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31 marzo Superamento bicameralismo e revisione Titolo V in CdM

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 31 marzo, approva uno schema di Disegno di legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari,la riduzione dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione”

Superamento del bicameralismo paritario e revisione del Titolo V – Disegno di legge costituzionale

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e del Ministro per le Riforme Costituzionali e i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, ha approvato lo schema di Disegno di legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari,la riduzione dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione”.

Il testo propone il superamento dell’attuale sistema bicamerale in favore di una maggiore efficacia nell’azione legislativa, il contenimento dei costi della politica, un rapporto più ordinato e meno conflittuale tra Stato e autonomie ordinarie e speciali. Il sistema parlamentare si articola, secondo il testo, in Camera dei Deputati e Senato delle Autonomie. La Camera, elettiva, è titolare del rapporto di fiducia con il Governo, esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e di controllo dell’operato del Governo. Il Senato delle Autonomie è composto dai rappresentanti eletti di Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano e da sindaci. Il numero complessivo di senatori sarà inferiore alla metà di quello attuale e i senatori non percepiranno indennità di mandato. Il Senato rappresenta le istituzioni territoriali, concorre alla funzione legislativa, esercita un raccordo tra lo Stato, le Regioni, le città Metropolitane e i Comuni, approva le leggi costituzionali, partecipa alla attuazione degli atti normativi dell’Unione europea, verifica e valuta l’attuazione delle leggi.

Il progetto di revisione costituzionale del Titolo V conferma l’abolizione delle Province, prevede il superamento dell’attuale frammentazione del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni in favore di un decentramento legislativo più funzionale allo sviluppo economico e sociale del Paese, sopprime inoltre il Cnel.

31 marzo DS toscani in CdM

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 31 marzo, approva un Decreto Legge che garantisce la regolare chiusura dell’anno scolastico per i DS toscani ed i servizi di pulizia nelle scuole di Campania e Sicilia.

Di seguito i comunicati stampa del CdM e del MIUR:

Misure per garantire lo svolgimento del servizio scolastico – Decreto legge

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente, Matteo Renzi, e del Ministro dell’Istruzione, dell’università e ricerca, Stefania Giannini, ha approvato un decreto legge recante misure urgenti per garantire il regolare svolgimento dell’anno scolastico in corso nelle sedi interessate dalle procedure concorsuali per dirigente scolastico. Il decreto legge serve a garantire, nell’immediato, il regolare completamento dell’anno scolastico in corso a seguito del parziale annullamento giurisdizionale del concorso indetto per il reclutamento di 2.386 dirigenti scolastici. In questo modo si assicura che i dirigenti scolastici già nominati continuino ad esercitare le funzioni alle quali sono stati preposti nelle sedi di rispettiva assegnazione.

Il decreto legge approvato consente anche alle istituzioni scolastiche delle regioni in cui non è ancora attiva la convenzione Consip per l’affidamento dei servizi di pulizia e altri servizi ausiliari di continuare ad acquistarli dalle stesse imprese in attesa che si concludano le gare d’appalto in corso, purché con oneri non superiori a quelli previsti dalla nuova convenzione Consip.

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Cdm approva decreto presidi Toscana,
Giannini: individuata soluzione giusta
Resteranno in servizio fino alla conclusione delle nuove procedure concorsuali

“Sono particolarmente soddisfatta per la soluzione individuata che consente ai 112 dirigenti scolastici della Regione Toscana di poter serenamente concludere l’anno scolastico”. Lo afferma il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini dopo il via libera arrivato dal Consiglio dei ministri sulla vicenda dei presidi che rischiavano di dover lasciare il posto con effetto immediato a seguito di una sentenza del Consiglio di Stato che aveva annullato una parte del loro concorso.

Con il testo approvato a palazzo Chigi  i dirigenti scolastici possono continuare “a svolgere le proprie funzioni, in via transitoria e fino all’avvenuta rinnovazione della procedura concorsuale”. Gli atti adottati nel frattempo saranno ritenuti validi. La soluzione approvata oggi consente da un lato di applicare la sentenza, dall’altro di concludere in modo sereno l’anno scolastico senza procedere a cambi di sede per i presidi e senza dover ricorrere alle reggenze.

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Scuola: Poletti e Giannini, soddisfatti per approvazione norma che consente l’attuazione in tutto il Paese dell’accordo raggiunto venerdì

“Siamo soddisfatti per l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, della norma che – in relazione alla delicata questione dei lavoratori precedentemente impegnati nei servizi di pulizia nelle scuole e che vedevano a rischio la loro occupazione – sblocca la situazione anche per la Campania e la Sicilia, determinando così tutte le condizioni per la realizzazione del progetto che mira al miglioramento del decoro degli edifici scolastici ed alla riconversione dei lavoratori impiegati nei servizi di pulizia delle scuole”.

Ad affermarlo, al termine della riunione del Consiglio dei Ministri, sono il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ed il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini.

“Può così partire in tutta Italia – aggiungono i Ministri – la fase esecutiva dell’accordo stipulato nella notte di venerdì tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, i consorzi e le imprese appaltatrici e le organizzazioni sindacali”.

“Per la prima volta – concludono Poletti e Giannini – col concorso attivo e responsabile delle imprese e dei sindacati dei lavoratori, invece che ricorrere ad una proroga si è realizzata la definizione di un piano industriale utile sotto il profilo sia della migliore agibilità delle scuole sia della salvaguardia dell’occupazione”.

27 marzo Stabilizzazione del personale precario

La Camera respinge le mozioni Chimienti n. 1–00341 e Buonanno n. 1–00398; approva quindi le mozioni Santerini n. 1–00399 e Centemero n. 1–00400; respinge la mozione Giancarlo Giordano n. 1–00407 ed approva infine la mozione Coscia n. 1–00408 e la risoluzione Di Lello n. 6–00062, nei testi riformulati.

MOZIONI CHIMIENTI ED ALTRI N. 1-00341, BUONANNO ED ALTRI N. 1-00398, SANTERINI ED ALTRI N. 1-00399, CENTEMERO ED ALTRI N. 1-00400, GIANCARLO GIORDANO ED ALTRI N. 1-00407 E COSCIA ED ALTRI N. 1-00408 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA STABILIZZAZIONE DEL PERSONALE PRECARIO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL COMPARTO SCUOLA

Mozioni

   La Camera,
premesso che:
la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 si basa sull’articolo 139, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea e, secondo quanto contenuto nel suo articolo 1, è diretta ad «attuare l’accordo quadro (…), che figura nell’allegato, concluso (…) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)»;
la clausola 4 dell’accordo quadro che figura nell’allegato della direttiva citata afferma il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato, sancendo che: «1) Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. 2) Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis. 3) Le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e le prassi nazionali. 4) I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive»;
la clausola 5 dell’accordo quadro che figura nell’allegato della direttiva citata recita che: «1) Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 2) Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati “successivi”; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato»;
la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, applicabile al settore pubblico come risulta, ad esempio, dalle sentenze Adeneler, 4 luglio 2006, C-212/04 e Angelidaki, 23 aprile 2009, C-378-80/07, si incentra sul principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato e sulla prevenzione dell’abuso derivante dalla reiterazione dei contratti a termine;
l’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche dispone quanto segue: «1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35. 2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato (…). 5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative (…)»;
l’utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato, al fine di prevenire discriminazioni e abusi, deve essere necessariamente basato su ragioni oggettive, come chiarisce l’articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001, in cui si afferma che «è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro»;
nel settore pubblico l’articolo 49 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha sostituito l’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, imponendo alle amministrazioni pubbliche l’obbligo di «assumere esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato» in presenza di «esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario», e ripristinando la possibilità di avvalersi di forme contrattuali flessibili unicamente «per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali», con disciplina, dunque, più restrittiva, nella proclamazione del superamento del «lavoro precario»;
il ricorrente utilizzo di lavoratori con forme contrattuali flessibili ha indotto il legislatore a prevedere in via transitoria procedure di stabilizzazione condizionate, tuttavia, al possesso di stringenti requisiti come quelli previsti dall’articolo 4, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013;
nelle pubbliche amministrazioni, considerati gli attuali vincoli sulle assunzioni, l’utilizzo di personale con forme contrattuali flessibili è disposto anche per lo svolgimento di attività istituzionali ed in presenza di esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario;
in data 18 giugno 2013 il Governo ha accolto come raccomandazione l’ordine del giorno n. 9/01012-A/003 a prima firma Ciprini, che in occasione dell’approvazione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, impegnava il Governo a promuovere con urgenza ogni iniziativa legislativa utile alla stabilizzazione di tutti i lavoratori precari nella pubblica amministrazione senza distinzioni rispetto alle tipologie contrattuali;
il tribunale di Siena, sezione lavoro, a seguito del ricorso depositato in data 16 settembre 2009 contro il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e l’ufficio scolastico regionale per la Toscana, ha emanato una sentenza che ha disapplicato per contrasto con la normativa comunitaria l’articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ai sensi del quale «la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione», avendo il lavoratore esclusivamente diritto al risarcimento del danno, «derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative». Conseguentemente, il tribunale ha disposto la conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato e condannato il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca a reinserire in servizio la parte ricorrente nel posto di lavoro per lo svolgimento delle medesime mansioni;
nella causa C-50/13, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dal tribunale ordinario di Aosta (Italia), con decisione del 3 gennaio 2013, pervenuta in cancelleria il 30 gennaio 2013, nel procedimento Rocco Papalia contro comune di Aosta, l’ottava sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha pronunciato un’ordinanza in cui ha sancito che «L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione»;
quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nell’ordinanza «Papalia» per analogia risulta applicabile a tutta la pubblica amministrazione, in cui i contratti a tempo determinato superano le 230 mila unità e sono così distribuiti: oltre 130 mila riguardano il personale scolastico, circa 30 mila riguardano il personale sanitario e oltre 80 mila concernono le autonomie;
la terza sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea, in riferimento alla causa C-361/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dal tribunale di Napoli fra la signora Carratù e Poste italiane spa, relativamente all’apposizione di un termine al contratto di lavoro posto in essere con quest’ultima, ha emesso in data 12 dicembre 2013 una sentenza in cui ha sancito che: «La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che può essere fatta valere direttamente nei confronti di un ente pubblico, quale Poste italiane spa»;
il fenomeno del precariato risulta particolarmente diffuso in ambito scolastico, un settore in cui i numeri sono impietosi e parlano di 118.468 docenti assunti con contratti a tempo determinato e di 18.428 unità assunte a tempo determinato come personale amministrativo, tecnico e ausiliario: cifre che fotografano un ulteriore aumento rispetto al 2013;
il precariato scolastico risulta avere un’incidenza negativa non solo sulla condizione di incertezza lavorativa ed economica del personale scolastico, ma anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell’insegnamento, che risultano fortemente penalizzate;
il 21 novembre 2013, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato, utilizzando i supplenti con contratti a termine «continuativi», che durano anche molti anni e lasciandoli così «in condizioni precarie nonostante svolgano un lavoro permanente come gli altri»,

impegna il Governo:

ad adottare iniziative normative volte ad istituzionalizzare il processo di stabilizzazione del personale utilizzato con contratti a tempo determinato o altre forme contrattuali flessibili dalle amministrazioni pubbliche, statali e periferiche, ad esclusione del comparto scuola, e che sia stato reclutato attraverso procedure di selezione concorsuale;
a prevedere che le iniziative sopra previste stabiliscano che le procedure di stabilizzazione:
a) abbiano cadenza periodica regolare;
b) siano disposte a valere su una quota fissa delle percentuali ammesse annualmente per il turnover nelle pubbliche amministrazioni;
c) siano rivolte all’intera platea di coloro che con il passare del tempo maturano determinati requisiti di servizio in termini di durata dei contratti sottoscritti;
d) siano rivolte esclusivamente in favore di coloro che sono stati reclutati in forza di norme di legge di carattere generale, ovvero mediante procedure pubbliche di selezione escludendo, pertanto, tutti coloro che maturano i requisiti per la stabilizzazione in forza di contratti stipulati in esito a selezioni svolte da consulenti o società non pubbliche, ovvero mediante chiamata nominativa non effettuata tramite il collocamento o, ancora, che abbiano maturato l’anzianità di servizio attraverso chiamate dirette effettuate in deroga alle normali procedure di selezione;
e) diano priorità, nei processi di assunzione, agli uffici e settori delle amministrazioni risultanti in grave carenza di personale, anche a seguito di ricognizioni di organico;
a programmare a partire dal 2014 un piano quinquennale di assorbimento in ruolo del personale docente precario che abbia conseguito o consegua nel corso del quinquennio titoli abilitanti e, nel contempo, abbia maturato o maturi almeno tre annualità complessive di servizio, ovvero che abbia superato o superi le procedure pubbliche concorsuali;
a programmare a partire dal 2014 un piano triennale di assorbimento in ruolo sulla base dei posti vacanti e disponibili del personale amministrativo, tecnico e ausiliario precario inserito in graduatoria permanente e che abbia maturato almeno tre annualità di servizio con contratti reiterati a tempo determinato.
(1-00341) «Chimienti ed altri».

   La Camera,
premesso che:
l’articolo 97 della Costituzione prevede che «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge» ed il Testo unico sul pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001), all’articolo 35, ne disciplina le modalità di reclutamento;
tale disposto costituzionale stabilisce, pertanto, come condicio sine qua non per l’accesso il superamento di concorso regolarmente indetto, tanto che eventuali violazioni potrebbero anche presupporre la decadenza del contratto in essere e la responsabilità per danno erariale in capo al dirigente;
i lavoratori precari nella pubblica amministrazione sono quantificati in circa 250 mila, concentrati principalmente nella scuola, nella sanità e negli enti locali, cifre che hanno indotto la Corte di giustizia dell’Unione europea ad affermare che la legislazione italiana «necessita in via urgente, assoluta e primaria di una revisione epocale della normativa di riferimento in materia di lavoro a tempo determinato nel pubblico impiego»;
pur comprendendo il dramma del fenomeno del precariato, non si possono sostenere procedure di stabilizzazione di massa nella pubblica amministrazione che, oltre a contraddire il dettato costituzionale, provocherebbero un blocco delle assunzioni di giovani per molti anni; significherebbe cioè che un’intera generazione sarebbe esclusa dall’opportunità di accedere al pubblico impiego;
tale posizione è stata ribadita, da ultimo, in occasione dell’esame parlamentare del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, e, specificatamente, sulla previsione in esso contenuta della stabilizzazione del 50 per cento del personale a tempo nelle pubbliche amministrazioni e della valenza fino a nove anni delle graduatorie anche per gli idonei;
si ritiene, infatti, che una stabilizzazione di massa contrasti fortemente anche il principio della meritocrazia, trasformando, di fatto, il comparto pubblico in una sorta di «ammortizzatore sociale»;
basti pensare che il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione pro tempore ha disposto la proroga di 24.000 precari della Sicilia, sostenendo che si trattasse di una razionalizzazione della spesa, ma si tratta secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in realtà dell’esatto opposto, ovvero del continuo e perenne assistenzialismo che andrà ad aggiungere ulteriori sprechi, in una regione già piagata da un numero esorbitante di dipendenti pubblici;
l’articolo 3 della Costituzione afferma: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
l’articolo 4 afferma: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»;
il dramma del precariato colpisce sia le giovani generazioni sia molti cittadini in età avanzata, in particolare nel settore scolastico, tanto da poter essere considerato, ad oggi, una delle più grandi emergenze sociali del nostro Paese;
la scuola rappresenta un’istituzione basilare della società visto l’alto ruolo che riveste nella formazione dei cittadini;
è pur vero che dal 1951 al 1978 è triplicato il numero degli insegnanti, passando da 240.000 a 732.000; in seguito, nonostante la contrazione della popolazione studentesca, gli insegnanti hanno continuato a crescere, arrivando a sfiorare le 900.000 unità all’inizio degli anni Novanta ed attestandosi poi negli ultimi anni ad 850.000. Dunque, negli anni, la scuola italiana ha continuato ad assumere personale indipendentemente dal diminuire o dal crescere del numero degli studenti, questo spesso a causa di logiche distorte di mantenimento del consenso politico;
l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento è stata favorevole ai docenti del Sud, molti dei quali sono in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge n. 104 del 1992 sulle disabilità, o si avvalgono della legge relativa al riconoscimento dell’invalidità civile. In base alla legge n. 104 del 1992 o alla legge n. 68 del 1999, chiunque abbia dichiarato di essere in possesso di handicap personale è stato inserito «a pettine» nella graduatoria e ha avuto il privilegio di scegliere il posto anche se nella graduatoria era in coda per mancanza di punteggio negli ultimi anni, ed anche di recente sono più volte comparse notizie accertate su casi di truffe al sistema scolastico e sanitario per l’ottenimento di certificati che attestino l’idoneità della persona in causa alla legge n. 104 del 1992, con lo scopo di trarre vantaggi su punteggi e posizionamenti nelle varie graduatorie scolastiche. Molti tra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario settentrionali si trovano in uno stato di precarietà da molti anni, pur avendo punteggi e titoli superiori al personale in possesso dei requisiti della legge n. 104 del 1992. Anche a Milano ci sarebbero state truffe di massa da parte di docenti per ottenere il trasferimento da Milano al Sud tramite certificati medici falsi e medici compiacenti che hanno diagnosticato malattie immaginarie inesistenti;
il problema dei precari, con tutti gli aspetti negativi che ad esso si collegano, si trascina da troppo tempo. Il ricorso alle sanatorie, oltre ad eludere il problema fondamentale di un serio accertamento dei requisiti professionali, non può che dare risposte parziali, visti l’elevato numero dei precari oramai raggiunto e la necessità di tenere conto di una spesa per studente già elevata,

impegna il Governo:

a salvaguardare le competenze acquisite, senza mortificare la meritocrazia, attraverso l’istituzione di una riserva limitata di posti nei concorsi pubblici su base regionale;
ad attivarsi al fine di appoggiare la proposta di un punteggio aggiuntivo nelle graduatorie, destinato ai docenti residenti nella regione in cui intendono insegnare, cominciando ad attuare una «pianificazione» regionale, basata sull’assunzione di personale unicamente sulla base dei posti effettivamente disponibili, nell’ambito regionale o provinciale.
(1-00398) «Buonanno ed altri».

