MIUR#Sblocca-la buona scuola

MIUR#Sblocca-la buona scuola

di Giancarlo Cerini e Antonio Valentino

Perché non scatta la luna di miele?

Il documento del Governo su “La buona scuola” (3 settembre 2014) non è ancora diventato oggetto di una discussione vera e approfondita tra gli operatori della scuola. Prevale uno stato d’animo di  sfiducia e disimpegno verso le “grandi riforme”. Dopo 15 anni di provvedimenti approvati, sospesi, attuati (che non sembrano aver aumentato la qualità della scuola) quasi tutti stanno sulla difensiva (“comfort zone dice il documento…).
La realtà di un definanziamento del 7-8% della scuola statale nel quinquennio 2008-2013 (con i 140.000 operatori scolastici, tra insegnanti e amministrativi, in meno) si ripercuote negativamente sulle condizioni di lavoro (classi più numerose, modelli didattici più frammentati, penuria di risorse, ecc.). Qualche segnale in controtendenza (la legge 128/2013, il c.d. decreto “Carrozza”) stenta a tradursi in cambiamenti visibili.
Di qui occorre ripartire, senza enfatizzare le responsabilità di una scuola (che non vorrebbe mettersi in discussione), o addossare le colpe alle organizzazioni sindacali (ormai conservatrici per definizione…) e impegnando la politica a dare il meglio di sé (nel linguaggio, nei toni, nello stile, nella ricerca di condivisione). Occorre uscire dalle reciproche diffidenze, dallo strisciante conflitto tra “giovanilismo” e “vecchia guardia”, dal “rinuncianesimo” che sembra aver colto la società italiana (e la scuola).

C’è ancora “grasso che cola”?
Forse il documento dovrebbe dare con più forza il senso del cambiamento:
si inverte la tendenza, si torna ad investire sulla scuola (ci sono alcuni miliardi in più per il sistema educativo, ma occorre tenere a freno la spending review”: è difficile fare una riforma con una manovra a somma zero);
c’è una espansione di risorse, visibile nella creazione di un organico funzionale (superiore al rigido conteggio delle cattedre) che consente di stabilizzare oltre 148.000 insegnanti (sfondando un organico di diritto che si ferma a 600.000 docenti);
c’è da ammodernare la cultura pedagogica della scuola (troppo evidente il rito delle lezioni frontali), ci sono da aggiornare i curricoli (con un giusto dosaggio tra i nuovi linguaggi e i vecchi alfabeti, oltre che salvaguardare le tradizioni del “made in Italy” che non sono solo produttive (pensiamo all’arte e alla musica);
l’autonomia deve essere più coraggiosa, non nel senso di striscianti modelli aziendalisti, ma per riscoprire il valore della responsabilità, del lavoro ben fatto, dell’iniziativa, della libertà, della condivisione (si cresce tutti assieme, non solo perché qualcuno ha le mani libere, ma la governancedeve essere meno bizantina di quella odierna…); cambiano le regole della professione: si accantona il quieto vivere della progressione per anzianità e si propone un dinamismo di carriera legato ad impegni e competenze, da documentare in un portfolio che individua nuovi standard professionali. Anche una diversa struttura dell’orario di servizio avrebbe dovuto far parte del “pacchetto” (ma è stata accantonata appunto per il quieto vivere di tutti).
E’ evidente che ognuno di questi punti positivi è a rischio, non è garantito, potrebbe essere smentito (cosa dirà il Tesoro? I 148.000 neo-assunti che qualità porteranno? La valutazione ci farà veramente  crescere? I privati che si affacciano sulla scuola rispetteranno la sua autonomia culturale? Domande impegnative, senza rete, ma una sfida necessaria per provare a rimettere la scuola al centro del futuro del Paese. Perché, in effetti, ci aspettiamo molto di più delle 136 pagine della “Buona Scuola”, ma di lì occorre pure passare.

Le nuove regole della professione docente
Adottare un diverso modello professionale per i docenti, basato su un profilo di qualità (meriti e impegni), con una conseguente progressione economica di carriera, non basata sull’anzianità, si può considerare la misura più incisiva per la riuscita delle altre proposte del documento. Diventa il passaggio nodale dell’intera operazione.
Come rendere accettabile e appetibile la proposta degli scatti triennali di competenza? Ci sono alcune pre-condizioni che appaiono indispensabili.
Abolire la soglia del 66% dei docenti, che – per come è configurata nel documento (sulla falsariga del Decreto Brunetta: il dlgs. 150/2009) -, rischia di alimentare  ricadute negative sul clima di scuola. Occorre lucidamente considerare l’eventualità molto probabile, in caso di suo mantenimento, che  l’intera operazione trovi ostacoli insormontabili (come al tempo di Berlinguer).
Tutti i docenti possono aspirare allo scatto di competenza, al raggiungimento di un determinato standard professionale. La competizione, semmai, è solo con se stessi, con l’idea di insegnante che si vuole interpretare (e che è descritta nel format del portfolio).
Dare al modello di crediti e portfolio del documento semplicità e linearità nella gestione (senza complicazioni e tortuosità burocratiche). Soprattutto considerando gli “oggetti” da valutare (prestazioni, comportamenti, risultati – ove il caso -) come operazione trasparente e “pulita” (per esempio, più in termini di rilevazione e/o certificazione di evidenze empiriche, che come pratica che richieda marchingegni valutativi di tipo concorsuale).
Collocare, nelle tre aree individuate (formazione, organizzazione professionale, didattica),  a livelli raggiungibili da tutti,  “l’asticella” / traguardo / standard per la maturazione del credito. Deve essere comunque in qualche modo visibile il cambiamento che viene richiesto. Il messaggio dovrebbe essere: chi non si impegna per raggiungere gli standard previsti si colloca per scelta autonoma fuori del progetto di miglioramento.
Prevedere, in via di prima ipotesi da perfezionare e rendere gestibile,  un punteggio massimo, nel triennio, per ogni area (non necessariamente dello stesso peso tra le diverse aree). Dovrebbero contribuire alla maturazione del punteggio aspetti  del lavoro docente, considerati più importanti e significativi.

Profilare i crediti
A solo titolo di esempio, proviamo a concretizzare queste idee scendendo nel concreto delle tre tipologie di crediti (formativi, professionali, didattici) che rappresentano un buon equilibrio della professionalità docente che si vuole descrivere.
Per esempio, per i crediti formativi, si potrebbero far valere:
la partecipazione a corsi di formazione organizzati dalla scuola a cui seguano effettive ricadute sull’attività didattica;
la partecipazione a corsi on line o in presenza, preferibilmente in rete, relativi ai campi del sapere, della didattica e del “fare scuola” (competenze, valutazione, nuove tecnologie);
la partecipazione a gruppi di ricerca-formazione, anche coincidenti con il Consigli di classe o interclasse o gruppi di dipartimento …, strutturati come gruppi di ricerca e di autoformazione guidata, sulla base di un progetto specifico (contrasto alla dispersione, gestione delle classi, integrazione tra le discipline, ecc.).
Il documento parla di “obbligo della formazione” e quindi è pensabile che si definisca un budget annuale di formazione (es. 25 ore) che non necessariamente si concretizza, come abbiamo visto, nella generica frequenza di corsi di aggiornamento.
Per i crediti professionali
Le attività e le funzioni da considerare potrebbero essere soprattutto quelle che oggi sono prevalenti nella vita delle scuole:  collaborazione, coordinamento e presidio (dei dipartimenti, dei consigli di classe, di commissioni di lavoro e gruppi di progetto, delle iniziative di scuola ), funzioni obiettivo (volendo recuperare la formulazione, decisamente più ricca rispetto a “funzione strumentale”, del contratto del 1999). Oltre, ovviamente, quelle di mentoring, previste dal documento governativo (accompagnamento dei neo-assunti, formazione, ecc.).
Per i crediti didattici
Esemplificazioni potrebbero essere fatte anche per i crediti c.d. didattici. Si potrebbero cosiderare, se ci riferiamo alla scuola secondaria, le  seguenti voci: tutoring/counselling, recupero/sostegno individualizzato, sperimentazioni innovative (soprattutto se definite nei dipartimenti o in gruppi di progetto), gestione d’aula e relazione educativa, risultati (considerati in relazione alle caratteristiche della classe, del consiglio di classe e del territorio).
La validazione dei crediti didattici rappresenta l’aspetto più delicato della questione: è possibile pensare a forme di autovalutazione, di documentazione del lavoro, di peer review (osservazione in classe), di supervisione professionale a cura di un “mentor”. Situazioni da vivere in una ottica prevalentemente formativa e collaborativa.

