Per un riordino complessivo del sistema educativo di istruzione

Per un riordino complessivo del sistema educativo di istruzione

Relazione tenuta al convegno sulla “Buona scuola”organizzato in Bologna il 3 novembre 2014
dall’ANDiS – Sezione Emilia Romagna

di Maurizio Tiriticco

tiriticco

Nelle 135 pagine della “Buona scuola” non ho letto nulla di ciò che veramente sarebbe opportuno fare, ovviamente secondo cadenze temporali da definire, per un rinnovamento sostanziale del nostro “SISTEMA EDUCATIVO DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE”. Con tale espressione, infatti, ministri di sinistra e di destra (leggi 30/2000 e 53/2003) hanno voluto ridefinire unitariamente i percorsi di istruzione cosiddetta “generalista”, di competenza dello Stato, e quelli dell’“istruzione e formazione professionale”, di competenza delle Regioni (come si evince dal Titolo V della Costituzione). Quindi, parlare oggi semplicemente di scuola, buona o cattiva che sia, è riduttivo e rinvia esclusivamente a quelle attività che tradizionalmente riguardano solo i soggetti in età evolutiva. Oggi, invece, tutti noi, indipendentemente dall’età, siamo impegnati in processi di apprendimento che ci accompagnano per tutta la vita. Non c’è attività produttiva, oggi, che non richieda conoscenze e competenze sempre nuove, perché processi e tecniche di lavorazione sono in costante evoluzione.
Sono tematiche che oggi trascendono i confini nazionali e concorrono con quanto avviene in materia di istruzione negli altri Paesi, soprattutto quelli dell’Unione europea. Si vedano al proposito la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa alle competenze chiave di cittadinanza per l’apprendimento permanente, e quella del 23 aprile 2008, relativa all’European Qualifications Farmerwork. Ritengo inoltre estremamente necessario che, prima di avviare processi valutativi di sistema, di cui si parla sempre con grande insistenza, occorra invece adoperarsi prioritariamente perché il sistema stesso sia messo in grado di funzionare. E sono note a tutti le difficoltà in cui versa attualmente.
Riassumo in dieci punti quello che nella Buona scuola non ho letto e che, invece, propongo alla riflessione di tutti.
Punto zero). Dalla classe al gruppo. In via preliminare, ritengo che sarebbe opportuno superare, in tempi da definire, lo sviluppo dei percorsi di apprendimento, oggi scandito per classi di età, funzionali più al sistema di promozione/bocciatura, ovvero di premio/punizione, che ad una reale e progressiva promozione del soggetto in apprendimento. Occorrerebbe, invece, istituire gruppi di soggetti in apprendimento intercambiabili secondo tempi e modalità funzionali alle necessità di ciascun soggetto e avviare in parallelo un efficace sistema di recupero precoce, rinforzo e sostegno individualizzati e/o personalizzati. In altri termini – esemplificando con l’istruzione obbligatoria – l’istituzione scolastica autonoma si dovrebbe impegnare a garantire che nel decennio ciascun soggetto possa e debba raggiungere le competenze previste e il suo personale “successo formativo” (dpr 275/99). Ciò in forza sia dell’aggregazione di gruppi ora omogenei ora eterogenei, a seconda delle finalità e degli obiettivi da perseguire, che di interventi mirati alla persona.
1) La generalizzazione della scuola dell’infanzia. Sarebbe opportuna e necessaria una riscrittura di quegli Orientamenti del ’91 che i successivi aggiornamenti, dalla Moratti in poi, non hanno affatto innovato. E’ passata un’intera generazione e l’infanzia di oggi non è quella di ieri. In forza di questo ripensamento, sarebbe oltremodo opportuna un’ampia generalizzazione di questo primissimo grado di scuola su tutto il territorio nazionale e una riflessione sulle azioni da condurre. Tale grado di scuola, dopo i nidi e le classi primavera, dovrebbe avere la durata di due anni (3/4-4/5) in modo da consentire l’accesso a processi di scolarizzazione formalizzata al compimento dei 5 anni di età.
2) Occorre procedere ad una reale attuazione dell’obbligo di istruzione decennale, dai 5/6 anni di età ai 14/15, con relativa certificazione delle competenze di cittadinanza, come richiesto dalla citata Raccomandazione europea del 23/04/2008, e di quelle culturali, come indicate e definite dal dm 139/2007, in corrispondenza con il livello 2 del citato European Qualifications Framework, che il nostro Governo ha fatto proprio (Accordo del 20 dicembre 2012). Il che comporta una rivisitazione dell’intero percorso decennale con la conseguente istituzione di un curricolo verticale continuo e progressivo che vada oltre le attuali separatezze tra scuola primaria, scuola secondaria di primo grado, primo biennio della scuola secondaria di secondo grado: separatezze che discendono da sovrapposizioni normative che si sono realizzate in tempi successivi e che oggi non corrispondono più a quelle esigenze di EDUCAZIONE, FORMAZIONE e ISTRUZIONE, finalizzate a garantire a ciascuno il suo personale SUCCESSO FORMATIVO (dpr 275/99, art. 1). L’anticipo dell’istruzione primaria a 5 anni di età dovrebbe essere sostenuto comunque da iniziative che tengano debito conto dei livelli di maturazione di ogni singolo alunno in forza di una presenza attiva sia di insegnanti dell’infanzia che di insegnanti dell’attuale scuola primaria. L’obbligo di istruzione decennale si concluderebbe a 15 anni di età. Le discipline, offerte gradualmente in modo da tenere debito conto dei livelli di pluridisciplinarità che sono tipici delle prime età infantili, dovrebbero interessare le lingue (madre e straniera/e), i linguaggi non verbali, la progressiva costruzione delle coordinate dello spazio e del tempo (alias geografia e storia), il calcolo. Negli ultimi tre anni (12/13, 13/14, 14/15) dovranno essere attivate forti e incisive attività di orientamento, riorientamento e autoorientamento per consentire un ragionato proseguimento degli studi o l’accesso ad un apprendistato consapevole. Vale la considerazione che non devono più esistere scelte condizionate da situazioni familiari pregresse, in quanto ogni scelta presume l’acquisizione di conoscenze e competenze di alto profilo, pur se legate al livello di età dell’adolescente, necessarie anche per l’accesso all’apprendistato di primo livello (dlgs 167/2011).
3) Istituzione di un’istruzione secondaria triennale e la conclusione degli studi a 18 anni di età con conseguente rivisitazione dei curricoli, delle discipline di insegnamento e delle discipline che costituiranno materia della certificazione delle competenze conseguite dall’alunno, in corrispondenza con il livello 4 del citato Quadro Europeo delle Qualifiche. La riduzione di un anno dovrà comportare la rivisitazione e una ridistribuzione delle discipline di insegnamento dei tre anni del percorso nell’ottica di mirate attività elettive che costituiranno l’oggetto della certificazione finale.
4) Ne consegue un superamento dell’attuale separatezza culturale dei tre percorsi di istruzione secondaria di secondo grado, in forza della quale, com’è noto, le iscrizioni degli alunni avvengono più in forza della loro estrazione sociale che delle loro reali motivazioni e aspettative. Tutti i percorsi sono di pari dignità e si svolgono all’interno di istituti di istruzione comprensivi di secondo grado che offrono una pluralità di curricoli: ciascuno sarà costituito di poche discipline caratterizzanti opzionali ed elettive, in grado di essere effettivamente motivanti. L’esame terminale dovrà essere centrato sull’accertamento e sulla certificazione delle competenze da ciascun alunno conseguite nelle attività elettive. Tale certificazione consentirà sia l’accesso a studi ulteriori (università, istruzione tecnica superiore, altro) che al mondo del lavoro e all’apprendistato di secondo livello (dlgs 167/2011).
5) Generalizzazione di attività di alternanza scuola-lavoro in tutti i percorsi del triennio degli studi secondari.
6) Formazione continua in servizio degli insegnanti perché l’insegnamento/apprendimento sia fondato essenzialmente su attività laboratoriali che pongano al centro l’iniziativa attiva, motivata e consapevole dell’alunno.
7) Rivisitazione delle modalità di attuazione delle attività di insegnamento/apprendimento concorrenti tra istruzione generalista, di competenza dello Stato, e istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni, in regime di sussidiarietà complementare e/o integrativa. Si tratta di rendere più efficaci e più produttivi quei percorsi che comportano il conseguimento sia delle qualifiche triennali (livello terzo dell’EQF) che dei diplomi di qualifica quadriennali (livello quarto dell’EQF).
8) Impegno per una estensione generalizzata dei Poli tecnico-professionali e degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) che consentirebbero a tanti diplomati del secondo ciclo specializzazioni mirate, anche perché i corsi sono organizzati in stretto concorso con le attività produttive del territorio.
9) Impegno per una incentivazione e generalizzazione dei Corsi di istruzione per gli adulti (CPIA), nella consapevolezza che l’istruzione degli adulti costituisce momento attivo e permanente dello sviluppo e del consolidamento della cittadinanza attiva e che in tale materia il nostro Paese è la cenerentola dei Paesi industrializzati.
10) Impegno per giungere a un esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione con cui si certifichino le competenze acquisite dai candidati. Il che dovrà comportare una revisione profonda delle procedure d’esame in quanto accertare e certificare il raggiungimento di date competenze pluridisciplinari perseguite nel percorso triennale (15/16, 16/17, 17/18 anni di età) va oltre la consueta verifica e valutazione delle conoscenze acquisite. Occorrerà anche centrare l’esame su determinate discipline caratterizzanti e sulle quali si sia preventivamente esercitata l’opzione dello studente, come già avviene in altri Paesi europei. Il che consentirà di liquidare quell’enciclopedismo di maniera per cui un candidato è tenuto a rispondere su tutte le discipline dell’ultimo triennio senza che sia considerata una sua eventuale vocazione. Occorrerà anche considerare l’opportunità o meno di conservare il valore legale del titolo di studio.
Per quanto riguarda la prossima tornata di esame, ancora una volta la certificazione delle competenze non verrà effettuata. Ingenuamente pensavo che con gli esami del 2015, completandosi il riordino dell’intero secondo ciclo, avviato con l’anno scolastico 2010/11, l’obiettivo della certificazione delle competenze, che la stessa legge 425/97 sancisce, venisse finalmente proposto e raggiunto.
E un‘amministrazione avveduta avrebbe dovuto muoversi su questa strada! Ma ciò non è avvenuto! Così i risultati di apprendimento degli studi liceali, di cui all’allegato A del dpr 89/2010, relativo alle Indicazioni nazionali per i licei, non saranno affatto considerati. Né saranno testate le competenze terminali chiaramente indicate, definite e descritte nelle Linee guida degli istituti tecnici (dpr 88/2010) e in quelle degli istituti professionali (dpr 87/2010).
Ancora un volta un obiettivo di questo tipo, che dovrebbe riqualificare l’intero nostro sistema di istruzione, viene disatteso. E rinviato alle calende greche! Ancora una volta la nostra amministrazione non ha saputo prendere in carico questa questione. E nella nostra scuola le competenze chissà per quanto tempo ancora saranno un’araba fenice! Così i nostri studenti continueranno a non sapere che cosa veramente sanno fare! E il mondo del lavoro aspetta! E anche l’Europa, come si suol dire, aspetta! E aspetta anche il mondo intero, stante il fatto che i nostri giovani sempre più sono costretti a cercare lavoro all’estero! Ma è difficile che possano trovarlo agevolmente perché, ancora una volta, il titolo di studio che produrranno non certifica assolutamente nulla!

