INGV: via libera a Piano da 200 assunzioni

Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV)
via libera a Piano da 200 assunzioni, Giannini firma il decreto

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini ha firmato il decreto che dà il via libera ad un Piano da 200 assunzioni per l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV). Ricercatori, tecnologi e figure di supporto alla ricerca saranno assunti, come previsto dalla norma, nell’arco del quinquennio 2014-2018 in scaglioni di 40 unità per anno. Il Piano serve a stabilizzare personale che si dedica ogni giorno all’attività di sorveglianza sismica e vulcanica del paese. Sarà l’INGV stesso ora a procedere alle assunzioni attraverso apposite procedure di reclutamento.

Polemiche dimostrano che Invalsi non va

Scuola, Mascolo:
“Polemiche dimostrano che Invalsi non va”
(dall’Agenzia ANSA)
“Da sempre i test Invalsi sono al centro di discussioni e polemiche, segno che qualcosa nel sistema ovviamente non funziona. Servono regole certe e condivise”.
Lo dichiara il segretario dell’Ugl Scuola, Giuseppe Mascolo, aggiungendo che “la valutazione di uno studente non può essere ridotta a questi test”.
“Non è questo il modo – spiega – con il quale miglioriamo la scuola ma occorrono politiche d’intervento che tengano conto delle vere necessità degli studenti e di tutti i lavoratori della scuola. Pur apprezzando gli investimenti per l’edilizia scolastica e la messa in sicurezza degli istituti scolastici – conclude – riteniamo che sia urgente riforma globale del sistema, senza proclami e con provvedimenti concreti, perché non è possibile continuare a trascurare elementi importanti come la continuità didattica, l’adeguamento degli organici e investimenti destinati al funzionamento della scuola pubblica, che deve necessariamente essere ricollocata in un ruolo di primaria importanza”.

Contro l’abbandono scolastico vale tutto

da Corriere.it

Contro l’abbandono scolastico vale tutto

Ci sono studenti che non finiscono le medie. Che fare? Cambiare radicalmente atteggiamento. Come il Progetto Lapis che nel biellese «raccoglie» i fuggitivi a rischio analfabetismo

di Silvia Avallone

Nel documentario A scuola di Leonardo Di Costanzo, girato in una media inferiore della periferia di Napoli, una preside agguerrita e un’adolescente che parla solo in dialetto si fronteggiano. «Devi imparare a usare l’italiano, che non sai usare. Imparare una lingua straniera. Perché ti spetta. Non è un dovere, è un diritto! Ma se tu non lo vuoi, noi che dobbiamo fare per farti desiderare di averlo?» Silenzio. La ragazzina abbassa lo sguardo. Non ci crede, che la scuola sia un suo diritto. Non la vuole frequentare, ha ben altri problemi per la testa: quelli che la aspettano a casa, per le vie del quartiere, in quel mondo che si trova anni luce dalle aule. Come lei sono molti gli adolescenti che scivolano via dalle maglie della scuola dell’obbligo. Perché provengono dai margini, da retroterra famigliari drammatici, oppure perché è stato diagnosticato loro un grave deficit di attenzione, una carenza cognitiva che ne impedisce l’integrazione. Nella maggioranza dei casi questi ragazzi diventano assenze, cognomi da pronunciare a vuoto durante l’appello. E al loro svantaggio la scuola spesso sa rispondere solo con una sequenza di bocciature. L’anticamera dell’addio definitivo.

L’Italia occupa il quartultimo posto in Europa per dispersione scolastica (fonte ministero dell’Istruzione, 2013), il 17,6% dei giovani tra i 18 e i 24 anni può contare sulla licenza media come unica arma per affrontare il suo destino. Ma c’è un altro dato, tragico, che riguarda coloro che si perdono dopo la soglia di quella elementare: lo 0,2% degli iscritti, infatti, abbandona le medie. Un numero che, semplicemente, non dovrebbe esistere. Invece accade, nella periferia di Napoli come nel Biellese, dove ho incontrato una delle possibili strade per reagire al problema. Qui Enaip, Cnos-Fap e Città Studi, insieme alla Scuola Polo di Mongrando, si sono coalizzati in un’Associazione Temporanea di Scopo per tentare di affrontare la dispersione in modo strutturato, senza limitarsi a confidare nella buona volontà dei singoli. Il risultato si chiama Progetto Lapis. Nacque dieci anni fa per affiancare con moduli pomeridiani il percorso scolastico di ragazzi a rischio abbandono. Ma, nonostante l’impegno, il numero degli studenti che la scuola perdeva, anziché diminuire, aumentava. Così, dall’ottobre del 2013, Lapis è diventato un corso sperimentale full time della durata di un anno. Altro luogo, altra didattica: una cesura netta.

Sono dieci e tutti italiani, gli alunni coinvolti. Nove ragazzi e una ragazza, pluriripetenti della prima media che, di segnalazione in segnalazione, sono stati radunati in un’aula nella sede dell’Enaip. Ogni mattina alle 8 prendono posto ai loro banchi, dove ricevono una doppia formazione: di base e di avvio alle professioni. Italiano, matematica, tecnologia e inglese, a cui si aggiungono laboratori pratici di meccanica, d’informatica e manifattura. Né storia, né geografia, né Pascoli o Carducci: qui la frontiera da conquistare si chiama lingua italiana. Gli ostacoli hanno le sembianze di un accento che trasforma una congiunzione in un verbo, di un’acca che opera simili metamorfosi con una preposizione. Ragazzi difficili, ingestibili, problematici: se lo sono sentito ripetere così tante volte, da arrendersi a quel ruolo. La sfida è persuaderli del contrario, che non sono destinati all’emarginazione a priori.

Non è facile. L’insegnante non fa in tempo a posare lo zaino sulla cattedra, che già qualcuno tenta di fuggire. Bisogna rincorrerlo per i corridoi e ricondurlo in classe, tenere a bada gli altri che di rimanere seduti non ne vogliono sapere. Per questo sono sempre in due a seguirli: il docente e il pedagogo. «Il primo problema che ci siamo posti è stato: stiamo ghettizzando questi ragazzi togliendoli dalla scuola? La mia risposta è no, perché loro a scuola non ci volevano stare, anzi, non ci venivano proprio, mentre adesso si presentano tutte le mattine», mi spiega la professoressa Teresa Citro, capofila del progetto e preside delle medie di Mongrando. «Occorreva una discontinuità forte con un passato scolastico che li aveva sempre penalizzati e frustrati, inserirli in un percorso didattico alternativo, in uno spazio nuovo in cui potessero sentirsi accolti». L’obiettivo immediato è l’esame di licenza media secondo standard differenti, che tengano conto di limiti e lacune irrecuperabili in breve tempo. Ma la vera speranza è poter rispondere con certezza alla domanda: cosa faranno dopo? Riusciranno a iscriversi in una scuola superiore? In due casi ex studenti difficili sono riusciti a frequentare il liceo e a cambiare drasticamente il proprio destino.

