ASSURDI ATTACCHI A SINDACATO

ASSURDI ATTACCHI A SINDACATO, GIANNINI IGNORA DRAMMA INSEGNANTI

“Le esternazioni della Giannini ci lasciano esterrefatti perché dimostrano che il ministro non conosce affatto la drammatica situazione in cui si trovano gli insegnanti italiani a causa di una politica miope basata su tagli continui e indiscriminati”. Così Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, commenta le dichiarazioni del ministro Stefania Giannini ospite questa mattina di Radio 1.

“I dati, ormai sfornati con cadenza quasi giornaliera e che il ministro evidentemente ignora del tutto, dicono a chiare lettere che i docenti delle scuole italiane sono i più poveri d’Europa e con la progressione di carriera più bassa. Non capiamo – prosegue Di Meglio – questi attacchi apodittici al sindacato che il ministro non si è degnato neanche di salutare dopo il suo insediamento a viale Trastevere. Il contratto è scaduto ormai da cinque anni, l’inflazione finora ha eroso gli stipendi del 17% e non c’è l’ombra di un centesimo da contrattare: in questo scenario – conclude il coordinatore della Gilda – è assurdo affermare che i sindacati tutelano solo il minimo garantito a tutti”.

Giannini incontra Don Luigi Ciotti

Giannini incontra Don Luigi Ciotti: “Domani saremo insieme alla veglia per vittime innocenti delle mafie presieduta da Papa Francesco”

Anche il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini sarà presente domani pomeriggio, 21 marzo, alla veglia di preghiera presieduta da Papa Francesco per le vittime innocenti delle mafie. La veglia è prevista alle 17.30 nella Chiesa di San Gregorio VII a Roma. Il Santo Padre incontrerà l’associazione “Libera” di Don Luigi Ciotti che questo pomeriggio è stato ricevuto dal Ministro Giannini per fare il punto sull’impegno delle scuole nella diffusione della cultura della legalità.

“Ho accettato molto volentieri l’invito di Don Luigi Ciotti che domani sarà dal Pontefice insieme ai familiari di chi è stato ucciso dalla malavita organizzata – spiega il Ministro Giannini -. Anche il Miur farà la sua parte per la celebrazione della diciannovesima edizione della Giornata nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Il 22 marzo numerose scuole parteciperanno alla marcia in programma a Latina. Con una circolare abbiamo invitato tutti gli istituti a partecipare alle iniziative messe in campo da Libera. L’adesione del Miur non è simbolica ma è il frutto di una precisa visione: la cultura della legalità si costruisce fra i banchi e giornate come quella del 22 marzo sono un pezzo importante di questo percorso”.

Su edilizia massimo impegno

Miur, Ministro Giannini incontra la mamma di Vito Scafidi: su edilizia massimo impegno

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini ha incontrato questa mattina Cinzia Caggiano, la mamma di Vito Scafidi, il ragazzo che nel 2008 ha perso la vita a scuola a soli 17 anni per il crollo di un controsoffitto. Al centro dell’incontro il tema dell’edilizia scolastica, su cui la mamma di Vito si sta battendo dopo la morte del figlio, non solo in tribunale ma anche cercando di sollecitare i decisori politici a mettere in campo interventi certi e rapidi.
“La scuola è vita e i figli devono tornare a casa. Mi preoccupavo molto – ha ricordato la mamma di Vito – delle norme di sicurezza in ambito domestico. Dicevo sempre ai miei figli di non aprire il gas quando erano soli, di non fare la doccia. Mai avrei pensato che Vito non sarebbe tornato da scuola. Nell’aula dove è avvenuto il crollo sembrava fosse scoppiata una bomba.
Il Ministero comunque – ha aggiunto – mi è sempre stato vicino in questi anni con la presenza alle manifestazioni per Vito e supportandomi nel mio impegno”.
Durante l’incontro di stamattina il Ministro Giannini ha preso l’impegno di visitare quanto prima il liceo Darwin di Rivoli, ma soprattutto ha garantito che vigilerà sull’attuazione del piano per l’edilizia su cui si sta spendendo il governo e di cui “il Miur sarà uno dei protagonisti attraverso la sua azione di controllo. Anche l’Anagrafe dell’edilizia – ha proseguito il Ministro – sta finalmente ripartendo e faremo di tutto perché non ci siano ulteriori ritardi.
Andare a scuola in sicurezza deve essere un diritto sacrosanto per i nostri ragazzi”.

Giovani demotivati

Giovani demotivati

di Emilio Ambrisi

L’impegno paga più del talento, almeno nello studio della matematica. E i quindicenni italiani risultano tra i più demotivati del mondo” è quanto scrive, questa mattina, S. Intravaia su Repubblica a commento dei risultati OCSE.

Ma ci voleva l’OCSE per dirlo? Per dire quella che è stata una verità di sempre, di ogni luogo e di ogni cultura? Che la matematica non si apprende facilmente! Per saperne qualcosa ci vuole fatica e sacrificio. E perchè i nostri allievi dovrebbero compierlo: a che serve?

Lo chiedeva anche il giovane del III sec. a.C. al maestro Euclide! Quello che si studia conta qualcosa? La collettività lo riconosce?

E’ anche il governatore della Banca d’Italia a dichiararlo: da noi, studiare non premia, in ogni caso conta meno che altrove.

Abbiamo abolito anche il bonus maturità che era un modo, mai attuato, solo pensato, di premiare l’impegno nello studio!

E se non bastasse nelle scuole non si sa neppure più cosa insegnare. I programmi ministeriali di una volta non esistono più, li abbiamo sostituiti con le Indicazioni Nazionali che avrebbero dovuto indicare le mete di conoscenze e abilità da conseguire con l’azione didattica, ma non lo fanno.

Sono documenti scritti con superficialità e male. Quelli per la matematica sono  pieni di contraddizioni, di aggettivi inutili, di frasi ridondanti e prive di significato, anche di errori.

In questo modo non è solo sminuita la funzione della scuola, c’è anche una perdita di credibilità della stessa cultura matematica ufficiale.

Una situazione difficile, disorientante. Un ambiente sociale, culturale, normativo, amministrativo, in cui ciascuno gioca a portare acqua al suo mulino, inquinando anche la stessa matematica.

Una generale caduta di valori morali e etici per cui non è ben chiaro ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare. Ciò che è bene e ciò che è sbagliato e da condannare! E, dunque, l’aspetto più rovinoso: la perdita del senso del dovere.

