Buoni propositi … per una buona scuola

Buoni propositi … per una buona scuola

Nella premessa del Rapporto governativo sulla scuola sembra di intravvedere l’ispirazione di tutta la revisione renziana:  “… dare al Paese una Buona Scuola significa dotarlo di un meccanismo permanente di innovazione… Un meccanismo che si alimenti con l’energia di nuove generazioni di cittadini, istruiti e pronti a rifare l’Italia, cam­biare l’Europa, affrontare il mondo.”  Se questo significa la preoccupazione, condivisibile, di  rimmetere in movimento la lenta ‘macchina’ scolastica nazionale per adeguarla ai tempi ed alle attese del Paese, non si possono se non apprezzare tali ‘buone’ intenzioni.
Si leggono poi nel libro, tra le altre, soluzioni che riecheggiano:
–  logiche meramente occupazionali : “lanciamo un piano straordinario per assumere a set­tembre 2015 qua­si 150 mila docen­ti: tutti i precari storici e tutti i vincitori e gli idonei dell’ultimo concorso” senza esprimere i criteri di tali assunzioni;
– logiche di incremento della spesa pubblica : uno sforzo economico notevole che non indica però le fonti di tale spesa.
Un ‘Rapporto’ che si presenta come un libro bianco da sottoporre alla consultazione sociale (procedura , ahimè, già vista con altri governi) esige però indicazioni chiare ed operative che, per ora, non sembrano espresse:  le risorse sono da reperire nella prossima  legge finanziaria; i provvedimenti normativi non sembrano prevedibili prima del 2015. Con tempi quindi che non appaiono certo … urgenti.
In attesa di una analisi più attenta e dettagliata e limitandoci per ora a quanto si ricava da una lettura sintetica, occorre innanzitutto riconoscere che i temi sono sicuramente decisivi (stabilità dei docenti, rapporto scuola-lavoro, gestione della scuola, dirigenza scolastica). Restano  tuttavia molte domande aperte e alcune perplessità:
1-  assunzioni
– come è possibile un impegno di assunzione di 150mila persone senza indicare nulla sulle risorse necessarie ?
– come si può, per affrontare il problema delle supplenze, parlare di organico funzionale delle scuole, cioè dell’aumento del 10% della spesa attuale, quando fin’ora abbiamo sentito solo parlare di tagli e di “senza onere” ? Magari avvenisse davvero quell’aumento !
2 –  rapporto tra scuola e lavoro
– quale modello tedesco si intende utilizzare se quello vero prevede la doppia frequenza, a partire dai 14 anni, della scuola e del lavoro in azienda ? Di questo non si legge nulla nel Rapporto;
– come si può parlare di “aumento di ore in azienda” per gli studenti degli Istituti Professionali e Tecnici
(escludendo quindi i Licei) con un passaggio da “100 a 200 ore annuali” di stage in azienda, quando questi numeri sono molto lontani dai modelli tedesco e francese a cui si dice volersi ispirare?
3 – governo delle scuole
– quale riforma degli organi collegiali si vuole fare ? Speriamo non certo quella approvata dall’ultima legislatura che comportava un affossamento dell’autonomia scolastica;
– prevedendo di formare i futuri dirigenti scolastici e di reclutarli nel prossimo concorso attraverso la nuova Scuola della P.A. (tutta da costituire) non si conduce la funzione del prèside ad una “managerialità” tutta amministrativa e burocratica, invece che preparare – come servirebbe per una scuola che si vorrebbe ‘buona’  –  persone  competenti soprattutto nelle relazioni e nella progettazione pedagogic-didattica e direttive da formare?
Si tratta solo di domane, solo nell’interesse che le … buone intenzioni non restino … sulla carta, ma abbiano le gambe per camminare e diventino reali in tutto il Paese’.
I presidi di DiSAL sono sempre stati disponibili a collaborare e costruire,  purchè si esca dal rischio di un  libro dei sogni e si vedano presto le gambe per camminare e le mani per operare.

Tfa sostegno

Tfa sostegno: Anief avvia il ricorso al Tar Lazio contro la nota MIUR n. 2143 del 18 giugno 2014

 

Per il sindacato è illegittimo negare il diritto ai docenti abilitati in diversi gradi di istruzione di ottenere il riconoscimento “a cascata” della specializzazione sul sostegno agli alunni con disabilità conseguita tramite Tirocinio Formativo Attivo. Adesioni on line sul portale Anief entro il 16 settembre 2014.

Il mancato riconoscimento dell’abilitazione “a cascata”al docente che ha conseguito una specializzazione per lo svolgimento delle attività sul sostegno, risulta incongruente con la normativa ministeriale di riferimento e il precedente indirizzo riguardo le abilitazioni conseguite “per ambito” o “a cascata” e impone ai docenti una scelta obbligata sul grado di istruzione in cui specializzarsi, penalizzando così i candidati pluriabilitati in diversi gradi di istruzione.

Quanto precisato nella nota del MIUR: “La specializzazione sul sostegno è direttamente correlata al grado di istruzione per la quale è stata conseguita. Pertanto, in caso di abilitazioni verticali a cascata, la specializzazione sul sostegno conseguita con i nuovi corsi attivati in base al dm 10 settembre 2010 n. 249 e la DM 30 settembre 2011 non vale in automatico per i tutti i gradi di scuola per cui si è abilitati” non trova alcuna giustificazione considerato che tale titolo è stato sempre assunto come una qualifica ulteriore rispetto alle abilitazioni conseguite e non come una classe concorsuale, ha visto l’espletamento dei corsi in piena analogia a quelli svolti dalle SSIS e appare persino irragionevole rispetto all’ultimo intervento del legislatore di unificare le aree nelle superiori come nelle medie.

 

Il ricorso è volto all’ottenimento del riconoscimento della specializzazione sul sostegno conseguita tramite Tirocinio Formativo Attivo, in tutti i gradi di istruzione (I/II Grado) cui il docente è abilitato in virtù della medesima procedura abilitativa “a cascata” o “per ambito”.

 

È possibile aderire al ricorso on line sul portale Anief. Scadenza adesioni: 16 settembre 2014.

Parole di Convenzione e di convinzione sulla disabilità infantile

Parole di Convenzione e di convinzione sulla disabilità infantile

di Margherita Marzario

 

Abstract: L’Autrice ci porta per mano nella comprensione della disabilità, “coatta” e “indotta”, affidandoci alle parole giuridiche e letterarie che ne descrivono la condizione.

 

Con l’aumentare dei disagi aumenta anche l’impegno di associazioni e movimenti nell’elaborare carte (o guide) dei diritti dei bambini in varie situazioni, tra cui i bambini disabili. Sarebbe sufficiente conoscere (letteralmente “sapere insieme, o per mezzo di”) e concretizzare (letteralmente “aumentare insieme, o per mezzo di”) la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia per tutelare adeguatamente anche i bambini disabili. A tale proposito, si può provare a rileggere la Convenzione facendo riferimento a testi non giuridici per dare sensibilità a un atto internazionale che, come tale, può sembrare distante e distaccato dalla difficile realtà della disabilità.

“Ti guardo da dietro, la tua testa più allungata, fragile, di bambino, eterno bambino. Forse è stato il forcipe a darle quella forma, vent’anni fa, quando sei nato. Hai i capelli corti, a spazzola, da rugbista, da calciatore, da nuotatore, tu che di sport non ne hai mai fatto uno. Qua e là ne hai qualcuno di bianco, per ricordare che appunto bambino non sei più, che sono passate l’infanzia e l’adolescenza, che adesso in realtà saresti un uomo. Un uomo senza barba né baffi né voce scura, con la pelle rimasta come di neonato, liscia e rosea, pallida a volte per la rabbia dei capricci, con le mani piccole e paffute, con l’improvviso ridere birichino sulla tua faccia di Pulcinella, di Brighella, di Arlecchino, di burattino assorto in misteriosi pensieri e misteriosi viaggi in solitudine dove non ti possiamo accompagnare mai” (la scrittrice Isabella Dossi Fedrigotti). “Gli Stati parti riconoscono ad ogni fanciullo il diritto di beneficiare della sicurezza sociale, nonché delle assicurazioni sociali, e devono prendere misure necessarie perché questo diritto venga pienamente realizzato in conformità alla loro legislazione interna” (art. 26 par. 1 Convenzione). Ogni bambino, ancor di più se disabile, ha bisogno di un sistema di sicurezza sociale perché la sua vita non diventi un viaggio in solitudine dove nessuno lo possa accompagnare. “Sicurezza”, da “sine cura”, senza preoccupazione, “sociale”, da “colui che segue, che accompagna”: se si riuscisse ad avere quest’atteggiamento concreto si realizzerebbe già in parte quella “presa in carico” di cui tanto si parla e che non riguarda solo l’aspetto socio-sanitario, ma soprattutto quello umanitario.

