IV edizione delle Olimpiadi di Italiano

Miur, presentata la IV edizione delle Olimpiadi di Italiano
Già 600 scuole iscritte alla prima prova del 13 febbraio

Scuola, al via la IV edizione delle Olimpiadi di italiano, presentata questa mattina a Roma nella Sala della Comunicazione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. La prima prova della manifestazione, inserita nel programma annuale di valorizzazione delle eccellenze, si svolgerà nelle scuole il prossimo 13 febbraio. Le Olimpiadi si concluderanno poi a Firenze, a Palazzo Vecchio, l’11 e il 12 aprile 2014, nell’ambito di una più ampia iniziativa culturale di valorizzazione della lingua e della letteratura italiana dal titolo “Giornate della lingua italiana”. La manifestazione conclusiva si svolgerà con il patrocinio e il supporto organizzativo del Comune di Firenze.

Le Olimpiadi di Italiano sono state presentate al Miur dal sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria, alla presenza del direttore generale per gli Ordinamenti Scolastici, Carmela Palumbo. Hanno partecipato anche il direttore centrale per la Promozione della Cultura e della Lingua Italiana Ministro plenipotenziario Massimo Riccardo, in rappresentanza del Ministero degli Affari Esteri, e la Presidente dell’Accademia della Crusca, Nicoletta Maraschio. All’evento sono intervenuti l’assessore alle Politiche giovanili del Comune di Firenze, Cristina Giachi, e il direttore di Rai Radio3, Marino Sinibaldi.

Le Olimpiadi di Italiano sono una competizione relativamente recente rispetto alle gare delle discipline ‘dure’ come la Matematica e la Fisica. Ma la loro IV edizione si annuncia un evento di notevole portata: sono già circa 600 le scuole partecipanti e 15.000 gli studenti iscritti alla prima prova del 13 febbraio, le gare di istituto da cui verranno selezionati i vincitori destinati a cimentarsi nella seconda fase selettiva a livello interprovinciale il 13 marzo. Quest’anno la competizione è allargata, oltre che alle scuole italiane all’estero, anche alle sezioni italiane di scuole straniere e internazionali all’estero e alle scuole straniere in Italia. Come nella scorsa edizione la preparazione delle scuole alle gare sarà seguita dalla trasmissione di Radio3 “La lingua batte”.

Hanno già aderito istituti scolastici da diverse parti del mondo: da Madrid a Casablanca, da Praga a Parigi, da Barcellona a Bruxelles, passando per Sofia, Bratislava, Il Cairo e Asmara, per citarne alcune. Le gare, nelle prime due fasi, si svolgeranno online e potranno contare sulle maggiori potenzialità di una nuova piattaforma informatica più flessibile, in grado di facilitare le operazioni e di rendere più ampia la gamma dei possibili quesiti. Novità di quest’anno è anche il nuovo sito (www.olimpiadi-italiano.it), dalla veste più vivace e moderna.

Alla gara finale, che prevede, oltre ai quesiti a risposta chiusa, prove aperte di scrittura, parteciperanno circa 60 studenti, selezionati in base a un criterio misto che tiene conto sia dei risultati assoluti della graduatoria nazionale, sia delle graduatorie regionali, allo scopo di contemperare la valorizzazione del merito individuale e la rappresentatività territoriale. Parteciperanno anche altri 8 studenti selezionati per le scuole straniere e per le scuole di lingua tedesca e ladina. I premi offriranno agli studenti italiani la possibilità di fruire di stage formativi in centri internazionali di approfondimento dello studio dell’italiano e agli studenti provenienti dall’estero di frequentare stage in centri di ricerca e studio dell’Italiano in Italia.

PAS: scaglionamento su più anni formativi

PAS: in caso di scaglionamento su più anni formativi, Anief chiede di considerare come prioritaria l’anzianità di servizio nella classe di concorso

 

Sta accadendo, invece, che chi ha tanti anni di supplenze alle spalle è costretto a svolgere i corsi abilitanti tra uno o due anni. Mentre i precari con poco servizio usufruiscono della precedenza. Il Miur deve intervenire con urgenza per sanare questa situazione. Così come per le altre questioni ancora irrisolte.

 

Ad una settimana dall’ultimo appello rivolto al Ministero dell’Istruzione da parte dell’Anief sulla necessità di intervenire con urgenza per garantire il corretto avvio dei Percorsi abilitanti speciali, dobbiamo purtroppo rilevare che permangono diverse situazioni di criticità. Anzi, negli ultimi giorni ne sono subentrate delle nuove. Una di queste riguarda la pubblicazione, da parte degli Usr, degli elenchi degli ammessi ai PAS: laddove, a causa dell’alto numero di candidati, è stato reso necessario attuare uno scaglionamento dei corsi abilitanti su più anni scolastici, numerosi docenti lamentano di essere stati inseriti negli elenchi per l’a.s. 2015/16 pur avendo svolto molti anni di supplenza. Anche oltre 10 anni. Mentre dei candidati con meno anni, in certi casi solo 3, potranno svolgere il PAS sin da subito, senza dover attendere uno o addirittura due anni.

 

Ciò è avvenuto perché i supplenti con meno servizio non sono in possesso di altra abilitazione. La presenza del certificato di abilitazione viene infatti considerata dal Miur una discriminante, che basta per far posticipare l’avvio del corso. Non importa se il candidato si sia poi, in effetti, mai avvalso di quella abilitazione. Il problema è che così facendo il Miur è incorso in errore: sta accadendo, infatti, che il collega con 3 anni di servizio, senza altra abilitazione si abilita a giugno 2014; mentre quello con 10 anni e oltre di servizio ma con altra abilitazione “inutilizzata”, potrà abilitarsi soltanto nel 2016. Con tutte le conseguenze negative che ne deriveranno.

 

Anief chiede pertanto al MIUR di intervenire, indicando agli USR di rivedere gli scaglionamenti in base agli anni di servizio svolti nella classe di concorso per cui si accede al PAS. Evitando così che chi è in possesso di una maggiore anzianità di servizio non possa essere scavalcato da colleghi con meno esperienza lavorativa.

 

Il giovane sindacato coglie l’occasione per tornare a chiedere allo stesso Miur come mai vi siano ancora tanti percorsi formativi che nessun ateneo vuole organizzare, ad iniziare da quelli per la scuola dell’infanzia e primaria. Va poi data la possibilità a tutti i corsisti PAS di poter fruire dei permessi per il diritto allo studio, anche per un numero inferiore alle 150 previste dal C.C.N.L.: ciò permetterebbe di prevenire quei licenziamenti che diversi precari stanno presentando ai propri dirigenti perché impossibilitati a svolgere i corsi PAS e contemporaneamente continuare ad insegnare. Non erano questi gli accordi: il Miur metta nelle condizioni tutti i candidati di poter svolgere i corsi e di continuare a fare le supplenze.