C’è chi ha criticato Lapis considerandolo, anziché un’opportunità di riconciliazione, una sorta di scorciatoia. Ma se nella scuola dell’obbligo si crea un muro contro muro, se le lezioni frontali non riescono a catturare interesse, e il gap tra aula e mondo esterno diventa una voragine, come si può scalare la muraglia dell’incomunicabilità senza tentare approcci diversi? Il dilemma è aperto, e quello che manca è un vero confronto. «La prima volta che sono venuto in questa scuola mi sembrava che era una merda ma poi mie cominciata a piacere perche o iniziato a farmi degli amici»: comincia così il tema di uno dei ragazzi, e questo esordio è già una soddisfazione per chi lo segue, considerato che nel precedente anno si era presentato in classe due volte mentre oggi propone addirittura un tema libero di sua iniziativa.

È l’attività che riscuote più successo, il tema. Nonostante gli errori di ortografia e la sintassi ballerina, riescono a liberare il grande desiderio di esprimersi che covano, la volontà di abitare un linguaggio fatto non solo di silenzi o di provocazioni. È scrivendo, riordinando il vissuto della loro prima volta in discoteca con «il cuore che faceva bum bum», o trovando un nome alla solitudine in cui si sentivano confinati dai vecchi compagni di classe, che si accende una scintilla di fiducia, una possibilità di abbattere l’opposizione tra loro e i docenti, tra loro e la scuola, che altrimenti potrebbe condannarli al semianalfabetismo.

Il premio a fine mattinata, quando hanno dimostrato impegno, è la distribuzione dei pennarelli e dei disegni da colorare. A guardarli mentre prestano attenzione per restare all’interno dei contorni, loro che sono nati e cresciuti al di fuori, ci si accorge di quanto questi tredici-quattordicenni siano ancora bambini. Lo rimarranno sempre, se non si trovano le risorse per impedirlo: insegnanti di supporto, fondi per percorsi specifici. E, in aggiunta, il coraggio di trascendere le regole, di modificarle se risultano inefficaci.

Progetti come questo nascono per colmare le lacune di una scuola che non sa adattare didattica e programmi a quelle realtà di disagio che rischiano di rimanere tagliate fuori dall’opportunità di un riscatto. Una scuola che per difesa si trincera dietro la cattedra, anziché passare avanti e comunicare a viso aperto con i propri ragazzi, soprattutto con quelli più svantaggiati, trattenendoli presso di sé. Perché nessuno di loro può restare escluso da uno dei suoi diritti fondamentali, e bisogna trovare la forza di percorrere tutte le strade possibili affinché quello 0,2% si assottigli fino allo zero.

Ragazzi persi per strada, proviamo con un certificato di studi di base

da Corriere.it

Ragazzi persi per strada, proviamo con un certificato di studi di base

Dieci ore di italiano, matematica, diritto, più una materia a scelta, dalla storia dell’arte alla falegnameria. Non sarebbe un classico diploma, ma è molto più di niente

di Alfredo Hamill*

Una premessa (e scusate se non è brevissima). Dopo oltre 26 anni nella scuola pubblica, in quartieri anche «difficili» di Napoli, la cosa che più mi salta all’occhio è quanto sia distante dalla realtà ciò che si fa generalmente a scuola. Infatti, la scuola, a dispetto di tante riforme, è rimasta selettiva, classista, checché se ne dica. Perfino in tv, quando si parla delle materie degli esami finali, non si incomincia sempre con il liceo classico, come se fosse l’emblema della scuola italiana? Nei ruoli, poi, si vuole che il docente sia essenzialmente una specie di fonte del sapere, ma che l’apprendimento sia compito quasi esclusivo dell’alunno. Quante mie ragazze, arrivate a casa dovevano aiutare con i servizi, anziché studiare. Se lo studente va male, ci si aspetta che la famiglia paghi lezioni private, senza granché porsi il problema se siano in grado di farlo; anche nei corsi di recupero che adesso fa la scuola, non si riesce a dare un sostegno sufficiente, per il modo carente (sempre per mancanza di fondi) in cui sono organizzati. Dunque, chi ha bisogno di aiuto, se lo deve cercare essenzialmente da solo, e se non può, problema suo. Tutto ciò non solo lascia indietro chi è più in difficoltà ma mette per strada un sacco di ragazzi stufi di sentirsi inferiori. Certo, ci sono sempre i pigri, ecc, ma io parlo di studenti, anche non brillanti, ma che avrebbero l’indole per completare con successo una scuola, e molti di questi finiscono per strada. La cosa più tragica, se non comica per l’ottusità con la quale si opera, è che si cercano di recuperare alcuni di questi riproponendo gli stessi programmi coi quali sono falliti! Insomma, la «minestra» deve piacere per forza, perché la scuola italiana ha una grande tradizione da mantenere: è la migliore! La mia proposta (sì, sì, finalmente…). Se non si può trasformare tutta la scuola, e certamente manca la volontà sociale e politica per una cosa simile, almeno creiamo qualcosa per il recupero degli abbandoni, qualcosa che possa funzionare, per rendere questi ragazzi cittadini consapevoli, partecipi, utili, e non…utili idioti, perché alla fine voteranno pure loro, e tutti noi dovremo accettare anche le loro volontà, quale che sia, e quale che ne sia la base, di ignoranza, di mancanza di comprensione dei meccanismi della società di cui siamo tutti parte. Propongo un corso biennale, o massimo triennale, per questi ragazzi, basato su poche materie, giusto per renderli autonomi ed autosufficienti nella società del Ventunesimo secolo. Per prima cosa, l’italiano, almeno 10 ore settimanali, perché la conoscenza della propria lingua, la capacità di comprendere e comunicare è alla base di ogni altra abilità; ma dico, italiano per leggere e scrivere, non solo Dante e Carducci (senza offesa per loro…). Poi la matematica di base (almeno cinque ore alla settimana), non l’analisi matematica che serve solo agli ingegneri (eppure a scuola la si insegna, e non solo nei licei, ma senza che quasi nessuno lo impari!), perché la sua utilità e tale che non se ne può prescindere, ed è troppo difficile da imparare da solo. Terzo, il diritto, ma non le leggi astruse: la Costituzione italiana, come funziona, cosa si può fare e cosa non si può fare! La società è ormai talmente complessa, che senza conoscenze simili, poco si capisce di quello che succede al governo e nel paese(e oggi si vedono bene i risultati di ciò). Infine, una materia a scelta: storia dell’arte, lingue, falegnameria, elettrotecnica, quello che si vuole, per tenere alto l’interesse e venire incontro a potenziali interessi futuri, e anche per far sì che la scuola non sia solo obbligo, ma anche sostegno. Non si darebbe un classico diploma questi ragazzi, ma un certificato di studio di base completato. Mi si dirà che si svilisce l’alto compito della scuola così, ma io rispondo che l’hanno già fatto, rendendo una gran parte di essa un simulacro mummificato di ciò che dovrebbe essere. Ed il frutto saranno i cittadini del futuro. Cordiali saluti.