Dall’anzianità al merito: a patto che…
In definitiva, qui si assume l’ipotesi che la trasformazione degli scatti di anzianità in scatti di competenza, prevista nel documento governativo, possa rappresentare per la nostra scuola (ma non nei termini in cui essa è al momento formulata) un elemento motore per progettare un credibile miglioramento della qualità dell’insegnamento con l’uscita dal “grigiore dei trattamenti indifferenziati”, ma salvaguardando lo stile collaborativo che deve caratterizzare ogni comunità scolastica. Questa ipotesi ci sembra auspicabile, in base alla considerazione di fondo che nessuna riforma può avviarsi senza il coinvolgimento e il protagonismo dei docenti.
Quindi possiamo esprimere un convinto alla proposta di valorizzare impegno e merito, cui diano però forza e senso alcuni paletti o garanzie:
– liberare il testo da scivoloni stravaganti, tipo: “i docenti mediamente bravi” che, per avere più chance di maturare scatti “di merito”, potranno “spostarsi in scuole dove la media dei crediti maturati dai docenti è relativamente bassa…” (!);
– la maturazione dei crediti sia alla portata di tutti; cioè che tutti (o la maggior parte possibile) possano essere portati a mettersi positivamente in gioco, perché: superare l’asticella non è ritenuta impossibile, perché c’è un tornaconto, perché può risultare gratificante;
– il governo si impegni a incrementare il fondo (per un bonus più sostanzioso e per erogarlo a tutti  coloro che maturano i crediti per gli scatti, avendo raggiunto lo standard richiesto.  Può sembrare questa una pretesa assurda in tempi di vacche magre. Ma non lo è affatto. Si può infatti sostenere, con un buon fondamento, che se ciò avvenisse, vorrebbe dire che la macchina scuola comincia a mettersi in moto. E saremmo in presenza di un nuovo dinamismo nel sistema educativo (e nel sistema paese);
– che il sistema dei crediti venga costruito in modo tale da prevedere prestazioni / comportamenti che oggi sono propri di una minoranza dei nostri insegnanti (i più impegnati; quelli che fanno sì che il sistema non crolli, anche se non riescono ad essere massa critica per obiettivi di  miglioramento diffuso, all’altezza dei tempi) e che siano quindi chiaramente configurabili come fattibili;
-che questo nuovo modello di progressione (di crediti e portfolio) sia nazionale e quindi costruito sulla base di regole che valgano per l’intero sistema (evitando un dispersivo fai da te, scuola per scuola). Una scelta diversa frantumerebbe il sistema e sarebbe di improbabile gestione. Questo però a una condizione: che gli indicatori da prendere in considerazione per i crediti didattici e professionali non considerino i risultati degli allievi come l’indicatore principe. Sappiamo tutti che ottenere risultati positivi e introdurre innovazioni nelle scuole “bene” e ben gestite è decisamente più facile e molto meno pesante;
– che il nucleo di valutazione annuale sia interno alla scuola (come previsto dal Piano: Dirigente Scolastico e nucleo di valutazione di Istituto), ma che la valutazione finale – a conclusione del triennio – veda la presenza, a fianco del Dirigente Scolastico, di un soggetto terzo, espressione dell’Amministrazione (un Dirigente tecnico) garanzia di terzietà e omogeneità del sistema (questa valutazione potrebbe fondarsi essenzialmente – ma non esclusivamente – sulla verifica della corretezza dell’operato della scuola nell’attribuzione dei crediti e sulla consistenza delle evidenze / rilevazioni che permettano l’attribuzione dello scatto di competenza);
– che, per i crediti formativi, il sistema offra garanzie circa la possibilità di maturarli attraverso esperienze di vario tipo (e non solo corsi più o meno tradizionali e on line: il Piano Scuola contiene proposte al riguardo), promuovendo opportunità formative che abbiano appeal (per la qualità della proposta, per la capacità di coinvolgimento, per la loro operatività), sia nel territorio sia all’interno delle scuole.

Costruire con-senso
C’è infine – ma non certamente ultima ai fini della buona riuscita dell’operazione – la questione del coinvolgimento dei vari soggetti che gravitano intorno all’istituzione scuola e quindi delle sue varie espressioni.
Fondamentale è certo il coinvolgimento di tutti da sollecitare e favorire – a partire dalle componenti scolastiche; va valutata positivamente  la consultazione on line, sulla base dei quesiti proposti.
È da ritenere però che i soggetti da valorizzare siano soprattutto le associazioni professionali del mondo della scuola e le organizzazioni sindacali. Su un terreno come questo non è possibile considerare il sindacato un soggetto come tutti gli altri, se non addirittura inutile  o dannoso. In base al retro-pensiero che la situazione pesante della nostra scuola sia imputabile soprattutto ai sindacati, lasciando sullo sfondo le responsabilità della classe politica.
Certamente c’è da ribadire il primato della politica. Purché la politica non intenda affrontare le situazioni con atteggiamenti muscolari e sappia lanciare le sue sfide, chiamando i vari soggetti coinvogibili a fare la propria parte, nel rispetto dei ruoli che la Costituzione prevede.

Per fare qualche esempio, sui temi dell’organizzazione del lavoro e delle retribuzioni, come sul tema delle tutele, perché non ridare senso nuovo alla contrattazione, parlandosi e misurandosi, senza veti reciproci e senza sfide all’OK Corral?