 

Rimane poi da superare il problema della spendibilità del titolo. E su questo punto ci rivolgiamo al Ministro Carrozza: colga finalmente l’occasione per inserire i prossimi abilitati tramite i Pas, come attraverso i Tfa ordinari, all’interno delle graduatorie permanenti, oggi chiamate “ad esaurimento”, perché rappresentano l’unico canale di assunzione, per il 50% dei posti vacanti, destinato al personale abilitato attraverso i corsi universitari. Mantenere in vita una norma astrusa, come quella introdotta con la Legge 296 del dicembre 2006, significa perseverare nell’errore di formare i docenti e poi precludergli la possibilità di essere stabilizzati. Senza un intervento del Ministro, infatti, quasi 100mila precari, tra abilitati Pas e Tfa, verranno collocati in una graduatoria fuori fascia. Che non avrà valenza ai fini dell’assunzione in ruolo. Lasciandoli, così, senza alcuna prospettiva professionale.

Scuola, sentenza del Tar Sicilia: se il disabile è grave le ore si raddoppiano

Scuola, sentenza del Tar Sicilia: se il disabile è grave le ore si raddoppiano

Miur condannato a risarcire mille euro al mese alla famiglia. I giudici amministrativi assegnano un docente con orario intero rispetto alle 9 settimanali inizialmente concordate. E compensano il danno provocato dall’amministrazione, che aveva negato il “supporto necessario a garantire la piena promozione dei bisogni di cura, di istruzione e di partecipazione a fasi di vita normale”
Lun, 10/02/2014 –

Agli alunni con disabilità grave va garantita la piena promozione dei bisogni di cura, di istruzione e di partecipazione di vita normale: a ribadirlo è il Tar della Sicilia, che con la sentenza 224/2014 ha stabilito che occorre assegnare il “sostegno didattico per l’intero orario di servizio settimanale del docente specializzato (rapporto 1:1), ossia per complessive 18 ore settimanali, così come espressamente richiesto dal Gruppo di Lavoro per l’Handicap (…) sulla base del Progetto Educativo Didattico Personalizzato (PEI)”.

Nell’esaminare il caso di un siciliano con un notevole handicap, i giudici amministrativi hanno appurato che “il quadro costituzionale e legislativo è nel senso della necessità per l’amministrazione di erogare il servizio didattico predisponendo, per l’ipotesi di disabilità, le misure di sostegno necessarie per evitare che il discente altrimenti fruisca solo nominalmente del percorso di istruzione”. Pertanto, la necessità di supporto didattico non può essere negata, in particolare, in presenza di uno “stato di disabilità grave”, accertato attraverso apposita “valutazione da parte del piano scolastico individualizzato, o di altro documento equipollente”, da cui emerge la “necessarietà di tale rapporto al fine della effettività della frequenza scolastica”.

I giudici, citando “i numerosissimi precedenti” che sono stati “sfavorevoli al Ministero resistente, che, ciononostante, continua, anno dopo anno scolastico, a reiterare provvedimenti all’evidenza non conformi alla normativa in materia di tutela dei disabili”, hanno in qualche modo voluto “bacchettare” l’amministrazione scolastica, poiché “sulla questione centrale esisteva, già in epoca antecedente alla proposizione del ricorso, un orientamento assolutamente incontroverso della giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale, favorevole alla parte ricorrente”.

Per questi motivi, il Tar ha deciso che è al “Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, a cui va imputata la responsabilità generale delle scelte gestionali poi effettuate dalle articolazioni periferiche dell’Amministrazione”. Specificando che “il danno è individuabile negli effetti che la, seppur temporanea, diminuzione delle ore di sostegno subita ha provocato sulla personalità del minore, privato del supporto necessario a garantire la piena promozione dei bisogni di cura, di istruzione e di partecipazione a fasi di vita “normale” e può essere quantificato, in via equitativa in 1000 euro per ogni mese (con riduzione proporzionale per la frazione) di mancanza dell’insegnante di sostegno nel rapporto 1/1 con decorrenza dalla notifica del ricorso in epigrafe e sino all’effettiva assegnazione”.

“Ancora una volta – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief, il sindacato che da quest’anno scolastico ha deciso di tutelare i diritti dei disabili con l’iniziativa ‘Sostegno: non un’ora di meno – il Ministero dell’Istruzione si rende protagonista di riduzioni immotivate di sostegno: determinando un’inaccettabile violazione del diritto all’istruzione degli alunni con disabilità. Il problema è che le ore di sostegno attivate dall’amministrazione, quindi la quantità di docenti specializzati nell’insegnamento ai disabili, non sono sufficienti a coprire il reale fabbisogno di questi alunni. Ed è davvero avvilente – conclude Pacifico – che si debba ricorrere ai giudici per far valere un diritto così macroscopico”.

Amore di scuola

Amore di scuola
Amori a scuola, e non solo!

di Umberto Tenuta

 

Ogni essere che agisce, agisce perché mosso da qualche amore!

Solo i folli agiscono senza motivi, e agiscono senza saperlo, agiscono senza volerlo.

Ma noi non siamo folli!

E non sono folli i nostri giovani, gli studenti che ogni mattina avvertono e soffrono la costrizione di dovere andare a scuola, la costrizione di dover stare seduti nei banchi biposti, la costrizione di dover ascoltare il professore di turno che, non chiamato, entra in classe, fa appena un cenno di saluto, sale in cattedra, prende il registro, sì, quello elettronico, e scrive la lezione che ha preparato per questa mattina e che si affretta a declamare, con voce stanca, come per dire, vedete, io il mio dovere, il dovere per il quale sono pagato, lo adempio; ora tocca a voi, studenti che state seduti, immobili, in assoluto silenzio, le bocche chiuse senza sbadigli, con assoluto divieto di parlare con i vostri compagni che, come voi, con le mani conserte, le orecchie tese, la bocca giusta, senza sbadigli, mi state  ad ascoltare.

Ora tocca a voi ascoltare, memorizzare, ripetere sul libro di testo, imparare bene per venire a ripetere a me, quando ne ho desiderio, quando vi chiamo, a caso, così come capita, scorrendo l’elenco dei nomi sul registro e fermandomi dove io voglio, io e non voi.

Poveri studenti, non studenti, non innamorati del sapere dispensato dai docenti, di tutt’altre cose innamorati!

Ma perché non ascoltarli questi giovani, questi cuori che battono forte, questi cuori che sprizzano la vita da tutti i pori della loro pelle, che saltano, che corrono, che cercano i loro compagni, che guardano oltre la siepe!

Pensate, Voi Professori, pensate che i vostri giovani studenti non vogliano ascoltare le poesie che voi che recitate, con la stessa passione, se non con la stessa voce di Gassman?

I giovani amano la poesia che tocca i loro cuori, che li fa vibrare di gioia, gli occhi incantati, la bocca aperta!

Oh, miracolo della poesia che nelle vostre aule aleggia, è di casa, soffio leggero della vita!