Libro dei perché

LIBRO DEI perché di Umberto Tenuta

CANTO 287

IL LIBRO DEI perché

Erano gli anni ’70 e nelle Scuole elementari di Tramonti (SA) era generalizzato l’uso di due libri del grande psicologo GUIDO PETTER:

COME QUANDO perché

RACCONTI PER UN ANNO

Dirò del Primo.

 

Vent’anni di innovazione della scuola italiana, in particolare della Scuola Primaria, la quale recepiva, seppure con ritardo, la ventata innovativa dell’Attivismo pedagogico.

COME QUANDO perché, un sussidiario all’insegna della ricerca, scoperta, costruzione dei saperi.

Con tutto quel che ne consegue rispetto al ruolo dei docenti, all’attività degli studenti, all’utilizzo degli strumenti didattici…

Gli insegnanti non insegnavano più.

Aiutavano gli alunni a ricercare, scoprire, inventare, costruire i saperi.

Tutto nasceva da un PERCHé, da un COME, da un QUANDO.

I COME, i QUANDO, i PERCHé dovevano essere quelli dei fanciulli, stimolati ad esprimere le loro curiosità: i loro PERCHé, i loro COME, i loro QUANDO.

La Conchiglia Tramontina era il loro SUSSIDIARIO.

La Geografia dei monti che racchiudono la conchiglia tramontina: monte Cerreto, Foce di Cava…

La STORIA delle abitazioni: Pagliai di pastori, Ruderi di case abbandonate, muri antichi di case, di chiese e di conventi…

La GEOMETRIA del Triangolo di mare che dalla Conchiglia appare.

L’ARITMETICA dei petali di fiori…

La LINGUA ITALIANA e la LINGUA INGLESE dei docenti da assimilare come il dialetto materno.

Maestra, come si dice in Italiano SCUORPURU?

E la Maestra Elena fa costruire il VOCABOLARIO TRAMONTINO- ITALIANO.

L’ARTE?

MUSICA dei zufoli dei pastori.

DANZA, che DANZA della Maestra Barilone!

DISEGNO, macchè!

PITTURA con i pennarelli e le tempere di terra e di vinavil.

E poi, la Ceramica Vietrese, la Ceramica Amalfitina!

La Maestra Zagaria se ne va alla CERAMICA VIETRESE per un mese, di pomeriggio.

Il FORNO?

Bè, una raccomandazione anch’io, Direttore senza macchia, questa volta la chiedo, per la scuola!

I fondi il MIUR ci dà ed il forno eccolo là, nel piano seminterrato che il lungimirante Sindaco Alfredo Mandara ci dà.

E le SCIENZE?

Il Laboratorio dei PERCHé!

Esperimenti con gli strumenti delle Sorelle Agazzi.

La BOTANICA degli Orti e la ZOOLOGIA dei lombrichi e delle pecore…

Oh Pizzigoni, quanti doni ci fai tu!

COME QUANDO perché?

Il Sussidiario col sussidio della Conchiglia tramontina!

Erano gli ANNI 1970.

Quanto tempo è passato, quante innovazioni la Scuola ha realizzato!

Eccoci qua.

La BUONASCUOLA è la Scuola dei PERCHé.

Ora come allora.

Davvero?

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

Specializzazioni Medicina: Trovata soluzione

Specializzazioni Medicina, Giannini: “Trovata soluzione, salve le prove del 29 e 31 ottobre”

(3 novembre 2014) “Le prove per l’accesso alle Scuole di specializzazione in Medicina del 29 e 31 ottobre non dovranno essere ripetute. Abbiamo trovato una soluzione che ci consente di salvare i test”. Lo annuncia il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini che oggi ha riunito a Roma la Commissione nazionale incaricata questa estate di validare le domande del quiz. La Commissione ha vagliato i quesiti proposti ai candidati per l’Area Medica (29 ottobre) e quella dei Servizi Clinici (31 ottobre) stabilendo che, sia per l’una che per l’altra Area, 28 domande su 30 sono comunque valide ai fini della selezione. I settori scientifico-disciplinari di ciascuna Area sono infatti in larga parte comuni.