“Sei capace di sorridere nello stesso modo totale e beato a un giocattolo, a un gelato, a un pallone, a un triciclo o alla tua mamma, strizzando i tuoi occhi scuri da cinesino, quegli occhi che alla tua nascita ci avevano un po’ meravigliato e che siamo andati a cercare invano negli album delle fotografie, nelle immagini dei cugini, degli zii, dei parenti. Da chi li ha presi? C’interrogavamo, già sapendo che quelli erano stati fatti per te, segno della malattia che, toccando a te, è toccata a tutta la famiglia: per riequilibrare quali privilegi, per insegnare quale mistero, per guidarci – tu con i tuoi sorrisi silenziosi – attraverso quale giungla?” (I. Dossi Fedrigotti). “[…] far raggiungere al fanciullo l’integrazione sociale e lo sviluppo individuale più completo possibile, incluso culturale e spirituale” (art. 23 par. 3 Convenzione). Sviluppo culturale e spirituale è quello che ci vuole soprattutto per i cosiddetti “normodotati”. E allo sviluppo culturale e spirituale contribuiscono le differenze, (dal verbo latino “differre”, portare da una parte all’altra), “ciò per cui o in cui una persona o una cosa si distingue o discerne dall’altra”.

“Ti accarezzo la guancia e i capelli con la stessa delicata incertezza con cui si accarezza un bambino nella carrozzina. Sei nella carrozzella anche tu e mi chiedo se ti piace, se ti dà fastidio, se sei in grado di sentire quello che vuol dire la mia mano, se sei capace di distinguere la carezza vera da quella fatta per compiacere i genitori, i parenti, gli astanti. Ti prendo la mano che però raramente risponde, mi stringe: come la mano di un bambino, appunto, che ha troppe cose da fare, deve giocare, toccare, assaggiare, esplorare, e non ha tempo per indulgere in tenerezze, disturbato dalle attenzioni, infastidito da chi gli sta addosso. Ti parlo qualche volta, ti dico delle parole, ma tu non ascolti, giri la testa, te le fai scivolare addosso come se non sentissi, più interessato al mio portachiavi, agli orecchini, al bottone lucente della mia giacca” (I. Dossi Fedrigotti). “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo disabile cure speciali ed incoraggeranno e garantiranno la concessione, nella misura delle risorse disponibili, ai fanciulli disabili in possesso degli appositi requisiti ed a quanti se ne prendono cura, dell’assistenza di cui sia stata fatta richiesta e che risulti adeguata alle condizioni del fanciullo ed alle specifiche condizioni dei genitori o di altri che si prendono cura di lui” (art. 23 par. 2 Convenzione). Occorre aver cura non solo del bambino ma anche dei suoi familiari e delle altre persone vicine, i cosiddetti “caregiver” (o “carer”), coloro che assistono senza compenso i congiunti.

“Quale linguaggio capisci tu che sai emettere solo gorgoglii di soddisfazione e pianti di disperazione oppure a volte strani suoni usciti da chissà dove che ripeti e ripeti come una monotona canzoncina? Ti piacciono i maglioni viola? Preferisci le camicie con le maniche corte? Hai freddo, hai caldo, ti dà fastidio la lana sulla pelle, quale minestra mangi più volentieri? Ti va di essere trattato come un neonato, ripulito, vestito, nutrito senza che tu possa mettere becco? E te ne rendi conto in realtà, t’infuri in silenzio vedendo come vivono gli altri ventenni? O invece non conosci che te e la tua realtà di bambino seduto su una carrozzella, che non parla, non cammina, non sa fare niente da solo, e noi intorno a te siamo altri, diversi, alieni, stirpe extraterrestre capace di mille cose che ti sono precluse? Qualche volta pensiamo, grazie a un sorriso o a un oggetto, di aver carpito il tuo segreto, illusi di essere sulla tua stessa linea, ma poi di nuovo sfuggi” (I. Dossi Fedrigotti). Il linguaggio presuppone comunicazione ed un bambino disabile, come ogni bambino, con la sua presenza comunica già delle esigenze particolari che esigono prestazioni altrettanto particolari. “Tali prestazioni dovrebbero essere garantite, quando il caso lo richieda, tenuto conto delle risorse e delle specifiche condizioni del fanciullo e delle persone responsabili del suo mantenimento nonché di ogni altra considerazione pertinente in materia per quanto concerne la richiesta di prestazioni fatte dal fanciullo o a suo nome” (art. 26 par. 2 Convenzione). Non è il bambino disabile che non capisce il linguaggio comune ma egli è portatore, come ogni bambino, di un suo linguaggio, di “particolari bisogni” (come si legge nell’art. 23 par. 3 Convenzione), ricordando che “particolare” (da “parte”) significa che “appartiene in proprio a uno solo, o a certe persone, o a certe cose” ed ogni bambino è una “parte” dell’universo dell’infanzia e l’infanzia è una parte, forse la più importante, della formazione della personalità di ogni persona. I vari termini, “bambino”, “fanciullo”, “infanzia”, etimologicamente si riferiscono all’incapacità di parlare, pertanto il prendersi cura di un bambino, di un qualsiasi bambino, presuppone l’educazione al linguaggio e ai linguaggi. Oggi si assiste al dilagare di disturbi del linguaggio, dal parlatore tardivo al mutismo selettivo, anche perché manca una vera comunicazione con i bambini: si parla dei bambini, ma non si parla con loro e a loro. Con i bambini disabili bisognerà attivare ogni forma di “comunicazione alternativa e aumentativa” (CAA).

“Sì, i medici hanno spiegato, hanno tentato di spiegarci da dove vieni e perché sei fatto così ma noi non abbiamo capito, non sappiamo dove e quando è cominciato il tuo viaggio e quale sia la tua malattia. Noi ti scrutiamo, ti studiamo per scoprire di più di te. Sappiamo che sei buono, sorridente, capriccioso solo quando vorremmo importi qualcosa che veramente non ti va, lo yogurt al malto, per esempio, invece di quello ai mirtilli. Sappiamo che ti dà fastidio il sole, che hai la pelle delicata, che il tuo gioco preferito è il vecchio triciclo rosso con le ruote gialle che ormai non si fabbrica più, che facciamo fatica a rintracciare nei fondi di magazzino quando hai finito per distruggere il precedente. Sappiamo che tutti quelli che ti conoscono dopo un po’ ti amano” (I. Dossi Fedrigotti). “[…] garantire che tutti i membri della società, in particolare i genitori ed i fanciulli, siano informati sull’uso di conoscenze di base circa la salute e la nutrizione infantile […]; sviluppare la medicina preventiva, l’educazione dei genitori e l’informazione ed i servizi in materia di pianificazione familiare” (art. 24 par. 2 Convenzione). Occorre preparare i futuri genitori ad un’eventuale o sospetta disabilità del nascituro anche perché, talvolta, la coppia va in crisi per l’incapacità di affrontare e gestire insieme la problematica.

