Dalla Sicurezza Alimentare alla Sovranità Alimentare

Dalla Sicurezza Alimentare alla Sovranità Alimentare
<Il futuro del cibo è il futuro della vita>

di Paolo Manzelli

Proposta per la “Buona Scuola”

Autonomia, professionalità, responsabilità per una scuola al servizio delle giovani generazioni e del Paese“: Diesse pubblica la propria proposta per la “buona scuola”

GIOVEDI’ 13 NOVEMBRE CONFERENZA STAMPA SONDAGGIO #LABUONASCUOLA

GIOVEDI’ 13 NOVEMBRE CONFERENZA STAMPA SONDAGGIO #LABUONASCUOLA

Giovedì 13 novembre alle ore 11, nella sede nazionale in via Salaria 44 a Roma, la Gilda degli Insegnanti terrà una conferenza stampa per presentare i risultati del sondaggio on line su #labuonascuola, lanciato il 12 settembre scorso per dare voce ai docenti e raccogliere le loro opinioni in merito ad alcuni dei temi contenuti nel Rapporto del Governo.

Dopo 16 anni di attesa, pure Renzi frena sulla riforma della maturità

Dopo 16 anni di attesa, pure Renzi frena sulla riforma della maturità *

di Maurizio Tiriticco

 

L’attuale esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione è stato istituito alla fine del secolo scorso con la legge 425 del 1997 e si proponeva come fine il rilascio di certificazioni “al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite… tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea” (art. 6). Fino a quell’anno tale esame era disciplinato dalla legge 119 del 1969 che aveva “come fine la valutazione globale della personalità del candidato” (art. 5) e prevedeva che venisse “formulato, per ciascun candidato, un motivato giudizio, sulla base delle risultanze tratte dall’esito dell’esame, dal curriculum degli studi e da ogni altro elemento posto a disposizione della commissione” (art. 8).

Si trattava di una svolta non indifferente. Ci si proponeva di abbandonare un giudizio di maturità, in effetti sempre aleatorio e soggetto alla discrezione dei commissari, e di passare a un vero e proprio accertamento delle competenze acquisite dal candidato. Inoltre, si abbandonava il sistema della valutazione decimale, anche questa sempre soggetta alla discrezione dei commissari, per introdurre il sistema dei punteggi, ancorato a prove che fossero oggettive.

La riforma riguardava il nostro Paese, ma era strettamente condizionata dalle vicende europee. Non va dimenticato che nel 1992 era stato approvato il Trattato di Maastricht con cui la Comunità economica europea, nata nel lontano 1957, diventava una vera e propria Unione politica, con ambizioni ben diverse da quelle che ci si era proposti negli anni Cinquanta. Se la Cee si proponeva compiti esclusivamente economici e si limitava alle politiche del lavoro, l’Ue si propose, invece, obiettivi molto più ambiziosi e, in materia di istruzione, si impegnò a realizzare una vera e propria “dimensione europea nell’educazione”, che avrebbe investito tutti i sistemi scolastici dei Paesi membri.

Furono anni di grandi speranze per la nuova Unione politica. Si giunse addirittura al varo di una Costituzione, sottoscritta solennemente in Roma il 29 ottobre del 2004. Però, dopo tante speranze ed attese, ebbe inizio un lento declino: la Costituzione non incontrò il favore di alcuni Paesi, per cui si ripiegò ad una soluzione molto meno impegnativa, a un semplice Trattato, di una valenza molto inferiore a quella data da una Costituzione, che venne sottoscritto a Lisbona il 13 dicembre del 2007,

Il declino che si ebbe nel campo politico ebbe serie ricadute anche nel campo dell’educazione e della scuola. Il “nuovo” esame di Stato, di fatto, procedette con molte incertezze, per quanto riguarda sia le prove che la certificazione delle competenze. Il Ministero dell’istruzione non riuscì a fornire indicazioni certe né sul concetto di competenza né sulle procedure da adottare per la certificazione Per cui si limitò a decretare con il dm 450/98 che le certificazioni attestano “la votazione complessiva assegnata, la somma dei punti attribuiti alle tre prove scritte, il voto assegnato al colloquio, l’eventuale punteggio aggiuntivo, il credito scolastico, i crediti formativi documentati” e che “i modelli delle certificazioni integrative del diploma hanno carattere sperimentale e si intendono adottati limitatamente agli anni scolastici 1998/99 e 1999/2000”.

Di fatto il Ministero si riprometteva di dare, nel giro di due anni, indicazioni precise sia in merito alle competenze che alle procedure per la loro certificazione. Però, i due anni sono diventati sedici e nulla è accaduto in merito. Per cui possiamo dire che attualmente non abbiamo né un esame di maturità né un esame centrato selle competenze.

Occorre ricordare che le Linee guida relative agli istituti tecnici e professionali descrivono chiaramente quali competenze siano proposte agli alunni alla fine del quinquennio, mentre molto sfumate e incerte, al proposito, sono le Indicazioni nazionali per i licei. E va anche ricordato che con la tornata di esami del 2015 vanno a regime sia le Linee guida che le Indicazioni nazionali, per cui, l’attuale Miur avrebbe dovuto dare indicazioni normative su come procedere per un esame che, finalmente, fosse effettivamente centrato sulla certificazione delle competenze.

