Musica a scuola

Musica a scuola, il Miur dedica due giorni al tema

In corso le due giornate dedicate alla musica organizzate dal Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della Musica, dal Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre e dalla Direzione Generale per gli Ordinamenti scolastici e l’Autonomia scolastica. Il Convegno internazionale di studi dal titolo “Pensiero ed emozioni nell’esperienza musicale. Il fondamento filosofico del fare musica tutti nel sistema formativo”, è giunto quest’anno alla VII edizione. L’appuntamento con la riflessione filosofica sul valore della musica nell’educazione dei giovani vedrà  la partecipazione di studiosi di differenti ambiti disciplinari italiani e stranieri e l’apporto di affermati musicisti italiani, tra cui il Maestro Nicola Piovani intervenuto oggi al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Domani si prosegue al teatro Palladium in piazza Bartolomeo Romano 8 a Roma. La due giorni sarà chiusa dal concerto di Danilo Rea.

Pensiero ed emozioni nell’esperienza musicale

Amore della Scuola di Papa Francesco

AMORE DELLA SCUOLA DI PAPA FRANCESCO

di Umberto Tenuta

 

 

“Per favore, non lasciamoci rubare l’amore della scuola!”

GIORNATA DELLA SCUOLA IN PIAZZA SAN PIETRO SABATO 10 MAGGIO 2013

 

Protagonisti meravigliosi, bambine e bambini, adolescenti, giovani di tutta Italia, di tutte le scuole, statali e non statali, sono stati loro, sono state le Dirigenti e le Maestre, sono stati i Dirigenti ed i Maestri, ma Protagonista umile e grande è stato Papa Francesco.

Un Papa che dice: Lasciate che i bambini vengano a me, vengano sulla loro papamobile!

Se fosse dipeso da Lui, li avrebbe portati a spasso per le vie e per le piazze di Roma ed avrebbe fatto loro da Cicerone, come pure ha fatto, dicendo: Da questa Piazza passa un Meridiano, lo sapete voi?

Ha ascoltato musiche e canti, ha ascoltato poesie e prose, ha stretto le mani, ha regalato carezze e benedizioni.

Ma soprattutto ha sorriso, ha sorriso di gioia, incontenibile gioia, gioia paterna, gioia materna.

Oh grandezza di Papa cristiano: Sinite parvulosos venire ad me!

Un Altro Grande e Santo Padre aveva detto, sempre in quella Piazza: <<Cari figlioli, tornando a casa, troverete i bambini: date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”>>

Papa Francesco ne ha calcato le orme.

Ma era la GIORNATA DELLA SCUOLA, ed un Discorso pure Lui doveva fare!

Lo ha fatto, breve, conciso, sintetico, onnicomprensivo.

Lo ha cominciato e lo ha concluso, il Suo discorso, dicendo:

“Per favore, non lasciamoci rubare l’amore della scuola!”

Ma, a differenza da altri, a differenza da me, non ha spiegato che cosa è l’amore della scuola.

Non ha spiegato che la parola Studente deriva dal latino STUDIUM, termine che significa anche AMORE, amore del sapere, filosofia.

Ma ha detto che questo Amore dello studio Gliel’ha donato la Sua prima Maestra.

Maestre e Maestri, mica era un aneddoto, una piccola curiosità della Sua fanciullezza di figlio di immigrati in un Paese lontano lontano, ai confini del Mondo!

È un discorso che nessuno, nemmeno lo psicopedagogista più famoso, ha mai fatto meglio di Lui!

Niente Teorie!

Vedete, la Mia Maestra di Prima Primaria mi ha innamorato allo studio, mi ha fatto diventare uno studente, uno studente bravo, un Sacerdote bravo e buono, un Vescovo grande, un Cardinale che se ne va per le strade dei derelitti, un Papa senza aggettivi!

Grandezza di un’umile sconosciuta amorosa Maestra!

Chi glielo erige un monumento a questa Grande Maestra?

Ecco la lapide:

ALLA SCONOSCIUTA MAESTRA

CHE COL SUO UMILE AMORE

INNAMORò

LO SCONOSCIUTO JEORGE

ALLA CONOSCENZA ED ALLA VIRTù

CHE LO FECERO DIVENTARE

PAPA FRANCESCO

Per favore, questa lapide in umile bronzo collochiamola nella SALA DELLE MAESTRE di tutte le nostre scuole!

La faccia a spese del MIUR la Ministra Stefania Giannini, utilizzando i fondi per l’aggiornamento nelle scuole.

Ne risparmierà moltissimi ed otterrà il massimo risultato.

Efficacia ed efficienza di una Ministra!

 

POST SCRIPTUM

Lo so.

Ho travisato, anche se non molto, quanto ha detto Papa Francesco.

Papa Francesco ha detto:

<<“Per favore, non lasciamoci rubare l’amore della scuola!”

E voleva dire, da fine Psicologo dell’età evolutiva, che i bambini −tutti i bambini, e non solo Lui− nascono con l’innata curiosità, l’innato bisogno di conoscere, l’innato bisogno di seguir virtute e canoscenza:

<< Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.>> (Dante

Alighieri, Divina Commedia, Inferno XXVI, 119-120)

Ed allora?

Allora la così decantata Maestra mica Gli aveva fatto nascere l’amore della scuola, l’amore di seguir virtute e canoscenza!

E no, Signori miei!

La non mai lodata Maestra aveva fatto qualcosa di più grande.

Non gli aveva rubato l’amore della scuola!

E, perciò, Papa Francesco dice:

“Per favore, non lasciamoci rubare l’amore della scuola!”

 

Ecco la scuola per dormiglioni: campanella d’inizio alle 13 e 30

da Corriere.it

GRAN BRETAGNA

Ecco la scuola per dormiglioni: campanella d’inizio alle 13 e 30

L’esperimento di un istituto superiore inglese del Surrey. Una scelta fatta per accordare le ore di studio con «l’orologio interno» degli adolescenti

di Carola Traverso Saibante

Dormire fino a tardi, tutte le mattine: è il sogno di ogni studente – o almeno, di moltissimi. In una scuola inglese, è diventato realtà: gli studenti di un istituto privato del Surrey a partire dal prossimo anno scolastico andranno a scuola di pomeriggio. Il motivo della decisione è proprio il rispetto del sonno dei suoi alunni.

Zero mattina

Dal prossimo settembre, dunque, tutti gli studenti dell’ultimo biennio della Hampton Court House – di età compresa tra i 16 e i 18 anni – inizieranno le lezioni alle 13.30 fino alle 19.00. Alcune scuole superiori inglesi hanno già posticipato l’inizio delle lezioni, che in Gran Bretagna cominciano già un’ora più tardi rispetto all’Italia. La UCL Academy di Londra, sponsorizzata dalla prestigiosa università britannica University College London, da quando ha aperto i battenti lo scorso anno le fa partire un’ora dopo, alle 10.00, così come fa anche per esempio il liceo Monkseaton, North Tyneside, dal 2010. Lo Hugh Christie Technology College di Tonbridge, Kent, per gli studenti dai 14 anni in su, ha istituito la politica della metà mattina (11.30) dal 2007. Quello di Hampton Court House è però il primo caso nel Paese in cui a venire introdotta è la politica «zero mattina» a scuola.