Oh! Miracolo delle letture che voi fate fare ai vostri giovani studenti, letture del paesaggio che si distende nel verde dei prati, nel marrone delle colline, nell’azzurro cupo dei monti che chiudono la vostra verde valle!

Oh! Miracolo delle letture dei vostri centri abitati, che parlano lingue diverse, lingue di storia antica e recente, lingue di storia toponomastica, lingue di forme geometriche le più varie, lingue dall’arte delle vostre chiese, dei vostri monumenti!

Oh, giovani studenti, nella vostra scuola vivete la gioia di ricercare e di trovare risposte a tutte le domande che nascono dalla vostra innata curiosità, curiosità di conoscere, curiosità di fare, curiosità di vivere i sentimenti umani più nobili, della gioia di donare, della gioia di abbracciare i vostri giovani amici di ogni terra, di ogni luogo vicino e lontano! Sì, a scuola voi vivete la gioia di ricercare e di trovare, da soli, e senza chiederle agli altri, le risposte a tutti i vostri perchè, perché che tutti i giovani pongono senza aspettare risposta, perché le risposte amano trovarle da soli, seppure a volte chiedendo ai docenti qualche discreto suggerimento.

Oh giovani che di amore siete figli, che di amore vi alimentate, che l’amore cercate per il vostro domani, ora, nella scuola, vivete l’amore di scoprire nuove conoscenze, l’amore di acquisire nuove capacità, capacità di correre, di saltare, di nuotare, di esplorare, di guardare i cieli azzurri, gli arcobaleni dei popoli che vivono sul pianeta Terra, l’amore di imparare a conoscere, a vivere nuove passioni, passione del bello, passione del buono, passione della storia dell’uomo, passione della lettura del cielo stellato, passione della scalata delle colline e dei monti delle terre vicine e lontane, passione di ascoltare il ritmo del vostro cuore e il ritmo delle poesie che i vostri docenti recitano.

Si, nuove passioni, passioni sconfinate, passioni per l’intero scibile umano che vi prende, che vi possiede, che non vi dà pace, che vi prende la notte e il dì.

O la vostra amata Scuola, scuola per crescere in virtute e canoscenza, scuola dei vostri amori, amori che non conoscono confini di spazio e di tempo, passioni che saranno le campagne fedeli della vostra vita, vita di uomini, nati quali voi siete, non per vivere come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza!

 

Grazie, o Scuola!

Grazie, o Maestre, o Maestri, per questo amore, per questa gioia che voi regalate ai nostri giovani, ai nostri figli!

Maestre e Maestri grazie, voi avete realizzato la scuola dell’amore, della gioia di apprendere, della gioia di vivere: la scuola che tutti i giovani la notte sognano di trovare all’alba del nuovo mattino della loro vita.

Voi Maestre, Voi Maestri, siete troppo grandi per deluderli!

 

Riconoscere le famiglie omogenitoriali non è una crociata contro padri e madri

da Il Fatto Quotidiano

Riconoscere le famiglie omogenitoriali non è una crociata contro padri e madri

di Rosaria Iardino

Sui moduli di iscrizione alle scuole comunali milanesi, di qualsiasi grado, non ci sarà più scritto “padre” o “madre” ma “genitore”, senza che venga specificato il sesso. È un importante passo avanti, che tiene conto dei tempi ma soprattutto delle esigenze delle tante famiglie omogenitoriali che vivono a Milano.

Ho lavorato mesi per questo risultato, operando come semplice amministratore. Oggi sono fiera di raccoglierne i frutti. La mia non è certo una battaglia contro quel che ‘padre’ e ‘madre’ significano nell’immaginario della gente. Ciascuno è libero di concepire la famiglia come meglio crede. Solo non volevo che nuove sensibilità, che volenti o nolenti oggi sono presenti nella nostra società, diventassero preda di una burocrazia fredda ed incapace di certe sfumature o puntualizzazioni.

Non sono più mosche bianche quelle famiglie composte da due donne o due uomini, che iscrivono i figli avuti da precedenti matrimoni o nati attraverso nuove tecniche di concepimento, alle scuole pubbliche. Per cui, perché costringerli all’umiliazione di moduli nati quando vigeva un solo concetto di famiglia? Situazione contro la quale io stessa ho sbattuto, avendo costituito una famiglia assieme con un’altra donna che ha portato una figlia da una precedente relazione e che mi ha dato, di recente, la grandissima gioia di una nuova maternità, avuta attraverso una gravidanza medicalmente assistita.

La rivoluzione nella modulistica comunale ha già ottenuto un altro risultato importante: il collegamento tra il Registro delle unioni civili e l’Anagrafe comunale. Già dal prossimo 14 febbraio, quando ci si dovrà iscrivere all’anno scolastico a venire, i figli di una coppia regolarmente presente nel Registro, potranno essere inseriti a prescindere che siano biologicamente riferibili alla coppia medesima o in arrivo da relazioni precedenti.

La novità è che anche due genitori dello stesso sesso avranno la loro unione riconosciuta come ‘famiglia’. Potranno così godere di certi diritti, ma anche di precisi doveri. Come accedere, nel caso ci fossero le prerogative, alle agevolazioni previste sulle tariffe che dovranno corrispondere, attraverso il calcolo della loro Isee comune.

L’idea di modificare i moduli d’iscrizione scolastica e il loro collegamento alle Unioni civili, rappresentano un importante precedente, che da Milano potrebbe essere esportato in tutta Italia. Un lavoro svolto con i funzionari del Comune e con i referenti dell’associazione delle famiglie arcobaleno, molto efficiente, che ci ha portato a modificare l’iscrizione alle scuole già da quest’anno, mettendo sullo stesso piano i diritti ed i doveri delle famiglie omogenitoriali con quelle eterosessuali.

Il nuovo sostegno taglia i precari

da ItaliaOggi

Il nuovo sostegno taglia i precari

La creazione dell’area unica inciderà sui trasferimenti

Carlo Forte

L’unificazione delle aree del sostegno nelle scuole superiori si farà già da quest’anno. E con lei sono a rischio moltissimi posti di lavoro nella scuola.

Il ministero dell’istruzione sta spingendo il piede sull’acceleratore e ha già presentato alle organizzazioni sindacali una bozza di accordo.

La proposta dell’amministrazione centrale è diretta a modificare l’ipotesi di contratto sui trasferimenti e sui passaggi siglata il 17 dicembre scorso ed inviata alla funzione pubblica il 22 gennaio.

L’intenzione del dicastero di viale Trastevere è quella di procedere celermente così da chiudere l’accordo in tempo per le prossime operazioni di mobilità.

Che secondo quanto risulta a ItaliaOggi dovrebbero partire nel mese di marzo con la presentazione delle domande on line. Se non ci saranno intoppi, la sottoscrizione definitiva dell’ipotesi di contratto potrebbe avvenire già il 24 febbraio prossimo. Fermo restando che, per l’unificazione delle aree, bisognerà sottoscrivere un accordo a parte, che gli addetti ai lavori chiamano «sequenza contrattuale».