Gli insegnanti di sostegno, Dario Ianes, e la retorica caciara

Gli insegnanti di sostegno, Dario Ianes, e la retorica caciara

di Raffaele Iosa

Leggo, con stupore, una durissima nota di Tiriticco contro la proposta di Ianes  per andare oltre gli insegnanti di sostegno. Allarmi strani, questi di Tiriticco, e a mio avviso fuori luogo. D’altra parte mentre di esami di stato  io prima “ascolto” (lui giustamente “parla” perché ne sa più di me), qui invece si occupa di temi  che forse andrebbero meglio studiati, o quanto meno “ascoltati”.
In questa vicenda ci sono alcuni paradossi. E’ noto che io mi sono battuto contro la “filosofia BES” del MIUR,  ma affermo per certo che questa non ha mai avuto “trame oscure”,  disvelate da Tiriticco,  per ridurre o ridistribuire i docenti di sostegno.  Perfino il documento “La buona scuola”  sulla disabilità parla con enfasi solo di insegnanti di sostegno, del loro aumento, ma (per me purtroppo) non dice altro sulla crisi qualitativa dell’integrazione scolastica, che sta portando alla “grande finzione” di una scolarizzazione che è di fatto in moltissimi casi “isolazione”.
C’è ancora un altro paradosso. Sulla questione BES  io non ho condiviso la scelta di Ianes di favorire la negativa operazione del MIUR  sui BES,   per le tante ambiguità che la dominante iatrogenesi sta provocando non solo a scuola ma nella società (si veda la novità della “ludopatia”). Una medicalizzazione della scuola con il rischio di nuovi stigmi. In questa discussione Tiriticco condivideva la critica. Dunque sui BES ero d’accordo con Tiriticco e meno con Ianes!  Questo volta, invece,  è esattamente il contrario. Dunque qualcosa non va? O è solo democrazia?
E’ noto, ad esempio, che io mi batto da anni contro la Legge 170 sui DSA che impone tecniche isolazioniste ai ragazzi con “difetti”  in lettura e scrittura e calcolo, perché ha “contrattualizzato” la didattica in un tira e molla per avere “dispensa/compensa” a gogò senza alcuna responsabilità, e che è alla base anche dei rischi anche con la filosofia BES. Considero dispensa/compensa una parte (neppure decisiva) della didattica individualizzata di cui hanno necessità molti ragazzi a prescindere da dottori, malattie di moda, ideologismi sociali, una didattica fondata sull’art. 3,4 e 5 del Regolamento Autonomia e non “concessa da una legge”, quindi offerta a tutti quelli cui servono, senza ricatti contrattualistici. Ma tant’è. Chi ne parla?
Questa volta sull’argomento “superamento dell’insegnante di  sostegno”, invece io  sono del tutto d’accordo con Ianes  per ragioni che nulla hanno a che vedere con i posti di sostegno né con i BES.
E le ragioni sono tutte pedagogiche e non di contrattualismo né di organici.  A vedere com’è oggi il sostegno  dobbiamo amaramente ammettere che siamo alla fine dell’integrazione come pensata negli anni 70. Affiora da tempo  un “falso pedagogico” che ho chiamato “isolazione” in un saggio pieno di dati di un anno fa. La presenza a scuola di alunni disabili è di anno in anno sottoposta ad una deriva che li porta ad essere “ospiti” della scuola ma non  (più) “parte attiva” della formazione comunitaria. Quello che manca a tanti disabili nelle nostre scuole non sono i docenti di sostegno ma…i loro compagni di classe.  Accerchiati da sostegni solitari, sempre più fuori della classe. Sempre più, non sempre meno.  Il falso enfatizza il mito che solo “tante ore di sostegno” fanno integrazione. C’è una materiale crisi che rovescia le cause con gli effetti:  il grande aumento di ore “fuori classe” degli alunni h come “soluzione”, una riduzione robusta della cooperazione educativa, sempre meno (direi sempre mai) l’insegnante di sostegno  considerato  “risorsa della classe” ma  invece lo “specialista del disabile”, come se il disabile  fosse un’umanità specialissima lontana da tutti. Cosa (e  spiace molto) che Tiriticco fa citando  la “grande distanza”  tra alunni h  e gli altri.  Forse Tiriticco non conosce, ad esempio, le ricerche di Renzo Vianello sull’”intelligenza emotiva” dei ragazzi Down, nettamente superiore a quella dei “normali”, che potrebbe essere “risorsa vera della scuola”.  Io invece penso che l’intelligenza eterogenea di tutti gli alunni che imparano insieme (insieme!) sia la vera sfida dell’integrazione, sfida che si sta perdendo.
D’altra parte, nella mia regione nel decennio gli alunni sono aumentati del 20%, i docenti del 10%, ma  quelli di sostegno del…60%.  Perché?  Non è difficile dirlo, tra le tante cause una si chiama certo Gelmini, con la scomparsa delle compresenze, le classi pollaio,  la mania sul “merito” diventato gara, ma un’altra si chiama incapacità sociale a gestire le tante eterogeneità che la globalizzazione porta nelle nostre aule. Insegnare oggi è certo più difficile, e la ricerca spasmodica di ore di sostegno diventa un “surrogato” di risorse dove è possibile pescarle. Dunque, davanti al caotico caos educativo, il “sostegno” diventa una “cosa speciale” per quelli “lontani”, e il sostegno diventa una soluzione di “alleggerimento” ai tanti   problemi degli altri (Bes o non BES), ma non  una soluzione per la disabilità, anzi si fa anticamera di più isolazione!
Concorre, naturalmente, l’individualismo sociale, il mito del “Dio Misura”, ma anche curricoli non rispettosi della molteplicità delle intelligenze, dei potenziali e delle resilienze di ognuno.  Potenziali e resilienze ormai scomparsi dall’educativo, sostituiti dai miti dei “disturbi”, dei “sintomi”, delle tecniche di apprendimento. Tutti ammalati, insomma, ma non persone. Pochissimi hanno parlato, ad esempio, dell’esclusione dei disabili dalle prove INVALSI come vergogna!  I disabili, insomma, sempre più “distanti”.. E le famiglie, vittime del mito medicale e  delle “tecniche” per “guarire” (e non delle didattiche per crescere insieme), spinte dalle umane ansie dei docenti perché troppi sono gli alunni complicati (ed è vero) che fanno? Non chiedono integrazione, ma vanno in tribunale a chiedere… ore di sostegno, così i loro figli vedranno i compagni forse (forse) solo a merenda! Accompagna tutto  questo una gestione dei posti di sostegno demenziale,  ed un uso di quei posti  in modo “improprio” come scorciatoie per entrare nei ruoli. La continuità del sostegno, poi, non esiste.
C’è una letteratura vastissima su questi temi che parte dalla Relazione al Parlamento 2000 che scrivemmo nell’ Osservatorio per l’integrazione berlingueriano di quegli anni, che diceva già molto prima della ricerca della fondazione Agnelli (e secondo me  meglio)  i punti critici, e già delineava rischi di deriva isolazionista. Già in quegli anni si intravvedeva la necessità di “andare oltre” al mero sostegno come posto di lavoro.
Gli snodi più delicati da cui parte Ianes (e anch’io) sul tema integrazione  riguardano “la delega” al docente di sostegno del sostegno e l’assenza di formazione  pedagogia speciale per tutti (che non è lo specialismo scientista ma lo skaffolind minimo di ogni docente, anche di quelli di greco!).
Queste due condizioni creano una “falsa integrazione”, che non ha  a che vedere con il numero dei posti di sostegno, ma con la deriva isolazionista sempre più violenta, spinta anche dalle lobby delle varie “malattie” (dottori e famiglie frastornate)  che chiedono  isolazionismo e non comunità.
Capisco che la proposta inquieti i docenti di sostegno, ma vorrei far riflettere loro come spesso la loro encomiabile fatica è ostacolata, non favorita, dai colleghi che delegano ma non scambiano. Sono loro che ci hanno insegnato che si deve andare in classe e stare insieme. E’ questa la prospettiva, e non serve una qualche corporativa difesa di alcunché perché non neghiamo il loro lavoro, ma il come questo viene dato dalla burocrazia scolastica. Questa proposta vorrebbe trasformarli in positivo con le ragioni del lavoro comunitario e non di quello delegato nell’auletta.
Inoltre la proposta di Ianes non è affatto l’allargamento a tutti i BES degli stessi posti di sostegno. A proposito di BES (che ripeto mi ha trovato ostile) ricordo però che ci sono da sempre bambini e ragazzi in difficoltà, che non serve un certificato ma una qualche didattica utile sì, visto che lo stesso Tiriticco esclude che il docente sia solo un trasmettitore di discipline. E questa didattica è dovere per tutti! Non sono così cieco, infatti, per non vedere il rumoroso aumento delle difficoltà dell’anima, a vivere, soprattutto ad essere. Le nostre classi sono piene di eterogeneità, non tutta felice. Dunque un tema di cui dobbiamo preoccuparci a prescindere dal MIUR e dalle circolari sui BES. Una eterogeneità che rischia la medicalizzazione esasperata, perfetto alibi per dire che “non è colpa nostra” (della persona, dei genitori, degli insegnanti), ma di un neurone o di un gene, che l’educazione non serve ma servono tecniche. La fine del pensare educativo. E la fine delle persona, perché tutto è dato dal sintomo, dall’ormone, mai l’io colpevole e neppure mai l’io responsabile.
Mi piacerebbe rileggere con Tiriticco e Ianes “Nemesi medica” di Ivan Illich: è in gioco molto di più degli organici o dei posti di sostegno.  L’esperienza degli insegnanti di sostegno migliori e le loro difficoltà ci portano a dire che  il mito dell’insegnante di sostegno “speciale” non risolve, ma anzi rischia (malgrado i bravi docenti) di confermare il tecnicismo isolatorio,  non l’idea di scuola che abbiamo sempre avuto come “normale comunità”.
Dunque l’idea di base di Ianes (e anche mia) non è di abolire “il  sostegno”, né di allargare il  lavoro degli attuali docenti di sostegno ai fantomatici BES, ma di “andare oltre” a separazioni che anche nella forma organizzativa non producono  cooperazione e comunità educativa.
Ad esempio con una pratica di “sostegno diffuso” di cui parla Canevaro da una vita ma che è nelle nostre scuole solo chiacchiera, mentre una ambigua “apologia del docente di sostegno sempre” (forse in alcuni per buona fede)  rischia di produrre solo cattiva e falsa integrazione.
La proposta di Ianes   pensa, ovviamente, ad un processo lungo e complesso,  ma indispensabile. Non c’è una legge né un decreto che preveda tutto questo, c’è solo una sperimentazione a Trento, e già solo questa crea un grande clamore?  Io vedrei con interesse se il nuovo organico funzionale di qualche scuola sapesse “andare oltre” il mero sostegno dell’auletta con una diffusività didattica di “sostegno che impegna tutti”, utilizzando davvero l’autonomia. Utilizzando, peraltro, ciò che dagli anni 70 si dice nelle leggi ma non si fa: la corresponsabilità di tutti i docenti su tutti gli alunni! Parallelamente, come ovvio, si deve  maturare in tutti i docenti (tutti perché “normale”)  competenza di skaffolding delle eterogeneità, perché questi sono oggi tutti i nostri alunni. Un processo da pensare bene, con prudenza per evitare “vuoti” ma anche con coraggio, perché la deriva isolazionista rischia il non ritorno: un fantasma di  integrazione ridotto ad accoglienza posticcia.
Quindi, nella logica dell’organico funzionale, e in un sistema in cui la formazione alle tematiche speciali diventa “normale” sarebbe interessante almeno sperimentare pratiche (come sta facendo Trento) che, in fondo, ripristinano  il pensiero della vecchia-grande Falcucci (che da poco ci ha lasciato) e che nei documenti degli anni 70 sull’integrazione scriveva “non vogliamo inserire gli handicappati nelle scuole perché siamo buoni, e non solo per principi di eguaglianza delle opportunità, ma perché attraverso di loro  cambi tutta la scuola”. Il che non è avvenuto, e la confusione dell’epoca  rischia di buttare il delicatissimo tema dell’integrazione  in retorica caciara.
In questa caciara, c’è perfino chi propone di boicottare i libri dell’editore Erickson, di cui Ianes è proprietario ed anima. Insomma bruciare i libri ancora una volta. Ianes l’ebreo. Cosa curiosa perché la Erickson ha il coraggio da sempre di pubblicare opere di diversissimo approccio teorico, soprattutto quelle molto contrastanti tra loro, visto che si va dal DMS V americano  ad Illich e Recalcati. E onore al coraggio di Ianes,  cui qualcuno potrebbe dire “chi te l’ha fatto fare” e pensa  che  sputi sul piatto dove mangia.
Proviamo invece a credere che la scuola è valida e inclusiva se è composta da una comunità di professionisti riflessivi che lavorano (sempre insieme) non per discipline ma  per ragazzi. So bene le difficoltà e i rischi di andare oltre, ma restare dove siamo oggi sarebbe uno stagno pieno di finzioni.

