettere sul piatto per congedarsi. Gli insegnanti che il 31 agosto dell’anno scolastico in corso di svolgimento  –  il 2011/2012  –  avrebbero raggiunto il requisito previsto fino a quel momento dalla riforma Maroni  –  la “quota 96” che si ottiene sommando anni di servizio e età   –  erano certi di poter fare valere non l’anno solare ma l’anno scolastico appena iniziato. E invece vennero bloccati e costretti a rimanere in servizio fino a 67 anni. Altri 5 o più anni in cattedra col traguardo ormai a portata di mano.

La quota 96, infatti, si poteva raggiungere con un minimo di 60 anni di età e 35 di servizio: 61 anni e 35 di servizio, 60 anni e 36 di servizio o con spezzoni che sommassero sempre 96. Un pasticcio che assomiglia tanto a quello degli esodati che incapparono sulla stessa riforma Fornero. Ma di minore gravità. E adesso, che dopo la questione degli scatti stipendiali  –  prima bloccati con la richiesta di rimborso di 150 euro al mese, a coloro che li avevano percepiti, e dopo sbloccati  –  il vento della politica sembra essere cambiato, si fanno sentire i docenti “che non ce la fanno più a rimanere a scuola”.

“Abbiamo la classe docente più vecchia del mondo e queste burocrazie incapaci tengono in classe persino gli aventi diritto per errore”, si legge nella nota che corre sul web. Secondo alcuni conteggi, i bloccati sarebbero circa 4mila e per consentire loro di andare in pensione occorrerebbe una cifra “strutturale” variabile tra 267 e 490 milioni. Una cifra che in tempi di vacche magre sembra troppo alta anche per ripristinare un diritto acquisito. “Trovare le risorse (una cifra ridicola rispetto ai mille sprechi) per mandare in pensione i circa 4mila insegnanti e Ata di Quota 96 non è solo un dovere per rimediare a un assurdo errore del governo Monti, ma anche l’occasione per stabilizzare 4mila docenti e Ata che rischiano di invecchiare da precari nelle graduatorie”.

E “adesso che c’è Renzi, che vuol cambiare profilo alla Scuola italiana, almeno questo può consigliare di farlo al governo Letta: sanare i pasticci burocratici di una macchina amministrativa incapace di reggere la sfida dei tempi. I nostri alunni  –  concludono i docenti imbiancati dal tempo e con meno forze –  si ritrovano i docenti più vecchi del mondo”. “E’ possibile  –  si chiedono  –  che bambini di tre anni abbiano maestre d’asilo di 61 o 62 anni? Considerando poi che in Italia un giovane su due è disoccupato? Serve un patto di turn over generazionale, almeno nella scuola. Secondo noi questo governo può e deve rispondere alle sfide e ai bisogni della scuola di oggi”.

Decreto scatti: al via la procedura per la conversione in legge

da Tecnica della Scuola

Decreto scatti: al via la procedura per la conversione in legge
di Reginaldo Palermo
Il decreto legge è stato depositato al Senato. I lavori prenderanno avvio il 28 gennaio. Pubblicata anche la relazione tecnica con il parere favorevole della Ragioneria Generale dello Stato
Il decreto legge n. 3 sugli scatti stipendiali del personale della scuola è stato depositato in questi giorni al Senato. L’esame del provvedimento prenderà quindi avvio già nella settimana del 27 gennaio. La commissione referente, quella cioè che dovrà proporre eventuali modifiche e che dovrà riferire in aula, è la VII (Cultura e Istruzione) che dovrà però acquisire i pareri degli Affari Costituzionali e del Bilancio. I lavori inizieranno martedì 28 e potrebbero concludersi prima della metà di febbraio. Ma in questi casi non bisogna mai trascurare la possibilità di un rallentamento legato al tentativo di apportare modifiche al decreto governativo. Al Senato è già stata depositata anche la relazione tecnica che, in sostanza, conferma la sussistenza della copertura finanziaria. La relazione chiarisce che per il triennio 2014/2016 il bilancio dello Stato prevede già un aumento delle somme destinate al pagamento degli stipendi del personale della scuola, in quanto su tale capitolo sono confluiti 700milioni di euro derivanti dai risparmi di sistema derivanti dai “tagli” di organico previsti dall’art. 64 della legge 133/2008 (per evitare di dover chiedere al personale la restituzione delle somme già percepite nel 2013 sono necessari – si legge sempre nella relazione tecnica – 70 milioni di euro). Ma, per garantire lo scatto stipendiale già acquisito, sarà necessario che Aran e sindacati raggiungano al più presto un accordo che consenta la sottoscrizione di un contratto nazionale che ponga termine a questa complessa vicenda dovuta alla entrata in vigore del DPR 122/2013. Nella relazione che accompagna il decreto si parla anche dell’atto di indirizzo che il Governo dovrà inviare all’Aran per dare avvio alla trattativa con i sindacati. Vedremo nei prossimi giorni cosa come si svilupperà il dibattito nelle Commissioni del Senato: le prime sedute saranno certamente indicative delle reali intenzioni delle forze politiche. La partita – ricordiamo – si dovrà necessariamente chiudere entro il 24 marzo, data entro la quale il decreto dovrà essere convertito in legge.