Il testo del nuovo accordo andrà a sostituire l’articolo 30 del contratto sulla mobilità è disporrà l’unificazione delle 4 aree (AD01, AD02; AD03; AD04) in cui attualmente sono suddivise le specialità del sostegno delle superiori. Il tutto in analogia con quanto già avviene nelle scuole secondarie di I grado. In buona sostanza, dunque, l’amministrazione scolastica avrebbe deciso di non attendere la mobilità annuale per dare attuazione all’articolo 13, del decreto legge n. 104/92 (così come modificato dall’art. 15, comma 3 bis, della L. 128/2013).

E ciò, sempre secondo quanto risulta a ItaliaOggi, coinciderebbe con precise indicazioni che sarebbero state impartite direttamente dal ministro, Maria Chiara Carrozza.

Il rischio che si corre, con l’applicazione della nuova disciplina, è quello di ingenerare una forte riduzione dei posti di lavoro per i docenti a tempo determinato. E la fase più rischiosa per i precari è proprio quella dei trasferimenti. Al momento, infatti, il passaggio sul sostegno (che si configura giuridicamente come un trasferimento) può essere chiesto solo con riferimento all’area di appartenenza. E ciò limita fortemente le probabilità di ottenere il movimento richiesto.

Ma se la possibilità del passaggio sarà consentita su qualsiasi area, a prescindere da quella di appartenenza, il numero dei docenti che otterranno il passaggio è destinato a salire vertiginosamente. Ciò determinerà una forte contrazione delle disponibilità di posti sul sostegno già nell’organico di diritto.

E poi il colpo di grazia interverrà al momento delle utilizzazioni. In tale fase, infatti, oltre ai movimenti e alle conferme dei docenti della Dos (dotazione organica del sostegno) e cioè dei docenti di sostegno di ruolo che insegnano alle superiori, verranno disposti anche più provvedimenti di utilizzazione sul sostegno. Proprio perché, mancando il vincolo dell’area di appartenenza, gli interessati avranno molte più probabilità di ottenere i movimenti richiesti (sulla Dos). E ciò farà diminuire sensibilmente le disponibilità per gli incarichi di supplenza. Di qui il rischio, più che fondato, che molti docenti precari rimangano senza lavoro.

Va detto subito, però, che l’interpretazione del ministero non è indenne da elementi di criticità. Il decreto Carrozza, infatti, nel disporre in generale l’unificazione delle aree del sostegno, reca una serie di disposizioni di dettaglio che sembrerebbero orientare l’interprete nel senso dell’applicabilità delle nuove disposizioni solo ai fini del reclutamento. Per giunta, ai soli concorsi che saranno banditi dopo l’entrata in vigore della riforma. Salvo una graduale applicazione anche alla disciplina delle supplenze da conferire tramite lo scorrimento delle graduatorie di istituto.

Ed è proprio il mantenimento in vita delle disposizioni sul reclutamento, tramite lo scorrimento delle graduatorie a esaurimento e dei concorsi ordinari già esistenti, che induce a ritenere che gli organici continueranno ad essere compilati recando l’indicazione della tipologia di posto.

E l’assenza di disposizioni di legge modificative dei criteri di compilazione degli organici non fa che confortare la tesi, secondo la quale, i docenti di ruolo che sono stati assunti con il vecchio sistema dovrebbero continuare ad insegnare su posti dell’area per la quale sono stati assunti.

In caso contrario si andrebbe in rotta di collisione con il principio di infungibilità degli insegnamenti. Che preclude la spendibilità in altri insegnamenti dei titoli professionali posseduti dai docenti attualmente in servizio.

Sussistono, dunque, rischi concreti di incrementare il contenzioso. Specie se si pensa che, cambiare le regole del gioco mentre si sta ancora giocando, proprio adesso che il ministero ha emanato la circolare con le disposizioni per le immissioni in ruolo sul sostegno (la n. 362 del 6 febbraio scorso, si veda anche ItaliaOggi di martedì scorso) rischia di mandare in fumo le legittime aspettative di centinaia di precari giunti, dopo anni di attesa, a un passo dall’assunzione.

Studenti meritevoli senza risorse. In tre anni il fondo da 20 milioni è rimasto inutilizzato

da ItaliaOggi

Studenti meritevoli senza risorse. In tre anni il fondo da 20 milioni è rimasto inutilizzato

La Corte dei conti boccia il Miur e il ministero dell’economia sui soldi per gli universitari

Giorgio Candeloro

Poca chiarezza per il futuro, un groviglio di norme contraddittorie, carenza di finanziamenti, mancanza di progettualità.

È netto e duro il giudizio della Corte dei conti su come (e se) si spende in Italia per il sostegno agli universitari meritevoli ma privi di mezzi.

Con una delibera di fine dicembre, resa nota nei giorni scorsi, i magistrati contabili hanno indagato sul Fondo per il sostegno della formazione universitaria e sulla Fondazione per il merito, istituiti nel 2010 dalla riforma Gelmini.

Ne emerge un quadro scoraggiante: lastricata di ottime intenzioni, la strada dell’investimento di risorse per il sostegno ai meritevoli in tre anni non ha portato da nessuna parte.

Doveva essere un progetto di lungo periodo: prima il fondo per promuovere l’eccellenza e il merito con premi e buoni studio da restituire al termine del percorso universitario, poi la fondazione, basata sulla partnership tra pubblico e privato, con un ruolo centrale riservato all’imprenditoria e la possibilità per gli studenti di avvicinarsi al mondo del lavoro già durante gli anni della formazione universitaria.

L’obiettivo? Colmare la mancanza italiana di un sistema di prestiti universitari e avvicinare agli standard europei il nostro modello di sostegno al diritto allo studio.

I magistrati contabili denunciano nella loro indagine che niente di tutto questo è avvenuto: stanziati i venti milioni iniziali, mai spesi, il fondo per il merito non è decollato, mentre la fondazione semplicemente non esiste. Non un euro è finito in questo triennio nelle tasche degli studenti meritevoli.

Mario Monti, in veste di ministro dell’economia, cassò il decreto istitutivo della fondazione, mentre il «decreto del fare» del governo Letta ha dirottato le risorse del fondo verso le borse di studio per gli studenti fuorisede. Due decisioni che hanno obliterato il progetto Gelmini senza elaborarne uno alternativo.

Da qui le bacchettate della corte che ha trasmesso l’indagine alle camere chiedendo provvedimenti legislativi a breve.

Particolarmente dure le critiche all’attuale titolare dell’economia Fabrizio Saccomanni, al quale i giudici contabili chiedono se «sussiste ancora l’interesse del Mef all’istituzione della fondazione per il merito oppure in quali diversi termini si voglia proseguire l’originario progetto che prevede l’impiego di risorse prevalentemente private per premiare i capaci e i meritevoli».