   La Camera,
premesso che:
il Governo Renzi ha annunciato un ampio piano d’azione concernente l’edilizia scolastica, finalizzato a tentare di risolvere le più che evidenti criticità in materia;
se è vero che gli edifici scolastici meritano un focus particolare, è altrettanto prioritario ricercare una soluzione all’annosa questione del personale in servizio nel sistema scolastico, in quanto non si risolve la situazione di stallo del percorso formativo dei ragazzi solo con il risanamento delle strutture;
la stabilità delle figure di docenza nelle scuole italiane è il vero cuore della questione, sia in termini pedagogici, che dal punto di vista della valorizzazione delle risorse umane impegnate nella formazione della futura classe dirigente di questo Paese;
il precariato scolastico, oltre alle note e tristi ricadute in merito alla posizione dei lavoratori, risulta avere un’incidenza negativa anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell’insegnamento;
da dati in possesso dai firmatari del presente atto di indirizzo risulterebbe una notevole percentuale di personale della scuola (sia insegnanti che personale amministrativo, tecnico e ausiliario) assunta con contratti a tempo determinato;
la normativa europea, in particolare la direttiva 1999/70/CE, afferma il principio della non discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato e quelli cosiddetti precari, in quanto svolgano le stesse attività;
in allegato alla stessa direttiva sopra citata (quinta clausola dell’accordo allegato) è espresso chiaramente il principio della non reiterabilità di contratti di lavoro a tempo determinato per periodi che, eccedendo la ragionevole durata, siano tali da conformare un’equiparazione di fatto al lavoro a tempo indeterminato, senza però le tutele e le garanzie offerte da tali tipologie contrattuali;
tale evidenza sopra menzionata si ravvisa nella ratio legis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, ove all’articolo 36 si impone l’assunzione a tempo indeterminato per il personale scolastico, ad esclusione di eventualità temporanee ed eccezionali da ravvisarsi sulla base di oggettivi riscontri;
a partire dal novembre 2013 la Commissione europea ha sottoposto il nostro Paese ad una procedura d’infrazione per il mancato rispetto della sopra citata direttiva 1999/70/CE in merito ai contratti a tempo determinato sottoposti a rinnovi successivi continui, tali da essere equiparabili, nei fatti, a rapporti a tempo indeterminato;
la Corte di giustizia dell’Unione europea ha fissato per il 27 marzo 2014 la decisione su una serie di ricorsi sul precariato nella scuola;
il Governo, nell’ottemperare alle richieste derivanti dalle sedi europee, al fine di garantire la stabilizzazione delle figure professionali del settore scolastico, in particolare del personale docente, piuttosto che tener conto esclusivamente del criterio dell’anzianità, dovrebbe prendere in considerazione la grande importanza che riveste la formazione del personale docente;
la stabilizzazione del personale scolastico va attuata tenendo in debita considerazione che l’interesse prioritario di ogni politica del settore dell’istruzione deve essere la formazione dei ragazzi, che vengono penalizzati dalla carenza di una continuità didattica e soprattutto dall’assenza di una politica della qualità della formazione che sia atta a premiare il merito dei docenti attraverso strategie complesse che integrino i percorsi di stabilizzazione con una seria analisi valutativa delle carriere e dei percorsi formativi del corpo docente,

impegna il Governo:

a fornire puntuali elementi in merito all’entità reale del fenomeno di cui al presente atto di indirizzo;
a chiarire, nelle opportune sedi parlamentari, l’orientamento del Governo rispetto al turnover delle istituzioni scolastiche;
a garantire in tempi celeri l’adeguamento ai rilievi posti dalla Commissione europea in merito alla procedura d’infrazione citata in premessa;
nell’ambito della stabilizzazione del personale docente, a tenere in considerazione il criterio del merito e, in particolare, delle competenze acquisite dalle giovani generazioni, in ottemperanza ai percorsi formativi indicati dallo stesso Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
a rendersi disponibile ad un serio confronto con gli organismi parlamentari competenti, attraverso gli strumenti che si ritengano più idonei, al fine di elaborare una strategia complessiva in materia che tenga conto in via prioritaria della centralità degli studenti, nell’ambito di un percorso formativo che valorizzi nel modo più adeguato il merito e la qualità del corpo docente.
(1-00399) «Santerini ed altri».

   La Camera,
premesso che:
il Governo Renzi ha annunciato un ampio piano d’azione concernente l’edilizia scolastica, finalizzato a tentare di risolvere le più che evidenti criticità in materia;
se è vero che gli edifici scolastici meritano un focus particolare, è altrettanto prioritario ricercare una soluzione all’annosa questione del personale in servizio nel sistema scolastico, in quanto non si risolve la situazione di stallo del percorso formativo dei ragazzi solo con il risanamento delle strutture;
la stabilità delle figure di docenza nelle scuole italiane è il vero cuore della questione, sia in termini pedagogici, che dal punto di vista della valorizzazione delle risorse umane impegnate nella formazione della futura classe dirigente di questo Paese;
il precariato scolastico, oltre alle note e tristi ricadute in merito alla posizione dei lavoratori, risulta avere un’incidenza negativa anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell’insegnamento;
da dati in possesso dai firmatari del presente atto di indirizzo risulterebbe una notevole percentuale di personale della scuola (sia insegnanti che personale amministrativo, tecnico e ausiliario) assunta con contratti a tempo determinato;
la normativa europea, in particolare la direttiva 1999/70/CE, afferma il principio della non discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato e quelli cosiddetti precari, in quanto svolgano le stesse attività;
in allegato alla stessa direttiva sopra citata (quinta clausola dell’accordo allegato) è espresso chiaramente il principio della non reiterabilità di contratti di lavoro a tempo determinato per periodi che, eccedendo la ragionevole durata, siano tali da conformare un’equiparazione di fatto al lavoro a tempo indeterminato, senza però le tutele e le garanzie offerte da tali tipologie contrattuali;
tale evidenza sopra menzionata si ravvisa nella ratio legis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, ove all’articolo 36 si impone l’assunzione a tempo indeterminato per il personale scolastico, ad esclusione di eventualità temporanee ed eccezionali da ravvisarsi sulla base di oggettivi riscontri;
a partire dal novembre 2013 la Commissione europea ha sottoposto il nostro Paese ad una procedura d’infrazione per il mancato rispetto della sopra citata direttiva 1999/70/CE in merito ai contratti a tempo determinato sottoposti a rinnovi successivi continui, tali da essere equiparabili, nei fatti, a rapporti a tempo indeterminato;
la Corte di giustizia dell’Unione europea ha fissato per il 27 marzo 2014 la decisione su una serie di ricorsi sul precariato nella scuola;
il Governo, nell’ottemperare alle richieste derivanti dalle sedi europee, al fine di garantire la stabilizzazione delle figure professionali del settore scolastico, in particolare del personale docente, piuttosto che tener conto esclusivamente del criterio dell’anzianità, dovrebbe prendere in considerazione la grande importanza che riveste la formazione del personale docente;
la stabilizzazione del personale scolastico va attuata tenendo in debita considerazione che l’interesse prioritario di ogni politica del settore dell’istruzione deve essere la formazione dei ragazzi, che vengono penalizzati dalla carenza di una continuità didattica e soprattutto dall’assenza di una politica della qualità della formazione che sia atta a premiare il merito dei docenti attraverso strategie complesse che integrino i percorsi di stabilizzazione con una seria analisi valutativa delle carriere e dei percorsi formativi del corpo docente,

impegna il Governo:

a fornire puntuali elementi in merito all’entità reale del fenomeno di cui al presente atto di indirizzo;
a chiarire, nelle opportune sedi parlamentari, l’orientamento del Governo rispetto al turnover delle istituzioni scolastiche;
a valutare ogni inziativa utile, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, per garantire in tempi celeri l’adeguamento ai rilievi posti dalla Commissione europea in merito alla procedura d’infrazione citata in premessa;
nell’ambito della stabilizzazione del personale docente, a tenere in considerazione il criterio del merito e, in particolare, delle competenze acquisite dalle giovani generazioni, in ottemperanza ai percorsi formativi indicati dallo stesso Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
a rendersi disponibile ad un serio confronto con gli organismi parlamentari competenti, attraverso gli strumenti che si ritengano più idonei, al fine di elaborare una strategia complessiva in materia che tenga conto in via prioritaria della centralità degli studenti, nell’ambito di un percorso formativo che valorizzi nel modo più adeguato il merito e la qualità del corpo docente.
(1-00399)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Santerini ed altri».

   La Camera,
premesso che:
il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha fissato al 31 agosto di ciascun anno il termine entro il quale devono essere effettuate le assunzioni a tempo indeterminato e devono essere adottati i provvedimenti di utilizzazione, di assegnazione provvisoria e quelli di durata annuale riguardanti il personale di ruolo;
per le assunzioni relative all’anno scolastico 2013-2014, le graduatorie da utilizzare sono state, per il 50 per cento dei posti, quelle ad esaurimento di cui all’articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e per l’altro 50 per cento dei posti disponibili, quelle relative al concorso per esami e titoli indetto con decreto direttoriale n. 82 del 2012, purché le stesse siano state rese definitive entro il 31 agosto 2013;
il decreto di approvazione delle graduatorie del sopra detto concorso non è intervenuto entro tale data (31 agosto), in quanto la procedura concorsuale ha subito dei ritardi attribuibili all’ingente numero di candidati. Si ricorda che alle prove preselettive del concorso per docenti hanno partecipato circa 33 mila candidati e circa 17 mila alle prove scritte;
la mancata approvazione delle graduatorie nel termine utile per le immissioni in ruolo ha costretto così l’amministrazione ad effettuare le assunzioni per il 2013-2014 attingendo dalle graduatorie ad esaurimento e dalle graduatorie dei precedenti concorsi;
tale circostanza comporta degli inconvenienti relativamente alla decorrenza giuridica dell’immissione in ruolo dei candidati vincitori, ma non compromette le possibilità di assunzione;
la Costituzione, all’articolo 97, prevede: «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». Il concorso pubblico viene indicato in modo esplicito come lo strumento fondamentale di accesso alla pubblica amministrazione;
l’ultimo concorso a cattedra è stato bandito con decreto del direttore generale per il personale scolastico 24 settembre 2012, n. 82, «indizione dei concorsi a posti a cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di I e II grado» con la previsione di effettiva disponibilità di cattedre e posti da destinare per un totale di 11.542 unità;
in materia di contratti a tempo determinato, la Commissione europea ha aperto due procedure di infrazione (procedimento n. 010/2045 e procedimento n. 2010/2124), per la non corretta trasposizione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. In particolare, nell’ambito della procedura d’infrazione n. 2010/2124 relativa all’utilizzo dei contratti a tempo determinato nel comparto scuola, che diversamente da altri settori della pubblica amministrazione risente fisiologicamente di condizioni particolari legate al variare ad ogni anno scolastico del numero di iscrizioni di studenti alle diverse istituzioni scolastiche e ai differenti indirizzi di studio, la Commissione europea ritiene che la prassi italiana di impiegare personale ausiliario, tecnico e amministrativo nella scuola pubblica per mezzo di una successione di contratti a tempo determinato, senza misure atte a prevenirne l’abuso, non ottempera gli obblighi della clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE;
la Corte di cassazione, sezione lavoro, invece, nella sentenza 20 giugno 2012, n. 10127, ha legittimato il reiterato uso dei contatti a tempo determinato nel settore scolastico, portando ad escludere un abuso nell’utilizzo da parte dell’amministrazione del contratto a tempo determinato. La Corte di cassazione, in tema di personale docente, infatti, ha affermato l’inapplicabilità del principio di conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, restando applicabile la disciplina delle supplenze, contenuta nel decreto legislativo n. 297 del 1994, che non è stata abrogata dal decreto legislativo n. 368 del 2001, con conseguente insussistenza di un diritto alla stabilizzazione del rapporto ed al risarcimento del danno in caso di reiterazione delle supplenze, ove non risulti un abuso nell’assegnazione degli incarichi in questione;
la corte d’appello di Perugia, inoltre, ritenendo inapplicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 368 del 2001, ha valutato di dover accertare se la pubblica amministrazione, nella stipulazione di una serie di contratti di lavoro, avesse dato luogo ad un abuso dello strumento delle assunzioni a termine con conseguente diritto del lavoratore, secondo i dettami della direttiva del Consiglio dell’Unione europea 28 giugno 1999, n. 70, emanata in attuazione dell’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, al risarcimento del danno. La corte territoriale ha escluso tale abuso, precisando che il ricorrente aveva avuto supplenze annuali sull’organico di fatto, ossia posti non vacanti ma disponibili, seguite da supplenze temporanee in sostituzione di personale assente, ed infine supplenze su organico di diritto, cioè su posti disponibili e vacanti, in molteplici scuole; ciascun incarico risultava, infatti, svincolato dal precedente, di cui non costituiva né proroga né prosecuzione, e tenendo in considerazione che l’amministrazione non poteva scegliere liberamente il lavoratore con cui stipulare il contratto dovendosi attenere alle graduatorie permanenti provinciali per gli incarichi su organico di diritto o per le supplenze su organico di fatto o temporaneo alle graduatorie interne d’istituto;
la Corte di cassazione ha reputato principio di diritto vivente la praticabilità del contratto a termine e di altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico, ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella più ampia valorizzazione del ruolo della contrattazione collettiva rispetto al passato e con la previsione, in caso di violazione di norme imperative in materia, di un vero e proprio regime sanzionatorio costituito dal diritto del lavoratore al risarcimento del danno. Principio quest’ultimo non contrastante con la direttiva 1999/70/CE, in quanto idoneo a prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo dei contratti a termine da parte della pubblica amministrazione e che è consequenziale alla configurazione come regolamentazione speciale ed alternativa a quella prevista dal decreto legislativo n. 368 del 2001 relativa alla disciplina generale del contratto a termine. Inoltre, nella materia di cui trattasi, invero, sottolinea più volte la Corte di cassazione, la regolamentazione propria del settore pubblico non può ritenersi abrogata da quella stabilita in via generale dal richiamato decreto legislativo n. 368 del 2001, stante l’immanenza della regola lex posterior generalis non derogat legi priori speciali;
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, inoltre, è intervenuto in più occasioni nel 2011 (decreto-legge n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011) e nel 2013 (decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013) attraverso i piani triennali per l’assunzione di personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario. Con l’articolo 9, comma 17, del decreto-legge n. 70 del 2011 e con il relativo decreto interministeriale 3 agosto 2011, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, aveva definito la programmazione triennale per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario per gli anni scolastici compresi nel triennio 2011/2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno e detto piano triennale di immissioni in ruolo aveva programmato 124.000 assunzioni tra personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario nell’arco dei tre anni scolastici 2011/12, 2012/13 e 2013/14: 30.300 docenti e 36.000 personale amministrativo, tecnico e ausiliario nel 2011/12 e 22.000 assunzioni di docenti e 7.000 di personale amministrativo, tecnico e ausiliario per ciascun anno 2012/2013 e 2013/14. Il Ministero dell’economia e delle finanze ha successivamente bloccato le assunzioni 2013/14;
nell’articolo 15 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, è stata prevista la prosecuzione del piano triennale del 2011-13 attraverso un ulteriore piano triennale di assunzioni, che per l’anno scolastico 2014/2015 prevede il reclutamento di 12.625 docenti, 1.604 insegnanti di sostegno e 4.317 unità di personale amministrativo, tecnico e ausiliario;
in dodici dei Paesi dell’Unione europea, pari ad un terzo della popolazione europea, tra cui Regno Unito, Svezia, Belgio e Olanda, il reclutamento avviene mediante chiamata diretta da parte delle scuole. In Italia, Francia e Grecia il reclutamento avviene su base concorsuale ed in Spagna ed in Germania i concorsi sono su base regionale. In Austria, Finlandia e Lussemburgo sono, inoltre, previsti concorsi per l’accesso ai percorsi formativi per l’insegnamento. In Spagna è anche previsto un periodo di tirocinio in prova e Francia, Finlandia, Regno Unito e Olanda prevedono la formazione in servizio obbligatoria,