Ma ciò non è avvenuto! Tutto tace! Abbiamo avuto solo esternazioni da parte del Ministro e dello stesso Presidente del Consiglio, ma su questioni di dettaglio e non mirate a rinnovare l’esame di Stato. Ciò che conta è la norma, e questa è assente. Non solo! Va sottolineato che ormai siano assolutamente fuori tempo debito. Con il Natale alle porte nessuna innovazione seria è possibile! Ma forse è chi ci dirige che non è affatto serio! Purtroppo!

* in “ItaliaOggi” dell’11 novembre 2014

Valutazione, conto alla rovescia

da ItaliaOggi

Valutazione, conto alla rovescia

giorni l’invio alle scuole del modello Rav: fondamentale la formazione di presidi e prof. Ancora in bilico merito, istituti tecnici e piattaforma on line

Alessandra Ricciardi

Il ritardo dovrebbe finire nel giro di qualche giorno, in tempo utile per evitare che l’operazione possa se non saltare quantomeno essere compromessa nei suoi esiti. Il Rav, il modello di autovalutazione, che doveva essere inviato alle scuole a fine ottobre, è praticamente pronto, all’attenzione del ministro, Stefania Giannini, con l’obiettivo che sia inviato già in settimana, dicono rumors di viale Trastevere. Sarà l’avvio in concreto del sistema nazionale di valutazione che taglierà il suo primo traguardo a luglio, con la pubblicazione on line di tutti i rapporti di autovalutazione delle scuole.

Le cosiddette pagelle, rese pubbliche per la verifica interna ed esterna delle qualità e delle pecche di ogni istituto, su cui poi innsestare le azioni di miglioramento. Fondamentale per la buona riuscita del processo sarà l’azione di accompagnamento e di formazione dei dirigenti e dei docenti, che dovrà partire a dicembre. In queste ore ancora qualche dubbio, sollevato dagli esperti del Miur, attende di essere risolto direttamente dal ministro. Ci sono i parametri di autovalutazione predisposti dall’Invalsi che così come formulati renderebbero più difficile il lavoro nel canale della formazione tecnica e professionale, poiché sono stati tarati secondo schemi più classici, testati su scuola primaria e secondaria di stampo liceale. Una impostazione che penalizzerebbe le rilevazioni negli istituti in cui altri elementi, come il tasso di occupabilità degli studenti, sono decisivi per delineare l’identikit della scuola.

Ma poi ci sono anche altri nodi più politici, come l’utilizzo dei dati Invalsi ai fini della valutazione dei docenti e dunque per gli scatti di merito che dal 2019 entreranno a regime. Una difficoltà non del tutto residuale è anche quella relativa alla predisposizione della piattaforma on line su cui le scuole dovranno riversare i dati. Visti gli incidenti informatici in cui il Miur in questi mesi è più volte incorso, ora a viale Trastevere procedono con i piedi di piombo.

Il sistema Sidi fa acqua da tutte le parti E le graduatorie Ata saranno pronte a fine anno

da ItaliaOggi

Il sistema Sidi fa acqua da tutte le parti E le graduatorie Ata saranno pronte a fine anno

La denuncia dei sindacati: funzionamento a singhiozzo, segreterie scolastiche allo stremo

Nicola Mondelli

Formale denuncia delle organizzazioni sindacali FlcCgil,Cisl e Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda Unams avverso – come si legge in una nota inviata nei giorni scorsi al ministro Giannini – i frequenti e ricorrenti episodi di mal funzionamento del sistema informatico (SIDI) del Miur.

La pietra dello scandalo, ancora le disfunzioni registrate nell’accesso al procedure on line da parte degli aspiranti all’inclusione nelle graduatorie di terza fascia di istituto del personale Ata.

Un accesso sospeso per una decina di giorni subito dopo essere stato consentito, con motivazioni che sono sembrate pretestuose. All’atto della ripresa le migliaia di richieste di accesso alle istanze on line da parte degli interessati finalizzato alla indicazione delle trenta scuole nelle cui graduatorie chiedevano di essere inseriti hanno inevitabilmente fatto andare in tilt il sistema in molte ore del giorno.

Tutte le disfunzioni denunciate si stanno, sempre ad avviso delle organizzazioni sindacali, ripercuotendo negativamente soprattutto sul lavoro delle segreterie delle scuole che si sono trovate improvvisamente alle prese con le migliaia di domande da protocollare prima e da valutare subito dopo. Un compito quest’ultimo particolarmente delicato che, per essere eseguito correttamente, richiede tempo e conoscenza delle specifiche norme, conoscenze che spesso esulano dal mansionario degli addetti agli uffici amministrativi delle istituzioni scolastiche.

Indipendentemente dalle disfunzioni del sistema, quest’ultima denuncia sembra essere quella che maggiormente preoccupa soprattutto gli aspiranti alle supplenze brevi e saltuarie. Il rischio è infatti quello che le graduatorie definitive potrebbero essere pubblicate ad anno scolastico ormai avviato alla conclusione, vanificando in tal modo le pur scarsissime possibilità di ottenere una supplenza prima della fine del corrente anno scolastico, supplenze che continuerebbero pertanto ad essere assegnate agli inclusi nelle graduatorie valide per il triennio 2011-2013. Al di là delle disfunzioni stanno venendo al pettine tutte le perplessità da qualche parte formulate fin dalla pubblicazione del decreto ministeriale n. 717 del 5 settembre 2014 relative appunto all’aggiornamento delle graduatorie di terza fascia di istituto valide per il triennio 2014-2016.