A soffrirne di più è la matematica! Essa è sempre stata la via regia per l’educazione alla razionalità ma anche per l’educazione morale e civile dei giovani. In matematica non s’imbroglia, la matematica è candida, senza macula alcuna. E’ questa la via che bisogna riprendere e sulla quale guidare i giovani. Oggi demotivati! Dove tendere i loro sforzi? Chi glielo mostra?

Tutto  questo rappresenta il perchè del  tema che la Mathesis ha fissato per il suo prossimo congresso nazionale di Spoleto (10-12 aprile): Educazione e Cultura Matematica in Italia. Serve ciò che si studia a scuola?

PAS Strumento musicale

PAS Strumento musicale: resoconto incontro Anief-Miur del 19 marzo

Il 19 marzo 2014, presso la sede del Miur di Piazzale Kennedy, si è svolto l’incontro tra una delegazione ANIEF e il dirigente dell’Ufficio per gli ordinamenti didattici, dott.ssa Clelia Caiazza, sul problema dell’attivazione non omogena sul territorio nazionale dei corsi PAS A077- strumento musicale.

Per il sindacato ANIEF non sussistono motivazioni oggettive e fondate tali da non permettere l’attivazione dei corsi in tutte le singole istituzioni. Si parla mediamente di 10-15 docenti per istituto che avrebbero inoltre l’opportunità di frequentare alcuni moduli presso le università essendo discipline comuni. ANIEF ha inoltre sottolineato l’importanza di attivare i corsi nell’a.a. 2013-2014 al fine di permettere ai docenti interessati di poter aggiornare le graduatorie ad esaurimento e d’istituto in tempo utile.

Un ulteriore ritardo comporterebbe un’ampia disparità di trattamento tra docenti che stanno già frequentano i corsi PAS nelle istituzioni AFAM e che potranno aggiornare le proprie posizioni in graduatoria e coloro che non riusciranno a frequentare o a chiedere il nulla osta nelle istituzioni che hanno attivato i corsi.

L’ANIEF fisserà a breve inoltre un incontro con il capo dipartimento, prof. Marco Mancini, per cercare di raggiungere una soluzione al problema.

Niente smartphone a scuola «Rischio di cyberbullismo»

da Corriere.it

Beltrami

Niente smartphone a scuola «Rischio di cyberbullismo»

La preside ai genitori: ai figli cellulari senza video e Internet. Accettiamo la tecnologia ma tuteliamo i nostri ragazzi

di Federica Cavadini

La regola: a scuola (media) telefonino ammesso ma rigorosamente spento. Il suggerimento della preside ai genitori: comunque evitate di dare ai figli gli smartphone (i modelli con connessione internet). «Meglio dotare i ragazzini di cellulari a basso costo, senza quelle funzioni – registrazioni audio, video e accesso a internet – che sappiamo mettere a rischio la comunità scolastica».  La comunicazione è arrivata lunedì a genitori, studenti e personale della scuola media Beltrami, istituto statale di zona 1, dietro via Torino. Nella circolare che ha per oggetto «Divieto di utilizzo a scuola di cellulari e giochi elettronici» la dirigente, Alessandra Condito, ribadisce le regole, ricorda le sanzioni previste dal Regolamento d’Istituto e aggiunge la sua riflessione, con tanto di indicazione «tecnica» sui modelli di telefonino più o meno adatti ai ragazzini delle medie: «Perché – dice – il rischio che si passi dal messaggio all’offesa e al cyberbullismo è concreto. Sappiamo che succede in scuole del centro come della periferia e con ragazzi di ogni estrazione sociale».  «Giusto entrare un po’ anche nella quotidianità di cui si nutre la realtà educativa e avviare la riflessione, insieme, su temi così importanti», sostiene la preside.

Regole da rivedere

Telefonino sì, per comunicare, per sapere se arrivano a casa tardi. Ma considerasti i rischi che conosciamo la connessione a internet è indispensabile a quest’età?  Confronto da tenere aperto . Regole da aggiornare. «Anni fa da questa stessa scuola era uscita una circolare sul divieto assoluto di portare il telefonino – racconta la preside della Beltrami -. Oggi lo tolleriamo, naturalmente spento in orario di lezione, perché facciamo i conti con la realtà, sappiamo che è uno strumento che rassicura i genitori». «Sentiamo l’esigenza di contattare i figli dall’ufficio, sapere come è andata a scuola e se hanno mangiato», scrive la dirigente nella circolare. «Allo stesso tempo però dobbiamo tutelare i minori. Non vogliamo demonizzare la tecnologia, ma non tutti soprattutto a quest’età ne fanno un uso appropriato».  Il pericolo è che studenti poco più che bambini, dotati dell’equivalente di un piccolo computer connesso a internet e utilizzato quando sono soli, possano fare danno, ai compagni e a se stessi. Per esempio. Foto e video inizialmente trasmessi al gruppo della classe potrebbero rimbalzare un po’ più lontano in rete e poi la catena è difficile da fermare. «I nostri alunni sono bravi ragazzi ma non tutti hanno la stessa maturità e non si rendono conto delle ferite che possono procurare con quello che credono sia solo uno scherzo, un gioco», dice Condito. Che alle famiglie della Beltrami scrive: «Concederemmo ai ragazzi delle medie di venire a scuola in motorino?».

L’opinione degli esperti

Il suggerimento sulla scelta del telefonino è condiviso in parte dagli esperti di sicurezza del web. «Giusto valutare l’età e la maturità quando si decide quale modello dare ai figli e quali servizi attivare. Perché è vero che i casi che ci segnalano coinvolgono anche ragazzini di undici e dodici anni – dicono alla Polizia postale -. D’altra parte la tecnologia non si può fermare e la stessa può fornire anche strumenti per monitorare i comportamenti». Le trappole per i giovanissimi? «Il pericolo è che mettano su internet informazioni personali o dei compagni e poi c’è il problema della tutela delle imagini. Rischiano illeciti penali. Nel caso di un danno morale se si identifica il responsabile, anche se minore, la famiglia della “vittima” può chiedere il risarcimento e i genitori dell’autore dovranno rispondere in solido».  I ragazzi, è allora la linea della preside, dovrebbero venire a scuola con «strumenti adatti alle esigenze di oggi e di noi genitori lavoratori. evitando però che siano gli stessi che possono far loro del male, si tratti di una nota o di un rimprovero. E nel caso di messaggi o registrazioni in orario scolastico è prevista la sospensione e la denuncia».