impegna il Governo:

ad avviare in tempi brevi il piano triennale di assunzioni del personale docente che assegni i posti, per il 50 per cento, ai vincitori di concorso e, per l’altro 50 per cento, utilizzando le graduatorie ad esaurimento, facendo in modo che:
a) il contingente di assunzioni per il prossimo anno scolastico del personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario sia calcolato in relazione sia ai posti vacanti e disponibili in organico sia alle iscrizioni e all’entità dei pensionamenti;
b) venga garantito il numero di posti e cattedre indicate nell’allegato «1» del bando di concorso che costituisce parte integrante del decreto del direttore generale 24 settembre 2012, n. 82, per l’immissione in ruolo dei vincitori negli anni scolastici 2013-2014 e 2014-2015, attraverso la previsione di un accantonamento dei posti per coloro i quali avrebbero avuto il diritto di entrare in ruolo dall’anno scolastico in corso e per i quali non è stato possibile, invece, ottenere l’assunzione;
c) venga consentito solo l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento con la sola esclusione del personale dei cicli della Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario, trasformando pertanto le cosiddette GAE effettivamente in graduatorie ad esaurimento;
d) venga dato l’avvio ad una riforma del sistema di reclutamento per il personale docente e non, in linea con altri Stati dell’Unione europea che consenta maggiore autonomia e libertà da parte delle istituzioni scolastiche, anche in rete, nell’individuazione e nella scelta del personale docente e non docente;
e) vengano programmate forme di reclutamento e di selezione concorsuali del personale scolastico, come previsto dalla Costituzione, a cadenza periodica regolare e ravvicinata solo su posti effettivamente vacanti e disponibili, senza la creazione di ulteriori graduatorie, e sia definito un relativo piano di assunzioni, previa una ricognizione di posti effettivamente vacanti e disponibili ai fini dell’erogazione di un servizio efficace, efficiente e rispettoso dei principi di trasparenza ed economicità, previsti dalla normativa vigente;
f) venga prevista una formazione specifica, mirata e programmata nell’ambito universitario per il personale docente e amministrativo che possa prevedere tirocini, stage, apprendistato e nuove forme di inserimento nelle istituzioni scolastiche.
(1-00400) «Centemero ed altri».

   La Camera,
premesso che:
il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha fissato al 31 agosto di ciascun anno il termine entro il quale devono essere effettuate le assunzioni a tempo indeterminato e devono essere adottati i provvedimenti di utilizzazione, di assegnazione provvisoria e quelli di durata annuale riguardanti il personale di ruolo;
per le assunzioni relative all’anno scolastico 2013-2014, le graduatorie da utilizzare sono state, per il 50 per cento dei posti, quelle ad esaurimento di cui all’articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e per l’altro 50 per cento dei posti disponibili, quelle relative al concorso per esami e titoli indetto con decreto direttoriale n. 82 del 2012, purché le stesse siano state rese definitive entro il 31 agosto 2013;
il decreto di approvazione delle graduatorie del sopra detto concorso non è intervenuto entro tale data (31 agosto), in quanto la procedura concorsuale ha subito dei ritardi attribuibili all’ingente numero di candidati. Si ricorda che alle prove preselettive del concorso per docenti hanno partecipato circa 33 mila candidati e circa 17 mila alle prove scritte;
la mancata approvazione delle graduatorie nel termine utile per le immissioni in ruolo ha costretto così l’amministrazione ad effettuare le assunzioni per il 2013-2014 attingendo dalle graduatorie ad esaurimento e dalle graduatorie dei precedenti concorsi;
tale circostanza comporta degli inconvenienti relativamente alla decorrenza giuridica dell’immissione in ruolo dei candidati vincitori, ma non compromette le possibilità di assunzione;
la Costituzione, all’articolo 97, prevede: «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». Il concorso pubblico viene indicato in modo esplicito come lo strumento fondamentale di accesso alla pubblica amministrazione;
l’ultimo concorso a cattedra è stato bandito con decreto del direttore generale per il personale scolastico 24 settembre 2012, n. 82, «indizione dei concorsi a posti a cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di I e II grado» con la previsione di effettiva disponibilità di cattedre e posti da destinare per un totale di 11.542 unità;
in materia di contratti a tempo determinato, la Commissione europea ha aperto due procedure di infrazione (procedimento n. 010/2045 e procedimento n. 2010/2124), per la non corretta trasposizione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. In particolare, nell’ambito della procedura d’infrazione n. 2010/2124 relativa all’utilizzo dei contratti a tempo determinato nel comparto scuola, che diversamente da altri settori della pubblica amministrazione risente fisiologicamente di condizioni particolari legate al variare ad ogni anno scolastico del numero di iscrizioni di studenti alle diverse istituzioni scolastiche e ai differenti indirizzi di studio, la Commissione europea ritiene che la prassi italiana di impiegare personale ausiliario, tecnico e amministrativo nella scuola pubblica per mezzo di una successione di contratti a tempo determinato, senza misure atte a prevenirne l’abuso, non ottempera gli obblighi della clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE;
la Corte di cassazione, sezione lavoro, invece, nella sentenza 20 giugno 2012, n. 10127, ha legittimato il reiterato uso dei contatti a tempo determinato nel settore scolastico, portando ad escludere un abuso nell’utilizzo da parte dell’amministrazione del contratto a tempo determinato. La Corte di cassazione, in tema di personale docente, infatti, ha affermato l’inapplicabilità del principio di conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, restando applicabile la disciplina delle supplenze, contenuta nel decreto legislativo n. 297 del 1994, che non è stata abrogata dal decreto legislativo n. 368 del 2001, con conseguente insussistenza di un diritto alla stabilizzazione del rapporto ed al risarcimento del danno in caso di reiterazione delle supplenze, ove non risulti un abuso nell’assegnazione degli incarichi in questione;
la corte d’appello di Perugia, inoltre, ritenendo inapplicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 368 del 2001, ha valutato di dover accertare se la pubblica amministrazione, nella stipulazione di una serie di contratti di lavoro, avesse dato luogo ad un abuso dello strumento delle assunzioni a termine con conseguente diritto del lavoratore, secondo i dettami della direttiva del Consiglio dell’Unione europea 28 giugno 1999, n. 70, emanata in attuazione dell’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, al risarcimento del danno. La corte territoriale ha escluso tale abuso, precisando che il ricorrente aveva avuto supplenze annuali sull’organico di fatto, ossia posti non vacanti ma disponibili, seguite da supplenze temporanee in sostituzione di personale assente, ed infine supplenze su organico di diritto, cioè su posti disponibili e vacanti, in molteplici scuole; ciascun incarico risultava, infatti, svincolato dal precedente, di cui non costituiva né proroga né prosecuzione, e tenendo in considerazione che l’amministrazione non poteva scegliere liberamente il lavoratore con cui stipulare il contratto dovendosi attenere alle graduatorie permanenti provinciali per gli incarichi su organico di diritto o per le supplenze su organico di fatto o temporaneo alle graduatorie interne d’istituto;
la Corte di cassazione ha reputato principio di diritto vivente la praticabilità del contratto a termine e di altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico, ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella più ampia valorizzazione del ruolo della contrattazione collettiva rispetto al passato e con la previsione, in caso di violazione di norme imperative in materia, di un vero e proprio regime sanzionatorio costituito dal diritto del lavoratore al risarcimento del danno. Principio quest’ultimo non contrastante con la direttiva 1999/70/CE, in quanto idoneo a prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo dei contratti a termine da parte della pubblica amministrazione e che è consequenziale alla configurazione come regolamentazione speciale ed alternativa a quella prevista dal decreto legislativo n. 368 del 2001 relativa alla disciplina generale del contratto a termine. Inoltre, nella materia di cui trattasi, invero, sottolinea più volte la Corte di cassazione, la regolamentazione propria del settore pubblico non può ritenersi abrogata da quella stabilita in via generale dal richiamato decreto legislativo n. 368 del 2001, stante l’immanenza della regola lex posterior generalis non derogat legi priori speciali;
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, inoltre, è intervenuto in più occasioni nel 2011 (decreto-legge n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011) e nel 2013 (decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013) attraverso i piani triennali per l’assunzione di personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario. Con l’articolo 9, comma 17, del decreto-legge n. 70 del 2011 e con il relativo decreto interministeriale 3 agosto 2011, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, aveva definito la programmazione triennale per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario per gli anni scolastici compresi nel triennio 2011/2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno e detto piano triennale di immissioni in ruolo aveva programmato 124.000 assunzioni tra personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario nell’arco dei tre anni scolastici 2011/12, 2012/13 e 2013/14: 30.300 docenti e 36.000 personale amministrativo, tecnico e ausiliario nel 2011/12 e 22.000 assunzioni di docenti e 7.000 di personale amministrativo, tecnico e ausiliario per ciascun anno 2012/2013 e 2013/14. Il Ministero dell’economia e delle finanze ha successivamente bloccato le assunzioni 2013/14;
nell’articolo 15 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, è stata prevista la prosecuzione del piano triennale del 2011-13 attraverso un ulteriore piano triennale di assunzioni, che per l’anno scolastico 2014/2015 prevede il reclutamento di 12.625 docenti, 1.604 insegnanti di sostegno e 4.317 unità di personale amministrativo, tecnico e ausiliario;
in dodici dei Paesi dell’Unione europea, pari ad un terzo della popolazione europea, tra cui Regno Unito, Svezia, Belgio e Olanda, il reclutamento avviene mediante chiamata diretta da parte delle scuole. In Italia, Francia e Grecia il reclutamento avviene su base concorsuale ed in Spagna ed in Germania i concorsi sono su base regionale. In Austria, Finlandia e Lussemburgo sono, inoltre, previsti concorsi per l’accesso ai percorsi formativi per l’insegnamento. In Spagna è anche previsto un periodo di tirocinio in prova e Francia, Finlandia, Regno Unito e Olanda prevedono la formazione in servizio obbligatoria,

impegna il Governo:

ad avviare in tempi brevi il piano triennale di assunzioni del personale docente che assegni i posti, per il 50 per cento, ai vincitori di concorso e, per l’altro 50 per cento, utilizzando le graduatorie ad esaurimento, facendo in modo che:
a) il contingente di assunzioni per il prossimo anno scolastico del personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario sia calcolato in relazione sia ai posti vacanti e disponibili in organico sia alle iscrizioni e all’entità dei pensionamenti;
b) venga garantito il numero di posti e cattedre indicate nell’allegato «1» del bando di concorso che costituisce parte integrante del decreto del direttore generale 24 settembre 2012, n. 82, per l’immissione in ruolo dei vincitori negli anni scolastici 2013-2014 e 2014-2015, attraverso la previsione di un accantonamento dei posti per coloro i quali avrebbero avuto il diritto di entrare in ruolo dall’anno scolastico in corso e per i quali non è stato possibile, invece, ottenere l’assunzione;
c) a valutare ogni iniziaitiva utile, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, affinché venga dato l’avvio ad una riforma del sistema di reclutamento per il personale docente e non, in linea con altri Stati dell’Unione europea che consenta maggiore autonomia e libertà da parte delle istituzioni scolastiche, anche in rete, nell’individuazione e nella scelta del personale docente e non docente;
d) vengano programmate forme di reclutamento e di selezione concorsuali del personale scolastico, come previsto dalla Costituzione, a cadenza periodica regolare e ravvicinata solo su posti effettivamente vacanti e disponibili, senza la creazione di ulteriori graduatorie, e sia definito un relativo piano di assunzioni, previa una ricognizione di posti effettivamente vacanti e disponibili ai fini dell’erogazione di un servizio efficace, efficiente e rispettoso dei principi di trasparenza ed economicità, previsti dalla normativa vigente;
e) venga prevista una formazione specifica, mirata e programmata nell’ambito universitario per il personale docente che possa prevedere tirocini, stage e apprendistato.
(1-00400)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Centemero ed altri».

   La Camera,
premesso che:
il 27 marzo 2014 presso la Corte di giustizia europea è prevista l’udienza per rispondere alle questioni di pregiudizialità sollevate sia dal tribunale di Napoli (GUCE, C 141/11-2013) che dalla Corte Costituzionale (GUCE, C 313/7-2010) sulla legittimità della norme italiane che, per i lavoratori della scuola, acconsentono di ricorrere a contratti di lavoro a tempo determinato in maniera continuativa ed estesa ben oltre il limite massimo dei 36 mesi fissati dalla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999; lo scopo della normativa europea è stato quello di dare dignità al lavoro migliorando la qualità di quello precario e garantire, così, l’applicazione del principio di non discriminazione nonché di prevenzione di ogni abuso derivante dall’utilizzo del susseguirsi di contratti o di rapporti di lavoro temporanei;
nel nostro Paese si continuano ad infrangere, ormai da troppi anni, le clausole 4 e 5 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla citata direttiva europea che affermano, rispettivamente e con chiarezza, che:
«Clausola 4.
1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.
3. Le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
Clausola 5.
1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
a) devono essere considerati «successivi»;
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato»;
l’attuale normativa italiana sul precariato, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, deve essere cambiata al più presto in quanto in profondo contrasto con il diritto comunitario e con le legittime rivendicazioni dei tanti lavoratori precari che hanno presentato i ricorsi al tribunale del lavoro e che si son già visti riconoscere il diritto alla parità di trattamento con il personale di ruolo; infatti, si susseguono sentenze anche della magistratura italiana che condannano e disapplicano l’attuale normativa che addirittura sanziona, per le pubbliche amministrazioni, l’assunzione o l’impiego di lavoratori attraverso la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (decreto legislativo n.165 del 2001 – «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» – articolo 36 (utilizzo di contratti di lavoro flessibile));
il nostro Paese, pertanto, per sua colpa e inefficienza, potrà essere condannato per infrazione del diritto comunitario dalla Corte di giustizia europea che porrà così fine all’uso e all’abuso dei contratti a termine e alla disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato che svolgono lo stesso lavoro. Un risultato decisivo per migliaia di lavoratori precari di lungo corso che dovranno essere stabilizzati e vedranno riconosciuto l’impegno e il lavoro con cui in questi anni hanno garantito il funzionamento della scuola pubblica;
esiste un’altra situazione, in cui la discriminazione a carico di lavoratori a tempo determinato appare inequivocabilmente evidente, determinatasi con riferimento all’applicazione della legge 30 dicembre 2010, n. 240 – «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario», che prevede il reclutamento dei docenti universitari di ruolo di prima e seconda fascia con una procedura in due fasi: una prima imperniata su concorsi pubblici di abilitazione nazionale ed una seconda basata su concorsi pubblici di chiamata da esperirsi dai singoli atenei;
si è ora per la prima volta completato l’espletamento dei concorsi nazionali previsti dalla citata legge n. 240 del 2010;
i concorsi hanno portato a conseguire l’abilitazione per la prima e la seconda fascia sia candidati già strutturati con un rapporto a tempo indeterminato (come professori associati o ricercatori) sia candidati non strutturati legati ad un’università da contratti d’insegnamento a tempo determinato, conclusi, uno dopo l’altro, anno per anno;
l’articolo 24 della legge prevede che un singolo ateneo, con risorse ad hoc, apra concorsi per la chiamata di abilitati riservati a professori di seconda fascia e ricercatori in servizio in tale ateneo e non prevede che questo, con risorse proprie ad hoc, apra concorsi riservati a docenti non strutturati ad esso legati da un contratto annuale ancorché ripetuto di anno in anno;
è evidente che alla chiamata di questa categoria di docenti legati all’università da contratti a tempo determinato, che hanno ottenuto un’abilitazione sulla base di concorsi pubblici nazionali, non si può opporre il principio secondo cui un’amministrazione pubblica non può assumere senza concorso,

impegna il Governo

a provvedere immediatamente, ancor prima della prevedibile condanna per infrazione, ad adottare iniziative normative per superare l’inadeguatezza della normativa in vigore relativa al sistema contrattuale del lavoro, avendo riguardo ai principi sanciti dalla citata direttiva europea e programmare, pertanto, un piano di stabilizzazione del personale precario sulla base di tutti i posti effettivamente vacanti.
(1-00407) «Giancarlo Giordano ed altri».