A seguito di un confronto avuto con l’Avvocatura dello Stato e del verbale della Commissione si è deciso di procedere, dunque, con il ricalcolo del punteggio dei candidati neutralizzando le due domande per Area che sono state considerate non pertinenti dal gruppo di esperti. “Questa soluzione – spiega Giannini – è il frutto di un approfondimento che ho richiesto da sabato convocando la Commissione nazionale e interpellando l’Avvocatura dello Stato per tutelare gli sforzi personali e anche economici dei candidati e delle loro famiglie a seguito del grave errore materiale commesso dal Cineca”, conclude il Ministro.

Specializzazioni mediche, rilevato errore Cineca: invertite le prove del 29 e 31 ottobre
Il 7 novembre ripetizione dei 30 quiz ‘generalisti’ dell’Area Medica e dei Servizi Clinici

(1 novembre 2014) Si sono svolte fra il 28 e il 31 ottobre le prove scritte del primo concorso nazionale per l’ingresso alle Scuole di specializzazione in Medicina. Alla selezione si sono iscritti 12.168 candidati distribuiti in 117 sedi e 442 aule messe a disposizione dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Nella serata di ieri, a seguito dei controlli di ricognizione finali sullo svolgimento dei test, il Miur ha rilevato una grave anomalia nella somministrazione delle prove scritte del 29 e 31 ottobre che riguardavano rispettivamente le scuole dell’Area Medica e quelle dell’Area dei Servizi Clinici.

Il Miur ha immediatamente chiesto un approfondimento al Cineca, il Consorzio interuniversitario incaricato di somministrare i test, che, tramite lettera ufficiale inviata al Ministero ieri sera alle ore 20.52, ha ammesso “un errore nella fase di codifica delle domande durante la fase di importazione” di queste ultime nel data-base utilizzato per la generazione dei quiz. A causa di questo errore sono stati invertiti i quesiti delle prove del 29 ottobre con quelli del 31 ottobre. L’inversione ha riguardato esclusivamente le 30 domande comuni a ciascuna delle due Aree, Medica e dei Servizi Clinici. Nessuna anomalia invece nei 10 quesiti specifici per ciascuna tipologia di Scuola. Così come non si registrano problemi nelle prove del 28 ottobre (quella con i 70 quiz comuni a tutti i candidati) e del 30 ottobre (quella dell’Area Chirurgica).

Il Miur, preso atto di quanto accaduto, ha stabilito di annullare e ripetere le prove oggetto dell’errore determinato dal Cineca, ovvero i 30 quiz comuni all’Area Medica e i 30 comuni all’area dei Servizi Clinici. Sono 8.319 i candidati che hanno sostenuto le prove di tutte e due le Aree, 2.125 hanno affrontato esclusivamente l’Area Medica e 798 solo quella dei Servizi Clinici. Tutti i candidati che si sono trovati a sostenere una prova invertita saranno chiamati a ripeterla. Lunedì il Ministro Stefania Giannini firmerà il decreto che dispone l’annullamento delle sole prove oggetto di inversione e l’indizione di quelle nuove. I quiz annullati saranno ripetuti il 7 novembre prossimo in un’unica giornata e nelle sedi già utilizzate il 29 e 31 ottobre. Il Miur in queste ore sta avvisando tutti i candidati attraverso il sito riservato utilizzato dai partecipanti per l’iscrizione ai test e attraverso il portale www.universitaly.it.

La “settimana calda” della disabilità: tre manifestazioni in quattro giorni

da Redattore Sociale

La “settimana calda” della disabilità: tre manifestazioni in quattro giorni

Si inizia domani, con il Comitato 16 novembre che torna in piazza a chiedere 1 miliardo per la non autosufficienza e un Piano nazionale. Lo steso giorno, Fish e Fand incontrano il ministro Poletti. Il 5 tocca a Tutti a scuola, l’8 ai malati rari

ROMA – Il mese di novembre si apre con una settimana “calda” per la disabilità: tre manifestazioni in tre giorni, a Roma, promosse da diverse associazioni. E, in più, altre associazioni sedute al tavolo con il ministro Poletti, per discutere e provare a raggiungere un accordo sul tema critico del Fondo non autosufficienza. Si inizia domani, con il doppio appuntamento in piazza e nel palazzo: in presidio, sotto il ministero delle Finanze, ci sarà il Comitato 16 Novembre, a rivendicare un miliardo di euro da destinare al fondo e, soprattutto, un Piano nazionale per la non autosufficienza, finalizzato alla domiciliarità. Il comitato ha declinato l’invito del ministro del Lavoro Poletti, che ha convocato le associazioni, per il primo pomeriggio, proprio sulla questione del Fondo per la non autosufficienza. Invito accolto, invece, dalle associazioni Fish e Fand, che pure, nei giorni passati, hanno lanciato l’allarme per l’ulteriore taglio previsto dalla legge di stabilità, minacciando una mobilitazione qualora le loro richieste non fossero accolte.

Il giorno successivo, il 5 novembre, sarà invece la volta di Tutti a scuola, l’associazione di genitori di alunni disabili capitanata da Toni Nocchetti, che si dà appuntamento in piazza Montecitorio “per costringere una politica muta, sorda e cieca a occuparsi dei disabili” e per consegnare al governo le lettere dei genitori. Tante le carenze denunciate dall’associazione, in ambito di inclusione scolastica: insufficienza del sostegno, inadeguatezza delle strutture, mancanza di continuità didattica.

Appena tre giorni dopo, l’8 novembre, di nuovo la disabilità scenderà in piazza, questa volta con la “Via crucis dei malati rari”, da piazzale Numa Pompilio a piazza Castellani: una marcia “laica e pacifica in sette tappe”, promossa dal Movimento italiano malati rari, per denunciare le carenze e le criticità del Piano nazionale, approvato il 16 ottobre scorso dalla Conferenza Stato-Regioni. “Il nuovo piano è infatti ricchissimo di buone intenzioni – spiega il presidente del Mir, Claudio Buttarelli – ma completamente privo di impegni ‘definiti’ sia nei tempi di realizzazione che di individuazione di risorse da allocare per il raggiungimento degli obiettivi”.
Appuntamenti diversi, quindi, con associazioni diverse e ragioni in parte differenti, ma un forte denominatore comune: la richiesta di un’attenzione reale e concreta alla disabilità e risposte adeguate ai bisogni e ai problemi che questa pone ai malati e alle loro famiglie. Un denominatore comune che, secondo qualcuno, sarebbe dovuto bastare per costruire un’azione condivisa, in cui unire le forze per far sentire più forte la propria voce. “Tre manifestazioni  in quattro giorni – commenta Maria Simona Bellini, presidente del Coordinamento famiglie disabili gravi e gravissime – Tutti ben divisi tra diverse patologie e altrettanto diverse associazioni, tutti convinti probabilmente che il proprio diritto è più diritto degli altri, che le proprie richieste sono più giuste di quelle degli altri”. (cl)

Bisogni Educativi Speciali per Scuola Secondaria

British Council Milano. Seminario Bisogni Educativi Speciali per Scuola Secondaria

Il seminario si svolgerà in lingua inglese. Durante la sessione di domande e risposte sarà possibile porre eventuali domande in italiano.
Phil Dexter è un consulente per la formazione docenti del British Council, l’ente britannico per le relazioni culturali, presso il quale ricopre la carica di responsabile per la sfera dei bisogni educativi speciali per la scuola primaria e secondaria.
Il seminario è rivolto principalmente al personale dirigente e docente della scuola secondaria, ai genitori e a tutti coloro che in Lombardia sono interessati al tema dei Bisogni Educativi Speciali e dell’inclusione.
MERCOLEDÌ 12 NOVEMBRE 2014 15:30-17:30
COLLEGIO SAN CARLO, MILANO
Ingresso gratuito su prenotazione.
Per iscriversi http://www.britishcouncil.it/events/seminario-bisogni-educativi-speciali-scuola-secondaria
– Corso online modulare sugli Special Educational Needs

Le Regioni e la Buona Scuola

LE REGIONI E LA BUONA SCUOLA

di Gian Carlo Sacchi

Di solito i pareri o le intese sono documenti molto stringati e mirati ai singoli problemi ed è quindi difficile cogliere la posizione delle Regioni in materia scolastica. Quanto restituito al Governo sulla “buona scuola” è qualcosa di più articolato che ci da modo di intravvedere una posizione più complessiva, e, quello che più ci interessa, ci permette di considerare l’evoluzione dei rapporti tra i due versanti, statale e regionale, che ancora oggi non hanno scelto tra autonomia e centralismo.

