Contro i tagli dell’indennità di accompagnamento

FAND e FISH contro i tagli dell’indennità di accompagnamento

Sono state diffuse le “Proposte di revisione della spesa pubblica” redatte dal Commissario Straordinario per la revisione della spesa, Paolo Cottarelli.

Fra le ipotesi di spending review sono previsti anche preoccupanti interventi sulla spesa per le invalidità civili.

Nel mirino soprattutto l’indennità di accompagnamento, attualmente l’unico sostegno certo alle persone con grave disabilità e alle famiglie che prevalentemente rappresentano per loro l’unico supporto in assenza o carenza di servizi pubblici.

Secondo Cottarelli bisogna introdurre un limite reddituale alle indennità di accompagnamento, specialmente per gli ultrasessantacinquenni, e intensificare i controlli verso i presunti abusi.

Il documento del Commissario straordinario ripropone vetuste e discutibili proiezioni evidenziando come in alcune Regioni vi siano percentuali maggiori di indennità di accompagnamento rispetto ad altre. Abusi, quindi, che sarebbero dimostrati appunto dai “picchi territoriali” e da un aumento della spesa non dimostrata da “flussi demografici”.

Il Commissario non ha incrociato i dati con la spesa per i non autosufficienti in quelle stesse Regioni. Scoprirebbe che, laddove le Regioni (esempio Calabria) spendono pochissimo per i disabili gravi, il numero delle indennità di accompagnamento lievita proporzionalmente. E soprattutto non ha presente i tagli massicci che la spesa sociale ha subito nell’ultimo decennio che spingono gli stessi Comuni a consigliare i propri Cittadini ad avviare le procedure di riconoscimento dell’indennità di accompagnamento.

Quanto ai controlli, il Commissario dovrebbe valutare l’efficienza e l’efficacia del milione di controlli sugli invalidi civili negli ultimi 5 anni, verifiche che hanno prodotto costi spaventosi (30 milioni di euro solo per medici esterni all’INPS lo scorso anno) e scarsi risultati. Verifiche che hanno prodotto ritardi spaventosi negli ordinari accertamenti (sfiorano i 300 giorni di attesa per un verbale di invalidità) e enormi disagi in chi ha necessità di sostegno e aiuto.

L’ISEE infine – che dovrebbe essere uno strumento di equità e non di taglio della spesa – è quello stesso indicatore che, nonostante le reiterate proteste di FAND e FISH, considera alla stregua dei redditi da lavoro e da rendite finanziarie le pensioni (280 euro) e le indennità di accompagnamento (500 euro).

Le proposte del Commissario Straordinario necessitano di un avallo politico: Governo e Parlamento dovranno operare una valutazione dell’impatto sociale sui singoli e sulle famiglie. FAND e FISH vogliono intervenire in questa valutazione e richiederanno oggi stesso un incontro con il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti.

FAND e FISH rigettano qualsiasi ipotesi di intervento sulle uniche provvidenze certe a favore delle gravi disabilità. Interverranno in tutte le sedi istituzionali per contrastare questa previsione e per evidenziare quali siano gli effettivi rischi per i singoli e per le famiglie italiane. Si cercherà il confronto con la fermezza e la determinazione che queste prospettive impongono.

Se sarà necessario non è da escludere una mobilitazione nazionale tale da esprimere, con tutta la forza possibile, la disperazione che tali misure generano in una già grave situazione per le persone con disabilità e le loro famiglie.

Pietro Vittorio Barbieri
Il Presidente Nazionale FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap

Giovanni Pagano
Il Presidente Nazionale FAND – Federazione tra le Associazioni Nazionali delle persone con Disabilità

Gioco di squadra per estendere l’educazione motoria e sportiva

Sport a scuola, Giannini incontra Malagò: Gioco di squadra per estendere l’educazione motoria e sportiva
Necessario il rilancio dei Campionati Studenteschi

Più alfabetizzazione motoria per i bambini della scuola primaria e un forte rilancio delle gare sportive studentesche. Perché l’Italia dei campioni nasce anche fra i banchi e lo sport fa bene all’educazione. Riparte il gioco di squadra fra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Coni, in vista del rinnovo del Protocollo d’Intesa fra le due istituzioni.

Stamattina il Ministro Stefania Giannini ha incontrato il presidente Giovanni Malagò. Nell’anno del lancio del nuovo liceo sportivo, Giannini e Malagò rafforzano la collaborazione Miur-Coni per cercare di ridare all’attività fisica lo spazio che merita nell’educazione dei più giovani. Fra gli obiettivi principali quello di estendere l’alfabetizzazione motoria nella scuola primaria a tutti gli istituti anche attraverso l’utilizzo dei fondi europei. Maggiore visibilità va poi data ai Campionati Studenteschi che per molti ragazzi rappresentano il primo approccio importante con le competizioni sportive.

“I valori sani dello sport devono diventare uno dei pilastri dell’educazione dei nostri studenti fin da piccolissimi – sottolinea il Ministro Giannini – Per questo dobbiamo fare in modo che l’alfabetizzazione motoria non sia destinata solo ai pochi fortunati che rientrano in progetti ad hoc ma un diritto per tutti i nostri bambini. Lavoreremo velocemente con il Coni su un Piano che vada in questa direzione e che guardi anche al rafforzamento dei Campionati Studenteschi. Il mondo della scuola ci chiede da tempo risposte su questo fronte. Le attendono gli insegnanti, ma soprattutto i nostri ragazzi e i loro genitori. In molte zone d’Italia, infatti, la scuola rappresenta l’unico vero punto di riferimento per le famiglie. Offrire un accesso allo sport a questi ragazzi può essere determinante nella loro educazione sia in termine di salute fisica che di valori morali”.

Malagò ha aggiunto: “Come ho sempre sostenuto quella della scuola è la madre di tutte le battaglie di politica sportiva. Ringrazio il Ministro Giannini che, pur essendosi insediata da pochi giorni, ha già dimostrato di avere piena conoscenza del tema e dell’importanza sociale dello sport ai fini dell’educazione e della crescita dei nostri giovani”.