I magistrati della corte ne hanno anche per l’attuale gestione della questione dal parte del Miur, accusato di scarsa vigilanza sul numero dei beneficiari del sostegno per il diritto allo studio, comunque erogato, e sull’effettiva efficacia di questo, e per il Parlamento, responsabile primo della confusione del quadro normativo.

Per i giudici si deve agire in fretta su un ambito fondamentale e delicato come quello del diritto allo studio, sancito solennemente dall’articolo 34 della Costituzione e nel quale regnano ancora la poca chiarezza e l’insufficienza o la cattiva gestione dei fondi. L’indagine evidenzia infatti che troppo spesso «all’incertezza del quadro normativo si aggiunge le riserva che riguarda le risorse finanziarie disponibili, convogliate verso un programma o un altro, senza un piano sistematico e organizzato di sostegno e attuazione del diritto allo studio. Un’accusa in piena regola di improvvisazione e mancanza di visione, trasversale agli ultimi due o tre esecutivi e legislature. Qualcuno agirà per porvi rimedio? Visti i precedenti lo scetticismo sembra d’obbligo.

Ata, soluzione cercasi

da ItaliaOggi

Ata, soluzione cercasi

Il nodo è la restituzione delle somme

Franco Bastianini

Fumata grigia, ma tendente al nero, quella scaturita al termine dell’incontro augli Ata che si è svolto il 30 gennaio tra il Miur e le organizzazioni sindacali. L’incontro doveva servire anche ad individuare una soluzione capace di risolvere positivamente la vertenza in atto che coinvolge direttamente circa 12.000 assistenti amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici titolari della prima o della seconda posizione economica ai quali il ministero dell’istruzione e ministero dell’economia chiedono la restituzione di quanto percepito in forza dell’attribuzione di una delle due predette posizioni.

Una richiesta questa duramente contestata dai sindacati che sostengono, invece, la legittimità dell’attribuzione delle posizioni economiche conferite, a decorrere dal 1° settembre 2011, al personale Ata che aveva frequentato, con esito favorevole, un apposito corso di formazione.

I funzionari ministeriali avrebbero infatti confermato che gli interessati dovranno restituire le somme percepite con decorrenza settembre 2013 ( 6 euro lorde mensili ai collaboratori e 138 euro lorde mensili agli assistenti). Gli stessi funzionari avrebbero invece ribadito che, nelle more della definizione complessiva della materia, resta sospesa la richiesta di restituzione delle somme corrisposte ai titolari delle due posizioni economiche dal 1° settembre 2011 al 31 agosto 2013.

La evidente situazione di stallo venutasi a creare, anche a seguito di un rimpallo di responsabilità tra i due ministeri coinvolti, lascia prevedere la imminente proclamazione, da parte di tutte le organizzazioni sindacali, di mobilitazione della categoria unitamente, come ha dichiarato tra l’altro Massimo Di Menna, segretario generale della Uil-Scuola, all’invito agli interessati di sospendere lo svolgimento di quei compiti dovuti per effetto dell’attribuzione di una delle posizioni economiche(l’ assistenza agli alunni diversamente abili e l’organizzazione degli interventi di primo soccorso, da parte dei collaboratori scolastici; compiti di collaborazione amministrativa e tecnica caratterizzati da autonomia e responsabilità operativa e la sostituzione del DSGA, da parte degli assistenti amministrativi e tecnici

Scuola, comparare non conviene

da l’Unità

Scuola, comparare non conviene

di Benedetto Vertecchi

MENTRE SI CONTINUA A DISCETTARE SULLA POSIZIONE MODESTA (PER USARE UN EUFEMISMO) CHE LE NOSTRE SCUOLE OCCUPANO NELLE GRADUATORIE messe a punto in base ai risultati delle rilevazioni comparative dell’Ocse, non sembra suscitare altrettanto interesse la ricerca delle ragioni del malessere del sistema educativo. Tutti si affannano a dichiarare la centralità dell’educazione per lo sviluppo del Paese, ma pochi si sforzano di superare interpretazioni di breve momento per individuare le radici di un malfunzionamento sempre più evidente. Accade anche di peggio, e cioè che si pretenda di superare la crisi con annunci sempre meno credibili di innovazioni che starebbero per essere introdotte, senza peraltro mai indicare elementi obiettivi che dovrebbero giustificare un atteggiamento di fiducia. Si direbbe che ormai si sia rinunciato a spiegare le ragioni della crisi e si utilizzino cascami interpretativi presi a prestito da altri settori della vita sociale, o si sfruttino gli aloni positivi associati a elementi di razionalità impliciti nello sviluppo tecnologico, per coprire l’assenza di interpretazioni e progetti originali per lo sviluppo del sistema educativo. Eppure, proprio cercando di capire quali siano gli scenari che nei diversi Paesi caratterizzano l’attuale fase di trasformazione dei sistemi educativi, si potrebbero trarre utili indicazioni circa le direzioni verso cui tendere. Anche se in modo schematico, potremmo separare nelle politiche scolastiche alcuni principali orientamenti. Il primo è quello di Paesi in cui l’analfabetismo continua a costituire una piaga diffusa e nei quali la miseria diffusa, unita a condizioni politiche sfavorevoli, impedisce che si promuova la crescita dei sistemi educativi. Un secondo orientamento è quello di Paesi che hanno effettuato scelte per uscire dalla marginalità delle condizioni postcoloniali e seguire un percorso di sviluppo che riguardi insieme la vita civile e politica, il sistema produttivo e l’educazione. Il terzo orientamento è quello che si manifesta in Paesi tesi a un potenziamento dalle strutture produttive che prescinde dal perseguimento di traguardi ugualmente impegnativi nella vita sociale. Infine, c’è da considerare l’orientamento dei Paesi europei e di quelli che, in altri continenti, si pongono in continuità con la medesima tradizione. Le comparazioni Ocse riguardano soprattutto quest’ultimo orientamento. Sono poste in evidenza le diversità che si manifestano tra un Paese e l’altro, ma le graduatorie sulle quali si richiama l’attenzione indicano, bene che vada, che ci sono Paesi che ottengono risultati migliori di altri, ma non che quei risultati sono da considerare di per sé positivi. Ciò ha favorito l’inserimento in chiave concorrenziale nelle posizioni elevate delle graduatorie del terzo orientamento, presente soprattutto in alcuni Paesi dell’estremo Oriente e, dall’ultima rilevazione (2012), in Cina, o almeno nella provincia presa in considerazione, quella di Shangai. Solo per il prevalere nell’attività dell’Ocse di una logica di globalizzazione si è potuto accettare di comporre in un unico quadro modelli educativi tanto lontani fra loro come sono quelli europei rispetto a quelli di alcuni Paesi che recentemente hanno conosciuto un rapido sviluppo dell’educazione scolastica, come quelli che prima sono stati menzionati. In quei Paesi il livello di competitività alla base del successo scolastico è incomparabile rispetto a quello che si osserva in Europa. Il successo è perseguito ad ogni costo, anche a quello di sacrificare altri aspetti importanti dell’educazione scolastica, sono quelli che si collegano alla socializzazione e allo sviluppo affettivo. Gli esami sono fortemente selettivi, e in conseguenza già a quindici anni (l’età presa in considerazione per le comparazioni Ocse) il percorso educativo appare segnato dagli effetti di una competizione esasperata, non di rado all’origine di un’autodistruttività che contraddice il ruolo dell’educazione, quello di favorire l’adattamento alla vita delle nuove generazioni. Ha senso comparare dati sul successo scolastico che si riferiscono a situazioni così diverse? Ma, anche restando all’interno del quarto orientamento, quello della scuola europea, ci si trova di fronte a differenze che riducono fortemente la capacità delle graduatorie di dar conto della capacità dei sistemi educativi di perseguire determinati intenti. Si passa da sistemi scolastici che si sono progressivamente caratterizzati per la loro capacità di organizzare una parte prevalente del tempo di vita degli adolescenti a sistemi che si limitano ad assicurare un certo numero di lezioni, senza tener conto della necessità di radicare l’apprendimento degli allievi attraverso attività che comportino l’esercizio di un saper fare intelligente. Nelle comparazioni internazionali non sono i nostri allievi che scapitano rispetto ai loro coetanei europei, ma è il nostro sistema scolastico che denuncia l’angustia delle scelte effettuate, sul piano della quantità (orari rachitici di funzionamento) e della qualità, ovvero, in primo luogo, dell’uso delle risorse. Quando si fanno annunci mirabolanti sulle prospettive salvifiche di un’innovazione fondata su soluzioni delle quali nessuno è in grado di dimostrare l’efficacia (e spesso è stato, invece, dimostrato che possono indurre effetti negativi), la comparazione non ha nulla a che fare con le prestazioni degli allievi, ma con le scelte dissennate operate a livello del sistema.