Di tutti gli argomenti di cui si occupa la Conferenza delle Regioni in risposta alle sollecitazioni governative ci limitiamo a considerare quelli della governance, più legati all’impianto istituzionale, da sempre ondivago, alla base del quale ci sono le questioni finanziarie e di gestione del sistema a livello nazionale e locale.

Non vogliamo andare molto indietro nel tempo per recuperare i termini di questo dialogo tra sordi: ci basti constatare che nel periodo di maggiore discussione su questi temi, quello cioè tra le due riforme costituzionali, del 2001 e l’attuale appena avviata, ad un’azione politica assai arrogante del governo centrale, che non ha mai dato seguito alle modifiche istituzionali richieste dalla riforma del Titolo Quinto, ha corrisposto una enorme debolezza delle Regioni che non solo non hanno mai rivendicato in modo energico e organico le proprie prerogative in materia, poche infatti sono quelle che hanno legiferato sull’argomento, ma si sono limitate ad agire di rimessa, in una posizione di perenne sudditanza.

Insomma ogni volta che c’era uno spazio le regioni non sono andate più di in la di ricercare, quando non vi erano costrette, un’intesa, e quando timidamente avanzavano qualche proposta regolamentare , rimaneva lettera morta, non si usciva nemmeno dalla Conferenza stato- Regioni per la decisa opposizione del ministero, qualunque fosse la maggioranza politica in quel momento in auge.

Altro che federalismo, che tra alterne vicende propagandistiche e referendarie, poteva anche essere una strada per dare piena espressione alla riforma degli enti locali del 1990 ed a quella della pubblica amministrazione del 1997, nella quale fu “riconosciuta” l’autonomia scolastica e venne conferita loro la personalità giuridica.

Da come le cose si sono sviluppate potremmo dire che niente può ostacolare la burocrazia dei ministeri (vedi la spending review quanto poco ha colpito a centro e quanto nelle periferie) e la scarsità delle risorse porta le regioni a non farsi avanti per paura che lo stato scarichi le competenze e i debiti. Qualche modifica nel senso di una finanza decentralizzata fu tentata con le politiche di bilancio del secondo governo Prodi; gli enti locali però quasi non raccolsero e quando ci fu da organizzare la governance delle autonomie scolastiche sul territorio, le regioni si limitarono a pochi interventi formali del tutto marginali.

L’autoregolamentazione delle scuole autonome poteva trovare nelle regioni stesse un punto d’appoggio per spostare il baricentro verso un “sistema delle autonomie”, invece oggi è chiaro che sono una realtà politica che dialoga con un’entità amministrativa quale l’Ufficio Scolastico Regionale, che è ancora quello che nomina i commissari ad acta per coloro che si discostano dalle norme e obbedisce al ministero centrale. Esso infatti si rinforza con l’ultima versione del Titolo Quinto, ma soprattutto con l’immagine neoimperialista degli attuali governanti. Ci sarà molto da fare nei prossimi mesi per riorganizzare gli enti territoriali, dopo l’abolizione delle province e con l’introduzione del nuovo Senato, ma tutto questo sarà un diversivo per distogliere dalle vere battaglie, quelle per i poteri locali.

La scuola non cambierà e forse non vuole cambiare: la Minerva rimarrà sempre il faro nazionale, se mancano le risorse forse sarà meglio introdurre i bond o l’8 per mille.

Si è data la colpa al contenzioso presso la corte costituzionale per eliminare la “legislazione concorrente”; nel settore dell’istruzione le sentenze sono state veramente poche; alcune cercavano di far fronte ai tagli di personale e della rete scolastica messe in campo da certi ministri ed una sola ha ridisegnato il sistema e a ben guardare si poteva prendere ad esempio per fare un decisivo passo sull’applicazione del precedente titolo quinto, ma si è preferito modificarlo di nuovo anziché applicarlo. Diminuendo le materie di competenza regionale non è detto che si elimini il contenzioso sul piano qualitativo.

La legislazione concorrente dunque non c’è più (quella che cioè diceva che l’ultima parola nel governo del sistema era delle regioni), resta la leale collaborazione, che c’era anche prima, ma a giudicare dai fatti di leale c’è stato ben poco. Per leale le Regioni timidamente intendono le intese, ma in sede di riforma costituzionale si prevede quasi esclusivamente i pareri. E il senato cosa farà ? Farà l’eco alla Camera e questa a sua volta esaminerà perlopiù provvedimenti governativi, compresa l’eventuale attribuzione di maggiori poteri alle regioni stesse.

Auspicabile che le Regioni nel loro documento parlino di governance condivisa, anche per evitare duplicazioni e sovrapposizioni, ma queste situazioni si risolvono se ogni livello avesse un proprio compito e vi fossero adeguati strumenti di coordinamento e di sussidiarietà, compreso il così detto finanziamento “multilivello”; se invece si gestisce tutto dal centro le diversità dei territori diventano elementi di sperequazione e di inefficienza.

Ci sono due pezzi di governance che devono essere rifondati e collegati: quello top down del decentramento delle competenze fino ad arrivare alle scuole e quello bottom up che vede la riforma dei così detti organi collegiali, fino ad arrivare ad un consiglio nazionale per la rappresentanza dell’autonomia scolastica. Qui le idee non sono chiare, o meglio, ancora una volta prevale un atteggiamento gattopardesco; staremo a vedere cosa ci suggerirà la consultazione in atto, se e quando al di la dei titoli e dei twitt si potranno esaminare rapporti e concrete proposte.

Com’è noto l’enfasi in questo momento è posta sulla valutazione; è il miur che predispone tutto tranne quello che serve e cioè i “livelli essenziali delle prestazioni” e gli standard (che non sono le indicazioni nazionali) che definiscono il range di trasparenza e di efficacia del sistema. Che vi sia l’individuazione condivisa di tali obiettivi le Regioni lo chiedono, ma anche qui bisognerà vedere se verrà loro attribuito un ruolo di rappresentanza del territorio o semplicemente di organizzazione della rete scolastica. E’ interessante il lavoro predisposto sul riparto degli organici, che però non ha trovato alcun riscontro in sede ministeriale: non si passa per ora con gli organici di istituto, di rete e sulla flessibilità nell’uso del personale sulla base delle reali esigenze territoriali.

Una maggior corrispondenza di amorosi sensi parrebbe esserci sul versante del rapporto tra studio e lavoro nella riaffermazione degli istituti superiori e delle relative fondazioni, nell’apprendistato, anche se non sappiamo bene ancora che fine farà la formazione nel decreto governativo sul job act, nelle esperienze regionali di istruzione e formazione professionale (IeFP). Ci si sarebbe aspettato anche per queste ultime una proposta di riorganizzazione dell’intero settore che comprendesse anche gli istituti professionali di stato, una novità, istruzione e formazione, che la costituzione assegna esclusivamente alle regioni.

La situazione è confusa se pensiamo agli intrecci tra gli istituti statali e i centri formativi regionali. E’ l’occasione per costruire anche in Italia il doppio canale alla tedesca, al quale tanto si guarda con invidia, ed invece finirà che ci si limiterà ad un angusto percorso di seconda scelta le cui criticità, compreso l’abbandono, finiranno per non soddisfare nemmeno la sola occupabilità, mettendo a rischio il successo formativo. Qui ad esempio ci sarebbe un gran bisogno di politiche per l’orientamento, per il quale non esiste una normativa ad hoc e che per tradizione costituisce un obiettivo pedagogico delle scuole.