Soluzioni immediate per ‘quota 96’

Scuola: Mascolo (Ugl),
soluzioni immediate per ‘quota 96’
(dall’Agenzia ANSA)
Lo stop da parte della Ragioneria dello Stato alle pensioni dei quattromila lavoratori che, a causa della riforma Fornero, non erano riusciti ad andare in pensione nonostante i requisiti, i cosiddetti Quota 96, “è l’ennesimo duro colpo inferto al personale della scuola”.
Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Scuola, Giuseppe Mascolo.
“Quanto previsto dalla legge Monti-Fornero era già penalizzante in sé e in più non ha tenuto conto del fatto che nella scuola i pensionamenti decorrono con tempistiche diverse rispetto ad altri settori. Adesso – afferma il sindacalista – con la bocciatura della Ragioneria dello Stato, a pagare sono ancora una volta i lavoratori: l’ennesimo esempio di mancanza di dialogo e mala gestione che inevitabilmente si ripercuote sui soliti noti. Ora auspichiamo in un celere intervento da parte del Governo e nell’unità di intenti della classe politica, perché non si può continuare a mantenere in servizio chi, per raggiunti limiti di età ed esigenze personali, ha delle difficoltà a portare avanti il proprio lavoro. Non è questa la strada da percorrere per migliorare l’efficienza del comparto e, soprattutto, per risolvere le tante problematiche che affliggono la scuola italiana”.

QUOTA 96: TROVARE SUBITO COPERTURA FINANZIARIA

QUOTA 96, GILDA: TROVARE SUBITO COPERTURA FINANZIARIA

“Il niet della Ragioneria dello Stato alla soluzione per la vicenda di Quota 96 è una doccia fredda per i 4000 docenti cui spetta di andare in pensione, un’ingiustizia che bisogna assolutamente sanare trovando in tempi rapidi la necessaria copertura finanziaria. La politica ha creato questo brutto pasticcio, approvando la riforma Fornero senza considerare la peculiarità dei requisiti pensionistici per gli insegnanti, e la politica deve porvi rimedio”. A dichiararlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti.

“Nonostante il consenso bipartisan, la proposta di legge Ghizzoni-Marzana si è infranta contro la mancanza di risorse economiche e adesso, per superare l’impasse, serve l’intervento di Palazzo Chigi. Le esigenze di risparmio non possono gravare sugli insegnanti che hanno pieno diritto ad andare in pensione e – conclude Di Meglio – danneggiare così anche i precari in attesa dell’immissione in ruolo”.

Lotta ai falsi invalidi e limiti reddituali: così il governo vuole ”risparmiare sui disabili”

Lotta ai falsi invalidi e limiti reddituali: così il governo vuole ”risparmiare sui disabili”

Indennità solo per redditi sotto i 30 mila euro e piani straordinari di controllo: prende corpo la proposta del commissario Cottarelli. Francescutti: “Scoraggiante e deludente. Controlli inutili, bisogna riformare il sistema di verifica”

da Redattore Sociale
19 marzo 2014 – 13:00

ROMA – Si aggiungono dettagli alla proposta, non ancora ufficiale, che il commissario Cottarelli avrebbe in mente per reperire risorse da destinare alle riforme del governo. In particolare, per quel che riguarda le indennità destinate alle persone disabili, si torna a parlare di graduazione in base al reddito. Nel dettaglio, per il riconoscimento del beneficio economico, sarebbe richiesto un reddito individuale inferiore ai 30 mila euro, o un reddito familiare inferiore ai 45 mila. Se ne ricaverebbero 100 milioni nel 2015, il doppio nel 2016, applicando la misura solo alle nuove pensioni. Ma non è escluso che il provvedimento possa entrare in vigore con valore retroattivo, andando così a colpire anche chi già beneficia di una pensione: nel caso di redditi superiori alle soglie eventualmente stabilite, quindi, le indennità sarebbero annullate.

Non soltanto lotta ai falsi invalidi, allora, come aveva lasciato intendere il sottosegretario Delrio, ma tagli alle indennità, come aveva sospettato e denunciato nei giorni scorsi la Fish. O meglio, l’una e l’altra: da una parte repressione degli abusi, tramite un nuovo piano di controlli e verifiche, dall’altro riduzione dei benefici economici concessi alle persone disabili, in base al reddito personale e familiare. Entrambe le proposte non piacciono affatto a Carlo Francescutti, esperto di valutazione e classificazione internazionale delle disabilità, dirigente all’Agenzia regionale della sanità della regione Friuli Venezia Giulia, membro dell’Osservatorio nazionale sulla disabilità e fra i partecipanti al gruppo di lavoro sul tema alla Conferenza nazionale di Bologna del luglio scorso.

Inutili i controlli straordinari. “E’ scoraggiante e deludente vedere riproposto un sistema di controlli straordinari che ha già ampiamente dimostrato la sua inutilità. Il paradosso è che i falsi invalidi sono stati certificati da commissioni medico legali: quelle stesse a cui poi affidiamo i piani di controllo. E’ forse il quinto governo che ritiene questa la via maestra per risolvere il problema delle risorse, ma credo ci siano le prove per dimostrare che questi controlli straordinari costano più della quota eventuale di risparmio. Peraltro – aggiunge Francescutti – i grandi casi di abuso vengono scoperti dalle Forze dell’ordine, non certo dalle commissioni. Questa stagione va chiusa, per lasciare il posto a un ripensamento generale del sistema di accertamento, sulla base di quanto indicato nel Piano d’azione presentato e condiviso alla Conferenza di Bologna. La revisione di questo sistema deve essere una priorità assoluta per un governo del cambiamento come vuole essere l’attuale”.

Riforma del sistema di accertamento. Ma cosa c’è che non va nell’attuale sistema di accertamento? E come dovrebbe essere riformato? “Oggi – spiega Francescutti – le commissioni vedono le persone per circa 3 minuti: sono loro a generare il problema, che poi si cerca di risolvere con i controlli straordinari. Innanzitutto occorre quindi semplificare l’iter di verifica: oggi le persone con disabilità devono passare almeno per 4 o 5 livelli di valutazione, tutti con una caratterizzazione non clinica assistenziale ma medico-legale e amministrativa. Manca completamente l’idea di costruire un progetto, volto alla capacitazione della persona disabile, mentre si punta tutto sui trasferimenti monetari. Un pensiero povero, miope, che spende gran parte delle risorse in forme compensative e non progettuali”. Il secondo pilastro dell’auspicata riforma del sistema di accertamento è quindi “la costruzione progettuale che dovrebbe essere alla base del sistema: questo passa anche per una ridefinizione dei livelli di responsabilità, dal nazionale (Inps, ndr) al regionale (Asl, ndr). Ovvio che debbano esistere regole generali, stabilite a livello centrale: ma le applicazioni devono poi avvenire in modo decentrato, a livello di servizi”. Infine, occorre “superare il concetto puramente menomativo della disabilità: oggi vengono valutate e accertate solo le ‘menonmazioni’, mentre i livelli di bisogno non sono legati solamente a queste”.