Prove e polemiche

Le critiche alla scelta della scuola privata non sono certo mancate. É una scelta più commerciale che didattica, e avvalla gli alunni che poltriscono invece che studiare: queste le principali accuse. Respinte dal preside, Guy Holloway, che difende i suoi allievi marchiati come pigri e fannulloni e assicura che i nuovi orari permetteranno loro di trarre miglior profitto dal proprio tempo. «Ci sono sempre più prove scientifiche che dimostrano ciò che genitori e insegnanti sanno da anni – ha dichiarato Holloway – e cioè il fatto che molti adolescenti non dormono abbastanza durante la settimana, e ciò ha un impatto significativo sulla loro capacità e salute mentale e fisica». La scienza dimostra che gli adolescenti sono programmati biologicamente per svegliarsi più tardi, dice.

Una questione di ritmi circadiani

Sono le stesse istanze presentate all’epoca dalla direttrice della UCL Academy, che aveva portato come prove le più recenti ricerche scientifiche condotte proprio dai suoi sponsor, UCL, Oxford e Harvard, che documentano come i teenager siano naturalmente predisposti ad andare a letto più tardi e svegliarsi più tardi. Tra le 9.00 e le 10.00 di mattina – dalle due alle quattro ore dopo rispetto agli adulti, e fino a quell’ora il loro livello d’attenzione e capacità di concentrazione risultano in sofferenza. Un cambiamento dell’orologio interno che si protrae generalmente fino ai 21 anni. Anche solo un’ora di sonno in più al mattino, è stato dimostrato, rende gli studenti del liceo più vigili e sereni. Le esperienze delle scuole, come quelle sopra-citate, paiono dar ragione: gli istituti dichiarano che la risposta all’inizio ritardato delle lezioni è stata positiva, gli studenti sono più concentrati e i loro risultati accademici migliori.

Salvare i disabili dalla solitudine

da Corriere.it

Salvare i disabili dalla solitudine

Ci sono 100 mila insegnanti di sostegno per oltre 200 mila studenti con disabilità. Più di un terzo però sono precari e questo crea forte spaesamento. La continuità è necessaria

di Fulvio Ervas

Novecento e più teste, il doppio di occhi e il quadruplo di mani e piedi sciamano, all’intervallo, dalle aule e inondano l’istituto. Se osservate con un po’ di attenzione vedrete, nel flusso, una carrozzella, un ragazzino che sfreccia come un’antilope nei giorni di festa, un altro che lancia mille volte nell’aria una palla rosso vivo, una ragazza che avanza come danzando su strane melodie. Hanno tutti un nome. E un vissuto speciale: disabilità. I dati del Miur (il ministero dell’Istruzione) indicano, per l’anno scolastico 2012-13, 222.917 studenti con disabilità: 205.096 frequentano istituti statali e 17.821 istituti non statali. Il rapporto percentuale ci dice che nelle strutture statali ci sono 2,7 alunni con disabilità ogni cento alunni e 1,5 nelle strutture non statali. Nel conteggio totale degli alunni con disabilità sono compresi 24.139 stranieri (22.854 nelle scuole statali e 1.285 in quelle non statali).

I dati (che sembrano non avere odore) raccontano che la disabilità scolastica è una questione pubblica. La contabilità non è secondaria. Il numero di insegnanti di sostegno, per esempio: 62.016 a tempo indeterminato e 39.249 a tempo determinato (in questo ambito la precarietà, dove si era creata una buona relazione con lo studente, è fonte di grande spaesamento). Quindi un docente di sostegno ogni due ragazzi con disabilità. Circa.

 

Segnali di miglioramento nell’ultimo decennio, secondo il giudizio del Miur. Sembrerebbe l’auspicabile direzione di un grande percorso, prima che scolastico, civile. E però, con oltre 100 mila posti di lavoro in gioco, si potrebbe, malevolmente, sostenere che la disabilità sia una «risorsa» prima di tutto per l’occupazione scolastica. No, qui, non stiamo parlando di stipendi, ma di indicatori di civiltà. La qualità della condizione di studente, per questi nostri cittadini, è l’ago che può pungere, e sgonfiare, molte delle nostre presunzioni di progresso. Per questo, ogni operatore che abbia contribuito a livellare ostacoli e a far vivere la scuola come un’esperienza positiva per i ragazzi con disabilità, ha aggiunto un chilo di cemento nella costruzione dell’impalcatura civile della società.

Tutto bene? No, i lamenti non mancano. Le insoddisfazioni nemmeno. La percezione, pur diversissima da un’area regionale all’altra, sia dell’utenza, sia degli operatori scolastici, non è positivamente omogenea. Alle volte è negativa: copertura del sostegno incompleta, rotazione eccessiva dei docenti, aspettative astronomiche delle famiglie e, va detto, anche mancata formazione specifica per le diverse disabilità. Si attorcigliano aspettative personali (e contingenti) con le dinamiche dei sistemi «a grandi numeri»: le due velocità spesso sono spaiate. Qualcuno, prima o poi, vedrà il sol dell’avvenir. Qualcuno, qui e ora, patisce.

Ho fatto, sto facendo, esperienza di insegnamento con studenti «speciali», in un liceo, il Luigi Stefanini di Venezia Mestre, che tradizionalmente accoglie il maggior numero di questi alunni rispetto all’intera provincia di Venezia. L’utenza iscrive i propri figli in questo istituto attratta da un passaparola positivo tra le famiglie. L’istituto, in molti anni, è diventato un campo di forze che modella l’ambiente scolastico, in senso ecologico, discretamente favorevole all’adattamento di questi studenti. Molti hanno potuto avere, per davvero, un’esperienza umana evolutiva e soddisfacente. Si sono sentiti accettati, inclusi, non in occasione della giornata del volontariato, ma per sei giorni alla settimana, per nove mesi, per cinque anni, gite scolastiche incluse. Questi ragazzi pativano le vacanze natalizie ed estive come una condanna. Per affrontare la quotidianità con questi alunni reali si devono combinare alcune grandezze: un bravo dirigente, insegnanti di sostegno formati e motivati, consigli di classe non disattenti, famiglie che abbiano macinato la rabbia o la rassegnazione (tutte umanamente comprensibili ma inefficaci), alunni emotivamente distanti dal supermachismo.

Strategica è la presenza di un dirigente capace, possibilmente refrattario a facili ipocrisie: eviterà di millantare roboanti interventi, avrà coscienza che per certe disabilità (soprattutto importanti deficit intellettivi) la scuola può ottenere poco, pur agendo con costanza e onestà. Un bravo dirigente conosce la validità del proprio nucleo di docenti di sostegno e sa quale efficacia possa avere il loro intervento; conosce i consigli di classe e sa dove il lavoro di inclusione si avvii spontaneamente e dove bisognerà vigilare «armati»; dialoga con le famiglie, ne monitora i bisogni e le aspettative e segue la realizzazione degli obiettivi concretamente ottenibili in quello specifico istituto.

È un formidabile aiuto l’atteggiamento delle famiglie dei ragazzi con disabilità, che va, in ogni caso, considerato con tutto il rispetto possibile. La sinergia migliore si ottiene quando la famiglia non viva la scuola come una sorta di Lourdes laica, il luogo dei miracoli, dove l’impegno dell’istituzione debba (e possa) effettivamente compensare tutte le carenze manifeste nel figlio. I genitori con buona capacità di giudizio comprendono che la scuola offre dosi, non proprio omeopatiche, contro la solitudine dei figli, che li mantiene dentro a un mondo di relazioni, di stimoli, che offre un sostegno didattico, alle volte migliorabile, certo, ma non privo di possibilità di allenamento intellettuale: offre un confronto con molte figure adulte, una organizzazione parziale del tempo, un percorso di conoscenze. Anche un sorriso. Anche una rampogna, alle volte.