   La Camera,
premesso che:
il rilancio del sistema economico del Paese non può prescindere: a) da un corretto e più efficiente funzionamento delle pubbliche amministrazioni chiamate ad erogare con tempestività ed efficacia i servizi alle imprese ed ai cittadini; b) dalla garanzia di elevati standard qualitativi ed economici dei servizi che devono essere competitivi anche in raffronto con quelli erogati dalle amministrazioni pubbliche dei paesi dell’Unione europea;
in sede di riforma occorre intervenire sulle criticità che il settore pubblico presenta, al fine di risolverle e superarle con la gradualità che il contesto organizzativo e finanziario consente;
tra le maggiori criticità emergono:
a) l’emergenza su questo fronte è molto evidente in quanto:
è in continua crescita il contenzioso con le amministrazioni pubbliche per l’abuso di contratti di lavoro flessibile, con i conseguenti costi a carico dei bilanci pubblici;
spesso i giudici del lavoro che riconoscono la specialità del settore pubblico e non sentenziano per la conversione del rapporto di lavoro, nei casi di abuso nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato, condannano le amministrazioni pubbliche al risarcimento del danno, con riflessi sempre più pesanti sulla finanza pubblica;
sono sempre più pressanti gli effetti delle procedure di infrazione avviate, in sede comunitaria, nei confronti dell’Italia per il fenomeno del precariato storico nella pubblica amministrazione e delle richieste di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea da parte di giudici italiani;
sono migliaia i rapporti di lavoro a termine che proseguono da oltre un decennio per assicurare l’erogazione dei servizi essenziali alla collettività, servizi che devono essere comunque assicurati pur in presenza dei stringenti vincoli di finanza pubblica in materia di assunzioni a tempo indeterminato. Basti pensare che nel settore sanitario spesso l’erogazione dei servizi e dei livelli essenziali di assistenza è garantita dal ricorso al lavoro flessibile soprattutto in quelle regioni che, essendo vincolate dal piano di rientro dal disavanzo, si vedono precluse le assunzioni a tempo indeterminato;
b) il comparto della scuola, con circa 140 mila unità tra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliare, registra il numero più alto di personale precario. È da sottolineare che le recenti conclusioni espresse dalla Commissione europea – con le quali si apre una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato – ribadiscono che «(…) Non può ritenersi obiettivamente giustificata ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a) dell’accordo quadro una legislazione nazionale, quale quella italiana in causa, che, nel settore scolastico, non prevede alcuna misura diretta a reprimere il ricorso abusivo a contratti di lavoro a termine successivi (…)»;
c) sussiste un’elevata consistenza del precariato nel settore pubblico che riguarda: 1) personale con contratto di lavoro a tempo determinato, 2) titolari di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, 3) lavoratori utilizzati con contratto di somministrazione, 4) professionisti titolari di partita iva incaricati di svolgere prestazioni di lavoro autonomo, 5) lavoratori addetti ad attività socialmente utili svolte in virtù delle previste convenzioni;
d) l’età media dei dipendenti pubblici in Italia è molto più elevata rispetto a quella degli altri Paesi europei e destinata ad aumentare in relazione all’effetto sinergico della disciplina normativa che limita il turnover e della riforma pensionistica che riduce il flusso di fuoriuscite in relazione ai nuovi criteri di maturazione dei requisiti per il diritto di accesso a pensione;
e) a causa dell’applicazione della cosiddetta «legge Fornero» e il prolungarsi dell’età di permanenza in cattedra, parte del corpo docente impegnato con gli studenti italiani ha sempre più difficoltà a stare al passo con il dinamismo della comunità scolastica: gli ultimi dati forniti dall’Ocse nel rapporto Education at a glance 2013 rilevano che nel 2011 il 47,6 per cento dei docenti elementari, il 61 per cento di quelli delle medie inferiori e il 62,5 per cento di quelli delle superiori aveva oltre 50 anni; la modifica della cosiddetta legge Fornero avrebbe anche il vantaggio di sbloccare il turnover della scuola e permettere la stabilizzazione di molti giovani insegnanti;
f) sussiste la necessità di valutare con attenzione la consistenza delle strutture dirigenziali, che produce una discrasia tra piante organiche teoriche relative alla dirigenza e dirigenti effettivamente in forza; tale discrasia costituisce causa di ingiustificata frammentazione nell’assegnazione del personale ad uffici dirigenziali vacanti, con conseguenze non virtuose nella gestione delle risorse;
nel 2006, con l’approvazione della prima legge finanziaria dell’allora Governo Prodi, si è delineata, con la trasformazione delle graduatorie permanenti per il reclutamento degli insegnanti in «graduatorie ad esaurimento» e l’avvio di un piano triennale per l’assunzione a tempo indeterminato di 150.000 insegnanti e 10.000 unità di personale ausiliare tecnico e amministrativo, la necessità di costruire una programmazione di medio-lungo periodo degli organici e superare il fenomeno del precariato. Nel 2009 – cambiato lo scenario politico – il settore scolastico, dopo l’approvazione dell’articolo 64, del decreto-legge n. 22 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sconta il drastico taglio di circa 8 miliardi di euro e la conseguente riduzione di oltre 87 mila docenti e di 44.500 ausiliari, tecnico e amministrativi;
l’ultimo intervento a sostegno del settore scolastico, con l’approvazione della legge 8 novembre 2013, n. 128, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, ha definito un piano triennale (2014-2016) per l’assunzione a tempo indeterminato di 69 mila docenti e 16 mila amministrativi, tecnici e ausiliari e, inoltre, l’autorizzazione all’assunzione a tempo indeterminato di oltre 26.500 docenti di sostegno;
le misure contenute nel decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge, 30 ottobre 2013, n. 125, nello spirito di favorire politiche occupazionali razionali, prevedono forme di reclutamento speciale finalizzate a valorizzare la professionalità acquisita da coloro che hanno maturato, nell’ultimo quinquennio, un’anzianità di tre anni con rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, nonché misure a favore dei lavoratori socialmente utili, senza disporre di interventi adeguati anche per le altre forme di precariato di cui alla lettera c) del terzo capoverso della premessa del presente atto di indirizzo;
nella totale condivisione del programma di Governo, si ritiene urgente affrontare il tema del precariato del pubblico impiego valorizzando il ruolo sociale degli operatori pubblici impegnati quotidianamente in servizi che promuovono e tutelano il benessere dei cittadini,

impegna il Governo:

a riaprire in tempi brevi e con i soggetti preposti la trattativa per l’adeguamento della parte normativa del contratto nazionale del pubblico impiego a garanzia di un corretto funzionamento delle pubbliche amministrazioni, anche con la finalità di valutare misure volte al superamento del precariato, prestando particolare attenzione alla valorizzazione della professionalità acquisita anche dai titolari di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, dai lavoratori utilizzati con contratto di somministrazione e dai professionisti titolari di partita iva incaricati di svolgere prestazioni di lavoro autonomo;
per quanto riguarda il personale della scuola e nel rispetto della normativa europea:
a) a definire un nuovo piano pluriennale di assorbimento delle graduatorie ad esaurimento;
b) espletate le procedure di assunzione relative all’ultimo concorso a cattedra del 2012, a bandire, con cadenza biennale, nuove prove concorsuali che tengano conto dei flussi di pensionamento e dei trasferimenti e, nel rispetto della normativa europea, a garantire il regime del doppio canale per i docenti abilitati, a partire da coloro che siano in possesso di almeno tre anni di servizio;
c) ad assumere iniziative per ovviare ad una carenza della riforma pensionistica attuata con l’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, che non ha tenuto nel necessario conto le peculiarità del comparto della scuola, nel quale la data di pensionamento è legata, per esigenze di funzionalità e di continuità didattica, alla conclusione dell’anno scolastico;
d) ad attuare pienamente l’autonomia delle istituzioni scolastiche in campo didattico, finanziario, amministrativo e gestionale, partendo dall’attuazione dell’articolo 50 del decreto-legge n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012, con l’assegnazione almeno triennale dell’organico funzionale ad ogni istituzione scolastica, anche a livello di reti di scuole, al fine di pervenire al progressivo superamento della distinzione tra l’organico di diritto e l’organico di fatto;
a proseguire nel percorso di attuazione delle misure contenute nel decreto-legge n. 101 del 2013 di cui in premessa, a tal fine attuando, per un verso, la rilevazione ai sensi del citato decreto-legge n. 101 del 2013 delle graduatorie di concorso aperte e, per altro verso, il monitoraggio e la verifica del processo di superamento delle situazioni di precarietà contrattuale nelle pubbliche amministrazioni, tenendone costantemente informato il Parlamento;
stante, infine, la ripetizione storica, ormai consolidata, nei bilanci delle amministrazioni della spesa per il personale con tipologie di lavoro flessibile, a considerare, nel rispetto delle norme che regolano le assunzioni nel pubblico impiego, la complessiva spesa di personale, comprensiva quindi di quella effettuata per rapporti di lavoro a tempo determinato, per contratti di collaborazione coordinata e continuativa o per altre forme di rapporti di lavoro flessibile, quale parametro consolidato di riferimento ai fini dei processi di proroga dei rapporti di lavoro precario e, nell’ambito della regolamentazione prevista dal decreto-legge n. 10 del 2013 e dalla legge n. 147 del 2013, di eventuale stabilizzazione.
(1-00408) «Coscia ed altri».

   La Camera,
premesso che:
il rilancio del sistema economico del Paese non può prescindere: a) da un corretto e più efficiente funzionamento delle pubbliche amministrazioni chiamate ad erogare con tempestività ed efficacia i servizi alle imprese ed ai cittadini; b) dalla garanzia di elevati standard qualitativi ed economici dei servizi che devono essere competitivi anche in raffronto con quelli erogati dalle amministrazioni pubbliche dei paesi dell’Unione europea;
in sede di riforma occorre intervenire sulle criticità che il settore pubblico presenta, al fine di risolverle e superarle con la gradualità che il contesto organizzativo e finanziario consente;
tra le maggiori criticità emergono:
a) l’emergenza su questo fronte è molto evidente in quanto:
è in continua crescita il contenzioso con le amministrazioni pubbliche per l’abuso di contratti di lavoro flessibile, con i conseguenti costi a carico dei bilanci pubblici;
spesso i giudici del lavoro che riconoscono la specialità del settore pubblico e non sentenziano per la conversione del rapporto di lavoro, nei casi di abuso nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato, condannano le amministrazioni pubbliche al risarcimento del danno, con riflessi sempre più pesanti sulla finanza pubblica;
sono sempre più pressanti gli effetti delle procedure di infrazione avviate, in sede comunitaria, nei confronti dell’Italia per il fenomeno del precariato storico nella pubblica amministrazione e delle richieste di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea da parte di giudici italiani;
sono migliaia i rapporti di lavoro a termine che proseguono da oltre un decennio per assicurare l’erogazione dei servizi essenziali alla collettività, servizi che devono essere comunque assicurati pur in presenza dei stringenti vincoli di finanza pubblica in materia di assunzioni a tempo indeterminato. Basti pensare che nel settore sanitario spesso l’erogazione dei servizi e dei livelli essenziali di assistenza è garantita dal ricorso al lavoro flessibile soprattutto in quelle regioni che, essendo vincolate dal piano di rientro dal disavanzo, si vedono precluse le assunzioni a tempo indeterminato;
b) il comparto della scuola, con circa 140 mila unità tra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliare, registra il numero più alto di personale precario. È da sottolineare che le recenti conclusioni espresse dalla Commissione europea – con le quali si apre una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato – ribadiscono che «(…) Non può ritenersi obiettivamente giustificata ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a) dell’accordo quadro una legislazione nazionale, quale quella italiana in causa, che, nel settore scolastico, non prevede alcuna misura diretta a reprimere il ricorso abusivo a contratti di lavoro a termine successivi (…)»;
c) sussiste un’elevata consistenza del precariato nel settore pubblico che riguarda: 1) personale con contratto di lavoro a tempo determinato, 2) titolari di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, 3) lavoratori utilizzati con contratto di somministrazione, 4) professionisti titolari di partita iva incaricati di svolgere prestazioni di lavoro autonomo, 5) lavoratori addetti ad attività socialmente utili svolte in virtù delle previste convenzioni;
d) l’età media dei dipendenti pubblici in Italia è molto più elevata rispetto a quella degli altri Paesi europei e destinata ad aumentare in relazione all’effetto sinergico della disciplina normativa che limita il turnover e della riforma pensionistica che riduce il flusso di fuoriuscite in relazione ai nuovi criteri di maturazione dei requisiti per il diritto di accesso a pensione;
e) a causa dell’applicazione della cosiddetta «legge Fornero» e il prolungarsi dell’età di permanenza in cattedra, parte del corpo docente impegnato con gli studenti italiani ha sempre più difficoltà a stare al passo con il dinamismo della comunità scolastica: gli ultimi dati forniti dall’Ocse nel rapporto Education at a glance 2013 rilevano che nel 2011 il 47,6 per cento dei docenti elementari, il 61 per cento di quelli delle medie inferiori e il 62,5 per cento di quelli delle superiori aveva oltre 50 anni; la modifica della cosiddetta legge Fornero avrebbe anche il vantaggio di sbloccare il turnover della scuola e permettere la stabilizzazione di molti giovani insegnanti;
f) sussiste la necessità di valutare con attenzione la consistenza delle strutture dirigenziali, che produce una discrasia tra piante organiche teoriche relative alla dirigenza e dirigenti effettivamente in forza; tale discrasia costituisce causa di ingiustificata frammentazione nell’assegnazione del personale ad uffici dirigenziali vacanti, con conseguenze non virtuose nella gestione delle risorse;
nel 2006, con l’approvazione della prima legge finanziaria dell’allora Governo Prodi, si è delineata, con la trasformazione delle graduatorie permanenti per il reclutamento degli insegnanti in «graduatorie ad esaurimento» e l’avvio di un piano triennale per l’assunzione a tempo indeterminato di 150.000 insegnanti e 10.000 unità di personale ausiliare tecnico e amministrativo, la necessità di costruire una programmazione di medio-lungo periodo degli organici e superare il fenomeno del precariato. Nel 2009 – cambiato lo scenario politico – il settore scolastico, dopo l’approvazione dell’articolo 64, del decreto-legge n. 22 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sconta il drastico taglio di circa 8 miliardi di euro e la conseguente riduzione di oltre 87 mila docenti e di 44.500 ausiliari, tecnico e amministrativi;
l’ultimo intervento a sostegno del settore scolastico, con l’approvazione della legge 8 novembre 2013, n. 128, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, ha definito un piano triennale (2014-2016) per l’assunzione a tempo indeterminato di 69 mila docenti e 16 mila amministrativi, tecnici e ausiliari e, inoltre, l’autorizzazione all’assunzione a tempo indeterminato di oltre 26.500 docenti di sostegno;
le misure contenute nel decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge, 30 ottobre 2013, n. 125, nello spirito di favorire politiche occupazionali razionali, prevedono forme di reclutamento speciale finalizzate a valorizzare la professionalità acquisita da coloro che hanno maturato, nell’ultimo quinquennio, un’anzianità di tre anni con rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, nonché misure a favore dei lavoratori socialmente utili, senza disporre di interventi adeguati anche per le altre forme di precariato di cui alla lettera c) del terzo capoverso della premessa del presente atto di indirizzo;
nella totale condivisione del programma di Governo, si ritiene urgente affrontare il tema del precariato del pubblico impiego valorizzando il ruolo sociale degli operatori pubblici impegnati quotidianamente in servizi che promuovono e tutelano il benessere dei cittadini,

impegna il Governo:

a riaprire in tempi brevi e con i soggetti preposti la trattativa per l’adeguamento della parte normativa del contratto nazionale del pubblico impiego a garanzia di un corretto funzionamento delle pubbliche amministrazioni, anche con la finalità di valutare misure volte al superamento del precariato, prestando particolare attenzione alla valorizzazione della professionalità acquisita anche dai titolari di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, dai lavoratori utilizzati con contratto di somministrazione e dai professionisti titolari di partita iva incaricati di svolgere prestazioni di lavoro autonomo;
per quanto riguarda il personale della scuola e nel rispetto della normativa europea:
a) a definire un nuovo piano pluriennale di assorbimento delle graduatorie ad esaurimento considerati i posti vacanti e disponibili;
b) espletate le procedure di assunzione relative all’ultimo concorso a cattedra del 2012, a bandire, con cadenza biennale, nuove prove concorsuali che tengano conto dei flussi di pensionamento e dei trasferimenti e, nel rispetto della normativa europea, a garantire il regime del doppio canale per i docenti abilitati, iscritti nelle graduatorie ad esaurimento;
c) a valutare ogni iniziativa utile, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, per ovviare ad una carenza della riforma pensionistica attuata con l’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, che non ha tenuto nel necessario conto le peculiarità del comparto della scuola, nel quale la data di pensionamento è legata, per esigenze di funzionalità e di continuità didattica, alla conclusione dell’anno scolastico;
d) a valutare ogni iniziativa utile, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, per attuare pienamente l’autonomia delle istituzioni scolastiche in campo didattico, finanziario, amministrativo e gestionale, partendo dall’attuazione dell’articolo 50 del decreto-legge n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012, con l’assegnazione almeno triennale dell’organico funzionale ad ogni istituzione scolastica, anche a livello di reti di scuole, al fine di pervenire al progressivo superamento della distinzione tra l’organico di diritto e l’organico di fatto;
a proseguire nel percorso di attuazione delle misure contenute nel decreto-legge n. 101 del 2013 di cui in premessa, a tal fine attuando, per un verso, la rilevazione ai sensi del citato decreto-legge n. 101 del 2013 delle graduatorie di concorso aperte e, per altro verso, il monitoraggio e la verifica del processo di superamento delle situazioni di precarietà contrattuale nelle pubbliche amministrazioni, tenendone costantemente informato il Parlamento;
stante, infine, la ripetizione storica, ormai consolidata, nei bilanci delle amministrazioni della spesa per il personale con tipologie di lavoro flessibile, a considerare, nel rispetto delle norme che regolano le assunzioni nel pubblico impiego, la complessiva spesa di personale, comprensiva quindi di quella effettuata per rapporti di lavoro a tempo determinato, per contratti di collaborazione coordinata e continuativa o per altre forme di rapporti di lavoro flessibile, quale parametro consolidato di riferimento ai fini dei processi di proroga dei rapporti di lavoro precario e, nell’ambito della regolamentazione prevista dal decreto-legge n. 10 del 2013 e dalla legge n. 147 del 2013, di eventuale stabilizzazione.
(1-00408)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Coscia ed altri».