Aboliamo la parola «dislessia»

da Corriere.it

DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO

Aboliamo la parola «dislessia»

Eccesso di diagnosi, abuso del termine: solo in italia siamo arrivati al 5% della popolazione scolastica. Da qui la proposta (provocatoria) di un  team di ricercatori inglesi: archiviare l’«etichetta»

La dislessia fa parte dei disturbi specifici di apprendimento (DSA) e consiste soprattutto nella difficoltà a leggere velocemente e correttamente ad alta voce. Non si tratta di difficoltà riconducibili a insufficienti capacità intellettive, a mancanza di istruzione, a cause esterne o a deficit sensoriali. Basta azzeccare la diagnosi per rimediare e permettere allo studente di allinearsi. Ma qualcuno sostiene che ci sia, in Italia come nel mondo, un eccesso di diagnosi e che il problema sia anche nella parola «dislessia». E’ diventato un termine dietro al quale si nascondono anche casi sospetti e abolire questo termine abusato sarebbe già un passo in avanti. Lo propone uno psicologo della Durham University con un’esperienza nell’insegnamento in un libro dal titolo «The Dyslexia Debate», mentre sono sempre di più quelli che vorrebbero eliminare un’etichetta che talvolta si trasforma in un boomerang. Il dubbio è avvallato dagli esperti dell’Università di Yale, ma la charity Dyslexia Action ne vota la sopravvivenza, sostenendo che dislessia è un termine ancora adeguato e colmo di significato.

Gli incompresi

Poche decine di anni fa esisteva un esercito incompreso di bambini affetti da dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia che passavano semplicemente per ragazzini svogliati e negligenti. Il classico «potrebbe riuscire, ma non si applica». Poi si è capito e si è corsi ai ripari. La diagnosi arriva ormai abbastanza solertemente e insieme alla diagnosi arrivano giustamente una serie di strumenti compensativi e dispensativi per far fronte a quello che non è un deficit cognitivo, bensì, secondo la definizione approvata dall’International Dyslexia Association, «una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica». Sui Dsa esiste ormai una grande attenzione, ma il termine dislessia rischia di diventare una parola-ombrello ormai desueta e troppo ricorrente. Anche a sproposito.

Dibattito sulla parola dislessia

«Poco scientifico e inutile»: così è stato bollato il vocabolo, dando spazio a un ampio dibattito. Perché le parole per dirlo sono importanti, sempre, e a maggior ragione se si parla di apprendimento, di infanzia e di difficoltà. «The Dyslexia Debate», scritto dallo psicologo della Durham University Joe Elliott e da Elena L. Grigorenko, spiega nel dettaglio i diversi modi in cui i problemi nella lettura sono stati concettualizzati e affrontati e discute le ricerche più recenti nel campo delle scienze cognitive e genetiche e nelle neuroscienze, ammettendo ancora dei limiti vistosi nella diagnosi e nel trattamento di questi disturbi. Ma per dare un aiuto serio, secondo i due autori, occorre riposizionare il problema e coniare una nuova parola che fornisca una descrizione scientifica dettagliata. Oppure semplicemente eliminare le etichette, evitando anche che qualcuno approfitti di una diagnosi disinvolta per usufruire di vantaggi ingiustificati.

Eccesso di diagnosi

Il punto è che ovunque sono in aumento i bambini affetti da «disturbi specifici di apprendimento»: solo in Italia siamo arrivati al 5 per cento della popolazione scolastica (ma nei Paesi anglosassoni si arriva all’8 per cento) e i nuovi casi superano i trentamila all’anno. Secondo l’Istituto italiano di Ortofonologia però solo il 4 per cento segnala l’esistenza di un vero problema, quindi un bambino su cinque è considerato dislessico senza esserlo. Circa il 3 per cento dei bambini anticipatari per esempio vive un disagio generalizzato che si trascina per tutto il percorso scolastico e medicalizzare il problema non aiuta a trovare una soluzione. Il dibattito è aperto, tra sostenitori e detrattori del termine. Ma il fatto che i bambini che hanno realmente questo svantaggio siano riconosciuti (in Italia grazie alla legge 170 del 2010) è una conquista indiscutibile e anche in questo caso l’aver trovato una parola per definire una condizione articolata e complessa ha aiutato ad aiutare chi ha bisogno. E non chiamiamoli più svogliati.

Miur-Coni: «gioco di squadra» per portare più sport a scuola

da Corriere.it

Il piano di alfabetizzazione motoria nelle primarie verrò esteso ricorrendo ai Fondi europei

Miur-Coni: «gioco di squadra» per portare più sport a scuola

Il ministro Giannini incontra il presidente Malagò: «Estendere educazione motoria e sportiva». Verranno rilanciati i Giochi studenteschi

di Antonella De Gregorio

È l’anno  in cui debutterà il liceo sportivo, per ora relegato a poche sperimentazioni di scuole paritarie; delle proposte di legge per portare  laureati in scienze motorie nelle primarie; dei progetti di ministeri e associazioni sportive per potenziare l’offerta di attività fisiche a scuola, anche per combattere la dispersione. E con tempismo riparte anche il gioco di squadra fra il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Coni, in vista del rinnovo del Protocollo d’Intesa fra le due istituzioni.

Uno spazio adeguato

Il ministro Stefania Giannini ha incontrato mercoledì il presidente dell’associazione sportiva, Giovanni Malagò, per studiare insieme a lui come ridare all’attività fisica uno spazio adeguato nell’educazione dei più giovani.  Un incontro salutato con entusiasmo dal Coni, che ha manifestato apprezzamento per l’interesse manifestato dal ministro che «pur essendosi insediata da pochi giorni, ha già dimostrato di avere piena conoscenza del tema e dell’importanza sociale dello sport ai fini dell’educazione e della crescita dei nostri giovani». «Il mondo della scuola ci chiede da tempo risposte su questo fronte. Le attendono gli insegnanti, ma soprattutto i nostri ragazzi e i loro genitori – ha detto Giannini -. In molte zone d’Italia, infatti, la scuola rappresenta l’unico vero punto di riferimento per le famiglie. Offrire un accesso allo sport a questi ragazzi può essere determinante nella loro educazione sia in termine di salute fisica che di valori morali».