C’è bisogno più che mai di un sistema “integrato” stato-regioni, anzi di un nuovo contenuto su base regionale che identifichi non attraverso intese burocratiche e difficili convergenze di diversi strumenti di governo, il nuovo contenitore costituzionale: istruzione e formazione professionale. Si sa che in questo settore esistono finanziamenti europei in particolare per le regioni della così detta convergenza, ma anche qui i progetti languono.

Questa breve carrellata per evidenziare lo stato del regionalismo nel nostro Paese; forse la mala politica di questi tempi consiglia di abbassare i toni, ma si vuol sapere a chi interessa ancora il tanto declamato federalismo.

“In Italia si può parlare di regioni non come una burocratica divisione del territorio, ma come di una ragione geografica, storica e morale, come una realtà esistente e vivente nell’unità nazionale….Il compito degli organi centrali dello stato sia soltanto di direzione, coordinamento e vigilanza….Le regioni siano un organo di decentramento amministrativo e di rappresentanza politica di interessi locali”. Lugi Sturzo in un discorso del 1921.

Un regionalista (meridionalista, ma non assistenzialista) convinto sosteneva che il “decentramento amministrativo rafforza l’unità nazionale, invece nel centralismo si trovano difficoltà maggiori di funzionalità e di rispondenza ai bisogni….L’attività delle amministrazioni locali non è semplicemente soggetta e attribuita, ma libera e responsabile”.

C’è forse più bisogno di maturazione che di rottamazione !

Accesso all’informazione: esposto contro la Camera dei Deputati

Accesso all’informazione: esposto contro la Camera dei Deputati

Da oltre dieci anni sono vigenti in Italia disposizioni (Legge 9 gennaio 2004, n. 4 e seguente regolamentazione tecnica) che impongono, fra l’altro, che le Pubbliche Amministrazioni forniscano informazioni in modo che siano accessibili e fruibili a tutti i Cittadini.

La stessa Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge 3 marzo 2009, n. 18, afferma e sottolinea il diritto all’accesso all’informazione. Secondo l’articolo 21 le persone con disabilità hanno diritto a ricevere informazioni su base di uguaglianza. Quando ciò non accade la discriminazione è evidente.

Nonostante ciò ancora oggi, che pur sono disponibili soluzioni tecnologiche diffuse e gratuite, molti siti istituzionali sono ancora inaccessibili alle persone non vedenti o ipovedenti e spesso sono scarsamente fruibili da chiunque.

Un esempio evidente FISH lo ha riscontrato nel sito della Camera dei Deputati. Il testo del disegno di legge di stabilità, pubblicato nel sito ufficiale, non risponde ai più elementari requisti (condivisi a livello internazionale) di accessibilità. Ma di questo se ne accorge chiunque abbia tentato di consultare il testo a disposizione: esso è una scannerizzazione che impedisce una ricerca testuale, ad esempio, nelle tabelle di bilancio.

Ancora più grottesca l’inaccessibilità della VII Relazione sullo stato di applicazione della Legge 68 in materia di collocamento lavorativo delle persone con disabilità.

FISH ha quindi provveduto ad inviare un circostanziato esposto/segnalazione all’Agenzia Italia Digitale (AgID), organismo, istituito presso la Presidenza del Consiglio, che svolge anche attività di controllo e che ha predisposto uno specifico percorso di segnalazione per queste situazioni (http://www.agid.gov.it/amministrazione-digitale/accessibilita/segnalazione-siti-inaccessibili).

L’AgID, che certamente rileverà la fondatezza della segnalazione FISH, dovrà chiedere alla Camera l’adeguamento dei servizi erogati, assegnando un termine non superiore a 90 giorni per adempiere. Seguiremo l’evolversi del procedimento.

In un’epoca di digitalizzazione spinta, di enfatizzazione della Pubblica Amministrazione digitale e di open data, le persone con disabilità non possono rimanere ancora una volta escluse e discriminate.

Le pagine e i documenti segnalati sono visibili ai seguenti indirizzi:

Disegno di legge di stabilità 2015
http://www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0025820

Relazione sullo stato di attuazione della legge 68/1999 sul collocamento al lavoro delle persone con disabilità
http://www.camera.it/leg17/491?idLegislatura=17&categoria=178&tipologiaDoc=documento&numero=001&doc=pdfel

HOMO DIVERSAMENTE SAPIENS

HOMO DIVERSAMENTE SAPIENS
come la Rete modifica la vita

convegno
Lunedì 10 novembre 2014
Porta Futuro
via Galvani, 108 – Roma
9.30 – 18.30

La rivoluzione digitale nella quale siamo immersi travolge anche la scuola.
Non ci troviamo più di fronte al dibattito sull’uso della tecnologia, né si
tratta di schierarsi sull’uso o meno di uno strumento. I termini della questione
possono riassumersi in una sola parola che, letteralmente, avvolge
la nostra vita e la trasforma: Rete. Rete delle conoscenze, delle informazioni,
delle relazioni e dei rapporti tra le persone.
Lo scopo di questo convegno è quello di indagare gli scenari che si aprono
davanti a noi e i territori sconosciuti, le problematiche inedite che la rivoluzione
digitale ci spalanca davanti.
Come si modifica il processo conoscitivo (percezione, attenzione, riflessione,
apprendimento, ecc…)? come cambiano la lettura e la scrittura, quali
caratteristiche hanno gli ambienti di formazione in rete? nel campo dell’estetica,
come cambiano fruizione e produzione nelle arti visive, nella musica
ecc? e la creatività – quell’aspetto fondamentale del pensiero umano
che si esprime nelle scoperte scientifiche e nelle opere d’arte – come viene
influenzata dallo sviluppo del web?
La Rete entra pesantemente nella vita di relazione degli esseri umani e,
oltre a determinare nuove patologie (dipendenza da web, cyber-bullismo,
ecc), realizza anche una virtualizzazione o semi-virtualizzazione delle relazioni
affettive ancora tutta da osservare.
Anche la politica e il mondo del lavoro utilizzano uno strumento unico nella
sua capacità di sconvolgere i tradizionali riferimenti spazio-temporali e
offrono modalità comunicative mai sperimentate in precedenza per cui, dal
web, sono nati movimenti politici, consultazioni referendarie, sostegni a
rivolte popolari. In modo ancora più ampio si pongono nuove domande sul
significato attuale della democrazia e della privacy.
Tutto questo pone in primo piano l’esigenza di un’etica adeguata a questo
nuovo scenario, la formazione degli insegnanti dovrebbe tenerne conto, la
scuola dovrebbe perseguire più che mai le sue finalità: stimolare lo spirito
critico e promuovere il pensiero libero e profondo.
In questo convegno cercheremo di individuare insieme una nuova mappa
all’interno della quale gli insegnanti possano sviluppare la loro riflessione
in questa direzione.

per partecipare scrivere a: cidiroma@cidiroma.it
Il CIDI è soggetto qualificato per l’aggiornamento (DM 8.06.2005), su richiesta verrà
rilasciato attestato di partecipazione.

Cidi di Roma (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti di Roma)
Piazza Sonnino 13
Tel.: 065881325
E-mail: cidiroma@cidiroma.it
www.cidiroma.it
https://www.facebook.com/pages/Cidi-di-Roma/309030582573043

Nelle scuole italiane rapporto alunni-docenti ancora troppo elevato

da Il Sole 24 Ore

Nelle scuole italiane rapporto alunni-docenti ancora troppo elevato

di Alessia Tripodi e Claudio Tucci

I dati rivelano un’alta incidenza delle cosiddette «classi pollaio»

Nelle classi italiane il rapporto alunni-docenti è ancora troppo elevato. Un quadro che aumenta l’incidenza delle cosiddette «classi pollaio», influenzando negativamente la gestione del tempo didattico e i livelli di apprendimento e aumentando la distanza con gli altri Paesi europei, che in generale vantano performance decisamente più brillanti.

Gli ultimi dati ufficiali fotografano una situazione piuttosto articolata, e per questo il percorso di evoluzione del sistema scolastico delineato da «La Buona Scuola» potrebbe essere un’occasione per correggere le storture.

