Rinviati gli adempimenti relativi all’AVCP

Rinviati gli adempimenti relativi all’AVCP

Sul sito Intranet del Ministero è apparsa, nel corso del pomeriggio, la seguente notizia-flash:

“In merito agli adempimenti previsti dalla Deliberazione AVCP n. 26 del 22 maggio 2013, si comunica che per le istituzioni scolastiche è in corso di rinvio a data successiva il termine già fissato al 31 gennaio 2014. Con successiva nota sarà indicato il termine ultimo per l’adempimento”.

Libri in 78 lingue per i bambini disabili: mostra a Bologna

Libri in 78 lingue per i bambini disabili: mostra a Bologna

Tattili, con simboli Pcs o Lis, con caratteri ad alta leggibilità: un panorama vastissimo perché ogni bambino disabile trovi quello che fa per lui. La raccolta ‘Outstanding Books for young People with Disabilities’ di Ibby sarà esposta in Salaborsa fino all’1 marzo

da Il Redattore Sociale
31 gennaio 2014 – 16:05

BOLOGNA – Libri in 78 lingue, sui più vari supporti audio e visivi, a cui si aggiunge una collezione di libri tattili, testi con simboli Pcs, in Lis, con caratteri ad alta leggibilità. Perché tutti, entrando nella Biblioteca Salaborsa Ragazzi, possano trovare storie che rispondano perfettamente ai proprio bisogni. Nasce così “Outstanding Books for young People with Disabilities”, una mostra sull’editoria internazionale dedicata a bambini e ragazzi con disabilità. La raccolta esposta in Salaborsa fino al primo marzo, non comprende tutto quello che c’è in commercio, ma aiuta a prendere coscienza dell’estrema varietà del panorama editoriale. Qualcuno potrebbe scoprire nuove frontiere (e nuovi strumenti) di lettura e, partendo da lì, andare a cercare nuove e inaspettate risorse fuori dalla biblioteca.

Molti dei libri della raccolta sono solitamente utilizzati durante laboratori con le scuole, nelle letture ad alta voce per il pubblico e nei corsi d’informazione. Spesso, sono opere realizzate artigianalmente, con materiali scelti con passione. Ogni dettaglio è tratteggiato con attenzione: dalla rilegatura alla grafica; dalla leggibilità dei caratteri alla cura affinché ogni tipo di lettore possa realmente sfogliare le pagine; dalle soluzione narrative non banali alla chiarezza con cui la trama si alimenta dell’esperienza tattile e visiva. I libri, della cui esistenza spesso i bimbi disabili e le loro famiglie non sono a conoscenza, possono essere portati a casa in prestito, come in una normale biblioteca. Alcuni sono messi a disposizione dal progetto nazionale “A spasso con le dita”, che dal 2010 si occupa di realizzare e distribuire gratuitamente libri tattili a biblioteche pubbliche, ospedali pediatrici e istituzioni culturali.

‘Outstanding Books for young People with Disabilities’ è una raccolta di IbbyItalia, costola italiana di Ibby – International Board on Books for Young People, organizzazione no-profit fondata in Svizzera nel 1953. Si tratta di una rete internazionale di persone di più di 70 Stati impegnate a favorire l’incontro tra libri, bambini e ragazzi. A livello internazionale promuove il diritto dei più giovani alla lettura, creando ovunque l’opportunità di accedere a libri di alto livello letterario e artistico e incoraggiando la pubblicazione e la distribuzione di testi di qualità per bambini soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. (ambra notari)

31 gennaio Riorganizzazione MIUR e PNR in CdM

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 31 gennaio, ha approvato un regolamento per la riorganizzazione del MIUR, in conformità con quanto disposto dal decreto legge in materia di revisione della spesa pubblica (n.95 del 2012)


Regolamento di organizzazione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

A seguito della riduzione del 20%, la nuova dotazione organica degli uffici dirigenziali generali viene ridotta da 34 a 27 posti, con una contrazione di n. 7 posti di dirigente di I fascia. La riduzione dei n. 7 uffici dirigenziali generali si realizza attraverso due diverse azioni:

  • la soppressione di n. 3 direzioni generali in seno all’amministrazione centrale, una per ciascun dipartimento;
  • la direzione, da parte di dirigenti non generali, degli Uffici scolatici regionali con una popolazione studentesca inferiore a n. 150.000 unità, e cioè l’Ufficio scolastico regionale per il Molise (42.000 studenti), l’Ufficio scolastico per la Basilicata (84.000 studenti), l’Ufficio scolastico regionale per l’Umbria (119.000 studenti), l’Ufficio scolastico regionale per il Friuli-Venezia Giulia (145.000 studenti).

Per quanto riguarda gli uffici dirigenziali di livello non generale, la  riduzione della dotazione organica è stata superiore al 20%, a causa di compensazioni orizzontali (operate dal Funzione Pubblica) e verticali (con enti di ricerca), adottate sulla base della direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione n. 10/2012. Pertanto la nuova dotazione organica degli uffici dirigenziali di livello non generale viene ridotta da 544 posti a 413 posti – di cui 191 dirigenti tecnici e 222 dirigenti amministrativi – con una contrazione di n. 131 uffici.

Relativamente al personale di livello non dirigenziale, per effetto della riduzione della spesa pari al 10% di cui al sopraccitato decreto legge, cui si sono aggiunte compensazioni verticali e orizzontali, la nuova dotazione organica dei posti non dirigenziali passa da 7.034 posti  a 5.978 unità, con una contrazione di 1056 posti corrispondenti ad un risparmio (pari ad euro 34.958.508).
La dotazione organica complessiva del personale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sarà, dunque, complessivamente pari a 6.418 unità:

  • 27 dirigenti di I fascia
  • 413 dirigenti di II fascia
  • 2.490 unità di Area III
  • 3.144 unità di Area II
  • 344 unità di Area I

Il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha presentato al Consiglio dei ministri il Piano Nazionale per la Ricerca (PNR) 2014-2020.

Il nuovo PNR, che si vuole trasformare da triennale a settennale (2014-20) per allinearsi con il Programma Quadro europeo Horizon 2020, si pone come obiettivo:

  • rilanciare la ricerca in Italia;
  • avviare Grandi Progetti Nazionali di innovazione;
  • creare nuova occupazione;
  • favorire la crescita dell’autonomia dei nostri ricercatori e il trasferimento non solo di tecnologie e brevetti, ma anche di competenze, all’interno di una cornice Paese.

È il frutto di una consultazione molto ampia portata avanti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico, che sta coinvolgendo tutti gli stakeholder maggiori, pubblici e privati, centrali e regionali, raccogliendo finora 2.145 manifestazioni di interesse. Il Programma è il risultato quindi di un grande impegno di ascolto, coordinamento e internazionalizzazione e punta a definire un sostanziale cambio di rotta rispetto alle politiche degli ultimi anni, con l’obiettivo di rimettere il sistema della ricerca al centro dei meccanismi di creazione di ricchezza culturale, sociale ed economica del Paese.
Il Programma identifica un piano d’azione attento alle sfide maggiori che la società contemporanea propone, identificate a livello comunitario, e al tempo stesso frutto di una declinazione nazionale di quelle sfide, che emerge dalla strategia di specializzazione intelligente dei territori. Le sfide individuate sono undici:

  • Scientific and cultural progress;
  • Health, demographic change and wellbeing;
  • European Bio-economy Challenges;
  • Secure, clean and efficient energy;
  • Smart, green and integrated transport;
  • Climate action, resource efficiency and raw materials;
  • Europe in a changing world – inclusive, innovative and reflective societies;
  • Space and astronomy;
  • Secure societies – protecting freedom and security of Europe and its citizens;
  • Restoring, preserving, valuing & managing the European Cultural Heritage, Creativity;
  • Digital Agenda.

Tre sono gli assi prioritari sui quali il Programma si muove: a) lo sviluppo e l’attrazione di capitale umano altamente qualificato, da inserire nel tessuto produttivo del Paese; b) l’identificazione di un numero limitato di importanti progetti tematici (con il corredo delle rispettive infrastrutture) a forte impatto sul benessere dei cittadini; c) la promozione, anche attraverso il trasferimento di conoscenza e competenze, della capacità d’innovare e di competere da parte del sistema delle imprese, in particolare delle piccole e piccolissime.
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, prevede di investire circa 900 milioni di euro l’anno (6,3 miliardi in 7 anni) per la realizzazione del Programma. A questi si aggiungeranno le risorse destinate al PNR dagli altri Ministeri o Enti finanziatori.
Entro 60 giorni dall’approvazione del PNR da parte del CIPE, verranno costituiti dei Comitati di Programma (CP) specifici per ciascuna linea di intervento, formati da rappresentanti dei principali enti pubblici e privati partecipanti a quell’intervento, in primo luogo le Regioni, che ne definiranno linee guida e programmi.