Anno 2014, fuga dei prof dalla scuola: “Siamo stufi, mandateci in pensione”

da Repubblica.it

Anno 2014, fuga dei prof dalla scuola: “Siamo stufi, mandateci in pensione”

Sono più di 12mila le richieste di pensionamento già arrivate al ministero dell’Istruzione: in aumento del 15 per cento rispetto al 2013. E per fare istanza restano quattro giorni via dalla cattedra

di SALVO INTRAVAIA

BOOM di pensionamenti in arrivo nella scuola. Nonostante la riforma Fornero abbia bloccato in cattedra tantissimi insegnanti pronti a passare la mano ai più giovani, si profila un consistente incremento di uscite dal lavoro a partire dal primo settembre 2014. I dati, che Repubblica è in grado di anticipare, sono ancora provvisori ma in ogni caso abbastanza significativi per descrivere la voglia che hanno gli insegnanti italiani di gettarsi alle spalle un lunghissimo periodo di lavoro nelle classi senza troppe soddisfazioni, almeno dal punto di vista economico. E per presentare domanda ci sarà tempo ancora fino al 14 febbraio, giacché il termine dello scorso sette febbraio è stato prorogato.

L’anno scorso, quando la riforma del governo Monti sulle pensioni fece crollare i pensionamenti nelle scuole, gli insegnanti che abbandonarono la cattedra furono appena 10.860. Quest’anno, stando alle anticipazioni provenienti dagli uffici di viale Trastevere, saranno parecchi di più se sul finire della scorsa settimana le domande online inoltrate avevano già superato le 12mila e 500 unità. Con un incremento del 15 per cento che potrà soltanto incrementarsi visto che il precedente termine del 7 febbraio per inoltrare le domande è stato prorogato al 14 febbraio prossimo.
Ma perché coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione non ci pensano due volte a fare largo ai giovani? Secondo il segretario della Cisl scuola, Francesco Scrima, si tratta di un “chiaro messaggio di stanchezza da parte della categoria”. “Chi va in pensione – continua Scrima – non lo fa a cuor leggero ma, secondo quanto ci risulta ascoltando ogni giorno i docenti, per frustrazione: insegnare oggi richiede fatica e impegno che non vengono riconosciuti. Ecco perché in tanti hanno deciso di andare via dalla scuola. E per questa ragione chiediamo al governo, al parlamento e alla politica di attivare tutte le azioni per il riconoscimento del lavoro degli insegnanti e di aprire il confronto per il rinnovo del contratto di lavoro”.

I docenti e gli Ata (gli amministrativi, i tecnici e gli ausiliari) hanno il contratto scaduto ormai dal 2009, con stipendi tra i più bassi d’Europa. In più, l’ultimo governo Berlusconi e il governo Monti hanno bloccato gli scatti stipendiali automatici previsti dal contratto per consentire almeno un piccolo recupero dell’inflazione. E nei casi in cui gli scatti sono stati pagati, i sei anni tra un avanzamento di stipendio e il successivo si sono dilatati a sette o ad otto. “Gli insegnanti, appena raggiungono il requisito, fuggono dalla scuola”, commenta Domenico Pantaleo, leader della Flc Cgil”. “Il perché è presto detto: tra tagli, disorganizzazione crescente e condizioni di lavoro sempre più gravose il pensionamento è un’ancora di salvataggio”. Ma non solo: “Le persone, insegnanti compresi, temono che si metta mano ancora alla legge Fornero per allungare la permanenza al lavoro. E chi può se ne va”. Opportunità negata anche ai cosiddetti docenti “quota 96” (con almeno 36 anni di servizio e 60 anni di età o 35 anni di servizio e 61 di età) che avendo già maturato i requisiti per andare in pensione con la vecchia normativa sono stati bloccati a scuola fino a 67 anni dall’entrata in vigore della legge Fornero perché non è stato previsto che nella scuola l’anno scolastico termina il 30 agosto e non il 31 dicembre. Una “ingiustizia” alla quale il governo Letta sta cercando di porre rimedio.

Scuola, il pasticcio dei fondi per combattere la dispersione

da Repubblica.it

Scuola, il pasticcio dei fondi per combattere la dispersione

Dal ministero più soldi alle Regioni dove l’emergenza è minore. Il pd  Faraone: “Assurdo, così si allarga il divario tra Nord e Sud”

PER contrastare la dispersione scolastica, il  ministero assegna più fondi alla Lombardia, dove il fenomeno è meno  grave, che alla Campania, regione con una vera emergenza in corso. Il  ministero per l’Istruzione ha pubblicato ieri il decreto che fissa la  ripartizione dei 15 milioni  di euro stanziati col decreto-  scuola per  combattere un fenomeno nel quale, purtroppo,  l’Italia eccelle in  Europa. Spulciando tra i numeri forniti dallo stesso provvedimento,  emerge una situazione paradossale:  alle regioni del mezzogiorno,  dove  abbandoni scolastici  e bocciature abbondano e le competenze in lettura e  matematica  sono tra le più scarse d’Europa, arrivano meno fondi  rispetto alle regioni dell’Italia settentrionale e centrale. Alla Lombardia,  per esempio, dove la dispersione tocca il 15,34 per cento, il decreto  assegna 2,2 milioni di euro, mentre alla Campania, dove il fenomeno  sfiora il 22 per cento, ne dà 1,8.