Gradazione in base al reddito. Anche per quanto riguarda infine l’eventualità di una gradazione dei benefici economici in base al reddito, Francescutti non nasconde il proprio scetticismo. “In sé, il principio della gradazione non è sbagliato, ma questo deve essere calato dentro un sistema di riforma, in cui siamo ben certi del modo in cui valutiamo. E poi la domanda fondamentale è: dove andrebbero le risorse che si ricaverebbero da questa gradazione? Se servissero a rinforzare i servizi ricevuti da persone che oggi ricevono risorse inadeguate ai bisogni, allora sarebbe accettabile”. Non dimentichiamo infatti che, come esistono certamente abusi, allo steso modo e forse in misura anche maggiore esistono tanti che ricevono molto meno di ciò che spetterebbe loro di diritto, in termini di risorse e servizi. “In questo caso, però, pare che le risorse sarebbero drenate da un settore già povero, come è il welfare, per trasferirle su altri settori: così si cerca solo di risparmiare sulle spalle delle persone disabili. Questo è inaccettabile”.

In conclusione, “pare che il piano d’azione sulla disabilità sia completamente ignorato dal governo: si rischia quindi di compiere un grande passo indietro. E’ deludente e offensivo per la dignità delle persone con disabilità che questo tema sia derubricato come contrasto agli abusi: occorre aprire uno spazio di riflessione politico su tutto questo”. (cl)

SCATTI ANZIANITA’: UN GIOCO DELL’OCA DA CHIUDERE PRESTO

SCATTI ANZIANITA’, GILDA: UN GIOCO DELL’OCA DA CHIUDERE PRESTO

“Un’altra casella coperta in quello che ormai è diventato il gioco dell’oca degli scatti di anzianità”. Così il coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, Rino Di Meglio, commenta l’approvazione da parte della Camera dei Deputati del decreto sugli automatismi stipendiali dei docenti. “Sull’annosa vicenda delle progressioni di carriera – spiega Di Meglio – abbiamo assistito a un continuo, quanto estenuante, balletto: prima tre passi indietro con l’abolizione degli scatti 2010-2011-2012, poi due passi avanti con il recupero del 2010-2011 e dopo ancora due passi indietro con la proroga del blocco 2013-2014. Adesso il decreto approvato dall’Aula di Montecitorio mette a posto una casella, cioè quella del 2014, ma ne lascia scoperte due: 2012 e 2013”.

“I tempi di approvazione del decreto – prosegue il coordinatore nazionale della Gilda – non forniscono alcuna giustificazione all’enorme ritardo dell’atto di indirizzo, annunciato dall’ex ministro Carrozza nel novembre scorso e però non ancora arrivato al tavolo dell’Aran. Il ministro Giannini ha dichiarato di voler cambiare passo e ci auguriamo – conclude Di Meglio – che questo gioco dell’oca si chiuda rapidamente e positivamente”.

Immissioni in ruolo sostegno

Immissioni in ruolo sostegno. Anief avvia ricorsi per utilizzare le nuove graduatorie di merito

Illegittima la nota MIUR del 6 febbraio 2014 che ordina agli UUSSRR di utilizzare i vecchi elenchi delle graduatorie di merito cancellate dagli esiti del nuovo concorso, ai sensi del Testo Unico sulla scuola, d.lgs. 297 del 1994. Tutti gli idonei interessati all’utilizzo delle graduatorie di merito devono preliminarmente ricorrere al Tar Lazio, ivi incluso i ricorrenti Anief che hanno avuto una sentenza rigettata per difetto di giurisdizione nelle more dell’appello che l’annullerà. Per aderire scrivi a idoneo.sostegno@anief.net entro il 28 marzo. Per gli altri ricorsi Anief ancora pendenti al TAR i legali predisporranno motivi aggiunti.

Ancora una volta un pasticcio nelle vie di Viale Trastevere per colpa di un concorso che l’ex ministro Profumo avrebbe voluto soltanto per vincitori ma che nella sua gestione non può che inserirsi nella prassi legislativa del rinnovo delle graduatorie di merito con la sostituzione dei vecchi elenchi con i nuovi e non con la resurrezione di quelli cancellati. Per adempiere ai voleri del ministro, infatti, non si doveva procedere ad agosto a cancellare le vecchie graduatorie di merito per nominare i vincitori del nuovo concorso ne confondere il contingente di posti autorizzato con il concorso nel 2012 con il contingente assegnato nell’estate del 2013 perché appare evidente come le nuove graduatorie formate debbano necessariamente sostituire le vecchie cancellate. Pertanto tutte le immissioni in ruolo, in questi giorni, disposte dagli AATT sono illegittime, ivi incluso quelle della provincia di Palermo dove per colpa del ritardo sulla pubblicazione delle nuove graduatorie di merito sono utilizzati ancora i vecchi elenchi aggiuntivi. Tutti i nuovi idonei in possesso del diploma di specializzazione sul sostegno, pertanto, devono impugnare  entro 60 giorni dalla pubblicazione preliminarmente tale nota ministeriale al TAR Lazio per contestare il mancato utilizzo delle nuove graduatorie di merito di cui stanno prendendo atto adesso in palese violazione di legge, e nel caso in cui non ottengano la conformazione dell’amministrazione, ricorrere al giudice del lavoro sempre con Anief per rivendicare il posto spettante secondo lo scorrimento, nell’attuale sistema del doppio canale. Evidentemente per chi ha già un ricorso pendente al TAR LAZIO Anief gratuitamente predisporrà motivi aggiunti. Per tutti gli altri saranno depositati nuovi ricorsi al Tar Lazio entro i termini. Per questa ragione, risulta necessario chiedere le istruzioni operative e aderire entro il 28 marzo 2014, scrivendo una mail a idoneo.sostegno@anief.net indicando COGNOME, NOME, CELLULARE.

Alunni con cittadinanza non italiana 2012-2013

Alunni con cittadinanza non italiana

Alla maturità il 7,4% prende più di 90 ai licei, boom di ragazze iscritte alle superiori

Sempre più numerosi, ma anche più bravi a scuola. La fotografia scattata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in collaborazione con la Fondazione Ismu (l’Istituto per lo Studio della Multietnicità), offre alcune conferme, ma anche nuovi spunti, sugli “Alunni con cittadinanza non italiana”. L’indagine si riferisce a quelli che hanno frequentato l’anno scolastico 2012/2013.