Corso Didattico: “TEACHING E PARENT TRAINING nei disturbi dello Spettro Autistico”

Corso Didattico: “TEACHING E PARENT TRAINING nei disturbi dello Spettro Autistico”

Il  corso  offre  alcune  linee  guida  necessarie  per  affrontare  i  comportamenti  problematici. Presenta  modalità  per  effettuare  una  adeguata  valutazione,  che  aiuti  a  definire  e interpretare il comportamento dell’allievo, e strategie di intervento educative che, oltre a contenere  gli  effetti  del  comportamento,  promuovono  l’apprendimento  di  abilità  sociali  e comunicative in grado di sostituirne la funzione.
Modalità  per  potenziare  le  abilità  curriculari,  da  quelle  di  base  (lettura,  scrittura,  abilità logico – matematiche e di calcolo) a quelle di secondo livello relative alle diverse discipline (Italiano, Matematica, Storia, Geografia, Scienze e Lingua Straniera).
Verranno  esposte  metodologie  di  insegnamento  di  carattere  esperienziale  che  utilizzino supporti visivi e informatici.
Occorre iscriversi utilizzando il modello sotto riportato da inviare entro il 06.10.2014 alla email:  infoautismo@aslrmf.it.

Corso Teaching e Parent Training

Modernizzare la scuola Valorizzare il lavoro

Modernizzare la scuola Valorizzare il lavoro

Documento dell’Esecutivo nazionale Uil Scuola
Approvato all’unanimità

A fronte di un impegno programmatico positivo da parte del Governo non si rilevano scelte concrete coerenti. Rispetto all’emergenza retributiva la soluzione prospettata è blocco ulteriore delle retribuzioni fino al tutto il 2018.
Su questo l’esecutivo nazionale Uil Scuola rileva grande importanza alla diffusa campagna #sbloccacontratto per dare protagonismo a tutti i lavoratori e indurre il Governo a cambiare passo.
Anche le prime notizie sulla legge di Stabilità prefigurano ulteriori tagli , in particolare sulle commissioni degli esami di maturità e sugli organici del personale Ata. Che assolutamente contrastano col bisogno di veri investimenti in istruzione, qualificandola spesa pubblica ed eliminando gli sprechi.
Il rapporto di lavoro non può essere deciso dal Governo (il datore di lavoro) davanti a uno specchio.
Decidere e comunicare a insegnanti, ata, dirigenti, quanto devono lavorare, come, con quale progressione economica equivale a trattare professionisti importanti per la delicata funzione che svolgono da sudditi , non da cittadini titolari di diritto.
Il documento del Governo presenta un progetto ambizioso, ne verificheremo la effettiva attuabilità.
La Uil Scuola:
– sostiene la decisione di immissione in ruolo per tutte le persone presenti nella graduatorie permanenti, da settembre 2015, con la relativa costituzione di un organico funzionale connesso all’autonomia scolastica (da sempre proposto dalla Uil Scuola);
– condivide il nuovo sistema di formazione iniziale e reclutamento prefigurato, che assume molte delle proposte della Uil Scuola.
Ricordiamo al Governo che però in tal modo rimane una parte del precariato, reiterato, che riguarda il personale abilitato , in via di abilitazione, non presente nelle graduatorie permanenti e che dovrà coprire posti acanti per esaurimento delle graduatorie.
La questione precariato è complessa e va affrontata con particolare attenzione.
Progressione economica e merito: la Uil scuola esprime netta contrarietà nella proposta contenuta nel documento. Queste le forti criticità da rivedere: – la totale eliminazione dell’anzianità come aspetto della progressione economica (non c’è in alcun paese europeo)
– la individuazione di una quota del 66% degli insegnanti cui attribuire, provvisoriamente, aumenti per merito.
Si determina così una doppia negatività, una presunta distinzione su quote sulla carta predefinite ed una ipotetica rincorsa, anche cambiando scuola, a far parte di tale quota.
Questa procedura che di fatto determinerebbe una nuova graduatorie nazionale, da aggiornare per la raccolta punti, dopo aver abolito quella dei precari rischia di allontanare dall’effettivo impegno d’aula, determinando disorientamento e disaffezione anziché riconoscimento del merito e dell’impegno.
La Uil Scuola vuole affrontare con un contratto innovativo i veri nodi irrisolti: opportunità, carriere per gli insegnanti, riconoscimento anche economico dell’impegno e delle crescita professionale, con attività ed esiti nel lavoro d’aula, aggiornamento della regolamentazione normativa del rapporto di lavoro. Purtroppo è la mancanza di risorse che determina soluzioni pasticciate o negative.
La Uil scuola rileva negativamente la totale mancanza di aspetti che attengono al riconoscimento professionale del personale Ata, per il quale andrebbero rafforzate le innovative modalità contrattuali, che vengono, invece, bloccate e la esigenza di una qualificazione degli organici, più legati alle effettive nuove esigenze.
Sul versante delle innovazioni sia ordinamentali che didattiche occorre verificare che si sia in presenza di un piano concreto di fattibilità su cui occorrono risorse, capacità concreta di intervento.
Per tutti gli aspetti, in particolare quelli connessi al lavoro, c’è piena disponibilità della Uil a confrontarsi, a suggerire interventi .
La Uil Scuola sollecita a prevedere una integrazione del documento acquisendo le tematiche connesse alla scuola dell’infanzia, settore assolutamente vitale per un percorso formativo ed educativo solido.
L’esecutivo nazionale sui tanti aspetti che il documento prefigura impegna la segreteria nazionale ad approfondimenti tematici tenendo conto delle tante esperienze positive, innovative sul piano didattico , sperimentali sul piano organizzativo che già si realizzando grazie alla competenza, all’impegno, alla disponibilità di quei tanti che garantiscono esiti di qualità alla nostra scuola.
A tal fine è previsto un primo seminario, in collaborazione con l’Irase, istituto di ricerca e formazione.
In merito alla consultazione che è partita con l’ambizione di voler ascoltare la voce di tutti coloro che reputeranno di voler intervenire si rileva l’incertezza del come e soprattutto, aspetto determinante, il ruolo che rimane in capo al Governo della decisione, sulla base della sintesi che opererà lo stesso Governo. Serve, oltre alla consultazione, un efficace momento di confronto in quanto non pensiamo possibile che si decida, ad esempio, il blocco delle retribuzioni fino al 2019, sostenendo che è frutto degli orientamenti della consultazione.
In merito alle iniziative di protesta intraprese con gli altri sindacati per far sentire la voce del personale, la Uil Scuola è impegnata nella migliore riuscita della manifestazione unitaria che si terrà a Roma il prossimo 8 novembre, indetta con gli altri sindacati di tutti i dipendenti pubblici.

