Il Prefetto per il CNPI

Il Prefetto per il CNPI

 

Senza alcuna plausibile motivazione, il Governo Monti aveva soppresso di fatto il CNPI, rifiutandosi di prorogare quello in carica e non impegnandosi a farne votare uno nuovo.

L’autunno scorso il Tar del Lazio aveva imposto al Miur il ripristino del CNPI entro 60 giorni, individuando, in caso di inadempienza, il prefetto di Roma quale commissario ad acta per  ricostituire il Consiglio e procedere a nuove elezioni.

Ora c’è anche la sentenza del Consiglio di Stato, sempre sfavorevole al MIUR, che ha continuato a collezionare brutte figure su un terreno minato, quello della partecipazione e della democrazia.

Riuscirà a decidere qualcosa il nuovo Ministro?

Aspetterà che il Prefetto di Roma si vada ad insediare a viale di Trastevere per riconvocare il vecchio Consiglio e bandire le nuove elezioni?

Lasciamo il Prefetto alle sue onerose e complesse problematiche quotidiane.

Una cosa così da poco un Ministero da solo la può fare, semplicemente occorra che qualcuno decida…

 

Il Presidente Nazionale

Gregorio Iannaccone

Arrivano i “nuovi” ispettori

Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna

Arrivano i “nuovi” ispettori

 

Una buona notizia per la scuola regionale: in questi giorni prendono servizio presso l’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia-Romagna quattro neo dirigenti tecnici (una volta si chiamavano “ispettori”), con compiti di promozione culturale, verifica e consulenza alle scuole. Si tratta di Paolo Davoli, Maurizia Migliori, Claudio Bergianti, Francesco Orlando, già dirigenti scolastici nelle scuole di Modena e Bologna, che sono risultati vincitori di un impegnativo concorso emanato qualche anno fa dal MIUR e che ora sono stati assegnati come sede proprio alla nostra regione.

I quattro neo ispettori affiancano così i tre ispettori attuali (Giancarlo Cerini, Luciano Rondanini, Agostina Melucci) che per carenza di organici svolgono contemporaneamente funzioni tecniche e amministrative. Si configura così un nucleo ispettivo regionale che potrà interagire con le scuole per fornire assistenza tecnica, supporto all’innovazione didattica e alla gestione, ad esempio nel campo della formazione degli insegnanti. Potrà anche intervenire, in caso di situazioni critiche, conflitti, contenziosi, ma su incarico del Direttore regionale.

“Non siamo in presenza della antiquata e temuta figura dell’ispettore” – precisa Giancarlo Cerini, decano degli ispettori emiliano-romagnoli e coordinatore del servizio ispettivo regionale – “ma di una moderna figura di dirigente pubblico che deve vigilare sulla qualità della scuola e del suo personale”. Oggi l’ispettore è un vero e proprio “network leader” che svolge un’importante funzione di garanzia dell’efficacia del servizio di istruzione. “Il potenziamento del corpo ispettivo” – ricorda il Vice Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna – “è uno dei primi frutti dell’entrata in vigore del nuovo Sistema Nazionale di Valutazione (D.p.r. 80/2013) che prevede forme di autovalutazione e di valutazione esterna delle scuole”.

Così capiterà meno raramente di incontrare nelle nostre scuole un “ispettore” senza che necessariamente sia capitato il classico incidente di percorso, ma perché ci sono lavori in corso per il miglioramento continuo del servizio scolastico e la presenza di un “amico critico” può essere di stimolo al cambiamento.

Servono interventi urgenti per rilancio

Scuola, Mascolo (Ugl):
“Servono interventi urgenti per rilancio”
“Servono interventi urgenti e concreti per affrontare e risolvere le tante criticità della scuola italiana”.
Così il segretario nazionale dell’Ugl Scuola, Giuseppe Mascolo, all’indomani della manifestazione che si è tenuta a Reggio Calabria, nell’ambito della mobilitazione indetta a livello nazionale, alla quale hanno preso parte anche le rsu e gli iscritti della Federazione.
“Solo con l’avvio concreto – continua il sindacalista – di un piano di stabilizzazione dei precari, con copertura di tutti i posti vacanti in organico di diritto, di investimenti per il funzionamento delle scuole, di reclutamento e di determinazione degli organici, potremo fornire a studenti e famiglie un servizio di qualità. Inoltre, riteniamo necessario rivedere il sistema di attribuzione dei progetti, rafforzando il ruolo delle rsu, restituendo centralità al ruolo dei docenti ed alla scuola pubblica italiana”.
“L’Ugl Scuola – conclude – ha più volte sollecitato lo sblocco dei rinnovi contrattuali e degli scatti stipendiali, ribadendo anche forte preoccupazione per la difficile situazione che sta vivendo il personale Ata e per la paradossale vicenda del pagamento delle ferie non godute del personale docente”.

