Capaci di stare al mondo

Capaci di stare al mondo

di Cosimo De Nitto

I tempi della scuola non sono quelli della società, specie quella attuale così veloce, economicistica, utilitaristica, individualistica, precaria, competitiva, atomizzata.

Nella “Buona Scuola” di Renzi manca assolutamente la consapevolezza di questa differenza. Il principio dal quale muove è unico e univoco: “la scuola per la società”, dove la “società” è considerata sinonimo di economia, sistema di produzione, distribuzione, vendita di prodotti, accumulo; dove l’organizzazione delle relazioni e della governance aziendale diventano modello unico anche per istituti e organizzazioni, come la scuola, che sono affatto diversi, diversi per missione costituzionale, diversi per contenuti, finalità, mezzi, strumenti, relazioni ecc.
Per l’economia e per l’azienda il futuro è oggi, il futuro sono l’andamento e gli indici di borsa di oggi, il futuro è il tempo che passa tra la produzione di un oggetto e la sua distribuzione e vendita sul mercato. Il passato… semplicemente non esiste se non come insieme di cifre e rendicontazioni utili come parametri per il presente produttivo.

La scuola no, non è fatta così, non ha questi tempi, non può adeguarsi a questi parametri, a queste finalità, semplicemente perché è “cosa” affatto diversa.

La scuola ha un passato lunghissimo quanto quello dell’umanità che si studia, ha un passato meno lungo quanto la vita dei soggetti che la popolano, alunni, genitori o insegnanti che siano. Il passato nella scuola è fondamentale, non è fatto di cifre e conti economici, è esistenza e storia delle persone dalle quali non si può prescindere pena la miopia nel presente e la cecità assoluta per ciò che attiene il futuro.

La scuola ha un futuro lungo quanto si possa proiettare in avanti come rappresentazione della società e come sue implicite possibilità, ma lungo anche quanto la vita degli allievi che molti e molti anni dopo si ritroveranno a vivere in quella società, che certamente sarà cambiata, si spera in meglio.

Schiacciare e appiattire la scuola sul presente è un errore gravissimo. Un gravissimo errore schiacciarla sul “lavoro” che c’è/non c’è oggi, vista la rapidità con cui aziende, prodotti e processi produttivi compaiono e più spesso scompaiono superati da nuove forme produttive, da nuove tecnologie, da nuovi “bisogni” essenziali o indotti che siano.

La “Buona Scuola” dichiara che vuole essere “utile”. Utile al soggetto affinché trovi lavoro, cosa che spesso oggi appare una chimera, un sogno, una presa in giro talvolta. Utile più probabilmente alle aziende il cui orizzonte di interessi è circoscritto al massimo profitto qui ed ora, come è ovvio che sia.

Una scuola buona (potenza della posposizione), invece, della categoria dell’utile non fa parametro, principio, valore unico, ma secondario e integrato. Integrato in un contesto valoriale principale più ampio che comprende ed abbraccia la persona in tutti i suoi aspetti. A partire dal suo diritto alla libertà, alle opportunità, alle possibilità di scegliere e persino di costruire nuovi lavori, nuove “imprese”, alla possibilità e libertà di scegliere il proprio ruolo nella società in relazione ai propri sogni, alle proprie ambizioni, al proprio progetto di vita. Con l’aiuto della sua libertà interiore (frutto dell’educazione e della cultura), con l’aiuto del suo ingegno (frutto di una scuola che “allena” la divergenza), con l’aiuto di contesti favorevoli che ribaltino l’assunto e, accanto e prima della “scuola per la società” vedano quello che rivendica una “società per la scuola”.

Il lavoro, dimensione economica ed esistenziale ancorché importantissima, non assorbe tutto l’arco delle finalità costituzionali e costitutive del sistema formativo. Compito della scuola non è costruire “macchine per lavorare”, ma buoni cittadini, colti, capaci anche di lavorare, ma prima ancora capaci di stare al mondo, non solo in questo mondo, ma anche in quello di domani, dopodomani e di quanti dopodomani e quante società sarà possibile vivere, e per le quali le persone devono avere le capacità, la libertà, gli strumenti culturali al fine di accettarle così come sono, oppure poterle modellare e trasformare come essi ritengono.