Tfa II ciclo: iscrizioni in soprannumero e incompatibilità

da La Tecnica della Scuola

Tfa II ciclo: iscrizioni in soprannumero e incompatibilità

L.L.

Il Decreto Direttoriale n. 698 del 1° ottobre 2014 spiega quali sono i candidati che hanno diritto all’iscrizione in soprannumero. Tra questi, i “congelati SSIS” e AFAM e coloro che non hanno potuto concludere i corsi del I ciclo di TFA per motivi di salute. Lo stesso decreto ricorda, in analogia con il I ciclo dei Tfa, la frequenza di quali corsi è incompatibile anche con il II ciclo

Il Decreto Direttoriale n. 698 del 1° ottobre 2014, relativo alle Indicazioni operative per le prove di selezione dei percorsi di Tirocinio formativo attivo – II ciclo, contiene anche indicazioni riguardanti le iscrizioni ai percorsi per i candidati aventi titolo all’iscrizione in soprannumero.

Contestualmente all’apertura delle iscrizione ai percorsi per i candidati inseriti nelle graduatorie di merito, le Istituzioni accademiche apriranno le iscrizioni ai candidati aventi titolo all’iscrizione in soprannumero.

Si tratta, in particolare, dei:

  1. “congelati SSIS” e AFAM;
  2. soggetti che abbiano sospeso l’iscrizione ai corsi del I ciclo di TFA o li abbiano interrotti per sopraggiunti e documentati motivi di salute;
  3. soggetti che, in occasione del I ciclo di TFA fosserorisultati vincitori, cioè collocati in posizione utile per la frequenza di più di un percorso, e che abbiano esercitato un’opzione;
  4. soggetti che, in occasione del I ciclo TF A, fossero inseriti in graduatoria di merito, ma non in posizione utile. Quest’ultima disposizione è dovuta alle diverse opportunità offerte ai candidati del II ciclo, che possono avvalersi di procedure di recupero non previste per il I ciclo TFA.

Lo stesso decreto precisa che non hanno diritto all’iscrizione in soprannumero, per i percorsi inerenti il medesimo ambito, i soggetti di cui sopra che hanno conseguito, attraverso i percorsi SSIS o TFA o AFAM, una delle abilitazioni ricomprese negli ambiti verticali 1 (25/ A e 28/A), 2 (29/A e 30/A), 3 (31/A e 32/A), 4 (43/A e 50/A) e 5 (45/A e 46/A, distinti per le diverse lingue straniere).

In merito ai corsi incompatibili con l’iscrizione ai Tfa, il decreto ricorda che, così com’era avvenuto per il I ciclo di Tfa, permane il divieto della contemporanea frequenza di altri percorsi accademici, per cui i candidati collocati in posizione utile, qualora vogliano frequentare i percorsi di TFA, potranno sospendere l’eventuale corso di dottorato di ricerca, il percorso di specializzazione sul sostegno o il percorso di perfezionamento in CLIL. Non è necessaria la sospensione solo se, al momento di inizio delle attività didattiche, ai candidati iscritti ad un dottorato di ricerca, resti solo la discussione della tesi di dottorato e ai candidati frequentanti i corsi di specializzazione sul sostegno o il percorso di perfezionamento in CLIL restino solo da sostenere esami di profitto e prova finale.

Scuola e disabilità: mamme in classe e genitori ‘arruolati’

da Il Fatto Quotidiano

Scuola e disabilità: mamme in classe e genitori ‘arruolati’

La scuola è iniziata da pochi giorni: dai bimbi più piccoli che hanno intrapreso il loro primo percorso didattico ai ragazzi più grandi che sono alle scuole superiori. Esiste un minimo comune multiplo: le madri devono essere presenti. Incredibile ma vero.

Mi hanno scritto in molti in queste due settimane. Ho letto e ascoltato storie che non avevo mai udito prima. Genitori che accompagnano a scuola il loro bambino. Bellissima giornata di festa per molti, ma non per tutti. Loro, genitori speciali (così ci definiscono troppo spesso), si sentono dire che devono tornare casa . Manca l’insegnante che non si sa quando arriverà; la nomina esiste, tutto è stato predisposto, eppure…si è ammalato il primo giorno di scuola. Baratro della burocrazia che fa esplodere la rabbia, la frustrazione, l’angoscia. E così abbiamo iniziato il mondo scuola, inclusiva e integrata.

Non è finita qui. Ci sono genitori (prevalentemente madri) che riescono a ricevere la grazia dell’ingresso a scuola ma…devono rimanere nei paraggi perché manca qualche ora da coprire. Manca anche l’esperienza nel gestire i nostri figliUfo“, manca la volontà di fare il proprio lavoro seriamente.

E man mano si cresce. In questo comanda madre natura e quindi si procede fino alle superiori. Qui il circo rende tutto più allegro.

Chi tocca la sedia a rotelle? Sì. Avete letto bene. Un genitore si è sentito chiedere di entrare per spostare il figlio fin quando la dirigenza non avrà chiarito a chi spetta questa (secondo loro) gigantesca manovra titanica. Eppure di esempi ottimi ce ne sono. E’ così difficile far incontrare il bene e il male e cercare di creare una omogeneità di buon lavoro e buona prassi? Pare proprio di si.

Ma stiamo sereni per ora che tutte le questioni risolte saranno più o meno sistemate (non risolte, ma sistemate), inizierà l’occupazione studentesca che risbatterà a casa tutti gli studenti disabili!! Così poi c’è Natale e diventiamo buoni per iniziare una programmazione verso gennaio. Attenzione a non dimenticare mai di dire grazie! Perché nella loro realtà, davvero lontana anni luce dalla realtà oggettiva che noi viviamo, siamo riceventi di una grazia senza rendercene conto.

Andiamolo a raccontare alla madre che si è vista il figlio bagnato di urina perché non accudito adeguatamente e spieghiamo a questo ragazzo cosa succede.

Andiamo anche dalle giovani madri che non hanno potuto fare la prima foto al primo giorno di scuola. Anche questo neghiamo a queste famiglie.

Tante chiacchiere, finché si tratta di darsi secchiate in testa tutti solidali. Quando invece si tratta di “fare sul serio qualcosa di immediato” la questione cambia.

Sono molto arrabbiata. Il senso di impotenza è enorme. E soprattutto rispetto le giovani famiglie che vivono una fase molto delicata di riequilibrio, sento un dolore fortissimo. Tutto questo non è giusto. Tutto questo non può essere tollerato. Dove è finito il tanto invidiato sistema scolastico italiano?

Se davvero questo è il massimo risultato ottenibile, non sarebbe il caso di pensare a qualche alternativa?

Giannini: “La commissione mista alla maturità non è la più valida”

da La Stampa

Giannini: “La commissione mista alla maturità non è la più valida”

La discussione è aperta, ancora nessuna decisione presa
bologna

L’attuale formula delle commissioni miste per l’esame di maturità non è quella scientificamente più valida: è il pensiero del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che ha replicato alle perplessità sollevate da alcuni addetti ai lavori sull’idea di prevedere solo commissari interni (eccetto il presidente di commissione) per i maturandi.

Comunque, come precisato dal ministro, una decisione definitiva in tal senso non è stata ancora presa. «Stiamo riflettendo, come avviene ogni anno all’interno del ministero – ha detto Giannini a margine della presentazione a Bologna delle Giornate di lettura nelle scuole – su quali eventuali migliorie o cambiamenti si possano fare».

«La commissione mista – ha argomentato il ministro – che non è né una commissione esterna che certifica competenze per l’accesso a un percorso, né una commissione che conoscendo gli studenti ha la funzione invece di sintetizzare un percorso di studi, non ritengo sia la formula più diffusa né credo scientificamente la più valida. Però, ne stiamo parlando. Nessuno ha detto che faremo questo sicuramente; è un elemento di dibattito» ha concluso il ministro.

Boom di studenti all’estero: in 3 anni un aumento del 55%

da La Stampa

Boom di studenti all’estero: in 3 anni un aumento del 55%

3.200 adolescenti di tutto il mondo hanno scelto l’Italia per trascorrere alcuni mesi di scuola
roma

Cresce la voglia di internazionalizzazione: nel 2014 7.300 studenti delle scuole superiori si sono recati all’estero con un programma di studio di lunga durata, con un aumento del 55% rispetto solo a 3 anni fa.