I numeri
Dall’analisi statistica emerge che gli alunni con cittadinanza non italiana continuano a crescere di numero e anche di percentuale: sono 786.630, l’8,8% sul totale degli iscritti nelle scuole italiane. Nell’anno scolastico precedente erano l’8,4%. Il grande boom di presenze comunque sembra essersi arrestato: l’aumento medio annuo è stato di 60/70mila unità dal 2002/2003 al 2007/2008 mentre si è mostrato più ridotto e instabile negli anni successivi. Sono sempre di più, comunque, gli alunni di seconda generazione: il 47,2% degli studenti stranieri sono nati in Italia. Percentuale che sale all’80% nelle scuole dell’infanzia e al 60% nella primaria. Gli alunni con cittadinanza non italiana sono presenti soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro, concentrati in particolare nelle province di media e piccola dimensione. Quanto alla nazionalità è confermato il primato, ormai pluriennale, degli alunni rumeni (sono 148.602), seguiti dagli albanesi (104.710) e dai marocchini (98.106). E, se si guarda al genere, le femmine sono quasi pari alle compagne di origine italiana. Nelle scuole superiori le studentesse di origine immigrata addirittura superano per incidenza quelle italiane. In particolare nel Nord est sono il 50,4% contro il 49,1%.

I risultati scolastici
Ma è soprattutto nei risultati scolastici che gli alunni con cittadinanza non italiana guadagnano terreno. E questo pur rimanendo, secondo il rapporto del Miur, in livelli di “ritardo scolastico ancora significativi”. L’integrazione sta diventando una realtà, e la scuola ne è contemporaneamente la cartina di tornasole e il motore. Il ritardo quasi si annulla per gli studenti con diversa cittadinanza che però sono nati nel nostro Paese: le loro performance si avvicinano a quelle degli italiani (in particolare nelle prove di lingua straniera) e sono nettamente migliori di quelle dei loro compagni nati all’estero. In alcune regioni del Sud le differenze tra gli italiani e gli studenti di seconda generazione tendono addirittura ad invertirsi: in Campania gli stranieri nati in Italia fin dalla scuola primaria hanno un rendimento migliore dei loro compagni di classe figli di italiani. Stanno diventando più bravi. E si presentano sempre più in anticipo sui banchi. Quasi cinque alunni su cento (il 4,8%) iniziano la scuola primaria a cinque anni, un dato in aumento e in linea con la tendenza all’anticipo di tutti gli studenti. E differenze eclatanti non ci sono anche nella distribuzione dei voti della maturità, più o meno omogenei in quasi tutti i tipi di indirizzo, ad eccezione dei licei dove il 7,4% degli alunni con cittadinanza non italiana esce con un voto superiore al 90/100, contro il 13,7% degli italiani. Sono in crescita anche gli stranieri che, dopo aver preso il diploma in Italia, scelgono di proseguire gli studi all’Università: nell’anno scolastico hanno toccato una punta del 3,1%. Sono, ed è un dato di solito poco conosciuto, la maggioranza degli immatricolati con cittadinanza non italiana presenti nelle facoltà italiane.

Formazione tecnica in pole position
La formazione tecnica e professionale è sempre in testa alle preferenze dei ragazzi con cittadinanza non italiana (scelta dall’80% degli alunni), mentre l’avvio al liceo o all’istruzione artistica interessa poco più di 2 su 10. Una scelta dettata prevalentemente da ragioni economiche: la necessità di un lasciapassare qualificato ma rapido per il mondo del lavoro. A Nord Est l’iscrizione agli istituti professionali raggiunge la punta massima del 42,1%. In Emilia Romagna il 46,5% degli alunni stranieri frequenta questo indirizzo. I licei sono la prima scelta per gli immigrati provenienti da Romania, Ucraina e Albania.

Alunni con disabilità
C’è anche una novità assoluta. Il Rapporto 2012/2013 per la prima volta si occupa di alunni stranieri con disabilità certificata (visiva, uditiva e psico-fisica). Negli ultimi cinque anni la loro presenza è praticamente raddoppiata: ora sono il 3,1% tra gli alunni con cittadinanza non italiana e il 10,8% tra gli alunni con disabilità. Un dato che rivela la capacità della scuola italiana di saper dare risposte e assistenza formativa a situazioni difficili.

Cuore dei giovani

CUORE DEI GIOVANI
Ferire il cuore dei giovani è disumano

di Umberto Tenuta

Non si può, non si deve ferire il cuore dei giovani!

Nasce il cuore del bimbo sin dalle prime settimane della sua gestazione ed il cuore è, per antonomasia, l’organo della vita.

Muore la vita, quando il cuore cessa di battere.

Il cuore è, quindi, l’organo della vita, in tutti i sensi, compreso quello emotivo-sentimentale.

Il cuore è la sede della speranza, della forza di vivere, di lottare, di combattere anche contro se stessi, di affermarsi, di essere uomini grandi, grandi uomini.

In ogni essere vivente, dal filo d’erba all’ameba, al bimbo che nasce alla vita, c’è uno slancio vitale, una forza che consente, non solo di sopravvivere, ma anche di affermarsi, di espandersi, di essere una pianta, un animale, un uomo.

Questo istinto vitale è forte in ogni figlio di donna.

Già nel grembo materno il cuore pompa il sangue che nutre il nuovo essere umano.

Quando nasce, il bimbo è già un piccolo uomo, un uomo dal cuore grande, dal cuore dell’uomo che gli aspira a diventare, dell’uomo che egli a poco a poco impara ad essere con il suo io incipiente.

Subito il bimbo si aggrappa alla vita, la alimenta, la protegge, la nutre.

La nutre di latte, subito, di latte e di movimenti.

Apre gli occhi, sgambetta, agita le manine.

Il suo cuore gli dà la forza di vivere, di sopravvivere, di diventare adulto.

Slancio vitale che ha nel cuore la sua forza.

Ogni movimento, ogni sguardo, ogni suono, ogni sapore, ogni odore è una sua affermazione, un io che nasce.

La mamma lo sa.

La mamma lo protegge.

La mamma lo incoraggia, gli canta le lodi, gli dice: Oh quanto sei bello, quanto sei grande, quanto sei intelligente, amore mio!

È così fa il papà, e così fanno i fratelli e le sorelle, la nonna ed i nonni, le zie e gli zii, le amiche e gli amici della mamma e del papà.

Tutti gli regalano la loro fiducia, gliela regalano ed egli se la prende, se la coltiva nel cuore e si dice da solo: “Ma se lo dicono loro vuol dire che io sono veramente grande e che più grande ancora, grande come la mamma mia, grande come il babbo mio, io posso diventare. Allora io grande voglio diventare!”