—–

Programma Nazionale per la Ricerca presentato in Cdm

(Roma, 4 febbraio 2014) Il Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, ha presentato in Consiglio dei Ministri il Programma Nazionale della Ricerca. Rilanciare la ricerca in Italia, avviare Grandi Progetti Nazionali di innovazione, creare nuova occupazione, favorire la crescita dell’autonomia dei nostri ricercatori e il trasferimento non solo di tecnologie e brevetti, ma anche di competenze, all’interno di una cornice Paese. Sono alcuni dei grandi obiettivi del Pnr. La durata del Programma nazionale verrà estesa da 3 a 7 anni per allineare l’Italia con il Programma Quadro europeo Horizon 2020. L’investimento complessivo del Miur è di 6,3 miliardi di euro su 7 anni, 900 milioni all’anno.

Un finanziamento che crescerà attraverso la collaborazione con gli altri partner istituzionali interessati. “Per la prima volta – ha spiegato Carrozza – tutti i Ministeri si coordineranno per dare vita al Programma”. Si sovrappongono a quelli di Horizon 2020 anche gli 11 temi identificati nel Piano Nazionale: dal progresso scientifico alla salute, dalla bioeconomia al clima, dallo spazio e l’astronomia all’agenda digitale.

“L’obiettivo – ha aggiunto il Ministro – è rilanciare la ricerca italiana e darle la capacità di attrarre capitale umano qualificato, al quale poter offrire la prospettiva di una pianificazione settennale”. Il Pnr, ha sottolineato il Ministro, nasce dalla consultazione molto ampia degli stakeholder interessati, realizzata in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo economico. Sono già oltre duemila le manifestazioni di interesse arrivate dalle istituzioni e dai privati consultati. Entro 60 giorni dall’approvazione del Pnr da parte del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) verranno costituiti dei Comitati di Programma specifici per ciascuna linea di intervento.

Ricerca: Carrozza presenta PNR in Consiglio dei Ministri
Dal Miur investimenti per 900 milioni l’anno

(Roma, 31 gennaio 2014) Rilanciare la ricerca in Italia, avviare Grandi Progetti Nazionali di innovazione, creare nuova occupazione, favorire la crescita dell’autonomia dei nostri ricercatori e il trasferimento non solo di tecnologie e brevetti, ma anche di competenze, all’interno di una cornice Paese.

Sono alcuni degli obiettivi del nuovo Programma Nazionale per la Ricerca (PNR), che è stato illustrato oggi in Consiglio dei Ministri dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza.
Il nuovo PNR, che si vuole trasformare da triennale a settennale (2014-20) per allinearsi con il Programma Quadro europeo Horizon 2020, è il frutto di una consultazione molto ampia portata avanti dal MIUR in collaborazione con il MISE, che sta coinvolgendo tutti gli stakeholder maggiori, pubblici e privati, centrali e regionali, raccogliendo finora 2.145 manifestazioni di interesse. Il Programma è il risultato quindi di un grande impegno di ascolto, coordinamento e internazionalizzazione e punta a definire un sostanziale cambio di rotta rispetto alle politiche degli ultimi anni, con l’obiettivo di rimettere il sistema della ricerca al centro dei meccanismi di creazione di ricchezza culturale, sociale ed economica del Paese.
Il Programma identifica un piano d’azione attento alle sfide maggiori che la società contemporanea propone, identificate a livello comunitario, e al tempo stesso frutto di una declinazione nazionale di quelle sfide, che emerge dalla strategia di specializzazione intelligente dei territori. Le sfide individuate sono 11:

  • Scientific and cultural progress
  • Health, demographic change and wellbeing
  • European Bio-economy Challenges
  • Secure, clean and efficient energy
  • Smart, green and integrated transport
  • Climate action, resource efficiency and raw materials
  • Europe in a changing world – inclusive, innovative and reflective societies
  • Space and astronomy
  • Secure societies – protecting freedom and security of Europe and its citizens
  • Restoring, preserving, valuing & managing the European Cultural Heritage, Creativity
  • Digital Agenda

Tre sono gli assi prioritari sui quali il Programma si muove: a) lo sviluppo e l’attrazione di capitale umano altamente qualificato, da inserire nel tessuto produttivo del Paese; b) l’identificazione di un numero limitato di importanti progetti tematici (con il corredo delle rispettive infrastrutture) a forte impatto sul benessere dei cittadini; c) la promozione, anche attraverso il trasferimento di conoscenza e competenze, della capacità d’innovare e di competere da parte del sistema delle imprese, in particolare delle piccole e piccolissime.

Il MIUR prevede di investire circa 900 milioni di euro l’anno (6,3 miliardi in 7 anni) per la realizzazione del Programma. A questi si aggiungeranno le risorse destinate al PNR dagli altri Ministeri o Enti finanziatori.

Entro 60 giorni dall’approvazione del PNR da parte del CIPE, verranno costituiti dei Comitati di Programma (CP) specifici per ciascuna linea di intervento, formati da rappresentanti dei principali enti pubblici e privati partecipanti a quell’intervento, in primo luogo le Regioni, che ne definiranno linee guida e programmi.

Maestre e maestri con bussola

MAESTRE E MAESTRI CON BUSSOLA

di Umberto Tenuta

Non una guida ma una bussola per orientarsi nelle quotidiane attività educative!

 

Quella delle Maestre e dei Maestri non è una professione, una delle tante professioni, ma è un’arte, l’arte forse più difficile tra quelle che l’uomo ha mai esercitato, comprese quelle della pittura, della scultura, della musica, della danza, della poesia…

Non è una professione, perché per qualsiasi professione esistono regole, procedure, indicazioni, normative. Il falegname sa come si sega il legno, come lo si incastra, come lo si vernicia. Il meccanico sa come si tempra il ferro, come si salda, come si forgia.

Per tutte le professioni ci sono regole, procedure, manuali.

Anche per i maestri qualche sprovveduto ha pensato e pensa di predisporre delle guide, guide per l’insegnamento della lingua italiana, guida per l’insegnamento della matematica, guida per l’insegnamento della geografia, guida per l’insegnamento della storia, della scuola primaria, della scuola secondaria di primo grado, della scuola secondaria di secondo grado. In fascicoli, in volumi, cartacei e digitali, quotidiani, settimanali, quindicinali, mensili, annuali: ad ognuno secondo i suoi gusti e le sue tasche.

Oddio, oggi, pure in piena crisi finanziaria, questo è un mercato che non mostra cedimenti, un mercato florido, con impennate a inizio di anno scolastico, sempre senza mai crisi!

 

Qual è il presupposto di queste guide?

Gli studenti sono lavorati in serie, da una sola ditta, quella materna, di tutte le mamme d’Italia…

Ma non dice ogni mattina la maestra: oh specchio, mio bello specchio, come me non c’è nessuna!

E non ha cantato Pino Daniele: <<Ogni scarrafone è bello a mamma soja>>?

Oh maestre, ve ne siete accorte anche voi e avete imposto il grembiule con fiocco uguale per tutto i vostri alunni, diversi solo per i maschi e per le femmine, onde evitare confusioni, pericolose in questi tempi.

E allora, se i nostri figli e se i nostri studenti sono l’uno diverso dall’altro, ciascuno unico, irripetibile, solo tra i sette miliardi di esseri umani che popolano la terra. come lo siamo tutti noi, tutti, maestre e maestri, quale guida possiamo adottare che sia valida per ciascuno dei nostri venticinque studenti?

Non possiamo parlare la stessa lingua per tutti i nostri interlocutori, per il medico e per l’amica, per il falegname e per la zia…

Unicuique suum!

Allora, mica non possiamo più raggruppare gli studenti per classi, per aule?

Mica non possiamo più tenere lezioni ben preparate con le nostre costose guide?