Come si arriva a far funzionare decentemente le cose? Aspettando direttive e risorse dall’alto? Ponendo infiniti quesiti al Miur su Disturbi Specifici di Apprendimento e, in aggiunta da quest’anno, sui Bisogni Educativi Speciali? Compilando meravigliosi e, poi, disattesi Piani Educativi Individualizzati e Piani Didattici Personalizzati? Perché no? In sincronia con un Paese che ama categorizzare e che considera già realizzato ciò che è stato, appena, scarabocchiato. Tuttavia la precondizione, decisiva, è che si parta individualmente dalla convinzione che nella scuola, come nella sanità, ovunque vi sia una funzione di servizio verso il cittadino, è vitale essere dei buoni insegnanti, non vergognandosi di mirare all’eccellenza. Senza una «massa critica» di capacità, dal basso, resteranno solo manciate di sigle. E cittadini infuriati. Se le cose funzionano, quando non prevale l’unità di misura del miracolo o dell’indifferenza, si costruisce un terreno non conflittuale, dove accade, addirittura, di dirsi grazie. «Grazie per quello che avete fatto per mio figlio in questi anni» è la mail di una madre che vale cinquecento aumenti di stipendio offerti, con spritz e noccioline, dal Miur.

P.S.: D’accordo, la tassonomia delle disabilità sarà necessaria. Però, a me, piace chiamarli per nome…

Si può prevenire la dispersione nei tecnici e nei professionali?

da TuttoscuolaNews

Si può prevenire la dispersione  nei tecnici e nei professionali?

L’alta dispersione scolastica registrata soprattutto negli istituti statali dell’istruzione tecnica e professionale (due terzi della complessiva dispersione nel Paese per il settore statale della secondaria di II grado) costituisce l’anticamera dei Neet (Not in Education, Employment or Training), quei giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano, non fanno formazione o apprendistato.

Perché proprio negli istituti tecnici e professionali si registra tanta dispersione? La questione meriterebbe un’approfondita ricerca nell’intento di fornire utili elementi per la prevenzione e il contrasto del fenomeno.

Per parte nostra ci permettiamo di svolgere alcune osservazioni (non esaustive), rimandando al dossier “Dispersione scolastica nella scuola secondaria superiore statale” (disponibile sul portale www.tuttoscuola.com o che si può richiedere a tuttoscuola@tuttoscuola.com indicando nome, recapiti e professione) per approfondimenti e per ulteriori, articolate, proposte.

Chi sono i ragazzi che scelgono i tecnici e i professionali? Prevalentemente provengono da famiglie di estrazione sociale non elevata e di cultura media, con redditi medi o medio-bassi. Molti di loro hanno alle spalle un rendimento scolastico non eccellente, contrassegnato spesso da insuccessi scolastici.

Ovviamente vi sono tra loro eccezioni sia per quanto attiene al rendimento scolastico che all’estrazione sociale, ma il profilo medio del ragazzo che accede a quei tipi di istituto è, salvo smentite oggettive, quello sopra descritto.

Cosa può fare la scuola per loro, soprattutto in termini di prevenzione?

Personalizzare precocemente gli interventi, ben prima che si attui la dispersione (scuola media, elementare?).

Riservare più tempo scuola per loro per attività non necessariamente ‘scolastiche’.

Ripensare ai contenuti del curricolo scolastico, dando più spazio a laboratori.

Incentivare i rapporti con il mondo del lavoro e la conoscenza delle esperienze lavorative, riservando maggiore spazio all’alternanza scuola-lavoro.

E altro ancora. Ad esempio, sul fronte della formazione dei docenti.

Papa Francesco: imparare ad imparare

da TuttoscuolaNews

Papa Francesco: imparare ad imparare  

Chi si aspettava che il pontefice, nel suo incontro con la scuola di sabato in piazza San Pietro, ritornasse sul solito ritornello del sostegno alla scuola privata per favorire le scelte educative delle famiglie, è certamente rimasto deluso.

“Si vede che questa manifestazione non è ‘contro’, è ‘per’ – ha dichiarato papa Francesco. Non è un lamento, è una festa, una festa per la scuola. Sappiamo bene che ci sono problemi e cose che non vanno, lo sappiamo, ma voi siete qui, noi siamo qui perché amiamo la scuola”. E ha aggiunto: “Per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola”.

Poi, come aveva fatto con il proverbio africano secondo cui per educare un figlio ci vuole un villaggio, ha invitato i ragazzi presenti a ripetere con lui un’altra frase, pronunciata poco prima dal ginnasta Jury Chechi: ‘sempre è più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca’.

Papa Francesco ha ricordato don Milani, il suo insegnamento e la sua scuola di Barbiana aperta 365 giorni l’anno. E chissà – sottolinea Giovanna Chirri dell’Ansa nella sua corrispondenza – cosa avrebbe pensato il priore di Barbiana, avversato in vita come prete e come educatore, a sentire papa Bergoglio evocarlo come “grande educatore italiano, che era un prete”, e “che insegnava a restare persone aperte alla realta”. Le testimonianze sono state affidate a volti noti e a professori sconosciuti, evocati i problemi delle scuole di periferia, dei ragazzi disabili ma anche le esperienze innovative dei gruppi insegnante-professore radunati da Facebook.

“Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare, questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà.

Il papa ha quindi precisato che “gli insegnanti sono i primi che devono rimanere aperti alla realtà, con la mente sempre aperta a imparare”.

“Se un insegnante non è aperto a imparare – ha proseguito –  non è un buon insegnante, e non è nemmeno interessante; i ragazzi capiscono, hanno ‘fiuto’, e sono attratti dai professori che hanno un pensiero aperto, ‘incompiuto’, che cercano un ‘di più’, e così contagiano questo atteggiamento agli studenti”.

Una semplice e bella lezione di pedagogia.

Test Invalsi: cosa c’è che non va e come si potrebbero cambiare

da L’Espresso

Test Invalsi: cosa c’è che non va e come si potrebbero cambiare

Ecco dove bisognerebbe intervenire, secondo due grandi esperti

Poco supporto alle scuole. Domande scadenti. Nessun questionario per conoscere meglio genitori, studenti e insegnanti. Sovrapposizione fra prove nazionali e internazionali. Così da 30 anni le valutazioni standard dicono sempre le stesse cose delle nostre scuole. Senza che per questo l’educazione migliori. Ecco dove bisognerebbe intervenire, secondo due grandi esperti

di Francesca Sironi

È un rito che si ripete ogni anno. Col suo corredo di stress, fatica e proteste. I test Invalsi, introdotti per la prima volta 13 anni fa e diventati d’obbligo per tutti gli studenti italiani, dalle elementari alle superiori, catalizzano battaglie e speranze come pochi altri aspetti della scuola dell’obbligo. Valutare infatti è difficile. E se la misura viene imposta dall’alto può risultare odiosa. Quest’anno alla guida dell’ente è arrivata una nuova presidente, Anna Maria Ajello, che promette di voler cambiare le cose e di ascoltare i pareri di chi dissente. “l’Espresso” ha chiesto a due esperti di provare a spiegare, concretamente, cosa c’è che non va in queste prove. E come potrebbero migliorare. Così Bruno Losito , docente a Scienze della formazione all’Università di Roma Tre e per 15 anni responsabile dei quiz internazionali dell’Invalsi, e Clotilde Pontecorvo , professore emerito di Psicologia evolutiva alla Sapienza, raccontano cosa servirebbe, secondo loro, per rendere i test più giusti ed esatti. E quindi forse più benvoluti.