*docente di lingua e linguistica all’Università degli studi di Napoli «L’Orientale», già docente di lingua inglese nelle secondarie pubbliche per 26 anni

Al via i test Invalsi, con la solita coda polemica

da la Repubblica

Al via i test Invalsi, con la solita coda polemica

Si comincia il 6 maggio e si chiude il 19 giugno.
Cobas anche quest’anno in piazza contro la “scuola-quiz”

di Salvo Intravaia

AL VIA le prove Invalsi seguite dalle solite polemiche. Dal 6 maggio al 19 giugno, oltre due milioni di alunni italiani affronteranno il test per la valutazione delle competenze in Italiano e Matematica. Uno strumento che dovrebbe servire a individuare le criticità del sistema formativo nazionale e adottare iniziative volte a eliminare le differenze fra i diversi territori. Quest’anno, si inizia con gli alunni delle seconde e quinte elementari che martedì si confronteranno con la prova preliminare di lettura (decodifica strumentale) e quella di Italiano. E il giorno successivo se la vedranno con la Matematica e con il questionario studente.

Il 13 maggio sarà la volta degli studenti del secondo anno delle scuole superiori che in un giorno solo si cimenteranno con la prova di Italiano, quella di Matematica e il questionario studente che raccoglie le informazioni sul contesto di provenienza degli alunni. Si chiude il 19 giugno con la prova nazionale cui saranno sottoposti gli studenti alle prese con gli esami di licenza media. Nella tornata 2013/2014 non svolgeranno test gli studenti del primo anno della scuola media. Il motivo è stato spiegato lo scorso mese di novembre.

Le scuole medie avranno le informazioni necessarie sugli apprendimenti degli studenti in entrata, cioè quelli di prima media, attraverso la messa a disposizione da parte dell’istituto di Frascati dei risultati degli alunni che l’anno precedente hanno sostenuto la prova in quinta elementare. E a partire dal prossimo anno, le prove per la scuola superiore verranno differenziate per indirizzo. Al momento sono le stesse per tutti: dai licei agli istituti professionali. E, in attesa che venga esteso a tutti coloro che frequentano l’ultimo anno delle superiori, un piccolo campione di studenti alle prese con la maturità svolgerà un test Invalsi.

Contro la scuola-quiz, anche quest’anno scenderanno in piazza i Cobas. “Errare è umano, perseverare diabolico: Giannini insiste con gli indovinelli”, dice il sindacato. “Contro la scuola-quiz e la scuola miseria, scioperiamo e boicottiamo i quiz Invalsi il 6 e il 7 maggio e il 13 maggio con manifestazioni provinciali”. Il 6 e il 13 maggio i Cobas organizzeranno un sit-in al ministero. Ma la neo presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello, vuole inviare una nota ai docenti per convincerli dell’efficacia dello strumento di indagine. Che nasce per misurare gli apprendimenti e offrire alle scuole i dati, confrontabili con gli altri istituti dello stesso contesto e di contesti diversi, per attivare misure volte a migliorare le performance degli alunni.

Le indagini degli anni scorsi hanno ormai delineato un quadro abbastanza netto. Con gli alunni delle regioni meridionali che arrancano e i compagni di quelle settentrionali che ottengono punteggi paragonabili ai migliori studenti del mondo. Un divario che cresce con le classi frequentate dagli stessi alunni. Al secondo anno delle superiori il gap tra i quindicenni siciliani e i coetanei lombardi arriva a 31 punti: l’equivalente di un anno di studi. Divario che in Matematica sale addirittura a 34 punti. Ma che va di pari passo con la povertà relativa delle famiglie italiane. Più povero (economicamente, ma anche dal punto di vista sociale) è il contesto di provenienza degli alunni, più i risultati lasciano a desiderare.

Dispersione al question time della Camera

da TuttoscuolaNews

Dispersione al question time della Camera

Mercoledì 30 aprile il ministro Stefania Giannini, impegnata alla Camera a rispondere ad alcune interrogazioni parlamentari in question time, ha dovuto affrontare problematiche prospettate recentemente anche da Tuttoscuola, di cui una, la dispersione, esposta nel corso dell’audizione in commissione istruzione a Montecitorio.

L’on. Milena Santerini (Per l’Italia), interrogante, ha ricordato che “entro il 2014 il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca dovrebbe, infine, definire come integrare le anagrafi degli studenti, misura particolarmente importante per prevenire la dispersione scolastica”.

Tuttoscuola, nel corso della sua audizione del 23 u.s., aveva sottolineato come l’anagrafe integrata dello studente possa fornire tempestivamente il quadro attuale delle frequenze e degli abbandoni per prevenire e contrastare la dispersione scolastica (che quest’anno negli istituti statali di istruzione secondaria di II grado, secondo una nostra ricerca ha sfiorato il 28% con oltre 167 mila ragazzi ‘dispersi’).

Il ministro ha risposto un po’ in modo generico (il question time richiede purtroppo comunicazioni brevi e sintetiche), affermando che “In merito agli altri provvedimenti citati dall’interrogante che non sono soggetti a scadenza stiamo chiaramente provvedendo e nel corso del prossimo trimestre contiamo di poter attuare tutto ciò che il decreto prevedeva”.

L’on. Santerini, parzialmente soddisfatta, ha replicato: “Sottolineiamo però appunto che la legge ha creato delle aspettative che non possono essere disattese, in particolare un impegno forte contro la dispersione scolastica, che è legata, come sappiamo, all’attuazione delle anagrafi degli studenti”.

Parlando di anagrafi, la parlamentare di Per l’Italia si riferiva evidentemente a quella statale del Miur e a quelle delle Regioni ed Enti Locali. Da integrare tra di loro.

Il tema della dispersione scolastica sarà al centro della puntata di oggi 5 maggio di “La radio ne parla” su Rai Radio 1 (ore 12:30), il programma curato e condotto da Ilaria Sotis. Parteciperanno tra gli altri il Sottosegretario Angela D’Onghia, che ha ricevuto la delega sul tema della dispersione e il direttore di Tuttoscuola Giovanni Vinciguerra, che presenterà i dati, le analisi e le proposte di soluzione contenuti nel nuovo dossier della nostra testata, che sarà scaricabile nei prossimi giorni da www.tuttoscuola.com .

