Archivi categoria: Governo e Parlamento

28 febbraio Crisi di Governo

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 28 febbraio, provvede alla nomina dei Sottosegretari di Stato.

Di seguito la lista dei sottosegretari nominati dal Consiglio dei Ministri:

Luca Lotti, Sandro Gozi, Domenico Minniti detto Marco (Presidenza del Consiglio);
Angelo Rughetti (Pubblica amministrazione e semplificazione);
Maria Teresa Amici, Luciano Pizzetti, Ivan Scalfarotto (Rapporti con il Parlamento e riforme);
Gianclaudio Bressa (Affari regionali);
Filippo Bubbico, Gianpiero Bocci, Domenico Manzione (Interni);
Lapo Pistelli, Mario Giro, Benedetto Della Vedova (Esteri);
Enrico Costa, Cosimo Maria Ferri (Giustizia);
Luigi Casero, Enrico Morando, Pier Paolo Baretta, Giovanni Legnini, Enrico Zanetti (Economia);
Franca Biondelli, Teresa Bellanova, Luigi Bobba, Massimo Cassano (Lavoro);
Riccardo Nencini, Umberto Del Basso de Caro, Antonio Gentile (Infrastrutture);
Giuseppe Castiglione, Andrea Olivero (Politiche agricole);
Silvia Velo, Barbara Degani (Ambiente);
Francesca Barracciu, Ilaria Borletti Buitoni (Cultura);
Gioacchino Alfano, Domenico Rossi (Difesa);
Carlo Calenda, Claudio De Vincenti, Simona Vicari, Antonello Giacomelli (Sviluppo economico);
Vito De Filippo (Salute);
Roberto Reggi, Angela D’Onghia, Gabriele Toccafondi (Istruzione).

Tra i 44 sottosegretari succitati assumeranno l’incarico di viceministri:
Filippo Bubbico (Interni),
Lapo Pistelli (Esteri),
Enrico Costa (Giustizia),
Luigi Casero ed Enrico Morando (Economia),
Riccardo Nencini (Infrastrutture),
Andrea Olivero (Politiche agricole),
Carlo Calenda e Claudio De Vincenti (Sviluppo economico).
Il sottosegretario Domenico Minniti detto Marco assumerà l’incarico di Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.

Nella seduta del 25 febbraio la Camera, con 378 voti favorevoli e 220 contrari, approva la mozione di fiducia al Governo Renzi .

Nella seduta del 24 febbraio il Senato, con 169 voti favorevoli e 139 contrari, approva la mozione di fiducia al Governo Renzi.

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi
Legislatura 17ª – Aula del Senato
Resoconto stenografico della seduta n. 197 del 24/02/2014