Risoluzione

   La Camera,
al termine del dibattito sulle mozioni concernenti iniziative per la stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento al comparto scuola,
premesso che:
appare indispensabile ed urgentissimo intervenire dato che il fenomeno del precariato risulta particolarmente diffuso in ambito scolastico e risulta avere un’incidenza negativa non solo sulla condizione di incertezza lavorativa ed economica del personale scolastico, ma anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell’insegnamento, che risultano fortemente penalizzate;
tra il 2001 e il 2013, a dispetto della direttiva comunitaria, le supplenze per il funzionamento ordinario delle scuole sono aumentate da 105.000 a 140.000 unità, e nel contempo le spese per il personale a tempo determinato sono aumentate di 348 milioni di euro dal 2007;
con riferimento alle 120.000 cattedre al 30 giugno assegnate quest’anno il 75 per cento è senza titolare e rispetto ai 230.000 alunni con handicap lo Stato ha bisogno di 115.000 insegnanti di sostegno rispetto ai 90.000 previsti nel 2016 dall’ultima legge n. 128 del 2013;
vi è stato il pensionamento di 11.000 docenti e 3.600 ATA e dei contratti, di 12.000 docenti e 19.000 ATA al 31 agosto, e sarebbe possibile attuare fin dal prossimo anno scolastico un piano straordinario di immissioni in ruolo di 125.000 unità;
il precariato nella scuola non soltanto è rimasto costante negli anni ma oggi è ai suoi massimi storici se si considera che soltanto la metà del personale inserito nelle graduatorie ottiene una supplenza al 30 giugno o al 31 agosto mentre altri 150.000 docenti (abilitati con il TFA, SFP, diploma magistrale, PAS) attendono di essere inseriti nelle stesse graduatorie;
vi sarebbero 125.000 posti vacanti e disponibili dal 1o settembre 2014, cosa che di fatto svuoterebbe i due terzi delle attuali graduatorie ad esaurimento e che a graduatorie esaurite, si aprirebbe la prospettiva, a copertura totale annuale del turn over, dell’immissione in ruolo anche dei 150 mila docenti rimasti fuori dalle graduatorie ma con un titolo abilitante riconosciuto dallo Stato (TFA, idonei concorso DDG 82/2012 ecc);
gli abilitati TFA potrebbero essere utilmente immessi in GAE e per gli idonei al concorso DDG 82/2012 basterebbe prevedere una IV fascia, così da assumerli ed evitare nuove procedure d’infrazione;
è dunque doveroso operare e intervenire affinché si proceda alla riapertura delle graduatorie ad esaurimento per i docenti abilitati, per i docenti presenti nelle graduatorie di merito del concorso del 2012 anche al fine di evitare sanzioni da parte della Commissione europea a causa della violazione della direttiva legata alla stabilizzazione dei precari,

impegna il Governo

ad intraprendere tutte le iniziative necessarie affinché si proceda alla riapertura delle graduatorie ad esaurimento per i docenti abilitati, per i docenti presenti nelle graduatorie di merito del concorso del 2012, al fine di evitare sanzioni da parte della Commissione europea a causa della violazione della direttiva europea legata alla stabilizzazione dei precari.
(6-00062) «Di Lello».

La Camera,
al termine del dibattito sulle mozioni concernenti iniziative per la stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento al comparto scuola,
premesso che:
appare indispensabile ed urgentissimo intervenire dato che il fenomeno del precariato risulta particolarmente diffuso in ambito scolastico e risulta avere un’incidenza negativa non solo sulla condizione di incertezza lavorativa ed economica del personale scolastico, ma anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell’insegnamento, che risultano fortemente penalizzate;
tra il 2001 e il 2013, a dispetto della direttiva comunitaria, le supplenze per il funzionamento ordinario delle scuole sono aumentate da 105.000 a 140.000 unità, e nel contempo le spese per il personale a tempo determinato sono aumentate di 348 milioni di euro dal 2007;
con riferimento alle 120.000 cattedre al 30 giugno assegnate quest’anno il 75 per cento è senza titolare e rispetto ai 230.000 alunni con handicap lo Stato ha bisogno di 115.000 insegnanti di sostegno rispetto ai 90.000 previsti nel 2016 dall’ultima legge n. 128 del 2013;
vi è stato il pensionamento di 11.000 docenti e 3.600 ATA e dei contratti, di 12.000 docenti e 19.000 ATA al 31 agosto, e sarebbe possibile attuare fin dal prossimo anno scolastico un piano straordinario di immissioni in ruolo di 125.000 unità;
il precariato nella scuola non soltanto è rimasto costante negli anni ma oggi è ai suoi massimi storici se si considera che soltanto la metà del personale inserito nelle graduatorie ottiene una supplenza al 30 giugno o al 31 agosto mentre altri 150.000 docenti (abilitati con il TFA, SFP, diploma magistrale, PAS) attendono di essere inseriti nelle stesse graduatorie;
vi sarebbero 125.000 posti vacanti e disponibili dal 1o settembre 2014, cosa che di fatto svuoterebbe i due terzi delle attuali graduatorie ad esaurimento e che a graduatorie esaurite, si aprirebbe la prospettiva, a copertura totale annuale del turn over, dell’immissione in ruolo anche dei 150 mila docenti rimasti fuori dalle graduatorie ma con un titolo abilitante riconosciuto dallo Stato (TFA, idonei concorso DDG 82/2012 ecc);
gli abilitati TFA potrebbero essere utilmente immessi in GAE e per gli idonei al concorso DDG 82/2012 basterebbe prevedere una IV fascia, così da assumerli ed evitare nuove procedure d’infrazione;
è dunque doveroso operare e intervenire affinché si proceda alla riapertura delle graduatorie ad esaurimento per i docenti abilitati, per i docenti presenti nelle graduatorie di merito del concorso del 2012 anche al fine di evitare sanzioni da parte della Commissione europea a causa della violazione della direttiva legata alla stabilizzazione dei precari,

impegna il Governo

a valutare tutte le iniziative necessarie affinché si possa procedere alla riapertura delle graduatorie ad esaurimento per i docenti abilitati, per i docenti presenti nelle graduatorie di merito del concorso del 2012, al fine di evitare sanzioni da parte della Commissione europea a causa della violazione della direttiva europea legata alla stabilizzazione dei precari.
(6-00062)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Di Lello».

Il 24 marzo si svolge nell’Aula della Camera la discussione generale della mozione Chimienti ed altri n. 1-00341 concernente iniziative per la stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento al comparto scuola

 

(Camera, 24.3.14) SILVIA CHIMIENTI. Signor Presidente, il 28 giugno 1999 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione hanno emanato la direttiva n. 70, volta a garantire la piena parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni e dall’abuso dei contratti a termine. Ricordiamo a quest’Aula che le direttive sono atti vincolanti per i Paesi membri dell’Unione, i quali vi si devono necessariamente adeguare, scegliendo i mezzi che più ritengano opportuni per raggiungere l’obiettivo stabilito. Nei quindici anni trascorsi dall’approvazione della direttiva in questione l’Italia ha scelto una strada piuttosto curiosa per adeguarsi alle sue indicazioni: l’ha prima dimenticata e poi quotidianamente calpestata.
Oggi, a quasi quindici anni dal giorno in cui finalmente l’Unione stipulò uno di quei patti di collaborazione e di solidarietà cari ad Alcide De Gasperi, il precariato è divenuto strutturale in tutti i settori della nostra pubblica amministrazione, con particolare riferimento al comparto scuola. Le cifre sono impietose: oltre 250 mila lavoratori sono privati di ogni certezza, di qualsiasi stabilità economica, costretti a vivere appesi alla speranza di un rinnovo contrattuale che possa garantire loro un minimo di respiro. Per qualche mese, al massimo un anno. Poi, chissà.
Nella scuola, settore nevralgico della nostra società, il luogo in cui si costruiscono le coscienze dei cittadini del futuro, il danno è ancora maggiore. Oltre ad un corpo docente frustrato, principi fondamentali come la continuità della didattica, lo sviluppo dei percorsi che dovrebbero necessariamente costruirsi nel lungo periodo, vengono cancellati da un tratto di penna di ragionieri di Stato, che li sacrificano sull’altare di scellerati piani di razionalizzazione della spesa. Ma questo dramma sociale non può più andare avanti. Non può continuare, perché la stessa Europa, dopo quindici anni di calma apparente, ha deciso finalmente di farsi sentire.
Alla base della nostra mozione ci sono, infatti, ben due pronunce della Corte di giustizia europea, che lo scorso gennaio hanno definitivamente costretto il nostro Paese a prendere atto della sua totale non conformità alla legislazione comunitaria in materia di contratti a termine. E non solo: il 27 marzo, ironia della sorte, la Corte di giustizia si pronuncerà nuovamente sull’abuso del precariato in Italia, questa volta in riferimento al comparto scuola.
Alla luce di tutto ciò, il MoVimento 5 Stelle crede che il tema della lotta al precariato non possa più essere rimandato. Non è più solo una questione di etica e di diritti, ma anche – cosa che certamente farà più leva su questa maggioranza – un enorme e improrogabile problema economico. Basti pensare al risarcimento di ben 173 mila euro che è spettato ad un docente precario di educazione fisica a cui un giudice del lavoro di Trapani ha riconosciuto tutti i danni derivanti dalla continua reiterazione del suo contratto da supplente su posti vacanti e disponibili, oltre al pagamento di scatti e mensilità estive per gli anni pregressi.
La sentenza del 27 marzo potrebbe aprire la strada a migliaia di ricorsi e costare allo Stato italiano decine di milioni di euro, che andrebbero ad aggiungersi a quelli della multa che l’Europa presto comminerà all’Italia. Se l’Europa interverrà a sanzionarci, il MIUR non potrà più continuare nella vergognosa prassi di non risarcire i danni dei docenti precari vincitori di cause, come purtroppo è avvenuto finora.
Secondo stime attendibili, ammontano a circa 200 i milioni di euro di risarcimento richiesti complessivamente dai giudici del lavoro di tutta Italia negli ultimi anni e ancora inevasi dal MIUR. Per questo motivo, un mese fa, il Codacons ha clamorosamente deciso di procedere al pignoramento dei beni del Ministero, mobili, sedie, tavoli e perfino la poltrona del Ministro ! Il tentativo è stato bloccato dal MIUR ma noi ci chiediamo: cosa si sta aspettando per dare esecuzione alle sentenze di tribunale ? Ma soprattutto, fino a che punto le istituzioni saranno disposte a perdere la loro credibilità e dignità, danneggiando l’immagine dell’intero Paese agli occhi delle altre nazioni ?
La nostra mozione non chiede stabilizzazioni indiscriminate, ma pone una serie di criteri di buon senso, questi sì pienamente conformi alle richieste dell’Europa.
Innanzitutto chiediamo che il processo di stabilizzazione venga finalmente istituzionalizzato adottando in tempi brevi iniziative legislative rivolte al personale pubblico precario, in particolare della sanità e delle autonomie, che abbia già superato delle procedure concorsuali, ma che inspiegabilmente non si sia ancora visto stipulare un contratto a tempo indeterminato.
Queste procedure dovranno innanzitutto avere cadenza regolare ed essere disposte su una quota fissa delle percentuali ammesse annualmente per il turnover nei comparti in questione. Ma non basterà aver acquisito una certa anzianità: la nostra mozione esclude intatti dalle procedure di stabilizzazione tutti coloro che maturano i requisiti in forza di contratti stipulati a seguito di selezioni svolte da consulenti o società non pubbliche ovvero mediante chiamata nominativa non effettuata tramite il collocamento o ancora attraverso chiamate dirette.
Veniamo alla scuola, il comparto maggiormente sacrificato di tutto il pubblico impiego. Basti pensare che nel quinquennio 2007-2012 risulta aver subito una contrazione dell’11 per cento, vale a dire oltre il 60 per cento della riduzione complessiva dell’intero pubblico impiego. Per questo settore noi prevediamo un piano quinquennale di immissioni in ruolo di tutti i docenti che abbiano maturato o che maturino nel corso del periodo in questione i requisiti dell’abilitazione e dei tre anni complessivi di servizio o, in alternativa, che abbiano superato o superino una procedura concorsuale. Infine, chiediamo che venga stilato un piano triennale di assorbimento in ruolo sulla base dei posti vacanti e disponibili del personale ATA precario inserito in graduatoria permanente e che abbia maturato almeno tre annualità di servizio con contratti reiterati a tempo determinato.
Alla luce della ragionevolezza e del buon senso delle nostre richieste, ma anche di ciò che il nostro Premier e il responsabile alla scuola del PD Faraone hanno affermato nei primissimi giorni di insediamento, siamo molto fiduciosi nel voto favorevole di quest’Aula, che garantirebbe non solo la possibilità di scongiurare immediatamente i rischi di sanzioni da parte dell’Europa, ma anche di adeguarci finalmente alla normativa comunitaria.
Noi del MoVimento 5 Stelle crediamo che sia arrivato il momento per le istituzioni di porgere ascolto alle istanze dei cittadini, e a questo proposito, Presidente, le segnalo un episodio gravissimo e increscioso avvenuto solo venerdì scorso davanti alla sede del MIUR. Il coordinamento dei precari delle scuole di Roma ha manifestato per ben quattro ore, chiedendo semplicemente che una delegazione fosse ricevuta da qualche esponente del Governo. Era stato garantito a me personalmente fin dal mattino che qualcuno li avrebbe ricevuti, come avviene normalmente. Ebbene, né il Ministro né un sottosegretario né un dirigente si sono degnati di venire ad ascoltare per cinque minuti le loro istanze. Un’ennesima chiusura che non fa che allontanare ulteriormente la politica dai cittadini. E allora noi del MoVimento 5 Stelle siamo qui anche per questo motivo: per farvi comprendere che questo scollamento è profondamente sentito dalla società e sta diventando insostenibile.
Con questa mozione vi chiediamo di fare un passo in avanti e di dimostrare che la politica può ancora essere attenta al mondo reale e ai cittadini.

27 marzo Unione nazionale Gruppi sportivi scolastici in 7a Camera

Il 6 e 7 agosto, 17 settembre, 13 e 27 novembre, 4 dicembre, 9, 16, 28 e 30 gennaio, il 13 febbraio ed il 20 e 27 marzo, la 7a Commissione della Camera esamina il DdL sull’Istituzione dell’Unione nazionale dei gruppi sportivi scolastici.