Perequazione del sostegno al question time

da TuttoscuolaNews

Perequazione del sostegno al question time

Nella interrogazione a risposta immediata (n. 3-00793) l’on. Santerini di Per l’Italia ha chiesto al ministro Giannini di “verificare, in particolare, se sia stata rispettata l’equa distribuzione dei posti di sostegno stabilizzati tra tutte le regioni, come prescriveva l’articolo 15, comma 2-bis, del citato decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, atteso che risulta che la percentuale degli insegnanti stabilizzati non sia uguale in tutte le regioni, ma che la metà delle regioni ha valori più alti”.

La mancata perequazione, come è noto, era stata rilevata proprio da Tuttoscuola che aveva messo in evidenza come a regime nel piano di stabilizzazione dei posti di sostegno vi saranno percentuali diverse tra le regioni, anziché la stessa percentuale (81,69%) voluta dalla legge.

Il ministro ha risposto che il piano di stabilizzazione dei posti di sostegno “avverrà nel rispetto della necessaria perequazione fra le diverse situazioni territoriali, con la precisazione che con il decreto interministeriale relativo alla determinazione degli organici sia garantito a tutte le regioni il 76 per cento della copertura dei posti in organico di diritto”.

76%? Evidentemente la risposta, forse un po’ frettolosa, è lontana da quanto riportato nello stesso decreto interministeriale, tanto che l’on. Santerini ha così replicato: “Per quanto riguarda la distribuzione degli insegnanti di sostegno, noi vogliamo un attimo tornare su questo punto, perché la circolare n. 34 del 1° aprile all’articolo 15, comma 2-bis, prevedeva che i 22 mila e rotti posti di insegnanti di sostegno fossero distribuiti equamente in tutte le regioni, il che vuol dire una percentuale dell’81 per cento. Questo non è stato fatto nella circolare del primo aprile. Ci sono regioni che hanno più 150, più 200 posti, il che vuol dire che altre ne avranno meno. Quindi noi chiediamo un impegno a correggere, altrimenti alla Corte dei conti andrà un provvedimento che disattende completamente il dettato della legge”.

Parlando di anagrafi, la parlamentare di Per l’Italia si riferiva evidentemente a quella statale del Miur e a quelle delle Regioni ed Enti Locali. Da integrare tra di loro.

Il tema della dispersione scolastica sarà al centro della puntata di oggi 5 maggio di “La radio ne parla” su Rai Radio 1 (ore 12:30), il programma curato e condotto da Ilaria Sotis. Parteciperanno tra gli altri il Sottosegretario Angela D’Onghia, che ha ricevuto la delega sul tema della dispersione e il direttore di Tuttoscuola Giovanni Vinciguerra, che presenterà i dati, le analisi e le proposte di soluzione contenuti nel nuovo dossier della nostra testata, che sarà scaricabile nei prossimi giorni da www.tuttoscuola.com .

Contro l’abbandono scolastico vale tutto

da la Repubblica

Contro l’abbandono scolastico vale tutto

Ci sono studenti che non finiscono le medie. Che fare? Cambiare radicalmente atteggiamento. Come il Progetto Lapis che nel biellese «raccoglie» i fuggitivi a rischio analfabetismo

Silvia Avallone

Nel documentario A scuola di Leonardo Di Costanzo, girato in una media inferiore della periferia di Napoli, una preside agguerrita e un’adolescente che parla solo in dialetto si fronteggiano. «Devi imparare a usare l’italiano, che non sai usare. Imparare una lingua straniera. Perché ti spetta. Non è un dovere, è un diritto! Ma se tu non lo vuoi, noi che dobbiamo fare per farti desiderare di averlo?» Silenzio. La ragazzina abbassa lo sguardo. Non ci crede, che la scuola sia un suo diritto. Non la vuole frequentare, ha ben altri problemi per la testa: quelli che la aspettano a casa, per le vie del quartiere, in quel mondo che si trova anni luce dalle aule. Come lei sono molti gli adolescenti che scivolano via dalle maglie della scuola dell’obbligo. Perché provengono dai margini, da retroterra famigliari drammatici, oppure perché è stato diagnosticato loro un grave deficit di attenzione, una carenza cognitiva che ne impedisce l’integrazione. Nella maggioranza dei casi questi ragazzi diventano assenze, cognomi da pronunciare a vuoto durante l’appello. E al loro svantaggio la scuola spesso sa rispondere solo con una sequenza di bocciature. L’anticamera dell’addio definitivo.

L’Italia occupa il quartultimo posto in Europa per dispersione scolastica (fonte ministero dell’Istruzione, 2013), il 17,6% dei giovani tra i 18 e i 24 anni può contare sulla licenza media come unica arma per affrontare il suo destino. Ma c’è un altro dato, tragico, che riguarda coloro che si perdono dopo la soglia di quella elementare: lo 0,2% degli iscritti, infatti, abbandona le medie. Un numero che, semplicemente, non dovrebbe esistere. Invece accade, nella periferia di Napoli come nel Biellese, dove ho incontrato una delle possibili strade per reagire al problema. Qui Enaip, Cnos-Fap e Città Studi, insieme alla Scuola Polo di Mongrando, si sono coalizzati in un’Associazione Temporanea di Scopo per tentare di affrontare la dispersione in modo strutturato, senza limitarsi a confidare nella buona volontà dei singoli. Il risultato si chiama Progetto Lapis. Nacque dieci anni fa per affiancare con moduli pomeridiani il percorso scolastico di ragazzi a rischio abbandono. Ma, nonostante l’impegno, il numero degli studenti che la scuola perdeva, anziché diminuire, aumentava. Così, dall’ottobre del 2013, Lapis è diventato un corso sperimentale full time della durata di un anno. Altro luogo, altra didattica: una cesura netta.

Sono dieci e tutti italiani, gli alunni coinvolti. Nove ragazzi e una ragazza, pluriripetenti della prima media che, di segnalazione in segnalazione, sono stati radunati in un’aula nella sede dell’Enaip. Ogni mattina alle 8 prendono posto ai loro banchi, dove ricevono una doppia formazione: di base e di avvio alle professioni. Italiano, matematica, tecnologia e inglese, a cui si aggiungono laboratori pratici di meccanica, d’informatica e manifattura. Né storia, né geografia, né Pascoli o Carducci: qui la frontiera da conquistare si chiama lingua italiana. Gli ostacoli hanno le sembianze di un accento che trasforma una congiunzione in un verbo, di un’acca che opera simili metamorfosi con una preposizione. Ragazzi difficili, ingestibili, problematici: se lo sono sentito ripetere così tante volte, da arrendersi a quel ruolo. La sfida è persuaderli del contrario, che non sono destinati all’emarginazione a priori.