Il Consiglio di Stato affonda il concorso a dirigenti della Toscana

Reclutamento dirigenti

Il Consiglio di Stato affonda il concorso a dirigenti della Toscana

Con sentenza del 3 marzo, il Consiglio di Stato (sezione VI) ha parzialmente accolto il ricorso di alcuni concorrenti avverso la composizione della commissione che ha portato a termine il concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici della regione Toscana.
Ad essere dichiarata illegittima è la sostituzione di un componente, avvenuta nel corso della correzione delle prove scritte. Di conseguenza, sono state annullate tutte le operazioni compiute a valle di quel momento.
La conseguenza è l’ennesimo pasticcio: l’esito di parte delle prove scritte è stato convalidato, quello delle altre no. E tutto il colloquio è da rifare. Sarà necessario “rendere anonimi” i soli elaborati la cui correzione è stata compiuta dalla Commissione nella sua composizione censurata e poi procedere ad una seconda correzione. Al termine, tutti i candidati ammessi dovranno sostenere di nuovo il colloquio.
Ancora una volta, l’approssimazione nella conduzione del concorso da parte degli uffici periferici e la sovrana indifferenza delle pronunce giurisdizionali per le proprie conseguenze gettano nel caos le scuole di una delle regioni più importanti del Paese. Oltre cento candidati tornano al punto di partenza, o quasi: le loro scuole si trovano da un momento all’altro prive di dirigenti e tutti gli atti da loro compiuti rischiano di essere annullati.
E’ uno scenario che abbiamo già visto, per esempio in Sicilia. Proprio dal caso siciliano viene anche l’indicazione della via da seguire: un provvedimento urgente che faccia salvi gli effetti giuridici degli atti compiuti finora dai dirigenti interessati e la loro permanenza pro tempore nell’incarico fino al compiuto rinnovamento delle prove concorsuali.
Anp esprime la propria solidarietà ai colleghi che si trovano senza colpa a subire le conseguenze di questa ennesima prova della confusione in cui versa la macchina amministrativa. Dichiariamo fin d’ora l’impegno per addivenire il più rapidamente possibile ad una soluzione del caso, che noi indichiamo fin d’ora nella replica del modello siciliano (o in altro provvedimento equivalente). In ogni caso, devono essere fatti salvi gli interessi di terzi e delle scuole, oltre che quelli dei diretti protagonisti.
Vi terremo informati degli sviluppi, che ci auguriamo maturino in tempi brevi.

Renzi chiede ai sindaci info che il Miur ha già

da ItaliaOggi

Renzi chiede ai sindaci info che il Miur ha già

Emanuela Micucci

L’edilizia scolastica passa attraverso lo scambio epistolare tra il presidente del consiglio Matteo Renzi e gli 8 mila tra sindaci e presidenti delle province, a cui il premier ha scritto per conoscere le condizioni dell’edilizia scolatica. Ma le informazioni che si cercano a mezzo lettera, il Miur già le possiede, anche se a volte incomplete. L’anagrafe dell’edilizia scolastica, nata nel 1996, proprio censire il patrimonio scolastico e il suo stato di conservazione utilizza i dati forniti da comuni e province a cui ora Renzi chiede le stesse informazioni. Non solo. Il mese scorso l’ex ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza ha dato il via alla riforma dell’anagrafe creando il Sistema nazionale delle anagrafi dell’edilizia scolastica (Snaes), costruito sulla base delle anagrafi regionali, quelle che 11 regioni già si erano date. Un’esigenza nata perché l’anagrafe nazionale non decollava, tanto che l’assenza di dati ufficiali e completi determinava balletti di cifre anche sul numero degli edifici scolastici: per l’Istat 49.990, mentre la commissione cultura della Camera ne conta 42mila. O discrepanze tra i 10mila edifici che andrebbero abbattuti e le circa 7.000 richieste di messa in sicurezza immediata per situazioni di pericolo accertato individuate, nel 2012, dalla commissione tecnica Miur-Mit-Anci-Unce a seguito di 43mila sopralluoghi.​

Il ministero rischia la paralisi

da ItaliaOggi

Il ministero rischia la paralisi

Senza il Cnpi, concorsi e trasferimenti nel pantano . Dopo il Consiglio di stato, urge una decisione. Rispunta la riforma degli organi collegiali

Giorgio Candeloro

Sconfitta anche in appello per il Miur. Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar del Lazio con la quale i giudici amministrativi, accogliendo un ricorso della Flc-Cgil, avevano sanzionato il ministero dell’istruzione, obbligandolo di fatto a resuscitare il Cnpi, soppresso alla fine del 2012 dal governo Monti.

Istituito nel lontano 1974 dai decreti delegati come organismo di vertice del sistema di rappresentanza del mondo della scuola, il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, presieduto dal ministro, è composto in gran parte da consiglieri eletti dalle varie categorie del personale scolastico; esso formula sia pareri facoltativi che obbligatori e, soprattutto, si esprime su questioni delicate e importanti come la definizione del calendario scolastico, le procedure concorsuali e di valutazione dei titoli degli insegnanti, le utilizzazioni e i trasferimenti, le attribuzioni di punteggio ai precari.

Nell’ottobre scorso un ricorso di parte sindacale era stato accolto dai giudici del Tar del Lazio che avevano obbligato il Miur a ripristinare entro 60 giorni la funzionalità del Cnpi, individuando, in caso di inadempienza, nel prefetto di Roma il commissario ad acta autorizzato a ricostituire il Consiglio e a procedere ad elezioni e nomine.

Evidentemente infastidita da una sentenza che aveva tra gli effetti collaterali quello di mettere in discussione la legittimità di alcuni suoi atti, come l’avvio della sperimentazione della riduzione di un anno delle superiori, proprio per il mancato avallo del soppresso ma resuscitato Cnpi, l’ex ministro, Maria Chiara Carrozza, aveva preferito la strada del ricorso al Consiglio di Stato a quella del recepimento della sentenza del Tar.

Al di là del merito stretto del ricorso del Miur, secondo il quale l’esistenza del Cnpi sarebbe stata in contrasto con la nuova ripartizione federalista delle competenze tra Stato e Regioni prevista dalla riforma del titolo V della Costituzione, è evidente che dalle parti di viale Trastevere si voleva evitare sul piano politico la rinascita di un organismo assembleare di controllo sugli atti amministrativi del ministero.

La sconfitta però è stata totale: i giudici del Consiglio di Stato non hanno rilevato alcun contrasto tra l’esistenza del Cnpi e le norme federaliste e hanno duramente bacchettato il Miur sostenendo che questo non può in nessun modo rifiutarsi di applicare una norma legislativa sostenendone l’incostituzionalità, essendo questo compito fondamentale ed esclusivo della sola Corte Costituzionale.