Primaria
Alla scuola primaria, l’ex elementari, il numero totale di classi è 138.689. La media nazionale alunni per classe è di 18,8. Quindi circa 19. Ebbene c’è un 7% (9.500 classi) che vanta un numero di alunni inferiore a 10 e uno 0, 06% (80 classi) con oltre 29 iscritti (cosiddette “classi pollaio”). Cinquanta classi hanno più di 30 alunni, 11 più di 31. Due classi hanno più di 35 alunni.

Medie e superiori
Alle medie la situazione non cambia. Ci sono 78.784 classi e la media nazionale è di 21,2 alunni per classe, le classi con meno di 10 iscritti sono il 2% (circa 1.700 unità) e quelle «pollaio», cioè con oltre 29 alunni, lo 0,6% (circa 500). Nelle superiori, invece, il numero di classi è 123.540, e il valore medio è di 20 alunni per classe, la percentuale di aule che ospitano meno di 10 ragazzi è pari al 6% (7.600), mentre quelle con oltre 29 arrivano al 3% (circa 3.800).

Edilizia scolastica, dal 2015 interventi finanziabili anche con l’8 per mille

da Il Sole 24 Ore

Edilizia scolastica, dal 2015 interventi finanziabili anche con l’8 per mille

di Giuseppe Latour

Dal Consiglio dei ministri via libera al regolamento attuativo della legge di stabilità 2014 che amplia la platea dei beneficiari del bonus

Anche la manutenzione degli edifici scolastici sarà finanziabile tramite l’otto per mille. Diventa finalmente operativa la novità prevista dalla legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013, articolo 1, comma 206). Il regolamento che modifica le regole attualmente esistenti in materia, allargando il perimetro del bonus, è infatti appena stato approvato dal Consiglio dei ministri, dopo il via libera delle commissioni parlamentari competenti e del Consiglio di Stato. Con le prossime dichiarazioni dei redditi relative al 2014, insomma, sarà disponibile anche questa alternativa.

Le novità
Con la legge di stabilità 2014, nello specifico, è stata introdotta una quinta tipologia di beneficiari ai fini della ripartizione dell’otto per mille Irpef che si aggiunge ai quattro già previsti: fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali. Si tratta degli interventi di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili adibiti all’istruzione scolastica, di proprietà dello Stato e degli enti territoriali. Per effetto di quella disposizione, è stato predisposto un regolamento da parte della presidenza del Consiglio dei ministri, allo scopo di adeguare alla novità le regole attualmente esistenti in materia (Dpr n. 76/1998).

Gli interventi ammessi
Il nuovo provvedimento include otto articoli. Vengono definiti gli interventi ammessi a partecipare alla detrazione, inserendo anche quelli su edifici pubblici ad uso scolastico e quelli che presentino particolare interesse storico e artistico, «considerati nell’ambito della categoria conservazione dei beni culturali». Vengono individuati i criteri per l’ammissibilità degli interventi: oltre all’eccezionalità, necessità ed urgenza, il principio della concentrazione, «volto ad evitare la dispersione di risorse». Nel testo sono presenti anche i moduli di domanda per le nuove tipologie di interventi. E le indicazioni per le Commissioni tecniche che devono predisporre le valutazioni in merito alle domande.

Legittimo vietare alle paritarie di costituire intere sezioni ex novo

da Il Sole 24 Ore

Legittimo vietare alle paritarie di costituire intere sezioni ex novo

di Andrea Alberto Moramarco

Nella fase transitoria di passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento scolastico va esclusa la possibilità del riconoscimento della parità per quelle classi che non possano più funzionare sulla base dell’ordinamento ormai superato. Questo è quanto si evince dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 24 ottobre 2014 che ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità dell’articolo 1 comma 4 lettera f) della legge 62/2000 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione).

La vicenda
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tar Lazio nell’ambito di un giudizio relativo ad un ricorso proposto da un istituto scolastico privato e alcuni studenti lavoratori che chiedevano l’annullamento dei decreti con i quali l’Ufficio scolastico regionale aveva riconosciuto la parità scolastica per la sola prima classe dell’istituto, escludendola per le classi successive già attive.

La questione di legittimità costituzionale
La norma applicata prevede tra i requisiti necessari per il riconoscimento della parità tra istituti scolastici «l’organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe».
Per il Tar tale norma, letta in combinato disposto con alcune disposizioni regolamentari, violerebbe sia l’articolo 3 della Costituzione introducendo una disparità di trattamento tra scuole pubbliche e private, perché solo queste ultime subirebbero una «preclusione in ordine alle iscrizioni di studenti delle classi successive alla prima»; sia l’articolo 33 della Costituzione per la «compressione del diritto dello studente e della famiglia di scegliere la scuola», poiché gli studenti delle classi successive alla prima potrebbero scegliere solo le scuole statali.
In sostanza, la norma censurata dai giudici amministrativi introdurrebbe un divieto di costituire intere sezioni ex novo, consentendo «di costituire solo la prima classe a partire dall’anno scolastico 2010/2011, e gradualmente ciascuna classe per ogni successivo anno, fino al completamento del corso, in considerazione della progressiva entrata in vigore del nuovo ordinamento per tutte classi».

La decisione della Consulta
La Corte Costituzionale ritiene che le questioni sollevate nel merito dal Tar Lazio non siano fondate. I giudici di legittimità escludono infatti che nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento scolastico vi sia «la possibilità del riconoscimento della parità per quelle classi che non possano più funzionare sulla base dell’ordinamento ormai superato». E ciò si desume dall’interpretazione della nozione di “corsi completi” e del principio di “organicità” richiamati dall’articolo 1 comma 4 lettera f) della legge 62/2000.
Inoltre, questa regola vale anche per le scuole statali. La Consulta ricorda infatti che la riforma degli ordinamenti scolastici degli istituti superiori ha previsto che «il divieto di attivare classi successive alla prima si applica ad entrambe le tipologie di istituzioni scolastiche e non determina alcuna disparità di trattamento nei confronti delle scuole paritarie».
Infine, sempre per il principio di organicità, sono esclusi dalla parità scolastica gli istituti che non assicurano la piena rispondenza al progetto formativo della programmazione scolastica statale. E tale rispondenza non può sussistere per la prosecuzione di corsi avviati in base all’ordinamento previgente.

Scuola, caos sui test di autovalutazione

da Il Messaggero

Scuola, caos sui test di autovalutazione

solo ieri l’istituto di ricerca, guidato da Annamaria Ajello, ha trasmesso ai tecnici di viale Trastevere l’ennesima versione sui parametri da comunicare alle scuole.

IL CASO
ROMA La scuola va a scuola. Non è un gioco di parole cacofonico perché a essere valutati non saranno più solo gli alunni, ma anche i professori, i dirigenti scolastici, l’istituzione in sé. E tutto sarebbe dovuto partire con i dieci indicatori elaborati dall’istituto Invalsi e vidimati dal Miur entro il mese di ottobre. E, invece, per quanto le tappe di questo processo auto valutativo assegnato alle scuole, si spalmino nel corso di un intero anno, solo ieri l’istituto di ricerca, guidato da Annamaria Ajello, ha trasmesso ai tecnici di viale Trastevere l’ennesima versione sui parametri da comunicare alle scuole. E pare sembri essere la quarta bozza da analizzare. Sicché, allo stato attuale, gli istituti scolastici italiani ancora non sanno da dove iniziare. Il concetto di autovalutazione scolastica è noto da anni, inapplicato però nel tempo, perché alle parole, finora, non è seguito un corretto uso di una direttiva che il ministero dell’Istruzione torna a firmare con cadenza triennale.
IL PROGETTO