Sorretto da questa fiducia, egli tenta di prendere le cose, volge lo guardo ad esplorare il mondo che lo circonda.

Poi si muove carponi, tenta di ergersi sulle gambette, ce la fa, cammina eretto come il suo lontano antenato, homo erectus.

Ma questo non gli basta, non gli basta!

Egli vuole diventare un uomo, un grande uomo, homo sapiens sapiens.

Ed allora impara.

Non sa nulla, deve imparare tutto!

E tutto impara, velocemente.

Impara a camminare, impara a correre, impara a saltare, impara a nuotare…

Impara a dire mamma, a dire papà.

Impara le parole, impara la morfologia, impara la sintassi.

A un anno impara a pattinare, a tre anni impara a suonare il violino ed a parlare due lingue.

A quattro anni è già a metà del suo cammino.

Presto, già a due anni, la casa era troppo piccola, un mondo troppo piccolo per lui, ed egli aveva bisogno di altri spazi, di altre terre, di altri cieli.

È entrato nella sua prima scuola, la scuola dell’infanzia, un mondo più ricco di quello delle quattro mura domestiche, con le maestre che cantano, parlano anche una seconda lingua, suonano il flauto dolce, costruiscono tante cose, ed egli tutto impara da loro, anche a convivere con i propri amici.

Poi arriva la scuola primaria e lì cominciano le prime ferite, se ha la sfortuna di incontrare signore che maestre non sono, signori che maestri non sono.

Se così gli capita, gli orizzonti delle sue esperienze si chiudono nelle quattro mura della scuola, nei saperi delle pagine dei libri di testo.

Non solo!

Ma cominciano anche i primi attentati a quella fiducia di base che gli si era costruita, con l’aiuto della mamma e del papà

Ora ci sono i voti, frecce acuminate che entrano nel cuore e lo feriscono, ne fanno uscire gocce di sangue.

La sua pressione sanguigna si allenta!

Si allenta ancora con le minacce delle bocciature, rare, ma sempre incombenti.

La situazione peggiora, e peggiora di molto, nella scuola secondaria.

Portatrice di un retaggio secolare di cui la scuola primaria si è in gran parte liberata, la scuola secondaria, figlia legittima di ser Giovanni, non di rado continua a difendere le sue antiche virtù, la difesa dalla razza, la difesa del ceto nobile, la difesa dei doni genetici e della dotazione dei talenti paterni e materni.

Come dice il Grande Papa Francesco, chi nelle case dei ricchi e dei potenti non ha avuto la fortuna di nascere, è esposto a maggiori ferite al cuore, indifeso da carezze auree.

Ogni giorno è una lotta, una lotta continua, una lotta tra il suo cuore che lo chiama ad alimentarsi, a crescere, a diventare grande, e tutti gli strumenti della selezione scolastica, tutti gli strumenti che portano alla mortalità scolastica.

Sì, la scuola colpisce al cuore!

Colpisce la speranza di diventare grandi, uomini, grandi uomini.

Colpisce la fiducia, la fiducia di base.

E senza fiducia l’acrobata cade dalla fune sospesa nel vuoto e muore.

Senza fiducia il centravanti sbaglia il passaggio all’attaccante e l’attaccante sbaglia il tiro in porta!

Ma, signori, nel campo sportivo di casa propria ci sono gli amici tifosi che sostengono gli undici giocatori.

A scuola i tifosi degli ospiti senza paterni talenti non ci sono.

Ed a scuola l’entusiasmo, la fiducia, l’autostima traballa, ed a volte tracolla.

La scuola ha i suoi feriti, feriti di ferite che non si rimarginano, che restano, che impediscono di crescere, di diventare grandi, grandi come il cuore innocente sognava.

Ma come se non bastasse, la scuola ha anche i suoi morti, morti che nessuno conta.

Non a caso uno dei grossi problemi, che ogni Ministro della Pubblica Istruzione si trova a dover affrontare, è il problema della mortalità scolastica che al giorno d’oggi nessuno si impegna a considerare nelle sue dimensioni nascoste di conoscenze non acquisite, di capacità che non si sono formate e soprattutto di amori che sono morti, a causa delle continue, insistenti, impietose ferite che ai cuori dei giovani non talentuosi sono dati senza pietà, senza misericordia, senza carità non solo cristiana, ma nemmeno umana.