“Sappiamo anche delle tue malinconie e non riusciamo a sopportarle. Passi il cattivo umore che precede i capricci, passino i momenti di rabbia quando butti via qualsiasi cosa ti trovi in mano, ma la tristezza no, la tristezza di un adulto-bambino che se ne sta seduto composto sulla sua carrozzella con le mani abbandonate e la testa un po’ ripiegata sul lato, ci spacca il cuore. Ti vorremo distrarre allora dai pensieri che forse nemmeno pensi, dagli abissi nei quali stai guardando – o forse no -, dall’idea che magari ti sei fatta per un attimo di essere diverso dagli altri. Ti vorremmo scrollare, farti giocare, rimetterti in forma e in allegria” (I. Dossi Fedrigotti). “Cure speciali” e “particolari bisogni” del fanciullo disabile e “specifiche condizioni dei genitori o di altri che si prendano cura di lui” (dall’art. 23 Convenzione): non siano solo parole scritte in un atto internazionale ma siano iscritte in ogni atto quotidiano. Ogni bambino ha bisogno di “cure speciali” affinché non resti “eterno bambino” o non diventi “adulto-bambino”.

“Di nuovo ti carezzo la testa, nostro sfortunato – o fortunato? – burattino e mi domando cosa sarà di te, domani, dopodomani, quando non ci saremo più. È questo stesso pensiero, è vero, che ogni tanto ti rende triste? «Non supererà l’adolescenza», «Non raggiungerà i vent’anni», dicevano i medici pensando di consolarci. E invece eccoti qui, eterno bambino, mai pubere e mai giovane, malato sì, ogni anno di tutte le malattie, ma di quelle dei bambini, non di quelle dei vecchi. Chi ti accudirà, chi ti curerà, chi baderà a te comprandoti gli yogurt giusti e passandoti al setaccio carne, verdure, patate e minestre? Chi ti imboccherà, chi ti massaggerà quei tuoi piedi rigidi, un trentasei scarso, che neppure le scarpe ortopediche sono riuscite a far camminare?” (I. Dossi Fedrigotti). “Gli Stati parti devono promuovere nello spirito della cooperazione internazionale lo scambio di informazioni adeguate nel campo delle cure sanitarie preventive, nel trattamento medico, psicologico e funzionale del fanciullo disabile, tra cui la diffusione di informazioni concernenti i metodi di riabilitazione e servizi di formazione professionale, nonché l’accesso a questi dati, allo scopo di consentire agli Stati parti di migliorare le loro capacità e competenze e di ampliare la loro esperienza in questi settori” (art. 23 par. 4 Convenzione). Prima ancora della cooperazione internazionale si deve e si può realizzare la cooperazione locale e interfamiliare. Occorre avvolgersi tutti in un abbraccio terapeutico (o holding).

“Sì, c’è l’istituto, che già conosci, dove stai bene, ma non posso pensarti lì, bambino sempre più fragile e anziano, nei tuoi momenti malinconici, con la testa ripiegata, le mani abbandonate, senza voglia di fare niente. Del tuo futuro mai nessuno parla ma quelli che ti amano ci pensano in continuazione. Medici, infermiere, ospedali, strutture, istituti: tutto è previsto, programmato. In verità però chi lo vuole un bambino senza età seduto in carrozzella, che non cammina, non parla, non sa mangiare né andare in bagno, non sa leggere né scrivere e nemmeno ragionare come tutti gli altri?” (I. Dossi Fedrigotti). “Gli Stati parti riconoscono che un fanciullo fisicamente o mentalmente disabile deve godere di una vita soddisfacente che garantisca la sua dignità, che promuova la sua autonomia e faciliti la sua partecipazione attiva alla vita della comunità” (art. 23 par. 1 Convenzione). Si passi dal “curing” (cure) al “caring” (cura).

«Basta che il bambino si faccia il minimo graffio e scatta immediatamente l’allarme generale. La mamma corre a prendere il cerotto, il papà si precipita con il disinfettante, i nonni sospirano: “Chissà, poverino, come ti sei fatto male!”. Forse il piccolo non ci badava neppure, visto tanto allarmismo, tanta ansia, pensa: “Già, devo proprio essermi fatto male!”. E giù a piangere… Il graffio di ieri era lo stesso di quello di oggi, eppure nessuno vi faceva caso» (il pedagogista Pino Pellegrino). “[…] un fanciullo fisicamente o mentalmente disabile deve godere di una vita soddisfacente che garantisca la sua dignità, che promuova la sua autonomia e faciliti la sua partecipazione attiva alla vita della comunità” (art. 23 par. 1 Convenzione). Genitori e educatori devono educare nel senso indicato dalla Convenzione ogni bambino, altrimenti rischiano di farlo diventare “disabile della vita”.

“Anche molti adulti, estenuati da un compito formativo al quale loro stessi non sono stati preparati, hanno gettato la spugna, e si muovono tra un rigido proibizionismo che stenta però a trovare le ragioni che fondano questo o quell’altro modo di agire, e un lassismo che tutto permette, disinibito all’eccesso, compiacente e complice. Quindi incapacità o rinuncia (le due cose si intrecciano vistosamente) ad attivare un pur minimo accompagnamento educativo, con conseguente abbattimento di ogni segnaletica di carattere etico” (padre Ugo Sartorio, giornalista e scrittore). Occorre recuperare il senso etico (ricordando che “etica” ha la stessa origine di “etologia”, scienza che studia il comportamento degli animali), altrimenti si rischia di far crescere una generazione di antisociali. Prendendo spunto dall’art. 23 della Convenzione, si può dire che è necessario far raggiungere al fanciullo l’integrazione sociale e lo sviluppo individuale più completo possibile, incluso lo sviluppo culturale (in grandezza) e spirituale (in profondità) per non renderlo un “disabile sociale”.

Nel par. 1 dell’art. 23 della Convenzione si legge l’espressione “fanciullo fisicamente o mentalmente disabile” e un bambino può nascere tale o diventare tale o essere reso tale. “Fisico” etimologicamente significa “riguardante la natura” e “mente” deriva da una radice col senso di “pensare, conoscere, intendere”. Ad un bambino bisogna fornire tutte le competenze per affrontare la vita ed in primo luogo quelle affettivo – relazionali. Dopo i risultati di uno studio della Harvard University, denominato “Progetto Making Caring Common” (letteralmente “rendere comune il prendersi cura”) ad opera dello psicologo statunitense Richard Weissbourd, secondo cui i genitori predicano l’altruismo ma educano soprattutto al successo personale per cui i bambini stanno diventando troppo egoisti, lo psicologo infantile Michele Borba avverte che i genitori devono cambiare il loro atteggiamento, perché inculcare nei giovani l’idea del successo personale prima di tutto, in realtà, non porta né al successo né alla felicità: “Gli studi dimostrano che la capacità dei bambini nel provare empatia per gli altri ha effetti sulla loro salute, porta benessere e felicità, così come sul loro sviluppo cognitivo, sociale, emotivo. L’empatia attiva la coscienza e il ragionamento morale, frena il bullismo e l’aggressività, migliora la gentilezza, riduce i pregiudizi e il razzismo, promuove eroismo e coraggio morale e aumenta la soddisfazione personale. L’empatia è un ingrediente chiave dell’umanità e alla base della società civile”. Perché si deve allevare “in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà” (dal Preambolo della Convenzione).

Il peggior handicap è non consentire al bambino di vivere la propria infanzia a causa di vari eccessi ed oggi si sta verificando la scomparsa dell’infanzia che era stata teorizzata (anche se con riferimento alla tecnologia) dal sociologo statunitense Neil Postman nel 1982. Ogni bambino, a maggior ragione se disabile, deve crescere (da “creare, andare formandosi”) in un’atmosfera di felicità (“fecondità”), amore (“non morte”) e comprensione (“prendere insieme”) (dal Preambolo della Convenzione): così si realizza la vera “presa in carico” dei disabili e di ogni persona. “Per cambiare gli uomini bisogna amarli. La nostra influenza arriva solo fin dove arriva il nostro amore” (il pedagogista svizzero J. Heinrich Pestalozzi). Perché “l’affettività si configura […] come realtà umana complessa da analizzare nelle sue radici cognitive, nelle sue implicazioni comportamentali, nella posizione che assume come ingrediente inevitabile nella dinamica delle decisioni della persona umana” (lo psicologo Ferdinando Montuschi[1]).