Dirigenti scolastici. No a un nuovo bando di concorso

Scuola, AND: Dirigenti scolastici. No a un nuovo bando di concorso

In una nota inviata al presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, al Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini e a quello della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, l’Associazione Nazionale Docenti chiede di bloccare la procedura di un nuovo bando di concorso per dirigenti scolastici.
Nella nota è scritto: “Da più parti è annunciata la prossima pubblicazione di un bando per la selezione di nuovi dirigenti scolastici. Al riguardo, per come abbiamo in più occasioni evidenziato, è prioritario ripensare profondamente il ruolo e la funzione del capo di istituto e il sistema di governo della scuola, prima ancora di procedere all’assunzioni di nuovi dirigenti scolastici.
Da tempo sosteniamo, infatti, che il capo di istituto, cosi come avviene per le università e i conservatori, deve essere eletto dalla comunità professionale che opera nella scuola e che la nomina deve essere a tempo. Cosi come abbiamo sempre sostenuto di abbandonare la prassi di riforme buttate sulla scuola in spregio a quelle che sono le legittime aspettative di chi vi opera e degli interessi generali del Paese, tutti convergenti verso una buona scuola impegnata a formare l’uomo e il cittadino.
Per tali motivi, nelle more di una riforma del profilo giuridico del capo di istituto e del sistema di governo delle scuole, Vogliano considerare l’opportunità di non procedere ad alcuna selezione per nuovi dirigenti scolastici.”

“Buona scuola” solo se si premia il merito

da Firstonline

“Buona scuola” solo se si premia il merito: conclusa la consultazione del Governo sulla riforma

di Donatella Purger

Conclusa la consultazione del Governo sulla riforma della scuola che poggia su tre pilastri: la premialità economica degli insegnanti in base alla loro valutazione, l’assunzione di 150mila precari e lo sviluppo dell’alternanza scuola-lavoro – Ma le resistenze conservatrici del sindacato che privilegia l’anzianità sul merito rischiano di essere un ostacolo.

Con la fatidica data del 15 novembre, la consultazione on line e nei territori sulla “Buona scuola”, l’ampio e corposo documento in cui si delinea un nuovo assetto della scuola – “né referendum, né sondaggio”, secondo il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, a Matera per l’ultima tappa del tour di presentazione della proposta, “ma grande nastro di registrazione”, si è conclusa. Più di un 1 milione di accessi al sito, oltre 170mila partecipanti on line e 100mila questionari, circa 1.650 dibattiti organizzati in tutto il Paese con un primato in Emilia Romagna, circa 3.500 proposte pubbliche, 16.000 commenti e oltre 90.000 voti nelle stanze della sezione “Costruiamo insieme la Buona Scuola”, questi i dati resi noti dal ministro che ha espresso una certa cautela sulla diffusione dei risultati.

Sono forse eccessivamente ottimistiche le previsioni del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi che poche ore dopo, da Catanzaro indicava l’inizio della prossima settimana per la presentazione dei risultati della consultazione, scatenando le polemiche sull’incongruenza dei tempi necessari all’elaborazione di una così vasta mole di rilevazioni, ma è percepibile molto malumore, soprattutto tra gli insegnanti, per qualche tema particolarmente caldo.

Infatti, lo spettro che continua ad aggirarsi per la scuola italiana è il merito. Poco meno di venti anni fa, cadde Luigi Berlinguer nel nobile tentativo di introdurre meccanismi di valutazione degli insegnanti. Era stato il migliore dei ministri della Pubblica Istruzione e la scuola italiana perse, insieme alla valutazione degli insegnanti un’occasione preziosissima per crescere. I suoi successori a Viale Trastevere, di destra e di sinistra, si sono guardati bene dall’evocare quel pericoloso fantasma e Maria Stella Gelmini, che pure aveva fatto suonare la grancassa del merito all’inizio del suo mandato, si è affrettata subito a soffocarne ogni eco.

Dal settembre scorso, con la “Buona scuola”, Matteo Renzi ha riattizzato il fuoco introducendo, tra i meccanismi nodali del documento, la premialità economica in base alla valutazione degli insegnanti e questo tema tiene banco in tutte le manifestazioni e i dibattiti dei giorni scorsi. Veramente, il piano di Renzi ruota intorno a tre elementi chiave, l’assunzione di centocinquantamila supplenti, la valutazione dei docenti con la conseguente valorizzazione del merito, aumentare drasticamente l’alternanza scuola lavoro.