Non è facile. L’insegnante non fa in tempo a posare lo zaino sulla cattedra, che già qualcuno tenta di fuggire. Bisogna rincorrerlo per i corridoi e ricondurlo in classe, tenere a bada gli altri che di rimanere seduti non ne vogliono sapere. Per questo sono sempre in due a seguirli: il docente e il pedagogo. «Il primo problema che ci siamo posti è stato: stiamo ghettizzando questi ragazzi togliendoli dalla scuola? La mia risposta è no, perché loro a scuola non ci volevano stare, anzi, non ci venivano proprio, mentre adesso si presentano tutte le mattine», mi spiega la professoressa Teresa Citro, capofila del progetto e preside delle medie di Mongrando. «Occorreva una discontinuità forte con un passato scolastico che li aveva sempre penalizzati e frustrati, inserirli in un percorso didattico alternativo, in uno spazio nuovo in cui potessero sentirsi accolti». L’obiettivo immediato è l’esame di licenza media secondo standard differenti, che tengano conto di limiti e lacune irrecuperabili in breve tempo. Ma la vera speranza è poter rispondere con certezza alla domanda: cosa faranno dopo? Riusciranno a iscriversi in una scuola superiore? In due casi ex studenti difficili sono riusciti a frequentare il liceo e a cambiare drasticamente il proprio destino.

C’è chi ha criticato Lapis considerandolo, anziché un’opportunità di riconciliazione, una sorta di scorciatoia. Ma se nella scuola dell’obbligo si crea un muro contro muro, se le lezioni frontali non riescono a catturare interesse, e il gap tra aula e mondo esterno diventa una voragine, come si può scalare la muraglia dell’incomunicabilità senza tentare approcci diversi? Il dilemma è aperto, e quello che manca è un vero confronto. «La prima volta che sono venuto in questa scuola mi sembrava che era una merda ma poi mie cominciata a piacere perche o iniziato a farmi degli amici»: comincia così il tema di uno dei ragazzi, e questo esordio è già una soddisfazione per chi lo segue, considerato che nel precedente anno si era presentato in classe due volte mentre oggi propone addirittura un tema libero di sua iniziativa.

È l’attività che riscuote più successo, il tema. Nonostante gli errori di ortografia e la sintassi ballerina, riescono a liberare il grande desiderio di esprimersi che covano, la volontà di abitare un linguaggio fatto non solo di silenzi o di provocazioni. È scrivendo, riordinando il vissuto della loro prima volta in discoteca con «il cuore che faceva bum bum», o trovando un nome alla solitudine in cui si sentivano confinati dai vecchi compagni di classe, che si accende una scintilla di fiducia, una possibilità di abbattere l’opposizione tra loro e i docenti, tra loro e la scuola, che altrimenti potrebbe condannarli al semianalfabetismo.

Il premio a fine mattinata, quando hanno dimostrato impegno, è la distribuzione dei pennarelli e dei disegni da colorare. A guardarli mentre prestano attenzione per restare all’interno dei contorni, loro che sono nati e cresciuti al di fuori, ci si accorge di quanto questi tredici-quattordicenni siano ancora bambini. Lo rimarranno sempre, se non si trovano le risorse per impedirlo: insegnanti di supporto, fondi per percorsi specifici. E, in aggiunta, il coraggio di trascendere le regole, di modificarle se risultano inefficaci.

Progetti come questo nascono per colmare le lacune di una scuola che non sa adattare didattica e programmi a quelle realtà di disagio che rischiano di rimanere tagliate fuori dall’opportunità di un riscatto. Una scuola che per difesa si trincera dietro la cattedra, anziché passare avanti e comunicare a viso aperto con i propri ragazzi, soprattutto con quelli più svantaggiati, trattenendoli presso di sé. Perché nessuno di loro può restare escluso da uno dei suoi diritti fondamentali, e bisogna trovare la forza di percorrere tutte le strade possibili affinché quello 0,2% si assottigli fino allo zero.

Se fosse una terapia per la scuola, l’Invalsi sarebbe un pannicello caldo

da Tecnica della Scuola

Se fosse una terapia per la scuola, l’Invalsi sarebbe un pannicello caldo
di Giovanni Sicali
Non è facile scrivere di INVALSI senza cadere in fuorvianti apriorismi o in faziose opinioni. Se si trattasse di una “quaestio” medievale saremmo di fronte ad una disputa ben strutturata: l’argomento (il quid), i termini della questione (explicatio terminorum), gli argomenti favorevoli e contrari (sententiae), la conclusione (dissertatio)
Volendo seguire il metodo di quell’antico procedimento conoscitivo, occorre puntare sulla fonti primarie, che hanno dato origine all’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di Istruzione e di Formazione.
Forse non tutti gli insegnanti conoscono veramente l’IINVALSI. Ed è vero che a livello di opinione pubblica dominano più il “sentito dire” che la corretta informazione. Comprendere come funziona questo Istituto elimina alla radice molti equivoci, anche se il mondo della scuola non ha mai nascosto la sua avversione nei confronti dell’INVALSI.
Secondo il suo Statuto – allegato al Decreto Dir. Gen. MIUR n.11/2011, GU n.229 del 1° ottobre 2011 – l’INVALSI è un Ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto alla vigilanza del MIUR (art. 17 del D.leg.vo 213/2009). Questo Ente ha raccolto, in un lungo e costante processo di trasformazione, l’eredità del CEDE (Centro Europeo dell’Educazione) istituito nei primi anni settanta del secolo scorso. La Direttiva MIUR n. 88 del 3/10/2011 recita testualmente: “Obiettivo di sistema della valutazione esterna degli apprendimenti è quello di promuovere un generale e diffuso miglioramento della qualità degli apprendimenti nel nostro Paese, avendo riguardo, in particolare, agli apprendimenti di base. Per ciascuna scuola le rilevazioni nazionali consentiranno di acquisire i risultati nazionali di riferimento e i propri dati aggregati a livello di classe e disaggregati per ogni singolo item. Ciò con l’obiettivo di disporre della necessaria base conoscitiva per: individuare elementi di criticità in relazione ai quali realizzare piani di miglioramento dell’efficacia dell’azione educativa; evidenziare situazioni di qualità da mantenere e rafforzare; apprezzare il valore aggiunto realizzato in relazione al contesto socio-economico culturale, al fine di promuovere i processi di autovalutazione d’istituto”.
Persino Berlusconi, rispondendo alla famosa lettera riservata della Bce (a firma di Trichet e Draghi del 5/8/2011), ha preso degli impegni precisi con l’UE: “L’accountability (ndr. la capacità di un sistema di identificazione) delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti”. E da parte sua Roberto Ricci (allora responsabile del Servizio Nazionale di Valutazione) in un seminario di studio sul “Valore Aggiunto”, aveva così riassunto i compiti dell’INVALSI per il 2012:
1. Consolidare la qualità delle prove
2. Costruire le scale di competenze sul modello PISA
3. Sviluppare valutazioni longitudinali (cioè nelle quali sia possibile seguire i risultati di ogni studente lungo le successive prove INVALSI e tracciarne la curva di crescita)
4. Effettuare valutazioni di Valore Aggiunto delle scuole.
In base poi al comma 2 dell’art. 51, della Legge n. 35 del 4/4/2012 su “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo” al fine di ottenere il “Potenziamento del sistema nazionale di valutazione”, è stato stabilita l’obbligatorietà delle prove INVALSI con questa dicitura “Le istituzioni scolastiche partecipano, come attività ordinaria d’istituto, alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti degli studenti”.
Solo però che “le istituzione scolastiche” non coincidono con i singoli docenti, soggetti responsabili che godono di pochi diritti e devono rispondere a molti doveri. Le istituzioni non sono “persone fisiche” e anche se il collegio dei docenti viene equiparato a “persone giuridiche” la giurisprudenza si è espressa in senso contrario.
All’interno del mondo della scuola, le maggiori critiche all’INVALSI derivano dai sindacati, che hanno mosso obiezioni di incostituzionalità ed evidenti conflitti rispetto a norme di leggi non abrogate. Quel comma 2, sarebbe in conflitto con l’Art. 5, c.7, del D.leg.vo 297/94 (il Testo Unico) che afferma: “Negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, le competenze relative alla valutazione periodica e finale degli alunni spettano al consiglio di classe con la sola presenza dei docenti.” Inoltre risulterebbe anche in conflitto con l’Art. 21, comma 9 della Legge 59/97, che assegna all’autonomia didattica degli istituti i processi di autovalutazione. L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione ma nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere. Il D.P.R. n. 275 dell’8/3/1999: Regolamento attuativo della Legge sull’autonomia scolastica, prevede che l’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento. Infine, quel comma 2 che “obbliga” le istituzioni scolastiche a sottoporre tutti gli studenti a test standardizzati preparati dall’INVALSI, contrasta col comma 1 dell’art. 33 della Costituzione italiana: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” e col comma 3 dell’art. 117 che riguarda l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
E’ risaputo che il MIUR non ha risposto in modo esaustivo a queste 3 domande:
1. Che cosa intendono valutare queste prove INVALSI?
2. Che cosa e come si può valutare un percorso scolastico?
3. I test INVALSI servono solo per fare delle statistiche?