Mentre la Flc canta vittoria, chiedendo l’immediato ripristino operativo del Cnpi e l’indizione delle elezioni per rinnovarne le varie categorie di componenti, la patata bollente passa ora nelle mani del nuovo ministro Stefania Giannini, che si troverà di fronte alla necessità di operare delle scelte.

Per il neoministro non è possibile infatti non decidere. Da un lato potrebbe limitarsi a recepire la sentenza, tenendo in piedi un organismo vecchio, residuo di un’altra e lontana stagione politica e culturale, puntando a minimizzarne l’efficacia sul processo di controllo e tentando di limitarne l’impatto sul terreno delle scelte didattiche e ordinamentali. Ma potrebbe anche scegliere di utilizzare il pasticcio sul Cnpi come una buona occasione per svecchiare e riformare a fondo il sistema della rappresentanza nella scuola, magari avviando un confronto con tutti i soggetti interessati, per arrivare a una complessiva revisione degli organi collegiali scolastici, ormai palesemente inadeguati alle esigenze della nuova scuola dell’autonomia. Quello che è certo è che una decisione va presa e in fretta, per evitare che il ministero non possa più firmare legittimamente una serie abbastazna ampia di atti, dalle procedure concorsuali ai trasferimenti. Un rischio di paralisi che sarebbe difficile imputare ad errori della burocrazia.

Il gran ginepraio della sicurezza

da ItaliaOggi

Il gran ginepraio della sicurezza

Renzi chiede ai sindaci di indicare una scuola da salvare, il governo dirà che cosa fare. Fondi scarsi e incerti. Intanto si procede con le proroghe

Alessandra Ricciardi

Procedure lente, competenze non chiare, fondi che prima si annunciano e poi, fatta la programmazione dell’intervento, si scopre non esistono più. Questo ed altro è quanto succede per gli interventi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. Una situazione talmente caotica che non esistono neanche stime univoche sul numero di interventi di fare e sui fondi necessari.

Il dossier con cui il premier Matteo Renzi ha deciso di inaugurare il suo mandato è un vero ginepraio: ad oggi manca anche l’anagrafe completa degli edifici e del loro stato di salute. «Vogliamo che il 2014 segni l’investimento più significativo mai fatto sull’edilizia scolastica», ha scritto Renzi nella lettera ai sindaci d’Italia, invitati a scegliere un edificio scolastico del proprio comune da salvare e a segnalarlo al governo entro il 15 marzo. «Noi cercheremo nei successivi quindici giorni di individuare le strade per semplificare le procedure di gara e per liberare fondi dal computo del patto di stabilità interna», assicura Renzi. Intanto il consiglio dei ministri ha varato, nel primo decreto legge omnibus dell’esecutivo Renzi, due proroghe per la scuola: quella per i lavoratori socialmente utili a cui sono assegnati i contratti di pulizie degli istituti: prorogati di un mese, il Miur ha già comunicato, con una nota del 28 febbraio, alle direzioni scolastiche regionali l’invio dei finanziamenti necessari prelevati dal fondo per il funzionamento scolastico. In attesa di trovare una soluzione a regime sul fronte delle esternalizzazioni dei servizi, una soluzione che vede in questi giorni al lavoro gli staff dei dicasteri dell’Istruzione e del Lavoro e che dovrebbe essere articolata attraverso attività di riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori in esubero. E poi la proroga per gli appalti per la messa in sicurezza degli edifici scolastici sul fronte del rischio amianto: le gare potranno tenersi entro fine aprile, 150 i milioni di euro disponibili, al 27 febbraio risultavano affidati soltanto 207 interventi per un totale di 35,7 milioni di euro.

Anche questa una misura tampone in attesa del gran piano per l’edilizia. La protezione civile di Guido Bertolaso, su richiesta del parlamento, stimò in 13 miliardi lo stanziamento minimo necessario per rendere sicure le 43 mila sedi scolastiche. Di queste, il 70% ha più di 30 anni di vita. Il sottosegretario alle infrastrutture, Erasmo D’Angelis, nel corso dell’indagine alla camera dei deputati di questa legislatura ha indicato in 100 anni il tempo necessario per realizzare, con l’attuale ritmo, tutti gli interventi necessari.

Ora il ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, parla di un piano straordinario di 4 miliardi, realizzato agendo sul fronte dei mutui garantiti da cassa depositi e prestiti e lo sblocco dei fondi disponibili nelle casse di alcuni enti locali. Sarebbero 5 i miliardi di euro, secondo l’Ance, resi inservibili dai paletti del patto di Stabilità interno. Ma al di là del canale di finanziamento, andrà disboscata la selva di norme che spesso ha reso difficile l’accesso ai finanziamenti. Oltre, ovviamente, a dare certezza alle coperture finanziarie, vista l’esperienza del governo Berlusconi.

Pensioni, scoperta shock del prof: non c’è traccia di contributi negli anni Settanta e Ottanta

da Il Sole 24 Ore

Pensioni, scoperta shock  del     prof: non c’è traccia di  contributi  negli  anni Settanta e Ottanta   

di Silvia Sperandio

I contributi previdenziali del prof?  Non ve n’è traccia nei terminali dell’Inps.     Punto e basta. Una   scoperta shock, quella fatta da alcuni  insegnanti della provincia di Milano che – visto  l’approssimarsi della pensione         – si sono recati  agli sportelli dell’Istituto di previdenza  per farsi fare i conteggi globali dei versamenti. Risultato? Zero contributi  per alcune  supplenze  effettuate   all’inizio della carriera    presso    scuole pubbliche dell’area metropolitana.      Supplenze temporanee (per periodi brevi ma anche incarichi annuali)  effettuate in periodi lontani nel tempo:   in particolare tra l’inizio degli anni Settanta e  il 1987.  Il caso, a Milano,   «interessa centinaia di docenti»,  conferma il direttore scolastico provinciale, Giuseppe Petralia, ma il numero «potrebbe lievitare nei prossimi mesi, quando altri docenti si troveranno a fare i calcoli in vista del pensionamento».   In ogni caso, tiene a precisare l’ex provveditore, «il  problema va ben oltre la dimensione locale: si tratta di una questione nazionale che dunque può riguardare un numero ben più ampio di docenti».