Chi sa davvero com’è quella scuola? Che tipo d’insegnamento offre? Che grado di qualità nella didattica riesce a garantire? Le famiglie elaborano informazioni sulla base dell’esperienza dei figli. Punto.
Ora le cose dovrebbero cambiare. Entro luglio 2015 tutti gli istituti italiani – ben 41.383 raggruppati in 8.519 istituzioni – produrranno il primo rapporto auto valutativo da pubblicare sul sito della scuola e sul portale del Miur “Scuola in chiaro”. Non solo, perché ogni anno gli istituti, (una minima parte), saranno soggetti anche a valutazione esterna per evitare che si possa cadere nella autoreferenzialità.
GLI INDICATORI

L’obiettivo è migliorare i livelli d’apprendimento degli studenti ma soprattutto rendere un servizio alle famiglie che potranno conoscere i servizi offerti da una scuola.
Il progetto è diviso in tappe e tutto ruota attorno a dei parametri che le scuole avrebbero dovuto ricevere già da giorni. Gli indicatori, per l’appunto, attraverso i quali, ogni istituto dovrà misurare il proprio trend. Alcuni di questi potrebbero riguardare i progetti extracurricolari offerti da un istituto: laboratori teatrali o musicali ad esempio.
E ancora, i modelli sperimentali per l’insegnamento di alcune materie, come l’inglese, l’informatica, la matematica. Si prosegue con la qualità degli ambienti. Migliori saranno gli spazi fisici – classi open-space, arredi scolastici nuovi, attrezzature all’avanguardia per le palestre – a disposizione di alunni e professori, migliore sarà il trend dell’istituto, anche per quelli periferici, o inseriti in contesti socio-culturali difficili, in cui i tassi d’abbandono scolastico sono elevati.A fare la differenza potrebbero intervenire, inoltre, anche degli indicatori per stabilire la qualità di una scuola sulla base dei traguardi raggiunti dagli studenti, attraverso un report centrato sulle percentuali di alunni promossi e bocciati. Ma è ancora tutto in fieri.
I DIRIGENTI

Dal prossimo anno scolastico, poi, le scuole saranno soggette anche a una valutazione esterna. Per quanto l’incidenza di questo sistema di verifica sia molto bassa. Appena il 10 per cento degli istituti saranno soggetti annualmente a valutazione esterna, condotta da ispettori ministeriali. Circa 100 quelli attualmente in servizio, cui se ne aggiungeranno altri 58, sbloccati dal decreto Carrozza.
E su questo l’Associazione nazionale presidi non nasconde svariate perplessità. «Il campione di verifica – spiega Mario Rusconi, vicepresidente dell’Anp – è troppo basso, il numero degli ispettori non risponde alle reali esigenze, per non affrontare una totale assenza di chiarezza sui tempi di verifica e le modalità d’indagine».
Per quanto riguarda, invece, la valutazione dei dirigenti scolastici, l’Invalsi fornirà gli indicatori per la categoria entro dicembre 2014. Salvo slittamenti – come nel caso dei parametri per le scuole – al prossimo anno.
Camilla Mozzetti

La scuola si giudica, le regole sono un caos

da Il Messaggero

La scuola si giudica, le regole sono un caos

Giorgio Israel
Quando è stato pubblicato il rapporto governativo su “La buona scuola” abbiamo parlato di un progetto coraggioso con luci e ombre, spingendoci a valutare come positiva la decisione di cancellare dalla scuola italiana i precari e le Gae (Graduatorie a esaurimento) per poter finalmente dar corpo a un piano di sviluppo intenso e di dimensioni inusuali, come promesso più volte. Altre voci avevano invece criticato come contraddittorio con il tanto declamato premio al merito fare l’ennesima immissione in ruolo di migliaia e migliaia di docenti.
Docenti che non hanno mai superato un concorso e, in certi casi, non insegnano da anni. Ora che è possibile mettere l’uno accanto all’altro il rapporto su “La buona scuola” e la legge di stabilità e quindi confrontare le intenzioni con i fatti, la delusione è totale. Cosa dice uno sguardo anche sommario alle cifre? Che la legge di stabilità destina circa un miliardo di euro per il 2015 e 3 miliardi a partire dagli anni successivi per attuare gli interventi previsti nel piano “La buona scuola”, con prioritario riferimento a un piano straordinario di assunzione di docenti e al potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro. Ma tale somma non deriva da stanziamenti freschi bensì da tagli realizzati nello stesso comparto, e nei campi più disparati (incluso quello stesso dell’alternanza scuola-lavoro), senza un criterio riconoscibile se non quello di far cassa per la detta assunzioni di precari. Uno di questi tagli ha sollevato un’immediata e vasta reazione ed è stato fortunatamente ritirato: si trattava dell’idea peregrina di ridurre le commissioni per la maturità a membri tutti interni. Ora nessuno nega che gli esiti dell’esame di maturità non depongono a favore del sistema in corso, visto che praticamente tutti vengono promossi, ma questo rientra in un generale andazzo permissivista che solleva un problema generale di rigore e di responsabilità nel giudizio e che non può essere certamente risolto riducendo le commissioni a soli membri interni, che non fa che andare nella direzione opposta, e oltretutto è pura ipocrisia, perché tanto varrebbe dire chiaro e tondo che si vuole cancellare l’esame di maturità riducendolo allo scrutinio finale. Questo taglio è stato ritirato ma non c’è affatto da star certi che non venga riproposto in altra sede e che si cerchi anche di far cassa con una sconsiderata riduzione dei licei a quattro anni, presentata come una “riforma”.
Diversi esperti hanno analizzato i due documenti mettendone in luce le contraddizioni e non intendiamo entrare nei dettagli tecnici evidenziati. Ci limitiamo ad alcuni casi emblematici. Il documento “La buona scuola” critica i tagli al Fondo per il miglioramento per l’offerta formativa mentre la legge di stabilità lo riduce di 30 milioni a partire dal 2015. Altri fondi volti alla valorizzazione dei docenti che si dimostrano attenti al miglioramento della qualità dell’insegnamento in classe sono tagliati. In linea generale, i pomposi propositi del piano “La buona scuola” vengono ridotti dalla legge di stabilità a una serie di tagli a pioggia in cui è difficile riconoscere alcun criterio razionale se non quello di rastrellare denaro per l’assunzione di precari. In tal modo, si dà ragione a chi sostiene che tutto rischia di ridursi a un’operazione clientelare con cui si conquista il consenso di alcune centinaia di migliaia di persone, con le loro famiglie, a spese di un sistema allo stremo che viene ulteriormente affamato e umiliato.
Resta l’aspetto della valutazione e del premio al merito su cui le intenzioni governative destano ampie riserve, non solo perché il premio al merito dovrebbe avere effetti concreti sugli stipendi soltanto tra diversi anni producendo intanto altri cospicui risparmi a spese del comparto, ma perché non crediamo minimamente nel valore delle autovalutazioni basate su una massa enorme di scartoffie (sia pure informatiche). Chiunque non voglia ingannare sé stesso e gli altri sa benissimo che non vi sono indicatori per autovalutarsi – quale che sia la competenza dei tecnici dell’Invalsi in merito, finora tenuta al riparo da qualsiasi valutazione – che non possano essere agevolmente aggirati. Tutta questa gigantesca operazione si ridurrà assai probabilmente nel precipitare sulla testa della scuola l’ennesimo aggravio di un’inutile burocrazia, a spese, come al solito, dell’impegno didattico, che sembra ormai divenuto l’ultimo degli optional. E oltretutto c’è da capire se anche questo discutibile sistema vedrà la luce nei tempi previsti. L’unico sistema accettabile, e cioè quello dei nuclei di valutazione ispettivi è rinviato al 2015/16 per massimo del 10% degli istituti, il che è quanto dire che siamo nella nebbia più fitta.
Questa deprimente situazione si verifica in un contesto in cui il ministero dell’istruzione sembra essere allo sbando. Ne è testimonianza l’ultima surreale vicenda dei numeri del Tfa (Tirocinio formativo attivo) che sono fissati dal ministero e ripartiti tra le università da apposite commissioni. Risulta che in alcune regioni l’intero numero sia stato occupato da un’università on-line, che ovviamente non ha problemi di aule e può offrire anche rette convenienti, col risultato che il numero previsto dal ministero è raddoppiato e ci si trova di fronte a un caos ingestibile, con il prevedibile contorno di ricorsi e di blocchi infiniti.
Frattanto, c’è chi è andato alla Leopolda a dire che la cultura umanistica ha fatto il suo tempo e la scuola deve diventare “cool” e “figo”. Purtroppo è una profezia già avverata: qui di cultura, umanistica e non, non resta più nulla. Ma non c’è neppure nulla di “cool” e di “figo”. Non si può ignorare la depressione che invade l’intero settore dell’istruzione, incluso quello dell’università che, come se non bastasse, è anch’esso sottoposto a ulteriori tagli a pioggia.