ATTI DI CULTO E ATTIVITÀ SCOLASTICHE

Al quotidiano “Avvenire”
agli organi di informazione

Oggetto: ATTI DI CULTO E ATTIVITÀ SCOLASTICHE

Che stiamo lavorando e che lo facciamo con anticipo sui tempi ci sembra già una buona notizia e un vanto; che poi la causa di tale alacrità sia rivolta ad evitare che vengano commessi atti in violazione delle leggi e delle disposizioni vigenti ci da l’illusione di poter riceverne unanime consenso.
Invece no, non è così. Non è così almeno per gli ineffabili estensori del quotidiano “Avvenire” che proprio il nostro attivismo in difesa delle disposizioni di legge sembrano voler rimproverare.
Riepilogando brevemente per una più agevole comprensione da parte di tutti.
Nei giorni scorsi come organizzazione sindacale Cobas Scuola abbiamo inviato a tutte le sedi periferiche dell’amministrazione scolastica, Ufficio Scolastico Regionale e Uffici Scolatici Territoriali (ex provveditorati) e ai Dirigenti Scolastici delle scuole siciliane, una nota in cui ribadivamo, sulla base di una consolidata giurisprudenza che arriva fino al rango costituzionale, che alle scuole non è consentito a nessun titolo l’organizzazione o la partecipazione in orario scolastico ad atti di culto, celebrazioni o a qualsiasi altra attività di natura religiosa (Precetto pasquale, ecc.) e più che mai che tali attività possano essere previste in luogo e in sostituzione delle normali ore di lezione.
Si direbbe una raccomandazione addirittura pleonastica visto che dirigenti, funzionari e il personale tutto delle pubbliche amministrazioni devono, per dovere d’ufficio, conoscere ed applicare con scrupolo la normativa vigente, in special modo quando si tratta della delicata materia che attiene al complesso e delicato processo di formazione delle coscienze e dell’individuo.
E invece no, e la risposta piccata di “Avvenire” dello scorso 4 marzo ci conforta più che mai sulla opportunità della nostra iniziativa visto che da quelle colonne ci si rimprovera, così afferma Paolo Ferrario, citando Nicola Incampo (esperto per l’Insegnamento della religione cattolica della Conferenza episcopale italiana), una mancata conoscenza della normativa.
Orbene è proprio l’esperto Incampo che a nostro avviso inciampa subito in un evidente travisamento della normativa e della questione nei suoi termini più generali.
Ci rimprovera ad esempio la mancata considerazione della sentenza n. 3635 del 2007 del TAR del Veneto che avrebbe a suo dire ribaltato la sentenza del TAR dell’Emilia Romagna del 1993 che invece noi citiamo a sostegno delle nostre tesi la quale, a proposito dell’ambito di deliberazione degli organi collegiali della scuola, collegio docenti e consiglio di circolo o d’istituto, ai sensi dell’art. 6 secondo comma lett. d) ed f) del d.P.R. 31 maggio 1974 n. 416 (adesso, art. 10, comma 3, lett. e. e g. del d.lgs. n. 297/1994), recita:
– che questa si esercita sulla programmazione e sull’attuazione di attività prettamente didattiche e che in modo “evidente, se non si vogliano fare forzature al dettato della legge, che in nessuna delle indicate attività potrebbero mai rientrare concettualmente la celebrazione di liturgie o riti religiosi o il compimento di atti di culto o comunque le pratiche religiose”
– che, sulla base del dettato costituzionale di indipendenza e sovranità reciproca tra Stato e Chiesa, “Al di là dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole dello Stato, non è consentito andare: pertanto, ogni altra attività, squisitamente religiosa (atti di culto, celebrazioni) non è prevista e non è consentita nelle aule scolastiche e meno ancora in orario di lezione e in luogo dell’insegnamento delle materie di programma”.
Il fatto è che la sentenza del 2007 del TAR del Veneto, invocata dall’esperto Incampo come pietra tombale della discussione, si riferisce alle visite pastorali e non alla celebrazioni di messe o altri atti di culto in orario scolastico cui noi facciamo esplicito riferimento nella nostra diffida.
Per giunta la successiva decisione del Consiglio di Stato n. 01911 del 2010, che Incampo sembra non conoscere, ha censurato questa sentenza del TAR ristabilendo innanzitutto la piena legittimità dell’Uaar a presentare ricorso e nel merito riconoscendo sì la legittimità della visita pastorale nella scuola previa deliberazione degli organi collegiali, ma solo a condizione che non possa “essere definita attività di culto, né diretta alla cura delle anime”.
È forse questo il motivo dell’amnesia? A noi fa venire in mente altre polemiche in cui molti si spinsero a definire il crocifisso arredo d’aula, ex tal regio decreto di epoca fascista, pur di mantenerlo appeso alle pareti tra le carte geografiche e le lavagne.
E poi perseverando l’esperto continua riesumando una circolare dell’allora Ministro per la Pubblica Istruzione Misasi del 13 febbraio 1992, prot. n. 13377/544/MS che nell’articolo di “Avvenire” viene citata con un perentorio “stabilisce che”, ma che da una lettura appena superficiale rivela invece locuzioni ben più timide, del tipo “questo Ministero è dell’avviso …” e “Si ritiene …” che ne evidenziano il carattere meramente interpretativo in piena forzatura di quanto espresso dal citato art. 6 del d.P.R. n. 416/1974 e poi ribadito dall’art. 311 del d.lgs. n. 297/1994, il Testo unico in materia di istruzione, e quindi definitivamente superata dalla sentenza del TAR Veneto, sez. II, del 20 dicembre 1999, n. 2478.
A giudizio di chi legge: non vuol dire questo che a nessun titolo e in nessun modo è ammissibile la pratica del culto religioso nelle sue varie forme all’interno delle attività curriculari ed extracurriculari previste dagli ordinamenti scolastici? Non è esattamente proprio questo che noi segnaliamo come pratica scorretta ed illegale nella nostra nota?
Stiano tranquilli dunque “Avvenire” e Incampo, non facciamo altro che ribadire quanto un’ormai lunga teoria di pronunciamenti ha inequivocabilmente acclarato e dover rimettere continuamente in discussione anche i più evidenti e consolidati principi ci sembra francamente pretestuoso.
Nei loro panni, nei panni cioè di chi esprime semplicemente un’opinione e non può per questo essere sanzionato, ci preoccuperemmo però di non dare ambigue indicazioni a dirigenti e insegnanti circa la libertà di azione che in nome dell’autonomia avrebbero nella programmazione di attività di natura religiosa visto che poi le conseguenze di scelte ed iniziative sbagliate sarebbero solo ed esclusivamente a loro carico.
A dirigenti e insegnanti ci permettiamo casomai di segnalare le indicazioni più responsabili e meditate della arcidiocesi di Bologna: “atti di culto nelle scuole in orario di lezione (c.d. curricolare) sono da evitare, anche se fosse fatta salva la libertà di parteciparvi”.
Chiaro, semplice, incontestabile.
In definitiva noi Cobas, ma prima di tutto insegnanti e operatori scolastici, riteniamo che la scuola debba essere il luogo privilegiato dove le alunne e gli alunni possano acquisire validi strumenti di interpretazione critica della realtà cui sono chiamati a partecipare e contribuire, in tutte le forme e sfaccettature in cui questa si esprime, senza mai privilegiare o addirittura orientare le loro scelte verso alcuno dei modelli con cui questa preziosa diversità e complessità si manifesta, affinché le loro scelte di individui siano sempre motivate dalla consapevolezza e dalla libertà.
Difficile, faticoso ma irrinunciabile.

per l’Esecutivo Nazionale Cobas Scuola
Ferdinando Alliata

Scuola, sì della Camera sugli scatti degli insegnanti. Ma si apre il caso “quota 96”

da Repubblica.it

Scuola, sì della Camera sugli scatti degli insegnanti. Ma si apre il caso “quota 96”

E’ leggeil decreto che reintroduce gli aumenti automatici. Tegola per i 4mila docenti rimasti “impigliati” nella riforma Fornero: per la Ragioneria dello Stato “è incerta” la copertura finanziaria della sanatoria che consentirebbe loro di godere del diritto alla pensione maturato in base alla normativa precedente

ROMA – Doccia scozzese per la scuola italiana. La Camera approva definitivamente il decreto-legge sugli scatti di anzianità del personale scolastico, presentato dal governo lo scorso 23 gennaio, mentre la Ragioneria generale dello Stato comunica che per i cosiddetti quota 96 non c’è la copertura finanziaria e i 4mila docenti che due anni fa pregustavano la pensione saranno costretti a rimanere in servizio fino a 67 anni di età. Intanto, dopo il blocco varato dal governo Berlusconi e rilanciato dall’esecutivo Monti, dal 2014 gli stipendi del personale docente e non docente potranno nuovamente godere degli scatti automatici – ogni sei anni per gli insegnanti – previsti dal contratto del personale scolastico.