Cgil: «buchi contributivi, anche consistenti» A lanciare l’allarme è stata la a Cgil di Milano che – basandosi su segnalazioni pervenute direttamente al sindacato e sui dati del patronato Inca Cgil – ha rilevato un preoccupante crescendo di casi in provincia di Milano. «Abbiamo riscontrato buchi contributivi, anche consistenti, relativi al  periodo compreso tra il 1970 e il 1987», spiega Caterina Spina, segretaria generale Flc Cgil di Milano. Il problema «è stato subito segnalato all’Ufficio scolastico regionale, e l’ex provveditorato  ha riconosciuto effettive  difficoltà a trovare  la copertura contributiva. Ora il fenomeno è in crescita, urge una soluzione», incalza Spina.

C’è chi per andare in pensione deve pagare di tasca sua i contributi La casistica è varia, ma il leitmotiv è lo stesso. Tra i prof  che si sono trovati in difficoltà  c’è ad esempio chi è già in pensione, e ha riscattato – pagando di tasca sua  – più di un anno di contributi che non risultano all’Inps,  e insegnanti che hanno presentato  la domanda di pensionamento tre o quatto anni fa  ma  sono ancora in attesa della pensione:  nessuna erogazione dall’Inps  a causa di  “buchi” riscontrati nel ’78 e ’79,  non giustificati dall’amministrazione.

L’ex provveditorato: presto un tavolo con l’Inps «Il problema esiste, sappiamo che è urgente e stiamo cercando di risolverlo: abbiamo già chiesto un incontro con l’Inps», dichiara il direttore dell’Ufficio scolastico provinciale Giuseppe Petralia, tra l’altro prossimo alla pensione, raccontando che già centinaia  di insegnanti  si sono recati all’ex Provveditorato per chiedere conto dei loro versamenti Inps attestati dal modello «01 M». «Si tratta, nella maggior parte, di docenti che oggi sono di  ruolo, ma  che hanno cominciato la loro carriera scolastica  facendo supplenze nelle scuole, anche con incarichi annuali». E sono in molti  anche gli insegnanti che si rivolgono alle segreterie delle scuole milanesi dove hanno lavorato in passato, per chiedere che vengano loro rilasciati gli attestati di servizio e i modelli “01 M”  che attestano i versamenti  all’Inps. Secondo l’Ufficio scolastico provinciale, inoltre, «è  scontato il pagamento dei contributi da parte delle scuole». In ogni caso, il consiglio  rivolto ai docenti è  quello di  controllare prima possibile la propria situazione  previdenziale:  in caso di «buchi» contributivi è necessario dotarsi dei  certificati di servizio, o dei cedolini che attestano i versamenti delle scuole,  prima di andare nuovamente agli sportelli Inps.

Inps di Milano: verificare innanzitutto l’entità del fenomeno Secondo i vertici dell’Istituto nazionale di previdenza di Milano, c’è innanzitutto l’esigenza di fare una verifica per capire l’entità e la consistenza di questo fenomeno:  se la questione dovesse riguardare i contributi versati fino al 1987, per le cosiddette supplenze brevi, si tratterebbe di versamenti che rientrano nella gestione previdenziale privata (Ago, assicurazione generale obbligatoria) dell’Inps. Contributi  per i quali – tra l’altro – scatta la precrizione dopo un periodo di dieci anni. Infatti,  fino al 1987, i contributi degli insegnanti per le supplenze brevi venivano versati direttamente all’Inps, poi queste pratiche sono divenute di competenza dell’Inpdap. Intanto, l’Inps conferma che  è in programma a breve un tavolo con  l’Ufficio provinciale scolastico di Milano, nel corso del quale verrà affrontato questo  tema.

Renzi: “Scuola al centro”. Ma un decreto dell’era Tremonti dimezza le risorse

da Il Fatto Quotidiano

Renzi: “Scuola al centro”. Ma un decreto dell’era Tremonti dimezza le risorse

Il neopremier annuncia un piano straordinario, ma intanto arriva l’onda lunga dei tagli passati. La storia: le elementari di Songavazzo (Bergamo) si sono ritrovate da un momento all’altro con il budget ridotto da 45 a 23mila euro. E ora i corsi d’inglese li proseguono docenti non retribuiti

di Lorenzo Vendemiale

Matteo Renzi ha intenzione di mettere la scuola al centro del programma di ripresa del Paese. È stato uno dei passaggi chiave del suo discorso di fiducia alle Camere, in cui ha annunciato anche un piano per l’edilizia scolastica. Intanto, però, in alcune scuole italiane gli ennesimi tagli ai fondi d’istituto mettono a repentaglio gli stessi corsi didattici. Succede, ad esempio, a Songavazzo, un piccolo paese di montagna in provincia di Bergamo. Un Comune che conta meno di mille abitanti, e che negli ultimi anni ha dovuto fare i salti mortali per incrementare il numero di studenti della propria scuola dell’infanzia, per evitare la soppressione. Missione compiuta grazie agli sforzi del preside e dell’assessore all’istruzione locale, che hanno arricchito l’offerta formativa con alcuni corsi di eccellenza e portato il numero di iscritti da 37 nel 2009 a 51 nel 2013, record di sempre nella storia dell’istituto.