Ancora uno sciopero di venerdì: il 14 novembre si fermano di nuovo i Cobas

da La Tecnica della Scuola

Ancora uno sciopero di venerdì: il 14 novembre si fermano di nuovo i Cobas

La protesta proclamata contro le politiche del governo Renzi e dell’Unione Europea, il Jobs Act, la Legge di stabilità, il Piano-Scuola, insieme a CUB, USI e ADL Cobas. Per la Scuola è il quarto stop in cinque settimane: un record. E presto potrebbe decidere di incrociare le braccia anche la triade Cgil, Cisl e Uil: i presupposti di tornare compatti ci sono tutti. Contro un fermo Governo di sinistra…

Ancora un venerdì di sciopero. A proclamarlo, per il prossimo 14 novembre, sono i Cobas: sono previste manifestazioni in diverse città. La protesta è stata proclamata contro “le politiche del governo Renzi e dell’Unione Europea, il Jobs Act, la Legge di stabilità, il Piano-Scuola”, insieme a CUB, USI e ADL Cobas.

Nella nota dei Cobas si legge che alla protesta “aderiranno anche numerose strutture dei Centri sociali e del territorio, comitati e coordinamenti dei precari, organizzazioni studentesche nazionali e locali”.

Per la Scuola si tratterà del quanto sciopero in poco più di un mese. Sempre rigorosamente di venerdì, i sindacati meno rappresentativi hanno chiesto ai lavoratori di fermarsi il 10 ottobre (Cobas, assieme agli studenti), il 24 ottobre (Cub e Unicobas), il 31 ottobre (Anief) e, appunto, il 14 novembre (di nuovo sindacati di base). In mezzo c’è stata anche la mega-manifestazione nazionale a Roma della Cgil, tenuta il 25 ottobre, sempre contro la politica del Governo in tema di lavoro ed in particolare il Jobs Act. Se non è un record, poco ci manca.

Ma quanto incidono queste proteste, con inevitabili ripercussioni sul servizio scolastico, a livello di Governo? Al momento, sembrerebbe davvero poco. Le ultime notizie politiche dicono che il presidente del Consiglio, riferiscono i renziani, non intende modificare alla Camera il Jobs act approvato al Senato. La minoranza del Pd, tuttavia, affila le armi. “Attualmente nella manovra ci sono risorse non sufficienti neanche a coprire la cassa integrazione in deroga per quest’anno”, spiega Stefano Fassina, e non ci sono gli 1,5 miliardi promessi per i nuovi ammortizzatori del Jobs act. La partita entrerà probabilmente nel vivo alla metà di novembre. Dopo il G20 in Australia, il 15-16 novembre, Renzi potrebbe convocare una nuova direzione del partito. Dove si parlerà, inevitabilmente, anche delle altre riforme. Come della Legge di Stabilità, che Renzi dà per blindata. Ma prima, probabilmente già la prossima settimana Renzi rilancerà anche il tema Scuola, mentre si sta per chiudere la consultazione avviata a settembre.

Il tempo della resa dei conti si avvicina. E se il Governo dovesse mantenere la linea dura, potrebbe arrivare anche quello degli scioperi di massa: col passare dei giorni crescono infatti le quotazioni di un ritorno in piazza della triade Cgil, Cisl e Uil. Che si ritroverebbe di nuovo compatta dopo una lunga stagione all’insegna della divisione. Non a caso, a minacciare di non garantire più i servizi minimi, nei giorni scorsi, è stato il sindacato di Luigi Angeletti. E non la Cgil.

Insomma, a livello sindacale l’autunno si prospetta più che caldo. Contro l’operato, è bene ricordarlo, di un Governo di sinistra. Forse il vero record è proprio questo.

Quella generazione di docenti fregata due volte

da La Tecnica della Scuola

Quella generazione di docenti fregata due volte

C’è una intera generazione di docenti che nel 1990 era troppo giovane per poter partecipare al concorso e che ha dovuto attendere anni per iniziare ad intravedere l’immissione in ruolo.

Con questo racconto vogliamo descrivere  la figura allegorica, anzi ci piace dire, più efficacemente, la figura comica,  dell’insegnante con una nuvoletta sempre sopra la sua testa,  che minaccia pioggia e saette. Si tratta di una nuvoletta retorica, che non manca mai di rovesciare tutto il suo carico di acqua acida sul capo del docente sfigato. L’allegoria di cui stiamo parlando si riferisce, in particolar modo, a quella generazione di docenti quasi cinquantenni, che hanno iniziato la loro carriera di insegnanti nei grigi anni novanta. Quei docenti che per ragioni anagrafiche non hanno potuto tentare il concorso a cattedra bandito con il D.M. 23.3.90 e per colpa della crisi economica hanno dovuto patire un precariato lungo almeno un decennio, infatti il successivo concorso a cattedra è stato bandito ben 9 anni dopo con i D.D.G. DEL 31.3.1999  e del 1.4.1999 e poi con le sessioni riservate O.M 153/99 , O.M. 33/2000 e O.M. 1/2001.
Quella generazione di docenti ha avuto, per diversi lustri, almeno due, ma anche tre o addirittura quattro, contratti a tempo determinato per incarichi annuali su cattedre vacanti, reiterati per tutti quegli anni. Una generazione di precari della scuola, sfruttata oltre ogni limite a causa del blocco dei concorsi a cattedra durato un decennio. Si tratta di docenti che oggi sono tutti in ruolo, e che  hanno avuto riconosciuto,  nella loro ricostruzione di carriera e successivamente i primi quattro anni di precariato, soltanto i due terzi degli anni di servizio realmente svolti.
In buona sostanza chi è entrato in ruolo dopo i concorsi del 1999, 2000 e 2001, con ad esempio 12 anni di precariato alle spalle, si è visto riconoscere ai fini della progressione di carriera soltanto 9 anni e quattro mesi. Una generazione colpita pesantemente anche dalla riforma delle pensioni del governo Dini e colpita nuovamente oggi dalla riforma delle pensioni Fornero. Una generazione di docenti sfigati, che prima ha dovuto subire, tra gli anni 90 e quelli 2000, un’ imposizione di “precariato di Stato”, e che oggi, avendo fatto, anche se con qualche decurtazione economica, la ricostruzione di carriera e ricevuto una classe stipendiale, subiscono il tentativo dell’abolizione degli scatti di anzianità e di conseguenza il congelamento della classe stipendiale raggiunta.
Questa generazione di docenti  sta per essere fregata per la seconda volta, prima costretta dallo Stato a vivere nel precariato decennale e poi sempre dallo Stato a dovere essere bloccata nel diritto contrattuale del ricevere gli scatti di anzianità. La domanda che sorge spontanea è : “Ma tutto questo è costituzionalmente legittimo?”.
Ci sono i presupposti per pensare che non sia tutto completamente legittimo, e poi sembra che ci sia un “fumus persecutionis” contro una generazione di insegnanti colpita due volte, prima nell’età giovanile di trent’anni e adesso nuovamente alla soglia dei cinquant’anni. Forse sarebbe il caso di valutare anche queste cose, e che a pagare, a causa degli errori dello Stato, non debbano essere sempre le stesse persone, questo è anche una questione di buon senso.