La legge appena approvata scongiura anche la restituzione di somme già percepite dai docenti – gli ormai famigerati 150 euro che avrebbero dovuto ridare gli insegnanti a gennaio, su cui si è scatenato il web – e dal personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario) per mansioni aggiuntive già svolte, ma che rientravano nel blocco degli scatti. “Dal 2014, finalmente, le retribuzioni del personale scolastico sono sbloccate – dichiara Francesca Puglisi, relatrice del provvedimento al Senato – Abbiamo anche evitato che il personale Ata fosse costretto a restituire somme già percepite. I tempi sono maturi per ridiscutere il contratto e valorizzare la professionalità dei docenti”.

“Soddisfatta” la titolare dell’Istruzione Stefania Giannini che  sottolinea come “con l’approvazione del  decreto si sia corretto il tiro rispetto ad un errore commesso in passato  che rischiava di pesare sulle tasche degli insegnanti”. “Ora dobbiamo  lavorare sul futuro – ha proseguito – L’ho detto in molte occasioni e  non mancherò di ripeterlo durante tutto il mio mandato: bisogna davvero  cambiare passo. Dobbiamo uscire dalle emergenze continue, progettare una  scuola che ridia dignità agli insegnanti, ma che metta al centro  soprattutto il diritto dei nostri giovani ad una formazione adeguata per  affrontare il futuro”.

E’ stato inoltre approvato un ordine del giorno che impegna il governo a rimpinguare il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, utilizzato per pagare gli scatti del 2010, 2011 e parte del 2012. Fondo utilizzato dalle scuole per attività aggiuntive, in genere pomeridiane, che è stato tagliato di oltre 400 milioni, su circa un miliardo e 400 milioni. Un impegno rilanciato recentemente anche dal ministro Giannini.

Brutte notizie invece per coloro che incapparono nella riforma Fornero a pochi mesi dalla pensione. Si tratta di circa 4mila insegnanti che nel 2012 avevano già maturato, secondo la normativa precedente, i requisiti per il pensionamento: la cosiddetta quota 96 fra età e anni di servizio. Con 60 anni di età e 36 di servizio – o con 61 di età e 35 di servizio

– si poteva infatti lasciare la cattedra ai più giovani. Ma la riforma Fornero non prevedeva che nella scuola si va per anni scolastici e non per anni solari. Cosicché coloro che avevano già presentato la domanda per andare in pensione vennero trattenuti in servizio, un buco alla normativa che per essere sanato necessita di una somma pari a circa 400 milioni di euro fino al 2017, la cui copertura è stata giudicata “incerta” dalla Ragioneria dello Stato.

Un premio da un milione dollari per un insegnante eccezionale

da La Stampa

dal Forum globale sull’istruzione di dubai

Un premio da un milione dollari per un insegnante eccezionale

Da oggi al via le candidature per  il “Nobel dell’insegnamento” lanciato dalla Varkey Gems Foundation
roma

Un premio da un milione di dollari da assegnare a un insegnante eccezionale per il suo contributo esemplare alla professione. Lo lancia la Varkey Gems Foundation, in occasione del Forum globale sull’istruzione in corso a Dubai. Da oggi prendono il via candidature e nomine e il termine ultimo per presentarle è il prossimo 31 agosto.

«L’importanza di questo premio – ha spiegato Sunny Varkey, fondatore della Varkey Gems Foundation – non sono i soldi. L’obiettivo è portare alla luce migliaia di storie di coraggio e ispirazione. Desideriamo ispirare i bambini dei villaggi più remoti, di paesi e città di tutto il mondo a dire “Voglio quel premio!” Quanti bambini dicono che vogliono diventare star di un reality show? Ispiriamoli invece a diventare i migliori insegnanti del mondo».

Il candidato vincente – spiegano i promotori dell’iniziativa – sarà un insegnante «che ha raggiunto traguardi eccezionali nell’insegnamento e che si è guadagnato il rispetto della comunità attraverso attività che vanno oltre le aule scolastiche. L’insegnante dovrà essere stato/a un modello per altri insegnanti attraverso iniziative di volontariato, assistenza alla comunità e contributi in ambito culturale».

Il premio, l’equivalente di un “Premio Nobel”, verrà conferito sotto il patronato dello Sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, Primo ministro e Governatore di Dubai.

L’obiettivo del premio è sottolineare l’importanza della professione dell’insegnamento e simboleggiare il fatto che gli insegnanti di tutto il mondo meritano di essere riconosciuti e celebrati.

Il premio è aperto a insegnanti attualmente in attività che insegnano a bambini nella scuola dell’obbligo o comunque di età inferiore a diciotto anni. Anche i dirigenti scolastici con responsabilità d’insegnamento sono candidati.

Il vincitore riceverà il premio in denaro a rate di uguale entità in un periodo di dieci anni. Una condizione per vincere il premio è che il vincitore continui a essere un insegnante per almeno cinque anni.

Sicurezza, quei soldi ballerini

da ItaliaOggi

Sicurezza, quei soldi ballerini

Il governo è ancora impegnato nell’esatta definizione delle risorse realmente disponibili. Del miliardo di Berlusconi dopo i tagli restano 163 mln

Osvaldo Roman

Dopo le decisioni del Consiglio dei ministri per l’edilizia scolastica in totale sarebbero state individuate risorse disponibili per 3 miliardi e 713 milioni. I fondi a disposizione nelle casse dei comuni ne costituirebbero una parte consistente. Per quello che riguarda la scuola viene formalizzata l’unità di missione, lo strumento che sarà operativo a palazzo Chigi e che avrà il Miur come riferimento ma metterà in collegamento gli altri ministeri competenti per garantire l’immediata spendibilità dei fondi dei comuni.

Il ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, ha anche affermato che le risorse disponibili provengono in parte da un miliardo di euro presenti nel Fondo per l’Edilizia del Miur, che dovrebbero permettere di finanziare circa duemila interventi cantierabili.

A questi ne andrebbero aggiunti altri 8 mila finanziati con i fondi dei comuni. Si sostiene che «sono 10 mila interventi, una cifra smisuratamente superiore a quanto mai realizzato finora, che richiede una struttura operativa molto più snella con l’ambizione realistica di operare con notevole rapidità».