3.200 adolescenti di tutto il mondo hanno scelto l’Italia per trascorrere alcuni mesi di scuola della propria formazione didattica e culturale (+14% dal 2011). Questi i maggiori risultati della ricerca “Generazione Inoccupati? No grazie”, edizione 2014 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca promosso da Fondazione Intercultura e Fondazione Telecom Italia (dati elaborati da Ipsos), giunto al suo sesto anno.

Dalla ricerca, presentata a Milano, emerge poi che più di due terzi degli istituti superiori italiani (68%) hanno aderito a un progetto internazionale (nel 2011 erano uno su due). In breve, finalmente un passo in avanti sulla scala dell’indice di internazionalizzazione che misura l’apertura delle nostre scuole al confronto con l’estero, rimasto stagnante dal 2009 a 37 punti e che invece nel 2014 raggiunge quota 41. Un passo apparentemente piccolo che rappresenta invece una grande evoluzione per la nostra scuola nel cammino verso la creazione di un sistema educativo capace di rendere più «internazionali» le nuove generazioni, in modo da porle allo stesso livello degli altri paesi europei.

Inoltre, uno studio dell’Ocse delineava già nel 2006 un trend in atto che evidenziava come gli alunni che usavano regolarmente un computer ottenessero in generale dei risultati migliori nelle principali materie, rispetto a quelli che avevano solo un’esperienza limitata delle tecnologie informatiche: nel 2012 l’indagine realizzata per Intercultura confermava la tendenza. Allo stesso tempo gli strumenti «innovativi» stanno arrivando sempre più a disposizione di tutte le fasce di reddito secondo un processo di democratizzazione dell’innovazione che può quindi aprire maggiori opportunità per tutti.

La possibilità di accesso alla tecnologia a scuola è vista tuttavia dagli studenti ancora modesta; la situazione migliora invece all’università, anche se è considerata meno tecnologica rispetto a quella dei principali Paesi Europei.

Sul tema della tecnologia a servizio dell’internazionalizzazione e dell’insegnamento ha in particolare posto l’accento Marcella Logli, Segretario Generale di Fondazione Telecom Italia: «La generazione dei nativi digitali – commenta – avrà sempre più il ruolo di guida nel mondo delle nuove tecnologie, soprattutto nella scuola e nell’istruzione”.«Ci pare particolarmente rilevante – aggiunge – che questa indagine confermi l’intuizione che tecnologia e propensione all’internazionalizzazione vanno assieme, anche nel mondo dell’educazione: gli istituti scolastici ed universitari più aperti all’internazionalizzazione risultano infatti essere tra quelli più tecnologici».

 

La ricerca ha quindi indagato le caratteristiche dello studente «brillante», imprescindibili per affrontare un percorso di successo all’università e nel lavoro. Emerge chiaramente che deve esserci un giusto mix tra tratti caratteriali, competenze trasversali e una adeguata preparazione scolastica.

 

Una scuola che vuole formare studenti brillanti non può prescindere dall’inserimento, nel percorso di formazione, di esperienze in grado di far acquisire capacità relazionali e cognitive. In quest’ottica un’esperienza internazionale sembra essere in grado di contribuire in maniera determinante all’acquisizione delle competenze fondamentali per il successo degli studenti, ad oggi ritenute deficitarie dai docenti universitari. Un periodo di scuola e di vita all’estero viene considerata un’esperienza formativa che rende gli studenti più autonomi e maturi, utile in qualsiasi momento del percorso di studi, ma ancora molta strada va fatta per il riconoscimento effettivo sia a scuola che all’università.

 

«Le scuole sono di fronte a una rinnovata sfida – commenta il Segretario Generale della Fondazione Intercultura Roberto Ruffino – quella di dotare gli studenti dei saperi essenziali per entrare nella vita attiva del XXI secolo: imparare a imparare, a progettare, a comunicare, a collaborare e partecipare, ad agire in modo autonomo e responsabile, a risolvere problemi, ad individuare collegamenti e relazioni, ad acquisire ed interpretare le informazioni. E le Università sono chiamate a recitare la loro parte, attivando progetti continuativi di collaborazione con le scuole, per colmare quel solco che oggi divide queste due istituzioni».

Aumentano le classi e il rapporto alunni/docente torna a scendere

da Il Sole 24 Ore

Aumentano le classi e il rapporto  alunni/docente torna a scendere

di Eugenio Bruno

Con le 21mila nomine appena disposte il rapporto tra alunni e docenti in Italia torna a scendere. Dai 21,5 di 12 mesi fa si è passati agli attuali 21,4. È uno dei tanti numeri forniti ieri dal ministro durante l’audizione davanti alla commissione Cultura della Camera sull’inizio dell’anno scolastico.

Le immissioni in ruolo
Dopo i ringraziamenti di rito alle strutture ministeriali, agli uffici scolastici regionali e a tutte le istituzioni scolastiche ed educative per aver assicurato l’inizio regolare delle lezioni la responsabile del Miur si è soffermata sulle immissioni in ruolo. Sottolineando come siano state effettuate 21.653 assunzioni di docenti di cui 9.148 su posti di sostegno e 12.505 su posti comuni. Tutte con decorrenza giuridica ed economica dal 1° settembre 2014. Ma le operazioni di nomina non sono ancora terminate. In seguito alle rinunce per opzioni effettuate dagli insegnanti per altre classi di concorso, il ministro conta di arrivare a 28.567 stabilizzazioni entro il 15 ottobre. Nel frattempo – ha spiegato l’ex rettore dell’università per stranieri di Perugia – sono state concluse le operazioni di immissione in ruolo del personale amministrativo tecnico e ausiliario per 4.556 unità.

La popolazione studentesca
Quest’anno le porte della scuola si sono aperte per 7 milioni 882mila alunni. Con un aumento di 1.659 classi. Ne è derivata una diminuzione del rapporto complessivo alunni-classi che passa da 21,5 dello anno scolastico 2013/14 a 21,4 di quest’anno. Una diminuzione che ha interessato soprattutto la scuola dell’infanzia, elementari e le medie. Viceversa c’è stato una crescita degli alunni che hanno optato per il tempo pieno: sono 15.171, il 2% in più dell’anno scorso. In aumento, soprattutto al Mezzogiorno, il numero di alunni disabili. Sempre a proposito di disabilità il ministro ha ricordato che sono 103 i centri di supporto territoriale (cosiddetti Cts) che forniscono consulenza alle scuole, grazie al contributo di docenti specializzati e che potranno avvalersi della collaborazione dei Centri per l’inclusione (Cti), già presenti in alcune regioni.

La formazione degli adulti
Un pensiero Giannini l’ha rivolto alla formazione degli adulti. Fornendo la mappa delle nuove istituzioni scolastiche create ad hoc: i Centri per l’istruzione degli adulti (Cpia). Ne sono stati attivati 56. Di cui 10 in Piemonte, 19 in Lombardia, 4 in Friuli Venezia Giulia, 2 in Veneto, 7 in Emilia Romagna, 8 in Toscana, 1 in Umbria e 5 in Puglia. La prossima settimana riceveranno i codici meccanografici che stanno aspettando; dopodiché le loro attività potranno partire.

La consultazione sulla «buona scuola»
Nel ricordare i capisaldi della riforma proposta dal governo con le linee guida il ministro ne ha approfittato per fornire un aggiornamento sui dati della consultazione online, che è partita il 15 settembre e si concluderà il 15 novembre. Finora – ha spiegato – ci sono stati 248mila contatti diretti al sito della Buona Scuola . «Nella sezione questionario – ha aggiunto – ci sono decine di migliaia di proposte e poi qualche centinaio di proposte autonome. C’è una soddisfazione quantitativa elevata. Ci auguriamo che il lavoro dei parlamentari possa alimentare il dibattito».