IO MISURO MA POI?
«L’aspetto forse più disperante, dei test Invalsi, è che gli elementi di fondo fotografati dai risultati di oggi sono gli stessi degli anni ’70», inizia Losito: «Gli esiti nazionali sono oltremodo prevedibili: la distanza del Sud dal Nord, l’arretratezza delle regioni meridionali … Uno si chiede a cosa serve continuare a insistere sulla valutazione se poi non cambia niente. È frustrante». «Io c’ero, 30 anni fa, nella squadra che ha avviato le prime prove standard per misurare le competenze degli alunni», racconta Pontecorvo: «E in effetti ciò che scoprimmo allora a livello nazionale è purtroppo quello che emerge ancora oggi: le ineguaglianze derivano dalla collocazione territoriale». Ma è colpa dei test se alle loro domande gli studenti falliscono a seconda di dove sono nati? O della politica che non interviene a riguardo? «Bisognerebbe definire a cosa servono i quiz», risponde Losito: «Se servono per programmare politiche nazionali oppure piuttosto per permettere ai docenti della singola scuola di intervenire sulle carenze. Ma per questo ci sarebbe bisogno di supportare le classi, dare loro esperti, fondi, tempo. Da 13 anni ormai le prove Invalsi sono entrate nelle scuole. Perché non finanziare una ricerca che studi e analizzi sul serio se sono servite a qualcosa? Se a professori e dirigenti scolastici sono state utili per cambiare oppure no? Se hanno fatto avviare miglioramenti oppure sono rimaste nei cassetti?».

QUIZ VS CONOSCENZE
L’altro tema eternamente discusso riguardo alle prove è loro sostanza. Di imbuti a crocette, fondamentalmente, domande chiuse a cui rispondere attingendo alle proprie conoscenze di grammatica, matematica, logica. Ma chiuse. «Io ho sempre difeso le prove scritte», spiega Pontecorvo: «Ho insegnato per 15 anni in un liceo classico e dalla mia esperienza, oltre che dai nostri studi, ho sempre tratto l’idea che le prove scritte siano più oggettive delle interrogazioni orali, nelle quali il docente mette per forza la sua parte. L’interrogazione serve per interagire, approfondire, ma non è la forma migliore per valutare. Certo, poi c’è prova scritta e prova scritta». Ovvero c’è l’abisso che separa una composizione a soggetto libero da un quiz, e da un quiz raffazzonato a uno studiato nel dettaglio. «Gli attuali test Invalsi sono molto più “chiusi” di quelli internazionali, paradossalmente», commenta Losito: «E questo per un evidente problema di costi e di tempo: vogliono fare prove universali, dirette a milioni di studenti, e correggerle in pochi mesi per restituire i risultati alle scuole entro ottobre. Così è impossibile, anche assumendo ricercatori precari. La verifica delle risposte a domande aperte è uno dei costi maggiori nel budget Invalsi. Ma sono anche le domande più importanti». Quindi? «È davvero necessario sottoporre questi test a ogni alunno in ogni classe ogni mese di maggio di ogni anno?», si chiede il docente di Roma Tre: «Non sarebbe sufficiente proporre le prove con cadenza biennale, per dare spazio a test più aperti, più complessi, quindi a correzioni più attente, così come ad analisi più profonde sui risultati da inviare ai docenti e ai dirigenti scolastici?»

LE DOMANDE CHE MANCANO
C’è un altro vuoto nei mega-test che impegnano in questi giorni bambini e ragazzi italiani. Ed è quello del contesto: «Anche qui, assurdamente, i test internazionali sono più attenti dei nostri», spiega Losito, che ne è stato responsabile per 15 anni: «Insieme alle domande di matematica e italiano c’è sempre un questionario rivolto agli studenti e ai loro genitori, per poter confrontare i risultati col contesto di provenienza degli alunni. Nelle prove nazionali questo aspetto manca». «Bisognerebbe averlo chiaro, e ribadirlo ogni volta: questi test servono a misurare. Non a valutare», continua Pontecorvo. Sembra una differenza lessicale, più che sostanziale, visto che il ministro che ha introdotto le prove, Letizia Moratti, li chiamava per l’appunto “ strumenti di valutazione ”, e che i dirigenti scolastici mostrano fieri i risultati sui siti web d’istituto se sono eccellenti o li nascondono se sono scarsi. «Questo è un grave errore delle istituzioni», afferma la docente della Sapienza: «Per controllare e valutare sarebbero necessari molti altri valori che ora non entrano nei risultati. E riguardano gli alunni, le loro famiglie, la posizione della scuola, il contesto. Soprattutto non servono per valutare gli insegnanti, come suggeriscono invece alcuni dirigenti».

DOPPIONE INTERNAZIONALE
Nel 2012 l’istituto Invalsi ha speso complessivamente 24 milioni e 962 mila euro. Per i prossimi tempi calcola le sue necessità finanziarie in 16 milioni e 960 mila euro all’anno. Di questi, quattro serviranno per le prove universali nazionali; due per quelle internazionali; 850 mila euro andranno a quelle campionarie; e due milioni e mezzo infine serviranno a “supportare” le scuole nella loro “autovalutazione”. «Il confronto internazionale è indispensabile», sostiene Pontecorvo. «Ma nella fotografia che dà del Paese a livello centrale si sovrappone agli esisti delle prove nazionali», aggiunge Losito. Quindi? Si tratta di un costoso doppione? «In parte sì», risponde il docente romano: «Ed è una sovrapposizione che va risolta. Il campione selezionato per i confronti internazionali probabilmente è troppo vasto. Si potrebbe risparmiare ed avere ugualmente un parametro con cui confrontare i nostri risultati a quelli degli altri Paesi dell’Ocse».

NAUSEA DA TEST
L’ultimo rischio, il più avvertito, forse, dai docenti, riguarda le conseguenze che le prove hanno nelle classi. «I nostri studenti hanno un tasso altissimo di risposte non date», spiega Pontecorvo: «Ed è dovuto al fatto che non capiscono le domande. Non sono abituati a quell’impostazione, alla formulazione dei problemi proposta dagli standard internazionali. Il rischio è che gli insegnanti allora si riducano al “teaching to the test”, ovvero ad addestrare gli alunni a rispondere ai quiz piuttosto che a rafforzare le competenze di base che questi richiedono. Una prospettiva pedagogicamente orribile». Le prove intanto aumentano però, risicando tempo all’insegnamento, fra campioni, test nazionali, confronti internazionali e questionari vari. Richiedendo straordinari ai docenti per correggere e verificare: «Il rischio è che le classi arrivino a non sopportare più l’idea di doversi sottoporre ai test», racconta Losito: «Come già sta avvenendo in paesi come la Gran Bretagna. Nel 2005, quando chiamavamo le scuole per chiedere di partecipare a una prova internazionale non si tirava indietro nessuno. I miei colleghi di oggi dicono che ora chiamano e iniziano a trovare resistenze. Continuando così andranno in sovraccarico, e senza un serio incentivo per farlo».

Papa Francesco, ‘lezione’ a 300 mila studenti: “Non facciamoci rubare l’amore per la scuola”

da la Repubblica

Papa Francesco, ‘lezione’ a 300 mila studenti: “Non facciamoci rubare l’amore per la scuola”

Bergoglio: “Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà’

CITTA’ DEL VATICANO – L’hanno accolto attenti, con le facce rivolte verso i grandi schermi e verso Papa Francesco. Una “classe speciale per una lezione speciale”, come ha detto il ministro dell’Istruzione Stefania Gianni. Tra studenti, insegnanti e genitori sono arrivati in 300 mila a Piazza San Pietro, Via della Conciliazione e nelle zone limitrofe per l’incontro della scuola italiana con Papa Francesco, questo pomeriggio. Non c’erano solo gli istituti cattolici, ma tutte le scuole del Paese. E il Papa è arrivato in jeep salutando e benedicendo la folla che ha invaso completamente Roma. Il suo discorso è stato un appello. Per dire: “Per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola”.