Tutto però continua ad essere poco chiaro sulle reali dipsonibilità tanto che il sottosegretario alla presidenza, Graziano Delrio, continuerà la sera a fare conti su numeri che cambiano continuamente. ItaliaOggi ha verificato, in base agli atti dell’inchiesta parlamentare sull’edilizia, una disponbilità diversa, di circa 2,7 miliardi di euro (si veda la tabella in pagina).

Non è il massimo della chiarezza che il governo affermi che nel Fondo dell’edilizia del Miur attualmente sono disponibili risorse per circa un miliardo di euro.

Se si intende il Fondo unico che doveva nascere nel 2013, ma che ancora nel bilancio 2014 non ha preso corpo, vi risulterebbero transitati solo i 150 mln previsti dalla legge n. 98/2013.

Per quanto riguarda gli 850 mln che saranno attivati con i mutui della legge n.128/2013, a partire dal 2015, al momento non vi è neppure la certezza circa la loro destinazione:sono destinati alle Regioni per costruzioni che spettano ai Comuni e alle Province? Il relativo Piano dovrebbe essere stabilito in base alla regole stabilite nell’Intesa della Conferenza unificata del 1 agosto 2013?

Oppure quali variazioni si stabiliranno rispetto a quella normativa sottoscritta dallo stesso Delrio in qualità di ministro degli Affari regionali? Come può operare al riguardo la cabina di regia? Come si colloca la destinazione di tali risorse con le richieste formulate direttamente al governo? Le richieste formulate direttamente al Governo, da prendere in considerazione, riguarderanno progetti nuovi oppure quelli presenti nei piani già formulati ad esempio il primo programma stralcio dei 358,4 milioni, decurtato da Tremonti, oppure anche i piani per il Sud finanziati con fondi FERS o FSC?

E infine sarà finalmente chiarita la vicenda del miliardo di Berlusconi, ridotto in briciole? Tutti interrogativi a cui al momento non c’è risposta.

Per quanto riguarda lo stanziamento di un miliardo del governo Berlusconi, per esempio, la Delibera CIPE n.6 dimostra che i 1000 milioni di Berlusconi sono stati saccheggiati dai tagli lineari di Tremonti.

Il riassunto di tali tagli in termini numerici è riportato nella Tabella 1 della Delibera medesima da cui risulta che i 1000 mln iniziali risultano ridotti di 610,989 mln così ripartiti definanziando: di 197,132 i 358,422 del Piano Stralcio; di 7,060 gli 8.360 per la scuola Europea di Parma; di 0,400 gli 0,400 della scuola Europea di Varese; ed eliminando i residui 406,397.

Restano così da impegnare, detratti i 226,421 utilizzati per finanziare il terremoto in Abruzzo solo 163,579 mln che non risultano adeguati a ripristinare il taglio effettuato al Primo programma stralcio.

Stipendi, la grande incertezza

da ItaliaOggi

Stipendi, la grande incertezza

Il Tesoro al lavoro sulla platea. Intanto i sindacati rivendicano il rinnovo del contratto. Detrazioni a scalare dai 25mila euro lordi. Forse 30mila.

Alessandra Ricciardi

La scuola, con il suo milione di dipendenti, è certamente il settore pubblico più interessato al piano da 10 miliardi di agevolazioni sui redditi da lavoro. Su cui però le incertezze abbondano: al Tesoro stanno ancora definendo la platea e la soglia da cui far partire la detrazione che consenta di avere mille euro netti in più l’anno: fissata a 25 mila euro (lordi) l’anno dal premier Matteo Renzi nel corso della conferenza stampa della scorsa settimana, potrebbe anche salire a 30 mila, con la detrazione a scalare inversamente proporzionale al reddito.

Sarebbe questa l’ultima ipotesi a cui starebbero lavorando tra palazzo Chigi, Tesoro e ministero dell’istruzione. Un bel colpo, soprattutto in vista del voto delle europee. Se così fosse, nella scuola gli interessati sarebbero ancora di più di quelli finora stimati: sotto i 25 mila euro lordi l’anno, per un netto mensile di circa 1500 euro, ci sono tutti gli assistenti tecnici e amministrativi e la metà dei docenti fino alla primaria, un terzo dei docenti delle secondarie. Complessivamente oltre la metà dei lavoratori ella scuola. Se la soglia dovesse arrivare con la riduzione del cuneo fiscale a redditi netti di circa 1700 euro, l’aumento in busta paga salirebbe: per esempio nella primaria e infanzia riguarderebbe quasi tutti. Ma si tratterebbe di un aumento ridotto rispetto agli 85 euro mensili di cui ha parlato Renzi in conferenza stampa. Per mettere a punto l’intervento ci sono altri 20 giorni di tempo, visto che in busta paga la nuova detrazione dovrà scattare per il mese di maggio.

L’annuncio dell’agevolazione sui redditi medio-bassi è stata salutata con favore da tutti i sindacati della scuola. Che però hanno subito messo le mani avanti: non si tratta di aumenti che possono far passare nel dimenticatoio il rinnovo del contratto. Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals -Confsal e Gilda chiedono infatti che il contratto sia rinnovato, avendo chiare scadenze, risorse e criteri. Una partita, questa, che già nei prossimi giorni dovrebbe vedere un primo step con il recupero degli scatti di anzianità su cui l’Aran, l’agenzia governativa per la contrattazione nel pubblico impiego, dovrà avviare la trattativa con i sindacati. Il relativo decreto legge è infatti in fase di conversione alla camera, dove il sottosegretario all’istruzione, Gabriele Toccafondi, ha dichiarato di voler trovare una diversa copertura per il futuro: l’attuale, che prevede per le risorse mancati l’utilizzo del fondo per l’offerta formativa, non è più ritenuta percorribile. Da 1,3 miliardi di euro, nel giro di pochi anni il fondo del Mof si è quasi dimezzato. La partita più cospicua, e più delicata riguarda però il rinnovo delle retribuzioni base di tutta la scuola, compresa quella dei dirigenti. L’unica in grado di dare concretezza, dicono le sigle sindacali, a quell’annuncio di centralità dell’istruzione nell’agenda di governo che è diventato lo slogan di Renzi. La sola edilizia scolastica, pur fondamentale (anche su questo i sindacati sono concordi), non basta.

Il ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, ha più volte avuto modo di dire che se l’anzianità di servizio, i cosiddetti scatti, deve avere il suo riconoscimento nel futuro contratto altrettanto deve averlo il merito. E che non ha senso scindere la valutazione dei prof dal rendimento degli alunni. Indicazioni chiare, che aprono a una stagione certamente impegnativa per il confronto nella scuola.