Negli ultimi giorni, però, sulla scuola elementare di Songavazzo si è abbattuta la scure dei tagli ai fondi d’istituto: dal Ministero è arrivata la notizia del dimezzamento delle risorse per l’anno scolastico 2013/2014. E il preside si è visto costretto a comunicare agli studenti l’interruzione forzata dei corsi d’inglese, causa l’impossibilità di continuare a pagare i docenti. A raccontare la vicenda al fattoquotidiano.it è Stefano Salvoldelli, assessore all’istruzione del Comune: “L’estate scorsa il dirigente scolastico, il professor Belingheri, aveva chiesto al Miur un’indicazione orientativa del budget di cui avrebbe potuto disporre. Non avendo ricevuto risposta aveva fatto una stima molto prudente e si era regolato di conseguenza. Ma era davvero impossibile pensare ad una riduzione così netta: siamo passati da 45mila a 23mila euro, praticamente la metà. E così ci siamo trovati di fronte all’obbligo di interrompere i corsi a metà anno. Una cosa mai successa prima”.

I tagli che colpiscono l’istituto di Songavazzo (come tutte le altre scuole italiane) non sono in realtà una decisione dell’ultimo governo Letta, ma solo un’applicazione del decreto legge Tremonti del 2010: il risultato è una riduzione complessiva di 44 milioni di euro dei fondi per il Miglioramento dell’offerta formativa nel 2013/2014. Con quest’ulteriore decurtazione, però, il budget a disposizione dei dirigenti scolastici in alcuni casi si riduce al di sotto della soglia di sussistenza. “Cinque anni fa – spiega l’assessore –avevamo 85mila euro, ora siamo scesi a 20mila. Al di là della nostra situazione specifica, sono numeri che dimostrano quanto conti poco l’istruzione in Italia”.

La reazione nel paesino bergamasco è stata prima di sdegno, poi di ribellione: i corsi di avviamento all’inglese per bambini fra i 5-6 anni (come anche quello di musicoterapia per alunni disabili) non moriranno. Merito di alcuni docenti, che hanno dato la propria disponibilità a proseguire l’insegnamento anche senza retribuzione, e di un gruppo di volontari che coprirà il resto delle ore. Almeno fino a giugno, dunque, l’offerta formativa è garantita. “Resta però l’umiliazione di essere rimasti senza soldi a metà anno”, conclude Savoldelli. “Abbiamo trovato una soluzione ma è solo temporanea: l’istruzione non può essere affidata al volontariato. La scuola pubblica non è la Croce rossa. E non sappiamo cosa succederà l’anno prossimo”. Anche a queste domande dovrà dare una risposta il governo Renzi, se davvero vuole rilanciare la scuola italiana.

Scuola, tempo di pagelle «Finiamola con i voti»

da Corriere della Sera

L’APPELLO

Scuola, tempo di pagelle «Finiamola con i voti»

«Applicare valutazioni restrittive che delimitano una fascia d’uso è impugnabile a norma di legge»

E’ tempo di pagelle. Mi auguro che il nuovo ministro della Pubblica Istruzione voglia cancellare per sempre la valutazione  numerica quantitativa in uso nella scuola dell’obbligo. Era stata sostituita qualche anno fa dalla valutazione qualitativa più giusta e più rispettosa delle caratteristiche personali di ciascun alunno. Certo, un numero è più  semplice da scrivere mentre un giudizio è molto più impegnativo. Ma quanti problemi crea la valutazione numerica  rispetto ad una valutazione che tenga conto della giustizia distributiva e del rispetto del singolo bambino! Per esempio: un 6 e mezzo come si riporta in pagella? Come un sei o come un sette? Un giudice applicherebbe il principio in dubio pro reo e darebbe un sette. L’insegnante, invece, dà un sei. Il voto numerico è ingiusto perché non indica i punti deboli dell’apprendimento dello scolaro. Due voti uguali in  due alunni diversi possono indicare difficoltà differenti e pertanto non sono da mettersi sullo stesso piano.

Un conto è correggere la forma, altra cosa è intervenire sul contenuto, ecc… La valutazione numerica crea delle scelte valutative da parte degli insegnanti che restringono la gamma dei voti a  disposizione in una fascia definita in precedenza: il dieci si dà a Dante Alighieri, gli scolari partano dal nove. No! La valutazione è decimale. Applicare valutazioni restrittive che delimitano una fascia d’uso è  impugnabile a norma di legge.  Senza dire che la valutazione globale sintetica scritta alla fine della scheda si limita agli aggettivi:  insufficiente, sufficiente, buono, distinto, ottimo, cioè ancora ad una etichettatura limitativa come tutti gli  stereotipi. Ma la conseguenza più grave è che la valutazione sommativa esime l’insegnante dalla responsabilità del non  apprendimento dell’alunno che è sempre ascritto alla sua scarsa intelligenza, alla mancanza di applicazione, alla  insufficiente motivazione, a problemi psicologici indefiniti.  I genitori sono i clienti e gli alunni sono gli utenti. Mi chiedo perché non si ribellino a questa ingiustizia alla quale spero che il prossimo ministro della Pubblica Istruzione metta riparo ampliando il dibattito anche in chiave europea  guardando un po’ come fanno gli altri.

Alfio Centin e Cinzia Mion

Da giugno fatture elettroniche obbligatorie a scuola

da Corriere della Sera

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE & AGENDA DIGITALE

Da giugno fatture elettroniche obbligatorie a scuola

Ma negli istituti nessuno sa nulla di come ci si dovrà comportare

Dal  6 giugno sarà obbligatoria anche per le scuole la fatturazione elettronica, come per tutta la pubblica amministrazione. Alle prese con le pagelle digitali e con il registro elettronico, molti degli istituti scolastici sono all’oscuro e ignorano l’obbligo che li aspetta.