Signor Presidente del Senato, gentili senatrici, onorevoli senatori, ci avviciniamo a voi in punta di piedi, con il rispetto profondo, non formale, che si deve a quest’Aula, che si deve alla storia di un Paese che trova in alcuni dei suoi luoghi non soltanto un simbolo – cioè qualcosa che tiene insieme – ma anche un elemento di unità profondo.
Ci avviciniamo con lo stupore di chi si rende conto della magnificenza e della grandezza non solo di un luogo fisico, ma anche del valore che questo rappresenta nel cuore di una lunga storia, come quella italiana.
Ci avviciniamo, dunque, a voi con lo stupore di chi si rende conto di essere davanti a un pezzo di una storia che viene da una tradizione unica. Ma, contemporaneamente, sappiamo perfettamente che viviamo un tempo di grande difficoltà, di struggenti responsabilità e, di fronte all’ampiezza di questa sfida, abbiamo la necessità di recuperare il coraggio, il gusto e, per qualche aspetto, anche il piacere di provare a fare dei sogni più grandi rispetto a quelli che abbiamo svolto sino ad oggi e contemporaneamente accompagnarli da una concretezza puntuale, precisa.
Riflettevo stamattina sul fatto che io non ho l’età per sedere nel Senato della Repubblica. Non vorrei iniziare con una citazione colta e straordinaria della pur bravissima Gigliola Cinquetti, ma è così: non ho l’età. E fa pensare che oggi davanti a voi, senatrici e senatori, siamo qui non per inseguire un record anagrafico, non per allungare di una riga il nostro curriculum vitae, non per toglierci qualche soddisfazione personale: siamo qui – ve lo dobbiamo – per parlarvi un linguaggio di franchezza, vorrei dire al limite della brutalità, nel rispetto della storia a cui ho fatto riferimento.
Siamo a chiedervi la fiducia, e oggi chiedere la fiducia è un gesto controcorrente, e non tanto nel dibattito politico (doveroso, istituzionale, costituzionalmente previsto). Tuttavia, chiedere la fiducia significa oggi provare ad andare controcorrente: si fatica a dare fiducia nel rapporto quotidiano con le persone, con i colleghi di lavoro; le persone che stanno fuori da quest’Aula sanno che chiedere la fiducia oggi è sempre più difficile. Non va di moda la richiesta della fiducia. Chiediamo fiducia a questo Senato. Ci impegniamo a meritare la fiducia come Governo, perché pensiamo che l’Italia abbia la necessità urgente e indifferibile di recuperare la fiducia come condizione per uscire dalla situazione di crisi in cui ci troviamo.
Il nostro è un Paese arrugginito, un Paese impantanato, incatenato da una burocrazia asfissiante, da regole, norme e codicilli che paradossalmente non eliminano l’illegalità: senza dover risalire alle gride manzoniane, l’idea che le norme che si sono succedute nel corso degli anni non abbiano prodotto il risultato auspicato è sotto gli occhi di tutti. Eppure, oggi chiedere la fiducia significa proporre una visione audace, unitaria e per qualche aspetto anche – spero – innovativa, che parte dal linguaggio della franchezza con la quale comunico fin dall’inizio che vorrei essere l’ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest’Aula. Sono consapevole della portata di questa espressione, e anche del rischio di farla di fronte a senatrici e senatori che certo non meritano per qualità personale il ruolo di ultimi senatori a dare la fiducia a un Governo, ma è così. Non lo sta chiedendo un Governo: lo sta chiedendo un Paese, l’Italia.
Noi oggi non immaginiamo di essere gli ultimi a chiedervi la fiducia perché abbiamo un pregiudizio su di voi, ma perché abbiamo un giudizio organico sull’Italia per il quale o siamo nelle condizioni…. Apprezzo che questa dichiarazione abbia suscitato l’entusiasmo del senatore Calderoli, ma alla perentorietà di questa affermazione corrisponde la consapevolezza che quello che stiamo vivendo è un momento in cui o si ha il coraggio di operare delle scelte radicali e decisive, oppure non perderemo soltanto la relazione tra di noi, ma anche il rapporto con chi da casa continua a pensare che la politica sia una cosa seria, che la politica sia ciò che di più grande ha un Paese, che la politica sia il valore per il quale vale la pena confrontarsi, discutere, litigare, ma anche per il quale alla fine valga la pena vivere un’esperienza di rispetto degli altri; quella straordinaria esperienza per la quale siamo, a differenza di qualche leader, orgogliosi di essere democratici, siamo orgogliosi di apprezzare le regole del gioco della democrazia.
Certo, più voi sarete capaci di stimolarci, più voi sarete capaci di incalzarci, più voi sarete capaci di raccontarci nel dettaglio come noi possiamo cambiare, più incisiva sarà l’azione di questo Governo.
Tuttavia, non possiamo non partire da un giudizio reale su ciò che sta fuori da queste Aule. Se in questi anni avessimo prestato ai mercati rionali lo stesso ascolto che abbiamo prestato ai mercati finanziari, ci saremmo accorti che la prima richiesta è la richiesta di semplicità, di pace, di chiarezza; è la richiesta di una tregua della politica rispetto ai cittadini.
L’impressione che invece abbiamo dato è quella di un’angoscia nel rapporto tra politici e cittadini, per i quali l’idea che oggi è forte nel Paese è che l’Italia abbia già finito tutto il futuro che aveva, che l’Italia abbia esaurito le sue carte e che sia un Paese finito, più che un Paese infinito.
Bene, noi abbiamo accelerato e deciso di cambiare l’impostazione del Governo nelle forze politiche che lo sostengono perché pensiamo che fuori di qui ci sia un’Italia viva, brillante e curiosa; un’Italia che, nell’aspettarci fuori da questi Palazzi, si vuole bene e che ci tiene a presentarsi bene. Un’Italia che non ci segue per un motivo: perché è avanti a noi. È avanti a noi: siamo noi a doverla rincorrere e doverla recuperare. È l’Italia che forse si sta stancando di aspettarci, e vi propongo, vi proponiamo, come Governo, di fare di tutto per raggiungerla attraverso un pacchetto di riforme che parta e consideri il semestre europeo come la principale opportunità, che affronti prima del semestre europeo le scelte legate alle politiche sul lavoro, sul fisco, sulla pubblica amministrazione, sulla giustizia, che metta al centro il valore della scuola, ma che parta naturalmente dalle riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle quali si è registrato un accordo che va oltre la maggioranza che sostiene questo Governo, e per il quale noi non possiamo che dire che gli accordi li rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite.
Pensiamo però che si debba partire da un presupposto. Il presupposto è che eravamo ad un bivio: o si andava alle elezioni, più o meno….Noi non abbiamo paura di andare alle elezioni.
Siamo abituati, come partito… Dico ai senatori del Movimento 5 Stelle, che imparo ad apprezzare in quest’Aula, che sono il segretario di un partito politico che non ha mai paura di candidarsi alle elezioni: anche dove i sondaggi dicono il contrario, come in Sardegna , anche dove c’è difficoltà, noi non abbiamo paura di andare alle elezioni, e in questo primo anno di vita parlamentare, in cui abbiamo ricevuto da voi presunte lezioni di democrazia, vi segnalo, gentili senatrici ed egregi senatori, che nelle quattro elezioni regionali che si sono svolte – quelle della Sardegna, della Basilicata e delle Province di Trento e Bolzano – il Partito Democratico si è sempre presentato e ha sempre vinto. Non posso dire la stessa cosa per voi.
Non abbiamo paura di andare alle elezioni. Noi abbiamo nel nostro DNA la volontà e il desiderio di confrontarci, ma il passaggio elettorale che ci avrebbe atteso in queste ore era un passaggio elettorale nel quale, stante la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale, si sarebbe riprodotto uno schema che è quello che avrebbe portato ad un sostanziale Governo di larghe intese.
Non vi è chi non veda che non sarebbe stato possibile per alcuno ottenere la maggioranza necessaria a governare nei due rami del Parlamento senza una modifica delle regole del gioco, e noi abbiamo proposto, dal primo giorno, che le regole del gioco fossero scritte da tutti, anche da chi prima ha alzato la voce. Pensiamo infatti, pensavamo e penseremo che sia un valore condiviso che dopo vent’anni in cui, prima la sinistra, poi la destra, prima il centrosinistra e poi il centrodestra, quando si è trattato di scrivere le regole costituzionali hanno proceduto a maggioranza – il centrosinistra nel 2001, il centrodestra nel 2006 – con la legge elettorale connessa, che scrivere le regole del gioco insieme sia il valore fondamentale e costitutivo del rispetto delle istituzioni.
Proveremo a farlo, ma in una legislatura alla quale abbiamo allungato l’orizzonte politico. Certo, non quello costituzionale e istituzionale, che è fissato, come è naturale, nel 2018. Arrivare però al 2018 ha un senso soltanto se avvertiamo l’urgenza da cui sono partito nel mio intervento, che è l’urgenza di un cambiamento radicale per cui, mentre i tempi della politica sembrano dilatati, le persone che la mattina accompagnano i figli a scuola non possono permettersi rinvii.
Mentre la politica – lasciatevelo dire da un sindaco – da Roma sembra una politica nella quale la dilazione è costante; una politica nella quale si può anche rinviare al giorno dopo, si può allungare il tempo della decisione senza fine, si può rimandare l’urgenza dei provvedimenti; mentre fuori da qui questo sembra naturale, quando poi si va nella vita di tutti i giorni, quando si va a parlare con le persone che faticano anche semplicemente a conciliare i propri orari, anche semplicemente a conciliare la propria quotidianità di vita, il senso dell’urgenza, del tempo che non può passare invano, diventa un elemento centrale.
Ecco perché noi proponiamo a questo Senato di uscire dal genere letterario che i talk show hanno sostanzialmente sdoganato, un genere letterario per il quale non vi è trasmissione che non parta da un giudizio impietoso sulla situazione italiana, e poi con un servizio di una troupe all’estero che racconta come all’estero invece le cose vanno perfettamente bene e tutto sia straordinariamente bello e felice. Ormai è diventato un focus letterario; ormai noi abbiamo come punto di riferimento il fatto che nelle trasmissioni televisive, nei talk show, fuori da qui, fuori dall’Italia, tutto va bene e da noi tutto va male: non è così.
Usciamo dal coro della lamentazione; proviamo a immaginare un percorso concreto in cui la differenza tra sogno e obiettivo – ha detto qualcuno – è una data. Diamoci delle scadenze e proviamo ad allungare il lavoro di questi anni dando concretamente dei passaggi puntuali.
Questo consente di arrivare al 1° luglio – qualcuno dice – avendo fatto i compiti a casa; questo consente di arrivare, cioè, all’appuntamento con il semestre europeo dando un valore non meramente formale a quell’appuntamento, ma dandogli un valore sostanziale.
Non tedierò la vostra pazienza con un’analisi, che pure sarebbe doverosa (ma non mancheranno altre occasioni), sulla situazione di profondo sconvolgimento istituzionale internazionale.
Su come il mondo fuori dall’Italia stia cambiando e come paradossalmente questo mondo riduca lo spazio dell’Europa, riduca il margine di potere che l’Europa ha. Non vi tedierò su questo, ma penso di avere il dovere di dire al Senato della Repubblica che se vogliamo immaginare che il semestre europeo sia una cosa seria noi dobbiamo raccontare, spiegare, pensare che tipo di Europa immaginiamo nella cornice internazionale che sta mutando. Non possiamo immaginare che il semestre europeo sia semplicemente l’occasione per fare le nomine per le nuove istituzioni.
Questo è il punto centrale del semestre europeo, e non saremo credibili se non riusciremo ad arrivare al semestre europeo avendo sistemato ciò che dobbiamo sistemare noi.
Capisco che in quest’Aula, come alla Camera, come nell’opinione pubblica, ci sia la facile tendenza a considerare l’Europa la madre dei nostri problemi. Vorrei dire non soltanto che per me e per il Governo che ho l’onore di presiedere non è così, ma che nella tradizione europeaeuropeista sta la  parte migliore dell’Italia, che nella tradizione europea-europeista, nei valori di libertà e democrazia sta la certezza che l’Italia ha un futuro e non soltanto un passato. E quando penso a quell’uomo che in un’isoletta immaginava gli Stati Uniti d’Europa mentre infuriava il conflitto, quando penso a quell’uomo che, in un momento di difficoltà per il nostro Continente e di confronto fratricida, riusciva a intuire, a immaginare, in qualche modo a profetizzare in modo laico una visione degli Stati Uniti d’Europa, mi sento orgoglioso di essere appartenete alla storia italiana.
Il punto è che mettere a posto le cose di casa nostra non deriva da un obbligo europeo: non è la signora Merkel o il governatore Draghi a chiedere di essere seri con il nostro debito pubblico: è il rispetto che dobbiamo ai nostri figli, alle generazioni che verranno; è il rispetto che dobbiamo alle persone che verranno dopo di noi che ci impone di guardare ai conti pubblici in modo diverso da come è stato fatto da chi ha scialacquato nel corso degli ultimi decenni.
Questo è il punto centrale. E se noi siamo in condizione di arrivare al 1° luglio avendo affrontato i temi costituzionali, istituzionali, elettorali, di lavoro, di fisco, di pubblico impiego, di giustizia e impostato un diverso atteggiamento verso la scuola, propongo a questo Senato e alla Camera dei deputati di essere in grado di vivere il semestre europeo come l’occasione in cui guidare le istituzioni dell’Europa per sei mesi studiando una proposta affinché nei prossimi 20 anni potremo guidare l’Europa politicamente, in un percorso che riguarda i nostri figli e che è uno dei punti centrali della credibilità delle istituzioni.
Se questo è vero, ho il dovere di entrare nel merito delle modalità con cui questo atteggiamento deve diventare realtà. Ho anche il dovere di dirvi che la subalternità culturale con la quale, troppo spesso, si è considerata l’Europa come la nostra matrigna è una subalternità culturale della quale possiamo liberarci solo noi. Non possiamo immaginare che qualcun altro risolva i nostri problemi. Noi viviamo in un momento in cui la generazione «Erasmus», che tra l’altro è rappresentata al Governo, ha conosciuto il sogno degli Stati uniti d’Europa come concretezza, che ha conosciuto l’euro come unica moneta o quasi. Di fronte a questa generazione, noi avvertiamo il bisogno di indicare una prospettiva di futuro e non di vivere di rimpianti e di ricostruzioni fasulle del passato. Propongo a questo Senato di essere la legislatura della svolta. Avrei preferito che questo passaggio fosse stato preceduto da un chiaro mandato elettorale.
Ma sappiamo come sono andate le elezioni. Oggi proponiamo di essere nella condizione di valutare una scelta politica. Non vi sorprenderà il fatto che in questo Governo sono rappresentati i segretari dei maggiori partiti perché questo è un Governo politico e noi pensiamo che la parola politica non sia una parolaccia. Noi pensiamo di poter andare nelle piazze a dire che la politica che noi abbiamo in testa è reale, vera e precisa. Noi pensiamo che non ci sia politica alcuna che non parta dalla centralità della scuola.
Mi piacerebbe che chi ha la presunzione di avere la verità in tasca avesse la possibilità di confrontarsi con le insegnanti delle scuole e le famiglie nella loro vita di tutti i giorni perché l’idea che da questa parte ci sia la casta e dall’altra ci siano i cittadini si è un po’ rovesciata. Lo dico a una parte di questo Parlamento. Chi di noi tutti i giorni ha incontrato cittadini, insegnanti, educatori e mamme sa perfettamente che c’è una bellissima e straordinaria richiesta che è duplice. Da un lato si chiede di restituire valore sociale all’insegnante e questo non ha bisogno di alcuna riforma, ma di un cambio di forma mentis.
Non ha bisogno di denaro, riforme, commissioni di studio; c’è bisogno del rispetto che si deve a chi quotidianamente va nelle nostre classi e assume su di sé il compito struggente e devastante di essere collaboratore della creazione di una libertà, della famiglia e delle agenzie educative. Il compito di un insegnante è straordinario. Ci avete mai parlato con gli insegnanti e ascoltato quello che dicono oggi?
Spero che il Presidente del Senato mi consenta di formulare questo invito ai senatori del mio partito: ricordiamoci sempre che svolgiamo una funzione sociale, tesa a recuperare le difficoltà che stanno incontrando in questo momento i senatori e le senatrici del Gruppo del Movimento 5 Stelle nei confronti della propria base e dell’opinione pubblica che li sostiene. Non è facile stare in un partito in cui c’è un capo che dice: «Io non sono democratico». Quindi, vogliamogli bene anche se loro non ne vogliono a noi. Io non ho fretta. Per cui posso andare avanti.
Parlavo degli insegnanti. Qual è la priorità che questo Paese ha nei confronti degli insegnanti? Sicuramente lo sa il Ministro dell’istruzione pubblica e dell’università: coinvolgere dal basso in ogni processo di riforma gli operatori della scuola. Non c’è dubbio. Ma c’è una priorità a monte: recuperare quella fiducia, quella credibilità, recuperare quella dimensione per cui se qui si fanno le cose, allora nelle scuole si può tornare a credere che l’educazione sia davvero il motore dello sviluppo. Ci sono fior di studi di economisti che dimostrano come un territorio che investe in capitale umano, in educazione, in istruzione pubblica è un territorio più forte rispetto agli altri.
Da Presidente del Consiglio io entrerò nelle scuole, una volta ottenuta – se così sarà – la fiducia dal Senato e dalla Camera. Mercoledì mattina, come faccio tutte le settimane, mi recherò in una scuola; la prima sarà un istituto di Treviso, perché ho scelto di partire dal Nord-Est, mentre la settimana prossima andrò in una scuola del Sud. E lo farò perché penso che sia fondamentale che il Governo non stia soltanto a Roma e, quindi, mi recherò nelle scuole, come facevo da sindaco, per dare un segnale simbolico, se volete persino banale, per dimostrare che da lì riparte un Paese. Dalla capacità di educare, di tirare via, di tirare fuori (nel senso latino del termine) nasce la credibilità di un Paese, ma per farlo c’è bisogno della capacità di garantire una concretezza amministrativa.
Con quale credibilità possiamo dire questo se continuiamo a tenere gli investimenti nell’edilizia scolastica bloccati da un Patto di stabilità interno che almeno su questa parte va cambiato subito? Come si può pensare che il Comune, la Provincia abbiano competenza sull’edilizia scolastica senza però avere la possibilità di spendere soldi che sono lì bloccati perché esistono norme che si preoccupano della stabilità burocratica ma non si rendono conto della stabilità delle aule in cui vanno a studiare i nostri figli! Come è possibile che non ci sia chiarezza su questo aspetto!
Domani scriverò una lettera ai miei colleghi sindaci, oltre 8.000, per chiedere a tutti loro e ai Presidenti delle Province sopravvissuti di fare il punto della situazione sull’edilizia scolastica, seguendo un bellissimo ragionamento del senatore Renzo Piano. Non so chi di voi ha avuto modo di conoscere le parole, a mio giudizio straordinarie, che Renzo Piano ha pronunciato pochi giorni fa in un’intervista. Piano ha invitato a rammendare i nostri territori, a rammendare le periferie. Credo sia un’espressione molto bella che dà il senso di ciò di cui abbiamo bisogno.
Noi abbiamo bisogno di intervenire nell’edilizia scolastica dal 15 giugno al 15 settembre, con un programma straordinario – nell’ordine di qualche miliardo di euro e non di qualche decina di milioni – da attuare sui singoli territori, partendo dalle richieste dei sindaci e intervenendo in modo concreto e puntuale.
Ma come? Di fronte alla crisi economica parti dalle scuole? Sì, di fronte alla crisi economica non puoi non partire dalle scuole.
Di fronte alla crisi economica partire dalle scuole significa partire, innanzitutto, da una tregua educativa con le famiglie e da un intervento nell’edilizia e nella infrastrutturazione scolastica su cui, nelle prossime settimane, vedrete concreti risultati. È chiaro che il tema della scuola è parziale rispetto al grande tema dell’educazione. Si inizia con gli asili nido. Gli Obiettivi di Lisbona vedono oggi un Paese drammaticamente diviso in due, tra una parte dell’Italia che ha già raggiunto quegli obiettivi (con alcune città che stanno sopra il 40 per cento) e una parte dell’Italia che veleggia su percentuali drammatiche. Alcune non arrivano neanche a doppia cifra: mi riferisco al numero dei bambini che frequentano gli asili nido.
Non è un tema da addetti ai lavori. È il tema vero nella vita di tutti i giorni. È il tema che si collega non necessariamente, ma parzialmente, al fatto che abbiamo la condizione di disoccupazione femminile più alta d’Europa. Ed è inaccettabile in una cornice come quella in cui stiamo vivendo.
È un tema che si collega al fatto che un bambino che non frequenta l’asilo nido ha un’occasione in meno rispetto a un suo coetaneo di un altro Paese.
Però, non vorrei che questo facesse venir meno un giudizio sulle priorità che riguardano la condizione economica. Metto a verbale che la scuola è il punto di partenza e intervengo sulle quattro riforme che vi proponiamo, che vi proporremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e la cui urgenza è l’elemento che detta la scansione temporale dei prossimi mesi e dei prossimi anni, e anche il cambio che noi abbiamo fatto all’interno del Governo.
Cambio che non può in alcun modo oscurare i risultati che ha ottenuto il Governo precedente.
E fatemi rivolgere un pensiero particolare al Presidente del Consiglio uscente, l’onorevole Enrico Letta. Viviamo una situazione in cui… Dicevano che al Senato non vi divertivate; invece, vi vedo sereni. Vi garantisco che vi divertirete sempre di più!
Dal 2008 al 2013, mentre qualcuno si divertiva, il PIL di questo Paese ha perso nove punti percentuali. La disoccupazione giovanile è passata dal 21,3 al 41,6 per cento.
La disoccupazione è passata dal 6,7 per cento al 12,6 per cento, in base all’ultimo dato. Non sono i numeri di una crisi. Sono i numeri di un tracollo…
Non si tratta di rispondere semplicemente con dei numeri a numeri. La crisi ha il volto di donne e di uomini, e non di slides.
Chi ha avuto modo di conoscere le dinamiche delle crisi aziendali, chi ha stretto la mano al cassintegrato, chi è entrato, perché faceva il sindaco, in una fabbrica o chi ha visto, da parlamentare e da senatore, e ha ricevuto delegazioni di lavoratrici e di lavoratori sa perfettamente che la crisi non è un numerino.
Però questo numero è impietoso. Però questo numero è devastante. Però questo numero impone un cambio radicale delle politiche economiche.
Il cambio radicale delle politiche economiche passa innanzitutto da alcuni provvedimenti concreti che, con il ministro Padoan, abbiamo discusso e che approfondiremo nel corso delle prossime settimane.
Il primo elemento su cui prendiamo un impegno è lo sblocco totale, non parziale, ma totale dei debiti della pubblica amministrazione attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti.
Il secondo elemento che mettiamo immediatamente all’ordine del giorno è la costituzione e il sostegno di fondi di garanzia, anche attraverso un rinnovato utilizzo della Cassa depositi e prestiti, per risolvere l’unica reale, importante e fondamentale questione che abbiamo sul tappeto, che è quella delle piccole e medie imprese che non riescono a accedere al credito.
Il terzo punto che poniamo immediatamente alla vostra attenzione – lo faremo nelle prossime settimane – è una riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale, attraverso misure serie e irreversibili, legate alla revisione della spesa, che porterà nel corso dei primi mesi del primo semestre del 2014 a vedere dei risultati immediati e concreti.
Su questi tre impegni siamo nelle condizioni di non offrire parole, ma interventi precisi e puntuali. Basta? No! Non basta (sono il primo a dirlo) e non perché la parte delle regole e della normativa non sia una parte importante. Nessun decreto crea, attraverso le regole, posti di lavoro; al massimo può accadere che faccia allontanare dei posti di lavoro, ma questa è un’altra storia.
Noi partiremo, entro il mese di marzo, con la discussione parlamentare del cosiddetto Piano per il lavoro, che, modificando uno strumento universale a sostegno di chi perde il posto di lavoro, interverrà attraverso nuove regole normative, anche profondamente innovative. Infatti, se non riusciamo a creare nuove assunzioni, il problema delle garanzie dei nuovi assunti neanche si pone. Immaginiamo però di intervenire in modo strutturale nella capacità di attrarre investimenti in questo Paese, investimenti che negli ultimi anni, purtroppo, in virtù della crisi, sono profondamente diminuiti, arrivando ai 12 miliardi dello scorso anno. C’è un dibattito surreale intorno a questo tema. Sembra che l’interesse nazionale impedisca l’attrazione degli investimenti. Sembra che, quando un soggetto vuole investire in Italia, questo debba essere cacciato al grido di «guai allo straniero!».
Un Paese vivo, ricco, aperto e curioso non ha paura di attrarre investimenti; li va a cercare e fa di tutto per agevolare l’investimento da parte di soggetti che vengono dall’esterno. Da sindaco potrei parlarvi della madre di tutte le privatizzazioni: la privatizzazione del Nuovo Pignone, che negli Novanta ha visto un incredibile aumento delle performance da parte del suo acquirente (gli americani di GE) e che oggi consente di aver moltiplicato per sette i posti di lavoro.
L’interesse nazionale non è il lancio di agenzia del deputato o senatore in cerca di visibilità; l’interesse nazionale è il posto di lavoro che si crea; è una famiglia che riesce a uscire dalla situazione di disoccupazione. L’interesse nazionale, che ha questo Paese, è quello di migliorare la sua attuale postazione nella classifica internazionale: siamo al penultimo posto nella classifica OCSE – correggetemi se sbaglio – per la capacità di attrazione, mentre siamo al 126° posto nel «Doing business index» della World Bank. Questo ci porta ad essere percepiti all’esterno solo come un Paese meraviglioso in cui andare in vacanza. Ma c’è un Paese potenzialmente più attrattivo del nostro? C’è un Paese che può coniugare la qualità del vivere bene con la capacità di tenere in piedi la genialità, l’intuizione, l’innovazione da parte delle lavoratrici e dei lavoratori?
Vi sembra possibile che, mentre nel mondo le startup e le grandi aziende innovative, dagli Stati Uniti a Israele, vivono, crescono (in alcuni casi anche muoiono, perché questo è il destino delle startup), in una dimensione straordinariamente innovativa, noi siamo invece fermi ad un principio per il quale, tra conferenze dei servizi, sovrintendenze e freni burocratici, prima di riuscire a portare a casa un risultato concreto, come quello dell’apertura di un capannone, viviamo dei tempi che sono biblici?
Ma non sentite quanto stride, nella concretezza di tutti i giorni, l’urgenza da cui siamo partiti e le difficoltà che invece la macchina pubblica mette nei paletti a chi vuole venire a investire?
Occorre un Paese semplice e coraggioso sul lavoro, un Paese che non abbia paura – lo sottolineo – ad affrontare in modo diverso il rapporto con la pubblica amministrazione.
Mi permetterete di dire – e so che potrà sembrare persino provocatorio – che vi sono settori dello Stato che vivono le peripezie della politica con apparente rispetto, ma con un sostanziale retropensiero: i Governi passano, i dirigenti restano. Talvolta mi è venuto in mente di pensare che sarebbe meglio il contrario, ma in realtà non è così, sarebbe una forma eccessiva. Credo però che sia civile un Paese che afferma la contestualità tra l’espressione popolare del Governo del Paese e la struttura dirigente della macchina pubblica.
In altri termini, credo sia arrivato il momento di dire con forza che una politica forte è quella che affida a tempi certi anche al ruolo dei dirigenti e che non può esistere, fermi saldi i diritti acquisiti, la possibilità di un dirigente che rimane a tempo indeterminato, che fa il bello e il cattivo tempo e che ne è il depositario.
Non siamo per sottrarre responsabilità ai dirigenti, siamo per dargliele tutte; vorremmo che la parola accountability trovasse una traduzione in italiano, perché vi sono le responsabilità erariali, quelle penali e quelle civili, però non ve n’è una da mancato raggiungimento degli obiettivi, se non a livello teorico: questa, però, è una sfida di buon senso, che nell’arco di quattro anni può essere vinta e affrontata se partiamo subito e se abbiamo anche il coraggio – lasciatemelo dire – di far emergere in modo netto, chiaro ed evidente che ogni centesimo speso dalla pubblica amministrazione debba essere visibile on line da parte di tutti.
Questo significa non semplicemente il Freedom of Information Act, ma un meccanismo di rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione tale per cui il cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante.
Non è soltanto questo, ovviamente, il processo di riforma della pubblica amministrazione che presenteremo prima delle elezioni, ma vogliamo anche a tutti i costi intervenire sul fisco, attraverso l’utilizzo della delega fiscale che il Parlamento ha affidato, che riteniamo debba caratterizzarsi per alcune caratteristiche chiaramente visibili da parte dei cittadini. Riuscire ad inviare a tutti i dipendenti pubblici ed ai pensionati direttamente a casa, magari attraverso uno strumento di tecnologia semplice – visto che il Papa ha detto che Internet è un dono di Dio, possiamo smettere di considerarlo come il nostro ostacolo o come un problema – la dichiarazione dei redditi precompilata. Si tratta di una proposta concreta e puntuale che nel corso delle consultazioni abbiamo ricevuto e recepito, che può immediatamente mostrare come cambia il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione.
Se il fisco smette di essere il nemico e di essere ostile, se smette di essere un fisco che fa paura e diventa uno spauracchio, ma assume i connotati di una sorta di consulenza che fa al cittadino – salvo poi quando accade che qualcuno davvero commette reati o comunque è passibile di sanzioni amministrative, perché allora la repressione dev’essere durissima – esso assumerà connotati diversi, tali da far uscire i cittadini dal pregiudizio per il quale sembra sempre che chi è famoso e potente comunque la sfanga, mentre chi ha a che fare con una cartella esattoriale – un milione di errori formali, tanti ve ne sono! – vive il rapporto con la pubblica amministrazione come un’angoscia.
E questo non può che condurci naturalmente verso il quarto e ultimo punto che voglio citare: quello relativo alla giustizia.
Abbiamo vissuto 20 anni di scontro ideologico su questo tema. Può piacere o meno. Non credo che alcuno, dopo 20 anni, convincerà l’altra parte della bontà delle proprie opinioni. Dopo 20 anni credo che le posizioni siano calcificate, siano intangibili, che nessuno possa convincere l’altro che si è compiuto un errore, o che si è fatto bene.
Credo sia arrivato il momento di mettere nel mese di giugno (sarà compito del Ministro competente) all’attenzione di questo Parlamento un pacchetto organico di revisione della giustizia che non lasci fuori niente.
Parto dalla giustizia amministrativa. Siamo un Paese in cui – lasciatevelo dire da chi costantemente ci batte la testa – lavorano più, negli appalti pubblici, gli avvocati che i muratori.
Negli appalti pubblici non c’è alternativa al ricorso sul controricorso con la sospensiva. Siamo al punto che i tribunali amministrativi regionali discettare di tutto. Siamo al punto che un provvedimento di un sindaco (in alcuni casi, anche del Parlamento) è comunque costantemente rimesso in discussione in una corsa ad ostacoli impressionante.
Ma come possiamo dare certezza del diritto se noi per primi abbiamo un sistema (sono partito da quello amministrativo) che crea inquietudine non già soltanto agli investitori stranieri, ma agli stessi operatori del diritto, a partire dai giudici amministrativi che in più circostanze hanno sottolineato la necessità di riforme strutturali?
La giustizia civile. Oggi noi viviamo un tempo nel quale, nella celerità dei processi, la lunghezza del processo civile, le difficoltà del processo civile sono tali per cui non soltanto se ne vanno gli investimenti (ed è un problema), ma se ne va anche la possibilità di credere realmente che il Paese sia redimibile, che il Paese sia recuperabile.
C’è questa stanca rassegnazione per cui si parte dal presupposto che tanto quando si entra in un’aula di tribunale non si sa come se ne esce. Questo vale anche per la giustizia penale con ciò che comporta. Non c’è ombra di dubbio che a fronte della straordinaria qualità di tantissime donne ed uomini che lavorano nel campo della giustizia (a partire dai giudici, per passare agli avvocati, agli operatori della giustizia e di Polizia giudiziaria), esiste una preoccupazione costante nell’opinione pubblica (a prescindere dalle discussioni che sono state oggetto per 20 anni di dibattito politico) sul fatto che la giustizia in Italia corra il rischio di arrivare troppo tardi ed anche – permettetemi – di colpire in modo diverso.
Faccio un esempio. Il più banale, ma volutamente banale, agli occhi dell’opinione pubblica e volutamente drammatico nel cuore di un amministratore che fa politica.
Non so se chi di voi si è occupato di amministrazione pubblica nelle realtà territoriali sa qual è il momento più duro per un sindaco. Per me era quando l’SMS del comandante della Polizia municipale mi informava che c’era stato un incidente stradale. Quando si verifica un incidente stradale e muore un ragazzo di 17 anni il sindaco non ha semplicemente un compito amministrativo. Il sindaco si trova faccia a faccia con il dolore di una famiglia che vede totalmente sconvolta la propria vita. Mi è accaduto, lo sanno le senatrici e i senatori fiorentini, ed è accaduto a tanti di voi.
Dalla storia di una queste famiglie, da un percorso che abbiamo fatto insieme è emerso con chiarezza che chi ubriaco e drogato si mette alla guida di un motorino causando il decesso di un ragazzo di 17 anni (il ragazzo in questione si chiamava Lorenzo) alla fine in tribunale, per i motivi più vari, gli viene comminata una sanzione inferiore, o sostanzialmente analoga, a quella comminata per un furto di serie B.
Vi rendete conto cosa possa diventare incontrare nel giorno del 18° compleanno di Lorenzo i suoi amici che festeggiano il suo compleanno senza di lui ricordandolo? Vi rendete conto di cosa possa significare andare a dire che io rappresento le istituzioni?
E vi rendete conto che sguardo vi gettano addosso quelle ragazze e quei ragazzi, accusando la politica di non essere capace di dare delle regole chiare, delle regole che non valgono semplicemente un dibattito politico, ma che valgono la vita di un ragazzo come loro? Questa è la vita reale che vorremmo informasse di più la discussione sulla giustizia: non, semplicemente, i nostri derby ideologici, ma la necessità di fare della giustizia un asset reale per lo sviluppo del Paese.
Se arrivano queste iniziative e questi provvedimenti, io credo che noi saremo nelle condizioni di affrontare con maggiore decisione il passaggio del semestre europeo, ovviamente inserendole nel contesto della riforma costituzionale ed elettorale.
Sono partito dalla provocazione, che provocazione non è: il superamento del Senato. Oggi il procedimento legislativo è farraginoso: lo sapete meglio voi di me. Oggi il numero dei parlamentari è eccessivo rispetto ai Paesi europei e al benchmark internazionale di riferimento: lo sapete meglio voi di me. Oggi c’è la possibilità di superare l’attuale conformazione del Senato, mantenendo fermi il no al voto di fiducia e il no al voto di bilancio e la possibilità di svolgere la funzione senatoriale, non come incarico figlio di un’elezione diretta e con un’indennità, ma, come nel modello tedesco, attraverso l’assunzione di responsabilità dai territori, impreziosito eventualmente – ci sono proposte in questo senso – da ulteriori figure espressioni del mondo culturale, accademico ed universitario. Questo tipo di proposta è il primo passo per recuperare la credibilità da parte dei cittadini nei nostri confronti.
Quello immediatamente successivo è superare il Titolo V della Costituzione per come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi. Il Titolo V oggi ha la necessità di rivedere le competenze esclusive dello Stato e delle Regioni e di introdurre la possibilità per le Regioni di legiferare in ogni materia che non sia specificamente assegnata, ma contemporaneamente di introdurre una clausola di intervento della legge statale anche in materie che siano esclusivamente assegnate alla competenza regionale quando questo sia richiesto da esigenze di unità economica e giuridica dell’ordinamento.
Noi prendiamo atto che, in questi anni, il ricorso alla Corte costituzionale, non dico che ha ingolfato la Corte, perché sarebbe scarsamente rispettoso delle Istituzioni, ma ha comunque provocato un eccesso di tensione tra le Regioni e lo Stato. Se noi oggi diciamo che non possiamo sostituire e tornare ad un centralismo della burocrazia statale, come ci siamo detti anche in occasione di questo intervento, è anche altrettanto vero che abbiamo bisogno di chiedere alle donne e agli uomini che guidano le Regioni e che ne fanno parte di prendere atto che è cambiato il clima nei confronti delle Regioni. È cambiato il clima sicuramente per ciò che è accaduto nel corso di questi anni in ordine ai rimborsi elettorali, ma è accaduto anche che, troppo spesso, la sovrapposizione di competenze dei Comuni, delle Province, delle Regione e dello Stato centrale con la linea europea a dare in qualche misura un ulteriore elemento di complicazione, ha reso sostanzialmente ingovernabile il sistema istituzionale. Noi proponiamo che, fin dal mese di marzo, la riforma del Senato parta del Senato e che la riforma del Titolo V parta dalla Camera.
Quanto all’accordo sulla legge elettorale – il cosiddetto Italicum -, comprendiamo l’esigenza di valorizzare il fatto che una legge elettorale che consenta il ballottaggio sia ovviamente impostata sulla presenza di una sola Camera.
Contemporaneamente, sappiamo perfettamente che l’Italicum è pronto per essere discusso alla Camera. E noi, da questo punto di vista, consideriamo l’Italicum non soltanto una priorità, ma una prima parziale risposta all’esigenza di evitare che la politica perda ulteriormente la faccia. Mi spiego: con quale credibilità possiamo dire che è urgente intervenire sulla legge elettorale e poi perdere l’occasione del contingentamento che abbiamo trovato? Certo, noi affermiamo che politicamente esiste un nesso netto tra l’accordo sulla legge elettorale, la riforma del Senato e la riforma del Titolo V: sono tre parti della stessa faccia.
Però vorrei dire due cose su questo. Mi rivolgo al gruppo delle opposizioni, e in particolar modo alle opposizioni che hanno accettato di stare nel dibattito sulle riforme costituzionali e che non fanno parte però della maggioranza di Governo. Noi abbiamo un tema aperto, e ne abbiamo parlato durante le consultazioni con il senatore Romani, che è quello del superamento delle Province. Il disegno di legge Delrio è oggi nelle condizioni di poter impedire che il 25 maggio si voti per le Province.
C’è un’opposizione dura anche in quest’Aula, immagino; c’è stata alla Camera, dove si è saldata un’opposizione, per certi aspetti persino una forma di ostruzionismo, tra Forza Italia e il Movimento 5 Stelle. Noi invitiamo a riflettere su una possibile soluzione semplice, evidente, alla portata di tutti noi. Nel rispetto delle diverse posizioni chiudiamo il disegno di legge Delrio e impediamo di votare il 25 maggio per le Province, ma nella discussione sul Titolo V riapriamo fra di noi la discussione su cosa debbono essere le Province. Mi pare un punto equilibrato, perché dimostra che noi sul tema delle Province non possiamo perdere il passaggio che è aperto davanti a noi. Volete davvero rivotare il 25 maggio per 46 istituzioni provinciali? Chi si assume la responsabilità di dire che questo non è un costo e, soprattutto, non è una perdita di opportunità? Vogliamo tornare all’ennesimo TAR che interviene giudicando illegittima l’una o l’altra misura? Esiste lo spazio per chiudere questo passaggio in modo rapido.
Il secondo punto sulle riforme è il seguente. Noi vogliamo sfidare il Parlamento; non consideriamo il Parlamento un inutile orpello. Noi siamo pronti a recuperare, nell’ambito di una cornice condivisa, tutti i miglioramenti possibili. Noi non abbiamo l’idea di venire a dettare la linea e di aspettare che rapidamente si esegua nelle Aule parlamentari. Ma stiamo scherzando?
Però, vi chiediamo di farvi carico, insieme a noi, del fatto che i tempi non sono più una variabile indipendente; e che se non iniziamo dalle riforme istituzionali e costituzionali e poi interveniamo nel pacchetto di riforme che vi ho esposto nel corso dell’intervento, noi perdiamo la possibilità di essere considerati credibili non tanto dai nostri partner europei, ma anche e soprattutto dai nostri concittadini.
Vado alla conclusione. Esistono numerosi provvedimenti, di cui abbiamo discusso in fase di consultazione, che non sono rientrati nell’ambito di questa relazione programmatica, per scelta.
Mi piacerebbe raccontarvi quanto intendiamo investire sulla cultura come elemento identitario.
So che c’è una parte tra voi, onorevoli senatori e gentili senatrici, che ritiene che la parola «identità» sia in qualche misura il baluardo contro la parola «integrazione». Non è così. Io credo che l’identità sia la base per l’integrazione. Il contrario di integrazione non è identità: è disintegrazione.