“Là dove siamo vittime impotenti di una situazione disperata che non possiamo cambiare, possiamo trovare un senso cambiando atteggiamento verso di essa, e quindi noi stessi, così che, da un punto di vista umano, maturiamo, cresciamo, ci superiamo e, in tal modo rendiamo testimonianza della più tipica capacità umana, cioè la capacità di trasformare una tragedia personale in trionfo” (lo psichiatra austriaco Viktor E. Frankl[2]): sia così per ogni disabilità perché e purché non si sia affetti da inabilità ad amare e a essere amati.

Tutto è possibile se non ci si fa prendere da quella malattia che biblicamente è chiamata “sklerokardia”, durezza dei cuori, che erge fredde barriere. È anche questo il senso di uno dei verbi “positivi” usati nell’art. 23 e in altri articoli della Convenzione, “incoraggiare”, dare coraggio, (coraggio, da “cor habeo”, ho cuore): si tratta di una virtù ampia, come dichiara l’origine forte e generica che la lega al cuore. Il coraggio è il prestare l’ampiezza del petto all’incerto, al pericolo, al dolore, la disposizione salda al sacrificio.

 

 

Riferimenti bibliografici

AA. VV. “Mi riguarda”, Edizioni E/O, Roma 1994

 

[1] F. Montuschi, Competenza affettiva e apprendimento, Editrice La Scuola, Brescia 1993, p. 23.

[2] V. Frankl [et al.], Ottimismo per vivere OK, Edizioni Paoline, Milano 1991, p. 28.

Il governo punta sulla meritocrazia e meno sulle carriere per anzianità

da La Stampa

Il governo punta sulla meritocrazia e meno sulle carriere per anzianità

Ieri l’incontroRenzi-Giannini sulle linee guida

Lorenzo Vendemiale

L’ultima rifinitura prima del l’appuntamento decisivo, ancor più atteso dopo l’improvviso rinvio della settimana scorsa. Matteo Renzi ha incontrato Stefania Giannini per definire i dettagli della riforma della scuola. Verrà annunciata domani, probabilmente sul nuovo sito dei «Millegiorni », senza conferenza stampa (anche se qualcosa potrebbe essere organizzato all’ultimo momento). Come sottolineato dal premier, il pacchetto «è pronto da tempo» grazie a «mesi di lavoro comune». Il vertice a Palazzo Chigi è servito allora per chiarire gli ultimi punti della presentazione (la Giannini mercoledì dovrebbe essere a Bruxelles). E un po’ anche per mettere a tacere le voci sui presunti dissapori tra i due: dopo il mancato incontro della settimana scorsa, la Giannini era stata inclusa nella lista dei ministri in bilico in caso di rimpasto. Eventualità già smentita ma non del tutto archiviata (anche se non sarebbe stata discussa ieri). Non c’è ancora un provvedimento vero e proprio da illustrare, piuttosto quattro-cinque linee guida su cui orientare il lavoro dei prossimi mesi. Subito – ha spiegato Davide Faraone, responsabile istruzione del Partito Democratico – partirà «una grande consultazione con tutti i soggetti del la scuola ». Poi comincerà la partita delle coperture, da definire nell’ambito della Legge di stabilità: il governo si è impegnato per un miliardo di euro, ma col Tesoro per il momento non c’è stato un vero confronto. L’attesa maggiore è per il piano di immissioni in ruolo, che dovrebbe coinvolgere direttamente circa 100mila insegnanti da assumere, e indirettamente tutti i 500mila precari iscritti nelle graduatorie, con un superamento dell’attuale sistema di supplenze. È la misura più impegnativa anche dal punto di vista economico: il Ministero spende già il 70% del suo bilancio per gli stipendi del personale; e sulla realizzazione del progetto pesano diverse incognite. Ma il sindacato Anief insiste: «L’anno scolastico inizia con un posto su sette scoperto. La stabilizzazione dei precari dev’essere la priorità del governo e va fatta subito». Renzi ha comunque precisato che la riforma «non si articola » su questo. E che «il Paese chiede di valutare il lavoro degli insegnanti». Di sicuro, dunque, si parlerà di revisione dell’attuale contratto, che consentirebbe di introdurre criteri più meritocratici nell’avanzamento di carriera (e forse anche di recuperare risorse). Ma sul tema sindacati e insegnanti hanno sempre fatto le barricate. «Gli scatti di anzianità non si toccano », avverte Rino Di Meglio, dell’associazione di categoria Gilda. Il capitolo docenti dovrebbe chiudersi con la riforma del sostegno ai disabili, con una riorganizzazione quantitativa e qualitativa dell’organico . Il resto riguarderà la didattica. Da una parte più informatica e decisa accelerazione sull’alternanza scuola/lavoro (su cui è arrivato il plauso di Confartigianato: «Giusto valorizzare l’apprendistato)»; dall’altra recupero di materie tagliate in passato, come storia dell’arte e geografia. Tutto nel report «La buona scuola», di cui Renzi ha mostrato in conferenza stampa la copertina: per il contenuto bisognerà attendere ancora 24 ore.

“Mille asili nido in mille giorni”. Ma l’Europa rimane lontana

da la Repubblica

“Mille asili nido in mille giorni”. Ma l’Europa rimane lontana

Renzi e Delrio annunciano l’iniziativa del governo: “Per garantirela nostra attenzione sulla scuola dell’infanzia e per ridurre la profonda diversità tra Nord e Sud”. I sindacati però replicano: “Misure insufficienti, non bastano a raggiungere il livello richiesto”

Salvo Intravaia

​Mille asili in mille giorni”, per combattere la dispersione scolastica e promuovere le pari opportunità. L’annuncio è di Matteo Renzi, ieri durante la conferenza stampa di presentazione dell’azione di governo per i prossimi tre anni. Ma qual è l’attenzione che il nostro Paese presta ai più piccoli? Quanti sono quelli che fruiscono di servizi per l’infanzia e quanti ogni anno restano esclusi? I mille asili di cui parla Renzi sono pochi o molti?

IL CONFRONTO EUROPEO. Secondo un’indagine di Cittadinanzattiva, il nostro Paese è indietro rispetto alla maggior parte dei Paesi europei. Per bambini che frequentano i servizi per l’infanzia – di cui gli asili nido rappresentano quello più diffuso – ci collochiamo nella parte bassa della classifica. “Danimarca, Svezia e Islanda si contraddistinguono per il più alto tasso di diffusione dei servizi: oltre il 50 per cento dei bambini di età inferiore ai tre anni. Seguiti da Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo (con valori tra il 50 e il 25 per cento)”. L’Italia si colloca tra quanti – Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania – riescono a coprire percentuali del fabbisogno che variano tra il 10 e il 25 per cento. Solo Polonia e Repubblica Ceca sono sotto il 3 per cento.

LE DIFFERENZE TERRITORIALI. In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, la percentuale di bambini (fino a 2 anni) che fruivano nel 2012 dei servizi per l’infanzia era del 13,5 per cento. Ma ci sono differenze territoriali enormi. Le regioni del Nord-est riescono a coprire quasi il 20 per cento delle necessità avvicinandosi a quel 33 auspicato dall’Europa per contrastare la dispersione scolastica.

Gli studi più recenti spiegano che i bambini che frequentano la scuola materna e l’asilo-nido per tre anni hanno meno probabilità di abbandonare gli studi precocemente. In Italia il vero problema è al Sud, dove Comuni e privati riescono a offrire servizi per la primissima infanzia solo a 5 su cento. La regione più virtuosa è l’Emilia Romagna che nel 2012 vantava il 27,3 per cento di copertura, quella con meno servizi per l’infanzia è la Calabria (2,1 per cento), seguita dalla Campania (2,7).

I NUMERI E LE POLEMICHE. In Italia, nel 2012, i bambini con meno di due anni erano un milione e 618mila circa. Di questi, 153mila risultavano iscritti ai nidi comunali e altri 46mila a quelli privati convenzionati. Altri 20mila bimbi circa hanno invece utilizzato i servizi integrativi. In totale 219mila piccoli che  rappresentano il 13,5 per cento degli aventi diritto. Insomma, per arrivare al 33 per cento “europeo” occorre trovare posto ad altri 318mila bambini. Ma ogni asilo nido, secondo le linee guida della regione Piemonte per esempio, può ospitare al massimo 75 bambini. Quindi i mille asili di Renzi potranno ospitare al massimo 75mila bambini che rappresenterebbero solo il 4,6 per cento, da sommare al 13,5 attuale.
“L’intenzione del governo è buona – commenta Francesco Scrima, Cisl scuola – ma non basta. E bisogna tenere conto delle difficoltà economiche dei Comuni”.