Carrozza: “L’obiettivo non è ridurre i docenti”. Gli esiti del seminario alla Camera

da Tecnica della Scuola

Carrozza: “L’obiettivo non è ridurre i docenti”. Gli esiti del seminario alla Camera
di P.A.
Gli esiti del seminario promosso nei giorni scorsi alla Camera dalla deputata Milena Santerini, Popolari per l’Italia, sul tema: “Diplomarsi con successo a 18 anni”, confermano una certa convergenza ad accorciare di un anno il percorso scolastico. Ma non c’era già l’istituto Magistrale?
Lo pubblica il Corriere della Sera. Il pensiero della ministra è per lo più noto: “Non ho idee preconcette sulla sperimentazione e non sono neppure interessata a vincere la battaglia della riduzione di un anno o della riorganizzazione dei cicli”; il punto cruciale è “che la scuola torni a formare le persone consentendo loro di realizzarsi e di trovare il giusto percorso in base alle proprie aspirazioni e attitudini”. Ma c’è anche un altro nodo assai importante e su cui il confronto non sarà leggero, quello cioè che la riduzione di un anno innescherebbe la conseguente riduzione del numero di insegnanti a tutto beneficio delle casse disastrate ormai del Miur. 
Dice a questo proposito Milena Santerini, componente della commissione Cultura alla Camera e organizzatrice del seminario: “A noi interessa mettere lo studente al centro. Non dobbiamo cambiare solo per allinearci agli altri Paesi europei ma per sperimentare nuove modalità di formazione e di accompagnamento al mondo del lavoro”. Occorre ripensare tutto il percorso: per esempio, “organizzare l’anno risparmiato come un passaggio ancora formativo ma più specifico, o a metà tra formativo e lavorativo” in vista della scelta universitaria o professionale. 
Sulla stessa linea Andrea Gavosto, della Fondazione Agnelli, che, scrive il Corriere, si dice «favorevole alla riduzione da 13 a a 12 anni del percorso scolastico ma non perché bisogna “allinearsi” all’Europa e neppure solo con l’obiettivo di risparmiare. Favorevole perché si possa ripensare l’insegnamento, i programmi, i cicli scolastici». Gavosto fa riferimento alla sperimentazione attuata con successo in Ontario (Canada), dove a dieci anni di distanza dal liceo a 4 anni, i ragazzi sono meglio formati e più consapevoli delle scelte future. «Il 40 per cento per esempio decide di utilizzare l’ultimo anno di scuola per continuare a studiare e approfondire materie di interesse pensando all’università, oppure per lavorare part time». 
Mario Dutto, Cattolica di Milano, cita l’esperienza del Galvani di Bologna, e punta «da un lato sulla trasparenza del percorso formativo e dei suoi sbocchi in modo che lo studente sappia che cosa potersi aspettare al termine della scuola, dall’altro sulla possibilità di utilizzare quell’anno per approfondire, creare gruppi di lavoro ad hoc, impegnare i docenti liberati dal percorso classico su micro classi con obiettivi specifici e delineati».  D’altra parte, come molti ricorderanno, nel vecchio Istituto magistrale, e prima quindi del Liceo psicopedagogico, il percorso di studio durava 4 anni nel corso del quale si studiavano materie impegnative, essendo un sorta di mix tra il liceo scientifico e classico, ma con un orario settimanale di lezione assai più pesante se rapportato ai licei. Fra l’altro il diploma consentiva, e ancora se ne avvertono gli strascichi coi Tfa e i Pas, di partecipare ai concorsi per insegnare alle elementari, mentre dava l’accesso alla sola facoltà di Magistero. Una sperimentazione dunque già c’è stata, sia in termini di curriculo e sia in termini di risultati conseguiti. Ciò che tuttavia è anche bene fare rilevare che con la soppressione dell’Istituto magistrale furono soppressi pure i 4 anni, adeguando così il nuovo liceo psicopedagogico ai 5 anni di tutti gli altri corsi di studio, nella convinzione appunto che il magistrale fosse una anomalia. Oggi sembra invece che il mondo si sia capovolto e che siano stati tutti gli altri istituti “anomali”.