‘Per educare un figlio ci vuole un villaggio’. La scuola serve a unire e a formare. E’ un punto d’incontro. Un sinonimo di apertura alla realtà. Papa Francesco l’ha amata, la ama ancora. Il suo messaggio è un invito a non darla per scontata ma a curarla, a salvarla. “La famiglia – ha detto il Papa – è il primo nucleo di relazioni: la relazione con il padre e la madre e i fratelli è la base, e ci accompagna sempre nella vita. Ma a scuola noi ‘socializziamo’: incontriamo persone diverse da noi, diverse per età, per cultura, per origine… La scuola è la prima società che integra la famiglia. La famiglia e la scuola non vanno mai contrapposte! Sono complementari, e dunque è importante che collaborino, nel rispetto reciproco. E le famiglie dei ragazzi di una classe possono fare tanto collaborando insieme tra di loro e con gli insegnanti. Questo fa pensare a un proverbio africano tanto bello: ‘Per educare un figlio ci vuole un villaggio’. Per educare un ragazzo ci vuole tanta gente, famiglia, scuola, insegnanti, personale assistente, professori, tutti. Vi piace questo proverbio africano? Diciamolo insieme: per educare un figlio ci vuole un villaggio”.

La prima maestra di Bergoglio. L’espressione di chi ricorda, e il suo discorso il Papa lo ha iniziato con l’omaggio alla sua maestra: “La mia prima insegnante è stata una maestra che mi ha preso a 6 anni, al primo livello della scuola. Mai ho potuto dimenticarla. Sono andato a trovarla tutta la vita fino a quando è mancata a 98 anni. Amo la scuola perché quella donna mi ha insegnato ad amarla”, ha confidato Bergoglio all’incontro promosso dalla Cei e intitolato “We Care”. L’omaggio a Don Milani. La scuola insegna la realtà. Che non sempre è bella. Francesco lo ha sottolineato. “Non abbiamo diritto ad avere paura della realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. Questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare, è questo il segreto, gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: Don Lorenzo Milani”.

Il ruolo dell’insegnante. Imparare è qualcosa che resta, da alunno, così come da insegnante. “Gli insegnanti – ha aggiunto il Papa – sono i primi che devono rimanere aperti alla realtà, con la mente sempre aperta a imparare! Perché se un insegnante non è aperto a imparare, non è un buon insegnante, e non è nemmeno interessante. I ragazzi capiscono, hanno ‘fiuto’, e sono attratti dai professori che hanno un pensiero aperto, ‘incompiuto’, che cercano un ‘di più’, e così contagiano questo atteggiamento agli studenti. Questo è uno dei motivi per cui amo la scuola”.

La lezione. Ha parlato con la folla di studenti da Papa, e da maestro. “Se studio piazza San Pietro apprendo cose di architettura, di storia, di religione, di astronomia, l’obelisco richiama il sole, ma pochi sanno che questa piazza è anche una grande meridiana”. Il messaggio è che “le tre dimensioni non sono mai separate, ma sempre intrecciate. Se una cosa è vera, è buona ed è bella. Se è bella, è buona ed è vera e se è buona, è vera ed è bella”. “E insieme – ha concluso – questi elementi ci fanno crescere e ci aiutano ad amare la vita, anche quando stiamo male, anche in mezzo ai problemi. La vera educazione ci fa amare la vita e ci apre alla pienezza della vita!”

“Non lasciamoci rubare l’amore per la scuola”. Ai presenti, Francesco ha poi chiesto di ripetere anche un’altra frase, l’aveva citata poco prima il ginnasta Jury Chechi: “E’ più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca”. “Ricordatevelo. Ci farà bene per la vita”, ha raccomandato. Per Francesco, “l’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa, o arricchisce o impoverisce, o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla. La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, del bene e del bello”. “E questo – ha spiegato – avviene attraverso un cammino ricco, fatto di tanti ingredienti. Ecco perché ci sono tante discipline! Perché lo sviluppo è frutto di diversi elementi che agiscono insieme e stimolano l’intelligenza, la coscienza, l’affettività, il corpo”. Poi ha concluso. “Per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola!. Ed a tutti, ai bambini e ai ragazzi chiedo di fare una preghiera per coloro che educano, i genitori e gli insegnanti”, ha concluso