Avere consentito, oltre che l’aggiornamento delle precedenti graduatorie, anche l’inserimento ex novo di migliaia di giovani diplomati e laureati che neppure nell’arco di validità delle graduatorie potranno ottenere una supplenza per quanto breve e temporanea. Una previsione quest’ultima che tiene anche conto di quanto prevede il disegno di legge di stabilità 2015 attualmente all’esame del parlamento: drastica riduzione degli organici e divieto di conferire supplenze di assistenti amministrativi laddove l’organico di diritto abbia più di tre posti, di personale appartenente al profilo di assistente tecnico in ogni caso e di collaboratori scolastici per i primi sette giorni di assenza.

Quota 96: il Governo non ha intenzione di risolvere la questione?

da La Tecnica della Scuola

Quota 96: il Governo non ha intenzione di risolvere la questione?

“La sentenza di Salerno, che manda in pensione 42 quota 96, non può essere ignorata” Con queste parole Manuela Ghizzoni, deputata Pd, risponde a chi la accusa, dopo essersi tanto interessata dell’ingiustizia dei fregati dalla legge Fornero, di mantenere adesso un rigoroso silenzio.

Perché c’è un tempo per parlare e un tempo per tacere. Spiega la Ghizzoni: “Le parole sono quelle dei #Q96Scuola: sono parole giuste ed io ho avuto ed ho orecchie per ascoltarle. Il silenzio (parziale e presunto) che mi viene imputato è quello di chi si riserva di parlare nei momenti appropriati e di chi prende molto sul serio quello che fa (e ha pagato qualche scotto personale per averci creduto fino in fondo). Il silenzio di chi è stato accusato, illogicamente, di avere condotto una battaglia pur consapevole della sconfitta. Chi lo afferma pare dimenticare quanto accaduto solo 3 mesi fa, in occasione del decreto legge Madia”

Ma cos’è accaduto esattamente in questi tre mesi? Alla Camera è stato approvato l’emendamento a firma della Ghizzoni per il pensionamento dei Q96. Approvato prima in Commissione Affari costituzionali, poi dalla Bilancio (e non senza discussione con il governo) e infine dall’intera Aula, con un voto di fiducia sul testo complessivo del decreto. Al Senato, pochi giorni dopo e per unilaterale decisione del governo che ha assunto i dinieghi della Ragioneria dello Stato e dell’INPS nei confronti della copertura individuata alla Camera (tagli di spesa), la norma è stata stralciata e il lavoro di tanti politici sostenitori vanificato.

Commenta la Ghizzoni a proposito del rapporto tra Governo e Parlamento: “Non mi soffermo, in questa sede, su cosa abbia rappresentato quel passaggio sotto il profilo del rapporto tra potere legislativo ed esecutivo, perché mi porterebbe lontano dall’argomento del post, ma è solo rinviata la riflessione sullo sbilanciamento che da anni è impresso all’equilibrio tra poteri dello Stato (questione non piccola). Ma di certo, se il Parlamento ha espresso la sua volontà su Q96, è il Governo che ha potuto decidere.”

Perché dunque la Ghizzoni sceglie il silenzio? Perché “il silenzio, quindi, non è una rinuncia. Mentre le parole possono alimentare false speranze. Cosa che non voglio fare. Non parlo per i colleghi, ma per me: dopo quanto accaduto in agosto, riterrei per voi totalmente insopportabile una nuova attesa tradita.”

Che ne è stato del decreto ad hoc che annunciava il Governo? Continua la parlamentare: “Nei 3 mesi che ci separano dal dl Madia, il governo poteva cambiare il proprio orientamento? Avrebbe potuto. E inizialmente lo ha affermato, annunciando un decreto ad hoc. Che però non ha mai visto la luce. Così come non v’è traccia di “ravvedimento” nelle Linee guida de La Buona Scuola, sebbene lì vi sia un piano assunzionale importante, che potrebbe assorbire il pensionamento dei Q96. Sono, questi, segnali inequivocabili sulle intenzioni del governo: abbiamo ugualmente agito perché su di esso vi fosse un “cambio di verso”, invano. Ecco perché ho ritenuto che non fosse fruttuoso, nelle settimane passate, presentare una interrogazione al governo per conoscerne le intenzioni su Q96: perché la risposta era nei fatti, sotto gli occhi di tutti.

Anche nella fase di preparazione degli emendamenti alla Legge di Stabilità si è discusso dell’argomento, ma il governo ha confermato il blocco alla soluzione di Q96: presentare un emendamento avrebbe significato prefigurare il ripetersi di quanto accaduto nel dl Madia.”

Insomma la Ghizzoni non sceglie, come abbiamo riferito in un nostro precedente articolo, di illudere i Quota 96 per l’ennesima volta.