Il 27 gennaio “Giorno della memoria”

da Tecnica della Scuola

Il 27 gennaio “Giorno della memoria”
di Andrea Toscano
Istituito dal Parlamento italiano con la legge n. 211/2000, per ricordare le leggi razziali in Italia, lo sterminio del popolo ebraico e le persecuzioni subite da tutti i deportati nei campi nazisti, il “Giorno della memoria” si celebra nel giorno dell’abbattimento dei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz. Iniziative e momenti di riflessione nelle scuole (anche nei giorni successivi a lunedì 27 gennaio).
Un giorno da non dimenticare il 27 gennaio (giorno dell’abbattimento, da parte delle truppe sovietiche che avanzavano verso Berlino, dei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz) per ricordare le leggi razziali in Italia (introdotte nel 1938 dal regime fascista e firmate dall’allora re d’Italia), la Shoah e le persecuzioni subite da tutti i deportati nei campi nazisti, anche da omosessuali, dai sinti e dai rom, da altre minoranze e dai deportati militari e politici. Ma la ricorrenza serve anche per ricordare il ruolo di coloro che si sono opposti al progetto di sterminio e a rischio della propria incolumità hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Nei giorni scorsi si è tenuto l’appuntamento del “viaggio della memoria” organizzato dal Miur e dall’Unione delle comunità ebraiche (Ucei) a Cracovia e Auschwitz-Birkenau, al quale hanno partecipato, accanto a rappresentanti delle Consulte studentesche, del Forum nazionale delle associazioni studentesche e di quello delle associazioni dei genitori della scuola nonché di altri alunni accompagnati da docenti che hanno preso parte ai progetti sul ricordo della Shoah, anche il ministro Maria Chiara Carrozza e il presidente del Senato Pietro Grasso nonché alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio: Sami Modiano e le sorelle Tatiana e Andra Bucci. Partendo dalla considerazione che “chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo”, il ricordo della Shoah rappresenta un monito per il presente ed il futuro, in un momento in cui affiorano nuovamente in Europa preoccupanti rigurgiti nazi-fascisti, e permette di far maturare nei giovani un’etica della responsabilità individuale e collettiva, dando un contributo alla promozione di una cittadinanza attiva e consapevole ed alla realizzazione di una pacifica convivenza, contrastando il pregiudizio e il razzismo. La scuola rappresenta il luogo più idoneo per trasmettere alle nuove generazioni l’importanza della memoria e per diffondere i valori contenuti nella Carta costituzionale e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo; gli istituti di ogni ordine e grado, pertanto, sono invitati ad organizzare cerimonie e momenti di riflessione al fine di mantenere vigile il ricordo per impedire che la tragedia del nazi-fascismo e gli orrori delle deportazioni e dell’Olocausto possano ripetersi. La “Fondazione Memoria della Deportazione” mette a disposizione nel proprio sito internet (come già evidenziato in altra notizia) alla pagina web http://www.deportati.it/static/pdf/libri/Dossier_Giorno_Memoria_09.pdf un opuscolo che può servire a studenti e docenti da introduzione al tema della deportazione nei lager nazisti. Un ulteriore contributo può essere colto attraverso i resoconti degli studenti che hanno partecipato al “viaggio della memoria” nel 2013 a Mauthausen, Hartheim e Gusen, pubblicati da “vivalascuola” alla pagina web http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2014/01/20/vivalascuola-160/ . Un forte impatto emotivo hanno gli incontri organizzati con persone che vissero quei tragici fatti e soprattutto le testimonianze dei sopravvissuti ai campi di sterminio o dei familiari di vittime delle persecuzioni. Ma possono essere organizzati anche semplici momenti di riflessione, magari proponendo nel contempo la lettura in classe di alcune pagine storiche e/o letterarie che rimandano a quei tragici eventi. Tra le varie iniziative fuori dalle aule, nel Museo di Roma in Trastevere, in Piazza S. Egidio, inaugurata la mostra “I Giovani ricordano la Shoah. Dieci anni di memoria attraverso le opere degli alunni delle scuole italiane”.  Da ricordare, infine, anche il progetto denominato “treno della memoria” (http://www.trenodellamemoria.net/# ), un percorso educativo che si articola in tre momenti: la prima fase è costituita da incontri con gli studenti coinvolti, realizzati generalmente nei mesi di ottobre, novembre e dicembre (ma in alcuni territori anche nei mesi successivi), su contenuti per lo più attinenti al periodo antecedente la II guerra mondiale, ad approfondimenti storici sulla II guerra mondiale, alla Shoah, alla Resistenza in Italia e in Europa; poi visita al ghetto ebraico di Cracovia e a al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau; infine, al ritorno dal viaggio vengono proposti altri incontri, stavolta su temateche attuali per riflettere sul significato di essere cittadini del nostro tempo. Il progetto del  “treno della memoria”, nato anni fa da un’idea dell’Associazione Terra del fuoco, coinvolge ormai diverse regioni italiane.