Com’è possibile? La ripartizione   dei fondi è stata effettuata  non tenendo conto delle cifre  della  dispersione, ma in base  al numero di alunni iscritti in ogni singola  regione. Così la Sicilia,  che ha più alunni del Lazio e una dispersione  di 10 punti più alta – 25 contro 13 per cento  – riceve 1,56 milioni  contro il milione e 361mila della regione Lazio. Il sottosegretario  Marco Rossi Doria spiega le ragioni di questa scelta: «La dispersione  scolastica è una grande questione  nazionale. E i dati ci dicono  che  anche nelle periferie urbane del centro-nord gli abbandoni  hanno  raggiunto e superato  i livelli di guardia. Campania,  Calabria, Puglia e  Sicilia, inoltre, hanno avuto 50 milioni di fondi europei per il  biennio in corso e stanno lavorando già per battere la dispersione. Il  bando punta a rispondere alle diverse esigenze dei territori, fra cui  anche l’integrazione e il successo formativo degli alunni  di  cittadinanza non italiana  ».

Ma il decreto non convince  i sindacati,  che «non sono stati neppure interpellati per progetti che con tutta  probabilità  vedranno impegnati anche i docenti interni alle scuole». E  contro quelle tabelle si schiera anche Davide Faraone, responsabile   welfare nella segreteria  pd di Matteo Renzi:

«Nella ripartizione dei  fondi – attacca Faraone – si è tenuto conto più della popolazione  scolastica che della dispersione: così facendo  però il divario tra  scuola del Nord e del Sud non si ridurrà mai. Il Pd propone invece una  vera e propria task force sul mezzogiorno che studi le realtà più a  rischio e tenga conto di tutte le problematiche esistenti  e, sulla base  di questi dati, trovi  soluzioni mirate e ad hoc».

Miur: un bando per i progetti contro la dispersione

da La Stampa

Miur: un bando per i progetti contro la dispersione

15 milioni di euro per attività integrative e pomeridiane
roma

Al via il Programma di didattica integrativa e innovativa per il contrasto della dispersione scolastica.

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, ha firmato, a seguito dell’accordo in Conferenza Unificata, il decreto ministeriale previsto dal decreto legge “L’Istruzione riparte” (articolo 7) che punta a rafforzare gli strumenti a disposizione delle istituzioni scolastiche per diminuire il fenomeno degli abbandoni precoci dei percorsi di studio, a ridurre le ripetenze e i debiti formativi.

Le scuole potranno presentare la propria candidatura agli Uffici Scolastici Regionali entro il prossimo 28 febbraio. Apposite commissioni valutatrici selezioneranno i progetti migliori. Il finanziamento totale a disposizione è di 15 milioni di euro.

Le attività didattiche proposte dovranno essere avviate nel corso di questo anno scolastico e proseguire nell’anno scolastico 2014-15. Le scuole – anche in rete fra loro – potranno proporre azioni finalizzate alla prevenzione del disagio causa di abbandoni scolastici precoci, al rafforzamento delle competenze di base, all’integrazione degli alunni di cittadinanza non italiana. Una progettazione partecipata, anche in raccordo con il territorio e le famiglie, la predisposizione di percorsi personalizzati, incentrati sui bisogni e le potenzialità di ogni alunno, con particolare attenzione ai bisogni degli studenti di recente immigrazione e a quelli di seconda generazione, dovranno essere al centro dei progetti presentati.

Possono candidarsi tutti gli istituti comprensivi e le scuole secondarie di secondo grado (queste ultime per azioni rivolte alle classi del biennio iniziale). I progetti verranno selezionati sulla base dell’impatto previsto sugli indicatori del rischio di dispersione scolastica, del grado di innovazione didattica, della trasferibilità delle azioni proposte e della solidità delle partnership.

Particolare attenzione verrà rivolta a quelle azioni che sono già state sperimentate con successo e che vedono il coinvolgimento diretto degli Enti Locali. I progetti selezionati riceveranno un finanziamento destinato alla realizzazione di percorsi didattici personalizzati e per piccoli gruppi di studenti a rischio abbandono e ad attività integrative rivolte a tutti gli studenti, anche attraverso il prolungamento dell’orario scolastico. Gli Uffici Scolastici Regionali predisporranno staff di accompagnamento e monitoraggio dell’andamento dei progetti finanziati.

Docenti, l’entrata gratuita ai musei non si sblocca. L’ira della Uil: 30 giorni di ritardo per due firme

da Tecnica della Scuola

Docenti, l’entrata gratuita ai musei non si sblocca. L’ira della Uil: 30 giorni di ritardo per due firme
di A.G.
La mancanza del decreto attuativo della Legge 128/13 ha “bruciato” il primo mese di beneficio. Tante le occasioni di arricchimento culturale che i prof italiani, con gli stipendi tra i più bassi d’Europa, sono costretti a finanziarsi: dalla ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, a Bologna, ad Alberto Giacometti in dialogo coi marmi di Bernini e Canova a Roma; dalla mostra ‘Leger’ al Museo Correr di Venezia, fino ai capolavori di Andy Warhol esposti a Palazzo Reale a Milano. Ma la burocrazia è più forte delle leggi?
Anche questa settimana gli insegnanti, che avrebbero potuto – in virtù del ‘Decreto Istruzione’ – entrare gratuitamente, hanno invece pagato il biglietto perché il decreto attuativo non è pronto: occorrono due firme, dei dicasteri dell’Istruzione e dei Beni Culturali. Ma a 30 giorni dalla scadenza prevista dalla legge, ancora non arrivano. E senza il decreto interministeriale la legge non parte. Così per il primo mese di beneficio previsto dal legislatore si vanifica.
“Sono queste le contraddizioni di un’Italia dove le rare opportunità – mette in evidenza il segretario generale della Uil Scuola, Massimo Di Menna – per incomprensibili cavilli burocratici, non si possono utilizzare. Oltre all’opera di denuncia abbiamo dato mandato legale per individuare eventuali responsabilità rispetto alla mancata applicazione di una legge molto chiara.
Sempre il sindacato Confederale si è rammaricato per le tante occasioni mancate di accesso ai musei italiani per i docenti delle scuola. Ecco alcuni esempi.
A BOLOGNA, in fila per ore per vedere La ragazza con l’orecchino di perla, capolavoro di Vermeer, per la prima volta in Italia. Un evento di rilevanza nazionale con prenotazioni che hanno spinto gli organizzatori ad ampliare gli orari di apertura. A ROMA alla Galleria Borghese dove è allestita la più grande mostra italiana dedicata al genio di Alberto Giacometti, in dialogo con i marmi di Bernini e Canova. A VENEZIA, in fila per la grande mostra ‘Leger’, la visione della città contemporanea 1910-1930’ al Museo Correr. A MILANO a vedere la mostra a Palazzo Reale di Andy Warhol.
“Sono opportunità per gli insegnanti – commenta ancora Di Menna – per attivare percorsi didattici che possono rappresentare stimoli positivi per i loro studenti. La visita ad un museo, oltre che stimolo culturale personale, per un insegnante è parte del proprio aggiornamento professionale. E’ questo il fondamento della norma: dare una occasione concreta alla professione docente e riconoscerne lo status”. Un obiettivo che a parole sanno raggiungere in tanti. Ma nei fatti si raggiunge solo in rare occasioni. Nemmeno quando a stabilirlo è una legge dello Stato.