Scuola, è tempo di ri-creazione

da l’Unità

Scuola, è tempo di ri-creazione

Pietro Greco

IL MONDO È CAMBIATO, DICEVA GIANNI RODARI ALL’INIZIO DEGLI ANNI’60 DEL SECOLO SCORSO. IO SCRIVO per i ragazzi di oggi, astronauti di domani. Ragazzi che vivono e apprendono in un mondo molto diverso da quello conosciuto dai loro padri e dai padri dei loro padri. Occorre una nuova scuola. Occorre un nuovo metodo d’insegnamento. Occorre una «nuova grammatica della fantasia». Non è un caso se cita anche Gianni Rodari, che con Collodi è stato il più grande scrittore per ragazzi nella storia della letteratura italiana, e chiede una nuova grammatica della fantasia, Luigi Berlinguer, cultore di storia del diritto, già Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, parlamentare europeo uscente del Partito Democratico e soprattutto analista tra i più attenti del rapporto tra scuola e società, nel libro che ha appena pubblicato con l’editore Liguori dal titolo, niente affatto casuale, di Ri-creazione. Una scuola di qualità per tutti e per ciascuno. Un libro con cui il cultore di storia del diritto esce dal contingente per collocare la scuola nel mondo che cambia, sia proponendo una rivoluzione nel modo di insegnare dopo quasi due millenni di consolidata trasmissione del sapere da chi sa a chi non sa (o top-down, come dicono gli inglesi), sia ridefinendo il rapporto tra scuola e democrazia, quattro secoli dopo che Jan Amos Komensk ha indicato nella scuola di massa e nell’educazione per tutti la nuova frontiera della modernità e lo strumento con cui tutte le persone possono migliorare la propria condizione sociale e spirituale. Luigi Berlinguer entra nel dettaglio dei singoli aspetti in cui si declina il nuovo rapporto tra scienze e società. Ma conviene seguirlo nel discorso più generale. Questo rapporto è diventato così forte, così intimamente interpenetrato che chiede sia alla scuola sia alla società di ripensare se stesse. Di ri-crearsi appunto. Ri-fondando la democrazia sulla conoscenza. E conferendo alla conoscenza una dimensione democratica, di potente (del più potente) fattore di inclusione sociale. L’analisi, in estrema sintesi, è questa. Il mondo sta cambiando. Viviamo in una nuova era, che molti hanno definito della conoscenza. A partire da quel Jacques Delors che oltre venti anni fa indicò all’Europa la necessità di ridefinire le sue politiche per diventarne leader assoluta. In questa nuova era, la conoscenza non solo continua ad avere quel valore intrinseco che, come diceva Comenio, consente all’individuo che la possiede di progredire sul piano spirituale e sociale. Ma ha anche un valore economico – nel senso originario, di gestione la migliore possibile della casa comune – che consente il progresso delle nazioni. Oggi sempre più la società e la stessa economia chiedono conoscenza. Chiedono che una parte considerevole, addirittura maggioritaria, delle persone in età da lavoro abbia almeno 15/20 anni di studi alle spalle e continuino ad apprendere per tutta la vita (long life learning). Nel medesimo tempo nuovi strumenti tecnologi – il computer, la rete di computer, la rete delle telefonia mobile, le reti radiotelevisive, la rete delle reti – consentono l’accesso a e l’uso creativo di una quantità di informazione e di conoscenza (ebbene sì, anche di conoscenza) che non ha precedenti nella storia. Parafrasando Rodari, noi comunichiamo con i ragazzi di oggi, cybernauti di oggi. È chiaro che noi, immigrati digitali, dobbiamo riscrivere daccapo – ri-creare, appunto – la nostra grammatica della fantasia, se vogliamo comunicare e se vogliamo contribuire all’apprendimento dei ragazzi di oggi, che sono nativi digitali. Ecco, dunque, la doppia sfida che la scuola deve affrontare e vincere. Una è la sfida della quantità. Molti, tendenzialmente tutti devono poter compiere 15/20 anni di studi e continuare, poi, con il long life learning. È un diritto di ciascuno. Ma anche un bene comune, cui una nazione moderna non può rinunciare, pena la sua stessa marginalizzazione culturale ma anche economica. L’altra, è la sfida della qualità. Occorre superare l’idea che si possa trasmettere, con l’approccio top-down, un sapere uguale per tutti. Ma occorre sempre più acquisire l’idea – la nuova grammatica della fantasia – che consente a ogni singolo studente a ogni «soggetto individuale», per dirla con il sociologo francese Alain Touraine di partecipare in maniera critica alla sua stessa formazione, secondo un percorso personalizzato che si modella sulle esigenze, la curiosità, le inclinazioni, la storia di ciascuno. La scuola deve diventare ri-creare se stessa e diventare «scuola del soggetto», in grado di perseguire l’uguaglianza nella diversità. In altri termini, nell’era dei nativi digitali la scuola non deve trasferire il sapere, di cui non ha più il monopolio, perché il sapere è diffuso, ma deve insegnare a ciascuno ad apprendere. Non è facile. Non è scontato. Perché richiede agli studenti di diventare attori del proprio destino culturale. Di apprendere ri-creandosi, in una dimensione che è prima di tutto piacere. Di conseguenza, chiede al docente di trasformarsi da «agente che trasmette» a «guida che connette». Berlinguer è un illuminista, che indica le opportunità cui spalancano le nuove tecnologie. Ma è un illuminista realista. Sa che, così come è struttura, la scuola, di ogni ordine è grado, ancorché in maniera molto diversificata, è in piena emergenza. Quantitativa mancano le risorse, la scuola è sottoposta a tagli pesanti, ai tagli più pesanti riservati alla pubblica amministrazione ma, anche, qualitativa. Sa che la vecchia scuola è, appunto, vecchia. Che il mondo intorno all’aula scolastica è il mondo del XXI secolo, mentre l’aula metaforicamente, ma non solo è ancora quella del XIX secolo. Tuttavia non partiamo da zero. Certo, ci siamo dimenticati di loro, ma il nostro Paese che ha dato i natali a Maria Montessori e a don Lorenzo Milani, pionieri della scuola partecipata e personalizzata; che ha dato i natali a Gianni Rodari, teorico della ri-creazione (nel suo duplice senso) continua dell’apprendimento, ha al suo interno le capacità per accettare e cercare di vincere le sfide dei tempi, perseguendo non un apprendimento fine a se stesso. Non la semplice acquisizione di conoscenze e di nozioni. Ma un apprendimento per competenze. Per spiegare la differenza tra i due concetti, Berlinguer ricorre a uno degli aforismi che hanno contribuito a rendere famoso, già nel Seicento, Michel de Montaigne: «Noi teniamo in serbo le opinioni e la scienza altrui, e questo è tutto. Bisogna farle nostre. A cosa ci serve la pancia piena di cibo, se non lo digeriamo? Se esso non si trasforma in noi? Se non ci fa crescere e non ci rende più forti?». Ecco, dunque, un programma fuori dalla contingenza e dalle politiche di bilancio. Costruiamo, non solo metaforicamente, nuove aule. Frequentate da tutti e in cui tutti, ciascuno secondo il proprio metabolismo, hanno l’opportunità di digerire il cibo della mente e di trasformare, come sostiene Luigi Berlinguer, i contenuti di sapere e conoscenza in esperienze di formazione d’identità, di progetto individuale o di adattamento a situazioni sempre nuove. Si tratta di una sfida epocale. Di un grande programma politico. Che riguarda il modo in cui faremo cultura, svilupperemo un’economia sana e sostenibile. In una parola, il modo in cui ri-creeremo la democrazia con quella «risorsa infinita» che è la conoscenza.

Giannini: dopo il rinnovo del contratto riordineremo l’Afam

da tecnicadellascuola.it

Giannini: dopo il rinnovo del contratto riordineremo l’Afam

Alessandro Giuliani 

Lo ha detto il Ministro nel corso di un intervento al Salone del Libro di Torino: verso la musica abbiamo un debito culturale e didattico col passato e un credito con il futuro. Confermato l’investimento ingente del governo a favore dell’edilizia scolastica: in tutto sarà di 3,5 miliardi di euro e la cifra sarà formalizzata entro i prossimi due mesi, subito un terzo.

“Dopo la questione del contratto degli insegnanti”, il Miur ha tra le sue priorità il riordino del settore Afam, l’Alta formazione artistica musicale e coreutica. Un settore che anche i suoi predecessori hanno tentato di rilanciare, basti pensare all’istituzione di corsi superiori ad hoc. Trovando però quasi sistematicamente grossi scogli nella carenza di fondi per finanziare gli investimenti per settori particolari quali sono la musica e la coreutica.

Ad affermarlo è stato, domenica 11 maggio, il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, intervenuta a un incontro sulle iniziative musicali del liceo Des Ambroix di Oulx, in Valle di Susa,  tenuto all’interno del Salone del Libro di Torino.

“Verso la musica – ha detto il responsabile del Miur – abbiamo un debito culturale e didattico col passato e un credito con il futuro. Negli anni c’è stato un declinante interesse verso il settore musicale a cui occorre porre rimedio per arrivare a una diffusione della cultura musicale di cui si è un po’ perso il filo rosso della storia”.

Per il ministro dell’Istruzione “è imbarazzante che i ragazzi italiani escano dalla scuola ignorando quasi sempre l’orizzonte storico-culturale della musica che, come la lettura, è una competenza che va valorizzata”.

Prima ancora del contratto, il nuovo corso del Miur ha però deciso che la priorità assoluta fosse la sicurezza scolastica. Nel pomeriggio, stavolta a margine di un incontro pubblico organizzato ad Aosta da Scelta Civica per l’Italia, movimento di cui Giannini è coordinatrice, lo stesso Ministro ha detto che lo stanziamento complessivo del governo per l’edilizia degli oltre 40mila plessi scolastici italiani sarà di 3,5 miliardi di euro e la cifra sarà formalizzata “entro i prossimi due mesi”.

“C’è un capitolo di fondi del ministero – ha spiegato Giannini – con un plafond di 1,2 miliardi già cantierabili e già cantierati in parte. Lo svincolo del patto di stabilità ha avuto, con il decreto Irpef, 250 milioni assegnati. Ora si procede per arrivare a un complessivo finanziamento di tre miliardi e mezzo. Credo che nei prossimi due mesi tutto questo sarà formalizzato”, ha concluso il Ministro.