C’è una sola cosa che ritiene fondamentale: la sentenza di Salerno, “una sentenza che ha ridato speranza, perché conferma la bontà delle ragioni che portiamo avanti dal gennaio 2012. Una sentenza che non può essere ignorata: lo fu quella di Roma, dell’agosto del 2012, ma questa – che interviene su 42 ricorrenti – potrebbe rappresentare un tornante dell’intera vicenda. Nel merito, il governo dovrà esprimersi (e in questo caso, una interrogazione è invece utile e appropriata) perché non si può lasciare questa vicenda interamente nella mani dei tribunali.”

Il governo Renzi non ha assolutamente intenzione di risolvere la tanto dibattuta faccenda dei Quota 96? Ed è davvero inutile presentare emendamenti su emendamenti? C’è qualcuno che, al proposito, sceglie di tacere. E di attendere fatti concreti.

Valutazione, mancano gli ispettori: ogni scuola dovrà fare da sé

da La Tecnica della Scuola

Valutazione, mancano gli ispettori: ogni scuola dovrà fare da sé

A ribadirlo alla Tecnica della Scuola è Lucrezia Stellacci, che tra gli alti incarichi ricoperti nel settore Istruzione è stata anche direttore Invalsi: l’unica soluzione era e rimane quella di convincere le scuole ad autovalutarsi per eliminare i profili critici e potenziare le qualità. Ma per la gran parte il percorso di valutazione si fermerà lì, perché il contingente ispettivo è insufficiente e non sembra prevedibile un’adeguamento. Se va bene, in un triennio potrà essere verificato l’operato di mille istituti. Su circa 8.500.

Per mandare a regime il meccanismo previsto dal Regolamento n. 80 del 2013 servirà addirittura un decennio. Lo prevede, come riportato in un articolo della ‘Tecnica della Scuola’, la direttiva ministeriale n. 11 del 18 settembre 2014 sulla valutazione del sistema scolastico nazionale: le indicazioni del Miur indicano che il “sistema a tre gambe” (Invalsi + Indire + Ispettori) provveda alla valutazione esterna di 800 scuole l’anno. Reginaldo Palermo ricorda che “10 anni sono un tempo straordinariamente lungo e sembra impossibile che il Governo non si renda conto che se davvero si vuole mettere in piedi un sistema di valutazione delle scuole, bisogna fare molto più in fretta”.

Ma è possibile che a Viale Trastevere non si siano resi conto di questa scansione temporale così lunga? Perché non hanno considerato che tra dieci anni il sistema scolastico italiano, al pari di quello culturale, economico, politico, per non parlare del panorama tecnologico, potrebbe essere completamente diverso da quello attuale? Che senso avrebbe valutare una scuola utilizzando dei parametri diventati nel frattempo anacronistici e inadeguati?

Ne abbiamo parlato con Lucrezia Stellacci, che è stata Capo Dipartimento Istruzione del Miur nel periodo di ideazione dell’impianto che ha portato alla scrittura delle norme per la valutazione del sistema scolastico, e che prima di diventare consigliere del sottosegretario D’Onghia, è stata anche direttore dell’Invalsi.

Dottoressa Stellacci, ma come è possibile che sia stata emanata una direttiva per valutare l’operato delle scuole con un raggio d’azione addirittura decennale?

R. A voler essere precisi il raggio di azione che la direttiva ministeriale n.11 prefigura va ben oltre i 10 anni. Perché gli 800 istituti scolastici da visitare riguardano ciascun triennio che è il ciclo di compimento del processo valutativo: nell’anno in corso le scuole effettuano l’autovalutazione, con compilazione del relativo Rapporto e Piano di miglioramento, nel 2015-16 avranno inizio le attività di valutazione esterna da parte dei nuclei, nel 2016-17 le Scuole dovranno rendicontare sui miglioramenti ottenuti e ricominciare il processo.

Ma come mai si è arrivati ad un percorso di valutazione così lungo?

R. A dire il vero la ratio che ha ispirato il Sistema Nazionale di Valutazione era diversa: io ricordo che le intenzioni di chi ha scritto il D.P.R. 80 (28 marzo 2013, “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione” n.d.r.) erano quelle di far visitare dai nuclei di valutazione solo le scuole risultate in situazione di forte criticità dalla prima fase di autovalutazione: una quota che normalmente si aggira sul 5 per cento del totale, quindi stiamo parlando di 400-500 istituti. A cui si sarebbe dovuto aggiungere un certo numero, che poteva essere tra i 100 e i 150, sorteggiato ogni anno fra tutte le scuole. Per un totale complessivo nel triennio di circa mille istituti scolastici.

Quindi gli istituti da visitare sarebbero stati poco più degli 800 indicati nella direttiva ministeriale sulla valutazione?

R. La differenza che riscontro tra il progetto originario e la direttiva è essenzialmente nel metodo organizzativo attuato: da parte nostra si puntava su di una partenza disallineata del processo triennale di valutazione, che non aveva inizio nello stesso anno per l’intera platea delle istituzioni scolastiche, in modo da consentire ai nuclei di spalmare sui tre anni il contingente di scuole da visitare fra quelle che avevano appena compilato il rapporto di autovalutazione. E per gli altri istituti non visitati avrebbe fatto fede il risultato della fase di autovalutazione e le misure poste in atto per il miglioramento.

Sembra di capire che alla fine si optato per un modello diverso, forse perché anche già avviato fuori dell’Italia?