Ma l’elenco di enti a cui fa riferimento la legge sulla fatturazione elettronica è «quello delle Pubbliche Amministrazioni pubblicato (e aggiornato) dall’Istat nell’ottobre 2013» e in questo rientrano le scuole, «in quanto  emanazione del Ministero e, quindi, soggette all’obbligo di Fatturazione Elettronica a partire dal 6 giugno 2014» ,  scrive Paolo Catti responsabile Ricerca Osservatorio Mobile & Wireless Business School of Management Politecnico di Milano: «Non saranno allora solo poche decine le pubbliche amministrazioni che partiranno a giugno, ma oltre 10.000 soggetti. Più o meno una dimensione analoga a quella delle pubbliche amministrazioni locali».

I DATI – «Da una prima indagine a campione, non statisticamente significativa, effettuata coinvolgendo un limitato numero di istituzioni scolastiche scelte casualmente tra tutte quelle attive nel nostro Paese, non emerge, però una spiccata consapevolezza sulla scadenza del 6 giugno 2014, tra poco piu’ di tre mesi», spiega Catti. In primo luogo, spiega il responsabile di ricerca del Polimi, «le stesse scuole spesso non si percepiscono come pubblica amministrazione centrale e quindi non reputano di essere coinvolte in questa prima tranche. In altri casi, le amministrazioni dichiarano di sapere che cambierà qualcosa, ma non sanno bene cosa, e demandano a future soluzioni “chiavi in mano”, attese direttamente dal Ministero, la gestione dell’obbligo di fatturazione elettronica cui saranno soggette». «Altri casi ancora -continua Catti- ritengono di avere gia’ rapporti di fatturazione elettronica attivi e funzionanti, in quanto ricevono dai fornitori fatture in pdf allegate alle email».

Dagli alunni ai prof in crisi, vademecum per Renzi e Giannini sui mali della scuola

da Repubblica.it

Dagli alunni ai prof in crisi, vademecum per Renzi e Giannini sui mali della scuola

Voce per voce le principali emergenze che il governo soi trova ad affrontare subito per provare – come ha promesso – a fare dell’Istruzione il volano del Paese

di SALVO INTRAVAIA

Matteo Renzi ha messo al centro del suo mandato la scuola, come leva strategica per fare ripartire il Paese. Nel corso dei due discorsi alla Camera e al Senato in occasione del voto di fiducia al nuovo governo, il premier ha più volte citato la scuola e gli insegnanti. E, qualche ora dopo l suo incarico, anche la neoministra Stefania Giannini ha fatto sentire la sua voce con diversi interventi. Ma quale scuola ereditano Renzi e il suo governo? Cosa sarà realmente possibile fare per migliorare la situazione in cui operano insegnanti e alunni?
Edilizia scolastica. Il primo punto che intende toccare il nuovo governo è quello dell’edilizia scolastica: 36mila edifici scolastici mezzi sgarrupati e con incidenti, anche di una certa gravità, quotidiani. Il Piano prevede di spendere almeno i 2,5 miliardi di euro già stanziati dal 2004 ma non ancora spesi. E, secondo la Giannini, si potrebbe arrivare anche a 4 miliardi sfruttando i fondi già disponibili, ma bloccati dal patto di stabilità, in tantissimi comuni.
Dispersione scolastica. E’ una delle emergenze più gravi del sistema scolastico italiano. L’Italia è uno dei paesi europei con la maggiore dispersione scolastica. I cosiddetti early school leavers (i ragazzi tra i 18 e i 24 anni con al massimo la licenza media) rappresentano nel nostro Paese il 17,6 per cento. Soltanto Spagna, Malta e Portogallo fanno peggio di noi in Europa, il cui dato nel 2012 si attesta al 12,8 per cento.
Competenze dei quindicenni. Nonostante un certo recupero negli ultimi anni, le performance dei quindicenni italiani restano ancora lontane dai coetanei della maggior parte dei paesi Ocse ed Europei. I dati delle competenze in Lettura, Matematica e Scienze ci collocano al di sotto della media dei paesi industrializzati. I 485 punti racimolati dagli studenti italiani nel 2012 ci piazzano al 32° posto, dopo Germania, Francia e perfino il Portogallo. Vanno meglio le cose per i bambini della scuola elementare. Nei test Timss di Scienze e Matematica i bambini della quarta elementare italiani si piazzano al di sopra della media internazionale. Stesso discorso in Lettura, dove ci piazziamo abbondantemente sopra la media dei 45 paesi che hanno partecipato all’indagine nel 2011.
Passaggio dalla scuola all’università. Nel corso degli ultimi anni, in Italia, il tasso di passaggio dalla scuola superiore all’università è sceso di 14 punti percentuali. Dal 70 per cento del 2001/2002 si è passati al 56 per cento del 2013/2014. Nel Belpaese, soltanto poco più di metà dei diplomati proseguono gli studi all’università. Laureati. Sono considerati strategici per lo sviluppo di un paese ma in Italia i giovani 30/34enni in possesso di una laurea sono davvero pochi. Con il 21,7 per cento siamo in fondo alla classifica dei 27 paesi dell’Unione europea, dove se ne contano quasi 36 su cento. E alcuni paesi ci doppiano. E’ il caso della Finlandia dove 46 giovani su cento hanno già una laurea. Percentuali di giovani laureati al di sopra del 40 per cento anche per Regno Unito, Francia e Svezia.
Spesa pubblica per l’istruzione. Stando ai dati forniti dall’Istat, il nostro Paese è uno degli ultimi nella lista europea: appena il 4,2 per cento del Pil destinato all’istruzione, contro il 5,3 dei paesi Ue, al 6 per cento della Francia e al 7,8 per cento della Danimarca.
Spesa per alunno. Con 8.690 dollari equivalenti per alunno/studente all’anno, secondo l’Ocse l’Italia si piazza abbondantemente sotto la media dei paesi europei che spendono 9.208 dollari per alunno o studente dalla scuola all’università. L’Italia spende un 4 per cento in più della media Ue per i bambini della scuola dell’infanzia e della primaria, ma meno per i ragazzi della scuola media e superiore e parecchio meno per gli studenti universitari.
Alunni per classe. Stando ai dati forniti dall’Ocse, le classi italiane sono ancora meno affollate della maggior parte di quelle dei paesi europei. In media, un alunno in meno per classe alla primaria e gli stessi alunni per classe alla media rispetto ai paesi Ue.
Alunni stranieri. La popolazione scolastica straniera in Italia sta crescendo a ritmi incalzanti. Inn appena 8 anni  –  dal 2006 al 2014  –  si è passati da 430mila a 830mila alunni con genitori nati fuori dai confini italiani.
Alunni nelle scuole private. Le scuole private, nel nostro Paese, stanno perdendo appeal. Nell’anno scolastico appena trascorso il numero di alunni che frequentano le scuole non statali è poco superiore al milione. Poco più di uno su dieci rispetto al totale degli alunni  –  8 milioni e 800mila  –  tra scuole pubbliche e private. In Germanie, il 93 per cento degli studenti frequenta scuole pubbliche, in Francia le scuole di stato sono frequente dal 78 per cento degli alunni. La media europea si attesta all’82 per cento.
Ore di lavoro degli insegnanti. Il carico di lavoro degli insegnanti italiani è in linea con quello dei colleghi europei. Con le 25 ore settimanali delle maestre della scuola dell’infanzia, le 22 settimanali per i maestri della primaria e le 18 ore di insegnamento dei professori della scuole medie e superiori, più annessi a connessi, siamo in linea all’elementare e poco sotto (2 per cento in meno) alla media e al superiore.
Stipendi insegnanti. I docenti italiani sono tra i meno pagati d’Europa. Un docente di scuola primaria italiano con 15 anni di carriera guadagna il 15 per cento in meno della media Ue e il 23 per cento in meno rispetto ai paesi dell’Europa occidentale.
Età dei docenti. Dietro le cattedre delle scuole italiane siedono i docenti più vecchi d’Europa. Con il 62 per cento di docenti over 50 e appena 27 su mille under 30 possiamo vantare la classe docente meno giovane al mondo. E’ l’Ocse a fornire i dati sull’età dei docenti. Nei paesi Ocse, in media i docenti giovani under 30 sono dieci su cento.
Merito e carriera per i docenti. E’ uno dei punti di maggiore contrasto in Italia. Nel nostro Paese non è previsto
nessun meccanismo premiale per i docenti “migliori”, né una carriera nel vero senso della parola.
Tecnologie a scuola. Il nostro Paese non sembra messo bene neppure sul fronte delle tecnologie a scuola. Per numero di computer siamo agli ultimi posti: appena 6 computer per alunni in quarta elementare. Contro una media europea di 16 computer per alunno e 32 della Spagna e i 33 della Danimarca, sempre ogni cento alunni.