“Quota 96”: mandateci per assumere precari e giovani

da Tecnica della Scuola

“Quota 96”: mandateci per assumere precari e giovani
di Pasquale Almirante
Non si acqueta l’indignazione del personale della scuola rimasto nella rete della riforma Fornero sulle pensioni: oltre al diritto violato, costringete 4.000 persone, ormai demotivate e avanti con l’età, in classe, lasciando fuori i giovani che chiedono lavoro
Riparte l’offensiva del personale della scuola, docenti e Ata, “Quota 96” che, come è ormai noto, per effetto della legge Fornero sulle pensioni ha subito l’ingiustizia, rispetto al resto della P.A., di rimanere al lavoro, potendo usufruire della sola finestra di uscita legata all’anno scolastico e quindi al 31 agosto e non al 31 dicembre, come invece è stato strumentalmente sancito per costringerli al lavoro. Una macroscopica “svista” che sta penalizzando oltre 4.000 persone, censite dal Miur dopo un balletto di numeri che li avevano fatti arrivare a oltre 9000, per dimostrare che i costi a carico dell’Inps sarebbero stati esorbitanti. E finita pure la speranza di avere giustizia da parte della Corte costituzionale che, esprimendosi, non si è pronunciata sull’effettivo merito, ma solo sulle considerazioni del Giudice del Lavoro, ecco tornare in causa l’appello alla politica e in modo particolare al Pd che sembra voglia assumere nuovi impegni.  Il punto da mettere in chiaro, e che questo personale vuole di nuovo rappresentare ai dirigenti disponibili del Partito democratico, dopo, e pure in coincidenza con l’interesse appassionato di Manuela Ghizzoni e Mariangela Bastico, si sposta tuttavia dalle considerazioni di carattere giuridico e di legislazione, per entrare nel merito più intimo della faccenda e dentro la quale non sono esclusi i precari in attesa di sistemazione. Il punto infatti che questo personale vuole descrivere con più enfasi si lega a fatti oggettivi che rendono la nostra scuola, non sola la più vecchia d’Europa, ma anche quella attorno a cui ruota una gigantesca platea di precari, da anni in attesa di entrare in pianta stabile. Ma c’è pure un’altra questione che questo personale intende rappresentare, e non solo alla politica, quella cioè della demotivazione ormai, della sfiducia e della oggettiva impossibilità di accaparrarsi perfino, vista l’età, dell’utilizzo efficace delle nuove tecnologie. In altri termini, e per questo stanno partendo migliaia di E-Mail verso tutti i gruppi politici e i giornali a diffusione nazionale, vogliono denunciare che scelte sbagliate, seppure nate dall’esigenza di risparmiare, acquistano col tempo il valore opposto, proprio perché docenti ultra sessantenni si ritrovano costretti a fare una attività non più desiderata, mentre capiscono la loro incapacità a tenere classi numerose e a svolgere col dovuto impegno attività didattiche che pretendono invece forze fresche per entusiasmo ed energia. Alunni, in modo particolare, così come suggerisce Mila Spicola, di 5 anni, ma anche più piccoli, sono costretti a fare i “conti” con docenti di anche di 62 e 63 anni, mentre appunto “in Italia un giovane su due è disoccupato.” E sempre Spicola, ma è pure il buon senso a dirlo, aggiunge che “serve un patto di turn over generazionale, almeno nella scuola”, per dimostrare agli effetti pratici che questo governo, così come viene detto ripetutamente, è in grado di “rispondere alle sfide e ai bisogni della scuola di oggi”. Ed ecco un altro elemento di riflessione: saprà rispondere il governo? Riuscirà a capire, anche nella persona della ministra, che c’è un limite di età e un punto di arrivo oltre il quale è oggettivamente impossibile svolgere con la dovuta efficienza il lavoro nobile e altissimo dell’insegnamento?