Non direi, perché il sistema riportato nel D.P.R.n.80 consiste in un impianto diverso da quello di altri Paesi europei: l’idea di fondo è far crescere nelle scuole l’abitudine a valutarsi per meglio conoscersi e valorizzarsi, e non la ricerca ‘occhiuta’, da parte di un nucleo esterno, dei casi da sanzionare.

Perché?

R. Perché verificare i risultati dell’offerta formativa ed organizzativa di tutte le scuole italiane avrebbe comportato una spesa enorme. Tra l’altro, con risultati molto spesso di conferma di quanto già rilevato nei rapporti di autovalutazione e nei piani di miglioramento.

È per questo che si è chiesto alle scuole di fare da sole?

R. Esattamente. L’unica soluzione era e rimane quella di convincere le scuole ad autovalutarsi per conoscere i propri profili di criticità e di qualità. E cercare, quindi, soluzioni per eliminare i primi e potenziare gli altri. E per la gran parte il percorso di valutazione triennale si fermerà lì.

Ma che genere di autovalutazione?

R. La Direttiva afferma che l’autovalutazione sarà supportata dall’Invalsi, attraverso l’approntamento di un quadro di riferimento corredato di indicatori, parametri di misurazione e dati comparabili che sarà fornito alle scuole per l’elaborazione dei rapporti di autovalutazione.

Cosa si sente di controbattere a chi critica il Miur per aver escogitato questo sistema?

R. Che sarebbe stato possibile anche visitare 8.000 scuole in un triennio, sapendo però di dover dispiegare un contingente ispettivo che non solo non esiste, ma che allo stato attuale non sembra neppure prevedibile.

Sembra di assistere al solito adagio: siccome mancano i soldi, fate da soli…

In verità a coloro che fanno della critica un mestiere, suggerirei di concentrare l’attenzione su due punti ancora inesplorati: riuscirà l’esiguo numero di dirigenti tecnici in servizio presso le strutture centrali e periferiche del Miur, oltre a svolgere i quotidiani compiti loro assegnati, a visitare, con al seguito esperti tutti ancora da cercare e formare, 800 scuole nel breve giro di un anno scolastico? Perché, come riporta la direttiva ministeriale, il quadro di riferimento della ‘Buona Scuola’ (per usare una locuzione abusata di questi tempi), deve compilarlo l’Invalsi e non il Ministro, che invece si limita ad enucleare nella prima parte della direttiva, solo obiettivi generici e neppure presidiati da alcun benchmarking?

La rabbia dei precari: dopo le riforme Gelmini e Moratti stiamo toccando il fondo!

da La Tecnica della Scuola

La rabbia dei precari: dopo le riforme Gelmini e Moratti stiamo toccando il fondo!

Diverse le testimonianze raccolte alla manifestazione dell’8 novembre dei sindacati Confederali per lo sblocco dei salari. Cristiana Lucioli, supplente fiorentina: questo Governo dovrebbe andarsene a casa, fa solo danni. Problemi anche negli altri comparti. Daniele De Angelis, 41enne da cinque anni tirocinante al ministero della Giustizia, guadagna solo 300 euro al mese: si sblocchino i 7,5 milioni di euro previsti nella seconda parte dei fondi della finanziaria.

Sabato 8 novembre c’erano anche tanti precari della scuola tra i 100mila manifestanti che hanno partecipato alla manifestazione unitaria indetta dai sindacati Confederali per chiedere lo sblocco dei salari. Tra i tanti supplenti della scuola, mischiati a quelli di altri comparti del pubblico impiego, c’era anche Cristiana Lucioli: trentacinque anni, lavora a Firenze come insegnante della scuola primaria.

All’agenzia Ansa, la maestra ha espresso tutto il suo malumore per chi governa oggi l’Istruzione pubblica: “dopo le riforme Gelmini e Moratti – ha detto l’insegnante precaria – stiamo toccando il fondo. Con quest’ultima si rimette ancora di più la qualità dell’insegnamento. Oggi sono scesa in piazza per i miei alunni che sono i primi a rimetterci”.

E ancora: “questo Governo dovrebbe andarsene a casa perché fa danni ovunque, ma se davvero intendono riformare la scuola almeno coinvolgano gli addetti ai lavori”, ha concluso la docente. Va ricordato, a onor del vero, che il Governo proprio in questi giorni sta ultimando la fase di consultazione sulle linee guida di riforma contenute nella ‘Buona Scuola’: una fase che ha coinvolto migliaia di cittadini, docenti, studenti e famiglie (anche se in numero minore rispetto alle aspettative).

Le realtà del precariato nel pubblico impiego sono tante. Alcune davvero paradossali. Daniele De Angelis, anche lui tra i manifestanti a Roma, ha raccontato di lavorare da cinque anni come tirocinante al ministero della Giustizia, dove guadagna appena trecento euro al mese: “ho quarantun anni compiuti, una moglie e una figlia di nove anni. Non si può andare avanti così, basta con i tagli al pubblico impiego”.

“Chiediamo lo sblocco della seconda parte dei fondi previsti in finanziaria e pari a 7,5 milioni di euro – ha proseguito – almeno così potremmo avere la seconda parte degli stipendi per l’anno in corso. Al momento è tutto fermo e noi tirocinanti, circa tremila in tutta Italia, non stiamo lavorando”.