Graduatorie III fascia Ata: ancora pochi giorni di tempo per la domanda

da La Tecnica della Scuola

Graduatorie III fascia Ata: ancora pochi giorni di tempo per la domanda

Entro l’8 ottobre (salvo proroghe) gli aspiranti all’inclusione nelle graduatorie di istituto di III fascia del personale Ata devono consegnare (o spedire) in modalità cartacea l’allegato D1. Sempre su carta va inviato il modello D2 che interessa, invece, la conferma dell’inserimento in graduatoria per coloro che erano già inclusi in quelle valide per il decorso triennio. Vedi anche il nostro Speciale

Siamo agli sgoccioli: mancano pochi giorni al termine fissato dal D.M. n. 717 del 5 settembre 2014, trasmesso con nota prot. n. 8921 dell’8 settembre 2014 insieme a tutti gli allegati necessari, per l’inclusione, l’aggiornamento o la conferma nelle graduatorie di istituto di III fascia del personale Ata, da cui le scuole attingeranno per conferire le supplenze temporanee per il triennio 2014-2016, dopo avere attinto dalla I e II fascia.

La domanda dovrà essere infatti presentata entro l’8 ottobre 2014 in modalità cartacea, con consegna a mano o raccomandata con ricevuta di ritorno, indirizzata ad una scuola della provincia scelta (quella che è indicata nel frontespizio del modello che si presenta). Per individuare le scuole della provincia è possibile utilizzare l’applicazione del Miur.

I modelli da presentare sono il modello D1 per l’inserimento in graduatoria o l’aggiornamento, D2 per la conferma, D4 per chi ha compilato il quadro “G” del modello D1 (richiesta di depennamento).

Tutti dovranno presentare, questa volta telematicamente, anche l’allegato D3 di scelta delle sedi (massimo 30).

Vediamo nel dettaglio i singoli modelli, rimandando per gli approfondimenti al nostro Speciale:

 

Chi deve presentare l’allegato D1

Devono presentarlo coloro che vogliono iscriversi per la prima volta (nuovo inserimento) oppure per coloro che erano già iscritti nelle graduatorie del 2011, ma hanno nuovi titoli/servizi da dichiarare o chiedono l’inserimento in altri profili (aggiornamento). È necessario dichiarare nuovamente i titoli e i servizi già presenti nel 2011. Il modello si compila e si presenta alla scuola indicata nel frontespizio, debitamente firmato (non serve l’autenticazione). Si utilizza un unico modello per tutti i profili richiesti.

 

Chi deve presentare l’allegato D2

Devono presentarlo coloro che erano già inseriti nelle graduatorie del 2011 e devono soltanto confermare l’iscrizione e il relativo punteggio, perché non hanno nuovi titoli o servizi da dichiarare. È comunque possibile inviare la domanda ad una scuola e/o provincia diversa da quella del 2011.

Il modello si compila e si presenta alla scuola indicata nel frontespizio, debitamente firmato (non serve l’autenticazione). Si utilizza un unico modello per tutti i profili richiesti.

 

Chi deve presentare l’allegato D4

Deve essere presentato, sempre in modalità cartacea, solo ed esclusivamente da parte di coloro che chiedono il depennamento da precedenti graduatorie in altra provincia (graduatorie permanenti – 24 mesi o graduatorie/elenchi ad esaurimento provinciali – II fascia).

La richiesta di depennamento si effettua tramite la presentazione dell’allegato D4 e con la compilazione dell’apposita sezione “G” del modello D1.

L’allegato D4, sottoscritto dall’aspirante, va inviato all’Ufficio Scolastico Provinciale della provincia nelle cui graduatorie lo stesso è inserito. La scadenza è sempre l’8 ottobre 2014.

 

Chi deve presentare l’allegato D3

L’allegato D3 di scelta delle istituzioni scolastiche (massimo 30) deve essere trasmesso da tutti coloro che hanno presentato gli allegati D1 o D2.

In mancanza del modello D3, all’aspirante verrà attribuita automaticamente, quale scuola scelta per l’inclusione nella terza fascia, l’istituzione destinataria della domanda D1 o D2.

L’allegato D3 deve essere trasmesso anche da coloro che erano già inclusi nelle precedenti graduatorie di terza fascia per il triennio 2011/2014. Quindi, anche in caso di conferma (allegato D2), l’aspirante deve compilare ex novo, in tutte le sue parti, il modulo per la scelta delle istituzioni scolastiche (allegato D3).

Contrariamente agli altri modelli che sono presentati in modalità cartacea, l’allegato D3 deve essere trasmesso tramite Istanze on-line. La scadenza per la trasmissione non è ancora nota, ma si consiglia comunque, per chi non l’avesse già fatto, di effettuare la registrazione al portale, che prevede anche il riconoscimento fisico presso la segreteria di una scuola. Per coloro che sono già registrati, è opportuno verificare le proprie credenziali.

Tagli, contratto bloccato e ‘Buona Scuola’: anche la Gilda si schiera contro

da La Tecnica della Scuola

Tagli, contratto bloccato e ‘Buona Scuola’: anche la Gilda si schiera contro

Il sindacato ha convocato la direzione e l’assemblea nazionale: vuole realizzare un documento alternativo alle linee guida, ma si parlerà anche di iniziative di mobilitazione contro il progetto del Governo.

In attesa di conoscere l’esito della consultazione nazionale, il progetto del Governo sulla ‘Buona Scuola’ sembra aver trovato le critiche maggiori nelle organizzazioni sindacali: a rompere gli indugi sono state le indiscrezioni degli ultimi giorni sui tagli al personale Ata, si parla di 8mila unità, ma anche sui commissari esterni degli esami di maturità.

Il calendario, già fitto, di scioperi e manifestazioni, che avrà il via il 10 ottobre, si arricchisce giorno dopo giorni di iniziative di risposta. L’ultima, arrivata il 1° ottobre, è quella della Gilda degli insegnanti, che ha convocato la direzione nazionale per venerdì 3, seguita il giorno successivo dall’assemblea nazionale. Il sindacato guidato da Rino Di Meglio, ha intenzione di realizzare un documento da presentare al premier Renzi e al ministro Giannini con all’interno le proposte della Gilda rispetto alle linee guida #labuonascuola: nel contempo, i vertici della Gilda, discuteranno in merito alle iniziative di mobilitazione contro il progetto del Governo.

“Le proposte formulate dalla direzione nazionale saranno poi presentate e votate – spiega lo stesso sindacato degli insegnanti – all’assemblea nazionale, che si svolgerà sabato 4 ottobre a Tivoli e alla quale parteciperanno centinaia di delegati provenienti da tutte le province d’Italia. Alla base del sindacato, dunque, spetterà l’ultima parola sul documento da proporre per la riforma della scuola e sulle azioni di protesta da mettere in campo oltre alla raccolta firme già promossa insieme con gli altri sindacati per sbloccare il contratto”.

Il monito del Consiglio d’Europa: nelle scuole più spazio alla convivenza e più soldi ai prof

da La Tecnica della Scuola

Il monito del Consiglio d’Europa: nelle scuole più spazio alla convivenza e più soldi ai prof

Lo ha chiesto l’assemblea parlamentare di Strasburgo con il rapporto “buona governance e migliore qualità dell’istruzione” del sen. Paolo Corsini (Pd): servono politiche che promuovano la libertà di pensiero e favoriscano l’apertura verso l’altro e lo spirito critico. Ma anche che assicurino stipendi adeguati agli insegnanti in modo da rendere la professione più attrattiva.

Le politiche scolastiche devono prevedere maggiori risorse e qualità. A chiederlo è stata, il 30 settembre, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, attraverso il rapporto “buona governance e migliore qualità dell’istruzione” del senatore Paolo Corsini (Pd).

Nel documento, presentato a Strasburgo, si denuncia che ancora oggi la scuola europea non sarebbe all’altezza delle sfide come crisi economica, disoccupazione, immigrazione, razzismo crescente, che la società sta affrontando. Si chiede quindi agli Stati dell’UE di promuovere politiche scolastiche che lottino contro l’esclusione, che promuovano l’uguaglianza dei sessi, che facciano della scuola uno spazio di convivenza civile, un ambito dove si rispetta la libertà di pensiero e di coscienza, e che favorisce l’apertura verso l’altro e lo spirito critico.

Le nuove politiche dovrebbero anche assicurare stipendi adeguati agli insegnanti in modo da rendere la professione più attrattiva (l’Italia è uno dei Paesi UE che da questo punto di vista sta messo peggio n.d.r.). Oltre che prevedere un tutoraggio dei docenti affinché possano assumere le migliori pratiche di insegnamento. E andrebbero messe in atto procedure per valutare la qualità dell’insegnamento.

Nel rapporto UE si chiede, infine, di fare particolare attenzione alla corruzione in ambito scolastico. Questo, spiega Corsini, ha due risvolti: “Innanzitutto la scuola deve dare gli anticorpi contro la corruzione, per esempio introducendo codici etici, ma bisogna anche assicurare che le risorse finanziarie date per la scuola non siano sottratte dalla corruzione, come può succedere con gli appalti di costruzione dei complessi scolastici”.