Incontro della scuola con il Papa: una testimonianza

da tecnicadellascuola.it

Incontro della scuola con il Papa: una testimonianza

Anna Monia Alfieri

La giornata romana del 10 maggio inizia molto presto per i duecentomila che giungono da ogni parte d’Italia. Sin dalla tarda serata di ieri numerosi pullman turistici e treni straordinari hanno popolato strade e ferrovie: percorsi differenti, unica la direzione: Roma.

Diversi i luoghi di provenienza con diverse attese dei giovani, dei bambini, delle famiglie presenti.

Se unica è la destinazione altrettanto unico sembra essere il filo conduttore delle domande che corrono veloci nel cuore e nelle menti dei presenti.

“Tutta la scuola d’Italia”: un pensiero semplice e genuino che si leva alto sopra le visoni miopi che dividono e mortificano. Si ritrova l’essenzialità di un pensiero e la grandezza di un sogno: la scuola come luogo dove i nostri figli imparano ad accostare la realtà con spirito critico e costruttivo, che li renda uomini audaci e liberi, capaci di liberare le buone idee.

“Tutta la scuola d’Italia”, che supera in una meravigliosa visione d’insieme quei protagonismi che dividono, insieme all’individualismo che impedisce azioni utili a liberare la scuola italiana dalla morsa dell’immobilismo, che da molto tempo ormai la avviluppa.

Si restituisca alla famiglia italiana, alla persona, la garanzia di esercitare il proprio diritto alla libertà di scelta educativa, nel quadro di un pluralismo educativo.

“Siamo qui in tanti perché pensiamo che della scuola non possa fare a meno la società che intende riprendere il senso corretto di marcia”, dice il card. Bagnasco nel suo saluto. Prosegue definendo la scuola un atto di speranza che si rinnova ogni mattina nonostante i problemi numerosi e strutturali di questo servizio. Apre così alla libertà dei genitori verso i propri figli di educarli secondo i loro valori, ma sottolinea anche il dovere, da parte dello Stato, di rendere possibile tale diritto nei confronti dei cittadini.

“Ogni giorno la scuola statale e paritaria aprono le porte a otto milioni di studenti. Il dovere delle istituzioni è quello di restituite dignità alla scuola che, come è un bene comune, è un diritto di tutti”, dichiara il Ministro Stefania Giannini. Forte si leva l’applauso della piazza quando aggiunge che “questo diritto è anzitutto un dovere dello Stato garantirlo a tutti senza discriminazioni di sorta. Questo sarà il segno della più assoluta garanzia della libertà di scelta educativa”.

Alle 18.20 giungono le parole più attese dalla folla, quelle di papa Francesco. Le sue sono parole semplici, lineari, armoniche, di pace: “Avete realizzato una cosa bella, tutta la scuola, piccoli e grandi, docenti e genitori, statale e non statale. Ho sentito tante cose belle che mi hanno fatto bene. Sì, questo incontro è molto buono: un grande incontro della scuola italiana, tutta la scuola: piccoli e grandi; insegnanti, personale non docente, alunni e genitori; statale e non statale… Si vede che questa manifestazione non è “contro”, è “per”! Non è un lamento, è una festa! Una festa per la scuola. Sappiamo bene che ci sono problemi e cose che non vanno, lo sappiamo. Ma voi siete qui, noi siamo qui perché amiamo la scuola”.

Le parole semplici ed essenziali del Papa sembrano interpretare le domande di ciascuno di noi e si levano alte come quei palloncini bianchi liberati a segno che la Scuola che educa al vero, al bene e al bello non ha paura della realtà.
“Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. E questo è bellissimo!” Il Papa conclude: “Non lasciamoci rubare l’amore per la scuola!”.

L’auspicio: la scuola tutta, che forma menti critiche, ci orienti ad essere coscienza critica del mondo. Si divenga autentici, sovversivi, costruttivi e non si consenta più ad alcun limite, ideologia, approssimazione, individualismo di frapporsi fra un sacrosanto diritto e la sua garanzia. Una operazione, questa, semplicissima che mal si presta a dissertazioni sterili e insensate, a individualismi privi di intelligenza e a contrapposizioni costruite ad arte per scoraggiare e allontanare dall’unico epilogo che si possa scrivere.

La certezza: nulla potrà fiaccare la forte volontà di denunciare ogni giorno questa grave ingiustizia perpetuata da troppi anni verso la famiglia italiana, con gravi ripercussioni su giovani, scuola e societas…

I rapporti scuola-famiglia rientrano nelle 40 ore?

da tecnicadellascuola.it

I rapporti scuola-famiglia rientrano nelle 40 ore?

Lucio Ficara

La risposta arriva da una attenta lettura del contratto nazionale e in particolare dall’articolo 29 che contiene disposizioni precise al riguardo.
C’è molta disinformazione riguardo le norme che regolano i rapporti scuola famiglia; ognuno interpreta la norma come meglio crede e la confusione è tanta. C’è chi ritiene che tutti gli incontri tra docenti e genitori degli studenti rientrino nelle 40 ore che comprendono anche l’espletamento dei Collegi dei docenti e le varie attività dipartimentali di programmazione e del suo monitoraggio in itinere, c’è invece chi sostiene che gli incontri scuola famiglia non rientrano nelle 40 ore e sono regolati da criteri interni alla scuola. Chi ha ragione? Come stanno realmente le cose?
La norma di riferimento è chiara e non dovrebbe lasciare margini di discrezionalità.
Si tratta dell’articolo 29 del CCNL scuola 2006-2009, dove al comma 3 punto a) è scritto che la partecipazione alle riunioni del Collegio dei docenti, ivi compresa l’attività di programmazione e verifica di inizio e fine anno e l’informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali e sull’andamento delle attività educative nelle scuole materne e nelle istituzioni educative, fino a 40 ore annue.
In questo comma è quindi chiaro che nelle 40 ore rientrano, per quanto riguarda i rapporti scuola-famiglia, esclusivamente gli incontri con le famiglie per informarle dei risultati ottenuti dai propri figli negli scrutini intermedi e finali. Non vengono menzionate all’interno delle 40 ore né i colloqui infra quadrimestrali che in genere si svolgono due volte l’anno, né l’ora antimeridiana (settimanale, quindicinale o mensile) data a disposizione da ogni docente in un’ora buca del proprio orario di servizio. Quindi da quale norma sono regolati gli incontri scuola famiglia?
Procedendo nella lettura dell’art.29 del CCNL scuola su citato, si scorge il comma 4 che altrettanto chiaramente al comma 3, dispone che  per assicurare un rapporto efficace con le famiglie e gli studenti, in relazione alle diverse modalità organizzative del servizio, il consiglio d’ istituto sulla base delle proposte del collegio dei docenti definisce le modalità e i criteri per lo svolgimento dei rapporti con le famiglie e gli studenti, assicurando la concreta accessibilità al servizio, pur compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell’istituto e prevedendo idonei strumenti di comunicazione tra istituto e famiglie.
Bisogna fare attenzione a non dare libere interpretazione a questo comma 4, che è evidentemente disgiunto dal comma 3 e non si riferisce alle 40 ore citate nello stesso comma 3.
Quindi per gli incontri scuola famiglia, che non si riferiscono all’informativa degli esiti di scrutini intermedi o finali, si devono seguire i criteri deliberati dal Consiglio d’Istituto sulla base del parere espresso dal Collegio dei docenti, in modo che venga assicurata la concreta accessibilità a quello che è un servizio importante. Di fatto queste ore dedicate dal docente per il colloquio con le famiglie, non rientrano nel conteggio delle 40 ore del comma 3 punto a) dell’art.29 del CCNL scuola, ma sono regolamentate in piena autonomia dalla stessa scuola, attraverso una delibera del Consiglio d’Istituto.
Quei docenti che hanno anche più di una scuola a completamento di quella di titolarità, devono garantire, nel limite del possibile la loro presenza ai colloqui senza fare conteggi di carattere di proporzionalità rispetto alle ore di servizio.