Mica, dopo che tanta fatica che abbiamo fatto per seguire i corsi sulle beneamate LIM, ora non possiamo più usarle per illustrare la differenza tra i PERIMETRI e le AREE a tutta la scolaresca, a tutti gli studenti ordinatamente e silenziosamente seduti nei loro banchi a otto posti delle ben famose cattedrali medioevali?

Mica non possiamo più adottare i libri di testo uguali, se non per tutte le sezioni, almeno per le singole scolaresche di 25 alunni?

Mica… mica… mica…

Ma, oh Maestra dai riccioli biondi e dagli occhi verdi, alta e avvenente, mica stamattina, hai incontrato una tua sosia?

Mica non hai in classe studenti con nomi diversi, e non solo nomi, anche se si tratta di gemelli omozigoti?

Allora, ma che dite?

Dobbiamo forse preparare e recitare venticinque lezioni, l’una diversa anche nella durata per ciascuno dei nostri venticinque studenti?

Ma se non ce la facciamo nemmeno a preparare una sola lezione alla scolaresca, come facciamo per venticinque studenti?

Tranquille, o maestre!

Tranquilli, o maestri!

A scuola non fate più lezioni!

Non esponete le vostre conoscenze, non le chiarite, non le riassumete.

A scuola non ci saranno più scolaresche, non ci saranno più classi, non ci saranno più sezioni…!

Oddio, ma allora sarà il Caos!

Nell’esercito ci sono i plotoni, le compagnie, i battaglioni?

Sì!

Ma la scuola non è l’esercito.

Nella scuola vengono i figli di mamma che, come sappiamo, son tutti diversi l’uno dall’altro, tutti belli come nessun altro, tutti diversi in tutto: nasi diversi, occhi diversi, orecchie diverse, fronti diverse, lingue diverse…

Nella scuola ci sono carte di identità!

Ci sono fascicoli personali dei singoli alunni!

 

E allora, allora, allora, diteci voi!

Calma!

L’operazione non è semplice, ma è possibile, come sono possibili le le singole operazioni chirurgiche, una diversa dall’altra, con terapie diverse l’una dall’altra, in ospedali specializzati, diversi l’uno dall’altro.

Basta organizzare diversamente il lavoro.

Non più attività di insegnamento, svolte da docenti, ma attività di apprendimento necessariamente svolte dai singoli studenti, seppure lavorando cooperativamente, come peraltro avviene per ogni intervento chirurgico , nel quale sono impegnati anestesista, cardiologo, chirurgo, infermieri ecc.

Cooperative learning, Team teaching, Team learning!

Chissà quante volte letti e studiati.

Adottiamoli, ora e non domani!

Ma, soprattutto, sostituiamo le lezioni con il Problem solving!

Nulla noi impariamo se non l’abbiamo scoperto, riscoperto, sulla nostra pelle.

Non sappiamo cosa è la gioia, se non l’abbiamo mai sentita.

Non sappiamo cosa è il dolore, se non l’abbiamo mai sentito.

Sappiamo solo quello che abbiamo scoperto, vissuto, sperimentato, sofferto, patito, gioito, gustato, assaporato, annusato, toccato, visto con i nostri occhi!

E, perciò, una sola cosa non possiamo sapere mai: cosa è la morte!

I bambini e le bambine nascono affamati di latte materno, e le mamme amorose porgono loro i propri capezzoli.

I bambini e le bambine nascono con l’irrefrenabile voglia di muoversi, di toccare, di ascoltare, di assaporare: e le madri amorose li accontentano e non li tengono più nelle obbrobriose fasce.Fasce che peraltro i bambini imparavano presto a sfasciare.

Nascono i figli di donna assetati di latte e di saperi!

Lasciamoli bere e lasciamoli esplorare l’universo mondo umano, animale, vegetale, minerale, terrestre e celeste che si squaderna dinnanzi a loro.

Lasciamoli fare di persona tutte le umane esperienze delle loro madri e dei loro padri: toccare, assaporare, annusare, ascoltare, percepire ogni cosa che il disio miri.

Abbiamo liberato i bambini dalle fasce, liberiamoli dalle classi e trasformiamo le aule in laboratori di esperienze personali!

Abbiamo imposto ai padri di non usare più i bastoni con i loro figli. Bastone che peraltro amorevolmente veniva poi mitigato dalla carota!

Non usiamo più nemmeno noi i bastoni dei voti!

Abbiamo abolito nelle scuole, come quelle della mia infanzia, le staffile ed i ceci sotto i ginocchi, dietro la lavagna.

Liberiamo i nostri giovani studenti dei voti punitivi, dei rimproveri mortificatori, della mortalità scolastica.

Creiamo la scuola della gioia di imparare, di apprendere, di crescere, di diventare adulti!

Non dobbiamo fare di più, noi.

Dobbiamo solo imparare a tacere, lasciando che siano i giovani studenti a riscoprire, a reinventare, a ricostruire l’intero patrimonio dell’umano sapere, saper fare, saper essere.

 

Ma qualche orientamento, qualche bussola pure ci vuole per realizzare questa rivoluzione?

Sì, eccoli:

 

CONFUCIO:

Se ascolto, dimentico

Se vedo, ricordo

Se faccio, capisco

 

Piaget

<<L’intelligenza è un sistema di operazioni… L’operazione non è altro che azione: un’azione reale, ma interiorizzata, divenuta reversibile. Perché il bambino giun-ga a combinare delle operazioni, si tratti di operazioni numeriche o di operazioni spaziali, è necessario che abbia manipolato, è necessario che abbia agito, sperimentato non solo su di-segni ma su un materiale reale, su oggetti fisici…>>[1].

 

BRUNER:

<<Se è vero che l’abituale decorso dello sviluppo íntellettuale procede dalla rappresentazione attiva, attraverso quella iconica, alla rappresentazione simbolica della realtà, è probabile che la migliore progressione possibile seguirà la stessa direzione>>[2].

 

TOMMASO D’AQUINO

<<vi è un doppio modo di acquistare la scienza: uno quando la ragione naturale da se stessa giunge alla conoscenza di cose ignote, e questo modo si chiama invenzione; l’altro quando la ragione naturale viene aiutata da qualcuno dall’esterno, e questa maniera si chiama dottrina (insegnamento). In ciò in vero che viene prodotto dalla natura e dall’arte, l’arte procede allo stesso modo e con gli stessi mezzi che la natura. Come infatti la natura guarirebbe riscaldando chi soffre di frigidezza, così fa pure il medico; per cui si dice che l’arte imita la natura. Il simile accade anche nell’acquisto della scienza: il docente cioè conduce altri alla scienza di cose ignote allo stesso modo che uno, scoprendo, conduce se stesso alla conoscenza di ciò che ignora>>[3]

 

E, per riassumere:

CLAYTON

<<si può tracciare il seguente modello dell’attività dell’insegnante:

Egli:

1. determina i risultati auspicati;

2. esamina lo scolaro e valuta il suo livello effettivo di apprendimento;

3. specifica gli obiettivi dell’insegnamento alla luce dei punti 1) e 2);

4. seleziona le informazioni, i temi di studio e mette a punto i metodi;

5. impegna lo scolaro in attività che presume lo portino all’apprendimento;

6. dirige e guida le attività di apprendimento;

7. crea situazioni che permettano di utilizzare gli apprendimenti acquisiti;

8. valuta i risultati del processo>>[4]

 

Ma, attenzione, Dirigenti scolastici ed Onorevole Ministra Carrozza!

Vedete!

Una cosa è scopiazzare di qua e di là −anche su INTERNET− una bella lezione, e una cosa diversa è predisporre gli ambienti di esplorazione, di ricerca, di elaborazione di significati, di concetti, di simboli…!

Una cosa è decretare il silenzio assoluto della scolaresca ed un’altra cosa è sopportare il brusio dei giovani studenti che manipolano oggetti concreti, realtà aumentate, icone e simboli!

Se i Maestri tacciono, il loro compito diventa più impegnativo e quindi più meritevole di riconoscimenti, anche economici, sia ben chiaro!

 

Ma, o generose Maestre, o generosi Maestri, non aspettate che i Dirigenti e l’Onorevole Ministra vi diano i riconoscimenti che vi spettano.

Fateveli ri-conoscere!

 

 

[1] PIAGET J., Avviamento al calcolo, la Nuova Italia, Firenze, 1956, p. 31

[2] BRUNER J.S., Verso una teoria dell’ístruzione, Arnando, Roma, 1967, p. 85.