Edilizia scolastica: Renzi scrive ai sindaci

da Tecnica della Scuola

Edilizia scolastica: Renzi scrive ai sindaci
di Aldo Domenico Ficara
Il premier Renzi scrive ai sindaci sul problema riguardante lo stato dell’edilizia scolastica:
Caro collega, stiamo affrontando il momento più duro della crisi economica. Il più difficile dal punto di vista occupazionale. E un sindaco lo sa. Perché il disoccupato, il cassintegrato, il giovane rassegnato, il cinquantenne scoraggiato non si lamentano davanti a Palazzo Chigi: bussano alla porta del Comune. Voi Sindaci siete stati e siete sulla frontiera e paradossalmente lo avete fatto in un tempo di tagli senza precedenti. Grazie, a nome del Governo. Ma dalla crisi non usciremo semplicemente con una ricetta economica, anche se fin dalla prossima settimana arriveranno i primi provvedimenti economici del nuovo Governo. No, dalla crisi si esce con una scommessa sul valore più grande che un Paese può incentivare: educazione, educazione, educazione. Investire sull’educazione necessita naturalmente di un progetto ad ampio raggio, che parta dal recupero della dignità sociale delle insegnanti e degli insegnanti. Ci sarà modo per parlarne nel corso dei prossimi mesi.  Ora la vostra e nostra priorità è l’edilizia scolastica. Nessun ragionamento sarà credibile finché la stabilità delle aule in cui i nostri figli passano tante ore della loro giornata non sarà considerata il cuore dell’azione amministrativa e di governo.  Non vi propongo un patto istituzionale, ma più semplicemente un metodo di lavoro. Vogliamo che il 2014 segni l’investimento più significativo mai fatto da un Governo centrale sull’edilizia scolastica.  Stiamo lavorando per affrontare le assurde ricadute del patto di stabilità interno. Vi chiedo di scegliere all’interno del vostro Comune un edificio scolastico. Di inviarci entro il 15 marzo una nota molto sintetica sullo stato dell’arte. Non vi chiediamo progetti esecutivi o dettagliati: ci occorre – per il momento – l’indicazione della scuola, il valore dell’intervento, le modalità di finanziamento che avete previsto, la tempistica di realizzazione. Semplice e operativo come sanno essere i Sindaci. Noi cercheremo nei successivi quindici giorni di individuare le strade per semplificare le procedure di gara, che come sapete sono spesso causa di lunghe attese burocratiche, e per liberare fondi dal computo del patto di stabilità interna.  Ma è fondamentale che nel giro di poche ore arrivino da voi – all’email sindaci@governo.it che abbiamo appositamente aperto – una sintetica nota sull’individuazione di un edificio scolastico – uno – che riteniate la priorità del Vostro comune. Con il più caro augurio di buon lavoro, Matteo Renzi