Il 22 febbraio si svolge il primo consiglio dei ministri

Il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi alle ore 12.55 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza di Matteo Renzi, Presidente del Consiglio.
Il Presidente Renzi ha aperto il Consiglio con un ringraziamento particolare  al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e all’on. Enrico Letta, Presidente del Consiglio uscente, per il lavoro svolto.
Il Presidente Renzi ha  rivolto gli auguri di buon lavoro ai Ministri e ha poi formulato la proposta di nomina a Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di Graziano Delrio, con le funzioni di Segretario del Consiglio medesimo.
Il Consiglio ha condiviso la scelta del Presidente Renzi e il Sottosegretario Delrio ha prestato giuramento ed assunto le proprie funzioni.
*****
Il Presidente Renzi ha conferito i seguenti incarichi di Ministro senza portafoglio:
per le Riforme costituzionali ed i Rapporti con il Parlamento all’on. Maria Elena Boschi;per gli Affari regionali a  Maria Carmela Lanzetta;per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione all’on.Maria Anna Madia.
*****
Il Consiglio ha avuto termine alle ore 14.05.

Il 22 febbraio, alle ore 11.30, al Palazzo del Quirinale, nel Salone delle Feste, si svolge la cerimonia del giuramento dei componenti il nuovo Governo.

governo_Renzi

Giuramento del Governo Renzi al Quirinale

Il Governo ha prestato giuramento al Palazzo del Quirinale.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, dott. Matteo Renzi, e i Ministri hanno giurato nelle mani del Capo dello Stato, pronunciando la formula di rito.

Erano presenti, in qualità di testimoni, il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Consigliere di Stato Donato Marra, e il Consigliere Militare del Presidente della Repubblica, Generale Rolando Mosca Moschini.

Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, attualmente all’estero, presterà giuramento successivamente nelle mani del Capo dello Stato.

giuramento_renzi

Il 21 febbraio il premier incaricato, Matteo Renzi, scioglie la riserva e presenta il nuovo esecutivo:

Sottosegretario: Graziano Delrio

Ministeri con portafoglio:

  • Esteri: Federica Mogherini
  • Interno: Angelino Alfano
  • Giustizia: Andrea Orlando
  • Difesa: Roberta Pinotti
  • Economia: Pier Carlo Padoan
  • Sviluppo Economico: Federica Guidi
  • Politiche Agricole: Maurizio Martina
  • Ambiente: Gianluca Galletti
  • Infrastrutture e trasporti: Maurizio Lupi
  • Lavoro e politiche sociali: Giuliano Poletti
  • Istruzione: Stefania Giannini
  • Cultura: Dario Franceschini
  • Salute: Beatrice Lorenzin

Ministeri senza portafoglio:

  • Riforme e Rapporti con Parlamento: Maria Elena Boschi
  • Semplificazione e Pa: Marianna Madia

Il Presidente Napolitano sul Governo Renzi: “Ampi caratteri di novità”. Giuramento al Quirinale il 22 febbraio

(Quirinale, 21.2.14) Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto al Palazzo del Quirinale il Segretario Nazionale del Partito Democratico, dott. Matteo Renzi, il quale, sciogliendo la riserva formulata il 17 febbraio, ha accettato di formare il nuovo Governo, sottoponendo al Presidente della Repubblica le proposte relative alla composizione del Gabinetto ai sensi dell’articolo 92 della Costituzione.
Il giuramento dei componenti il nuovo Governo avrà luogo il 22 febbraio, alle ore 11.30, al Palazzo del Quirinale nel Salone delle Feste.

Dichiarazione del Presidente Napolitano al termine dell’incontro con il Presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi

Vi ringrazio per la pazienza e il lavoro, ormai avete imparato che bisogna essere pazienti in queste circostanze.
Il governo che vi è stato presentato poc’anzi presenta così ampi caratteri di novità da spiegare ad abundantiam il tempo che è stato richiesto per definirne la composizione.

Come ben sapete la responsabilità delle proposte è prerogativa costituzionale del Presidente del Consiglio e tale prerogativa è stata ovviamente rispettata in modo pieno, in un clima di serena collaborazione istituzionale. Direi che l’impronta del Presidente Matteo Renzi, che è chiamato a guidare il governo, risulta evidente nei molti nomi nuovi chiamati ad assumere per la prima volta il ruolo di Ministri della Repubblica. E il clima di collaborazione istituzionale di cui ho parlato si è rispecchiato, come sempre nella prassi repubblicana, in ripetuti scambi di opinioni e di consigli tra il Presidente incaricato e il Presidente della Repubblica. Le due ore e mezzo di oggi sono state anche, però, due ore e mezzo non di incontro tra me e il Presidente incaricato ma di lavoro parallelo : io ho fatto un po’ del mio lavoro di routine e il Presidente del Consiglio ha completato consultazioni per poter definire la composizione del Consiglio dei Ministri.

Vorrei assicurare – mi dispiace deluderli – i cultori di ricostruzioni giornalistiche a tinte forti che il mio braccio non è stato sottoposto, né l’altro ieri né oggi, ad alcuna prova di ferro ; mi trovate, spero, in buone condizioni. Condivido profondamente l’accento che è stato posto dal Presidente Renzi sulla esigenza – e lo ha posto in modo drammatico – di adottare in tempi brevi le riforme strutturali per le istituzioni e per l’economia e il lavoro che non possono ulteriormente attendere. E perché in questo senso si procedesse superando molti, lunghi anni di esitazioni e di contraddizioni. Io mi sono, come sapete, speso in tutto l’arco della mia presidenza : confido che veramente non si perda quest’occasione, perché non possiamo concederci il lusso di perderla.

In questo spirito rivolgo il mio più caloroso augurio al Presidente del Consiglio e al nuovo governo, domani procederemo al giuramento. E colgo l’occasione per associarmi alle parole di Matteo Renzi per Enrico Letta al quale desidero personalmente rinnovare il mio sentimento di stima, di fiducia e di gratitudine, sicuro che nel Parlamento e in ogni altra istanza appropriata continuerà a dare un contributo importante nell’interesse del Paese e dell’Europa.

Il 18 e 19 febbraio si svolgono le consultazioni del premier incaricato che riferisce sulle stesse nella serata del 19 al Capo dello Stato.

Il Presidente Napolitano ha ricevuto il Presidente del Consiglio incaricato, Renzi

(Quirinale, 19.2.14) Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questa sera al Quirinale il Presidente del Consiglio incaricato, Matteo Renzi, che lo ha informato sull’attività in corso ai fini dell’adempimento dell’incarico ricevuto.
Il Presidente incaricato era accompagnato dal Ministro Graziano Delrio.

Il 17 febbraio Il Presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il nuovo governo a Matteo Renzi che lo accoglie con riserva.

Il Presidente Napolitano ha conferito al Segretario del PD Matteo Renzi l’incarico di formare il nuovo governo

(Quirinale, 17.2.14) “Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto al Palazzo del Quirinale il Segretario nazionale del Partito Democratico, dottor Matteo Renzi, al quale ha conferito l’incarico di formare il nuovo governo. Il dottor Renzi si è riservato di accettare”. Lo ha dichiarato il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra.

Il Presidente del Consiglio, a seguito delle decisioni assunte il 13 febbraio dalla direzione nazionale del Partito Democratico, si reca il 14 febbraio al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Le consultazioni si svolgono dal pomeriggio del 14 al 15 febbraio.

(Quirinale, 15.2.14) Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha concluso le consultazioni dopo le dimissioni dell’esecutivo presieduto dall’onorevole Letta. Le consultazioni sono iniziate con i Presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini, e sono poi proseguite venerdì pomeriggio e per tutta la giornata di sabato con i gruppi parlamentari. Al termine, il Capo dello Stato ha salutato i giornalisti rilasciando una dichiarazione.