 

I valori dello sport

«L’Italia dei campioni nasce anche fra i banchi e lo sport fa bene all’educazione», il motto che ha siglato l’incontro. Servito a gettare le basi per garantire «più alfabetizzazione motoria» per i bambini della scuola primaria e un forte rilancio delle gare sportive studentesche.  «I valori sani dello sport devono diventare uno dei pilastri dell’educazione dei nostri studenti fin da piccolissimi. Per questo – ha sottolineato il ministro – dobbiamo fare in modo che l’alfabetizzazione motoria non sia destinata solo ai pochi fortunati che rientrano in progetti ad hoc ma un diritto per tutti i nostri bambini. Lavoreremo velocemente con il Coni su un Piano che vada in questa direzione».

Fondi europei

Fra gli obiettivi principali del Piano allo studio, quello di aumentare le ore di attività fisica e la presenza di insegnanti specialisti a tutte le scuole elementari, «anche attraverso l’utilizzo dei fondi europei». Maggiore visibilità verrà data ai Giochi sportivi studenteschi «che per molti ragazzi rappresentano il primo approccio importante con le competizioni sportive».

Alfabetizzazione motoria

Confermato dunque il progetto di «alfabetizzazione motoria», la sperimentazione triennale varata nel 2010, che ha coinvolto 500mila bambini, 25.600 classi, 2600 esperti del Coni che hanno affiancato (e da gennaio riprenderanno a farlo) gli insegnanti delle primarie per realizzare attività dedicate a questa fascia d’età. Per la promozione dello sport alle elementari il Coni aveva già messo sul piatto a inizio anno scolastico 7milioni e mezzo di euro, il Miur 2 e mezzo, e il ministero dello Sport 3 e mezzo.

I Giochi studenteschi

Altro capitolo, quello dei Giochi studenteschi – fino ad oggi manifestazioni che promuovono le attività sportive individuali e a squadre attraverso lezioni in orario extracurricolare – che  diventeranno, dicono al Coni, veri e propri Campionati studenteschi, con migliore definizione e maggiore spazio.

Politica sportiva

«Quella della scuola è la madre di tutte le battaglie di politica sportiva», ha commentato Malagò. Che non manca di sottolineare come tocchi allo Stato occuparsi dello sport nella scuola, mentre il Coni può essere solo di supporto (tecnici e attrezzature). Ma è per «supplire a un piano di educazione motoria che fino ad oggi ha latitato», che l’associazione sportiva ha anche stanziato fondi per  incentivare l’attività motoria di base.

Proposta di legge

Nei giorni scorsi, sul tema del rilancio dello sport a scuola era intervenuta anche la senatrice del Pd Josefa Idem, che aveva chiesto di «rimetterlo al centro della formazione dei nostri giovani», in occasione della  conferenza stampa organizzata dall’onorevole Laura Coccia (Pd) per lanciare una proposta di legge che prevede, tra l’altro, di tassare le scommesse sportive per finanziare lo sport nelle scuole. «L’Italia è  tra gli ultimi posti in Europa per spesa pubblica destinata allo Sport, probabilmente perché lo Stato ancora fatica a riconoscere l’educazione motoria come vitale fattore di sviluppo della società e di formazione delle nuove generazioni», aveva detto Idem.  Aggiungendo: «È indispensabile  investire molto sullo sport, sia a livello economico sia soprattutto a livello culturale. Non bastano le palestre adeguate e a norma. Le scuole italiane, proprio a partire dalla scuola primaria, necessitano della presenza di laureati in scienze motorie, di veri e propri docenti di educazione fisica e sportiva. L’ordinamento dovrebbe prevedere l’inserimento negli organici di professionisti della cultura dello sport. Chi vive lo sport da bambino – ha sostenuto – poi continuerà a praticarlo anche da grande, adottando corretti e sani stili di vita». E su Twitter è stato lanciato l’hashtag #crescoattivo per raccogliere idee, approfondire e sensibilizzare.

Miur, studenti stranieri sempre più numerosi ma anche più bravi

da La Stampa

Miur, studenti stranieri sempre più numerosi ma anche più bravi

Sono 786.630 e il  47,2% sono nati in Italia. In crescita anche gli iscritti all’Università
roma

Sempre più numerosi, ma anche più bravi a scuola. La fotografia scattata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in collaborazione con la Fondazione Ismu (l’Istituto per lo Studio della Multietnicità), offre alcune conferme, ma anche nuovi spunti, sugli “Alunni con cittadinanza non italiana”.

L’indagine si riferisce ai ragazzi che hanno frequentato l’anno scolastico 2012/2013. Dall’analisi statistica emerge che gli alunni con cittadinanza non italiana continuano a crescere di numero e anche di percentuale: sono 786.630, l’8,8% sul totale degli iscritti nelle scuole italiane. Nell’anno scolastico precedente erano l’8,4%.

Il grande boom di presenze comunque sembra essersi arrestato: l’aumento medio annuo è stato di 60/70mila unita’ dal 2002/2003 al 2007/2008 mentre si è mostrato più ridotto e instabile negli anni successivi. Sono sempre di più, comunque, gli alunni di seconda generazione: il 47,2% degli studenti stranieri sono nati in Italia. Percentuale che sale all’80% nelle scuole dell’infanzia e al 60% nella primaria.

Gli alunni con cittadinanza non italiana sono presenti soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro, concentrati in particolare nelle province di media e piccola dimensione.

Quanto alla nazionalità è confermato il primato, ormai pluriennale, degli alunni rumeni (sono 148.602), seguiti dagli albanesi (104.710) e dai marocchini (98.106).

E, se si guarda al genere, le femmine sono quasi pari alle compagne di origine italiana. Nelle scuole superiori le studentesse di origine immigrata addirittura superano per incidenza quelle italiane. In particolare nel Nord est sono il 50,4% contro il 49,1%.

Ma è soprattutto nei risultati scolastici che gli alunni con cittadinanza non italiana guadagnano terreno. E questo pur rimanendo, secondo il rapporto del Miur, in livelli di “ritardo scolastico ancora significativi”. L’integrazione sta diventando una realtà, e la scuola ne è contemporaneamente la cartina di tornasole e il motore. Il ritardo quasi si annulla per gli studenti con diversa cittadinanza che però sono nati nel nostro Paese: le loro performance si avvicinano a quelle degli italiani (in particolare nelle prove di lingua straniera) e sono nettamente migliori di quelle dei loro compagni nati all’estero.