I COSTI DEI COMUNI. Già, perché i Comuni, direttamente o indirettamente hanno speso, nel 2012, un miliardo e 259 milioni di euro per gli asili-nido. Senza contare le rette versate ogni anno dai genitori, pari a 300 milioni circa. Secondo Cittadinanzattiva, la spesa media mensile è pari a 302 euro (114 in Calabria e 403 in Lombardia) per famiglia. Ma quando i Comuni affidano a terzi la gestione del servizio risparmiano parecchio: da 8.923 euro all’anno per ogni bambino, a 4.239 euro. E se “compra” dei posti riservati in strutture private la spesa annua scende ancora: 2.794 euro l’anno.

La buona scuola passodopopasso

da ItaliaOggi

La buona scuola passodopopasso

Le Linee guida domani sul sito del governo. Pronta la piattaforma per la consultazione. Renzi pronto a cedere sul piano di assunzioni, sì al turnover

Alessandra Ricciardi

ll sito, passodopopasso.it, c’è. Così come è stata ultimata la piattaforma su cui saranno raccolte e analizzate le opinioni delle categoria e dei semplici cittadini (molto simile, pare, a quello che l’ex ministro delle riforme Gaetano Quagliariello strutturò per le consultazioni sulle riforme istituzionali nel 2013).

La macchina delle Linee guida sulla riforma della scuola insomma è pronta. Così come lo slogan, «la buona scuola», che campeggia sulla copertina del programma. Programma ormai definito. Matteo Renzi ieri ha avuto un vertice con il ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, che è stato definito dai presenti molto positivo. Domani le Linee guida andranno direttamente sul sito passodopopasso che raccoglie il programma di governo dei prossimi millegiorni. Salvo sorprese dell’ultima ora, non ci sarà a Palazzo Chigi la conferenza stampa che avrebbe dovuto dare peso, anche mediatico, alla riforma della scuola. «Per un po’ basta con le conferenze stampa», ha dichiarato ieri il premier.

Un ridimensionamento comunicativo che è conseguenza diretta, è questo il rumors di palazzo, del ridimensionamento delle immissioni in ruolo, il capitolo più atteso dall’esercito dei 500 mila precari. Il condizionale è d’obbligo, ma pare proprio che il premier sia addivenuto a più miti consigli, rinviando, almeno nell’immediato, il mega piano per 120 mila-130 mila assunzioni da fare in un solo anno, il 2015. Quello che concretamente può essere fatto, è stato detto dal Tesoro, è assumere sui posti lasciati vacanti dai pensionamenti che ci saranno nei prossimi tre anni e forse anche sui posti di ruolo disponibili che normalmente vengono dati a supplenze annuali. Tra l’altro, per questo vulnus, ossia la copertura dei posti di organico di diritto con personale a tempo determinato per periodi superiori ai tre anni, lo stato italiano potrebbe essere a breve sanzionato dalla Corte di giustizia europea.

In tutto si tratterebbe di immettere in ruolo 100 mila docenti in tre anni. Un’operazione che tra l’altro aveva già avviato il governo Letta. In tal senso era già pronto un accordo da sottoporre alla firma dei sindacati per garantire la piena invarianza economica delle nuove assunzioni: prolungamento del servizio necessario a maturare il passaggio al secondo scatto stipendiale. Per i nuovi assunti la prima posizione sarebbe di durata 0-11 anni di servizio (come stabilito dall’ultimo accordo), la seconda risulterebbe di durata 12-14. Una riduzione in pratica del peso della busta paga in cambio dell’assunzione a tempo determinato.

Del resto, gli aumenti potrebbero invece arrivare con la carriera, che è l’altro punto forte del programma di riforma per la buona scuola. Per superare le critiche di chi però accusa il governo di volere di fatto attuare il programma del centrodestra, Renzi attende il consenso di chi nella scuola lavora. In tal senso, il dettaglio sulla strutturazione della carriera dei docenti potrebbe aversi più tardi, a gennaio quando la consultazione sarà ultimata. Strettamente connessa alle azioni di miglioramento del sistema, c’è poi la valutazione nazionale degli istituti scolastici, già prevista dalla legge e che inizierà da quest’anno. Il sistema è pronto, la relativa direttiva è fatta, si attende solo la circolare per le scuole..

E poi c’è l’altro capitolo, quello delle misure per gli studenti: più apprendistato, stage nelle imprese anche per i liceali, apertura dei laboratori ai finanziamenti dei privati, introduzione flessibile di alcune discipline, dalla storia dell’arte alle superiori al potenziamento dell’inglese alle elementari. E più nidi, raccogliendo in questo il consiglio degli esperti di scuola del Pd. «La parola d’ordine di questo governo è coinvolgimento, non riforme catapultate ma costruite insieme», commenta Davide Faraone, responsabile scuola del partito democratico.

#scuolebelle, è caos. Sel denuncia: ritirati i fondi del dl Fare Lsu al lavoro, ma si imbianca solo fino ad altezza d’uomo

da ItaliaOggi

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Partiti i cantieri avviati con la delibera del governo. I presidi: manca il coordinamento

Emanuela Micucci

Belle le scuole a Scorzè lo erano già. Ci aveva pensato il comune di questo centro in provincia di Venezia. Tanto che il sindaco Giovanni Battista Mestriner si domanda: «Chi ha chiesto al governo di abbellire le nostre 8 scuole su 9?». Semmai il progetto di edilizia scolastica inviato al premier Matteo Renzi era «l’ampliamento – spiega – della scuola primaria del capoluogo. Ma non ci è arrivata alcuna comunicazione rispetto al suo accoglimento, né riguardo a eventuali finanziamenti». È arrivata, invece, la comunicazione che quelli istituti scolastici erano stati inseriti nel progetto #scuolebelle, uno dei tre filoni del Piano per l’edilizia scolastica del governo. Paradossi e criticità dei fondi che, alla vigilia del primo suono della campanella, si registrano in tutta Italia. E anche dei finanziamenti stanziati dal Decreto del Fare per l’edilizia scolastica. Come ad Appignano del Tronto, nelle Marche, dove il sindaco Maria Nazzarena Agostini denuncia il ritiro dei fondi promessi dal Miur con il rischio di un disavanzo per il comune di 130mila euro: «un voltafaccia» del Miur, spiega Nicola Frantoianni (Sel), «elaborato in assenza di un decreto specifico da parte del ministero». Per questo Sel ha presentato un’interrogazione urgente per conoscere la situazione di tutti i 662 comuni beneficiari dei finanziamenti del Decreto del Fare.

Posato lo strofinaccio, un esercito di signore e signori delle pulizie (Lsu) ha imbracciato pennello, cacciaviti, cesoie e chiavi inglesi per ripulire le pareti delle scuole, lavori di idraulica, mantenimento del verde, sostituzione di vetri e maniglie. Sono proprio gli addetti alle pulizie degli istituti che si stanno occupando degli interventi di piccola manutenzione, decoro e ripristino funzionale previsti da #scuolebelle, per il 2014, in 7.751 plessi grazie a uno stanziamento di 150milioni. Lavoratori che, formati, potranno accedere alle ore di cassaintegrazione e non perdere del tutto lo stipendio. Ma «quando vengono effettivamente impiegati – osserva Mestriner – si scopre che non possono salire sulle scale a pioli e quindi possono lavorare solo fino a due metri di altezza».