[3] TOMMASO D’AQUINO (a cura di M. Casotti), De magistro, La scuola, Brescia, 1957, p 28.
[3] CLAYTON T.E., Insegnamento e apprendimento, Martello, Milano, 1967, p. 14.

 

Disabilità, il nodo dell’accertamento

Disabilità, il nodo dell’accertamento: le tre vie di una riforma necessaria

C’è chi vorrebbe passare tutto a regioni e Asl e chi spinge per lasciare all’Inps le competenze nazionali: ma per cambiare un sistema complesso e burocratico ci vuole tempo e volontà. Oltre a svariati miliardi di euro da ripensare

da Il Redattore Sociale
31 gennaio 2014 – 11:26

ROMA – Che si debba cambiare, sono tutti d’accordo: troppo complicato e burocratico il sistema attuale sul riconoscimento e la certificazione della condizione di disabilità, che fra normative diverse, moduli e visite mediche fa penare i cittadini e non solo loro. Sul come cambiare, però, la discussione è aperta, perché se da un lato è cosa buona e giusta avvicinare il processo di valutazione al livello regionale, che poi è quello di effettiva erogazione dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali (quindi verso le regioni e le Asl), dall’altro il rischio è che ciò possa aumentare le disuguaglianze e le disparità fra i cittadini a seconda del loro luogo di residenza. Al punto che alcuni (le associazioni della Fand in testa) preferirebbero che rimanesse, e proprio in capo a quell’Inps che per altri versi si vorrebbe invece abbandonare, l’assegnazione di una misura unica a livello nazionale, uguale per tutti, come oggi è l’indennità di accompagnamento. La discussione sulla riforma dell’accertamento ha avuto un’accelerazione con il Piano d’azione biennale redatto dall’Osservatorio nazionale e adottato dal Consiglio dei ministri, ma ancora oggi manca però un passo decisivo: definire il risultato da raggiungere e la scadenza temporale entro cui farlo.

Oggi: un sistema complicato. Spiega Carlo Francescutti, esperto di valutazione e classificazione internazionale delle disabilità, dirigente all’Agenzia regionale della sanità della regione Friuli Venezia Giulia, membro dell’Osservatorio nazionale sulla disabilità e fra i partecipanti al gruppo di lavoro sul tema alla Conferenza nazionale di Bologna del luglio scorso, che “la questione è molto sentita perché il sistema italiano è davvero complicato”. E lo è non solo a livello nazionale (si pensi alle tante normative, invalidità civile 118/71, certificazione handicap 104/92, integrazione lavorativa 68/99), ma anche a livello regionale, con tanti diversi sistemi di valutazione, così che fra doppie e triple visite, mesi e mesi di attesa, e via dicendo, “può capitare – dice Francescutti – che una persona con disabilità debba passare quattro o cinque livelli di valutazione per arrivare a comporre il paniere dei servizi e benefici a lui garantiti”. “C’è quindi – spiega – un coro unanime che chiede di semplificare il quadro amministrativo burocratico”.

Come si cambia. Cosa e quanto cambiare, però, è il punto delicato. Anche perché si tratterebbe di un processo inevitabilmente lungo e niente affatto agevole. Per semplificare, gli schieramenti in campo sono due. Da un lato c’è chi ritiene che le competenze sull’accertamento debbano essere portate al sistema sanitario, quindi ad Asl e regioni, senza il coinvolgimento dell’Inps; dall’altro c’è chi invece fa notare che, poiché nel nostro sistema di welfare (soprattutto per gli interventi assistenziali) non esistono dei livelli minimi di assistenza, e il rischio di grandi differenze regionali è altissimo, possa essere sensato mantenere un doppio livello, prevedendo che alcune cose debbano essere garantite a tutti a livello nazionale. Questa seconda ipotesi, appoggiata soprattutto dalle associazioni della Fand, prevede che vi sia una sorta di livello essenziale, e che esso sia ancora gestito dall’Inps. Di fatto, si tratterebbe di prevedere uno strumento come oggi è l’indennità di accompagnamento, che al momento (pur con tutti i suoi limiti) è l’unica misura universale garantita a chi è non autosufficiente. Il rischio di una tale ipotesi – fanno notare i sostenitori dell’altra opzione – è però un sistema in cui regioni e enti locali sono erogatori dei servizi ma chi governa gli accessi è un ente nazionale che si occupa di previdenza: cosa che, per la verità, viene esclusa da tutti. “Nessuno – precisa Francescutti – vuol tenere in piedi i circuiti ridondanti e nessuno pensa che la porta ingresso per i sistemi di welfare regionali debba essere un istituto, l’Inps, che si occupa di previdenza”. E infatti le stesse associazioni della Fand “non pongono alcun problema a che tutto il sistema di accesso ai servizi (e cioè le valutazioni legate alla progettazione personalizzata, all’erogazione dei servizi residenziali e semiresidenziali, ai servizi di integrazione lavorativa, e via dicendo) sia il più possibile portata vicino al sistema di erogazione”. Rimane però il nodo di una misura minima valida per tutti.

La terza via. In questo quadro, potrebbe risultare vincente una terza via, intermedia fra le due, in qualche modo ipotizzata dal presidente della Conferenza delle regioni Vasco Errani durante la conferenza di Bologna del luglio scorso. “Errani ha aperto ad un nuovo patto Stato-Regioni proprio sui livelli essenziali di assistenza, ipotizzando anche una sperimentazione in alcuni territori: non più un doppio sistema, nazionale e regionale, ma un unico sistema derivato però da un patto fra Stato e regioni e in cui ci sia un nucleo garantito di servizi e benefici per tutti, che faccia da base minima e su cui, poi, possono innestarsi le varie differenze regionali”.

Volontà politica. Quale che sia, per perseguire una qualsiasi via c’è bisogno di un confronto ampio e orientato: “Il dibattito vero su una riforma ampia – dice Francescutti – non è ancora partito, ci sono stati momenti importanti di approfondimento ma manca una cornice definita e la volontà di raggiungere un risultato entro un tempo definito”. Insomma, i segnali giunti dalla Conferenza nazionale, anche dal governo, saranno anche positivi e qualcosa in questi ultimi tempi è certamente maturato, ma passare dal dire al fare è questione diversa. Che chiama in causa anche la forza di un governo e la sua capacità di orientare il dibattito.

Il nodo indennità di accompagnamento. In una riforma così ampia, dando per scontato che grandi risorse aggiuntive non ci saranno, secondo Francescutti è chiaro che dovrà essere messa in gioco anche l’indennità di accompagnamento, che oggi vale “svariati miliardi di euro” e che potrebbe diventare qualcosa di diverso da un’indennità come oggi è configurata. Sul tema, confronto apertissimo e moltissime opzioni in campo: ad esempio “potrebbe sostenere i processi assistenziali e territoriali oppure dare un contributo essenziale a un fondo regionale sulla non autosufficienza”. In ogni caso andrà capito “che tipo di servizi può sostenere e quanta quota dovrebbe andare a coprire bisogni assistenziali di chi è in residenze e quanto invece a sostenere i processi di domiciliarietà”. Più in generale, comunque, si tratta di “pensare una politica nazionale sulla non autosufficienza modulata a livello regionale, cosa che oggi non abbiamo”.

Nel frattempo. Siccome i tempi sono lunghi, e le cose oggi non vanno affatto bene, pensare alla riforma non toglie che alcuni interventi immediati vadano fatti subito, possibilmente in modo coerente con il lavoro successivo da fare. In questo senso, il lavoro è ancora più attuale e alcuni spunti erano già stati individuati dall’Osservatorio e dal gruppo di lavoro di Bologna: fra gli altri, ci sono l’abrogazione del piano di controlli straordinari, l’allargamento delle condizioni patologiche esenti da revisione, l’esonero dell’accertamento al compimento dei 18 anni e l’unificazione per evitare duplicazioni, l’introduzione di regole chiare e certe per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento (esplicitando la nozione generica di “atti della vita quotidiana”) e infine la revisione del nomenclatore con la separazione fra l’invalidità civile e l’autorizzazione alla fornitura di ausili e protesi. (ska)

Assemblee dei docenti

Scuola, la Gilda degli insegnanti di Catanzaro si mobilita con due assemblee dei docenti a cui presenzierà il coordinatore nazionale Rino Di Meglio

La Gilda degli insegnanti, unica associazione di categoria con fini anche sindacali, annuncia la propria mobilitazione con due giornate di assemblee sindacali nelle scuole in orario di servizio, il 12 e il 13 febbraio 2014, alle ore 11 e alle quali parteciperanno anche il coordinatore nazionale della Gilda prof. Rino Di Meglio e la vice coordinatrice prof.ssa Maria Domenica Di Patre, che “così dimostrano grande attenzione per la Calabria e, in particolar modo, per la provincia di Catanzaro”.