La Flc ricorre al Tar contro la sperimentazione per ridurre un anno

da Tecnica della Scuola

La Flc ricorre al Tar contro la sperimentazione per ridurre un anno
di Pasquale Almirante
Ricorre al Tar il sindacato Flc-Cgil contro la sperimentazione, avviata già in alcune scuole pubbliche e private, della riduzione di un anno alle superiori, impugnando i decreti autorizzativi del Miur. Sperimentazione illegittima e carente sul piano organizzativo e didattico
Per cominciare la Flc ha chiesto pure un incontro urgente alla ministra, che fra l’altro si è pure espressa favorevolmente per consentire ai ragazzi di diplomarsi a 18 anni, e poi ha notificato al Tar Lazio il ricorso contro i decreti ministeriali che autorizzano un gruppo di scuole secondarie statali a sperimentare a partire dall’a.s. 2014/15 la riduzione del percorso di studi da cinque a quattro annualità. I motivi del ricorso alla giustizia sono per lo più noti ma Flc li ribadisce: queste sperimentazioni non sono fondate sul piano metodologico-didattico; le procedure sarebbero illegittime, mentre l’operazione si “configura come una mera abbreviazione del corso di studi realizzata al di fuori di un valido progetto formativo e di istruzione in grado di compensare il taglio di un anno”. “Inoltre i decreti impugnati risultano in contrasto con le indicazioni previste dal DPR 275/99 in materia di sperimentazione: manca il parere obbligatorio del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e non ci sono, né negli atti impugnati né altrove, i “criteri di corrispondenza” tra quanto sperimentato e l’ordinario corso di studi necessari ad attestare la “piena validità degli studi compiuti dagli alunni”. Preoccupato il sindacato di Pantaleo sulle ricadute occupazionali e ordinamentali, ha chiesto di interrompere le sperimentazioni, aprendo invece una fase di ascolto in grado di coinvolgere il mondo della scuola e le sue rappresentanze sindacali, professionali e studentesche. Ancora una volta tuttavia si assiste all’infelice fenomeno di affidare alla giustizia amministrativa la soluzione di nodi che invece la politica dovrebbe sciogliere, mentre si percepisce già, ricorso al Tar o meno, quale strada il Miur intende imboccare per tagliare un po’ di personale. Sarebbe il caso di discuterne, certamente, ma le posizioni in ogni caso rimarrebbero distanti fra chi perderebbe i posto e chi invece su quei posti intende ricavarne risorse.

K. Boo, Belle per sempre

L’arte dei poveri

di Antonio Stanca

booA Ottobre del 2013 dalla casa editrice Pickwick, Piemme Milano, è stato ristampato, con la traduzione di Cristina Prandella, il romanzo Belle per sempre (pp. 329, € 8,90) della statunitense Katherine Boo. L’edizione originale risale al 2012. Boo è nata a Washington nel 1964, ha cinquant’anni, è una giornalista affermata che dopo aver lavorato presso il The Washington Post lavora, adesso, per il The New Yorker. Diviso è da anni il suo impegno giornalistico tra gli Stati Uniti e l’India. Nel 2000 ha vinto il Premio Pulitzer per gli articoli dedicati alla difficile condizione dei malati di mente nei centri di ricovero e nel 2012 il Premio National Book Award  per il suddetto romanzo. E’ il suo primo, è un lavoro che deriva dalla lunga esperienza della Boo quale giornalista della moderna realtà indiana, è ambientato nell’India meridionale degli anni più recenti ed è volto a rappresentare le povere condizioni di vita degli abitanti di una baraccopoli sorta presso un importante aeroporto. Molte delle gravi situazioni descritte sono state viste, vissute direttamente dalla scrittrice, altre le sono state riferite da testimoni come lei stessa dichiara nella nota finale dell’opera. Di una triste realtà ha voluto scrivere riuscendo a trasformare in narrazione quelle che erano soltanto cronache. Con Belle per sempre la giornalista è diventata scrittrice dal momento che una trama ampia, complessa, variamente articolata ha ricavato da quanto visto o saputo. Un romanzo ha fatto della vita di quei poveri poiché la sua scrittura non è rimasta alla superficie di essa, a quanto avveniva all’esterno ma ha colto pure i pensieri, i sentimenti della folta umanità, uomini e donne, giovani e vecchi, bambini e adolescenti, che la costituiva, ha detto pure del suo spirito, della sua anima. Accanto alle gravi condizioni di povertà, di miseria scaturite dalla mancanza di lavoro, accanto al malcostume, alla malvivenza che ne erano derivati la Boo ha fatto rientrare la volontà, l’aspirazione a cambiare, a migliorare, le ha mostrate sentite, nutrite da chi a quella vita era costretto. Al bene, alla preghiera, a Dio ha mostrato capace di pensare, di credere chi doveva praticare il male, il valore dell’idea ha scoperto in una realtà che sembrava averlo perso per sempre, letteratura, arte ha fatto di ciò che era evento, contingenza. E tanto chiaro, tanto semplice è stato il linguaggio usato da coinvolgere il lettore fin dall’inizio anche perché incuriosito si sente dalle molte particolarità che ambienti, costumi, tradizioni come quelli indiani gli permettono di conoscere.