Dopo anni dai diversi provvedimenti e il riordino dei cicli di Berlinguer, questo è il primo piano sistemico che investe la scuola nella sua complessità e agisce su perni strategici quali sono i tre meccanismi che potranno cambiare, purtroppo non subito ma almeno in prospettiva, la scuola italiana. Ma ciò a determinate condizioni. A patto che l’assunzione dei centocinquantamila supplenti porti all’eliminazione del precariato e alla piena applicazione del dettato costituzionale per cui si accede all’insegnamento solo per concorso.

Questo è il primo requisito per una affermazione del merito che la valutazione del lavoro del docente dovrebbe sancire con meccanismi da affidare a soggetti terzi, sulla scorta del modello inglese. L’allargamento dell’alternanza scuola-lavoro è poi fondamentale per il rinnovamento se chiama in causa la didattica per competenze, soprattutto quelle chiave per la vita e la loro valutazione in termini di certificazioni spendibili sul mercato del lavoro.

Ma il malumore e la protesta che stanno animando la platea degli operatori della scuola e degli studenti non lascia presagire nulla di buono. A fronte della necessità di innovare la scuola per affrontare le sfide della complessità, la FLC-CGIL sa solo evocare la conservazione dell’esistente e sbandiera nel suo “Cantiere scuola”, le solite trite proposte e la pervicace difesa dell’avanzamento economico dei docenti per anzianità, dichiarando che non bisogna “introdurre, neanche indirettamente, elementi di gerarchia, di competizione, di individualismo o di concorrenza tra i docenti”.

Parlare di merito equivale insomma a una evocazione di Satana. Il cavallo di battaglia del sindacato diventa così una legge di iniziativa popolare del 2006, ripresentata con grande strepito come disegno di legge nel luglio scorso, contenente le più generiche e conservatrici linee di principio, praticamente fotocopia dell’esistente.

In questa tempesta, si attendono i risultati della consultazione sulla “Buona scuola” e se le spinte innovatrici contenute nel piano riusciranno a oltrepassare le diverse resistenze conservatrici, si potrà forse attendere l’avvio di un processo di modernizzazione.

Autovalutazione d’Istituto e professionalità docente

L’associazione “Valore Infinito” promuove l’incontro “Formazione Formatori” sul tema:

Autovalutazione d’Istituto e professionalità docente
Bari, 17 novembre ore  17.00 -19.30
Auditorium Scuola Media Michelangelo – Via Fanelli

Intervengono:
ALBA SASSO, Assessora P.I. Regione Puglia
GIANCARLO CERINI, Ispettore MIUR
RUGGERO  FRANCAVILLA, già Direttore Vicario USR Puglia
PATRIZIA SCIARMA, Presidentessa nazionale PVMScuola
Saranno inoltre presenti T. MONTEFUSCO, M. DE PASQUALE, V. BRUNETTI, G. D’ONGHIA
autori del  volume Autovalutazione d’Istituto & Professionalità docente, edito dalle Edizioni dal Sud.

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*Gli Incontri “Formazione Formatori” sono promossi dall’associazione “Valore Infinito” e aperti a quanti
(docenti, genitori, giovani, ecc.)  hanno a  cuore i temi dell’educazione, della formazione dei giovani e della formazione al lavoro,
per condividere esperienze, relazionarsi, attivare nuove progettualità.
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Info :  Tel. 3295788471 –  info@valoreinfinito.it                                   www.valoreinfinito.it

Maltempo Liguria, scuole chiuse per troppi giorni. A rischio le vacanze

da Il Fatto Quotidiano

Maltempo Liguria, scuole chiuse per troppi giorni. A rischio le vacanze

Per il momento il termine dell’anno scolastico resta il 9 giugno prossimo. Ma i singoli istituti dovranno organizzarsi per recuperare le ore di lezione perse per la chiusura forzata

Il corsivo come antidoto ai tablet: il progetto nelle scuole elementari

da Corriere.it

Il corsivo come antidoto ai tablet: il progetto nelle scuole elementari

L’esperimento realizzato in due scuole romane ha dimostrato come la scrittura manuale possa migliorare apprendimento e memoria affievolite dall’uso dei mezzi elettronici