(7a Senato, 6.8.13) Bruno MOLEA (SCpI), relatore, ricorda che lo sport ha una dimensione multifattoriale, fenomeno di alta spettacolarità, su cui si muovono investimenti ingenti in strutture, tecniche e tecnologie; fenomeno che coinvolge altresì in modo crescente la vita del territorio e delle persone, determinandone il livello di salute, di socialità, di sostenibilità e, altresì, di sviluppo economico. Ricorda che le due proposte di legge all’esame della VII Commissione hanno come obiettivo l’istituzione dell’Unione nazionale dei gruppi sportivi scolastici. A tal proposito, ricorda che il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca già prevede la possibilità di istituire centri sportivi scolastici e limitatamente alle scuole secondarie, i gruppi sportivi scolastici, disciplinati e soppressi nel secolo scorso, non sono ad oggi previsti nell’ordinamento. Le due proposte di legge, quindi, oltre a regolamentare l’istituzione dei gruppi-centri sportivi scolastici nelle scuole secondarie, estendono la regolamentazione anche alle scuole primarie. Ricorda che l’educazione fisica contemporanea ha avuto la sua culla in Francia; il termine «Educazione fisica» è stato utilizzato, infatti, per la prima volta dal medico francese Jacques Ballexserd, nel XVIII secolo, nel contesto di una dissertazione sul finalismo della natura, che verteva sullo sviluppo fisico, parte di quello generale: dissertation sur l’education physique des enfans, depuis leur naissance jusqu’à l’âge de puberté. Ouvrage qui a remporté le Prix le 21 mai 1762, à la Société Hollandoise des Sciences, ossia dissertazione sull’educazione fisica dei fanciulli, dalla nascita sino alla pubertà. Opera che ha riportato il Premio della Società Olandese delle Scienze il 21 maggio 1762. In Francia, pure, è sorto il primo istituto nazionale per la formazione universitaria, l’«École de Joinville», scuola normale di ginnastica fondata nel 1852, oggi INSEP (Institut national du sport, de l’expertise et de la performance), con sede a Parigi. Aggiunge che dalla Francia l’insegnamento dell’educazione fisica si è successivamente diffuso dapprima nell’Europa Occidentale e, successivamente nel mondo; emblematico il caso italiano, per l’approdo ad un approccio eclettico, che è diventato attualmente orientamento dominante. Evidenzia quindi che l’insegnamento dell’educazione fisica in Italia fu introdotto nel Regno di Sardegna dalla legge Casati del 1859, al Titolo V, sotto la denominazione di «Ginnastica», obbligatorio per i soli maschi. Successivamente, nel 1878, l’allora Ministro della pubblica istruzione Francesco De Sanctis riordinò la disciplina, rinominandola «Ginnastica educativa». In particolare, la legge De Sanctis, n. 4442 del 7 luglio 1878 fu la prima, dopo l’Unità d’Italia, a occuparsi interamente della materia. Essa sancì l’obbligatorietà dell’insegnamento della ginnastica educativa anche per le donne, nelle scuole di ogni ordine e grado, elementari, secondarie, normali e magistrali. Precisa che la medesima legge stabilì che i programmi fossero concordati tra Ministro della pubblica istruzione e Ministro della guerra, e che i maestri venissero reclutati tra il personale militare. Sottolinea che la norma in questione, come la precedente legge Casati, risente dell’impronta militareggiante propria dei tempi, avendo il fine di sviluppare nei fanciulli il «sentimento dell’ordine e il coraggio»; a differenza del passato, peraltro, essa introdusse un insegnamento caratterizzato da finalità altamente educative. Aggiunge quindi che nello stesso anno il Ministro della pubblica istruzione, Martini, nominò una commissione, presieduta dal senatore Todaro, per lo studio di un programma di insegnamento dell’educazione fisica. La vera innovazione stava nell’aver sostituito, per la prima volta in maniera ufficiale, le parole «educazione fisica» al termine «ginnastica». Fu però con la legge 26 dicembre 1909, n. 805, nota come «legge Daneo», che si giunse all’approvazione di una normativa organica sull’educazione fisica in Italia. Con tale legge venne stabilita l’obbligatorietà, per gli alunni, di uno specifico corso di educazione fisica in ogni scuola pubblica, primaria o media, maschile o femminile. Evidenzia quindi che la successiva legge Daneo-Credaro regolerà l’insegnamento dell’educazione fisica sino alla riforma Gentile del 1923. In riferimento a questa, ricorda che Gentile, primo sostenitore dell’unità educativa, riuscì ad infrangere il principio basilare dell’unità pedagogica. Con il regio decreto 15 marzo 1923, n. 684, si istituì l’Ente nazionale per l’educazione fisica (ENEF) e si dispose che «gli alunni di tutte le scuole medie governative e pareggiate dipendenti dal Ministero della Pubblica Istruzione compiranno la propria educazione fisica presso le società ginnastiche e sportive all’uopo designate» dall’ENEF. Nacque poi la Scuola superiore di educazione fisica, istituzione che funzionò per circa un biennio e che venne a sua volta rimpiazzata dalla «Regia Accademia Fascista di educazione fisica e giovanile di Roma», avente personalità giuridica ed autonomia amministrativa, didattica e disciplinare. Precisa quindi che la legge Rava-Daneo-Credaro nel 1910 accolse le istanze della Commissione Todaro e dei Congressi pedagogici di inizio secolo, istituendo l’insegnamento dell’educazione fisica.
Sottolinea quindi che nel sistema italiano dell’istruzione per un secolo, dal 1910 al 2010, è stata insegnata tale materia. Il nuovo termine della disciplina, dal 1° settembre 2010, è quello di «Scienze motorie e sportive», coerentemente con la denominazione degli istituti universitari che provvedono alla formazione scientifica, tecnica e professionale degli operatori. Sottolinea, comunque, che in tutto il resto del mondo si adotta il termine «educazione fisica»; sebbene sia più una questione di forma, che di sostanza, la denominazione della disciplina è un argomento ancora aperto in Italia, basti pensare che nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, pubblicate il 4 settembre 2012, si è ritornati alla denominazione dell’ambito disciplinare quale «educazione fisica». Per quanto riguarda il quadro normativo, ricorda che, con circolare n. 154555 del 19 ottobre 1950, erano stati costituiti gruppi sportivi scolastici che venivano soppressi con circolare del 5 agosto 1975, n. 222. Il progetto di legge n. 576 ricorda che con circolare n. 466 del 31 luglio 1997, il Ministero della pubblica istruzione aveva previsto la possibilità, in ogni scuola, primaria e secondaria di primo e secondo grado, di costituire associazioni sportive scolastiche alle quali potevano aderire anche scuole limitrofe. Con le linee guida emanate dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca il 4 agosto 2009, è stato quindi riconosciuto che lo sport è uno degli strumenti più efficaci per aiutare i giovani ad affrontare situazioni che ne favoriscano la crescita psicologica, emotiva, sociale, oltre che fisica. Lo sport, infatti, richiede alla persona di mettersi in gioco in modo totale e lo stimola a trovare gli strumenti e le strategie per affrontare e superare le proprie difficoltà. Evidenzia che con le linee guida si vuole avviare la riorganizzazione delle attività di educazione fisica, motoria e sportiva nelle scuole secondarie di primo e secondo grado. Uno dei punti cruciali di tale progetto era la possibilità, per le scuole secondarie, di istituire i centri sportivi scolastici, ossia strutture organizzate all’interno della scuola e finalizzate all’organizzazione della educazione fisica. I soggetti principali di tale forma associativa erano: il docente di educazione fisica e gli studenti che in maniera del tutto volontaria partecipavano alle attività proposte. La costituzione dei centri, pur essendo libera, avrebbe costituito condizione per l’accesso ai fondi necessari per le ore di avviamento alla pratica sportiva, fino ad un massimo di 6 ore settimanali, aggiuntive rispetto a quelle curricolari. Rileva quindi che anche negli anni scolastici successivi le risorse finanziarie destinate a retribuire le attività complementari di educazione fisica sono state assegnate sulla base dell’effettiva attivazione dei progetti di avviamento alla pratica sportiva e non dell’effettiva costituzione dei centri. Più recentemente il MIUR, con circolare protocollo n. 845 del 6 febbraio 2013 – applicativa dell’intesa del 30 gennaio 2013, siglata tra lo stesso MIUR e le organizzazioni sindacali – ha previsto che, a decorrere dall’anno scolastico 2012/2013, ad essere subordinata alla costituzione dei Centri sportivi scolastici previsti dalle Linee Guida del 2009 è la partecipazione delle scuole secondarie di primo e di secondo grado ai Giochi Sportivi Studenteschi – organizzati dal MIUR, con la collaborazione del CONI, del Comitato italiano paralimpico (CIP), delle Federazioni sportive e degli enti locali –, fermo restando che attività di avviamento alla pratica sportiva possono essere comunque svolte anche dalle istituzioni scolastiche che non adottano questa formula associativa. A questo proposito, tiene ad evidenziare che non vi è alcun riferimento, nell’atto indicato, al settore delle associazioni e degli enti della promozione sportiva, che rappresentano invece un altro importante strumento di promozione dello sport in Italia.
Nel merito delle proposte di legge, ricorda che l’articolo 1 delle proposte di legge in esame istituisce l’Unione, quale associazione sportiva «studentesca», ai sensi della proposta n. 576, o «scolastica», secondo quanto previsto dalla proposta n. 611, il cui obiettivo è quello di organizzare e sviluppare la pratica sportiva nella scuola. In particolare il progetto di legge n. 576 prevede, inoltre, che l’Unione fa parte della Federazione internazionale dello sport scolastico, è organizzata su base regionale e territoriale e la sua sede ufficiale è a Roma, presso il MIUR. Gli articoli 2 delle proposte di legge disciplinano invece la materia di affiliazione all’Unione dei gruppi/centri sportivi scolastici degli istituti di istruzione primaria e secondaria di primo e secondo grado. In particolare, il progetto di legge n. 576 dispone che sono affiliati all’Unione nazionale dei gruppi sportivi scolastici (UNGSS), che ne organizza l’attività extracurriculare, i gruppi sportivi scolastici degli istituti statali, mentre possono affiliarsi i gruppi sportivi scolastici degli istituti non statali: il riferimento letterale è, dunque agli istituti paritari e a quelli non paritari. La proposta di legge n. 611 dispone, invece, che sono affiliati all’Unione nazionale dei centri sportivi scolastici (UCSS), che ne organizza l’attività, i centri sportivi scolastici degli istituti statali e di quelli paritari, i quali, in base all’articolo 1 della legge n. 62 del 2000, costituiscono il sistema nazionale di istruzione. All’articolo 3 di entrambe le proposte di legge viene trattata la disciplina delle attività dell’Unione, affidata ad uno statuto e ad un regolamento che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca deve adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. La proposta di legge n. 576 prevede che la gestione delle attività dell’Unione è affidata ad una agenzia apposita. Gli articoli 4 e 5 delle proposte di legge in esame disciplinano quindi l’Organizzazione dell’Unione e dei gruppi/centri sportivi scolastici, di cui all’articolo 6 della proposta n. 576.
Evidenzia che vi sono delle differenze tra le due proposte di legge in esame. L’articolo 4, della proposta di legge n. 576 prevede che lo statuto fissa gli obiettivi, la composizione e l’organizzazione dei gruppi sportivi scolastici e dell’Unione, mentre l’articolo 4 del progetti di legge n. 611 affida allo statuto solo gli obiettivi e l’organizzazione dei centri sportivi e non dell’Unione. Lo scopo è quello dell’integrazione, ossia di garantire a tutti gli studenti, anche quelli disabili, la possibilità di praticare attività sportiva. Gli articoli 5 di entrambe le proposte di legge prevedono poi che il regolamento stabilisce le regole per consentire un’ordinata e uniforme attività sportiva su tutto il territorio nazionale. Il progetto di legge n. 576 prevede sin da ora che il regolamento fissa in «almeno un pomeriggio infrasettimanale» il tempo da dedicare alla pratica dello sport. Evidenzia in particolare che, secondo l’articolo 5 della proposta di legge n. 611, il regolamento dovrà garantire «le massime trasparenza e collaborazione tra gli istituti scolastici e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca». L’articolo 6 del progetto di legge n. 576 stabilisce invece che è la stessa organizzazione dell’Unione a prestare tale garanzia, mentre il successivo articolo 7 della medesima proposta di legge prevede che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca adotta, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, linee guida per garantire la diffusione dell’educazione e della pratica sportiva nelle scuole. Aggiunge quindi che l’articolo 8 della proposta di legge n. 576, come l’articolo 6 di quella n. 611, recano norme transitorie che prevedono che in sede di prima attuazione della legge, l’Unione è gestita da un organismo – «comitato» secondo la proposta di legge n. 576 e «commissione», per la n. 611 – composto da 5 docenti – di «educazione fisica» nella proposta n. 576, di «scienze motorie» in quella n. 611 – o dirigenti scolastici con esperienza nel settore sportivo, nominati dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Tale organismo decade quando vengono costituiti gli organi dell’Unione. Precisa quindi che nella proposta di legge n. 611 si prevede che la commissione elegge, nel proprio ambito, il presidente e che ai membri della stessa non spettano compensi, ad eccezione del rimborso delle spese sostenute, autorizzate e documentate.
Ricorda altresì che il progetto di legge n. 576 reca una disposizione transitoria relativa all’attività dell’Unione che, nei primi due anni è finalizzata, in particolare, a promuovere il coinvolgimento dei docenti di educazione fisica e dei dirigenti scolastici. L’articolo 7 del progetto di legge n. 611 prevede quindi l’avvio in via sperimentale, nel primo anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge e per un biennio, di progetti di coordinamento dell’attività sportiva scolastica, individuati dal MIUR, eventualmente attraverso opportune intese con il CONI e con le federazioni sportive nazionali. I progetti – che si svolgono in ogni regione – sono volti a realizzare attività sportive che coinvolgano anche gli studenti disabili. L’articolo 9 del progetto di legge n. 576 quantifica in 15 milioni di euro l’onere derivante dallo svolgimento della pratica sportiva. Si prevede, altresì un onere, non quantificato, derivante dall’obbligo di insegnamento dei docenti «previsto dalla presente legge». Per la copertura finanziaria si fa riferimento, in entrambi i casi, ad una riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per il 2013, allo scopo utilizzando parzialmente l’accantonamento relativo al MIUR. La proposta di legge n. 611 prevede invece che dall’attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che, allo scopo, si utilizzano gli stanziamenti previsti a legislazione vigente a livello statale e regionale.

18 marzo Automatismi stipendiali alla Camera

Il 18 marzo l’Aula della Camera approva definitivamente il Disegno di Legge di conversione del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola, già approvato dal Senato.

L’11 ed il 13 marzo la 7a Commissione della Camera esamina il Disegno di Legge di conversione del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola, già approvato dal Senato.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),

esaminato, per le parti di competenza, il testo del disegno di legge C. 2157 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola, già approvato dal Senato;

considerata la necessità che, in analogia con quanto disposto a favore del restante personale della scuola dal presente decreto-legge, così come modificato dal Senato, si riconosca – in maniera tangibile – la non ripetibilità dei compensi erogati a fronte di prestazioni professionali già rese e già riconosciute da fondi negoziati per i dirigenti scolastici;

rilevata, altresì, l’opportunità di individuare rapidamente una soluzione per la situazione che si è determinata nella regione Toscana, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato relativa al concorso per dirigenti scolastici;

valutata inoltre l’opportunità di ricostituire i fondi per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF) da cui nel corso degli anni sono stati prelevati parte dei fondi per il pagamento degli scatti di anzianità;

valutata, infine, l’opportunità di ricostituire, per l’anno 2014, le risorse di cui all’autorizzazione di spesa prevista all’articolo 4 della legge 18 dicembre 1997, n. 440, concernente il Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi, ridotto di 38,87 milioni di euro, per il corrente esercizio finanziario, dal comma 3 dell’articolo 1-bis del provvedimento in esame, nonché di 20 milioni di euro dall’articolo 19, comma 1, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16;

esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti osservazioni:

a) si provveda, in analogia con quanto disposto dal presente disegno di legge, così come modificato dal Senato, a riconoscere – in maniera tangibile – anche ai dirigenti scolastici la non ripetibilità dei compensi erogati a fronte di prestazioni professionali già rese e già riconosciute da fondi negoziati;

b) si preveda di individuare rapidamente una soluzione per la situazione che si è determinata nella regione Toscana, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato relativa al concorso per dirigenti scolastici;

c) si valuti l’opportunità di ricostituire i fondi per il Miglioramento dell’offerta formativa (MOF) alla cifra iniziale di 1 miliardo e 400 milioni di euro;

d) si valuti altresì l’opportunità di ricostituire, per l’anno 2014, le risorse di cui all’autorizzazione di spesa prevista all’articolo 4 della legge 18 dicembre 1997, n. 440, concernente il Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi, ridotto di 38,87 milioni di euro, per il corrente esercizio finanziario, dal comma 3 dell’articolo 1-bis del provvedimento in esame, nonché di 20 milioni di euro dall’articolo 19, comma 1, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16.