“Quota 96”: riparte con “Telegramma bombing”

da Tecnica della Scuola

“Quota 96”: riparte con “Telegramma bombing”
di Pasquale Almirante
Dopo decine di appelli, raccolta firme, invio di E-Mail, petizioni, manifestazioni, sit-in, convegni e riunioni, quasi tutti conditi da promesse e impegni da un po’ tutto l’arco del Palamento, il Comitato “Quota 96” torna all’attacco: il bombardamento di telegrammi da inviare domani, lunedì 5 maggio
La proposta, condivisa da tutto il Comitato “Quota 96”, unito nel proprio Blog e nella pagina Facebook, è quella di un “invio massiccio di telegrammi a tutti i ministri, al direttore dell’Inps e a Matteo Renzi, dei quali non si conosce l’indirizzo email, così da essere certi che riceveranno le nostre richieste”.
Il consiglio che i promotori del Comitato danno anche a chi si ritiene convolto, seppure alla lontana, in questa lotta per l’ottenimento di un diritto, quello cioè di andare in pensione in sdegno alla Legge Fornero, è di bombardare i soggetti in indirizzo “a partire da domani mattina, lunedì 5 maggio, tra le 9,30, 11,30, o, per chi non può, nel pomeriggio, sia via Web (previa registrazione sito Poste italiane, pagamento carta di credito o postepay), sia telefonicamente al n. 186 (pagamento su bolletta Telecom) o direttamente all’ufficio postale”.
Ma si suggerisce pure, scrivono i promotori, “di continuare il pressing, via email, via twitter a tutti gli altri destinatari che siederanno al Tavolo tecnico il 7 maggio”.
Al tavolo tecnico parteciperanno il ministro del Lavoro, dell’Economia, il direttore dell’Inps e i presidenti delle Commissioni lavoro di camera e senato per “Trovare soluzione a esodati e quota 96.
E come se non bastasse vengono pure proposti testi già scritti, da copiare e incollare, ma pure da integrare se si ritiene opportuno, magari facendo riferimento alle proprie storie personali, che sono tante.
Un appello rivolto pure ai precarie a chi attende di essere immesso in ruolo, perché andando in pensione, questo piccolo esercito di 4000 persone possono essere rimpiazzati da altrettanti supplenti collocati in altra lista di attesa: quante liste di attesa in Italia.
Ecco alcuni testi sintetici ma, dicono sempre i promotori, “completi per le nostre richieste… naturalmente possono essere modificati, integrati, personalizzati.
Testo N. 1:
 Governo 7 maggio risolva errore burocratico Quota96Scuola come da impegno risoluzione Def e parere unanime tre Commissioni Parlamentari
Testo N. 2:
Governo 7 maggio reperisca risorse per approvazione celere PdL 249/1186 4000 pensionamenti per 4000 assunzioni. Basta veti pretestuosi RdS/Inps
Testo N. 3: 
Governo 7 maggio restituisca diritto scippato alla pensione ai 4000 Quota96Scuola veri truffati dalla riforma Fornero Liberi posti lavoro per giovani
1) Ministro Giuliano Poletti 
Via Veneto, 56 – 00187 Roma
2) Ministro Pier Carlo Padoan 
Via XX Settembre, 97 00187 Roma
3) Dottor Mauro NORI
Via Ciro il Grande, 21 00144 ROMA
4) Presidente Matteo Renzi
Sant’Andrea delle Fratte, 16 – 00187 Roma