Concorso dirigenti: nuove modalità in arrivo

da La Tecnica della Scuola

Concorso dirigenti: nuove modalità in arrivo

Ci sono tempi ben definiti per il nuovo concorso dirigenti. E il Miur dovrà rispettarli. Entro quest’anno, infatti, come previsto dalla scadenza stabilita dalla legge n. 87/2014, verrà pubblicato il decreto con le regole sul nuovo reclutamento dei Dirigenti scolastici e le modalità del corso-concorso, come previsto dall’art. 17, co. 1, della legge n. 128/2013.

Vediamo dunque quali saranno le modalità del nuovo concorso. Secondo Italia Oggi il concorso, come è noto, tornerà ad avere carattere nazionale e sarà affidato alla costituenda Scuola Nazionale dell’Amministrazione. Il Regolamento (con le linee generali ed i requisiti di accesso), sul quale si è avviata la consultazione con i rappresentanti sindacali e le organizzazioni professionali, prevede poi un successivo bando che dettaglierà invece questioni particolari (sottocommissioni, tabella dei titoli, eventuali riserve).
Non si scoprono, in effetti, rilevanti novità. La bozza di Regolamento ha la stessa struttura dell’ultimo concorso con il seguente iter:
* prova pre-selettiva;
* ammissione alle due prove scritte (con le stesse tipologie già utilizzate) di un numero di candidati cinque volte il numero dei posti messi a bando;
* una prova orale;
* una valutazione dei titoli;
* una graduatoria di merito;
* l’ammissione al corso-concorso selettivo di formazione;
* un esame intermedio;
* una graduatoria di merito dell’esame intermedio;
* una attività di tirocinio con esame finale;
* una graduatoria di merito conclusiva.
Riguardo alla specificità delle prove e ai criteri di selezione dei membri delle commissioni vige ancora fitto mistero. Sull’altro pucntum dolens dell’ultimo concorso, la famigerata prova preselettiva, si auspicano temi più attinenti più alla cultura scolastica e professionale, per evitare il ripetersi delle follie del concorso 2011, con il famoso librone su tutto lo scibile umano, da sfogliare e leggere con immediatezza in un’ora, col risultato che molti candidati non riuscirono nemmeno a finire la lettura dei quesiti.

Il nuovo dirigente dovrà essere un manager dell’educazione. “ esperto in progettazione formativa, valutato quindi su competenze, ad esempio, legate a come si costruisce uno staff, come si motiva un gruppo di lavoro, come si distribuiscono le deleghe o come si conduce un ambito collegiale”.
Un’ultima novità: il concorso dirigenti d’ora in poi (!?) dovrà avere cadenza annuale per mandare in pensione l’istituto delle reggenze. Stabilità alla vita della scuola, concorsi a cattedra ricorrenti, concorsi dirigenti secondo il fabbisogno. Sarà davvero questo lo scenario dell’immediato futuro?

Il ruolo del dirigente scolastico nella didattica inclusiva

da La Tecnica della Scuola

Il ruolo del dirigente scolastico nella didattica inclusiva

Facciamo il punto tramite la nota pubblicata dall’Ufficio Scolastico Territoriale di Treviso

Dal materiale di studio pubblicato dall’Ufficio Scolastico Territoriale di Treviso (clicca qui) si vuole riportare uno stralcio riguardante il ruolo del dirigente scolastico nella didattica inclusiva: “Al fine dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità è indispensabile ricordare che l’obiettivo fondamentale della Legge 104/92, art. 12, c. 3, è lo sviluppo degli apprendimenti mediante la comunicazione, la socializzazione e la relazione interpersonale Una progettazione educativa che scaturisca dal principio del diritto allo studio e allo sviluppo, nella logica anche della costruzione di un progetto di vita che consente all’alunno di “avere un futuro”, non può che definirsi all’interno dei Gruppi di lavoro deputati a tale fine per legge.

L’istituzione di tali Gruppi in ogni istituzione scolastica è obbligatoria, non dipendendo dalla discrezionalità dell’autonomia funzionale.

Per tale motivo il Dirigente Scolastico ha l’onere di intraprendere ogni iniziativa necessaria affinché i Gruppi in questione vengano istituiti, individuando anche orari compatibili per la presenza di tutte le componenti chiamate a parteciparvi. Si è integrati/inclusi in un contesto, infatti, quando si effettuano esperienze e si attivano apprendimenti insieme agli altri, quando si condividono obiettivi e strategie di lavoro e non quando si vive, si lavora, si siede gli uni accanto agli altri. E tale integrazione, nella misura in cui sia sostanziale e non formale, non può essere lasciata al caso, o all’iniziativa degli insegnanti per le attività di sostegno, che operano come organi separati dal contesto complessivo della classe e della comunità educante.

È necessario invece procedere secondo disposizioni che coinvolgano tutto il personale docente, curricolare e per le attività di sostegno, così come indicato nella nota ministeriale prot. n. 4798 del 25 luglio 2005, di cui si ribadisce la necessità di concreta e piena attuazione. Per non disattendere mai gli obiettivi dell’apprendimento e della condivisione, è indispensabile che la programmazione delle attività sia realizzata da tutti i docenti curricolari, i quali, insieme all’insegnante per le attività di sostegno e definiscono gli obiettivi di apprendimento per gli alunni con disabilità in correlazione con quelli previsti per l’intera classe.

Date le finalità della programmazione comune fra docenti curricolari e per le attività di sostegno per la definizione del Piano educativo dell’alunno con disabilità, finalità che vedono nella programmazione comune una garanzia di tutela del diritto allo studio, è opportuno ricordare che la cooperazione e la corresponsabilità del team docenti sono essenziali per le finalità previste dalla legge.

A tal riguardo, è compito del Dirigente Scolastico e degli Organi collegiali competenti attivare, nell’ambito della programmazione integrata, le necessarie iniziative per rendere effettiva la cooperazione e la corresponsabilità di cui sopra, attraverso il loro inserimento nel P.O.F. La documentazione relativa alla programmazione in parola deve essere resa disponibile alle famiglie, al fine di consentire loro la conoscenza del percorso educativo concordato e formativo pianificato”.

Giannini: Stabilizzazione dei precari è tra i punti fondanti della Riforma

da tuttoscuola.com

Giannini: Stabilizzazione dei precari è tra i punti fondanti della Riforma

La stabilizzazione dei precari della  scuola “è uno dei punti fondanti, certamente non l’unico né esclusivo, della ‘Buona scuola’“. Lo ha ribadito il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, a margine della presentazione dell’evento ‘Libriamoci’ avvenuta oggi a Bologna. “Stiamo discutendo con tutto il Paese – ha aggiunto il ministro – e siamo a quasi 270 mila contatti sul sito” del Governo collegato alla proposta di riforma e pensato per raccogliere segnalazioni e suggerimenti dagli stessi addetti del settore.

Io e i miei colleghi stiamo girando l’Italia per confrontarci sul progetto che abbiamo costruito e presentato” ha ricordato spiegando che i passi successivi sono noti: “legge di stabilità, risorse assegnate, poi alla fine del percorso, cioè alla fine di gennaio, un decreto legislativo che consenta di arrivare ai provvedimenti, tra cui anche il bando del nuovo concorso, per il quale comunque non c’è  bisogno di un decreto“. “Questa – ha concluso Giannini – sarà l’altra forma di assunzione che finalmente diventerà un processo regolare in  Italia, come è in tutti i Paesi avanzati“.

Il ministro è anche tornato sulla questione della composizione delle commissioni per gli esami di maturità: “Stiamo riflettendo, come avviene ogni anno all’interno del ministero, su quali eventuali migliorie o cambiamenti si possano fare“. Ma “nessuno ha detto che faremo questo sicuramente” ha spiegato Giannini, rimarcando che questo tema “è un elemento di dibattito” all’interno del Miur.

Personalmente – ha però aggiunto – ritengo che la formula di una commissione mista, che non è né una commissione esterna che certifica competenze per l’accesso di un percorso che inizia, né una commissione che conoscendo gli studenti, naturalmente presidiata da un presidente  esterno che nessuno ha mai messo in dubbio, ha la funzione invece di  sintetizzare un percorso di studi, sia la formula scientificamente più valida“.