La regola dell’altezza d’uomo. Vale anche per la tinteggiatura delle pareti, fatta solo con il rullo in mano. «Niente ponteggi o scale E le macchie o le scritte sopra i due metri chi le leva?», osserva Brunella Maiolini, preside della Pistelli di Roma a cui spettano 56mila euro, «ma per interventi minimi rispetto alle nostre esigenze». Molti presidi lamentano l’assenza di autonomia di spesa nella scelta del tipo di intervento, delle ditte e dell’istituto in cui effettuare i lavori. L’Asal (associazione delle scuole autonome del Lazio), con i suoi 250 istituti, ha inviato una lettera al ministro dell’istruzione Stefania Giannini sulla «tragicomedia che si consuma nelle nostre scuole – scrivono -. Arrivano i fondi, ma vanno impiegati subito, nelle scuole prescelte, con procedure immediate, con le solite ditte, in un tempo di periodo prestabilito (_). Tra noi c’è la netta sensazione di un’ennesima occasione perduta». Per il restyling delle scuole di Aversa si sono stanziati 1,5 milioni di euro, ma «qui in comune la nota del Miur è arrivata tardi, il 10 agosto – spiega il sindaco – È necessario un maggiore concerto tra i ministeri. Gli interventi bisogna parametrarli all’inizio delle lezioni». E i tempi sono stretti. «Entro la fine dell’anno i lavori devono essere eseguiti e certificati», aggiunge Nicola Fiorin, vicesindaco di Bovezzo (Brescia) dove arriveranno 485mila euro per #scuolesicure, secondo filone del Piano.

L’ultima di Renzi: mille nidi per mille giorni A regime servono ogni anno 1,5 miliardi

da ItaliaOggi

L’ultima di Renzi: mille nidi per mille giorni A regime servono ogni anno 1,5 miliardi

Il progetto riprende il ddl Puglisi (pd) in corso di approvazione al senato

Emanuela Micucci

«Ci saranno mille asili nido in mille giorni». Il premier Matteo Renzi l’ha annunciato, ieri, nella conferenza stampa sul programma dei Millegiorni del governo, svelando uno dei punti del Piano Scuola in discussione domani in Consiglio dei ministri. È «questa una misura molto forte» su nidi e scuola dell’infanzia a cui il sottosegretario Graziano Delrio poco prima aveva appena accennato, sottolineando sul tema «una grande sensibilità del governo». Il riferimento ai mille asili in mille giorni è il disegno di legge n.1260 sul sistema integrato di educazione e istruzione 0-6 anni in dirittura d’arrivo in Commissione cultura del Senato, dove ad agosto è terminata la discussione degli emendamenti. La legge prevede un piano nazionale pluriennale per raggiungere entro il 2020 una copertura del 33% degli asili nido e una generalizzazione della scuola dell’infanzia. Con una copertura economia ingente: secondo le stime, a regime, ci vorrebbe 1 miliardo e mezzo all’anno per dare completa attuazione al piano di riforma 0-6, che però include anche l’incremento della scuola dell’infanzia.

 

Sostenuto da 20mila firme in tutto il Paese, il ddl delinea i livelli essenziali di qualità, introduce il coordinamento pedagogico, la qualificazione e la formazione continua del personale e traccia un nuovo piano nazionale di azione per assicurare a tutti i bambini pari opportunità di apprendimento. «Per superare – spiega la relatrice Francesca Puglisi (Pd) – le profonde differenze tra Nord e Sud del Paese, che hanno anche evidenti ripercussioni sull’occupazione femminile, rendendo sostenibile il sistema, istituisce una quota capitaria cofinanziata per ogni bambino, che deve essere finanziata per il 50% dallo Stato, e per il 50% da regioni ed enti locali e che deve vedere la compartecipazione delle famiglie per un tetto massimo del 20%».

 

Un punto, il divario territoriale, sottolineato ieri anche da Renzi: «Negli ultimi dati economici sul nostro Paese – spiega – c’è un elemento di diversità tra il Nord e il Sud, un elemento molto importante. Su questo, la logica dei mille asili nido è un elemento molto importante che caratterizzerà l’azione di governo». L’Istat certifica (luglio 2014), infatti, che i bambini che usufruiscono di asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,6% dei residenti fra 0 e 2 anni al Sud al 17,5% al Centro. La percentuale dei comuni che garantiscono il servizio varia dal 22,5% al Sud all’76,3% al Nord-Est. Sommando gli utenti dei nidi e quelli dei servizi integrativi sono 218.412 i bambini che nell’anno scolastico 2012/2013 si sono avvalsi di un servizio socio-educativo pubblico o finanziato dai comuni, il 4,8% in meno rispetto all’anno precedente. Un calo che per il nido è di circa 2.900 bambini. Tuttavia, la percentuale di comuni che offrono il servizio, sia sotto forma di strutture che di trasferimenti alle famiglie per la fruizione di servizi privati, è passata dal 32,8% del 2003/2004 al 50,7% del 2012/2013.

 

Sono 152.849 i bambini di 0-2 anni iscritti ai nidi comunali; altri 45.856 usufruiscono di quelli privati convenzionati o con contributi da parte dei comuni. Ammontano, così, a 198.705 gli utenti dell’offerta pubblica complessiva, con una spesa impiegata nel 2012 per i nidi di circa 1 miliardo e 559 milioni di euro: il 19,2% rappresentato dalle quote pagate dalle famiglie, mentre a carico dei comuni c’è circa 1 miliardo e 259 milioni. Di qui la richiesta dell’Anci sul ddl Puglisi: «Serve un impegno forte di risorse anche per sostenere i comuni che fanno fatica a mantenere i servizi».

«Chi più fa, più prende». La nuova scuola che vuole valutare i prof

da Corriere della sera

«Chi più fa, più prende». La nuova scuola che vuole valutare i prof

Le linee guida online domani: stabilizzazione dei precari, retribuzione in base al lavoro svolto. Ma soprattutto un patto con le famiglie sulle competenze dei ragazzi

Una cosa è certa. Domani finalmente si saprà se la riforma della scuola annunciata con enfasi diverse settimane fa da Renzi riuscirà davvero a «stupirci con i suoi effetti speciali» (come ancora twittava il presidente del Consiglio qualche giorno fa). Ieri, alla conferenza stampa di presentazione dei Mille giorni è uscito un altro tassello del puzzle della scuola renziano. Non più la rivoluzione annunciata per settimane dallo stesso premier («Vi stupiremo con effetti speciali», era tornato a dire solo qualche giorno fa via twitter) e nemmeno una riforma vera e propria, stando almeno alle parole odierne del premier. «Più che di riforma si parlerà di coinvolgimento sulla scuola, il programma è già pronto, è un report preparato da qualche giorno o settimana ma vogliamo riuscire a dare una visione più completa di quello che abbiamo fatto. È come se ci fosse un puzzle la cui cornice per noi è chiara e i cui pezzi saranno giorno dopo giorno inseriti», ha detto Renzi mostrando per qualche istante la copertina rossa del rapporto intitolato «La buona scuola. Facciamo crescere il Paese». Un puzzle, lo ha definito Renzi subito prima di ricevere il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini per concordare insieme gli ultimi dettagli, ma forse più un rebus, almeno a giudicare dai continui cambi di programma degli ultimi giorni.

 Dalla riforma al puzzle

Inizialmente prevista per venerdì scorso insieme a quella della Giustizia e allo Sblocca Italia, la riforma della scuola targata Renzi era stata rinviata all’ultimo dal premier «per non mettere troppa carne al fuoco», suscitando il dubbio che dietro il rinvio ci fossero problemi di copertura finanziaria per il piano di stabilizzazione dei precari anticipato dal ministro Stefania Giannini al meeting di Rimini. Quindi era stato lo stesso Renzi che, per fugare ogni sospetto, aveva fissato la presentazione della sua rivoluzione scolastica al successivo Consiglio dei ministri previsto appunto per mercoledì 3 settembre. Data complicata, perché quel giorno la titolare dell’istruzione era attesa a Bruxelles per una serie di audizioni nell’ambito del semestre di presidenza italiano del Consiglio europeo. Al ministero erano subito corsi ai ripari modificando l’agenda europea di Giannini. Finché ieri c’è stato un nuovo cambio di programma: «Per un po’ basta con le conferenze stampa», ha detto Renzi al termine della presentazione dei Mille giorni». Le linee guida della scuola verranno messe online domani sul sito passodopopasso.italia.it.