La Scuola? Tutto a posto e niente in ordine

da Tecnica della Scuola

La Scuola? Tutto a posto e niente in ordine
di A.G.
Così ha risposto il Ministro durante un incontro delle Giornate del Lavoro della Cgil, in svolgimento a Rimini: dopo aver toccato il non facile rapporto con i sindacati, Giannini ha detto che l’istruzione ha una sua solidità e una storica funzione nel paese, ma ha tanti punti da essere messi al centro della discussione politica e del Governo. Sui finanziamenti al settore: a metà maggio vedrò Padoan, i gabinetti già hanno iniziato a istruire i punti cruciali.
“Tutto a posto e niente in ordine”. È la battuta scelta dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, per sintetizzare l’attuale quadro della scuola italiana. Giannini lo ha detto durante un incontro delle Giornate del Lavoro della Cgil, in svolgimento a Rimini. “Tutto a posto – ha spiegato – perché la scuola c’è, ha una sua solidità e una storica funzione nel paese, ma – ha aggiunto – ha tanti punti da essere messi al centro della discussione politica e del Governo, perché la scuola non solo è importante ma è centrale”.
Durante il suo intervento, il ministro dell’Istruzione ha risposto a diverse domande presentate sul tema della scuola, dell’Istruzione e dell’università da alcuni studenti, il ministro ha anche toccato il tema degli insegnanti. A suo giudizio la “figura degli insegnanti non é quella di persone rassegnate, entrate con un concorso e che sono consapevoli che staranno li fino alla pensione” e che , per quanto riguarda le funzioni, ha concluso il ministro “crescono invecchiando”.
Giannini si è anche soffermata sul nodo dei finanziamenti, che negli ultimi anni sono stati sempre più ridotti. “A metà maggio vedrò Padoan: già i gabinetti hanno iniziato a istruire i punti cruciali”, ha detto il responsabile del Miur replicando a chi le chiedeva se fosse in programma un incontro con il ministro dell’Economia sul fronte dei fondi per l’Istruzione.
”Sicuramente – ha osservato – c’è il tema della programmazione dell’ingresso del personale perché, per esempio, nell’Università, nei prossime 3 anni, avremo un pensionamento in blocco di circa 10 mila docenti per lo più nella prima fascia, quasi tutti ordinari”.
Secondo Giannini, su questo tema, “dobbiamo riprogrammare e sarebbe una cosa importantissima, per la prima volta, il ciclo delle assunzioni, il meccanismo selettivo in entrata sulla base delle esigenze che il sistema ha perché si trova improvvisamente svuotato. Analoga cosa – ha proseguito – si può fare con maggiore complessità nel mondo delle scuole: queste sono le due priorità sul tema del personale”. Quanto “al tema delle risorse bisogna capire quanto e in che misura, potendo e volendo mettere il tema dell’istruzione al centro dell’agenda politica, si possano assicurare delle risorse che sono quelle necessarie a che si riprenda fiato e si riparta. E non ci sia il ministro di turno dell’Istruzione che – ha concluso – rincorre quello dell’Economia”. Ma oggi le cose stanno ancora così.

C’è bisogno di insegnanti liberi per formare animi liberi

da Tecnica della Scuola

C’è bisogno di insegnanti liberi per formare animi liberi
di Lucio Ficara
Si può uscire dalla situazione di crisi solo rivalutando il ruolo e la funzione dei docenti e investendo molto sulla loro formazione.
È assolutamente evidente che la scuola pubblica sta attraversando un momento di profonda crisi identitaria ed è altrettanto evidente che il ruolo dell’insegnante è totalmente svalorizzato sia sul piano economico che su quello sociale.
Infatti la professione docente non gode di alcun rispetto nella nostra società, motivo per cui moltissimi giovani scartano a priori questa bellissima professione per il loro futuro lavorativo. Quindi se gli studenti più bravi non prendono in considerazione l’idea di potere diventare dei buoni insegnanti, proprio per il fatto che tale professione è fortemente svalutata, questo diventerà inevitabilmente un grave problema sociale.
Ma di chi sono le colpe di questo disastro sociale?
Le ragioni sono anche storiche, ma in questi ultimi anni abbiamo assistito a delle vere e proprie campagne politiche volte a denigrare la figura degli insegnanti della scuola pubblica.
È stato detto di tutto contro la categoria degli insegnanti, senza tenere conto delle gravi ripercussioni che tali campagne avrebbero potuto avere sulla formazione e l’educazione dei nostri giovani.
Gli insegnati sono stati tacciati di essere fannulloni, sindacalizzati, corporativi, illicenziabili, inculcatori di idee, quasi a sottolineare che se la scuola non funziona, questo è dovuto principalmente all’inadeguatezza, alla faziosità e al corporativismo degli insegnanti.
Questa è stata l’analisi politica che ha indotto e sta continuando ad indurre, con precise politiche in materia d’istruzione, a modificare profondamente la professione di insegnante.
La logica è quella di premiare i docenti più meritevoli e stangare, per dirla alla Renzi, i docenti fannulloni. Per la verità a stangare i fannulloni ci ha provato Brunetta, con il risultato che gli insegnanti fannulloni stanno meglio di prima ed a pagare sono stati tutti gli altri docenti. Infatti la lotta contro il fannullonismo si è concretizzata nell’annullare alcuni diritti contrattuali, nel assegnare poteri sanzionatori ai dirigenti scolastici, nel rendere gli insegnanti meno liberi e più soggetti alle direttive gerarchiche.
Paradossalmente le norme anti fannulloni hanno penalizzato maggiormente gli insegnati più meritevoli ed autonomi, che oggi si trovano in uno stato di acquiescenza totale nei confronti dei propri dirigenti scolastici.
Questo è il motivo principale oltre a quello di carattere economico, per cui un giovane e brillante studente non vorrà mai diventare come i suoi insegnanti, vittime della demotivazione, della depressione e soprattutto della autorità gerarchica dei superiori. Per rilanciare l’appetibilità di questa professione che è sicuramente tra le più belle ed affascinanti, bisognerebbe restituire ai docenti che lo meritano la libertà d’insegnamento, in modo che possano formare animi liberi e forti. In buona sostanza bisognerebbe rispettare nel suo più profondo significato il comma 1 dell’art. 33 della Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.

Giannini attacca il sindacato e rilancia la valutazione

da Tecnica della Scuola

Giannini attacca il sindacato e rilancia la valutazione
di R.P.
E lo fa a Rimini, al Festival del Lavoro organizzato dalla Cgil. Ma forse è tutto calcolato, anche perchè il “popolo della scuola” non è il bacino elettorale di Scelta Civica. I suoi potenziali elettori, al contrario, potrebbero apprezzare ancora di più il coraggio e la chiarezza.
Stefania Giannini va a Rimini, al Festival del lavoro organizzato dalla Cgil e non le manda certamente a dire, anzi parla chiaro e tondo, e sembra quasi voler provocare i suoi ospiti.
“Il sindacato – afferma il Ministro – deve cambiare strutturalmente e funzionalmente. Il ruolo del sindacato nel mondo della scuola è un ruolo fondamentale. Se come credo, e come mi sembra di capire, il sindacato rinnova la sua veste, la sua funzione che non è quella di proteggere in qualche modo i diritti acquisiti ma di partecipare ad un processo di profonda trasformazione”.
E poi entra nel merito di uno dei temi più dibattuti del momento: “Non conosco nessun paese che abbia rinunciato a dare valore alla scuola. Questo valore però deve essere valutato e misurato con una scala condivisa”.
“Questo
– aggiunge Giannini – significa che in una scuola che sia autonoma e responsabile gli insegnanti devono avere funzioni differenziate, per esempio il coordinamento, un impegno oltre la didattica frontale tradizionale, o altre assunzioni di responsabilità, e queste devono essere economicamente riconosciute. E’ così in tutti i lavori e in tutti i settori”.
La conclusione è quasi inevitabile: “E’ necessario allora che ci debba essere qualcuno con responsabilità gestionali, organizzative e di valutazione. E questo qualcuno non può che essere il dirigente scolastico. Se riusciamo a fare questo, sarebbe davvero una rivoluzione culturale, perché significa tenere insieme autonomia, governance, valutazione e responsabilità”.
Parole secche e precise che fanno presagire che il prossimo incontro con i sindacati, in programma per il 14 maggio, non assomiglierà per nulla ad un pranzo di gala o ad una serata danzante.
E’ facile prevedere, insomma, che fra una decina di giorni si giocherà a carte scoperte. Ma è anche vero che il Ministro potrebbe persino permettersi il lusso di incassare lo stop dei sindacati: fra un mese Stefania Giannini potrebbe già essersi dimessa da Ministro ed essere felicemente seduta a Strasburgo. Oltretutto una posizione “anti-sindacale” le potrebbe persino giovare non poco sotto il profilo elettorale: il “popolo” della scuola non fa certamente parte del bacino elettorale di Scelta Civica che invece – facendo leva su parole come merito, valutazione, performance e a slogan del tipo “basta con il diritto di veto dei sindacati” – potrebbe consolidare la propria posizione in altri settori della popolazione.