In alcune regioni del Sud le differenze tra gli italiani e gli studenti di seconda generazione tendono addirittura ad invertirsi: in Campania gli stranieri nati in Italia fin dalla scuola primaria hanno un rendimento migliore dei loro compagni di classe figli di italiani. Stanno diventando più’ bravi. E si presentano sempre più in anticipo sui banchi. Quasi cinque alunni su cento (il 4,8%) iniziano la scuola primaria a cinque anni, un dato in aumento e in linea con la tendenza all’anticipo di tutti gli studenti.

E differenze eclatanti non ci sono anche nella distribuzione dei voti della maturità, più o meno omogenei in quasi tutti i tipi di indirizzo, ad eccezione dei licei dove il 7,4% degli alunni con cittadinanza non italiana esce con un voto superiore al 90/100, contro il 13,7% degli italiani.

Sono in crescita anche gli stranieri che, dopo aver preso il diploma in Italia, scelgono di proseguire gli studi all’Università: nell’anno scolastico hanno toccato una punta del 3,1%. Sono, ed è un dato di solito poco conosciuto, la maggioranza degli immatricolati con cittadinanza non italiana presenti nelle facoltà italiane. La formazione tecnica e professionale è sempre in testa alle preferenze dei ragazzi con cittadinanza non italiana (scelta dall’80% degli alunni), mentre l’avvio al liceo o all’istruzione artistica interessa poco più di 2 su 10. Una scelta dettata prevalentemente da ragioni economiche: la necessita’ di un lasciapassare qualificato ma rapido per il mondo del lavoro. A Nord Est l’iscrizione agli istituti professionali raggiunge la punta massima del 42,1%. In Emilia Romagna il 46,5% degli alunni stranieri frequenta questo indirizzo. I licei sono la prima scelta per gli immigrati provenienti da Romania, Ucraina e Albania.

C’e’ anche una novità assoluta. Il Rapporto 2012/2013 per la prima volta si occupa di alunni stranieri con disabilità certificata (visiva, uditiva e psico-fisica). Negli ultimi cinque anni la loro presenza è praticamente raddoppiata: ora sono il 3,1% tra gli alunni con cittadinanza non italiana e il 10,8% tra gli alunni con disabilità. Un dato che rivela la capacità della scuola italiana di saper dare risposte e assistenza formativa a situazioni difficili.

Esodati della scuola, perché non possono andare in pensione

da Panorama

Esodati della scuola, perché non possono andare in pensione

Bloccato il provvedimento che consentiva al personale dell’istruzione di mettersi a riposo con la quota 96, tra età anagrafica e anni di carriera

di Andrea Telara

Niente pensionamento, almeno per ora. E’ l’amaro boccone che devono digerire 4mila lavoratori del settore dell’istruzione, da tempo definiti “esodati della scuola”. Si tratta per lo più di insegnanti che, al pari degli esodati dell’industria, sono rimasti beffati dall’ultima riforma previdenziale ideata dall’ex-ministro del welfare, Elsa Fornero, che ha innalzato di colpo l’età del pensionamento.

LA RIFORMA DELLE PENSIONI DI ELSA FORNERO

In pratica, quando è arrivato il giro di vite della Fornero, c’erano 4mila dipendenti scolastici che avevano maturato il diritto a mettersi a riposo con i vecchi requisiti previdenziali, cioè con la cosiddetta quota 96. Si tratta di una soglia di accesso al pensionamento, in vigore fino al 2012, che permetteva di ritirarsi dal lavoro non appena la somma dell’età e degli anni di carriera del dipendente superava appunto il livello di 96. Era cioè possibile andare in pensione con 61 anni all’anagrafe e 35 di servizio, oppure con 60 anni di età e 36 di carriera.

Nel dicembre del 2012, queste regole vennero però cancellate dalla riforma Fornero. Peccato, però, che 4mila dipendenti del settore dell’istruzione avevano già presentato la domanda di pensione ma erano ancora impegnati a completare l’anno scolastico, il cui termine era previsto ovviamente nell’agosto successivo. Per mettere in salvo questi lavoratori (e consentire loro di andare in pensione) è stato presentato un apposito disegno di legge, per iniziativa di Manuela Ghizzoni (Partito Democratico) e Maria Marzana (Movimento 5 Stelle).

La Ragioneria Generale dello Stato (Rgs), che ha il compito di verificare le coperture finanziarie delle norme approvate dalle Camere, ha però bocciato il provvedimento. Motivo:” non risultano economie accertate a consuntivo” che possano far fronte ai maggiori oneri valutati per l’attuazione della legge, hanno scritto gli esperti della Ragioneria. In altre parole: le coperture finanziarie non sono garantite, perché si basano su risorse non ancora accertate. Adesso tocca al governo il compito di trovare i soldi, che non sono poi tantissimi: 35 milioni di euro nel 2014, 105 milioni nel 2015, 101 milioni nel 2016, 94 milioni nel 2017 e 82 milioni nel 2018.

PENSIONI, COSA CAMBIA DAL 2014

PENSIONI D’ORO: I PIANI DEL GOVERNO PER TAGLIARLE

Renzi dice che i tagli li fa lui

da ItaliaOggi

Ma i sindacati, in allarme per pensionati e statali, bocciano la politica del ghe pensi mi

Renzi dice che i tagli li fa lui

Berlusconi non è più Cavaliere. Quote rosa alle Europee

di Franco Adriano

Come si dice ghe pensi mi in fiorentino? Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, a Skytg24, è livido dalla rabbia. Il dibattito politico è partito dai tagli alle pensioni del governo Monti per arrivare ai ventilati tagli del governo Renzi, ancora una volta sulle pensioni. Peggio ancora per i sindacati, il fatto che dopo il polverone sollevato sulle indiscrezioni relative al piano dei tagli del commissario, Carlo Cottarelli, la risposta del presidente del consiglio è che ci penserà il governo: «Sulla spending review è del tutto ovvio che le scelte le fa la politica», ha affermato Renzi in parlamento, «L’analisi tecnica è una cosa, ma poi le decisioni le fa chi è eletto.