Consultazioni a seguito delle dimissioni del governo Letta

14 febbraio 2014

  • 17,00 Presidente del Senato della Repubblica: Pietro Grasso
  • 17,45 Presidente della Camera dei Deputati: Laura Boldrini
  • 18,30 Presidente del Gruppo parlamentare Misto ed esponente della Composizione di SEL del Senato della Repubblica: Loredana De Petris
  • 18,50 Presidente del Gruppo parlamentare Misto della Camera dei Deputati: Pino Pisicchio

15 febbraio 2014

  • 10,00 On. Ing. Daniel ALFREIDER, esponente della Minoranza Linguistica del Südtiroler Volkspartei del Gruppo Parlamentare Misto della Camera dei Deputati
  • 10,20 Sen. Dott. Albert LANIÉCE e On. Rudi Franco MARGUERETTAZ, esponenti della minoranza linguistica della Valle d’Aosta del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati
  • 10,40 On. Avv. Aniello FORMISANO, esponente della componente “Centro Democratico” del Gruppo Parlamentare Misto della Camera dei Deputati, accompagnato dall’On. Dott. Bruno TABACCI, leader del partito “Centro Democratico – Diritti e Libertà”
  • 11,00 On. Ing. Franco BRUNO, esponente della Componente MAIE – Movimento Associativo Italiani all’Estero – Alleanza per l’Italia (API) del Gruppo Parlamentare Misto della Camera dei Deputati
  • 11,20 On. Avv. Marco DI LELLO, esponente della Componente Partito Socialista Italiano (PSI) – Liberali per l’Italia (PLI) del Gruppo Parlamentare Misto della Camera dei Deputati, accompagnato dal Sen. Dott. Riccardo NENCINI, Segretario Nazionale del Partito Socialista Italiano
  • 11,40 On. Giorgia MELONI, Presidente del Gruppo Parlamentare “Fratelli d’Italia” della Camera dei Deputati
  • 12,00 Sen. Ing. Mario FERRARA Presidente del Gruppo Parlamentare “Grandi Autonomie e Libertà” del Senato della Repubblica
  • 12,20 Sen. Vittorio FRAVEZZI, Vice Presidente del Gruppo Parlamentare “Per le Autonomie (SVP, UV, PATT, UPT) – PSI – MAIE” del Senato della Repubblica, accompagnato dal Sen. Hans BERGER, Segretario del Gruppo Parlamentare “Per le Autonomie (SVP, UV, PATT, UPT) – PSI – MAIE” del Senato della Repubblica
  • 16,00 Sen. Maurizio SACCONI e On. Avv. Enrico COSTA, Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Nuovo Centrodestra” del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, accompagnati dal Sen. Avv. Renato Giuseppe SCHIFANI e dall’On. Avv. Angelino ALFANO, rispettivamente Presidente e Leader del partito “Nuovo Centrodestra”
  • 16,30 Sen. Prof. Lucio ROMANO e On. Lorenzo DELLAI, Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Per l’Italia” del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, accompagnati dall’On. Dott. Lorenzo CESA, Segretario del Partito UDC – Unione di Centro
  • 17,00 Sen. Dott. Massimo BITONCI e On. Dott. Giancarlo GIORGETTI, Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Lega Nord e Autonomie” del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati
  • 17,30 Sen. Avv. Gianluca SUSTA e On. Prof. Andrea ROMANO, Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Scelta Civica per l’Italia” del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, accompagnati dalla Sen. Stefania GIANNINI, Segretario politico di “Scelta Civica per l’Italia”
  • 18,00 On. Dott. Gennaro MIGLIORE, Presidente del Gruppo Parlamentare “Sinistra Ecologia – Libertà” della Camera dei Deputati
  • 18,30 Sen. Paolo ROMANI e On. Prof. Renato BRUNETTA, Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Forza Italia – Il Popolo della Libertà XVII Legislatura” del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati accompagnati dal Dott. Silvio BERLUSCONI, Presidente del Partito “Forza Italia”
  • 19,15 Sen. Avv. Luigi ZANDA e On. Dott. Roberto SPERANZA, Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Partito Democratico” del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati

 

Consultazioni al Quirinale a seguito delle dimissioni del Governo Letta (Quirinale, 14.2.14) Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri onorevole Enrico Letta – accompagnato dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi – che gli ha rassegnato le dimissioni, irrevocabili dell’esecutivo da lui presieduto. Esse conseguono necessariamente al deliberato assunto ieri – in forma pubblica e con l’espresso consenso dei Presidenti dei rispettivi gruppi parlamentari – dalla Direzione del Partito Democratico a favore di un mutamento della compagine governativa. Essendogli così venuto meno il determinante sostegno della principale componente della maggioranza di governo, il Presidente del Consiglio ritiene che a questo punto un formale passaggio parlamentare non potrebbe offrire elementi tali da indurlo a soprassedere dalle dimissioni, anche perché egli non sarebbe comunque disponibile a presiedere governi sostenuti da ipotetiche maggioranze diverse. Il Presidente della Repubblica non può che prendere atto della posizione espressa dal Presidente del Consiglio: il Parlamento potrà comunque esprimersi sulle origini e le motivazioni della crisi allorché sarà chiamato a dare la fiducia al nuovo Governo. La stessa procedura si è del resto seguita allorché le dimissioni dei rispettivi governi furono presentate al Capo dello Stato, senza alcuna previa comunicazione alle Camere, dal Presidente Berlusconi e dal Presidente Monti durante la scorsa legislatura. Da parte sua il Presidente della Repubblica svolgerà nel più breve tempo possibile le consultazioni dei Gruppi parlamentari al fine di avviare la complessa fase successiva che dovrà condurre a una efficace soluzione della crisi, quanto mai opportuna nella delicata fase economica che il paese attraversa e per affrontare al più presto l’esame della nuova legge elettorale e delle riforme istituzionali ritenute più urgenti. Le consultazioni inizieranno oggi pomeriggio e si concluderanno nella giornata di domani.

28 febbraio Servizi per la Scuola in CdM

Il consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 28 febbraio, ha approvato un decreto legge contenente disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche.

Viene prorogata di un mese, dal 28 febbraio al 31 marzo 2014, la corresponsione degli emolumenti al personale delle organizzazioni che gestiscono contratti di servizi di pulizia ed altri servizi ausiliari stipulati dalle scuole per sopperire alla mancanza di personale.
E’ stato inoltre prorogato il termine per i bandi di gara riguardante la manutenzione straordinaria e ordinaria degli edifici scolastici.

Di seguito i comunicati del MIUR:

Pulizie nelle scuole, un tavolo per uscire dall’emergenza

Il Consiglio dei Ministri ha stabilito la proroga di un mese, dal 28 febbraio al 31 marzo 2014, dei contratti stipulati dalle scuole per i servizi di pulizia effettuati da personale esterno. Una misura “necessaria”, ha spiegato il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, per “uscire dall’emergenza” e “dare una risposta a 24.000 lavoratori che erano in attesa. Questa è una situazione molto antica – ha aggiunto – che si è trascinata negli anni. Nell’arco di pochi giorni abbiamo individuato una soluzione per tamponare l’emergenza e trovato i fondi”. Ora, però, ha avvertito il Ministro, bisogna “cambiare metodo e affrontare il problema una volta per tutte”. Per questo martedì, ha annunciato, si aprirà un tavolo interministeriale Scuola-Lavoro con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti: “Avvieremo una progettazione rapidissima per fare un piano biennale di ricollocazione e riqualificazione di questi lavoratori”. Nel frattempo il Miur ha inviato alle scuole che utilizzano questo tipo di personale una circolare che spiega le modalità di proroga dei contratti.

Edilizia scolastica, proroga di due mesi del piano da 150 milioni per la manutenzione straordinaria e la messa in sicurezza

Gli enti locali avranno altri due mesi di tempo per assegnare gli appalti del piano edilizia scolastica da 150 milioni stanziati attraverso il decreto “Fare”. Lo ha deciso oggi il Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini. Lo scorso novembre il Miur ha dichiarato finanziabili 692 interventi in base graduatorie fornite dalle Regioni. Il termine per l’affidamento dei lavori scadeva il 28 febbraio 2014. Il Ministero ha monitorato e sollecitato costantemente. Ma alla data di ieri, 27 febbraio 2014, risultavano affidati soltanto 207 interventi per un totale di  35,7 milioni di euro. Quindi meno del 30% degli interventi possibili, e meno di un quarto delle risorse a disposizione. Per evitare di vanificare il lavoro fatto negli scorsi mesi è stata disposta la proroga.

In allegato la mappa dei lavori assegnati.
Infogramma_19
Infogramma_14_02

26 febbraio Conversione DL “Milleproroghe” al Senato

Il 26 febbraio l’Aula del Senato approva definitivamente il DdL di Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, già approvato dalla Camera.

Il 17 febbraio l’Aula della Camera approva con modifiche il DdL di Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. I

L’11 e 12 febbraio la 7a Commissione della Camera esamina il DdL di Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, nel testo approvato dal Senato

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE (7a Camera, 12.2.14)

  La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
esaminato, per le parti di propria competenza, il disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative;
considerato che, all’articolo 6 comma 1, la proroga di sei mesi rispetto al termine originario di scadenza, il 1o gennaio 2014, per la dismissione della sede del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in Piazzale Kennedy a Roma e la relativa risoluzione del contratto di locazione, comporta un minor risparmio di tre milioni di euro per l’anno 2014 rispetto a quanto preventivato, ai quali il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca farà fronte, secondo quanto affermato nella relazione tecnica annessa al provvedimento in esame, con la corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto sul capitolo 1659, piano di gestione 11, dello stato di previsione della spesa del medesimo dicastero;
rilevato, poi, che è necessario chiarire la portata normativa dell’articolo 1, comma 9, in relazione a quanto previsto in materia di limiti assunzionali per il sistema delle università statali dall’articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti osservazioni:
   a) chiarisca il Governo gli effetti sulla funzionalità dei servizi resi dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, derivanti dal minor risparmio di tre milioni di euro, per l’anno 2014, conseguenti alla proroga di sei mesi, di cui all’articolo 6, comma 1, della dismissione della sede del medesimo Ministero in Piazzale Kennedy, a Roma, e della relativa risoluzione del contratto di locazione;
   b) chiarisca il Governo la portata normativa dell’articolo 1, comma 9, in relazione ai limiti assunzionali per il sistema delle università statali in quanto l’adozione del D.P.C.M., previsto dal medesimo articolo, sembrerebbe essere stata superata dalla disposizione dell’articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012.

—–

(7a Camera, 11.2.14) Bruno MOLEA (SCpI), relatore, ricorda che il disegno di legge in esame, approvato, con modificazioni, dal Senato, scade il 28 febbraio 2014, ed è stato assegnato in sede referente alla I Commissione affari costituzionali. Precisa che lo stesso è composto complessivamente di 17 articoli, di cui 3 aggiunti nel corso dell’esame del provvedimento presso l’altro ramo del Parlamento (articoli 2-bis, 3-bis e 4-bis). Rileva, in sintesi, che l’articolo 1 reca proroga di termini in materia di assunzioni, organizzazione e funzionamento delle pubbliche amministrazioni; l’articolo 2 concerne proroga di termini relativi ad interventi emergenziali; l’articolo 2-bis riguarda proroga di termini in materia di magistratura ordinaria; l’articolo 3 è relativo a proroga di termini di competenza del Ministero dell’interno; l’articolo 3-bis concerne una proroga di termini in materia di giustizia; l’articolo 4 reca una proroga di termini in materia di infrastrutture e trasporti; l’articolo 4-bis dispone il differimento di termini in materia di fonti rinnovabili in edilizia; l’articolo 5 prevede la proroga di termini in materia di politiche agricole alimentari e forestali; l’articolo 6 dispone la proroga di termini in materia di istruzione, università e ricerca; l’articolo 7 riguarda la proroga di termini in materia di salute; l’articolo 8 concerne la proroga di termini in materia di lavoro e di politiche sociali; l’articolo 9 è relativo a proroga di termini in materia economica e finanziaria; l’articolo 10 reca proroga di termini in materia ambientale; l’articolo 11 concerne proroga di termini in materia di turismo; l’articolo 12 reca proroga di termini nel settore delle comunicazioni; l’articolo 13 prevede termini in materia di servizi pubblici locali e l’articolo 14, infine, reca la disposizione di entrata in vigore del provvedimento.
Andando nello specifico delle norme di interesse per la VII Commissione, segnala, intanto, l’articolo 1, comma 3, concernente l’assegnazione del personale non dirigente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Precisa che questo comma, nel testo risultante dalle modifiche apportate al Senato, dispone che le assegnazioni temporanee del personale non dirigenziale presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e presso l’INPS, fatta eccezione per il personale del comparto scuola, possano essere prorogate di un anno, in deroga al limite massimo di 3 anni previsto dall’articolo 30, comma 2-sexies, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (introdotto nel 2010), e ai fini della predisposizione di un piano di revisione dell’utilizzo del personale comandato. Aggiunge che la proroga opera nelle more della definizione della procedura di mobilità e, per ciò che concerne il personale impiegato presso l’INPS, del completamento del piano di rientro dalla situazione di esubero, determinatasi a seguito della soppressione degli altri enti previdenziali (ENPALS, IPOST, ma soprattutto INPDAP) e del conseguente trasferimento del relativo personale e delle funzioni all’INPS. Evidenzia poi la disposizione di cui al comma 9 del medesimo articolo 1, concernente le spese degli atenei per il personale e per l’indebitamento. Rileva che questo comma proroga al 30 giugno 2014 il termine per l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale ridefinire, per il triennio 2014-2016, la disciplina per l’individuazione della misura delle assunzioni di personale a tempo indeterminato e del conferimento di contratti di ricerca a tempo determinato nelle università. Il riferimento contenuto nella disposizione in esame è all’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 49 del 2012, in base al quale il suddetto decreto doveva essere emanato entro il mese di dicembre antecedente al successivo triennio di programmazione. Rimandando alla documentazione predisposta dagli uffici per maggiori dettagli in proposito, segnala, comunque, che sembrerebbe necessaria una verifica sulla portata normativa della disposizione introdotta dal suddetto comma 9 dell’articolo 1, in quanto la previsione di adozione del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sembrerebbe essere stata superata da ciò che prevede, in materia, l’articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012).
Segnala poi l’articolo 1, comma 13, in materia di riduzione della spesa delle federazioni sportive e delle discipline sportive associate iscritte al CONI. Aggiunge che questa disposizione, nel testo risultante dalle modifiche apportate al Senato, differisce al 1o gennaio 2015 l’applicazione alle federazioni sportive e alle discipline sportive associate iscritte al CONI delle disposizioni in materia di riduzione dei costi degli apparati amministrativi contenute nell’articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, nel limite di spesa di 2 milioni di euro. Precisa che al relativo onere, per l’anno 2014, provvede il CONI, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato del corrispondente importo. Ricorda poi che l’ultimo differimento di questo termine, previsto al 1o gennaio 2014, era stato disposto dall’articolo 1, comma 409, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013). Rimanda inoltre alla documentazione predisposta dagli uffici per maggiori dettagli su questo aspetto del provvedimento in esame.
Di interesse specifico per la VII Commissione risulta poi l’articolo 6, che reca proprio la proroga di termini in materia di istruzione, università e ricerca. Aggiunge che, in particolare, il comma 1 dell’articolo 6 proroga di sei mesi – dal termine originario del 1o gennaio 2014 al 30 giugno 2014 – il termine per la dismissione della sede del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca di piazzale Kennedy a Roma e per la risoluzione del relativo contratto di locazione. Ricorda poi che questo comma, a tal fine, novella l’articolo 1, comma 48, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013), che costituisce una delle misure individuate dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione della spesa indicati, ai sensi dell’articolo 7, commi 12-15, del decreto-legge n. 95 del 2012, che rinviano all’allegato 2 del medesimo decreto. In particolare, il citato comma 48 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013 indica un risparmio di spesa conseguente alla dismissione pari a 6 milioni di euro a decorrere dal 2014. Sottolinea al riguardo che la relazione tecnica al testo iniziale del provvedimento in esame (atto Senato 1214), fa presente che la proroga si rende necessaria in considerazione del fatto che la nuova sede presso la quale si trasferirà il personale attualmente operante presso la sede di piazzale Kennedy – nuova sede che, in base alla relazione illustrativa, è vicina alla sede centrale di viale Trastevere – non è ancora pronta a causa di ritardi imprevisti nei lavori di ristrutturazione, evidenziando che la stessa proroga determina una riduzione del risparmio di spesa pari a 3 milioni di euro per l’anno 2014, ai quali il Ministero farà fronte a valere sullo stanziamento iscritto nel relativo capitolo di spesa 1659, piano di gestione 11, dello stato di previsione del MIUR. Aggiunge altresì che il comma 2 del medesimo articolo 6 reca la proroga dell’obbligo di adozione dei nuovi sistemi contabili nelle università. Questa norma, come modificata durante l’esame al Senato, proroga dal 1o gennaio 2014 al 1o gennaio 2015 il termine per l’introduzione, da parte delle università, del sistema di contabilità economico-patrimoniale e del bilancio unico d’ateneo, nonché dei sistemi e delle procedure di contabilità analitica: a tal fine, novella l’articolo 7, comma 3, del decreto legislativo n. 18 del 2012. Precisa che il testo iniziale del decreto-legge in esame prevedeva che all’adozione dei nuovi strumenti si procedesse «entro il 31 dicembre 2014». La relazione illustrativa all’atto Senato 1214 fa presente che la proroga si rende necessaria per la complessità insita nell’introduzione delle nuove procedure.
Passando al comma 3 dell’articolo 6, rileva che questo proroga un termine in materia di finanziamenti per immobili scolastici. Nello specifico, viene disposta la proroga dal 28 febbraio 2014 al 30 giugno 2014 del termine per l’affidamento dei lavori finalizzati alla riqualificazione e alla messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali – di cui all’articolo 18, commi 8-ter-8-sexies, del decreto-legge n. 69 del 2013 – per le regioni nelle quali l’autorità giudiziaria ha sospeso gli effetti delle graduatorie propedeutiche all’assegnazione delle risorse agli enti locali proprietari degli immobili. Specifica che la predetta proroga evita la revoca dei finanziamenti prevista, in tali casi di mancato affidamento dei lavori, dal comma 8-quinquies dell’articolo 18 del suddetto decreto-legge n. 69 del 2013. Segnala poi i commi 4-6 del medesimo articolo 6 concernenti la riassegnazione al fondo ordinario delle università di somme già relative al progetto «Super B Factory». In particolare, il comma 4 dell’articolo 6 dispone la proroga di un anno del termine di conservazione in bilancio, impedendone per tale periodo la perenzione amministrativa, delle somme relative al progetto bandiera denominato «Super B Factory», inserito nel Programma nazionale della ricerca 2011-2013, iscritte nel conto dei residui sul capitolo 7236 «Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca» dello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Aggiunge che la proroga, di un anno, opera nel limite di 40.357.750 euro ed è in relazione a ciascun esercizio di provenienza delle stesse somme. Pertanto, il predetto importo è mantenuto in bilancio e versato all’entrata del bilancio dello Stato per 22.000.000 euro nell’anno 2014 e per 18.357.750 euro nell’anno 2015, ai fini della riassegnazione, nei medesimi anni, al Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali dello stato di previsione dello stesso Ministero (capitolo 1694 dello stato di previsione del MIUR). Precisa che il comma 5 del medesimo articolo 6 dispone che alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto derivanti dal mantenimento in bilancio delle somme e riassegnazione alla spesa delle stesse di cui al comma precedente si provvede mediante corrispondente utilizzo – per 22.000.000 euro per il 2014 e per 18.357.750 euro per l’anno 2015 – del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 154 del 2008. Sottolinea infine che il comma 6 dell’articolo 6 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Ricorda poi che i predetti commi 4-6 dell’articolo 6 riproducono, con talune modifiche, i commi da 20-duodecies a 20-quaterdecies, introdotti nel corso dell’esame – in prima lettura al Senato – del decreto-legge n. 126 del 2013 all’articolo 1 del medesimo provvedimento, successivamente decaduto (atto Camera 1906).
Precisa poi che il comma 6-bis dell’articolo 6 concerne la validità dell’idoneità per posti di professore e ricercatore universitari. Aggiunge che esso dispone che la validità delle idoneità conseguite ai sensi della legge n. 210 del 1998, recante norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo, sia prorogata di due anni dalla data di scadenza del quinto anno dal loro conseguimento. Con riferimento poi all’articolo 12 del provvedimento in esame, segnala che lo stesso reca una proroga al divieto di partecipazioni incrociate televisive ed editoriali. Nello specifico, questo articolo proroga di un anno, al 31 dicembre 2014, il termine previsto dall’articolo 43, comma 12, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (decreto legislativo n. 177 del 2005), che viene novellato, relativo al divieto di partecipazioni incrociate tra editoria, televisione e comunicazioni elettroniche nel Sistema integrato delle comunicazioni (SIC). Specifica che il termine originario era stato prorogato, da ultimo, al 31 dicembre 2013, dall’articolo 1, comma 427, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013). Sottolinea poi che il predetto articolo 43, comma 12 del Testo unico stabilisce il divieto, ora prorogato al 31 dicembre 2014, di acquisire partecipazioni editoriali per: i soggetti che esercitano l’attività televisiva in ambito nazionale attraverso più di una rete, di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani, qualora abbiano conseguito, sulla base dell’ultimo provvedimento di valutazione del valore economico del Sistema integrato delle comunicazioni (SIC) adottato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ricavi superiori all’8 per cento del valore complessivo del sistema integrato delle comunicazioni; i soggetti, richiamati dal comma 11 del medesimo articolo 43, operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche con ricavi superiori al 40 per cento del valore complessivo del settore. Oltre alle suddette disposizioni del provvedimento in esame, di diretto interesse per la VII Commissione, segnala di seguito anche alcune norme, presenti in particolare all’articolo 1 del decreto-legge in titolo, che per il loro carattere trasversale interessano, tra le altre amministrazioni dello Stato, sia il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sia il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, oltre alle università e agli enti pubblici di ricerca.
Si riferisce, intanto, al comma 4 dell’articolo 1, che reca norme di proroga del termine per le assunzioni nella pubblica amministrazione. In particolare, la lettera a) del comma 4 dell’articolo 1 proroga al 31 dicembre 2014 il termine per procedere alle assunzioni – a tempo indeterminato – di personale, già oggetto di previsioni dell’articolo 1, commi 523, 527 e 643, della legge n. 296 del 2006 e dell’articolo 66, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008. Aggiunge che la lettera b) del medesimo comma 4 dell’articolo 1 proroga al 31 dicembre 2014 il termine previsto dall’articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 216 del 2011 per procedere alle assunzioni di personale a tempo indeterminato, da parte di specifiche amministrazioni, in relazione alle cessazioni verificatesi negli anni dal 2009 al 2012, di cui all’articolo 3, comma 102, della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007) e all’articolo 66, commi 9-bis, 13 e 14, del decreto-legge n. 112 del 2008. Specifica che, ove previste, anche le relative autorizzazioni ad assumere possono essere concesse entro il 31 dicembre 2014. Rimanda poi alla documentazione predisposta dagli uffici per il dettaglio delle disposizioni richiamate.
Richiama inoltre l’attenzione sul comma 6 dell’articolo 1, che reca norme in materia di organizzazione dei Ministeri. In particolare, il predetto comma 6, con una modifica non testuale, proroga il termine – di cui all’ultimo periodo dell’articolo 2, comma 7, del decreto-legge n. 101 del 2013 – per l’adozione dei previsti regolamenti di organizzazione dei ministeri, stabilendo che al 31 dicembre 2013 sia sufficiente aver provveduto alla trasmissione dello schema di regolamento al Ministro per la pubblica amministrazione. Specifica che il termine per l’effettiva adozione del regolamento di organizzazione è posticipato al 28 febbraio 2014. Aggiunge che il medesimo comma 6 dell’articolo 1 dispone che gli assetti organizzativi definiti con i regolamenti di organizzazione adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, qualora determinino comprovati effetti di riduzione di spesa, possano derogare alla disciplina legislativa vigente concernente le strutture di primo livello di ciascun ministero, fermi restando i due diversi modelli organizzativi, uno basato sui dipartimenti e uno sulle direzioni generali ai sensi dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 300 del 1999. Rileva che in conseguenza della proroga stabilita per il riordino organizzativo, il quarto periodo del comma 6 proroga al 28 febbraio 2014 il termine per la prosecuzione degli incarichi conferiti a dirigenti di seconda fascia ai sensi dell’articolo 19, comma 4 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che l’articolo 2, comma 8, del decreto-legge n. 101 del 2013 aveva già autorizzato, per esigenze funzionali strettamente necessarie e adeguatamente motivate, fino alla data di adozione dei regolamenti organizzativi e comunque non oltre il 31 dicembre 2013. Specifica che tale proroga si applica solo all’interno delle amministrazioni ministeriali che abbiano provveduto alla trasmissione dello schema di regolamento di organizzazione entro il 31 dicembre 2013 e che nel corso dell’esame del provvedimento al Senato, è stata inserita infine una disposizione di salvaguardia, affinché in ogni caso i nuovi assetti organizzativi – fermo restando lo svolgimento delle funzioni demandate alle strutture – non comportino nel loro complesso maggiori oneri o minori risparmi, rispetto a quanto previsto dal decreto-legge sulla cosiddetta spending review, ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012. Rileva infine che il comma 10 dell’articolo 1 concerne le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 1 della legge 196 del 2009 – dunque inserite nel conto consolidato della pubblica amministrazione, ossia tutte quelle rilevate a fini statistici nell’elenco oggetto del comunicato dell’Istituto nazionale di statistica – incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo. Sottolinea che la predetta disposizione, con una novella, proroga al 31 dicembre 2014 la previsione che siffatti emolumenti non possano eccedere gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti – del 10 per cento – ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010.