Iscrizioni on line: due alunni su tre si sono iscritti da casa

da Tecnica della Scuola

Iscrizioni on line: due alunni su tre si sono iscritti da casa
di A.G.
A sostenerlo è il Miur, che ha fornito i primi dati ufficiali sulle iscrizioni on line alle classi prime che si sono chiuse venerdì 28 febbraio: oltre l’80% di utenti si sono detti soddisfatti dalla procedura on line (“serve a risparmiare tempo”). Tanto è vero che quasi il 70% di moduli sono stati inviati direttamente dalle famiglie: il 60% ha trovato il servizio molto vantaggioso in termini di risparmio di tempo, il 26% abbastanza.
L’iscrizione degli alunni al primo anno di corso può continuare a farsi on line. A sostenerlo è il ministero dell’Istruzione, dopo aver preso atto dell’andamento della procedura telematica. Sarebbero più di 1,5 milioni le domande effettuate, ma soprattutto oltre l’80% di utenti si sono detti soddisfatti dalla procedura on line (“serve a risparmiare tempo”). Tanto è vero che quasi il 70% di moduli sono stati inviati direttamente da casa, senza la necessità di ausilio da parte delle scuole.
I NUMERI – Le domande attese erano 1.567.657, quelle effettuate sono state 1.550.266 (98,9%). Le domande registrate (acquisite correttamente dal sistema) sono state in tutto 1.558.246, il 99,40% delle attese. Stando ai numeri, dunque, le domande registrate ma non ancora trasmesse sono 7.980. Queste famiglie saranno contattate dalle scuole per completare la procedura nei prossimi giorni. I numeri si riferiscono alla scuola statale: la paritaria non aveva obbligo di adesione alla procedura elettronica.
FAMIGLIE SODDISFATTE – Quasi il 70% delle famiglie ha effettuato l’iscrizione on line per conto proprio (68,51% è la media nazionale), senza recarsi nelle scuole. In Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna gli utenti che hanno inviato la domanda da casa superano l’80%. Le iscrizioni elettroniche – è la conclusione tratta dal ministero – piacciono agli italiani: il 59,97% delle famiglie trova il servizio molto vantaggioso in termini di risparmio di tempo, per il 25,90% lo è abbastanza. Solo il 5,86% degli utenti non ha riscontrato questo vantaggio. Per oltre il 43% delle famiglie la procedura on line è molto facile, per il 37,41% lo è abbastanza. Infine, quasi l’80% delle famiglie ritiene che il funzionamento del servizio on line sia stato molto o abbastanza efficiente avendo riscontrato pochi problemi di collegamento, scollegamento improvviso o lentezza del sistema.

Diploma magistrale abilitante, perché il Miur ha taciuto sul parere del Consiglio di Stato?

da Tecnica della Scuola

Diploma magistrale abilitante, perché il Miur ha taciuto sul parere del Consiglio di Stato?
di Alessandro Giuliani
A chiederlo è il M5S, che ha depositato alla Camera un’interrogazione per sollecitare il ministro dell’Istruzione a recepire il parere vincolante: il pronunciamento è di quasi 6 mesi fa, però il Miur non ha pubblicizzato la sentenza, né prodotto atti conformi entro 30 giorni come invece prevede la legge. Ma c’è dell’altro: ora per migliaia di aspiranti maestri con quel diploma non ha più senso frequentare i Pas.
Il Movimento 5 Stelle pone dei seri dubbi sulla correttezza del comportamento del Miur a proposito della sentenza del Consiglio di Stato che ha di fatto dato il via libera alla validità dell’abilitazione dei diplomi magistrali conseguiti prima dell’anno accademico 2001/2002.
“Venerdì 28 febbraio – hanno dichiarato i deputati del M5S – in commissione Cultura, Scienza e Istruzione abbiamo depositato alla Camera un’interrogazione, a prima firma Maria Marzana, per sollecitare il Ministro dell’Istruzione a recepire il parere del Consiglio di Stato, datato 11 settembre, che finalmente ha definito una situazione che si trascinava da anni, attribuendo ai titoli conseguiti entro il 2001/2002, al termine dei corsi d’istituto e scuola magistrale, il valore abilitante all’insegnamento”.
All’interno della sentenza “viene dichiarata l’illegittimità del Decreto Ministeriale 62/2011 nella parte in cui –sottolineano i ‘grillini’ – non riconosce la natura abilitante del titolo conseguito, entro l’anno scolastico 2001/2002, al termine dei corsi di studio degli istituti magistrali. Di conseguenza tali docenti possessori di tale titolo dovrebbero essere inseriti in seconda fascia delle graduatorie d’istituto e non nella terza, come avvenuto fino ad ora.
In effetti, quello del Consiglio di Stato era un pronunciamento atteso da almeno 55 mila insegnanti. E per il M5S risulta davvero “incomprensibile il comportamento tenuto da Miur. Il ministero dell’Istruzione, infatti, aveva l’obbligo, una volta uscita la sentenza, di dare ad essa la massima pubblicità e di produrre atti conformi nell’arco massimo di 30 giorni. Inoltre in base alla Legge Brunetta (69 del 2009), è previsto che il parere del Consiglio di Stato sia vincolante”.
Inoltre, così come dichiarato dallo stesso Consiglio di Stato, “la disposizione del Decreto Ministeriale ha configurato ‘eccesso di potere’, contrastante con tutte le disposizioni di legge vigenti in materia”. C’è poi una “coda” finale di cui sentiremo parlare nei prossimi giorni. “Con il pronunciamento della Consulta è stato dunque sciolto un altro groviglio burocratico-economico in quanto diventa superflua, se non addirittura ridondante, la partecipazione ai Pas, dal momento che i docenti dovranno essere collocati di diritto nella seconda fascia d’Istituto in quanto già abilitati”. Il ragionamento dei ‘grillini’ non fa una piega: per migliaia di iscritti a Percorsi abilitanti speciali non ha più senso continuare a frequentarli. E non dovrebbe essere nemmeno difficile “sfilarsi” dai corsi, visto che nella gran parte di casi non sono mai partiti.