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(7a Camera, 11.3.14) Simona Flavia MALPEZZI(PD), relatore, ricorda che il decreto-legge in esame, approvato, con modificazioni, dal Senato il 5 marzo 2014, e assegnato – in sede referente – all’XI Commissione della Camera, scade il 24 marzo 2014. Aggiunge che esso è stato emanato con lo scopo di risolvere la questione relativa al trattamento economico stipendiale del personale della scuola corrisposto nell’anno 2013, a tutela del principio dell’affidamento, nelle more della conclusione della specifica sessione negoziale intesa al riconoscimento dell’annualità 2012 avviata dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, consentendo, in via transitoria, la corresponsione del trattamento economico – già definito nel 2013 – in ragione dell’acquisita classe stipendiale per il personale della scuola ed evitando il recupero di somme già corrisposte, in virtù del conseguimento di un nuovo livello stipendiale, al personale scolastico e dallo stesso percepite in buona fede. Specifica come, inizialmente, solo l’articolo 1 del decreto-legge in esame – composto allora da due articoli, di cui il secondo recante l’entrata in vigore – interveniva su questo aspetto concernente le posizioni stipendiali e i trattamenti economici del personale scolastico. Essendo emersa – nel corso dell’esame del provvedimento presso l’altro ramo del Parlamento – una specifica esigenza relativa alle posizioni economiche del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) della scuola, al testo originario è stato aggiunto, per mezzo dell’approvazione di una proposta emendativa, l’articolo 1-bis, concernente appunto le posizioni economiche del personale ATA. Evidenzia come l’analisi tecnico-normativa annessa al provvedimento iniziale, atto Senato n. 1254, ci ricordi che, con l’entrata in vigore, in data 9 novembre 2013, del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, sia stato prorogato il blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali disposto dall’articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. Precisa che il predetto articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, al comma 1, aveva stabilito il blocco degli stipendi del personale pubblico per il triennio 2011-2013, incluso il personale scolastico statale e comunale, nonché il blocco delle progressioni economiche legate ai percorsi di carriera e, al comma 23, con specifico riferimento al personale scolastico, aveva previsto la non utilità, ai fini della progressione stipendiale, del triennio 2010-2012.
Osserva che l’articolo 1, comma 1, lettera a) del suddetto decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, ha quindi prorogato il blocco degli incrementi stipendiali dei dipendenti pubblici fino al 31 dicembre 2014, mentre, la lettera b) del medesimo articolo 1, comma 1, ha sancito il mancato riconoscimento per il personale scolastico dell’utilità 2013, ai fini della progressione di carriera e stipendiale. Sottolinea poi che l’analisi tecnico-normativa annessa al provvedimento rileva che, fino all’adozione del suddetto decreto presidenziale n. 122 del 2013, il personale della scuola aveva legittimamente maturato dieci mesi di anzianità (1o gennaio 2013- 9 novembre 2013), utili, per alcuni dipendenti, per il passaggio alla classe stipendiale successiva e al riconoscimento del relativo trattamento economico: l’emanazione del decreto-legge n. 3 del 2014 si è quindi resa necessaria per evitare di dover far retrocedere alla classe stipendiale inferiore i soggetti che, a seguito della maturazione dei dieci mesi di anzianità, erano passati a quella superiore e, conseguentemente, di dover procedere con il recupero delle maggiori somme a essi già corrisposte a decorrere dal 1o gennaio 2013. Andando a esaminare il dettaglio delle disposizioni del provvedimento in esame, ricorda che l’articolo 1, al comma 1, prevede che, nelle more della conclusione di una specifica sessione negoziale finalizzata al recupero dell’utilità dell’anno 2012, ai fini della maturazione dell’anzianità stipendiale, non siano adottati i provvedimenti di retrocessione a una classe stipendiale inferiore del personale scolastico interessato dalla predetta sessione negoziale che ne abbia acquisita una superiore nell’anno 2013, in virtù dell’anzianità economica attribuita nel medesimo anno. Non sono, inoltre, adottati i provvedimenti di recupero dei pagamenti già effettuati a partire dal 1o gennaio 2013, in esecuzione dell’acquisizione di una nuova classe stipendiale. Precisa che la disposizione ha validità fino al 30 giugno 2014 e resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, cioè il blocco per il personale della scuola della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici per il 2013. Aggiunge che il comma 2 del medesimo articolo 1 accantona, fino alla conclusione della sessione negoziale di cui al predetto comma 1, la somma di 120 milioni di euro a valere sulle somme iscritte nel conto dei residui sul Fondo del cosiddetto 30 per cento (ai sensi dell’articolo 64, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008). Di tale somma, 58,1 milioni di euro sono relativi a somme già corrisposte nell’anno 2013. Resta salva la facoltà di disporre delle predette somme con la sessione negoziale. Rileva poi che il comma 3, sempre dell’articolo 1, specifica che, in caso di mancata conclusione entro il 30 giugno 2014 della sessione negoziale di cui al comma 1, la somma di cui al comma 2 è versata all’entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all’erario. Il comma 4 del medesimo articolo 1 stabilisce, poi, che per il personale della scuola non trova applicazione, per l’anno 2014, il blocco degli incrementi stipendiali. Il comma 5 dell’articolo 1, infine, autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Sottolinea quindi che l’articolo 1-bis del testo in esame è invece intervenuto per risolvere una questione concernente il personale cosiddetto ATA, al quale – secondo quanto ricordato dalla relatrice del provvedimento presso il Senato, senatrice Puglisi, nella seduta della 7a Commissione di quel ramo del Parlamento del 18 febbraio 2014 – era stata richiesta la restituzione di somme per incarichi aggiuntivi svolti previa idonea formazione. La copertura finanziaria di questo articolo aggiuntivo – ha evidenziato la senatrice Puglisi – include l’anno scolastico in corso, evitando in tal modo, tanto la restituzione delle somme percepite dal personale ATA, quanto la possibile interruzione delle mansioni aggiuntive tutt’ora svolte. Precisa poi che, nello specifico, l’articolo 1-bis prevede che, in relazione alla specificità delle funzioni svolte dal personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) nell’ambito della scuola, per il personale ATA già destinatario negli anni scolastici 2011/2012, 2012/2013 e 2013/2014 delle posizioni economiche di cui alla sequenza contrattuale del 25 luglio 2008, è resa disponibile la somma di 38,87 milioni di euro per una specifica sessione negoziale finalizzata al riconoscimento di un emolumento una tantum avente carattere stipendiale e che, nelle more della conclusione della sessione negoziale di cui sopra e, comunque, non oltre il 30 giugno 2014, per il personale ATA interessato dalla predetta sessione non si provvede al recupero delle somme già corrisposte negli anni scolastici indicati in relazione all’attribuzione delle predette posizioni. Si dispone, infine, che, all’onere derivante da questa disposizione, pari a euro 38,87 milioni di euro, si provveda mediante corrispondente riduzione, per l’esercizio finanziario 2014, dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 4 della legge n. 440 del 1997, concernente il Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi. Rimanda, infine, alla documentazione predisposta dagli uffici per ulteriori approfondimenti sul provvedimento in esame, segnalando l’esigenza che appare necessario comprendere negli interventi normativi in discussione anche un riferimento alla situazione dei dirigenti scolastici, che risultano penalizzati da analoghi provvedimenti di riduzione stipendiale.

Il 5 marzo l’Aula del Senato, con 183 voti favorevoli e 56 astenuti, ha approvato il Disegno di Legge di conversione del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola. Il testo passa ora all’esame della Camera.

Il 29 gennaio, 4, 5, 11, 12, 18 e 27 febbraio la 7a Commissione del Senato esamina il DdL di conversione in legge del decreto-legge 23 gennaio 2014, n. 3, recante disposizioni temporanee e urgenti in materia di proroga degli automatismi stipendiali del personale della scuola

(7a Senato, 29.1.14) La relatrice PUGLISI (PD) illustra il provvedimento, sottolineando che esso ha l’intento di far chiarezza e rimediare ad un errore burocratico generato, a suo avviso, dal modo contraddittorio con cui si è normato negli anni, vessando il personale scolastico. Rammenta infatti che l’articolo 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010 ha disposto il blocco degli automatismi stipendiali per gli anni 2011, 2012 e 2013 per tutto il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni inserite nell’elenco ISTAT. Per questi anni dunque, la retribuzione del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche non poteva essere superiore a quello percepito nel 2010. Con riferimento al personale della scuola, il medesimo decreto-legge n. 78, all’articolo 9, comma 23, aveva previsto un blocco per gli anni 2010, 2011 e 2012, con una progressione temporale parzialmente diversa rispetto al resto dei dipendenti pubblici.

Il successivo decreto-legge n. 98 del 2011 ha disposto che il blocco poteva essere prorogato di un ulteriore anno con decreto del Presidente della Repubblica, cosa che poi è puntualmente accaduta con il decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 4 settembre 2013, che ha rappresentato a suo giudizio la vera causa della incresciosa vicenda relativa agli scatti della scuola. Precisa infatti che, mentre per tutto il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, il summenzionato decreto n. 122 del 2013 ha prorogato il blocco per un anno (2014) ancora da iniziare, per il personale della scuola il blocco ha avuto invece un effetto retroattivo, dal momento che riguardava l’anno 2013, non solo già iniziato ma addirittura quasi concluso, nel corso del quale il personale della scuola aveva percepito gli scatti del tutto legittimamente e in assoluta buona fede.

Ricorda inoltre che sullo schema di decreto, che poi è sfociato nel decreto n. 122, la Commissione era stata coinvolta in fase consultiva, ed aveva espresso osservazioni contrarie alla 1a Commissione, competente nel merito.

Non va poi dimenticato – prosegue la relatrice – che il decreto-legge n. 112 del 2008, disponendo una pesantissima opera di razionalizzazione della spesa scolastica, aveva disposto che il 30 per cento dei “cosiddetti” risparmi dovessero essere reinvestiti nella scuola. L’articolo 8, comma 14, del decreto-legge 78 del 2010 aveva quindi previsto che queste somme potessero essere utilizzate per il recupero degli scatti stipendiali bloccati e così è stato per il 2010 e il 2011. Ma già nel 2011, oltre ai risparmi il Ministero ha dovuto utilizzare in parte anche le risorse del Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF). Sottolinea infatti che, secondo la legge di stabilità 2012, le risorse da dedicare al recupero degli scatti possono essere anche aggiuntive rispetto al 30 per cento dei risparmi; in questo caso, devono essere individuate attraverso una apposita sessione negoziale, senza ulteriori oneri per lo Stato. Nel comunicare che è in corso la sessione negoziale per il 2012, rileva che per il 2013 al personale della scuola è stato intimato di restituire gli scatti percepiti.

Soffermandosi dunque sull’articolato, segnala che in base all’articolo 1 le somme percepite non devono essere restituite, ma vanno a compensazione di quanto sarà recuperato  per gli scatti 2012, a conclusione della suddetta sessione negoziale. Come ha spiegato il ministro Maria Chiara Carrozza durante una recente audizione svolta in Commissione e come previsto dal comma 2 dell’articolo 1 del decreto in esame, la copertura dei 120 milioni di euro necessari sarà anzitutto trovata dai residui del Fondo relativo al 30 per cento dei risparmi, di cui peraltro ella auspica una quantificazione, tenuto conto che tali risorse sono state già impiegate anche per altri scopi importanti, come ad esempio l’assunzione di docenti di sostegno. La relatrice puntualizza inoltre che laddove detto Fondo non sia sufficiente, come stabilito dai negoziati con le organizzazioni sindacali, le risorse saranno sottratte dai 463 milioni di euro accantonati dal MOF dell’anno scolastico 2013-2014.

Illustra poi il comma 3 dell’articolo 1, secondo cui dette disposizioni hanno validità fino al 30 giugno 2014; se la sessione negoziale non dovesse essere conclusa, la somma dovrà essere versata all’erario. Dà indi conto del comma 4, secondo cui per il 2014 per il personale della scuola non vige alcun blocco degli scatti stipendiali, nonché del comma 5, che autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Avviandosi alla conclusione, si augura che si apra presto una nuova stagione di discussione contrattuale in cui vengano affiancati, all’anzianità di servizio, anche nuovi criteri di progressione di carriera per il personale della scuola, basati sul vero riconoscimento del complesso lavoro svolto nell’ambito delle autonomie scolastiche. A tale scopo auspica altresì che venga gradualmente ripristinato il Fondo destinato alle scuole, non solo per il miglioramento dell’offerta formativa ma anche per aumentare la retribuzione di quel personale maggiormente impegnato nelle attività formative.

12 marzo “La svolta buona” in CdM

svolta

Il Consiglio dei ministri, nel corso della seduta del 12 marzo, approva il piano per il rilancio dell’economia, “La svolta buona“: prevista l’unità di missione per l’edilizia scolastica – attiva a Palazzo Chigi in collaborazione con il MIUR – che gestirà un fondo di 3,5 miliardi al quale potranno attingere Comuni e Province con procedure semplificate.

In apertura, il Consiglio dei Ministri ha approvato la relazione del Presidente, Matteo Renzi, sui provvedimenti che si attueranno in materia di riforme costituzionali e sugli interventi di politica economica inclusa la riduzione del carico fiscale.
In particolare, la relazione del Presidente del Consiglio, ha toccato le riforme economiche e per il lavoro, individuando misure che, nel rispetto del tetto del 3% del Pil fissato per l’indebitamento netto, possano garantire una strategia d’urto per la ripresa del Paese in termini di competitività e ripresa di domanda interna.
Tra le misure previste, la relazione approvata ha individuato in 10 miliardi di euro le risorse per consentire l’aumento della detrazione Irpef in busta paga ai lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone, dal 1° maggio  prossimo, per un ammontare di circa 1000 euro netti annui a persona. Gli atti tecnici e legislativi verranno approvati nelle prossime settimane. Relativamente alle imprese, inoltre, si intende rendere operativo il credito d’imposta definendo il decreto attuativo Mise-Mef, per 600 milioni in tre anni, arrivando a raddoppiare la cifra a disposizione.
Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha informato il Consiglio dei Ministri riguardo la bozza di disegno di legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione” proposta dal Ministro per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi. La proposta di disegno di legge verrà trasmessa a livelli istituzionali, leader politici e parti sociali come contributo per il confronto in merito. Il disegno di legge costituzionale  prevede la riforma costituzionale del Senato in una Assemblea delle Autonomie, composta da presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, nonché, per ciascuna Regione, da due membri eletti, con voto limitato, dai Consigli regionali tra i propri componenti, e da tre Sindaci eletti da una assemblea dei Sindaci della Regione. Il disegno prevede l’abolizione costituzionale delle Province, interviene sulla legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Iltesto è pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio.
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JOBS ACT
DECRETO LEGGE
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente e del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ha approvato un decreto legge contenente disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese.
Un provvedimento urgente che contiene, tra le altre cose,  interventi di semplificazione sul contratto a termine e sul contratto di apprendistato per renderli più coerenti con le esigenze attuali del contesto occupazionale e produttivo. Nello specifico:
Il contratto di lavoro a termine e il contratto di apprendistato
Per il contratto a termine viene prevista l’elevazione da 12 a 36 mesi della durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato per il quale non è richiesto il requisito della cosiddetta causalità, fissando il limite massimo del 20% per l’utilizzo dell’istituto. Viene inoltre prevista la possibilità di prorogare anche più volte il contratto a tempo determinato entro il limite dei tre anni, sempre che sussistano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa.
Per il contratto di apprendistato si prevede il ricorso alla forma scritta per il solo contratto e patto di prova (e non, come attualmente previsto, anche per il relativo piano formativo individuale) e l’eliminazione delle attuali previsioni secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo. È inoltre previsto che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento. Per il datore di lavoro viene eliminato l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale.
La smaterializzazione del DURC
Un ulteriore intervento di semplificazione riguarda la smaterializzazione del DURC, superando l’attuale sistema che impone ripetuti adempimenti burocratici alle imprese. Per dare un’idea della rilevanza del provvedimento, si ricorda che nel 2013 i DURC presentati sono stati circa 5 milioni.
DISEGNO DI LEGGE
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente e del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ha approvato, al tempo stesso, un disegno di legge delega al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, di semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro, di riordino delle forme contrattuali e di miglioramento della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita.
Delega in materia di ammortizzatori sociali
La delega ha lo scopo di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori che preveda, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale. Un sistema così delineato può consentire il coinvolgimento attivo di quanti sono espulsi dal mercato del lavoro o siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro. A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

rivedere i criteri di concessione ed utilizzo delle integrazioni salariali escludendo i casi di cessazione aziendale;semplificare le procedure burocratiche anche con la introduzione di meccanismi automatici di concessione;prevedere che l’accesso alla cassa integrazione possa avvenire solo a seguito di esaurimento di altre possibilità di riduzione dell’orario di lavoro;rivedere i limiti di durata, da legare ai singoli lavoratori;prevedere una maggiore compartecipazione ai costi da parte delle imprese utilizzatrici;prevedere una riduzione degli oneri contributivi ordinari e la loro rimodulazione tra i diversi settori in funzione dell’effettivo utilizzo;rimodulare l’ASpI omogeneizzando tra loro la disciplina ordinaria e quella breve;incrementare la durata massima dell’ASpI per i lavoratori con carriere contributive più significative;estendere l’applicazione dell’ASpI ai lavoratori con contratti di co.co.co., prevedendo in fase iniziale un periodo biennale di sperimentazione a risorse definite;introdurre massimali in relazione alla contribuzione figurativa;valutare la possibilità che, dopo l’ASpI, possa essere riconosciuta un’ulteriore prestazione in favore di soggetti con indicatore ISEE particolarmente ridotto;eliminare lo stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a prestazioni di carattere assistenziale.