Il 29 gennaio l’Aula del Senato approva il DdL di Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative

Il 14 e 22 gennaio la 7a Commissione del Senato esprime parere favorevole con osservazioni sul DdL di Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La Commissione, esaminato il disegno di legge in titolo,

rilevato che il provvedimento reca norme trasversali, tra cui:

–        l’articolo 1, comma 3, che contiene una proroga specifica per il personale non dirigenziale operante presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, allungando di un anno la durata, attualmente triennale, della possibilità di avvalersi temporaneamente di personale di altre amministrazioni. La proroga opera nelle more delle procedure di mobilità ed è finalizzata alla predisposizione di un piano di revisione dell’utilizzo di tale personale. Essa esclude peraltro il personale appartenente al comparto scuola;

–        l’articolo 1, comma 4, che proroga il termine entro cui le amministrazioni pubbliche possono procedere alle assunzioni consentite secondo i limiti previsti dalle disposizioni vigenti, qualora esse non abbiamo potuto utilizzare nell’anno 2013 le risorse finanziarie dedicate al turn over. Pertanto, al fine di consentire l’utilizzo delle predette risorse nell’anno 2014, si proroga al 31 dicembre 2014 la possibilità di spendere il budget relativo alle assunzioni per alcune amministrazioni tra cui, di competenza della Commissione, gli enti pubblici di ricerca e le università;

–        l’articolo 1, comma 6, secondo cui il termine del 31 dicembre 2013 per l’adozione di nuovi regolamenti di organizzazione dei Ministeri si intende rispettato se i relativi schemi di regolamento sono stati trasmessi entro quella data al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, fermo restando che il 28 febbraio 2014 rappresenta il termine ultimo per l’adozione dei regolamenti stessi. Si stabilisce altresì che, per i Ministeri che abbiano rispettato il predetto termine, gli incarichi dirigenziali, che altrimenti sarebbero scaduti contestualmente all’adozione dei regolamenti di riorganizzazione entro il 31 dicembre 2013, siano anch’essi prorogati fino al 28 febbraio 2014;

–        l’articolo 1, comma 7, in virtù del quale i summenzionati regolamenti di riorganizzazione dei Ministeri possano modificare anche i regolamenti di organizzazione degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri;

–        l’articolo 1, comma 10, che proroga fino al 31 dicembre 2014 la riduzione del 10 per cento dei compensi ai componenti degli organi di indirizzo, direzione e controllo, dei consigli di amministrazione e degli organi collegiali comunque denominati, già disposta – fino a tutto il 2013 – dal decreto-legge n. 78 del 2010;

considerato inoltre che il provvedimento reca norme direttamente riguardanti la competenza della Commissione, quali:

·       l’articolo 1, comma 13, cheproroga (o meglio differisce) al 1° gennaio 2015 l’applicazione delle misure di contenimento della spesa pubblica previste dall’articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 con riferimento alle Federazioni sportive e alle Discipline sportive associate iscritte al CONI, già prorogate al 1° gennaio 2014 dalla legge di stabilità 2013. Poiché non è puntualmente indicato quali misure si possano riferire alle Federazioni sportive e le Discipline associate, in via interpretativa, si ritiene che possano intendersi applicabili i commi 1 e 2 dell’articolo 6 del decreto-legge n. 78, che prevedono la gratuità della partecipazione agli organi collegiali. Quanto al comma 3, che dispone la riduzione del 10 per cento dei compensi dei componenti degli organi di indirizzo, direzione e controllo, dei consigli di amministrazione e degli organi collegiali comunque denominati, esso si riferisce solo alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione. Perciò, esso dovrebbe applicarsi solo alla Federazione italiana giuoco squash (FIGS), che è l’unica ancora inserita nel conto economico consolidato a seguito dell’esclusione dall’elenco ISTAT di tutte le altre Federazioni sportive nazionali, disposta dal giudice amministrativo. A questa Federazione si dovrebbero peraltro applicare anche le disposizioni dei commi 7, 8, 9, 12, 13 e 14, che prevedono misure di contenimento delle spese per studi ed incarichi di consulenza, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, sponsorizzazioni, missioni, formazione, autovetture e buoni taxi.      Il differimento al 1° gennaio 2015 dell’entrata in vigore di dette disposizioni è comunque disposto nel limite di spesa di 2 milioni di euro, a carico del CONI, ed è finalizzato a garantire alle Federazioni, nonché alle Discipline sportive associate, il cui finanziamento statale ha già subìto una forte riduzione negli ultimi anni, di poter svolgere con maggiore serenità le proprie attività in un periodo di particolare intensità ed impegno;

·       l’articolo 6, comma 1, che proroga per sei mesi, ossia sino al 30 giugno 2014, la dismissione della sede romana del Ministero sita in piazzale Kennedy, disposta a decorrere dal 1º gennaio 2014 dalla legge di stabilità 2013, in quanto il Dicastero ha l’esigenza di continuare ad usufruire di tale sede, nell’attesa di prendere possesso dei nuovi locali, in cui i lavori di ristrutturazione si stanno protraendo;

·       l’articolo 6, comma 2, che proroga fino al 31 dicembre 2014 l’obbligo di adozione da parte delle università dei nuovi sistemi di contabilità economico-patrimoniale e analitica, del bilancio unico e del bilancio consolidato, introdotti dal decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 18, applicativo della riforma Gelmini di cui alla legge n. 240 del 2010, in considerazione della complessità insita nell’introduzione delle nuove procedure, nonché dell’esigenza di permettere agli atenei di conformarsi al dettato normativo in maniera confacente agli obblighi che ne derivano;

·       l’articolo 6, comma 3, in materia di edilizia scolastica, che proroga al 30 giugno 2014 il termine entro cui vengono revocati i finanziamenti nel caso di mancato affidamento, da parte delle regioni, dei lavori di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, solo laddove non sia stato possibile procedere a causa di un contenzioso amministrativo e dei conseguenti provvedimenti di sospensione cautelare delle graduatorie;

·       l’articolo 6, commi 4, 5 e 6, che proroga di un anno il termine di conservazione in bilancio delle somme, iscritte in conto residui, dello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, relative al progetto bandiera denominato «Super B Factory», inserito nel Programma nazionale della ricerca 2011-2013. Dette somme, pari a circa 40 milioni di euro, sono mantenute in bilancio e versate all’entrata del bilancio dello Stato ai fini della riassegnazione al Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) per circa 22 milioni nel 2014 e circa 18 milioni nel 2015. Questa norma era già presente nel decreto-legge istruzione (n. 104 del 2013), ma era stata poi espunta dal testo finale; essa era poi entrata nel decreto-legge n. 126 del 2013 (cosiddetto “salva Roma”), decaduto, ed ora è stata reinserita in questa sede;

tenuto conto che l’articolo 11 reca la proroga di alcuni termini relativi al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ma che in realtà si riferiscono all’adeguamento alla normativa antincendio delle strutture ricettive sopra i 25 posti letto e dunque non afferiscono alle competenze della 7a Commissione;

esprime, per quanto di competenza, parere favorevole con le seguenti osservazioni:

1.     in merito all’articolo 1, comma 3, si sollecita la Commissione di merito ad eliminare l’esclusione del solo personale del comparto scuola dal personale che più in generale può richiedere una proroga della posizione di comando presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;

2.     circa l’articolo 1, commi 6 e 7, si manifestano perplessità sulla scelta, a suo tempo compiuta dal decreto-legge n. 95 del 2012, di procedere alla riorganizzazione dei Ministeri, ora estesa anche alla riorganizzazione degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri, con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, in deroga alla procedura ordinaria che prevede decreti del Presidente della Repubblica su cui sia espresso il parere obbligatorio del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti. Anche alla luce dell’estensione, sul piano degli atti assoggettati a questo tipo di iter, decisa nel provvedimento in esame, si suggerisce pertanto di prevedere una forma di coinvolgimento del Parlamento in questo processo di riordino;

3.     con riguardo all’articolo 6, commi 4, 5 e 6, si condivide la proroga del termine di conservazione in bilancio delle somme relative al progetto bandiera “Super B Factory”, onde evitarne la perenzione amministrativa. Tuttavia, si dissente dalla scelta di stornare detti fondi dal comparto della ricerca e si chiede pertanto che essi siano mantenuti a disposizione degli enti di ricerca nell’ambito del relativo Fondo ordinario (FOE).