Valutazione dei prof e competenze dei ragazzi

Nel dossier preparato non ci sono né decreti né disegni di legge pronti, e per quanto riguarda i finanziamenti della riforma non se ne parla prima della legge di Stabilità del prossimo autunno. Le misure poi non potrebbero entrare in vigore prima del prossimo anno scolastico. La proposta di un piano per stabilizzare circa 100 mila precari (non è chiaro se nel 2015 o in tre anni a partire dal 2015) ha messo in allarme il ministero dell’Economia: ancora non c’è stato alcun incontro sul tema tra Giannini e Padoan, non essendoci provvedimenti specifici, ma pare difficile che si possano trovare i fondi per una riforma radicale in tempi troppo brevi. Ma il cuore della riforma-non riforma di Renzi, come anticipato dal premier qualche giorno fa, non sta nella stabilizzazione dei precari ma «nell’assunzione di un patto con le famiglie per definire i contenuti educativi necessari». L’idea del presidente del Consiglio è di insistere sulla necessità di nuove competenze per i ragazzi del futuro: più inglese, più geografia (già reintrodotta lo scorso anno dal ministro Carrozza per gli istituti tecnici), più storia dell’arte e musica alle elementari, stage più lunghi per diplomandi e per chi studia al liceo. Dal lato dei prof, Renzi vuole cambiare le «regole del gioco» legando lo stipendio alla valutazione del lavoro svolto. Non solo scatti d’anzianità dunque (che verrebbero ridotti), ma anche una quota calcolata più sull’impegno che sul merito (partecipazione a progetti speciali, corsi di aggiornamento, ore a disposizione della scuola per ripetizioni) in base al principio «chi più fa, più prende». Ai presidi e alle scuole verrà data più autonomia, sia per l’offerta formativa (per ora i presidi possono stabilire il 20 per cento del programma) che nella gestione dei fondi; cambierà il metodo di reclutamento degli insegnanti. Il come è ancora tutto da scrivere, se ne parlerà nella consultazione «porta a porta» che si aprirà (online) domani

Scuola, i presidi come sindaci, ingaggi aziendali per studenti

da Il Messaggero

Scuola, i presidi come sindaci, ingaggi aziendali per studenti

La novità più importante s’intreccia con il decreto sul lavoro e si collegherà con il Jobs Act. Renzi, a questo proposito, parla di «modello tedesco». È un sistema duale che consente alle aziende di fare contratti di apprendistato ai ragazzi delle scuole superiori, per formarli e poi avviarli a un mestiere.

LA RIFORMA
ROMA Matteo Renzi, ieri, tra un incontro e l’altro, e l’incontro più lungo è stato quello con il ministro Stefania Giannini, l’ha chiamata «La buona scuola. Facciamo crescere il Paese». E’ la «riforma-rivoluzione» dell’istruzione. Domani il premier la illustrerà, e il primo obiettivo di questo pacchetto sta nel prosciugamento del bacino dei precari. Ossia, entro il 2015 il governo prevede di svuotare tutte le graduatorie degli oltre centomila precari. Come si raggiunge questo traguardo? La dotazione finanziaria ci sarebbe, secondo le stime dei tecnici del governo, ed è di un miliardo di euro. Con questi quattrini, verranno abolite le supplenze e gli istituti scolatici verranno dotati di personale che può svolgere tante funzioni sulla base dell’autonomia gestionale e della flessibilità nei programmi di cui le scuole saranno dotate. Esempio: se un istituto vuole restare aperto oltre l’orario , gli ex precari vi potranno svolgere corsi, iniziative, insegnamenti di discipline legate al territorio. Il tutto in accordo con il preside il quale, più che un preside-manager, nella riforma viene inteso come un preside-sindaco della comunità scolastica di cui ha responsabilità.
I CONTENUTI

Il preside-sindaco, forte dell’autonomia scolastica, ammesso che finalmente si riuscirà a realizzarla, sarà colui che coordinerà il lavoro della scuola, curerà i rapporti con il territorio e con il volontariato che avrà luoghi e spazi nelle scuole e con il tessuto produttivo della zona, gestirà la flessibilità dei programmi e degli insegnamenti che non saranno più uguali per tutti ma varieranno a seconda delle esigenze, delle idee e delle opportunità che dà il territorio in cui la scuola è situata. Il preside-sindaco si occuperà dei rapporti con le aziende. E qui, c’è l’altra novità della riforma che s’intreccia con il decreto sul lavoro e si collegherà con il Jobs Act. Renzi, a questo proposito, parla di «modello tedesco». E’ un sistema duale che consente alle aziende di fare contratti di apprendistato ai ragazzi delle scuole superiori. Ossia di investire sui ragazzi quando quelli ancora sono in età scolastica e di formarli per poi avviarli a un mestiere. Renzi, nel suo linguaggio pop, fa un paragone calcistico. Le squadre di calcio prima prendono in prestito o in prova un giovane talento e poi lo acquistano. Così sarà per gli studenti che vorranno. Prima l’apprendistato e poi, finita la scuola, l’assunzione.
Più inglese e più Internet (siamo al ritorno, speriamo in meglio, delle tre I della riforma scolastica di Berlusconi) sono altri aspetti della vicenda. Insieme a quello fondamentale dell’edilizia scolastica. Un miliardo è pronto (e un altro miliardo e mezzo arriverà nel 2015 con i fondi europei) per ristrutturazioni e nuove costruzioni. Il piano Renzi-Giannini comprende, poi, la riforma del sostegno. Oggi i bambini disabili vengono trattati tutti alla stessa maniera, come se le patologie fossero tutte uguali. In più, il sostegno viene usato come canale d’ingresso all’insegnamento. Questa confusione tra i due canali verrà abolita dalla riforma. Che introduce, altro punto cruciale, la meritocrazia al posto dell’egualitarismo più o meno pigro, tra i docenti.
Mario Ajello

Linee guida, stavolta nessun ripensamento

da La Tecnica della Scuola

Linee guida, stavolta nessun ripensamento

A mettere a punto gli ultimi dettagli sono stati il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini: con i rispettivi staff tecnici si sono incontrati per circa due ore a palazzo Chigi. Probabile che abbiano apportato modifiche alla prima bozza di riforma. E subito dopo il presidente del Consiglio ha incontrato il responsabile del Mef, Pier Callo Padoan: un caso?

Stavolta sembra essere davvero quella buona: sul 3 settembre non ci sarà alcun ripensamento, le line guida della scuola messe su in estate dal Governo diverranno pubbliche. A mettere a punto gli ultimi dettagli sono stati, nel pomeriggio del primo giorno del nuovo anno scolastico e con l’avvio delle lezioni alle porte, direttamente il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini: con i rispettivi staff tecnici si sono incontrati per circa due ore a palazzo Chigi.

“L’obiettivo – riporta l’agenzia TMNews – è quello di rendere pubbliche le linee guida della riforma della scuola mercoledì 3 settembre, nonostante gli impegni a Bruxelles del ministro nell’ambito del semestre di Presidenza italiana della Ue”. Nessun ripensamento, insomma. Se non altro perchè il Governo non può permettersi altri scivoloni.

Sui contenuti delle linee guida, però, non trapela nulla. Rimaniamo alle indiscrezioni della scorsa settimana. Anche se è probabile che più di qualche modifica sia stata apportata. Altrimenti perchè incontrarsi di nuo vo su accordi già presi precedentemente? E probabilmente non è un caso che subito dopo il termine del colloquio tra Renzi e Giannini, a palazzo Chigi sia entrato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.

Libertà d’insegnamento messa in discussione per l’insipienza di alcuni docenti

da La Tecnica della Scuola

Libertà d’insegnamento messa in discussione per l’insipienza di alcuni docenti

La libertà di insegnamento è un principio che non si discute, ma non deve essere confusa con l’individualismo e con la non volontà di confrontarsi e condividere le scelte educative.