Abbandoni e dispersioni: una piaga sociale che si deve risolvere

da Tecnica della Scuola

Abbandoni e dispersioni: una piaga sociale che si deve risolvere
di P.A.
Alfredo Hamill, docente di lingua e linguistica all’Università degli studi di Napoli, e già docente di lingua e civiltà inglese nelle secondarie, sul Corriere della Sera lancia una proposta per recuperare i dispersi dalla scuola
Lo studioso, per lanciare la sua proposta, parte da alcune premesse che sono del tuto condivisibili. La nostra è ancora una scuola classista; l’apprendimento è compito esclusivo dell’alunno e se va male, la famiglia deve provvedere, mentre i corsi di recupero sono carenti (come è noto): “Dunque, chi ha bisogno di aiuto, se lo deve cercare essenzialmente da solo, e se non può, problema suo”. Inoltre, aggiunge lo studioso, “ciò non solo lascia indietro chi è più in difficoltà ma mette per strada un sacco di ragazzi stufi di sentirsi inferiori”. “La cosa più tragica, se non comica per l’ottusità con la quale si opera, è che si cercano di recuperare alcuni di questi riproponendo gli stessi programmi coi quali sono falliti! Insomma, la «minestra» deve piacere per forza”. Ed ecco la proposta: “Se non si può trasformare tutta la scuola, e certamente manca la volontà sociale e politica per una cosa simile, almeno creiamo qualcosa per il recupero degli abbandoni, qualcosa che possa funzionare, per rendere questi ragazzi cittadini consapevoli, partecipi, utili, e non…utili idioti, perché alla fine voteranno pure loro, e tutti noi dovremo accettare anche le loro volontà, quale che sia, e quale che ne sia la base, di ignoranza, di mancanza di comprensione dei meccanismi della società di cui siamo tutti parte. Propongo un corso biennale, o massimo triennale, per questi ragazzi, basato su poche materie, giusto per renderli autonomi ed autosufficienti nella società del Ventunesimo secolo. Per prima cosa, l’italiano, almeno 10 ore settimanali, perché la conoscenza della propria lingua, la capacità di comprendere e comunicare è alla base di ogni altra abilità. Poi la matematica di base (almeno cinque ore alla settimana), non l’analisi matematica che serve solo agli ingegneri, perché la sua utilità e tale che non se ne può prescindere, ed è troppo difficile da imparare da solo. Terzo, il diritto, ma non le leggi astruse: la Costituzione italiana, come funziona, cosa si può fare e cosa non si può fare! Infine, una materia a scelta: storia dell’arte, lingue, falegnameria, elettrotecnica, quello che si vuole, per tenere alto l’interesse e venire incontro a potenziali interessi futuri, e anche per far sì che la scuola non sia solo obbligo, ma anche sostegno. Non si darebbe un classico diploma questi ragazzi, ma un certificato di studio di base completato”.

Il caso di Imola fa discutere

da Tecnica della Scuola

Il caso di Imola fa discutere
di Reginaldo Palermo
Polemiche per gli studenti che vogliono valutare i professori, ma i processi di valutazione sono insiti in ogni attività umana. I passaparola su competenze e comportamenti dei professori ci sono sempre stati e sempre ci saranno.
La proposta degli studenti di una scuola superiore di Imola di utilizzare un questionario per valutare i propri insegnanti sta facendo discutere.
L’USB, piccolo sindacato di base, ci vede lo “zampino” del dirigente scolastico e protesta.
Una parte dei docenti della scuola osserva che questo è un inaccettabile capovolgimento di ruoli: da che mondo è mondo – dicono – i professori valutano e gli studenti vengono valutati.
Ma non c’è bisogno di andare alla terza tesi su Feuerbach di Karl Marx (“La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione … dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato”) per sapere che il rapporto fra educatore ed educando è di tipo dialettico.
Senza metterla troppo sul filosofico, basta osservare che da tempo immemorabile gli studenti valutano i propri insegnanti con o senza questionari.
Chi di noi, al liceo, non ha detto: “Il prof. di matematica è severissimo ma spiega veramente bene” oppure “Spiega benissimo ma è antipatico, ti fa passare la voglia di studiare” o ancora “Con il prof. di latino è una pacchia: nei compiti in classe si può copiare senza problemi, perché lui intanto si legge il giornale”? E così via…
E poi questi giudizi si trasmettono da una classe all’altra e spesso servono anche a creare miti (o pregiudizi) più o meno fondati.
Le stesse nuove iscrizioni sono influenzate dai “passaparola” che ci sono sempre stati e sempre ci saranno.
Può darsi che, prima o poi, preso per sfinimento il Ministro decida di accantonare ogni progetto di valutazione dei docenti (d’altronde fu esattamente così che andarono le cose ai tempi di Luigi Berlinguer), può anche essere che il direttore dell’USR dell’Emilia-Romagna dica che il questionario di Imola va ritirato, ma nessun Ministro, nessun Governo, nessun direttore generale e nessun sindacato potranno mai impedire agli studenti e alle famiglie di esprimere i propri giudizi su docenti e dirigenti scolastici.
Chi si oppone fermamente alla valutazione dovrebbe ricordare che tutta l’attività umana si basa su processi di valutazione; la nostra giornata ne è costellata: apriamo gli occhi e pensiamo “Bella giornata, ma io me ne starei a letto”, ci sediamo a tavola e diciamo “Risotto ottimo, peccato che io preferisco gli spaghetti” e così via fino alla sera.
Rimuovere il problema è un po’ come mettere la polvere sotto il tappeto.