Altrimenti sarebbe come se in una famiglia il commercialista decidesse lui se si taglia la scuola di musica o si risparmia sulla spesa della quarta settimana». Bonanni e Susanna Camusso in questo schema sembrano non avere un ruolo. La leader Cgil non gliele manda a dire: «I tagli di spesa annunciati rientrano nella vecchia logica dei tagli lineari e della compressione della occupazione, con effetti che sarebbero immediati». Insomma, secondo il sindacato rappresentano il «ritorno in una logica recessiva». Difficile ritenere che vada a buon fine il tentativo di Renzi di ridimensionare gli annunci di Cottarelli: «È solo un elenco». Ormai l’allarme è lanciato e praticamente tutte le sigle sindacali del pubblico impiego sono sul piede di guerra. Solo per fare un esempio il segretario generale della Confsal Vigili del fuoco, Franco Giancarlo, già prende atto «che il governo Renzi si appresta ad operare ulteriori drastici tagli sulla sicurezza» ed esprime preoccupazione «per l’incolumità dei cittadini». È un assaggio dei toni che si raggiungeranno nelle prossime settimane. Renzi: il 3% ora non è in discussione, ma c’è margine di manovra

Uno dei punti cruciali del dibattito di ieri in parlamento in preparazione del prossimo Consiglio europeo a Bruxelles ha riguardato la fatidica soglia del 3% tirata in ballo praticamente da tutti i parlamentari di maggioranza ed opposizione. Renzi in replica ha voluto tornare sul tema ha sostenuto, in polemica con M5s, che «il parametro oggettivamente è un parametro anacronistico, lo è oggettivamente». «Quello che però in queste ore sfugge», ha continuato, «non è la discussione sul sopra o sotto il 3 per cento, ma è il fatto che alcune forze politiche, tra cui la vostra (M5s ndr), ha sostenuto il fatto che il governo immaginasse un pacchetto di coperture molto ampio, molto più ampio di ciò che è necessario per corrispondere all’impegno dei mille euro annuali a dieci milioni di lavoratori». Dunque, «ciò che è necessario non è lo sforamento del 3 per cento, ma è il rispetto del 3 per cento con un’eventuale possibile – verificheremo se è necessaria – modifica dal 2,6 al 3 per cento». Renzi, poi, ha ricordato che «non c’è oggi la conferma del limite del 3 per cento in tutti i Paesi, anzi, molti Paesi sono decisamente sopra questa percentuale. La Francia, che pure è la Francia, quindi un Paese che merita non soltanto la nostra amicizia ma il nostro rispetto e la nostra stima, è – mi pare di ricordare – al 4,2 per cento, è in un percorso di rientro ma è al 4,2 per cento – lo dico perché è stato argomento di discussione proprio con il presidente Francois Hollande. É chiaro, la Francia ha un rapporto tra debito e pil che è diverso rispetto al nostro, sia perché nel corso degli anni il debito era meno alto sia perché il pil – anche se ha qualche problema anche la Francia – è cresciuto a più di quanto siamo cresciuti noi. Allora, la discussione oggi non è sul 3 per cento, per il quale – ripeto – non ci sarà nessuno sforamento da parte nostra, né sulla discussione di politiche in prospettiva. È evidente che se cambiamo la Commissione noi vogliamo anche cambiare anche le regole del gioco all’interno dell’Ue, è naturale che noi abbiamo il desiderio profondo di riflettere sul fatto che è inutile fare convegni sulla disoccupazione giovanile – come faremmo se non cambieremo il modo di concepire la battaglia contro la disoccupazione giovanile –, ma è importante sottolineare ai nostri concittadini che il tema in discussione oggi è prendersi lo spazio che noi abbiamo e non andare a sforare i limiti che vengono dall’Europa».
Il plauso del premier a Causi

L’intervento che è piaciuto di più a Renzi, ieri, è stato senza dubbio quello del deputato Marco Causi del Pd (per «l’abilità e la competenza tecnica e politica che», ha detto rivolto all’Aula, «tutti noi siamo soliti riconoscergli»). Ma che aveva detto Causi per meritarsi un simile pubblico elogio? Intanto, ha ricordato che fra due mesi per la prima volta si voterà per il parlamento europeo, ma anche per il presidente della Commissione europea «con un primo storico inizio di sburocratizzazione degli organismi di governo dell’Europa». Poi che fra tre mesi avrà inizio il semestre italiano di presidenza dell’Unione e i segnali positivi sono tanti «come la proposta della Commissione per uno scambio fra riforme strutturali e flessibilità degli obiettivi a medio termine del bilancio». In più, «le recenti dichiarazioni di Draghi» sulla politica monetaria che usa come parametro di riferimento il divario fra crescita effettiva e crescita potenziale e, quindi, di fatto la disoccupazione, dunque «come può la politica fiscale di bilancio non fare altrettanto? E, ancora, il rapporto Gualtieri-Trzaskowski, «approvato a larga maggioranza dal Parlamento europeo, che indica la strada di una vera capacità fiscale europea e la necessità di utilizzarla per la crescita e il contrasto della disoccupazione, in particolare giovanile. La strada, insomma, di un bilancio davvero federale». In questa fase di movimento e di opportunità, per Causi , l’Italia può iniziare a cogliere risultati: nell’immediato il taglio Irpef, Irap e della bolletta elettrica. Ma in prospettiva «la golden rule per gli investimenti o almeno per alcuni tipi di investimenti a più elevato impatto occupazionale o ambientale; la piena e simmetrica attuazione dell’unione bancaria, senza regole punitive per le nostre banche; la valutazione degli obiettivi di finanza pubblica che tenga conto della capacità produttiva inutilizzata e della grave crisi occupazionale; la mutualizzazione di parte dei debiti sovrani dentro schemi poi in cui ciascuno continua comunque a pagare gli interessi della sua quota di debito, ma che consentono un risparmio importante su questa spesa». Richiesta di arresto per l’ex segretario regionale del Pd siciliano, Genovese

È stata depositata alla Camera la richiesta di arresto per il deputato del Pd, Francantonio Genovese, già segretario regionale del Pd, ex sindaco di Messina, ex bersaniano oggi renziano, nell’ambito di un’inchiesta sulla formazione professionale. Mentre per il deputato si attende l’autorizzazione a procedere, tre suoi collaboratori sono già in carcere. L’accusa è associazione per delinquere finalizzata alla frode. Dalla documentazione acquisita sono emerse fatture gonfiate del 600% per affitti o prestazioni di servizi: un metodo per accaparrarsi decine di milioni di euro di fondi regionali. B. non è più Cav e lancia la sfida di preferenze Toti-Fitto

Silvio Berlusconi non è più Cavaliere del Lavoro. la notizia è emersa dal Consiglio direttivo della Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro, riunita ieri, che ha concluso l’esame della posizione del leader di FI. Il Consiglio direttivo e il collegio dei Probiviri hanno preso atto di una lettera di autosospensione di Berlusconi. In compenso ieri Berlusconi ha deciso che il 25 maggio Giovanni Toti sarà capolista al Nordovest, Antonio Tajani al Centro e Raffaele Fitto guiderà i candidati del Sud. Nel Nordest il capolista potrebbe essere Renato Brunetta. Accordo sulle quote rosa alle elezioni europee

Nel caso di tre preferenze espresse» queste «devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della terza preferenza». È questo il nucleo dell’accordo raggiunto al Senato sulla parità di genere per le elezioni europee. La parità totale è prevista dal 2019, pena la ricusazione della lista.