Vicina all’importante aeroporto di una grande città dell’India meridionale, di fronte al frenetico movimento, alla ricchezza, al lusso delle sue piste, dei suoi alberghi, della sua gente, si trova da tempo una baraccopoli che da quello è completamente diversa, a quello è opposta perché fatta di case di cartone, di lamiera, di rifugi improvvisati, abitati da persone senza lavoro, povere, da bambini malnutriti, malati. Essa è composta da molte parti, gli slum, tra le quali cambia la religione, a volte la lingua, ma che unite sono dal bisogno di sopravvivere, di resistere alla povertà, alla miseria, alla fame, alla malattia, alla morte. A volte quelle parti giungono a scontrarsi, a farsi  male tra loro poiché accecate, incrudelite dalle necessità. Queste non permettono di vivere se non rubando, vendendo, scambiando quanto rubato, evitando di essere scoperti poiché gravi sarebbero le punizioni. I più diffusi sono i furti, gli scambi, i commerci di immondizia, poi vengono quelli di materie plastiche, metalliche. L’aeroporto con i rifiuti delle tante sue persone, dei tanti suoi posti, con i materiali dei tanti suoi cantieri, è il luogo preferito dai ladri che sono soprattutto ragazzi e che rubano accompagnati, coperti dalle famiglie. Anche le ragazze partecipano di questa clandestinità ma esse vivono soprattutto in vista di un matrimonio da fare quanto prima e con chi viene scelto dalla famiglia. Torturate sono alcune di loro da simili condizioni e a togliersi la vita giungono. Per i ragazzi il calcolo dei modi, dei tempi, dei luoghi necessari ai loro furti è diventato più importante di ogni altro interesse compreso quello per la scuola, la strada è diventata il posto della loro vita. Della famiglia conoscono solo i bisogni e si assumono l’obbligo di soddisfarli.

Di una realtà così grave, così intricata, la Boo offre, nell’opera, una completa rappresentazione. Intorno a poche figure centrali fa muovere tutte quelle della baraccopoli, mediante alcune vicende dice di tutte le altre.

Vasto, immenso è il quadro composto dalla scrittrice. Infinita è la realtà da lei rappresentata senza rinunciare a mostrarla percorsa da un’idea che ad altro tende, altro vorrebbe, senza separare la materia dallo spirito, il corpo dall’anima, la vita dall’arte.

Diplomarsi con successo a 18 anni

Decisamente avanti

Diplomarsi a 18 anni con successo – seminario a Montecitorio

La storica sala del Mappamondo al Palazzo Montecitorio ha ospitato un seminario di studio dal titolo: ‘Diplomarsi con successo a 18 anni’.

L’iniziativa promossa dall’On. Milena Santerini del gruppo “Popolari per l’Italia”, membro della VII commissione Istruzione alla Camera dei Deputati, ha avuto un notevole successo, anche per la partecipazione degli studenti di alcune scuole interessate alla sperimentazione, condivisa dal Ministro Maria Chiara Carrozza, la quale ha partecipato ai lavori esponendo una chiara visione di scuola, capace di guardare al futuro e preparare gli studenti alla professione e al lavoro, educandoli al cambiamento, alla ricerca, alla creatività e al confronto con le esperienze degli altri Paesi.

La constatazione che la scuola occupa un posto marginale nella vita del Paese, mentre ne costituisce l’anima e la linfa vitale sollecita una puntuale revisione del sistema che si alimenta d’innovazioni e di sperimentazione per mettere “la scuola al centro”.

La motivazione principale del Liceo in quattro anni s’indirizza verso la ricerca di una migliore qualità dell’istruzione che ben coniuga economicità ed efficienza nella prospettiva degli orizzonti internazionali, superando anche le altre motivazioni che fanno riferimento all’equiparazione del sistema scolastico italiano ai modelli europei che prevedono 12 anni di scuola anziché 13, e che la riduzione di un anno di scuola produce un risparmio per la spesa pubblica.