——-

(7a Senato, 14.1.14) Riferisce alla Commissione la relatrice DI GIORGI (PD) la quale rileva anzitutto che il decreto-legge n. 150 ricalca la prassi ormai consueta di prorogare, a fine anno, una serie di termini in scadenza. Si tratta perciò di un provvedimento inevitabilmente piuttosto eterogeneo, che lambisce le competenze di numerose Commissioni con norme di carattere trasversale, nonché con articoli specifici dedicati ai singoli Ministeri. Esso è dunque assegnato, nel merito, alla Commissione affari costituzionali, previo parere di molte altre Commissioni, fra cui la 7a.
Per quanto riguarda le norme trasversali, ella segnala anzitutto l’articolo 1, recante proroga termini in materia di assunzioni, organizzazione e funzionamento della Pubblica amministrazione che, al comma 3, contiene una proroga specifica per il personale non dirigenziale operante presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. La norma di carattere generale che consente alle Pubbliche amministrazioni, per motivate e documentate esigenze organizzative, di avvalersi temporaneamente di personale di altre amministrazioni, ricorda, è l’articolo 30, comma 2-sexies, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che pone un limite di tre anni. Il comma 3 dell’articolo 1 del decreto-legge in esame allunga invece di un anno questo periodo, portandolo da tre a quattro anni. La proroga opera peraltro nelle more delle procedure di mobilità ed è finalizzata alla predisposizione di un piano di revisione dell’utilizzo di tale personale. Non comporta comunque oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, tenuto conto che si tratta di personale già dipendente a tempo indeterminato di amministrazioni pubbliche e che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, al momento, già provvede al rimborso alle amministrazioni di provenienza. La disposizione esclude tuttavia il personale appartenente al comparto scuola e su questo punto la relatrice auspica una riflessione attenta.
Il successivo comma 4 del medesimo articolo 1, prosegue, reca una proroga del termine entro cui le amministrazioni pubbliche possono procedere alle assunzioni consentite secondo i limiti previsti dalle disposizioni vigenti. Rammenta infatti che le amministrazioni dello Stato sono soggette, a partire dal 2008, al blocco del turn over, in percentuali diverse a seconda delle amministrazioni. Per quanto riguarda i settori dell’università e della ricerca, che godono di una disciplina autonoma, ricorda che il turn over dei docenti universitari è regolato dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 49 del 2012 in base al combinato disposto dell’indicatore delle spese di personale e di quello delle spese per indebitamento (cosiddetti “punti organico”). A tale riguardo segnala peraltro che detto meccanismo, valido per il 2012 (poi prorogato anche per il 2013), dovrebbe essere rivisto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ogni triennio. Il comma 9 dell’articolo 1 del decreto-legge in esame proroga tuttavia al 30 giugno 2014 il termine per l’adozione del primo dei predetti decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, che dovrà avere validità per il triennio 2014-2016.
Per i ricercatori universitari, invece, la legge di stabilità 2014, modificando le precedenti norme disposte dall’articolo 66, comma 13-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, ha disposto che il turn over per gli anni 2014 e 2015 sia limitato al 50 per cento, per il 2016 sia del 60 per cento, per il 2017 dell’80 per cento e che dal 2018 si torni al 100 per cento. Analoga gradazione è stata prevista per il personale degli enti di ricerca, disciplinato dal comma 14 dell’articolo 66 del predetto decreto-legge n. 112.
Gli interventi di riduzione delle dotazioni organiche previsti dalle recenti misure di contenimento della spesa pubblica hanno però determinato, anche in termini sanzionatori, l’impossibilità, da parte di alcune amministrazioni, di utilizzare nell’anno 2013 le risorse finanziarie dedicate al turn over. Pertanto, al fine di consentire l’utilizzo delle predette risorse nell’anno 2014, il comma 4 dell’articolo 1 del decreto-legge in esame proroga al 31 dicembre 2014 la possibilità di spendere il budget relativo alle assunzioni per alcune amministrazioni tra cui, di competenza della 7a Commissione, gli enti pubblici di ricerca e le università. La relatrice evidenzia peraltro che si tratta di budget assunzionali relativi ad anni anteriori al 2012 ma non oltre il 2008, nonché del budget 2013, e che il termine di utilizzo delle predette risorse era stato prorogato da ultimo al 31 dicembre 2013 dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 388 e 394).
Ella si sofferma poi sul comma 6 del medesimo articolo 1, che detta norme relative ai regolamenti di organizzazione dei Ministeri. Al riguardo, richiama l’articolo 10 del decreto-legge n. 95 del 2012 (spending review) secondo cui le pubbliche amministrazioni devono rivedere la propria organizzazione disponendo la concentrazione delle funzioni e l’eliminazione di eventuali duplicazioni; la riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo; la rideterminazione della rete periferica su base regionale o interregionale; l’unificazione, anche in sede periferica, delle strutture che svolgono funzioni logistiche e strumentali, compresa la gestione del personale e dei servizi comuni; la conclusione di appositi accordi tra amministrazioni per l’esercizio unitario delle funzioni, ricorrendo anche a strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica e all’utilizzo congiunto delle risorse umane; la tendenziale eliminazione degli incarichi di consulenza. In particolare, il decreto-legge n. 95 ha disposto la riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni in una misura non inferiore al 20 per cento per il personale dirigenziale e al 10 per cento per il personale non dirigenziale. Il termine fissato per l’adozione dei relativi regolamenti era quello del 31 dicembre 2012, indi prorogato al 31 dicembre 2013. Tuttavia, poiché molti di questi regolamenti non sono stati ancora emanati, il comma 6 dell’articolo 1 dispone che il termine del 31 dicembre 2013 si intende rispettato se i relativi schemi di regolamento sono stati trasmessi entro quella data al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e fissa al 28 febbraio 2014 il termine ultimo per l’adozione dei regolamenti stessi. Il medesimo comma 6 stabilisce altresì che, per i Ministeri che abbiano rispettato il predetto termine, gli incarichi dirigenziali, che altrimenti sarebbero scaduti contestualmente all’adozione dei regolamenti di riorganizzazione entro il 31 dicembre 2013, siano anch’essi prorogati fino al 28 febbraio 2014.
Il successivo comma 7 dell’articolo 1, prosegue ancora la relatrice, prevede che i summenzionati regolamenti di riorganizzazione dei Ministeri possano modificare anche i regolamenti di organizzazione degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri.
In proposito, ella evidenza che la procedura a suo tempo prevista dal decreto-legge n. 95 del 2012 per la riorganizzazione dei Ministeri, ora estesa anche alla riorganizzazione degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri, rappresenta una deroga rispetto al procedimento ordinario, secondo il quale questo tipo di interventi deve essere effettuato con decreto del Presidente della Repubblica, previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti. In questo caso invece, per accelerare il riordino, si procederà con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, al quale è rimessa la scelta se richiedere o meno il parere del Consiglio di Stato e comunque senza il coinvolgimento del Parlamento. Anche a questo riguardo la relatrice esprime alcune perplessità, con particolare riferimento alla mortificazione del ruolo del Parlamento, tanto più che l’auspicata rapidità di approvazione dei regolamenti non si è di fatto realizzata.
Il comma 10 dell’articolo 1 contiene poi una disposizione di carattere trasversale, che si applica a tutte le Pubbliche amministrazioni. Essa proroga infatti fino al 31 dicembre 2014 la riduzione del 10 per cento dei compensi ai componenti degli organi di indirizzo, direzione e controllo, dei consigli di amministrazione e degli organi collegiali comunque denominati, già disposta – fino a tutto il 2013 – dal decreto-legge n. 78 del 2010. La norma, pertanto, si inquadra nel contesto degli obiettivi di contenimento della spesa per gli organi delle amministrazioni pubbliche.
Infine, il comma 13 dell’articolo 1 proroga al 1° gennaio 2015 l’applicazione delle misure di contenimento della spesa pubblica previste dal medesimo articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 con riferimento alle Federazioni sportive e alle Discipline sportive associate iscritte al CONI. In realtà, poiché l’articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 contiene una serie di norme di contenimento dei costi degli apparati amministrativi che si applicano a decorrere dal 2011, è da intendersi che il comma 13 dell’articolo 1 del decreto in esame (come già il comma 409 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013 che prevedeva analoga proroga dal 1° gennaio 2013 al 1° gennaio 2014) più che una proroga disponga il differimento dell’entrata in vigore di dette misure di contenimento, con specifico riguardo alle Federazioni sportive e alle Discipline associate. Quanto al merito delle misure la cui entrata in vigore è appunto differita al 1° gennaio 2015, la relatrice segnala che non è puntualmente indicato quali, fra quelle disposte dall’articolo 6 del decreto-legge n. 78, si possano riferire alle Federazioni sportive e le Discipline associate. In via interpretativa, ritiene comunque che possano intendersi applicabili i commi 1 e 2, che prevedono la gratuità della partecipazione agli organi collegiali. Quanto al comma 3, che dispone la riduzione del 10 per cento dei compensi dei componenti degli organi di indirizzo, direzione e controllo, dei consigli di amministrazione e degli organi collegiali comunque denominati, esso si riferisce solo alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione. Perciò, esso dovrebbe applicarsi solo alla Federazione italiana giuoco squash (FIGS), che è l’unica ancora inserita nel conto economico consolidato a seguito dell’esclusione dall’elenco ISTAT di tutte le altre Federazioni sportive nazionali, disposta dal giudice amministrativo. A questa Federazione si dovrebbero inoltre applicare anche le disposizioni dei commi 7, 8, 9, 12, 13 e 14, che prevedono misure di contenimento delle spese per studi ed incarichi di consulenza, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, sponsorizzazioni, missioni, formazione, autovetture e buoni taxi.
Il differimento al 1° gennaio 2015 dell’entrata in vigore di dette disposizioni è comunque disposto nel limite di spesa di 2 milioni di euro, a carico del CONI, ed è finalizzato a garantire alle Federazioni, nonché alle Discipline sportive associate, il cui finanziamento statale ha già subìto una forte riduzione negli ultimi anni, di poter svolgere con maggiore serenità le proprie attività in un periodo di particolare intensità ed impegno.
La relatrice passa poi ad illustrare l’articolo 6, che dispone una serie di proroghe di stretta pertinenza della Commissione, in quanto tutte riferite al Ministero dell’istruzione, università e ricerca.
In particolare, il comma 1 proroga per sei mesi, ossia sino al 30 giugno 2014, la dismissione della sede romana del Ministero sita in piazzale Kennedy, disposta a decorrere dal 1º gennaio 2014 dalla legge di stabilità 2013. Il Ministero ha infatti  l’esigenza di continuare ad usufruire di tale sede, nell’attesa di prendere possesso dei nuovi locali, vicini alla sede centrale di viale Trastevere, in cui i lavori di ristrutturazione si stanno protraendo. Gli oneri derivanti dal minore risparmio di spesa determinato da tale proroga sono a carico del Ministero, che vi farà fronte con risorse proprie.
Il comma 2 proroga fino al 31 dicembre 2014 l’obbligo di adozione da parte delle università dei nuovi sistemi di contabilità economico-patrimoniale e analitica, del bilancio unico e del bilancio consolidato, introdotti dal decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 18, applicativo della riforma Gelmini di cui alla legge n. 240 del 2010. Tale esigenza si rende necessaria, a giudizio del Governo, per la complessità insita nell’introduzione delle nuove procedure, nonché per permettere agli atenei di conformarsi al dettato normativo in maniera confacente agli obblighi che ne derivano.
Il comma 3 riguarda l’edilizia scolastica. L’articolo 18, comma 8-quater, del decreto-legge n. 69 del 2013 (decreto cosiddetto “del fare”) ha previsto la ripartizione tra le regioni delle risorse finanziarie destinate all’attuazione di misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui è stata riscontrata la presenza di amianto per la necessaria e urgente bonifica. Tale ripartizione a livello regionale, per la successiva assegnazione agli enti locali proprietari dei locali adibiti ad uso scolastico, è stata effettuata sulla base del numero delle sedi delle istituzioni scolastiche e degli alunni presenti in ciascuna regione, nonché della situazione del patrimonio edilizio scolastico. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 5 novembre 2013 le risorse sono state dunque assegnate agli enti locali proprietari degli immobili sulla base delle graduatorie presentate da ciascuna regione. Il summenzionato decreto “del fare” aveva peraltro previsto che i finanziamenti fossero revocati in caso di mancato affidamento dei lavori entro il 28 febbraio 2014. Poiché in alcune regioni, a causa di un contenzioso amministrativo e dei conseguenti provvedimenti di sospensione cautelare delle graduatorie, non sarà possibile ri-spettare detto termine, si rende tuttavia necessario prorogarlo al 30 giugno 2014 (solo nelle regioni in cui la graduatoria sia stata sospesa dall’autorità giudiziaria) onde consentire l’affidamento dei lavori dopo la definizione della fase cautelare del giudizio.
Il comma 4 proroga poi di un anno il termine di conservazione in bilancio delle somme, iscritte in conto residui, dello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, relative al progetto bandiera denominato «Super B Factory», inserito nel Programma nazionale della ricerca 2011-2013. Dette somme, pari a circa 40 milioni di euro, sono mantenute in bilancio e versate all’entrata del bilancio dello Stato ai fini della riassegnazione al Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) per circa 22 milioni nel 2014 e circa 18 milioni nel 2015. In proposito la relatrice osserva che questa norma era già presente nel decreto-legge Istruzione (n. 104 del 2013), ma era stata poi espunta dal testo finale. Indi, era entrata nel decreto-legge n. 126 del 2013 (cosiddetto “salva Roma”), decaduto, ed ora è stata reinserita in questa sede. I commi 5 e 6 contengono norme tecniche necessarie per la riassegnazione predetta.
Ella cita infine l’articolo 11, che reca la proroga di alcuni termini che riguardano il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Rileva tuttavia che essi si riferiscono all’adeguamento alla normativa antincendio delle strutture ricettive sopra i 25 posti letto e non afferiscono quindi alle competenze della 7a Commissione, bensì a quelle della 10a Commissione, cui spetta la materia del turismo.

26 febbraio DL Funzionalità EE.LL.

Il 26 febbraio il Governo rinuncia alla conversione del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151, sulle disposizioni di carattere finanziario indifferibili finalizzate a garantire la funzionalità di enti locali, la realizzazione di misure in tema di infrastrutture, trasporti ed opere pubbliche nonché a consentire interventi in favore di popolazioni colpite da calamità naturali

Il 24 e 25 febbraio l’Aula della Camera esamina il DdL di conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151, recante disposizioni di carattere finanziario indifferibili finalizzate a garantire la funzionalità di enti locali, la realizzazione di misure in tema di infrastrutture, trasporti ed opere pubbliche nonché a consentire interventi in favore di popolazioni colpite da calamità naturali, già approvato dal Senato

Il 20 febbraio l’Aula del Senato approva il DdL di conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151, recante disposizioni di carattere finanziario indifferibili finalizzate a garantire la funzionalità di enti locali, la realizzazione di misure in tema di infrastrutture, trasporti ed opere pubbliche nonché a consentire interventi in favore di popolazioni colpite da calamità naturali

19 febbraio DL ‘Destinazione Italia’ al Senato

Il 19 febbraio l’Aula del Senato approva definitivamente il disegno di legge C. 1920, di conversione in legge del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante interventi urgenti di avvio del piano ‘Destinazione Italia’, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC – auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015

Il 18 febbraio la 7a Commissione del Senato esprime parere favorevole con osservazioni sul disegno di legge C. 1920, di conversione in legge del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante interventi urgenti di avvio del piano ‘Destinazione Italia’, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC – auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La Commissione, esaminato il disegno di legge in titolo,

valutato positivamente l’articolo 3, che istituisce un credito di imposta in favore delle imprese che investono in ricerca e sviluppo, pari a 600 milioni di euro per il triennio 2014-2016, a valere sulla proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali europei;

rilevato che l’articolo 4, comma 1, incide indirettamente sulle materie di competenza nella parte in cui:

–        coinvolge il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo nella stipula di accordi di programma con i proprietari di aree contaminate interessati alla messa in sicurezza e alla bonifica, per gli aspetti relativi agli eventuali specifici vincoli di tutela che potrebbero insistere sulle aree e gli immobili,

–        attribuisce al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con altre Amministrazioni, il compito di adottare misure per favorire la formazione di nuove competenze professionali, anche negli istituti tecnici superiori, in materia di bonifica ambientale, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente nonché di quelle incluse nei summenzionati accordi di programma;

considerato che l’articolo 5:

–        facilita l’ingresso e il soggiorno in Italia per start-up innovative, realizzate in partenariato anche con università ed enti di ricerca (comma 7), nonché per motivi di ricerca e studio,

–        modifica, al comma 8, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione stabilendo anzitutto che nel caso di permesso di soggiorno rilasciato per lo svolgimento di attività di ricerca presso le università e gli enti vigilati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca non è richiesto il superamento del test di conoscenza della lingua italiana, previsto invece per i soggiornanti di lungo periodo,

–        novella il predetto Testo unico in ordine ai requisiti per l’iscrizione all’elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro o per la conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio in permesso di soggiorno per motivi di lavoro: si prevedeva infatti che tali requisiti fossero il conseguimento del dottorato o del master universitario di secondo livello o la laurea triennale o la laurea specialistica, mentre ora si elimina la specificazione “di secondo livello” riferita al master, rendendo dunque valido anche il master di primo livello (ossia quello conseguito dopo la laurea triennale) tra i titoli che consentono l’iscrizione nel summenzionato elenco anagrafico. Tale “abbassamento” del livello di studio è coerente con il testo vigente, tenuto conto che già si contempla la laurea triennale e dunque non è necessaria una formazione di secondo livello,

–        modifica altre norme del Testo unico sull’immigrazione concernenti l’ingresso per soggiorno e ricerca scientifica, ampliando i casi e  semplificando la procedura per l’attestazione delle risorse economiche necessarie al soggiorno in Italia di ricercatori stranieri,

–        interviene sul ricongiungimento familiare dei ricercatori, consentito ora previa dimostrazione di una serie di requisiti, tra cui l’idoneità abitativa, che invece viene eliminata dal provvedimento in esame,

–        elimina la necessaria correlazione tra titolo di studio posseduto e qualifica professionale per l’ingresso di lavoratori altamente qualificati, favorendo l’applicazione in Italia della nuova normativa europea sulla cosiddetta blue card,

–        con riferimento all’accesso degli stranieri alle università, sopprime la fissazione delle quote di ingresso che avveniva attraverso un decreto degli Esteri e dell’Istruzione, con cui si stabiliva annualmente il numero massimo di visti e di permessi di soggiorno, sulla base delle disponibilità comunicate dalle università. Indubbiamente tale previsione costituisce un incentivo all’internazionalizzazione degli atenei italiani, ma dovrebbe tener conto sia delle procedure di accesso alle facoltà a numero chiuso sia dei posti realmente disponibili;

tenuto conto che l’articolo 9:

–        è volto ad incentivare la lettura attraverso l’istituzione di un credito di imposta, fino al 31 dicembre 2016, sui redditi degli esercizi commerciali che vendono libri al dettaglio per l’acquisto di libri, anche in formato digitale, muniti di codice ISBN,

–        collega tale credito di imposta alla disponibilità di un buono sconto per studenti delle scuole secondarie superiori da utilizzare negli esercizi che usufruiscono del medesimo credito. Pertanto si prevede che all’interno di un tetto massimo deciso dal Ministero dell’economia e delle finanze, comunque non superiore a 50 milioni di euro, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca fissi, sulla base della popolazione studentesca dell’anno scolastico 2014-2015, l’importo del buono sconto disponibile ogni anno per ogni studente di scuola superiore pubblica o paritaria avente sede nel territorio nazionale, ai fini dell’ottenimento di uno sconto del 19 per cento per l’acquisto di libri di lettura presso gli esercizi commerciali che decidono di avvalersi del credito di imposta;

preso atto che l’articolo 13 reca, tra l’altro, disposizioni per l’EXPO 2015 all’interno delle quali il comma 24 stabilisce il finanziamento di progetti per la valorizzazione di aree territoriali, di beni culturali e ambientali in connessione con il grande evento, nonchè, in via subordinata, il finanziamento di interventi di manutenzione straordinaria sempre finalizzati alla valorizzazione di beni storici, culturali, ambientali e di attrattività turistica;

esprime, per quanto di competenza, parere favorevole con la seguente osservazione:

1)     in merito all’articolo 5, si esprime piena condivisione per l’intento di facilitare l’internazionalizzazione della ricerca. Si ritiene peraltro che la relativa normativa debba essere armonizzata a livello europeo ed internazionale, onde assicurare condizioni omogenee ai ricercatori che operano in Italia e all’estero. In tal senso, si auspica un’iniziativa ricognitiva dell’attuale normativa e, indi, propositiva, che veda la proficua collaborazione del Parlamento e del Governo.

———–

(7a Senato, 18.2.14) La relatrice DI GIORGI (PD) riferisce sul provvedimento in titolo, già approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati, segnalando in premessa che la VII Commissione di quel ramo del Parlamento, pur avendo iniziato l’esame in sede consultiva del provvedimento, ha deliberato di non esprimere alcun parere, poiché le Commissioni di merito della Camera erano prossime a concludere l’esame.