«Scuola e ricerca tornino centrali. Ora si avvieranno 10mila cantieri»

da l’Unità

«Scuola e ricerca tornino centrali. Ora si avvieranno 10mila cantieri»

Intervista al ministro Giannini

«Capisco le preoccupazioni del presidente della Repubblica riguardo alla scarsezza di risorse per la ricerca, ma almeno questo governo ha preso un impegno pubblico per rilanciare gli investimenti». La ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, è anche segretario di Scelta Civica. Alla Camera hanno appena approvato il decreto che risolve la grana degli scatti di anzianità degli insegnanti: «Bene, si è corretto il tiro rispetto a un errore compiuto nel passato», ha commentato, «ora dobbiamo rimpinguare il fondo dell’offerta formativa da cui sono state tratte le coperture». Resta però il nodo dei docenti «quota 96», che per la riforma Fornero non sono potuti andare in pensione: «Auspico che il ministero dell’Economia consenta al Parlamento di trovare una soluzione che permetta a questi insegnanti di non restare nel guado e nell’incertezza», è l’appello della ministra.

Il rapporto dell’Anvur è desolante: al ministero, un miliardo in meno dal 2009 ad oggi; è diminuito il numero di iscrizioni all’università, il 40% non arriva alla laurea, c’è un gap tra Nord e Sud. Un quadro che preoccupa il presidente Napolitano.

«In questi anni c’è stato un decremento costante per l’istruzione, circa il 15% di risorse in meno. Ma ci sono due fattori positivi: da parte del governo c’è un impegno politico pubblico sugli investimenti per le scuole, la ricerca e l’università. Secondo, l’avvio di un dialogo costruttivo per l’ingresso di fondi privati, da fondazioni o imprenditori, come avviene in America. Ci sono 600 milioni di euro del credito d’imposta, spero che tutto ciò viaggi in parallelo».

Cosa la preoccupa di più?

«Il calo delle iscrizioni, perché è frutto della crisi economica e di fiducia, tanto più con il divario Nord-Sud. Deve tornare al centro dell’agenda di governo l’importanza dello studio e dell’istruzione: il costo di un’utilitaria è quello con cui si manda un figlio all’università come fuori sede, ma vale molto di più».
Renzi è partito dalla scuola. Con quali tappe si realizzerà questo programma?

«La prima cosa sono gli interventi sull’edilizia scolastica. La deroga al patto di stabilità dei Comuni dovrebbe portare alcuni miliardi per un piano su 8000 Comuni, più il fondo del Miur di 1 miliardo e 300mila euro per 2000 interventi, in totale 10mila cantieri per la messa in sicurezza. Non è poco».

PA, il blocco dei contratti ha fatto risparmiare 9 miliardi di euro

da Tecnica della Scuola

PA, il blocco dei contratti ha fatto risparmiare 9 miliardi di euro
di A.G.
Il dato è emerso durante il primo incontro tra il nuovo ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, e i sindacati: anche la giovane responsabile della Funzione pubblica sembrerebbe contraria a proseguire il blocco del turnover. Non si capisce poi dove sarebbero concentrati gli 85mila esuberi individuati dal commissario per la spending review Carlo Cottarelli.
Il mancato rinnovo dei contratti del pubblico impiego, fermi dal 2009, ha prodotto risparmi per nove miliardi di euro. È uno dei dati emersi il 19 marzo nel corso del primo incontro tra il nuovo ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, e i sindacati.
Si è trattato, riferiscono i giornalisti presenti, di un primo faccia a faccia quasi informale, avviato con le singole sigle, con l’obiettivo di prendere i contatti, ascoltare e mettere a fuoco criticità e progetti. Ma anche per mettere in chiaro che non ci sono poi così tanti esuberi (gli 85 mila ipotizzati nelle slide del commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, non sembrerebbero rintracciabili) e che nemmeno l’amministrazione sarebbe d’accordo nel proseguire nel blocco del turnover.
Quel che serve è, invece, una riforma che riqualifichi la Pubblica amministrazione e valorizzi i suoi lavoratori. I sindacati – riferisce l’Ansa – chiedono ora l’apertura di un tavolo negoziale vero e proprio, perché le decisioni non siano “unilaterali”. Basta con “questo gioco al massacro”, avverte il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, “abbiamo già perso 350 mila dipendenti pubblici.
Ora il Governo si sieda con noi e discuta”. E’ stato “un primo incontro”, uno scambio da cui sono emersi “intenti positivi”, ma “noi abbiamo chiesto un tavolo negoziale che sia un vero tavolo”, spiega il segretario generale della Fp Cgil, Rossana Dettori, aggiungendo che Madia avrebbe sottolineato come “il proponimento del governo sia creare occupazione e non bloccare il turnover, che il ministro ritiene sbagliato”. Dettori fa anche sapere che entro la prima settimana di aprile dovrebbe tenersi il tavolo. “Forte criticità e contrarietà” è stata espressa dalla Cgil, come spiega il segretario confederale Nicola Nicolosi, al termine dell’incontro con il ministro, rispetto “al metodo utilizzato dal commissario Cottarelli, specie per quanto riguarda i possibili 85 mila esuberi”, anche a fronte “dei 246 mila precari, compresi quelli della scuola” la cui situazione va risolta. Ora, aggiunge, “dopo sei anni di blocco è arrivato il tempo dei rinnovi dei contratti per i lavoratori di tutto il pubblico impiego”. “Ci auguriamo una riforma della Pa condivisa”, sottolinea il segretario generale della Uil Pa, Benedetto Attili, ribadendo i problemi da cui partire e da risolvere (precariato e rinnovo dei contratti) e ripetendo il no agli esuberi ed al blocco del turnover.
Disco rosso, in serata, anche da Anief-Confedir. Secondo cui sulla pubblica amministrazione “sono stati già effettuati tutti i tagli possibili: basti pensare ai 350mila posti di dipendenti statali cancellati solo negli ultimi quattro anni. Di cui oltre la metà sottratti alla scuola, assieme a 8 miliardi euro, 4mila istituti e al rinnovo contrattuale del personale ormai fermo ai livelli del 2009. Sono dati che parlano da soli e che inducono Anief-Confedir a respingere con forza il piano di lavoro che sta approntando il Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica, a partire dall’ulteriore riduzione di 85mila lavoratori della PA”.