Smembramento delle classi: prassi diffusa, ma illegittima

da Tecnica della Scuola

Smembramento delle classi: prassi diffusa, ma illegittima
di Lucio Ficara
Si tratta della prassi seguita in molte scuole quando non si riesce a sostituire l’insegnante assente. L’organico funzionale di istituto potrebbe essere la soluzione definitiva. Per intanto bisogna individuare modalità rispettose dei diritti dei lavoratori e degli studenti.
Una delle prassi più diffuse nell’organizzazione degli orari scolastici è quella di smembrare la classe in altre classi, in mancanza di chi possa supplire il docente assente. A volte capita  che chi è preposto alle sostituzioni, decida con delega del dirigente scolastico, di accorpare anche un’intera classe con un’altra, oppure di utilizzare per la sostituzione i docenti di sostegno che mentre dedicano la loro attenzione all’alunno disabile, suppliscono l’assenza di qualche insegnante. Soprattutto quando l’assenza è improvvisa e inaspettata, nella situazione d’emergenza si adottano questi provvedimenti tampone. In realtà l’accorpamento delle classi o il loro smembramento in altre classi o ancora peggio l’uscita anticipata dalla scuola, soprattutto se gli studenti sono minori, sono provvedimenti diffusi ma illegittimi. Ma quali provvedimenti andrebbero presi, in caso di assenza improvvisa di un docente, per garantire la sorveglianza dei ragazzi? Se proprio non c’è la disponibilità di alcun docente a disposizione per supplire, più che adottare accorpamenti, smembramenti, potrebbe essere un collaboratore scolastico a vigilare la classe, oppure sarebbe molto bello vedere lo stesso dirigente scolastico o uno dei suoi collaboratori entrare in classe a fare lezione. Resta comunque pacifico che dividere una classe, mandando gli studenti in altre classi, accorpare una classe ad altra classe, sostituire il docente assente utilizzando l’insegnante di sostegno che pertanto non ha potuto seguire l’alunno certificato  presente nella classe, sono scelte sbagliate sul piano deontologico ma persino illegittime. Ma dove starebbe l’illegittimità di tali scelte, che ripetiamo sono molto diffuse? Si tratta principalmente di illegittimità delle norme sulla sicurezza, qualora si stipino troppi ragazzi in pochi metri quadrati, ma anche lo smembramento di piccoli gruppi in più classi è lesivo dei diritti degli studenti e dei docenti della scuola, a svolgere correttamente i propri doveri. Tuttavia situazioni del genere possono essere tollerate nella loro eccezionalità, ma in alcun modo possono essere accettate quando diventano una regola ed anche per più giorni consecutivi subite dagli stessi alunni. In alcune scuole il problema risulta molto attenuato. Infatti grazie ad una contrattazione d’Istituto intelligente, dove la flessibilità dell’orario di servizio, prevede anche la possibilità di cambiarsi l’orario di servizio con un collega, ha ridotto la richiesta di permessi retribuiti, permessi brevi e richiesta delle sei giornate di ferie. Comunque per risolvere la questione delle supplenze brevi e improvvise servirebbe per ogni istituzione scolastica autonoma l’organico funzionale. Ci piacerebbe conoscere dai nostri lettori, se anche nelle loro scuole si utilizza con disinvoltura la pratica di accorpare classi, smembrare classi anche per più giorni di fila a causa dell’assenza di un docente.

Bambini in difficoltà? Lasciamoli alla scuola materna intanto

Bambini in difficoltà? Lasciamoli alla scuola materna intanto

“Nella mia carriera mi è capitato di incontrare bambini 10 anni ancora all’asilo, ragazzini di 15 ancora alle elementari, e di 20 ancora alle medie. Ci si augurava che quella stagione fosse terminata, che la cultura e la tradizione dell’inclusione scolastica basata sulla coeducazione di coetanei con e senza disabilità fossero oramai consolidate in una visione condivisa. Così non è.”

Questa l’amara considerazione di Salvatore Nocera, vicepresidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap a commento della Circolare 338 (4 febbraio 2014) del Dipartimento Istruzione del MIUR.

Che cosa prevede la circolare? Prevede che i bimbi che giungono in Italia prima dei sei anni in forza di un’adozione internazionale possano essere “parcheggiati” alla scuola di infanzia evitando l’ingresso alla scuola primaria. Questa decisione, molto semplificata, viene attribuita ai Collegi dei docenti.

Ma non è tutto. Il Ministero, che ha assunto la decisione senza nemmeno consultare l’Osservatorio scolastico ministeriale sull’integrazione scolastica, riesuma una vecchia circolare del 1975 (n. 235) da lungo tempo priva di vigore. Quella circolare ammetteva la possibilità per i bambini con disabilità di rimanere alla scuola d’infanzia in deroga all’obbligo della frequenza scolastica. Ma è ampiamente superata dalle disposizioni successive. Tanto per citare una norma: la Legge 53/2003 ha riaffermato l’obbligo scolastico a partire dal compimento del sesto anno di età. Dovevano intendersi ormai abrogate tutte le precedenti circolari che consentivano tale pratica.

Di conseguenza la nuova indicazione amministrativa (che tale rimane) potrebbe essere estesa, a discrezione dei Collegi dei docenti, a qualsiasi condizione di bisogno educativo speciale, inclusa la disabilità.

Rimane da chiedersi quali interventi o quali misure verrebbero adottate per favorire l’inclusione dei bambini durante la permanenza nella scuola di infanzia e come esse siano propedeutiche all’ingresso successivo alla scuola primaria.

“La FISH ribadisce che l’ingresso alla scuola primaria deve essere uguale per tutti – prosegue Nocera – e che i casi eccezionali vanno gestiti con i crismi dell’eccezionalità e delle deroghe rarissime che non incidano sul principio della coeducazione dei coetanei. Consolidare prassi diverse sarebbe gravissimo e produrrebbe deleterie conseguenze sulla formazione delle classi e sull’iter dei cicli scolastici, generando confusione e contenzioso sicuro ed immediato. La circolare va dunque ritirata tempestivamente precisando la già avvenuta abrogazione della vecchia circolare 235/1975.”