 

Arrivano i laboratori itineranti

da La Tecnica della Scuola

Arrivano i laboratori itineranti

L’idea nasce da un piano del Miur con l’Università Roma Tre e l’Accademia delle Scienze di Torino, si chiama Ls-Osalab e rientra nell’ambito del progetto nazionale per i licei scientifici con opzione scienze applicate (da qui l’acronimo): prenderà il via l’11 novembre con i docenti universitari che faranno lezioni dimostrative nelle scuole. Mille i docenti di scuola superiore coinvolti in tutta Italia in questa prima fase.

La scuola è anche saper fare. Per questo la presenza dei laboratori nelle scuole è fondamentale. Ma non sempre sono attrezzati e aggiornati a dovere. Ecco che allora diventano preziose le iniziative che arricchiscono questi spazi scolastici. Come quella il progetto della banca dati per gli insegnanti che cercano qualche idea in più o un suggerimento per spiegare meglio una lezione di scienze, o per le scuole che non hanno laboratori sufficientemente attrezzati.

L’idea nasce da un piano del ministero dell’Istruzione con l’Università Roma Tre e l’Accademia delle Scienze di Torino, si chiama Ls-Osalab e rientra nell’ambito del progetto nazionale per i licei scientifici con opzione scienze applicate (da qui l’acronimo): prenderà il via l’11 novembre, quando alcuni dei laboratori più significativi saranno portati nelle scuole da docenti universitari con lezioni dimostrative. Si parte dalle 10 alle 18, presso il Dipartimento di Scienze di Roma Tre con gli insegnanti delle scuole del Lazio. Mille i docenti di scuola superiore coinvolti in tutta Italia in questa prima fase. Altri mille a partire dalla prossima primavera.

La funzionalità è immediata, come in uno store su internet, e il servizio è gratuito. Si accede con un click, si entra in un archivio on line che mette a disposizione decine e decine di esperimenti da fare in aula. Laboratori semplici, che possono essere realizzati con materiali poveri. Esperimenti già verificati e, appunto, messi a disposizione tramite la piattaforma virtuale http://ls-osa.uniroma3.it/, alla quale tutti i docenti possono accedere per l’insegnamento delle materie scientifiche (biologia, chimica, fisica, scienze della Terra, matematica e informatica). E che ora saranno portati in viaggio in tutte le regioni d’Italia per poter poi essere realizzati in classe con gli alunni.

“Sarà utile indicare e sapere quali sono gli esperimenti che piacciono di più. Il gradimento dei docenti potrà essere espresso – spiegano dal Miur – con delle stellette, con il collaudato sistema che già è adottato su libri e giornali per alberghi, ristoranti cinema. Più stellette, più gradimento. Stimolando l’osservazione, il confronto, lo scambio di esperienze. E le proposte. In virtuosa interazione con le possibilità che offre il web”.

Saranno dieci le tappe dei laboratori itineranti in tutta Italia. In ciascuna tappa verrà lasciato un kit degli esperimenti per le scuole ospitanti. Agli incontri possono aderire i docenti di Fisica e di Scienze dei Licei Scientifici. L’obiettivo è quello di “dare un supporto utile per allestire e gestire attività pratiche e sperimentali, essenziali per stimolare l’attitudine al ragionamento scientifico e alla ricerca, anche prendendo spunto dall’esperienza quotidiana” ma anche di produrre moduli interdisciplinari, seguendo gli obiettivi specifici di apprendimento delineati nelle Indicazioni nazionali.

“I risultati dell’ultima indagine Pisa-Ocse hanno dimostrato – ricorda il ministero – che i quindicenni italiani hanno un buon livello di competenza nel problem solving, la risoluzione di problemi che richiedono un approccio più pragmatico che teorico e di routine. Nella capacità di “adattarsi, di imparare, di provare nuove strategie ed essere pronti ad imparare dai propri errori”, i nostri alunni hanno superato nazioni come Germania e Stati Uniti mantenendosi “significativamente” al di sopra della media dei paesi Ocse che hanno partecipato all’indagine.

Fare la pagella al prof non è una cosa semplice

da La Tecnica della Scuola

Fare la pagella al prof non è una cosa semplice

Perchè tanta contrarietà alle proposte sul merito del progetto “Buona Scuola”? Forse perchè a conti fatti si tratta di proposte finalizzate di fatto a risparmiare.