Aiutare gli studenti a guardare il futuro, a scoprire e valorizzare i propri talenti, a misurarsi rispetto alle competenze acquisite da spendere in una società multiculturale e aperta all’internazionalizzazione, è certamente un grande impegno che coinvolge l’intero sistema scolastico e che attraverso il progetto definito “Liceo breve”, coinvolge studenti e docenti nella sfida di una sperimentazione innovativa.

La “sperimentalità” nella scuola, ha detto Luisa Ribolzi, dell’Università di Genova, dovrebbe essere il metodo specifico e peculiare del “fare scuola” e va ben oltre i molteplici tentativi di modifica degli ordinamenti e delle strutture impiantistiche dell’organizzazione del sistema scolastico, spesso frenate, rallentante o fallite, per  aver dato maggiore attenzione alla quantità delle materie, delle ore, delle cattedre, anziché alla qualità del processo formativo.

Puntuali ricerche confermano che i tempi di apprendimento non dipendono dal “ tempo scuola” e che gli esiti scolastici non sono corrispondenti e correlati al tempo trascorso sui banchi di scuola, bensì alle metodologie adottate ed alle competenze acquisite.

 “La cultura è tutto ciò che rimane dopo che è passato il marasma della scuola” si legge nell’Enciclopedia e una massima di saggezza afferma che “il tempo è necessario per far maturare le nespole e non le teste degli uomini”.

“Passare dal paradigma delle conoscenze a quello delle competenze” ha detto l’on. Santerini, costituisce la scommessa della scuola italiana che ha necessità di meglio modulare l’azione didattica nell’intero ciclo dell’istruzione e non solo dell’ultimo anno.

La proposta del Liceo in quattro anni, che non vuol dire fare le stesse cose in minor tempo, bensì riformulare gli obiettivi e costruire percorsi di competenze adeguati ai bisogni degli studenti, mediante piani di studio personalizzati, trova giustificazione anche alla luce degli esiti positivi ottenuti nei Paesi, dove da decenni viene adottato con successo tale modello organizzativo e la riduzione di un anno curriculare ha prodotto un ripensamento del curricolo e positivi benefici all’intero ciclo formativo.  Gli studenti al termine del percorso risultano meglio formati e più consapevoli delle scelte future. L’esperienza della scuola canadese nell’Ontario, citata da Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli di Torino, incoraggia e favorisce il progetto e consente di rimodulare la gerarchia delle motivazioni che lo giustificano. Non sono, infatti, solo motivazioni di risparmio o di allineamento al sistema europeo, bensì diventano vere priorità: il ripensamento interno dei saperi e la revisione del sistema formativo nell’ottica di una migliore qualità.

Rendere gli studenti  protagonisti del cammino formativo  costituisce l’obiettivo primario e come ha detto il Prof. Giuseppe Colosio, ex direttore generale dell’USR Lombardia, collaboratore del “G. Carli” di Brescia, “sono  proprio gli studenti  i veri titolari del progetto, perché pienamente coinvolti nel percorso formativo  e nelle scelte che man mano vengono effettuate”

Conseguire il “successo” significa dare agli studenti l’opportunità di realizzare al meglio le proprie aspirazioni e se tutto ciò potrà avvenire in 18 anni ben venga. Conseguire la meta e raggiungere il traguardo in anticipo sono l’aspirazione di tutti i campioni. Premiare chi è più dotato e stimolare maggiori interessi tra gli studenti, attori nella vita scolastica, è certamente una nota di qualità, che non sempre trova applicazione.

Non mancano le perplessità, i dubbi, le incertezze e le difficoltà nell’attuazione del progetto, ma l’entusiasmo di coloro che sono stati pionieri nel progetto danno sicurezza e speranza.

Le riflessioni dei proff. Paolo Ferratini di Bologna, Pietro Bosello di Varese, e del preside Paolo Mazzoli di Roma, membro della segreteria del Sottosegretario Rossi Doria, hanno contribuito alla definizione del progetto e alle possibili soluzioni circa gli esiti e gli sviluppi della scuola italiana, per meglio utilizzare i docenti che sarebbero in esubero a causa della riduzione di posti. Rimane primaria la necessità di offrire nuove opportunità formative agli studenti nel quinto anno-ponte per l’Università o per l’inserimento nel mondo del lavoro.

Confermano la bontà del progetto, le testimonianze dei tre istituti paritari già avanti nella sperimentazione: “Collegio San Carlo” di Milano, (liceo internazionale per l’intercultura) “Guido Carli” di Brescia, (liceo internazionale per l’impresa) “Olga  Fiorini” di Busto Arsizio, (liceo internazionale per l’innovazione) dove i primi risultati conseguiti confermano  migliore qualità formativa, motivazione e impegno tra gli studenti,  ricerca innovazione  metodologica tra i docenti. Positive risultano, inoltre, le attese degli istituti statali: “Tosi” di Busto Arsizio, “Anti” di Verona e “Majorana” di Brindisi che inizieranno nel 2014-2015, insieme al Liceo paritario “Don Bosco” di Catania che intende associarsi all’innovazione.