Continua il “massacro” della legge 440

da Tecnica della Scuola

Continua il “massacro” della legge 440
di Reginaldo Palermo
Il decreto legge n. 16 consente la proroga dei contratti di appalto di pulizia e per coprirne i costi prevede un taglio di 20 milioni di euro ai fondi dell’autonomia scolastica. Il provvedimento è all’esame della Camera in questi giorni.
Ormai non ci sono più dubbi: la legge n. 440 del 1997 voluta dal ministro Luigi Berlinguer per sostenere l’autonomia delle istituzioni scolastiche sta diventando un lontano ricordo e gli stanziamenti da essa previsti sono sempre più aleatori. Dopo il taglio di 39 milioni di euro previsto dal decreto sugli scatti stipendiali per risolvere (o per meglio dire per tamponare) il problema delle posizioni economiche del personale Ata, arriva adesso un altro taglio: 20 milioni di euro per consentire la proroga degli appalti di pulizia nelle scuole fino al 31 marzo prossimo. La disposizione è contenuta nel decreto legge n. 16 del 6 marzo scorso all’esame della Camera in questi giorni. Proprio nella giornata del 19 marzo la Commissione Cultura ha espresso sul provvedimento il proprio parere favorevole anche perché il rappresentante del Governo sottosegretario Reggi ha assicurato che la gara in corso gestita tramite la Consip consentirà un risparmio di più di 250 milioni di euro e pertanto sarà possibile garantire la prosecuzione dei contratti anche dopo il 31 marzo. Resta il fatto che ormai quando è necessario reperire qualche risorsa per affrontare una emergenza, si fa spesso riferimento alla legge 440 come se fosse una sorta di “pozzo di San Patrizio”. Il fatto è che ormai gli stanziamenti della legge 440 sono confluiti da tempo in un fondo unico destinato a garantire il funzionamento amministrativo e didattico delle istituzione scolastiche che, a questo punto, risulta sempre più ridotto. Nel corso del dibattito parlamentare sulla conversione in legge del decreto n. 3 sugli automatismi stipendiali le forze politiche si sono trovate tutte d’accordo nel richiedere al Governo di individuare al più presto risorse adeguate per coprire i tagli sulla legge 440 e sul fondo di istituto. Il sottosegretario Toccafondi si è dichiarato ampiamente favorevole,  ma resta il fatto che – per il momento – gli stanziamenti per il funzionamento ordinario delle scuole continuano a diminuire. Forse il Ministro non si è ancora accorta che la situazione è ormai al limite e il rischio è che persino il normale funzionamento degli uffici di segreteria venga messo in discussione.

Adozioni dei libri di testo per l’a.s. 2014/2015

da Tecnica della Scuola

Adozioni dei libri di testo per l’a.s. 2014/2015
di L.L.
Molte le novità dal prossimo anno scolastico: sono abrogati i vincoli temporali per le adozioni, sarà possibile la realizzazione diretta di materiale didattico digitale da parte delle scuole, le nuove adozioni dovranno indirizzarsi su libri in versione digitale o mista
In un periodo di perdurante crisi economica come quello che stiamo attraversando, pesa sempre troppo sul budget familiare il costo che annualmente le famiglie devono sostenere per l’acquisto dell’intera dotazione libraria. Per questa ragione, negli ultimi anni, il legislatore si è impegnato nel cercare di limitare il più possibile questa spesa, anche attraverso la promozione della cultura digitale.
I più recenti interventi legislativi e le innovazioni apportate in materia di adozioni dei libri di testo sono state illustrati dal Miur con nota prot. n. 2061 del 19 marzo 2014.
Nell’ottica del risparmio, tra le novità recentemente introdotte, la legge n. 128/2013 prevede, all’art. 6, comma 1, la possibilità della realizzazione diretta di materiale didattico digitale. La norma testualmente cita: “nel termine di un triennio, a decorrere dall’anno scolastico 2014-2015, gli istituti scolastici possono elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo e strumenti didattici per la disciplina di riferimento; l’elaborazione di ogni prodotto è affidata ad un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell’opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare nel corso dell’anno scolastico. L’opera didattica è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e successivamente inviata, entro la fine dell’anno scolastico, al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell’ambito di progetti pilota del Piano Nazionale Scuola Digitale del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per l’azione Editoria Digitale Scolastica”.
La realizzazione di materiale didattico digitale da parte delle scuole è comunque subordinato alla definizione di apposite linee guida.
Altra novità, introdotta questa volta dall’art. 11 della legge n. 221/2012, prevede che a decorrere dalle adozioni per l’anno scolastico 2014/2015 sono abrogati il vincolo temporale di adozione dei testi scolastici (5 anni per la scuola primaria e 6 anni per la scuola secondaria di primo e di secondo grado) nonché il vincolo quinquennale di immodificabilità dei contenuti dei testi. In caso di nuove adozioni, i collegi dei docenti adottano libri nelle versioni digitali o miste.
Per quanto riguarda la tempistica prevista, le adozioni dei testi scolastici vengono deliberate dai collegi dei docenti nella seconda decade di maggio. I dirigenti scolastici dovranno esercitare la necessaria vigilanza affinché le adozioni dei libri di testo siano deliberate nel rispetto dei vincoli di legge, assicurando in ogni caso che le scelte siano espressione della libertà di insegnamento e dell’autonomia professionale dei docenti.
A tale proposito la circolare n. 61 ricorda che, ai sensi della legge n. 221/2012, la delibera del collegio dei docenti relativa all’adozione della dotazione libraria è soggetta, per le istituzioni scolastiche statali e limitatamente alla verifica del rispetto del tetto di spesa, al controllo successivo di regolarità amministrativa e contabile, ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo n. 123/2011.