Valutare l’operato di un professore o di una professoressa è cosa buona e giusta, ma non è per nulla una cosa semplice. In assoluto nessuno sarebbe contro alla valutazione degli insegnanti, ma quando si prova ad entrare nello specifico, facendo la pagella ai prof e valutandoli professionalmente, si sollevano tanti dissensi, proteste e contrarietà. Come mai tanta ostilità contro la valutazione degli insegnanti e la loro progressione di carriera legata al merito? Il problema principale è che si pensa al merito nella scuola come se fosse un grande bluff, una sorta di imbroglio, studiato a proposito per risparmiare sulle spalle di una parte dei docenti senza toccare gli interessi di altri insegnanti.
All’interno delle scuole si respira un’aria di  forte diffidenza, nessuno crede che quello proposto dal documento “La Buona Scuola” sia vero merito. Un sistema di valutazione serio ed equo, che valuti oggettivamente e con assoluta terzietà i docenti delle scuole, sarebbe anche accettabile, invece viene respinta l’idea di fare passare un merito autoreferenziale, capace soltanto di legalizzare il merito già emerso, ma non ancora riconosciuto, in questa fase iniziale di autonomia scolastica.
Un merito stabilito al chiuso della dirigenza, concertato insieme ad uno staff di direzione fatto dal vicario, dai collaboratori, dai responsabili di plesso ed in alcuni casi anche dalle funzioni strumentali. Un merito da salotto che non avrebbe riscontri oggettivi, ma piuttosto  la soggettività concertativa del cerchio magico dirigenziale. Questo è un merito che non piace quasi a nessuno, fatta eccezione per chi è parte direzionale della scuola, è un merito che desta preoccupazione e non ha l’approvazione di tutti gli insegnanti.
C’è anche chi propone che le pagelle ai prof le debbano fare gli studenti sulla base di tre indicatori principali: la relazione del prof con gli studenti, la didattica e l’organizzazione del lavoro. Anche questo tipo di merito lascia molti dubbi e non è gradito dalla maggioranza degli insegnanti, che ritengono che gli studenti vadano a premiare di più i prof più permissivi e a punire quelli più rigidi e meno flessibili. Ma allora come fare la pagella agli insegnanti  per distinguere il loro merito e il loro impegno didattico?
Forse la soluzione potrebbe essere quella di fare periodicamente, mentre la carriera avanza anche per anzianità di servizio, degli esami di verifica delle competenze ed un colloquio psicoattitudinale che avvalori il grado del merito raggiunto. Questi esami dovrebbero essere fatti in modo oggettivo, lontano dall’ambiente lavorativo, e soprattutto da commissioni di professionisti che si occupano di valutazione.
Forse questo sarebbe un modo di valutare che potrebbe trovare un consenso più diffuso tra gli insegnanti, ma forse poi non andrebbe più bene a chi oggi gestisce ed amministra le nostre scuole.

Per i docenti 36 ore settimanali a stipendio ridotto?

da La Tecnica della Scuola

Per i docenti 36 ore settimanali a stipendio ridotto?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Francesco Greco, presidente dell’Associazione Nazionale Docenti, sulla creazione della “banca ore” contenuta nel documento sulla Buona Scuola.

Nel brogliaccio “la buona scuola” è appena accennata la creazione di una non ben definita “banca ore” volta a realizzare, è scritto, un potenziamento dell’attività didattica. In essa verrebbero “depositate” ‹‹le ore che ciascun docente “guadagna” (e che così “restituirà” alla scuola) nelle giornate di sospensione didattica deliberate ad inizio anno dal Consiglio d’istituto nell’ambito della propria autonomia››. Tralasciando la discutibile terminologia e l’incongruenza di significato, il riferimento alla banca ore è collocato all’inizio della parte che accenna alla funzione docente, prima di un’altra novità che si vorrebbe introdurre nella scuola, anch’essa tratteggiata, con lo stesso lessico bancario finanziario, “crediti didattici, formativi e professionali”.

Ma sono proprio la collocazione e la lacunosa definizione a sollevare più di una ragionevole preoccupazione. Alla luce di non lontani precedenti, in quale altro modo può essere considerata la banca ore se non come il cavallo di Troia per far rientrare dalla porta la famigerata pretesa di imporre ai docenti, senza alcun incremento di retribuzione, un orario di servizio oltre le attuali ore di insegnamento? A principio introdotto, basterà poi spiegare che le ore “depositate” sono quelle di tutti i giorni non fruiti per ferie, permessi spettanti, festività e il gioco è fatto.

E così, a circa un anno di distanza, ritorna, questa volta in modo capzioso, e pertanto più insidioso, l’insana proposta di aumentare, con lo stesso stipendio, le ore di insegnamento già esplicitamente avanzata con il Governo Monti. Allora, il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ben pensò che in Italia essendo ormai gli insegnanti ridotti a mera categoria impiegatizia, a questa categoria doveva essere conformato anche il loro orario di servizio. Ma il tentativo di inserire la proposta nella legge di stabilità 2013 naufragò miseramente e, qualche mese dopo, con le elezioni politiche del 2013 si chiuse per il Paese l’esperienza horribilis di un’azione di governo tanto inutile quanto dolorosa per le classi sociali medie e meno abbienti. Di quel Governo ancora sanguinano le ferite di coloro che dopo aver lasciato il lavoro si sono visti negare il diritto alla pensione e dei lavoratori del settore pubblico che, oltre alla reiterazione del blocco dei contratti, si sono visti bloccare ogni forma di adeguamento stipendiale.

Ma mutatis mutandis, il cambio di Governo non ha fatto venir meno l’insano proposito che anzi ricompare con una reformatio in peius. Ma mentre con il Governo Monti l’aumento di ore interessava solo i docenti della scuola secondaria, adesso con la cosiddetta banca ore interesserebbe tutti gli insegnanti, dall’infanzia alla secondaria, per di più con prospettive ridotte di miglioramento retributivo qualora, per come scritto, fossero aboliti definitivamente gli scatti stipendiali. Dell’intenzione di voler imporre un aumento di ore di insegnamento in modo subdolo e surrettizio ne sarebbe testimonianza la vicenda di chi osò parlarne pubblicamente, pagando il suo “errore” con il defenestramento dal Governo. Se questa è la democrazia per il Governo Renzi, se questi sono i propositi sulla scuola non si può certo stare sereni. Qualcuno, in un altro momento, pensò che fosse possibile, ma come finì è storia nota.