Quante volte sentiamo docenti dire che se ne infischiano di quanto stabilito dal Collegio, dal Consiglio d’Istituto, dal dipartimento disciplinare, dal dirigente scolastico, dal Consiglio di classe, perché in nome della libertà d’insegnamento loro non devono rendere conto a nessuno? Purtroppo certi docenti esistono in ogni scuola è rappresentano la negazione del buon insegnante, che non ha compreso l’importanza del lavoro di squadra e del condividere con gli altri colleghi le proprie esperienze didattiche.
La scuola non si fa con l’individualismo didattico, isolandosi ed evitando il confronto costruttivo, ma con la condivisione dei valori formativi di ogni disciplina e con la definizione delle modalità attuative dei piani di lavoro disciplinari e anche interdisciplinari. La libertà d’insegnamento valore imprescindibile per ogni docente è troppo spesso utilizzato, da docenti insipienti e poco avvezzi al confronto disciplinare con gli altri colleghi, come pretesto per non condividere linee comuni programmatiche, la definizione di verifiche comuni per classi parallele, l’adozione di libri di testo comuni, la definizione di griglie di valutazione comuni.
Ma cosa centra la libertà di insegnamento di ogni singolo docente, con la definizione di alcuni principi e valori da attuare, nel segno della più corretta e auspicabile cooperazione, da tutti i docenti di una stessa disciplina? Questo non è dato saperlo e sono gli stessi docenti che si nascondono dietro il vessillo della libertà d’insegnamento, per sfuggire alla cooperazione dei gruppi dipartimentali, che non riescono a spiegarlo. Purtroppo l’esistenza di qualche docente insipiente ma allo stesso tempo anche saccente, mette in discussione un grande valore costituzionale, che è la libertà d’insegnamento. Adottare uno stesso libro di testo, condividere una stessa linea programmatica, anche nella scansione temporale, definire tipologie di verifiche scritte comuni, definire griglie di valutazioni comuni, non intacca minimamente la libertà d’insegnamento che può manifestarsi nel recinto di quanto stabilito e condiviso a livello dipartimentale.
Ogni docente rimane libero di scegliere i metodi d’insegnamento che ritiene più opportuni per l’apprendimento del gruppo classe, può scegliere di approfondire più un aspetto rispetto ad un altro, può scegliere il percorso della sua lezione in modo libero ed indipendente. Questa è libertà d’insegnamento, dove l’individualismo può fare la differenza nel rispetto di quanto deciso dal Collegio dei docenti e dalle sue articolazioni, come per esempio i dipartimenti disciplinari. Tali dipartimenti se ben organizzati e ben diretti, potrebbero rappresentare un arricchimento didattico per tutta la scuola.
Attraverso il confronto tra docenti la libertà d’insegnamento di ogni singolo docente si rafforza, perché viene condivisa ed apprezzata. Quindi nessuno osi mettere in discussione, per l’insipienza di qualche docente onnisciente e che non ama condividere nulla con gli altri colleghi, il principio della libertà d’insegnamento. La scuola non è fatta solo da singoli docenti che operano nella massima libertà, ma è fatta anche da gruppi di docenti che lavorano in attività collegiali, definendo linee programmatiche e didattiche comuni. Le due cose non sono in contrasto tra loro, ma sono complementari, garantendo  il buon funzionamento della scuola. Se in una scuola l’attività collegiale dei dipartimenti non funziona, con tutta la libertà d’insegnamento che possono godere gli insegnanti, i risultati non potranno essere positivi. Questo a dimostrazione del fatto che in una scuola dove esiste complementarietà tra libertà d’insegnamento e attività dipartimentale, è più facile raggiungere gli obiettivi preposti. E nella vostra scuola come funzionano i dipartimenti? E poi esiste la libertà d’insegnamento?

L’allarme di Exodus (don Mazzi) per la dispersione

da tuttoscuola.com

L’allarme di Exodus (don Mazzi) per la dispersione

Tra i dati sulla dispersione scolastica raccolti dalla Fondazione “Exodus” di don Mazzi e presentati dall’Associazione ‘Mille Giovani per la pace’ nel meeting che parte oggi a Cassino, ci sono anche quelli raccolti da un’indagine svolta nel Lazio su un campione di 650 ragazzi.

Da quell’indagine campionaria risulta che nel Lazio, la regione che ospita il meeting, il 20% dei ragazzi abbandona la scuola prima di avere concluso l’intero percorso scolastico.

Praticamente un ragazzo ogni cinque, al termine dell’intero percorso scolastico risulta disperso.

Ha fatto bene l’associazione a lanciare il grido d’allarme su quel tasso di abbandono precoce, ma il dato reale sulla totalità dei ragazzi laziali è ancora più pesante (e non è il peggiore in Italia).

Tuttoscuola con il dossier sulla dispersione ha rilevato che nel Lazio, al termine dell’ultimo quinquennio, negli istituti statali nel 2013-14 non erano più presenti nelle classi del 5° anno di corso 13.647 ragazzi dei 55.757 che erano iscritti in prima nel 2009-10: era rimasto il 75,5% e si era disperso quindi il 24,5%.

La situazione laziale non è delle peggiori, ed è, anzi, sotto la media nazionale del 27,9% che ha registrato 167.083 studenti dispersi.

In situazione molto pesante in termini di dispersione, al termine del quinquennio 09-10/13-14, sono risultate la Sardegna (36,2% di dispersione), la Sicilia (35,2%) e la Campania (31,6%).

Ma la dispersione non è una prerogativa delle Isole e del Sud. Infatti la Lombardia ha fatto registrare il 29,8% di dispersione, la Toscana il 28,4% e la Liguria il 28,2%, tutte con valori sopra la media nazionale.

Nella ricerca dell’Associazione ‘Mille Giovani per la pace’ sono di grande interesse i dati sulle situazioni a rischio di dispersione e l’individuazione delle cause che le determinano.

 

Renzi in conferenza stampa: mille asili in mille giorni

da tuttoscuola.com

Renzi in conferenza stampa: mille asili in mille giorni

C’è una grande attenzione del governo sui nidi e sulla scuola dell’infanzia, vogliamo fare una misura moto forte, ci misureremo anche in questo sui mille giorni“. Come si può ascoltare in questo AUDIO, lo ha annunciato il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio durante la presentazione del programma dei mille giorni a palazzo Chigi, dietro sollecitazione del premier Matteo Renzi: “Adesso lo puoi dire, mille asili in mille giorni“.

Poi, il premier ha aggiunto: “Negli ultimi dati economici sul nostro Paese c’è un elemento di diversità tra il nord e il sud, un elemento molto importante. Su questo, la logica dei mille asili nido è un elemento molto importante che caratterizzerà l’azione di governo“.

 

Un terzo delle istituzioni scolastiche governate a mezzo servizio

da tuttoscuola.com

Un terzo delle istituzioni scolastiche governate a mezzo servizio

Il nuovo anno scolastico comincia con molte istituzioni scolastiche (almeno il 15%) senza capo d’istituto. Sono infatti 1.200 le sedi prive di titolare su un organico di 8mila.

Nonostante la recente autorizzazione del MEF ad assumere 620 nuovi dirigenti scolastici risultati idonei agli ultimi concorsi “siamo al minimo sindacale – ha detto Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale Presidi (ANP) – perché le sedi vacanti sono moltissime”.

Le nuove assunzioni coprono infatti la metà circa delle sedi vacanti, ma contemporaneamente dal 1° settembre lasceranno il servizio per la pensione 748 dirigenti, come ha precisato Rembado.

La dirigenza scolastica ha un’elevata età media che determina annualmente il pensionamento di circa 750 dirigenti. Peraltro la recente riforma della PA non consente più l’eventuale mantenimento il servizio in via discrezionale dopo il raggiungimento dei limiti di età o di anzianità contributiva.

Solamente i concorsi banditi con regolarità possono salvare una situazione destinata a farsi ancor più critica in futuro.

Le 1.200 sedi vacanti di quest’anno saranno affidate, per lo più, in reggenza ad altri capi d’istituto con l’effetto di rendere precaria anche la direzione della istituzione scolastica di titolarità.

Avremo, quindi, un terzo delle istituzioni scolastiche governate a mezzo servizio.

Una situazione che non farà bene alla scuola e che non sarà d’aiuto nel sostenere l’innovazione e la gestione qualificata del servizio.

Le linee guida del piano scuola che verrà varato il 3 settembre avranno bisogno di essere sostenute e governate da una dirigenza scolastica presente ed efficiente, se si vuole ottenere il massimo coinvolgimento dei docenti, degli studenti e delle famiglie.