La prima delle due assemblee si terrà presso l’auditorium dell’Istituto Magistrale “Campanella” di Lamezia Terme, il 12 febbraio dalle ore 11.00, e coinvolgerà i docenti di ogni ordine e grado delle scuole di Lamezia Terme, Curinga, Maida, San Pietro a Maida, Gizzeria, Falerna, Nocera Terinese, Martirano, Soveria Mannelli, Decollatura, Serrastretta, Marcellinara e Tiriolo; la seconda giornata di mobilitazione, invece, coinvolgerà i docenti delle scuole di Catanzaro, Borgia, Botricello, Cropani, Petronà, Girifalco, Sersale, Sellia, Sellia Marina, Simeri Crichi, Soveria Simeri, Taverna, Soverato e le scuole del circondario soveratese e sarà tenuta dalle ore 11.00 presso l’Istituto Tecnico Grimaldi-Pacioli di Catanzaro Lido.

A darne comunicazione, con una nota ufficiale, è il prof. Antonino Tindiglia, coordinatore provinciale della Gilda di Catanzaro che aggiunge: “La Gilda degli insegnanti di Catanzaro è da sempre impegnata a riportare e attuare, sul territorio, le politiche nazionali oltreché a fornire agli insegnanti tutta l’assistenza di cui hanno bisogno anche nelle controversie con i dirigenti scolastici e sui trasferimenti di cui è in pubblicazione a breve l’ordinanza ministeriale.

Con la presenza del Coordinatore nazionale Rino Di Meglio – prosegue la nota del Prof. Tindiglia – sarà l’occasione per i docenti calabresi di trattare problematiche non solo locali, che spaziano dai temi d’attualità e proposte della Gilda degli insegnanti, quali il rinnovo del contratto, quello degli scatti stipendiali che non ancora tutti i docenti hanno percepito, delle pensioni, del rinnovo delle GAE, e di riforma della scuola in generale.

Si informa inoltre i colleghi che le sedi di Lamezia Terme e Catanzaro Lido sono state trasferite rispettivamente in via Alessandro Volta, N° 9 ed in vico  Torrazzo, n° 4.

La presenza del coordinatore e del vice coordinatore nazionale – conclude Tindiglia – sarà l’occasione per inaugurare la sede di Lamezia Terme, nel pomeriggio del 12 febbraio alle ore 18.00, che funge da sede territoriale di Lamezia Terme, sede provinciale della Gilda di Catanzaro, sede regionale della FGU, e dove è ospitata anche  la sede provinciale ANPA.

Infine, presso la sede di Lamezia vengono forniti i servizi di assistenza CAF (gratis per gli iscritti) e di Patronato.

Due alunni stranieri su 3 in ritardo alle superiori

da Corriere della Sera

RAPPORTO CARITAS-MIGRANTES

Due alunni stranieri su  3 in ritardo alle superiori

Resta indietro il 16,3% alle elementari, il 44,1% alle medie e il 67,1% alle superiori. La denuncia: «I figli di immigrati  indirizzati in scuole tecniche che diventano ghetti»

Due alunni stranieri su tre alle superiori sono in ritardo. Il problema è lì, lo indicano tutte le ricerche e lo ribadisce adesso il nuovo rapporto Caritas-Migrantes: «E’ nella scuola secondaria di secondo grado che si registrano le questioni più critiche a cominciare proprio da una scelta di indirizzi prevalentemente orientata verso la formazione tecnica e professionale e solo relativamente verso i licei, in particolare l’indirizzo scientifico».

I NUMERI – In quel dato del dossier che colloca il 38,2 per cento del totale degli allievi «stranieri» in una situazione di ritardo scolastico, pesa allora soprattutto il 67,1 per cento dei quindicenni, che fa media con il 44,1 della secondaria di primo grado e con il dato basso del 16,3 della primaria. Non si tratta solo di indirizzi sbagliati, di professori che a volte per superficialità spingono i figli di immigrati verso scuole «tecniche», in Italia sempre meno formative, in cui spesso si creano veri e propri ghetti. I «latinos» che fanno banda agli alberghieri, per esempio: ragazzini peruviani o ecuadoriani, che alle medie parlavano perfettamente italiano e che adesso in classe si ritrovano circondati da madrelingua spagnoli, non è raro che facciano passi indietro nell’apprendimento, e quindi nell’integrazione.

RISCHIO DEVIANZA – E’ questione, però, soprattutto di età e di percorso migratorio, e sono i dati a confermarlo: i bambini nati qui o arrivati molto piccoli, che magari hanno frequentato già la scuola materna, alle elementari hanno pochi problemi. Le difficoltà crescono con gli adolescenti portati in Italia con i ricongiungimenti, richiamati da mamme che li avevano affidati ai nonni, lavorano dalla mattina alla sera e non riescono a seguirli, inseriti in classe (quando ci riescono) ad anno scolastico già iniziato, in livelli generalmente più bassi rispetto alla loro età, con una conoscenza dell’italiano a volte nulla: come è possibile pensare che non accumulino ritardo? Su questo tipo di studenti – che messi nelle condizioni di inserirsi possono essere anche molto promettenti – è evidente che bisogna pensare aiuti ad hoc, che non siano ghettizzanti ma che offrano delle buone chances di recupero. Perché il rischio di disagio (e in alcuni casi di devianza) è alto, e più passa il tempo e più diventa difficile scongiurarlo.

Alessandra Coppola

Eurispes, l’Italia investe solo 5 euro a studente per il digitale a scuola

da Corriere della Sera

il Piano Nazionale procede a rilento

Eurispes, l’Italia investe solo  5 euro a studente per il digitale a scuola

Se non si investe di più, 15 anni per raggiungere livello della Gran Bretagna. Il ministro: «Educazione etica alle tecnologie»

Mentre la Fcc americana (l’ente  regolatore delle comunicazioni) pensa a un potenziamento del programma «E-rate», che garantisce alle scuole accesso a Internet a tariffe agevolate, e il presidente Barack Obama, nel suo discorso dello Stato dell’Unione, conferma l’obiettivo di portare entro  quattro anni Internet veloce al 99% degli studenti americani, l’Italia riceve l’ennesima tecno-bocciatura. Serviranno quindici anni, di questo passo, dice l’Eurispes, per metterci alla pari con gli altri paesi europei. Con la Gran Bretagna, per esempio, che primeggia, con un 80% di classi dotate di strumenti didattici informatici. Ad oggi, per introdurre le tecnologie digitali nelle classi della Penisola,  sono stati stanziati 30 milioni di euro, vale a dire 5 euro a studente. Troppo poco, sostiene l’Istituto di ricerca. Che ha fotografato nel rapporto «Italia 2013» lo stato dell’arte.

QUANTA TECNOLOGIA IN CLASSE –   In Italia, nel 2013 – scrivono i ricercatori – si contano  circa 70mila lavagne interattive (le Lim)in 1.200 classi e 36 scuole sono coinvolte nelle nuove sperimentazioni didattiche; circa 80mila gli insegnanti che hanno partecipato ad attività formative sull’uso di questa strumentazione. Peccato che le domande di tali attrezzature – fa notare l’Eurispes – siano risultate dieci volte superiori alle possibilità del ministero di poterle soddisfare con le risorse finanziarie disponibili. Sempre al 2013 è stato registrato un numero di 416 «Cl@ssi 2.0» distribuite sul territorio italiano (124 classi, 240 docenti e 2.400 studenti nella scuola primaria; 156 classi, 1.400 docenti e 3.300 studenti nella secondaria di primo grado; 136 classi, 1.360 docenti e 2.900 studenti nella secondaria di secondo grado). Per quanto riguarda il Progetto «Scuola 2.0» (che punta a creare spazi collettivi per un apprendimento organizzato e partecipato in cooperazione da studenti e insegnanti) al 2013 risulta attuato in 15 scuole con il coinvolgimento di 1.350 docenti e 13.500 studenti.