Dà indi conto delle misure di interesse, a partire dall’articolo 3 che istituisce un credito d’imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo, pari a 600 milioni di euro per il triennio 2014-2016, finanziato a valere sulla proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari. Il comma 2 indica gli importi massimi e i beneficiari del credito, ossia le imprese con un determinato fatturato annuo e i consorzi e le reti di impresa, fermo restando l’importo massimo annuale di 2,5 milioni di euro per ciascun beneficiario. Sottolinea peraltro che in virtù delle modifiche apportate dalla Camera il credito d’imposta è riconosciuto a tutte le imprese aventi un fatturato annuo inferiore a 500 milioni e, in caso di consorzi e reti di impresa, l’agevolazione viene ripartita secondo criteri proporzionali, che tengano conto della partecipazione di ciascuna impresa alle spese. Rileva inoltre che le attività ammissibili sono elencate al comma 3 e che non si considerano attività di ricerca e sviluppo, secondo il comma 4, le modifiche ordinarie apportate ai prodotti o alle linee di produzione a meno che non si concretizzino nella creazione di nuovi brevetti. In base al comma 5, ai fini della determinazione del credito d’imposta, sono ammissibili le spese relativeal personale impiegato in attività di ricerca, all’acquisizione o utilizzo di strumenti e a attrezzature di laboratorio, ai costi della ricerca svolta in collaborazione con le università e gli organismi di ricerca e presso di essi. I successivi commi da 6 a 13 dettano le disposizioni per l’attuazione, la fruizione e il controllo del credito, le cui modalità applicative sono stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con l’Economia e il Ministro della coesione territoriale.

Illustra poi l’articolo 4, cheincide indirettamente sulle materie di competenza nella parte in cui coinvolge il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo nella stipula di accordi di programma con i proprietari di aree contaminate interessati alla messa in sicurezza e alla bonifica. Il ruolo del Dicastero dei beni culturali è evidentemente connesso agli aspetti relativi agli eventuali specifici vincoli di tutela che potrebbero insistere sulle aree e gli immobili. Dopo aver precisato che i commi 2 e 3 del medesimo articolo contengono le modalità, i criteri ed i contenuti obbligatori degli accordi di programma, fa presente che il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con altre Amministrazioni, adotta misure per favorire la formazione di nuove competenze professionali, anche negli istituti tecnici superiori, in materia di bonifica ambientale, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente nonché di quelle incluse nei suddetti accordi di programma.

Pone altresì l’accento sui commi da 4 a 7, che recano i requisiti dei soggetti interessati e gli impegni da essi assunti, con l’individuazione delle rispettive responsabilità, nonché sui commi 8 e 9, che prevedono le modalità di approvazione degli interventi per l’attuazione dei progetti integrati. Si sofferma indi sulle modifiche apportate dalla Camera dei deputati al comma 10, che stabilisce la costituzione di società in house per l’attuazione dei citati progetti integrati di bonifica, riconversione industriale e sviluppo economico, descrivendo successivamente il comma 14, inerente le modalità di copertura degli oneri.

Passa poi ad esaminare l’articolo 5, che al comma 7 prevede forme di agevolazione nella trattazione delle domande di visto di ingresso e di permesso di soggiorno connesse a start-up innovative, a iniziative d’investimento, di ricerca o di mecenatismo, da realizzare anche in partenariato anche con università ed enti di ricerca, nonché per motivi di ricerca e studio. Il comma 8 del medesimo articolo 5 reca poi diverse disposizioni concernenti i lavoratori extracomunitari, mediante novelle al Testo unico sull’immigrazione. Riferisce quindi che la norma esclude l’obbligo del test di conoscenza della lingua italiana per il rilascio del permesso di soggiorno, nel caso in cui esso sia per lo svolgimento di attività di ricerca presso le università e gli enti vigilati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, obbligo previsto invece per i soggiornanti di lungo periodo.

Si stabilisce altresì – prosegue la relatrice – che il cittadino straniero non comunitario che abbia conseguito in Italia un dottorato o un master universitario possa chiedere un permesso di soggiorno per attesa occupazione, mentre prima tra i titoli richiesti a tal fine era menzionato solo il master di secondo livello. Fa presente perciò che in tal modo si rende valido anche il master di primo livello (ossia quello conseguito dopo la laurea triennale) tra i titoli che consentono l’iscrizione nell’elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro, in coerenza con il testo vigente, tenuto conto che già si contempla la laurea triennale e dunque non è necessaria una formazione di secondo livello.

Descrive quindi le ulteriori novelle previste dal comma 8, quali l’agevolazione dell’ingresso e il soggiorno per ricerca scientifica, in modo che la sussistenza delle risorse mensili messe a disposizione del ricercatore e indicate nella convenzione di accoglienza tra il ricercatore medesimo e l’istituto di ricerca sia dichiarata da parte dell’istituto, anche nel caso in cui la partecipazione del ricercatore al progetto di ricerca benefici del sostegno finanziario di terzi (lettera b) e l’esclusione per i ricercatori dell’obbligo di dimostrare la disponibilità di un alloggio idoneo ai fini del ricongiungimento familiare (lettera c). Richiamando la relazione illustrativa presentata alla Camera, afferma che tali misure, molto attese dal settore della ricerca, potranno aumentare l’attrattività del nostro Paese per i ricercatori stranieri, nell’ambito di iniziative concordate con istituti di ricerca nazionali.

Pone peraltro l’accento sull’eliminazione dell’obbligo di corrispondenza tra titolo di studio e qualifica professionale per l’ingresso di lavoratori altamente qualificati (lettere d) ed e), superando – secondo la relazione governativa – un’incertezza interpretativa che, nella prassi, ha ostacolato l’applicazione in Italia della nuova normativa europea sulla cosiddetta blue card.

Segnala poi positivamente la liberalizzazione dell’ingresso in Italia degli studenti residenti all’estero che intendano accedere all’istruzione universitaria, attraverso la soppressione del contingentamento del numero dei visti per motivi di studio rilasciati ogni anno sulla base delle disponibilità comunicate dalle università (lettera f). Tale previsione costituisce a suo avviso un evidente incentivo all’internazionalizzazione degli atenei italiani, ma si dovrebbe tener conto sia delle procedure di accesso per le facoltà a numero chiuso sia dei posti realmente disponibili: reputa dunque opportuno un chiarimento da parte del Governo.

Delinea altresì i contenuti dell’articolo 9, volto a favorire la diffusione della lettura mediante la possibilità di attivare un credito di imposta fino al 31 dicembre 2016 sui redditi degli esercizi commerciali che vendono libri al dettaglio per l’acquisto di libri, anche in formato digitale, muniti di codice ISBN. Fa notare peraltro che, nel testo approvato dalla Camera, il credito di imposta è riconosciuto agli esercizi commerciali che effettuano vendita di libri al dettaglio, anziché alle persone fisiche e giuridiche (come era disposto dal testo originario del decreto-legge), in quanto è stato collegato alla disponibilità di un buono sconto per studenti delle scuole secondarie superiori da utilizzare negli esercizi che usufruiscono del credito di imposta. Rileva infatti che con un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sulla base della popolazione studentesca nell’anno scolastico 2014-2015, sarà fissato l’importo spettante a ogni studente di scuola secondaria di secondo grado (pubblica o legalmente parificata, avente sede nel territorio nazionale); in un secondo momento, i dirigenti scolastici rilasceranno agli studenti un buono sconto di pari importo, utilizzabile ai fini dell’ottenimento di uno sconto del 19 per cento per l’acquisto di libri di lettura, presso i suddetti esercizi commerciali. Precisa peraltro che con un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze si definiranno le modalità per usufruire del credito di imposta, tenendo conto che il finanziamento dell’agevolazione, nella misura massima di 50 milioni di euro, rientra nell’ambito di un apposito programma operativo nazionale (PON) della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari.

Avviandosi alla conclusione, illustra l’articolo 13, recante disposizioni per l’EXPO 2015, il cui comma 24stabilisce il finanziamento di progetti per la valorizzazione di aree territoriali, di beni culturali e ambientali in connessione con il grande evento. In proposito, riferisce che i progetti possono essere presentati da comuni, da più comuni in collaborazione tra loro o da unioni di comunie hanno precisi limiti di importo economico e di durata; in via subordinata possono essere anche finanziati interventi di manutenzione straordinaria, sempre finalizzati alla valorizzazione di beni storici, culturali, ambientali e di attrattività turistica. Elenca indi in dettaglio i contenuti del comma 25, sui criteri per l’utilizzo di queste risorse, del comma 25-bis, che obbliga gli enti locali ad inviare le relazioni per i servizi pubblici locali di rilevanza economica all’Osservatorio per i servizi pubblici locali, nonchè dei commi 26 e 27, che recano la copertura finanziaria pari a 500 milioni di euro a valere sulle risorse derivanti dalla riprogrammazione sia del Piano di azione-coesione sia dei programmi operativi regionali relativi al 2007-2013.

L’11 febbraio la Camera approva il disegno di legge C. 1920, di conversione in legge del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante interventi urgenti di avvio del piano ‘Destinazione Italia’, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC – auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015

12 febbraio Dispersione in 7a Camera

Il 22 gennaio ed il 12 febbraio si svolge nella 7a Commissione della Camera l’audizione del sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca, Marco Rossi Doria, in materia di dispersione scolastica

Dispersione Scolastica – Relazione MIUR

(7a Camera, 22.1.14) MARCO ROSSI DORIA, Sottosegretario di Stato per l’istruzione, l’università e la ricerca.