In Puglia è allarme dispersione

da tecnicadellascuola.it

In Puglia è allarme dispersione

Pasquale Almirante

Nell’anno scolastico 2011-2012 sono stati circa 3500 gli studenti pugliesi di scuole medie e del liceo che hanno abbandonato la scuola prima della conclusione del ciclo di istruzione

L’edizione pugliese di Repubblica riporta l’allarme della Flc Cgil regionale dove, nell’anno scolastico 2011-2012, si sono avuti il 19,8% di dispersioni, collocando così la Puglia al quinto posto dopo Sardegna, Sicilia, Campania e Valle d’Aosta.
Praticamente ogni anno si perde per strada uno studente su cinque, la maggior parte dei quali finisce per rinforzare le fila dell’esercito dei Neet, giovani che non studiano e non lavorano.
E la Flc Cgil pugliese Puglia lancia l’ennesimo allarme: “Quello della dispersione scolastica è un fenomeno triste – commenta il segretario regionale Claudio Menga – che va contrastato anche perché rappresenta l’unico argine contro il progressivo svuotamento degli organici. Quel 19 per cento rimane un dato ancora troppo elevato. Non possiamo permettercelo. Dobbiamo invertire la rotta, anche attraverso l’aumento dell’obbligo scolastico da 16 a 18 anni”

Il quotidiano pugliese, a suffragio della tesi della Flc-Cgil, cita pure le stime del nostro sito: “a preoccupare maggiormente sono però le stime diffuse dal sito “Tecnica della Scuola”, che per l’anno 2012-2013 descrive una vera e propria emorragia di studenti: 6500 nella nostra regione. “Si tratta di cifre da verificare – dice ancora Menga – perché di fatto ancora non esiste un’anagrafe scolastica che segua la vicenda formativa di ciascun alunno. Proprio questo potrebbe essere il primo strumento per poter operare seriamente contro la dispersione scolastica. Bisogna mantenere gli occhi aperti”.
Per la scuola secondaria di primo grado, la Puglia è quarta (0,29 per cento di dispersione) dopo Sicilia, Sardegna e Campania. La maggiore concentrazione di alunni che si disperdono si registra negli istituti professionali, negli istituti tecnici e nell’area dell’istruzione artistica.
In Puglia come nelle aree più disagiate del Paese sono soprattutto gli alunni di sesso maschile quelli più a rischio di abbandono. Eppure negli ultimi anni ci sono stati dei progressi, anche grazie al progetto regionale “Diritti a Scuola”. Solo dieci anni fa il tasso di dispersione regionale era sopra il tetto del 30 per cento.

In Puglia, riporta sempre Repubblica, riferendosi ai dati del nostro sito, nel periodo 2005-2012 i giovani Neet crescono e passano dal 30,8 al 31,2 per cento. Sono ragazzi di 15-29 anni che non lavorano e che non sono neanche in attività di studio o formazione. Solo nel 2010 l’esercito dei Neet pugliesi contava 201mila unità. Un numero in costante crescita negli anni.

Nuovo concorso a DS: il 13 maggio termine per presentare eventuali subemendamenti

da tecnicadellascuola.it

Nuovo concorso a DS: il 13 maggio termine per presentare eventuali subemendamenti

Aldo Domenico Ficara

Nella seduta di giovedì 8 maggio 2014, come riportato in un articolo dell’Agenzia Stampa Quotidiana Nazionale ASCA, la commissione Istruzione del Senato ha illustrato le proposte di modifica al DL 58/2014 per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico.

La relatrice Francesca Puglisi parlamentare del Partito Democratico ha presentato due nuovi emendamenti per i quali si è stabilito di fissare per martedì 13 maggio alle ore 12 il termine ultimo utile a presentare eventuali subemendamenti. La stessa relatrice del DL ha precisato che tali modifiche mirano a garantire lo svolgimento delle funzioni di Dirigente scolastico anche nel caso in cui la nuova procedura concorsuale si concluda ad anno scolastico iniziato, proprio per rispondere all’esigenza della continuità.

A tal proposito attraverso l’introduzione di alcuni commi aggiuntivi si consente, per lo meno nelle regioni in cui non ci sono idonei, l’avvio di nuovi concorsi per Dirigenti scolastici con le modalità innovative previste dall’articolo 17, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2013. Inoltre le modifiche al DL determineranno una quota riservata per i soggetti vincitori o idonei di concorsi annullati in sede giurisdizionale, per i soggetti che hanno un contenzioso pendente legato a precedenti bandi, nonché per i soggetti che attualmente svolgono le funzioni di Presidi incaricati. In questo modo si porrà una soluzione normativa ai delicati casi che si sono verificati nell’ultimo concorso per Dirigenti scolastici in diverse regioni tra le quali la Lombardia e la Toscana.

Infine è possibile prevedere che il nuovo concorso per Dirigenti scolastici, che probabilmente sarà bandito entro il 31 dicembre 2014, possa tenere conto, tra i titoli valutabili, dell’esperienza maturata nello svolgimento delle funzioni di Dirigente scolastico.

Fa discutere l’uso dell’interiezione nella prova Invalsi 2014

da tecnicadellascuola.it

Fa discutere l’uso dell’interiezione nella prova Invalsi 2014

Aldo Domenico Ficara

L’interiezione o esclamazione è una parola invariabile (o una frase) che esprime sensazioni o sentimenti improvvisi e vivi o cerca di riprodurre suoni vari. Il tono e i gesti che le accompagnano danno alle interiezioni particolare calore ed efficacia

Molte interiezioni sono prive di forma e di significato ben definiti, ma variano di volta in volta, secondo il contesto in cui vengono a trovarsi. In altre parole l’interiezione è la parte invariabile del discorso che serve ad esprimere un moto improvviso dell’animo: stupore, meraviglia, rammarico, gioia, rabbia, sdegno. L’interiezione può essere propria o impropria, quella propria si ha quando la stessa è costituita da un suono più che da una parola vera e propria (ah!, oh!, uh!, ohi!, ahi!, ohimè!, ahimè!, uffa!, ohibò!); quella impropria si ha quando è un nome, un aggettivo, un verbo e un avverbio (bravo!, bene!, viva!, evviva!, abbasso!, peccato!, accidenti!, basta!, zitto!, coraggio!, salute!, attenti!).
Nel caso della prova di italiano invalsi 2014 proposta a una quinta classe della primaria, nel testo A Kannitverstan scrive: “Ha, ha! Guarda un po’ chi salta fuori di nuovo”. La polemica nata nel social network Facebook riguarda proprio le due interiezioni “Ha, ha!” che secondo alcuni docenti dovevano essere scritte come interiezioni proprie “ah, ah!”. A questo punto per sciogliere ogni dubbio basta citare il sito web della Treccani, Vocabolario on line, che alla voce ha dice: “‹ha› interiez. – Suono, di solito ripetuto, che accompagna un riso ironico o sarcastico, per esprimere irrisione non grave ma in tono un po’ risentito: ha ha, te l’avevo detto, peggio per te. In genere, la pronuncia aspirata dell’h è più o meno marcata a seconda dell’enfasi con cui si vuole sottolineare il riso”.