PIÙ SFORZI – Gli esclusi rimangono  in attesa. Intanto, il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha in mente un approccio «pervasivo» alla tecnologia digitale. Che – dice – non deve diventare  una nuova materia di insegnamento, ma  «un mezzo di cui  devono avvalersi tutte le materie, come fu per il libro stampato sul quale si basò il sistema scolastico dell’Ottocento». Solo una porzione di studenti, però, ha oggi a disposizione questa sorta di abbecedario, a scuola. Non basta sostenere che «nella Scuola 2.0 dovrà cambiare anche l’allestimento delle aule»; e «abbandonare la didattica frontale». Diventa importante intensificare  sforzi e finanziamenti.

IL MODELLO USA – Il modello americano mette in campo un’alleanza con le aziende che si occupano di tecnologia (Apple, Microsoft, Sprint e Verizon) nell’ambito del progetto «ConnectED», che parte dalla connettività veloce ad Internet e termina con l’utilizzo di notebook e tablet per studenti ed insegnanti, con questi ultimi spinti a personalizzare le lezioni, creando grazie alle nuove tecnologie libri e lezioni più accattivanti ed interattivi.

EDUCAZIONE ETICA AL DIGITALE – In Italia, il Piano Nazionale Scuola Digitale procede a rilento, tra dubbi  e investimenti. Ma intervenendo  mercoledì al Convegno «Educare alla Rete», in occasione della Giornata europea della protezione dei dati personali 2014, il ministro ha paragonato l’educazione digitale a «un’educazione civica che si rinnova». E ha aggiunto che «la scuola deve cambiare la sua struttura seguendo il nuovo modo in cui il sapere si trasmette». Per gli insegnanti, questo non dovrebbe essere «un elemento aggiuntivo, ma parte della propria professionalità».   «Gli strumenti dell’accesso alla rete sono tali, così evoluti e pervasivi, che richiedono anche una formazione etica, non solo tecnica», ha poi ammesso il ministro. Diventa quindi imprescindibile «un’educazione etica» al digitale.  Che  tutelerebbe i più giovani nell’utilizzo delle tecnologie, anche quando le usano nel tempo libero.

Antonella De Gregorio

Venticinque minuti per andare a scuola, e non si può fare a meno di auto e scooter

da Corriere della Sera

L’INDAGINE

Venticinque minuti per andare a scuola, e non si può fare a meno di auto e scooter

Legambiente e Euromobility raccontano le abitudini degli studenti

Che fatica, raggiungere la scuola. Lo dicono i 5516 studenti di 8 città che sono stati interpellati per l’indagine Legambiente-Euromobility per comprendere le abitudini di mobilità degli studenti italiani. Il quadro che emerge non è proprio confortante: ci si impiega tanto, e spesso si è costretti a usare un mezzo privato per raggiungerla, a discapito dell’ecologia e del traffico.

La durata media del tempo per percorrere il tragitto scuola-casa e viceversa (fonte: Legambiente)La durata media del tempo per percorrere il tragitto scuola-casa e viceversa (fonte: Legambiente)

 

NESSUN MIGLIORAMENTO – Venticinque minuti: eccola la media del tempo impiegato dagli studenti delle scuole superiori, proprio la stessa dell’anno scorso. Non c’è stato alcun miglioramento delle abitudini di spostamento degli studenti, nonostante le campagne a favore della mobilità ecologica. Se a Roma la scelta della scuola di quartiere fa abbassare questa media a 11 minuti, sono gli alunni di Torino a impiegare più tempo, con 33 minuti di media. A 15 e 16 anni uno studente su tre usa veicoli privati a motore: e se lo 0,9% dei 15enni guida il motorino, la percentuale si alza al 3,5% tra i 16enni. Al crescere dell’età aumenta anche l’uso di scooter e macchine, fino a raggiungere la percentuale di quasi il 40% a 19 anni e addirittura il 50% a 20 anni.

 

La lunghezza media del tragitto da percorrere La lunghezza media del tragitto da percorrere

 

ROMA PEGGIO DI TORINO – Tra le otto città prese in considerazione, Carrara e Roma sono quelle più motorizzate: auto e scooter rappresentano per otto studenti su 10 il mezzo abituale di trasporto per raggiungere la scuola e per tornare a casa. Il capoluogo dove  piedi, bici e trasporto pubblico sono più diffusi è Venezia-Mestre. A Roma invece ci si sposta quasi sempre con mezzi a motore (68,9%) con una preferenza marcata per l’auto (55,4%), anche se la scuola è più vicina. Lo scooter è il mezzo preferito a Carrara, e quello meno usato a Potenza. Ravenna è la regina della bicicletta (39,1%) mentre Torino è quella dei mezzi pubblici, con sei ragazzi su dieci si affida a bus, tram e metropolitana.

L’uso dei diversi mezzi nelle otto  città campioneL’uso dei diversi mezzi nelle otto  città campione

 

 

PM10 ALLE STELLE – L’uso di un mezzo piuttosto che di un altro influisce anche sull’inquinamento ambientale: l’impatto  maggiore si registra a Roma, con 29 milligrammi di Pm 10 (le piccolissime sostanze inquinanti su cui si misura il grado di inquinamento) ogni chilometro percorso, mentre a Torino e Venezia c’è l’impatto minore (12 e 10 milligrammi rispettivamente). Stesso discorso per le emissioni di anidride carbonica (Co2),  che sono limitate a 128 kg/anno complessive a sutdente a Venezia e a 145 kg/anno a Ravenna ma raggiungono i 511 kg/anno a Catania.

L’inquinamento misurato in Pm10L’inquinamento misurato in Pm10

 

 

L’inquinamento misurato in C02L’inquinamento misurato in C02

 

DIECI MILIONI IN AUTO – «Sebbene l’86% delle famiglie abiti a meno di un quarto d’ora a piedi da asilo, elementari, medie e superiori, almeno dieci milioni di persone scelgono di effettuare il tragitto in automobile, dando un contributo importante alla congestione, alle emissioni di inquinanti e stimolando nei ragazzi un’abitudine allo spostamento motorizzato», sottolinea Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane Legambiente. Ma come si fa ad evitarlo? «Non dobbiamo  più limitarci ad applaudire da lontano le città del mondo organizzate con pianificazione degli orari e ottimi servizi di mobilità e non possiamo  più essere condannati a vivere in città disorganizzate, autocentriche e in balia di ingorghi quotidiani, emergenze smog e servizi collassati- risponde  il sottosegretario ai Trasporti Erasmo D’Angelis –  Dalla riforma del Codice della Strada in corso in Parlamento alle nuove politiche di investimenti sulle infrastrutture su ferro come metro e tramvie nelle aree metropolitane, da Palermo a Milano, dal rilancio della ciclabilità come mezzo di trasporto urbano alla riforma del trasporto pubblico locale con incentivi per gli abbonamenti, per la prima volta dopo anni il governo mette al centro un’idea di città e la qualità urbana». E tra pochi giorni sarà anche disponibile e scaricabile gratuitamente la nuova App del Ministero dedicata alla sicurezza nelle aree urbane, collegata alla campagna di comunicazione «Sulla Buona Strada»: «Un altro passo per tutelare, e quindi incentivare  ,pedoni e ciclisti», conclude D’Angelis.

Valentina Santarpia

Scuola, una medaglia per i migliori

da La Stampa

Scuola, una medaglia per i migliori

È un successo l’esperimento del ministero: scudetti per valorizzare i risultati, ma anche impegno e condotta. Dirigenti e professori sono entusiasti
E se a scuola tornassero medaglie, coccarde e nastri? Qualcuno ci sta seriamente pensando, anzi lo sta già facendo, convinto che i ragazzi vadano gratificati e che i voti – da soli – non bastino per premiare chi si impegna. Ci vuole qualcosa in più, dicono dirigenti e professori. In molti istituti ci si arrangia da soli, c’è chi usa le medaglie, chi le stellette, chi le distribuisce a fine anno e chi in occasioni particolari.