Prima di illustrare la relazione che il ministero ha predisposto, vorrei personalmente ricordare, per un attimo, Alessandra Siragusa.
Su questa materia, molti anni fa, prima che lei diventasse deputato, e io sottosegretario, ci soffermavamo a discutere e a cercare di capire cosa fare tra Napoli, la Campania e la Sicilia, che sono tra le regioni più colpite dalla tenacia della dispersione scolastica (la voglio chiamare così). In questo momento mi trovo qui, dove ho ritrovato – dopo tanti anni – Alessandra, con cui ho avuto un rapporto anche complesso: aveva pepe, Alessandra, come si ricorderanno i membri della Commissione che erano allora presenti. Ci tengo, quindi, moltissimo a ricordarla in questo momento.
Ringrazio la Commissione per questa opportunità e ringrazio il ministro per avermi dato la possibilità di essere io qui. Ho dedicato molto tempo a questa questione e, quindi, non nascondo e non voglio nascondere di esservi anche personalmente implicato. Come diceva don Lorenzo Milani, con una considerazione che purtroppo – e sottolineo purtroppo – è ancora attuale, il principale problema della scuola italiana sono i ragazzi che perde: è questa la questione fondamentale da cui voglio partire.
Ha fatto bene il Ministro Maria Chiara Carrozza a sottolinearlo, a più riprese, e a iniziare quest’anno scolastico, l’anno scolastico in corso, a Casal di Principe, su questo tema. L’ha ripreso anche recentemente. C’è, quindi, una forte consapevolezza, una forte presenza del ministero, che ovviamente mi spinge a fare di più.
La relazione che ho predisposto, d’accordo con gli uffici, che ringrazio formalmente anche qui per il lavoro fatto, è il risultato di un confronto anche metodologico su come presentare correttamente, come Governo, alla Commissione, un lavoro completo che possa essere utilizzato anche in seguito. Io sono disponibile a rispondere a domande e ad avere con voi momenti di approfondimento sull’insieme, o anche su uno qualsiasi dei temi.
La relazione consta di molte pagine. Le illustrerò piuttosto brevemente.
Come primo tema, tutta la letteratura ci conferma importanti correlazioni tra tassi di scolarità bassi e alcune grandi questioni della nostra società. La prima è la povertà.
Sia nel mondo in generale, sia in Italia c’è una forte correlazione con tutte le diverse manifestazioni della povertà, non solo quella infantile e adolescenziale, ovviamente, ma anche quella per il corso della vita. La mancata scolarità, l’insuccesso formativo, è, quindi, correlato anche a tutte le questioni che aumentano con la povertà, quali l’illegalità, la minore attesa di vita, la maggiore possibilità di cadere nelle dipendenze, ricorrenti problemi di salute. Naturalmente, non bisogna mai in questo, come in altri campi, fare automatismi: non è necessariamente così, ma c’è una maggiore probabilità.
La povertà è fortemente correlata anche con la mancanza di lavoro, con l’incertezza del lavoro, con la disoccupazione. Anche le aree – non solo gli individui – di un Paese dove c’è massima concentrazione della dispersione scolastica sono, in modo biunivoco, legate alla difficoltà della crescita e dello sviluppo e alla stasi nel mercato del lavoro. «Biunivoco» significa che c’è una correlazione nelle due direzioni.
Inoltre, la povertà è correlata, sempre sia in Italia sia nel mondo, con i tassi di partecipazione democratica, anche questa nelle sue diverse forme, non solo politica, ma anche di tipo associativo, legato alla difesa e alla propugnazione dei diritti e via elencando. Su tutto questo non c’è una differenza di posizioni ideologiche o di pensiero. Le scuole socialdemocratiche, liberali o di altro tipo nel pensiero economico e sociale convengono, per la grande evidenza di dati, su queste correlazioni.
Per battere la dispersione scolastica nelle politiche pubbliche, in Italia come nel mondo, sono necessarie alcune costanze di policy, di politiche pubbliche: innanzitutto, un forte coordinamento di queste politiche; una rigorosa valutazione dei risultati; un’ottimizzazione delle iniziative e delle risorse tra il decisore nazionale e – nel caso italiano – le scuole autonome e gli enti locali; uno sviluppo della scolarità precoce, almeno a partire dai tre anni, ma anche prima; un’attenta cura dell’apprendimento di ciascun bambino e ragazzo a scuola e fuori scuola.
Nel mondo, come in Italia, uno degli elementi di contrasto di maggior successo alla dispersione scolastica è imparare presto e bene le competenze e le conoscenze cosiddette «irrinunciabili». Occorre dedicare una particolare attenzione proprio a queste nella scuola di base.
Si aggiunge un sostegno a iniziative di sviluppo locale, perché c’è una forte correlazione tra lo sviluppo locale che funziona nelle zone di dispersione scolastica e la battaglia contro la dispersione scolastica. Noi possiamo avere efficaci politiche delle scuole autonome in una zona di forte dispersione scolastica, senza però altri significativi elementi di sviluppo locale. Se, finita la terza media, anche proficuamente, non c’è lavoro, non ci sono politiche per la legalità, non ci sono politiche di implementazione urbana – e potrei continuare –, ovviamente vengono non dico azzerati, ma messi in discussione anche i passi in avanti fatti dalle scuole o dagli altri attori educativi di un determinato territorio.
Ci vuole un sostegno ai percorsi tra scuola e lavoro. Anche questo è molto importante. Nell’esperienza di tutte le scuole che hanno lavorato in questo campo c’è l’evidenza che, a un certo punto, bisogna avere una via di uscita legata all’integrazione con il mondo del lavoro. Stiamo parlando del periodo a valle della lotta alla dispersione scolastica vera e propria, ma noi abbiamo fortissima evidenza che le politiche attive contro la dispersione scolastica, negli ultimi 20-30 anni, funzionano meglio laddove ci sono, nei contesti dati – penso a determinate regioni o province – politiche forti di formazione professionale legate anche all’interazione con le imprese, in cui si continui ad apprendere e in cui, quindi, non ci sia l’allenamento solo al lavoro, ma anche il lavoro legato all’apprendimento per gli anni successivi alla scolarità vera e propria.
Occorre anche un’alleanza territoriale tra tutte le agenzie educative e formative. Anche su questo abbiamo forte evidenza, in tutta la ricchissima interazione che c’è tra le scuole autonome, il privato sociale e il volontariato, che proprio l’alleanza tra scuole, privato sociale, centri sportivi, volontariato, parrocchie e le altre molteplici agenzie formative e le stesse imprese porti a risultati maggiori. Detto un po’ brutalmente, tale approccio, basato su una risposta multidimensionale ben articolata e coordinata nel tempo, non ha caratterizzato, francamente, il caso italiano. La persistenza della dispersione scolastica deriva, almeno in parte, proprio dal fatto che alcune stagioni della nostra vita pubblica, negli ultimi 20-30 anni, e i territori nei quali è prevalsa la buona politica su questo tema si sono alternati con anni peggiori e politiche locali peggiori.
Abbiamo poi voluto sottolineare la questione di come viene calcolato – leggerete con cura il rapporto – il tasso di dispersione scolastica e i problemi di rilevazione che noi abbiamo avuto e che continuiamo ad avere.
Non è una questione banale. Tenete conto che, nell’esaminare il fallimento formativo, è molto importante che i diversi organi siano d’accordo. Per esempio, nel nostro caso, noi siamo in una situazione di grande complessità. La persona che nel codice civile è responsabile dell’obbligo scolastico è il sindaco, o un suo delegato. Dal punto di vista delle politiche di offerta formativa, sono responsabili le scuole autonome, ma anche le province e le regioni, per quanto riguarda i percorsi di formazione professionale. Le forme complesse e di controllo di che fine faccia un ragazzino, quando non segue né l’una né l’altra strada, sono facili a dirsi, ma difficili a farsi.
Anche la misurazione della relazione diretta tra lo stato di origine di una persona in crescita, cioè l’origine familiare – quello che don Milani chiamava il «carattere di classe» della dispersione scolastica – quello che tutti riconoscono, ossia che, se tu vieni da una famiglia con pochi mezzi, con poca istruzione e con poco lavoro, hai molte più possibilità di non terminare la scuola, è molto difficile da realizzare effettivamente in maniera dettagliata e scientificamente fondata, territorio per territorio.
Uno dei motivi – lo segnalo anche per sollecitare tutti noi – per cui questa misurazione è particolarmente difficile in Italia, è dato dal fatto che c’è stata un’interpretazione delle norme sulla privacy tale per cui non si possono chiedere ai genitori, quando si iscrivono a scuola i bambini, che lavoro fanno e qual è il loro grado di istruzione, a differenza di tutti gli altri Paesi europei. Noi ci troviamo, peraltro, in difficoltà anche quando dobbiamo rispondere su alcuni indicatori che ci vengono utilmente richiesti dai Fondi sociali europei su questo tema. Ci sarebbe una riflessione istituzionale da fare.
Si stanno trovando altri modi e forme di misurazione. Alcune province e regioni sono più avanti. Cito per tutte la provincia di Pisa, la quale ha approntato, da molto tempo, un sistema che, attraverso la Conferenza Stato-regioni, si sta diffondendo e che io menziono in questa relazione. Continuiamo ad avere comunque problemi, che stiamo, però, affrontando. Gli uffici del ministero – lo voglio sottolineare – sono molto migliorati, come vedrete dalle tabelle allegate, che sono alquanto dettagliate.Andando rapidamente al secondo capitolo della relazione, la notizia relativamente buona – tengo a sottolineare il «relativamente» – è che la dispersione è un fenomeno, come ho detto, persistente, oltre che multidimensionale e complesso, ma è anche un fenomeno in lento, ma continuo calo. Stiamo migliorando, come vedrete dalle tabelle, anche se stiamo migliorando troppo lentamente.
L’indicatore che utilizziamo – su cui voglio dire qualcosa – è, in sigla, l’ESL, che vuol dire early school leavers, ossia, potrei tradurre, coloro che lasciano la scuola prima del tempo. Questo è già un punto di approdo al quale l’Italia ha partecipato insieme ai partner europei. Il sistema di scolarità europea, infatti, aveva Stati con il diritto, Stati con il diritto-dovere e Stati, come il nostro, con il vero e proprio obbligo. Inoltre, c’era una differenza di età in cui l’indicatore veniva misurato: in alcuni Stati a 13 anni, in altri a 14, in altri a 15, in altri a 18 e via elencando. Alcuni indicavano all’interno dell’obbligo la formazione professionale anche di tipo vocational, cioè l’allenamento al lavoro puro e semplice; altri, invece, il misto con la scolarità. In sostanza, era molto difficile dirimere questa matassa e arrivare a una comparabilità continentale su questo tema.
Siamo arrivati a questa comparabilità con una rivoluzione che è avvenuta, metodologicamente parlando, circa sei o sette anni fa, in maniera definitiva: noi misuriamo a valle, misuriamo cioè i ventiquattrenni dei nostri Paesi. Quando una persona entra nei venticinque anni, e non ha in tasca né un diploma di scuola superiore, né un attestato di formazione professionale che la abiliti a entrare in una dimensione professionale nel mercato legale del lavoro, almeno triennale, allora questa persona è un early school leaver. Quando voi vedete scritto 16 per cento, 15 per cento o 21 per cento nelle tabelle allegate, è di quello che stiamo parlando.
Naturalmente, dovete tener conto che questo è vero fino a un certo anno. Quando si guardano con più attenzione queste tabelle, se andate indietro, e vedete il 2001, il 2002 e il 2003, sappiate che non era stata ancora consolidata questa convenzione europea cui noi ci stiamo, invece, ora attenendo.
C’è un’altra questione su cui vi voglio avvertire in merito alle tabelle: esistono eventi in un Paese, come spesso avviene nelle statistiche, che determinano dati strani nelle tabelle. Quando vedrete le tabelle, anche dettagliate per regione, sulla dispersione scolastica, noterete che a un certo punto c’è una drastica riduzione – intorno agli anni 2004, 2005, 2006 o 2007; ora non ricordo – seguita, di nuovo, da un brusco aumento. Questo è dovuto al fatto che durante il periodo di Governo col Ministro dell’istruzione Moratti, ci fu un calo di un anno dell’obbligo scolastico, da 16 a 15 anni, dopo un periodo in cui l’obbligo scolastico fu portato a 16 anni che durò meno di due anni. Ciò ha implicato il fatto che, quando si sono raccolti i dati, i sedicenni ovviamente erano inclusi e c’è stato un ulteriore rialzo. Poi c’è stato un abbassamento, perché questi andavano a scuola e poi c’è stato ancora un rialzo. Ci sono anche altri esempi di queste stranezze statistiche.
Nel secondo capitolo della documentazione depositata noi mostriamo anche i quadri di significativo miglioramento e alcuni livelli di equità superiori alla media OCSE. Sottolineiamo, inoltre, le questioni, più volte riportate dalla stampa, sulle differenze di genere nella performance.
In generale, in questo rapporto, che rappresenta un primo momento per poter creare, io auspico, una tradizione di riflessione su questo, che è il principale problema del nostro Paese – come più volte ho sentito giustamente dire da molti membri di questa Commissione – c’è un tentativo di correlare il grado di scolarità e il successo, cioè quello che si apprende veramente, quello che si impara.
È lapalissiano che i bambini e i ragazzi che imparano meglio hanno meno tendenza ad andarsene dalla scuola. Sistemi scolastici meno standardizzati, meno rigidi e più capaci di includere tutti, ma anche ciascuno, sono più capaci anche di tenere «dentro» gli studenti. Nell’andare fuori dalla scuola c’è la parte dovuta alle condizioni di partenza, ma ci sono anche le parti legate agli individui. Una scuola più capace di intercettare le differenze, pur dentro un frame di equità e di eguaglianza, è un sistema, come ci insegnano anche la letteratura e l’esperienza internazionale, più capace di attuare il contrasto alla dispersione scolastica.
Più successo abbiamo negli apprendimenti fondamentali – quelli che, lo ripeto, sono irrinunciabili, per esempio le competenze di lettura, di scrittura, di matematica, ma anche di orientamento nel tempo e nello spazio, ossia storia e geografia, intese non in senso banale e nozionistico, ovviamente; oggi si aggiungono anche le competenze digitali, legate ai contenuti e non semplicemente all’operatività digitale – più noi abbiamo competenze consolidate presto e bene e monitorate nel tempo, e meno probabilità sussiste che vi sia dispersione scolastica.
Ormai in tutto il mondo, non solo in Italia, quando decidiamo una politica – vi dirò poi quali politiche abbiamo messo in essere nei prossimi capitoli in questo momento – noi continuiamo a vedere come molto importante la sorveglianza sugli apprendimenti di conoscenze e competenze. Queste sono fondamentali dal punto di vista del contrasto alla dispersione scolastica.Arriviamo brevemente, senza entrare troppo nel dettaglio, al terzo capitolo della relazione. Ci sono alcuni sottocapitoli che trattano le politiche pubbliche, in particolare quelle del MIUR. Tengo a sottolineare e a precisare che le politiche pubbliche sono, però, più complesse rispetto a quelle che espongo come sottosegretario del ministero. Le politiche pubbliche sono infatti anche quelle dei comuni, delle province e delle regioni. C’è anche la responsabilità di coordinamento di politiche comuni.
Partendo dall’implementazione dell’anagrafe degli studenti, ho detto quali sono i problemi e le criticità su cui insieme dovremo lavorare, ma ci sono anche passi in avanti, su cui qui relaziono.
Si aggiungono l’aumento della durata dell’obbligo scolastico e la grande attenzione alle conoscenze e alle competenze, a partire dalla scuola di base. Questa è una grande questione ancora aperta. Non c’è un automatismo per il quale andare a scuola più a lungo batte la dispersione scolastica. Essa dipende sicuramente dalla lunghezza degli studi, ma, al contempo – questo è un fatto piuttosto importante e anche questo è vero un po’ in tutto il mondo – da che tipo di studi si propone. Se l’obbligo è molto lungo, ma molto standardizzato, non è detto che si abbiano altrettanti risultati di quelli che si hanno con consolidati e lunghi periodi di studio durante l’adolescenza, ma con un’offerta più articolata.
In generale, da questo punto di vista, un’idea di equità più ricca non è la soluzione, ma sicuramente un indirizzo importante che aiuta moltissimo. L’idea di fornire a tutti la stessa offerta, nello stesso momento, non è detto che sia la migliore. Ferme restando alcune attività che devono evidentemente esistere per tutti, è molto importante offrirne altre che consentano a ognuno di curare le proprie parti deboli e anche le proprie parti forti, nonché di scoprire le proprie parti sconosciute. Ciò ferma restando l’importanza delle competenze – ripeto e sottolineo – irrinunciabili.
La didattica integrativa e un’apertura straordinaria delle scuole sono una politica che funziona a patto che ci sia una vera integrazione tra quello che si fa nella parte integrativa e quello che si fa a scuola. Su questo noi abbiamo una grande esperienza e io voglio, qui, fare una prima serena riflessione.
Fare molti progetti che si affiancano senza sapersi integrare con la scuola di tutti i giorni non è detto che funzioni. D’altra parte, una scuola completamente separata dal territorio e dalle altre agenzie educative non è una scuola che funziona. Tutte le esperienze che hanno la capacità di integrarsi con altre esperienze educative del territorio in maniera ricca, ma anche di farle ricadere nella scuola di ogni giorno, senza dividere la scuola ordinaria dalla scuola «straordinaria», sono quelle che meglio funzionano. Noi abbiamo fatto una serie di esperienze sia in bene, sia in male, con criticità, ma anche con punti di forza, su questo punto.
Ci sono poi altre questioni. Ve le elenco. Ho cercato di enumerare anche le cifre fornite. Il problema nostro – dico «nostro» volutamente, perché è un problema sia del potere esecutivo, sia del potere legislativo – sussiste nel fatto che sono stati spesi tanti soldi e che, sebbene i risultati ci siano – lo ripeto – sono ancora troppo lenti e poco consolidati. Pensiamo agli interventi ex articolo 9 CCNL Comparto scuola sulle cosiddette aree a rischio e al Piano nazionale di orientamento. Sono tutte cose che voi conoscete e che avete spesso nominato in questa Commissione. Pensiamo anche al Progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini Rom, Sinti e Caminanti, che però è solo all’avvio e che ha rappresentato la risposta del nostro Paese a ingiunzioni da parte dell’Unione europea e a infrazioni in questo campo. C’è poi la formazione del personale scolastico e anche dei dirigenti.
Il quarto capitolo della relazione consegnata parla dell’utilizzo dei soldi PON (Programmi operativi nazionali) in generale. Voi sapete che i fondi europei vanno alle regioni per una parte e che poi vi è una quota parte che va al ministero. Su questi fondi PON, senza che io mi ci soffermi – intendo poi rispondere alle vostre domande – noi abbiamo diversi ambiti di intervento.
C’è una cosa da dire su questi fondi: sono massimamente concentrati, per la maggior parte delle quantità erogate, sulle regioni dell’Obiettivo convergenza, in cui effettivamente noi abbiamo i maggiori problemi. Non è vero, però, che i problemi della dispersione scolastica ci sono solo in queste zone. Per esempio, su questi fondi siamo intervenuti, come ministero, in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Ci sono altre realtà, però – penso alla Sardegna in particolar modo – dove i tassi sono molto alti e, anche, in particolare, nelle zone metropolitane del centro e soprattutto del nord, in cui noi abbiamo problemi analoghi, ma non abbiamo fondi strutturali della stessa capacity.

  Su questo tema c’è una discussione in corso. In parte, l’articolo 7 del decreto-legge n. 104 del 2013, che voi avete utilmente dibattuto, dovrebbe intervenire. Ringrazio soprattutto la vostra collega Santerini, che mi ha più volte stimolato su questo punto. Si dovrebbe intervenire in qualche modo, non dico solo nelle altre regioni, ma sicuramente in questa dimensione.
Segnalo anche – bisognerà anche su questo attuare una politica comune – che l’obiettivo primario, condiviso tra l’Italia e i partner europei, della riprogrammazione dei fondi europei, tutti, anche quelli dati alle regioni per il 2014-2020, vede questo tema al centro. Nell’aprile scorso esso è stato discusso e accettato dalle parti a Bruxelles. Si sono già fatti tavoli comuni tra il Ministero dell’istruzione e quello del welfare, tra febbraio e marzo dell’anno scorso – anch’io personalmente vi ho partecipato – affinché potessero esserci fondi ulteriori – anche nelle altre regioni – su queste partite.
In particolare, al punto 5 della relazione, noi abbiamo avviato, insieme con le quattro regioni obiettivo – i dati poi vi faranno vedere che c’è una ragione perché queste regioni obiettivo rimangano tali, anche se, lo ripeto e sottolineo, ciò non è esaustivo del problema – la misura detta F3, o Azione 3, del Piano di Azione coesione, che è la priorità istruzione. Essa vede tutta una serie di interventi, tra cui alcuni prototipi, nelle zone di massima concentrazione della dispersione.
A tal proposito, a differenza della tradizione precedente dell’erogazione delle risorse «a pioggia», noi abbiamo deciso, a monte dell’erogazione dei soldi, di fare una piccola rivoluzione copernicana. Abbiamo deciso, cioè, di indicare dal ministero quali fossero le aree sulla base di alcuni indicatori, che erano quelli della dispersione scolastica, della disoccupazione, della disoccupazione giovanile e dei bassi livelli di apprendimento nella scuola di base e nel biennio delle superiori, soprattutto per le discipline considerate fondamentali e irrinunciabili.
Sulla base di questo, territorio per territorio, con grande fatica e perizia, quasi a livello di codice postale, ossia per microterritori, siamo riusciti a individuare le varie zone e, quindi, abbiamo emesso un bando. Tale bando si è poi accresciuto, perché abbiamo fatto, d’accordo con le quattro regioni, alcune economie, e siamo arrivati a 56 milioni di euro, che di questi tempi non sono pochi. Stiamo ora monitorando il processo. Ho voluto fortemente che i primi dati di monitoraggio del processo venissero immessi in questa relazione. Sono presenti, quindi, in questa relazione, ma gli uffici della Commissione hanno a disposizione – ho appena fornito la «pennetta» informatica – anche il dettaglio delle aree geografiche. Avete tutte le mappature a disposizione. Sia la fine del capitolo 5 che i progetti di cui alla specifica Azione 6, con le prime analisi, fanno parte del vero e proprio rapporto.
Infine, e concludo, ci sono gli allegati, che vi enumero. La prima tabella, che trovate a pagina 20 della documentazione consegnata, riporta, relativamente ai giovani che abbandonano prematuramente gli studi, i valori percentuali dal 2004 al 2012. Ho voluto anche aggiungere il target Italia del 2013 e il target Europa del 2020, per farvi capire come sia forte la divergenza territoriale.
Attenzione, la divergenza territoriale è forte – c’è il solito Nord e Sud e poi ci sono le regioni – però, tengo a precisare che molti studi ci dicono che sono altrettanto importanti e da tenere sotto un accurato controllo le divergenze nei territori e addirittura nei microterritori. Questo è dovuto a molti e diversi fattori.
A pagina 21 della relazione è riportato il grafico che mostra questa situazione per macroterritori.
A pagina 22 trovate il tasso di abbandono alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori. Questo è un passaggio molto importante. La criticità fondamentale del nostro sistema, così come in altri Paesi del mondo (qui c’è il dettaglio molto attento dei dati regione per regione, sempre sulla base degli early school leavers) è appunto il passaggio dalle scuole cosiddette «medie» alle scuole superiori. A questo punto, infatti, noi abbiamo un tracollo.Un secondo tracollo lo abbiamo tra il biennio delle superiori e le annualità successive. Continuiamo ad avere un problema serio nell’interazione tra questi dati di crisi e il passaggio, anche semplicemente di monitoraggio – anche questa è una criticità che molto onestamente bisogna dirsi e che io intendo dire – alla formazione professionale. Tanto per essere brutali, non riusciamo veramente, in tutte le regioni, a sapere che, ad esempio, Pasqualino, che è stato bocciato nella prima superiore, in effetti sta andando alla formazione professionale e sta magari svolgendo un progetto proficuo triennale e che, anche nelle discipline non professionali, ha ripreso il corso: lo sappiamo meglio in alcune zone e in altre meno. Lo sappiamo bene in Toscana, laddove riusciamo addirittura a seguire ogni ragazzino tre volte l’anno (cito il primo esempio che mi viene in mente). Lo sappiamo, meglio oggi di ieri, in Puglia, dove c’è un sistema integrato molto simile. Lo sappiamo molto poco in Campania. Lo sappiamo molto poco nel Lazio. Lo sappiamo abbastanza bene in Piemonte o in Veneto. Insomma, è una situazione abbastanza differenziata.
Il tasso di abbandono alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori, come trend generale, lo trovate a pagina 23 della relazione. Il resto lo vedrete da soli.
Per concludere, io penso che questa sia una grande questione nazionale. Non è una questione di parte politica, non è una questione di parte ideologica, o di scuola di pensiero sociale ed economico, come ho cercato di dire all’inizio.
Penso che in questo Parlamento, in particolare in questa Commissione, vi sia un partito, e alcuni di noi lo hanno detto stamattina in un convegno con le scuole autonome. Io l’ho visto durante la discussione sul citato decreto-legge sulla scuola e ne sono un piccolo testimone come sottosegretario all’istruzione: in questo Parlamento, e in questa Commissione in particolare, si è ricostituito ed esiste un partito per la scuola. Questa è la principale questione della scuola.
Penso che vi siano tutte le condizioni per riprendere, secondo le cose che sappiamo che funzionano, una grande politica pubblica su questo tema. Grazie, presidente.

6 febbraio Ricerca e innovazione nelle imprese in CdM

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 6 febbraio, ha esaminato la relazione: “Ricerca e innovazione nelle imprese – Misure di sostegno immediato alle attività innovative e di ricerca delle imprese”.

I ministri della Coesione Territoriale, Carlo Trigilia, dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza e dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato,  hanno presentato al  Consiglio la relazione: “Ricerca e innovazione nelle imprese – Misure di sostegno immediato alle attività innovative e di ricerca delle imprese”. Un pacchetto di incentivi, per un totale di 250 milioni per il 2014, che si pongono come obiettivo quello di rafforzare la ripresa economica con azioni qualificate per la crescita e valorizzare immediatamente le opportunità offerte dal nuovo ciclo di programmazione europea. La finalità principale è di estendere l’occupazione qualificata e il potenziamento dell’innovazione e internazionalizzazione delle imprese.
Il finanziamento dell’intervento avverrà attingendo ai fondi strutturali europei per le Regioni del Mezzogiorno. Le azioni con copertura anticipata, attuate previa consultazione con la Commissione europea, in particolare riguardano i Programmi operativi a titolarità del Ministero dello sviluppo economico (“Programma imprese e competitività”) e del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Programma ricerca e innovazione), la cui dotazione finanziaria è pari, rispettivamente, a circa  3,2 miliardi di euro e circa  1,6 miliardi di euro. Fondi nazionali per le Regioni del Centro-Nord.