 

Francesco Greco

Presidente Associazione Nazionale Docenti

I permessi della legge 104/92 per i lavoratori disabili gravi

da La Tecnica della Scuola

I permessi della legge 104/92 per i lavoratori disabili gravi

L.L.

Anche al dipendente della scuola in situazione di disabilità grave riconosciuta dall’apposita Commissione Medica Integrata spettano, alternativamente, riposi orari giornalieri di 1 ora o 2 ore a seconda dell’orario di lavoro e 3 giorni di permesso mensile, frazionabili anche in ore

Ai lavoratori dipendenti con disabilità grave riconosciuta ai sensi dell’art. 3, comma 3, della Legge 104/92 e ai lavoratori dipendenti che prestano assistenza ai loro familiari con disabilità grave, vengono concessi, in presenza di determinate condizioni, permessi e periodi di congedo straordinario retribuiti.

Per quanto riguarda i permessi retribuiti, essi spettano, per sé stessi, ai lavoratori dipendenti disabili in situazione di gravità, e a chi eventualmente li assiste:

  • genitori, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità;
  • coniuge della persona disabile in situazione di gravità;
  • parenti o affini entro il 2° grado della persona disabile in situazione di gravità;

Il diritto può essere esteso ai parenti e agli affini di terzo grado soltanto qualora i genitori o il coniuge della persona disabile in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (L. 183/2010).

La medesima legge ha cancellato i requisiti di assistenza esclusiva e continuativa richiesti, in precedenza, nel caso il lavoratore non fosse convivente con la persona con disabilità (l’obbligo di convivenza era stato, invece, già superato dall’articolo 20, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53 a condizione che sussistesse la continuità e l’esclusività dell’assistenza).

Con riferimento al lavoratore dipendente disabile, anche se con rapporto di lavoro part-time, che si trovi ovviamente in situazione di disabilità grave ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 104/92 riconosciuta dall’apposita Commissione Medica Integrata e non sia ricoverata a tempo pieno, i permessi retribuiti consistono in:

  • riposi orari giornalieri di 1 ora o 2 ore a seconda dell’orario di lavoro (sotto le sei ore di lavoro giornaliero spetta una sola ora di permesso lavorativo);
  • 3 giorni di permesso mensile, frazionabili anche in ore.

I due tipi di permesso non sono fra loro cumulabili e sono alternativi tra di loro, quindi o si usufruisce dei tre giorni di permesso oppure delle ore giornaliere.

In presenza dei requisiti richiesti, i permessi lavorativi si ottengono dopo aver presentato formale richiesta e aver ricevuto la relativa concessione.

Per il personale della scuola, la domanda va presentata al dirigente scolastico, che ha il compito di valutare la correttezza formale della domanda, di concordare con il richiedente l’articolazione della fruizione dei permessi e di emettere apposito provvedimento di concessione del permesso richiesto.

Gli stati generali della scuola del M5S

da La Tecnica della Scuola

Gli stati generali della scuola del M5S

“Siamo in clima di rivoluzione”. Perché adesso arrivano la giornata conclusiva degli Stati generali della scuola che si terrà, organizzata dal M5S, il 24 novembre alle 9 in sala Tatarella a Montecitorio.

L’incontro si svolgerà al termine di un evento organizzato dal Movimento 5 Stelle dal titolo “Stati Generali della Scuola”, che si terrà a Latina nelle giornate di sabato 22 e domenica 23 novembre. Durante il convegno di lunedì a Roma presso il Palazzo dei Gruppi parlamentari i coordinatori dei tavoli di lavoro tematici svoltisi durante il weekend di Latina illustreranno i risultati emersi dalle due giornate di studio e confronto con docenti, dirigenti, studenti, genitori e personale ATA.

Successivamente avranno luogo gli interventi di una serie di esperti del mondo della scuola, giornalisti, sindacalisti e parlamentari del Movimento 5 Stelle, che commenteranno il documento “La Buona Scuola” e le prime disposizioni attuative presenti nella prossima legge di stabilità, evidenziandone le criticità e condividendo le proprie proposte alternative.

Hanno già confermato la loro presenza i seguenti relatori:- Stefano D’Errico (segretario nazionale Unicobas) Cosimo Scarinzi (coordinatore nazionale CUB) Rino Di Meglio (coordinatore nazionale Gilda e FGU) Fabrizio Reberschegg (centro studi Gilda) Gianluigi Dotti (centro studi Gilda) Anna Grazia Stammati (Cobas Scuola) Marcello Pacifico (presidente Anief) Marina Boscaino (docente e blogger del Fatto Quotidiano).

La politica vuole fare capire che si fa sul serio. E che sulla riforma della scuola ci vogliono idee condivise. Attendiamo i risultati del dibattito. Il risultato degli Stati generali sarà forse, in omaggio alla storia, una rivoluzione?