Anche al ministero dell’Istruzione hanno preso in considerazione l’ipotesi e sostenuto un progetto di successo. Si chiama «Mimerito», è stato sperimentato in 18 scuole per un totale di 185 classi su un numero approssimativo di quattromila alunni. Ogni classe ha ricevuto 40 distintivi metallici, smaltati e dal disegno accattivante. Ci sono gli Scudetti d’eccellenza riservati al rendimento scolastico, le Stelle di condotta d’oro e d’argento e i Brevetti d’impegno personale come riconoscimento per la buona volontà e l’impegno.

I distintivi vanno restituiti dopo due-tre settimane, quindi il kit comprende anche i tabelloni da appendere in classe, sui quali per tutto l’anno vanno scritti i nomi degli alunni che hanno conquistato i premi.

La cerimonia di assegnazione dei premi avviene periodicamente, il distintivo viene indossato sul grembiule nelle scuole primarie o appuntato sul diario nelle secondarie di primo grado. «Oggi – spiega l’ideatore di Mimerito, Andrea Conci – si vive di status symbol del tutto slegati dal merito. Volevo invece restituire un contenuto, un senso agli oggetti che amiamo avere ed esibire».

I riconoscimenti possono essere concessi per un’interrogazione particolarmente brillante, per un compito in classe da 10 e lode, per un approfondimento spontaneo dell’alunno. Oppure possono servire a premiare il rispetto verso i compagni e gli educatori o la buona volontà e l’impegno, anche non legati al rendimento scolastico. In genere nella scuola primaria la cerimonia avviene ogni due-tre settimane, alle superiori dopo i consigli di classe. Ma ogni scuola è libera di adattare il metodo ai suoi bisogni. Uno dei vantaggi dell’idea è che possono essere usati molto meglio dei voti per premiare i disabili o chi presenta difficoltà nell’apprendimento, per il loro impegno. Ciò che conta, infatti, è l’impegno e la volontà di migliorare.

I dirigenti e i professori che hanno partecipato alla sperimentazione sono entusiasti. C’è chi aveva già adottato qualcosa di simile come il San Giuseppe de Merode a Roma. «Di solito, a fine anno, – racconta Maria Pia Tomassini, coordinatrice – diamo medaglie ricordo, o premi per i ragazzi più bravi, ma Mimerito li stimola in modo continuo e capillare per tutto l’anno».

C’è chi sottolinea la differenza rispetto al voto, che spesso – commenta Patrizia Vicentini dell’istituto Leopardi di Milano – serve più ai genitori come verifica che non alla gratificazione dei ragazzi. Ci siamo quindi ritrovati totalmente nel metodo».

E c’è chi sottolinea gli effetti positivi da un punto di vista psicologico. «Si è innescata una competizione positiva fra gli alunni, con benefici a livello disciplinare: spesso i ragazzi si auto-correggono fra loro, ricordandosi che con un atteggiamento non consono potrebbero rimanere fuori dalla concessione dei distintivi per la buona condotta e l’impegno», spiega Barbara Leoncini, responsabile progetti dell’Istituto comprensivo Giovanni Pascoli di Rieti. Mentre Francesca Fedele, dirigente dell’Istituto comprensivo Nosside Pythagoras di Reggio Calabria e i suoi professori hanno ritrovato nel metodo Mimerito «echi della psicologia di scuola comportamentista, in cui il “rinforzo tangibile” è un passo importante per promuovere la motivazione».

Posizioni economiche Ata: il MEF vuole la restituzione dei soldi

da Tecnica della Scuola

Posizioni economiche Ata: il MEF vuole la restituzione dei soldi

di R.P.

Lo ha chiarito il Ministero nel corso dell’incontro con i sindacati del 30 gennaio. Il MEF è irremovibile: in caso contrario si violerebbero le disposizioni del DL 78/2010. Ma ora c’è il rischio che anche altri compensi aggiuntivi possano essere considerati illegittimi dal MEF

Non ha dato risultati concreti l’incontro Miur-Sindacati del 30 gennaio in materia di posizioni economiche del personale Ata.

Quindi, quanto prima i collaboratori scolastici o gli assistenti amministrativi che hanno ottenuto un aumento stipendiale con decorrenza settembre 2013 dovranno restituire quello che secondo il MEF sarebbe il “maltolto” (i sindacati ribadiscono che si tratta di denaro ricevuto per una prestazione lavorativa che eccede il mansionario di base previsto dal CCNL e che comunque è legato alla frequenza di un apposito corso di formazione e al superamento di una prova conclusiva).

Le somme percepite negli anni scolastici 2011/2012 e 2012/2013 saranno invece tenute in sospeso.

Tutto questo, dicono i funzionari del Miur, “per aderire alle pressanti richieste del MEF” (così, almeno, riferisce la Flc-Cgil).

In concreto il Ministero dell’Istruzione ha ribadito quanto era stato preannunciato con la nota n. 28 del 9/1/2014 e cioè che la soluzione del problema si potrà avere solo con l’adozione di un apposito provvedimento legislativo. Noi stessi avevamo evidenziato che, probabilmente, sarà necessaria una norma di interpretazione autentica del 1° comma dell’art. 9 del D.L. n. 78/2010

La Flc-Cgil bolla la posizione del MEF come una “tesi da burocrati” anche perché – aggiunge il sindacato di Mimmo Pantaleo – l’entità delle cifre percepite a fronte della gravosità del lavoro svolto è davvero modesta (600 euro lordi all’anno equivalenti all’incirca a un euro netto al giorno).

La questione rischia di complicarsi di giorno in giorno perché, a questo punto, non è da escludere che il MEF sollevi il problema più generale della retribuzione accessoria argomentando che tutto il “salario aggiuntivo” potrebbe contrastare con le disposizioni del DL 78.

Se il MEF dovesse percorrere questa strada, sarebbe il caos e lo scontro con le organizzazioni sindacali (ma anche con l’intero mondo della scuola) sarebbe del tutto inevitabile.

Il Miur sui nulla osta per la frequenza dei Pas in altra regione

da Tecnica della Scuola

Il Miur sui nulla osta per la frequenza dei Pas in altra regione
di Lara La Gatta
Un chiarimento tardivo del Ministero ricorda quali sono gli adempimenti in capo agli Uffici scolastici regionali prima del rilascio del nulla osta al trasferimento della domanda di frequenza ai Pas da una regione all’altra
Se in una regione non è prevista l’attivazione dei Pas per una determinata classe di concorso, l’U.s.r. predispone il nulla osta al trasferimento della domanda di frequenza di quel corso in un’altra regione che invece quel corso lo ha attivato.
Come chiarito dal Miur con la nota prot. n. 275 del 29 gennaio 2014 indirizzata agli UU.ss.rr., i trasferimenti tra regioni possono essere però disposti esclusivamente per gravi e comprovati motivi e in caso di non attivazione del corso, comunque solo una volta esperito da parte dell’U.s.r. il tentativo di ricorso agli strumenti di flessibilità indicati nell’articolo 6 del DGG n. 58 e nel Decreto Dipartimentale 22 novembre 2013 n. 45, quali: accordi quadro e intese tra Atenei e Istituzioni scolastiche autonome o Istituti tecnici superori, corsi a distanza, accorpamenti di discipline omogenee per le classi di concorso con basso numero di aspiranti, strumento, quest’ultimo, che non risulta essere utilizzato dagli Uffici scolastici regionali.
In tali casi dovranno essere attuati da parte degli uffici coinvolti tutti gli interventi necessari per garantire una gestione trasparente dei nulla osta e la tutela delle posizioni degli aspiranti interessati.
A tale porposito, il Miur ricorda che è competenza dell’U.s.r. di arrivo di gestire le richieste ed eventualmente graduarle, pertanto i singoli aspiranti non devono in nessun modo rivolgersi direttamente alle istituzioni accademiche.
La FLC Cgil ritiene tardivo il chiarimento fornito dal Miur, perché alla data attuale gli UU.ss.rr. avrebbero già dovuto adempiere ai compiti dettati dalla normativa sui Pas e dal decreto dipartimentale n. 58 del 2013. Secondo il sindacato, oggi molti Uffici regionali “risultano inadempienti a quei compiti, rischiando di compromettere il futuro lavorativo di coloro che, pur senza abilitazione, da anni lavorano nella scuola garantendo il regolare funzionamento”.
Non c’è invece ancora nessuna risposta in merito ad altri due temi su cui i sindacati hanno chiesto chiarimenti: il primo riguarda la frequenza dei Pas da parte delle lavoratrici in maternità, l’altro concerne l’utilizzo delle ore del diritto allo studio e il loro possibile incremento per coloro che frequentano i percorsi abilitanti. “Non è pensabile – conclude la Cgil – che il licenziamento sia la modalità per garantire  il “diritto allo studio” come è già avvenuto per molti frequentanti la scorsa sessione del  TFA ordinario”.