Ecco, quindi,  avviato il percorso di un progetto innovativo che merita di essere messo in atto, con i dovuti controlli e monitoraggi da parte del Ministero, così da essere sempre più migliorato nell’attuazione, efficiente e coerente con le intenzionalità  degli obiettivi e la qualità dei risultati attesi.

S. Arbia, Mentre il mondo stava a guardare

L’Istituto Comprensivo di Bella e i “ Giorni della memoria”

di Mario Coviello

Per il decimo anno consecutivo l’Istituto Comprensivo di Bella partecipa ai “ Giorni della memoria” che l’Amministrazione Comunale  organizza in collaborazione anche con la Provincia di Potenza e l’Associazione Filemone. Da quando  è stata istituita la legge che ha stabilito di dedicare il 27 gennaio di ogni anno al ricordo della Shoah gli alunni della scuola di Bella, guidati dai loro insegnanti , hanno studiato  gli anni dal 1939 al 1945, il fascismo e il nazismo perché solo la memoria può aiutare affinchè questi orrori non si ripetano.

Quest’anno i giorni della memoria vogliono approfondire i temi dell’antisemitismo, genocidio e razzismo di ieri e di oggi con la presentazione di un libro, un convegno sulla scuola per tutti e per ciascuno, la proiezione di due film e concerti e video preparati dai ragazzi della scuola elementare e media di Bella e del  Liceo Musicale di Potenza.

mentre il mondo 9788852021527Si comincia domenica 26 gennaio, alle ore 17,00, nella sala consiliare, con la presentazione del libro di Silvana Arbia “ Mentre il mondo stava a guardare”, Mondadori editore.

Gli alunni delle terze medie, guidati dalle docenti Paterna Franca e Cianciotta Maria Teresa hanno letto il libro, preparato un video che si intitola “Rwanda “, la terra d’Africa  del  genocidio del 1994 nella quale  in poche settimane persero la vita circa 800.000  tutsi ad opera degli hutu , e scelto brani del libro che leggeranno ad alta voce durante la presentazione del libro per porre domande all’autrice. Silvana Arbia, nata a Senise il  19 novembre 1952, è una giurista italiana,che ricopre dal 2008 l’incarico di cancelliere della Corte Penale Internazionale dell’Aja.  E’ una delle persone più temute dai criminali di guerra e dai grandi ricercati internazionali.  Ha lavorato per nove anni  da procuratore, in prima linea. Questo incarico l’ha portata nelle zone più pericolose dell’Africa, dove ha incontrato autori di efferati crimini contro l’umanità. Come Pauline Nyiramasuhuko, ministro della Famiglia in Ruanda e prima donna accusata di stupro contro l’umanità, o il sacerdote Athanase Seromba, responsabile del massacro di duemila tutsi nella sua stessa chiesa.  “ Mentre il mondo stava a guardare “ è una testimonianza drammatica e preziosa che ci racconta da un punto di vista assolutamente unico alcune spaventose violenze di massa, oggi spesso dimenticate, dando voce alle vittime dei genocidi, analizzando come agiscono i più feroci carnefici, e spiegando perché molti Stati spesso intralciano l’azione della giustizia. Raccontandoci la sua esperienza professionale e di vita, Silvana Arbia ci offre uno straordinario esempio della battaglia civile per la ricerca della verità.

Alla domanda “ Perché ha scritto questo libro ? “ il magistrato ha risposto : “Perché in Rwanda nel 1994 si è consumato un genocidio, che, contrariamente a quello consumatosi in Europa prima della mia nascita, tra la fine della terza decade e gli inizi della quarta decade del 1900,  si è perpetrato sotto gli occhi di molti me compresa.  Dal punto di vista umano e personale, ho pensato che la funzione di  procuratore internazionale era l’unica occasione per cercare di comprendere le ragioni remote che hanno permesso ad essere umani di radicalizzare il conflitto etnico al punto da adottare come soluzione ultima, l’eliminazione di tutti i membri di un gruppo etnico siano essi nati o nascituri. In breve una fortissima ambizione di essere tra coloro che accusano in nome della comunità internazionale i responsabili del crimine dei crimini.”

La scuola pubblica italiana ha bisogno di questi esempi per formare le giovani generazioni.