Nell’esercizio di tale delega verranno individuati meccanismi volti ad assicurare il coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario di prestazioni di integrazione salariale, ovvero di misure di sostegno in caso di disoccupazione, al fine di favorirne lo svolgimento di attività in favore della comunità locale di appartenenza.
Delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive
La delega è finalizzata a garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché ad assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative. A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

razionalizzare gli incentivi all’assunzione già esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione;razionalizzare gli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità;istituire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un’Agenzia nazionale per l’impiego per la gestione integrata delle politiche attive e passive del lavoro, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome e vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. All’agenzia sarebbero attribuiti compiti gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI e vedrebbe il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali. Si prevedono meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’Inps, sia a livello centrale che a livello territoriale, così come meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;razionalizzare gli enti e le strutture, anche all’interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che operano in materia di ammortizzatori sociali, politiche attive e servizi per l’impiego allo scopo di evitare sovrapposizioni e garantire l’invarianza di spesa;  rafforzare e valorizzare l’integrazione pubblico/privato per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;mantenere il capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il ruolo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantite su tutto il territorio nazionale;mantenere in capo alle Regioni e Province autonome le competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro;favorire il coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro;valorizzare il sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate.

Delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti
La delega punta a conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese. A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

razionalizzare e semplificare le procedure e gli adempimenti connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del rapporto di carattere burocratico ed amministrativo;eliminare e semplificare, anche mediante norme di carattere interpretativo, le disposizioni interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali e amministrativi;unificare le comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi (es. infortuni sul lavoro) ponendo a carico delle stesse amministrazioni l’obbligo di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;promuovere le comunicazioni in via telematica e l’abolizione della tenuta di documenti cartacei;rivedere il regime delle sanzioni, valorizzando gli istituti di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita (a parità di costo);individuare modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere, anche in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere burocratico e amministrativo connesso con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino

Delega in materia di riordino delle forme contrattuali
La delega è finalizzata a rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché a riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto produttivo nazionale e internazionale.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il contesto occupazionale e produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di riordino delle medesime tipologie contrattuali;procedere alla redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, riordinate secondo quanto indicato alla lettera a), che possa anche prevedere l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti;introdurre, eventualmente anche in via sperimentale, il compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali; procedere all’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo organico di cui alla lettera b), al fine di assicurare certezza agli operatori, eliminando duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative.

Delega in materia di conciliazione dei tempi di lavoro con le esigenze genitoriali
La delega ha la finalità di contemperare i tempi di vita con i tempi di lavoro dei genitori. In particolare, l’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di evitare che le donne debbano essere costrette a scegliere fra avere dei figli oppure lavorare.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

introdurre a carattere universale l’indennità di maternità, quindi anche per le lavoratrici che versano contributi alla gestione separata;garantire, alle lavoratrici madri parasubordinate, il diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;abolire la detrazione per il coniuge a carico ed introdurre il tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare;incentivare accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e l’impiego di premi di produttività, per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti;favorire l’integrazione dell’offerta di servizi per la prima infanzia forniti dalle aziende nel sistema pubblico – privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione del loro utilizzo ottimale da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi.

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DEBITI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DISEGNO DI LEGGE
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente, Matteo Renzi, e del Ministro dell’Economia e Finanze, Pietro Carlo Padoan, ha avviato l’esame di un disegno di legge contenente norme per agevolare ulteriormente il rispetto della normativa europea sui temi di pagamento da parte della Pubblica amministrazione.
Il disegno di legge persegue tre scopi:

adeguare i tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni a quelli previsti dalla relativa direttiva europea;favorire la cessione del credito al sistema bancario;accelerare il pagamento dei debiti arretrati (già avviato nel 2013 con il pagamento di più di 22 miliardi ai creditori).

Adeguare i tempi di pagamento delle PPAA.
Nelle more dell’avvio della fatturazione elettronica, i creditori e le amministrazioni  comunicheranno i dati relativi alle fatture tramite la piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, consentendo allo Stato il monitoraggio del ciclo passivo delle PA. Tra gli obblighi per le amministrazioni: registrazione delle fatture pervenute; prospetto con l’importo pagato in ritardo nell’anno, da allegare al bilancio; incentivo legato agli obiettivi di finanza pubblica per chi rispetta i tempi di pagamento; sanzione (divieto di assunzione) per chi non rispetta i tempi di pagamento; certificazione del credito con risposta (pagare, certificare o rigettare) entro 30 giorni. Le fatture inviate in formato elettronico verranno poi instradate sulla piattaforma, senza ulteriori oneri per le imprese.
Favorire  la cessione dei crediti delle pubbliche amministrazioni.
Lo Stato offre una garanzia sui debiti di parte corrente delle Pubbliche amministrazioni al momento della cessione agli intermediari finanziarie. In particolare, i soggetti creditori possono cedere pro-soluto il credito certificato e assistito dalla garanzia dello Stato ad una banca o ad un intermediario finanziario, anche sulla base di apposite convenzioni quadro. Per i crediti assistiti dalla suddetta garanzia dello Stato non possono essere richiesti sconti superiori alla misura massima che sarà determinata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. La pubblica amministrazione debitrice diversa dallo Stato può chiedere, in caso di temporanee carenze di liquidità, una ridefinizione dei termini e delle condizioni di pagamento dei debiti, per una durata massima di 5 anni, rilasciando, a garanzia dell’operazione, delegazione di pagamento. La Cassa depositi e prestiti S.p.A, nonché istituzioni finanziarie dell’Unione Europea e internazionali, possono acquisire, dalle banche e dagli intermediari finanziari, sulla base di una convenzione quadro con l’Associazione Bancaria Italiana, i crediti assistiti dalla garanzia dello Stato, anche al fine di effettuare operazioni di ridefinizione dei termini e delle condizioni di pagamento dei relativi debiti, per una durata massima di 15 anni. L’intervento della Cassa depositi e prestiti S.p.A. può essere effettuato nei limiti di una dotazione finanziaria stabilita dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. medesima.
Accelerare i pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni.
Al fine di favorire il pagamento dello stock di debiti accumulato, si intende, infine:

concedere ulteriori anticipazioni di liquidità agli enti territoriali mediante un incremento del Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili istituito dal decreto-legge n. 35 del 2013,  consentendo il pagamento  da parte delle Regioni e degli enti locali di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2013, sia di parte corrente che di parte capitale;allentare i vincoli del patto di stabilità interno delle Regioni e degli enti locali al fine di consentire il  pagamenti di debiti di parte capitale al 31 dicembre 2013;destinare un fondo specifico per il finanziamento dei debiti degli enti locali nei confronti delle proprie società partecipate, con lo scopo di ridurre i debiti commerciali delle società partecipate stesse.rifinanziare il fondo per il ripiano dei debiti dei Ministeri.

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EMERGENZA ABITATIVA – DECRETO LEGGE

Il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del Presidente, Matteo Renzi, e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, un decreto legge per far fronte al disagio abitativo che interessa sempre più famiglie impoverite dalla crisi economica.

Il Piano Casa prevede interventi per 1 miliardo e 741 milioni di euro con tre obiettivi:
il sostegno all’affitto a canone concordato
l’ampliamento dell’offerta di alloggi popolari
lo sviluppo dell’edilizia residenziale sociale

Finanziamento dei fondi dedicati alle locazioni
Il primo obiettivo del decreto legge è fornire immediato sostegno economico alle categorie sociali meno abbienti che ad oggi non riescono più a pagare l’affitto. E proprio in risposta a tale emergenza è stato deciso di incrementare rispettivamente con 100 milioni il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione e 226 milioni  ilFondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli. Nello specifico:

Il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione che già aveva una dotazione di 100 milioni (50 per il 2014 e altri 50 per il 2015) verrà raddoppiato a 200 milioni (100 per il 2014 e 100 per il 2015).Il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli che già aveva una dotazione di 40 milioni di euro, è stato incrementato di 226 milioni ripartiti negli anni 2014-2020. Di fatto è stato reso strutturale.

Riduzione della cedolare secca per contratti a canone concordato
Per favorire l’immissione sul mercato degli alloggi sfitti si riduce dal 15 al 10%, per il quadriennio 2014-2017, l’aliquota della cedolare secca di cui si potrà usufruire anche in caso di abitazioni date in locazione a cooperative o a enti senza scopo di lucro, purché sublocate a studenti con rinuncia all’aggiornamento del canone di locazione o assegnazione

Modifiche della disciplina del Fondo per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione

Per attenuare le tensioni sul mercato delle locazioni (2,5 milioni di famiglie in affitto pagano un canone superiore al 40% del loro reddito) la norma prevede che le risorse del Fondo Affitto sono destinate anche alla creazione di strumenti a livello comunale (ad es. Agenzie locali) che svolgano una funzione di garanzia terza fra proprietario e affittuario:

per i mancati pagamenti del canone;per eventuali danni all’alloggio.

La norma prevede inoltre che le procedure previste per gli sfratti per morosità si applicano sempre alle locazioni di cui al presente comma, anche per quelle per finita locazione.

Misure per l’ampliamento dell’offerta di edilizia residenziale pubblica

Si prevede un Piano di recupero di immobili e alloggi di Edilizia residenziale pubblica (ex IACP) che beneficerà dello stanziamento di 400 milioni di euro con il quale finanziare la ristrutturazione con adeguamento energetico, impiantistico e antisismico di 12.000 alloggi.
Inoltre viene previsto un ulteriore finanziamento di 67,9 milioni di euro per recuperare ulteriori 2.300 alloggi destinati alle categorie sociali disagiate (reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro, nucleo familiare con persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, figli fiscalmente a carico e che risultino soggetti a procedure esecutive di rilascio per finita locazione)

Offerta di acquisto degli alloggi ex IACP agli inquilini

L’obiettivo è incrementare l’offerta di alloggi sociali anche attraverso attività di recupero, manutenzione e gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica senza consumo di nuovo suolo. Viene così prevista la conclusione di accordi con regioni ed enti locali per  favorire l’acquisto degli alloggi ex IACP da parte degli inquilini e destinare il ricavato al recupero alla realizzazione di nuovi alloggi
Per favorire l’acquisto degli alloggi da parte degli inquilini è prevista la costituzione di un Fondo destinato alla concessione di contributi in conto interessi su finanziamenti per l’acquisto degli alloggi ex IACP, che avrà una dotazione massima per ciascun anno dal 2015 al 2020 di 18,9 milioni di euro per un totale di 113,4 milioni.

Più vantaggi per chi abita in un alloggio di edilizia popolare

Si prevede che per gli anni 2014, 2015 e 2016 ai soggetti titolari di contratti di locazione di alloggi sociali adibiti a propria abitazione principale spetta una detrazione complessivamente pari a:

900 euro, se il reddito complessivo non supera i 15.493,71 euro;450 euro, se il reddito complessivo supera i 15.493,71 euro ma non supera i 30.987,41 euro.

Più vantaggi per chi mette in affitto alloggi sociali nuovi o ristrutturati

I redditi derivanti dalla locazione di alloggi nuovi o ristrutturati non concorrono alla formazione del reddito d’impresa ai fini IRPEF/IRES e IRAP nella misura del 40 per cento per un periodo non superiore a dieci anni dalla data di ultimazione dei lavori

Riscatto a termine dell’alloggio sociale

Trascorsi almeno 7 anni dalla stipula del contratto di locazione, l’inquilino ha facoltà di riscattare l’unità immobiliare. Con decreto MIT di concerto MEF, previa intesa Conferenza unificata, sono disciplinate le clausole standard dei contratti locativi e di futuro riscatto, ferma restando la validità dei contratti di locazione stipulati prima delle entrata in vigore del presente decreto
Chi acquista ha 2 vantaggi: 1) l’Iva dovuta dall’acquirente (che è incassata da chi vende per riversarla allo Stato) viene corrisposta solo al momento del riscatto e non all’inizio; 2) il reperimento del fabbisogno finanziario residuo per l’acquisto è rimandato al momento dell’atto di acquisto. Chi vende rimanda la tassazione IRES e IRAP sui corrispettivi delle cessioni alla data del riscatto

 

Lotta all’occupazione abusiva
Più rigore nei confronti di chi occupa abusivamente un immobile che non potrà chiedere né la residenza, né l’allacciamento ai pubblici servizi. Una norma che mira al ripristino delle situazioni di legalità che l’attuale quadro normativo non riesce a garantire.

Detrazione bonus mobili

La spesa per l’acquisto di mobili a seguito di ristrutturazione, su cui sono previste detrazioni Irpef potrà essere superiore a quella per la ristrutturazione stessa. Il tetto massimo per la spesa complessiva resta a 10mila euro.

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DISSESTO IDROGEOLOGICO  E EDILIZIA SCOLASTICA – STRUTTURE DI MISSIONE

Il Presidente del Consiglio ha informato il Consiglio dei Ministri di voler istituire presso la Presidenza del Consiglio due strutture di missione: per il dissesto idrogeologico e per l’edilizia scolastica.

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VIGILANZA BANCA D’ITALIA – DECRETO LEGGE
Il consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi e del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pietro Carlo Padoan, un decreto-legge volto a disciplinare le modalità con cui la Banca d’Italia possa avvalersi di soggetti terzi per gli accessi ispettivi e per le verifiche alla base delle informazioni che essa deve poter fornire alla Banca centrale europea per l’avvio dell’esercizio di valutazione approfondita, previsto dal Regolamento europeo n.1024 del 2013. L’esercizio è  essenziale per l’avvio del Meccanismo di vigilanza unico e la conseguente assunzione da parte della BCE dei compiti di vigilanza previsti dallo stesso Regolamento.

Edilizia scolastica (3 marzo 2014)

Edilizia scolastica: lettera di Renzi ai sindaci (3 marzo 2014)

Caro collega,

stiamo affrontando il momento più duro della crisi economica. Il più difficile dal punto di vista occupazionale. E un sindaco lo sa. Perché il disoccupato, il cassintegrato, il giovane rassegnato, il cinquantenne scoraggiato non si lamentano davanti a Palazzo Chigi: bussano alla porta del Comune. Voi Sindaci siete stati e siete sulla frontiera e paradossalmente lo avete fatto in un tempo di tagli senza precedenti. Grazie, a nome del Governo.

Ma dalla crisi non usciremo semplicemente con una ricetta economica, anche se fin dalla prossima settimana arriveranno i primi provvedimenti economici del nuovo Governo. No, dalla crisi si esce con una scommessa sul valore più grande che un Paese può incentivare: educazione, educazione, educazione.

Investire sull’educazione necessita naturalmente di un progetto ad ampio raggio, che parta dal recupero della dignità sociale delle insegnanti e degli insegnanti. Ci sarà modo per parlarne nel corso dei prossimi mesi. Ora la vostra e nostra priorità è l’edilizia scolastica. Nessun ragionamento sarà credibile finché la stabilità delle aule in cui i nostri figli passano tante ore della loro giornata non sarà considerata il cuore dell’azione amministrativa e di governo.

Non vi propongo un patto istituzionale, ma più semplicemente un metodo di lavoro. Vogliamo che il 2014 segni l’investimento più significativo mai fatto da un Governo centrale sull’edilizia scolastica. Stiamo lavorando per affrontare le assurde ricadute del patto di stabilità interno. Vi chiedo di scegliere all’interno del vostro Comune un edificio scolastico. Di inviarci entro il 15 marzo una nota molto sintetica sullo stato dell’arte. Non vi chiediamo progetti esecutivi o dettagliati: ci occorre – per il momento – l’indicazione della scuola, il valore dell’intervento, le modalità di finanziamento che avete previsto, la tempistica di realizzazione. Semplice e operativo come sanno essere i Sindaci.

Noi cercheremo nei successivi quindici giorni di individuare le strade per semplificare le procedure di gara, che come sapete sono spesso causa di lunghe attese burocratiche, e per liberare fondi dal computo del patto di stabilità interna.

Ma è fondamentale che nel giro di poche ore arrivino da voi – all’email sindaci@governo.it che abbiamo appositamente aperto – una sintetica nota sull’individuazione di un edificio scolastico – uno – che riteniate la priorità del Vostro comune.

Con il più caro augurio di buon lavoro,

Matteo Renzi