Scuola digitale, appena 5 euro di investimento a studente

da Tecnica della Scuola

Scuola digitale, appena 5 euro di investimento a studente
di Alessandro Giuliani
Secondo le proiezioni dell’Eurispes, di questo passo serviranno altri 15 anni per raggiungere il livello della Gran Bretagna dove l’80% delle classi può già contare su strumenti didattici e informatici. Nel 2013 sono state diffuse nelle scuole circa 70.000 lavagne interattive in 1.200 classi: ma le domande di tali attrezzature pervenute sono risultate dieci volte superiori.
Malgrado le rassicurazioni del Miur e gli impegni del ministro Carrozza sulla necessità di promuovere l’educazione digitale, gli stanziamenti statali per l’introduzione delle tecnologie digitali nelle scuole continuano ad essere irrisori: dal Governo sono stati stanziati appena 30 milioni di euro, vale a dire 5 euro a studente. Il dato è contenuto nel  Rapporto dell’Eurispes “Italia 2013”, dove non si risparmiano critiche: senza una correzione, sul fronte della intensificazione degli sforzi e dei finanziamenti, si legge nel documento annuale, l’Italia non riuscirà a recuperare i ritardi accumulati nei confronti di altri paesi europei. Tanto per dare l’idea della situazione, dalle proiezioni dell’Eurispes risulta che in queste condizioni all’Italia occorreranno altri 15 anni per raggiungere il livello della Gran Bretagna dove l’80% delle classi può già contare su strumenti didattici e informatici.
Eppure, complessivamente, nel 2013 si registra una diffusione di circa 70.000 lavagne interattive in 1.200 classi e 36 scuole coinvolte nelle nuove sperimentazioni didattiche; circa 80.000 sono gli insegnanti che hanno partecipato ad attività formative sull’uso di questa strumentazione. “Ma le domande di tali attrezzature pervenute – fa notare l’Eurispes – sono risultate dieci volte superiori alle possibilità dello stesso ministero di poterle soddisfare con le risorse finanziarie disponibili. Sempre al 2013 é stato registrato un numero di 416 classi 2.0 distribuite sul territorio italiano che interessano: 124 classi, 240 docenti e 2.400 studenti nella scuola primaria; 156 classi, 1.400 docenti e 3.300 studenti nella secondaria di primo grado; 136 classi, 1.360 docenti e 2.900 studenti nella secondaria di secondo grado. Per quanto riguarda il Progetto scuola 2.0 (che punta a creare spazi collettivi per un apprendimento organizzato e partecipato in cooperazione da studenti e insegnanti) al 2013 risulta attuato in 15 scuole con il coinvolgimento di 1.350 docenti e 13.500 studenti”.
Si tratta, insomma, di un coinvolgimento ancora minamale rispetto a quello che necessita un Paese con oltre 8 milioni di alunni e 44mila sedi scolastiche.

“Bene la costituente della scuola”

da Tecnica della Scuola

“Bene la costituente della scuola”
“Ma grande e pragmatica attenzione della nostra Confederazione va ai fatti concreti e non alle semplici dichiarazioni alla stampa”: lo ha dichiarato in una nota Gianfranco De Lorenzo Vice Presidente di Confassociazioni con delega ad Istruzione, Giovani e Famiglia.
“La Costituente per la scuola”, scrive voceditalia.it, “lanciata dal Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Maria Chiara Carrozza è sicuramente una iniziativa utile se riuscirà a contribuire a far uscire la scuola dalla rincorsa delle diverse emergenze costruite per farla avvicinare all’efficacia degli interventi utili per una concreta politica scolastica”. “Secondo quanto manifestato dal Ministro – ha aggiunto De Lorenzo – lo scopo sarà quello di avviare un dibattito in tutto il paese su questo bene primario per comprendere cosa ne pensano e come la vorrebbero, presidi, insegnanti, studenti, genitori, partiti, fondazioni, associazioni. Aggiunge il Ministro Carrozza che il forum consente di riattivare un dialogo tra mondi che fino ad oggi sono stati troppo separati”. “In questo senso, è certamente positivo il desiderio di ascoltare la scuola pubblica, statale e paritaria, che opera e lavora in condizioni di difficoltà, ma resta molto elevato il rischio di ascoltarsi reciprocamente poco e di parlarsi addosso molto. Gli ultimi Stati generali risalgono a 12 anni fa. In questo ambito, a distanza di dodici anni da quella manifestazione – ha aggiunto Gianfranco De Lorenzo, che è anche Presidente della FEPP, Federazione Europea Professionisti della Pedagogia – una Costituente può rappresentare un’iniziativa interessante, ma è grande il timore di andare incontro ad una bella iniziativa sulla quale si spenderanno fiumi di parole dopo le quali potrebbe esserci il nulla”. “Confassociazioni auspica comunque – ha concluso De Lorenzo – un suo coinvolgimento attraverso i suoi professionisti, molti dei quali operano nel campo dell’istruzione e della formazione. C’è bisogno di orientare la scuola verso un nuovo percorso che consideri realmente il progresso della conoscenza, il cambiamento e la flessibilità dei rapporti sociali, lo sviluppo dell’economia e della tecnologia”. “Senza dimenticare la necessità di valorizzare le figure del top e middle management scolastico che si stanno sempre più sviluppando pur in condizioni precarie dal punto di vista della riconoscibilità del ruolo. Solo così la Costituente per la scuola potrà essere utile e potrà concretamente indicare le condizioni che consentiranno di riformare il cammino della scuola attribuendole una concreta autonomia ed una valida palestra per il futuro inserimento nel mondo lavorativo e professionale”.

Posto fisso ma senza scatti. La proposta di Carrozza

da Tecnica della Scuola

Posto fisso ma senza scatti. La proposta di Carrozza
di Pasquale Almirante
Nessun aumento salariale per i primi anni ai nuovi assunti che potrebbero essere, in tre anni, anche 82mila, tra docenti e Ata
La ministra dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha proposto, riporta una breve nota di Italia Oggi, ai sindacati, l’assunzione in ruolo di oltre 82 mila tra docenti e Ata, ma a condizione che gli stipendi dei neo assunti per alcuni anni rimangano congelati. Proposta che ha fatto scattare il “no” convinto della Flc-Cgil: “Assolutamente inammissibile è invece il tentativo di scambiare salario/stabilizzazioni di gelminiana memoria. Non possiamo non rilevare la contraddizione fra il ripristino degli scatti 2012 e l’intervento sulle carriere dei neo-immessi in ruolo per sostenere i costi delle assunzioni previste dal piano triennale licenziato dal Governo un paio di mesi fa. Lo diciamo fin da adesso: se è questo ciò che si prefigura, la FLC darà battaglia per evitare che a pagare il conto siano sempre i più deboli”. Una scelta di campo quella del sindacato inoppugnabile, ma il ministero sembrerebbe invece intenzionato a coprire tutti i posti disponibili nell’organico di diritto con personale stabile, attingendo dalle pesanti graduatorie e anche dai Tfa, così come d’altra parte la legge dispone. Tanta presunta magnanima decisone della ministra tuttavia ha un suo tornaconto, non solo economico ma anche legale. Per quanto riguarda il primo, l’assunzione di docenti stabili, se da un lato taglia in modo drastico le supplenze, garantendo così la continuità didattica, dall’altro, a conti fatti, consente all’erario se non di risparmiare almeno di pareggiare, considerando che ai tanti supplenti annuali deve essere corrisposta l’indennità di disoccupazione. Congelare dunque gli stipendi dei neo assunti per alcuni anni non darebbe grossi scossoni al collega ministro del tesoro Il secondo motivo sarebbe invece di natura più pragmatica, nella constatazione evidente che ormai le sentenze di condanna del Miur, per l’uso disinvolto di supplenti incaricati sullo stesso posto per oltre tre anni, hanno raggiunto livelli ragguardevoli, mentre nulla toglie che perfino la Corte di giustizia europea condanni l’Italia, cioè il MIur, per questa forma subdola di sfruttamento del lavoro, incentivando il precariato.