di Valentina Santarpia

Tablet, computer, telefonini: hanno cambiato il nostro modo di scrivere, di percepire, di apprendere. In negativo, soprattutto se si guarda ai bambini e ai ragazzi. Secondo le ultime ricerche delle neuroscienze, alla diffusione dei mezzi digitali corrisponde una diminuzione della memoria, della capacità di orientamento spaziale e una meno precisa percezione delle relazioni temporali. Da un punto di vista educativo la diminuzione della capacità di scrittura manuale appare spesso associata a una più limitata capacità di coordinamento percettivo-motorio: è come dire che si osserva una sorta di rottura del rapporto tra pensiero e azione. Mentre, da un punto di vista puramente scolastico, calano le proprietà lessicali e sintattiche, diminuisce la memoria, sbiadisce l’apprendimento. E non è solo teoria: lo dimostra un progetto pilota, condotto in due scuole di Roma, una di Ostia e l’altra della periferia est, che ha coinvolto 386 studenti di scuola elementare. I bambini della III, IV e V classe sono stati invitati a scrivere in corsivo ogni giorno, da gennaio ad aprile, una frase, di 4, 5 o 6 righe, in proporzione all’età. I temi prescelti erano quanto più possibile neutri, per non avere implicazioni di carattere religioso, sanitario, sociale. «I risultati sono stati sorprendenti», rivela Benedetto Vertecchi, pedagoga e linguista, uno dei promotori dell’esperimento.

Dalla sperimentazione ai risultati

L’esito della ricerca, che ha prodotto in 4 mesi oltre 25 mila documenti scritti a mano, sarà presentato il 28 novembre. Ma Vertecchi ci anticipa la piccola scoperta: «Col passare dei giorni, i ragazzi hanno imparato ad usare espressioni sempre più efficaci, con poche parole adatte e non giri lessicali. E’ migliorata la sintassi, l’ortografia, la scrittura in sé: c’è stato un andamento che è simile a quello che si verifica quando si apprende una lingua straniera. All’inizio i bambini avevano bisogno di molte parole per esprimere un concetto, poi sono andati via via migliorando fino a perfezionare la propria capacità di elaborazione». Il progetto, finanziato con i residui di un fondo europeo, ha trovato enormi riscontri anche tra i professori, che, dopo aver constatato la povertà indotta dai nuovi mezzi usati dai bambini, hanno valutato sul campo i miglioramenti: «La ricerca semplificata dei motori internet aveva appiattito le loro capacità, ma è bastato spingerli a usare la parola scritta per ricostituire un piccolo patrimonio», conclude Vertecchi. Che potrebbe adesso portare il progetto all’attenzione del Ministero dell’Istruzione per valutare la possibilità di estenderlo in tutta Italia. Perché «nulla dies sine linea», come scrive Plinio il Vecchio riprendendo Apelle: l’espressione, usata per ribattezzare la ricerca, ricorda la necessità che il pittore ogni giorno esercitasse la sua abilità per tracciare almeno un segno. Successivamente la frase è passata a designare le righe di un messaggio alfabetico. Ed è in questo senso che è sembrato bene esprimere l’intento perseguito dall’esperimento.

«Assolto» il liceo classico, ma per il giudice deve cambiare testa

da Il Sole 24 Ore

«Assolto» il liceo classico, ma per il giudice deve cambiare testa

di Nicola Barone

Assoluzione perché «il fatto non sussiste». Ma per quanto piena la formula non risparmia censure a danno di un imputato decisamente sui generis, il liceo classico, cullato nei ricordi dai vecchi tradizionalisti ma vera e propria peste per gli innovatori. Greco e latino non smettono di avere la loro utilità nell’evo contemporaneo ma bisogna dare molto più di una tinta di fresco al corso di studi superiori più blasonato: serve una riforma, profonda, e gli studenti devono risparmiarsi qualunque posa di superiorità verso chi fa altro. Almeno così è stabilito nella sentenza pronunciata dal procuratore della Repubblica di Torino, a conclusione del “processo” messo in scena al Teatro Carignano, affollato di
studenti e docenti su iniziativa del Miur, assieme al Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Torino e la Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo.

Dibattimento senza esclusione di colpi
Come in una comune aula di tribunale davanti al giudice se le sono date di santa ragione accusa e difesa, rappresentata la prima dall’economista Andrea Ichino dell’European University Institute, con Umberto Eco nei panni dell’avvocato. Testimoni lo scrittore Marco Malvaldi, il matematico Stefano Marmi della Scuola Normale di Pisa, il filologo Luciano Canfora, il filosofo della matematica Gabriele Lolli, il latinista Ivano Dionigi e Adolfo Scotto di Luzio. In video Massimo Cacciari, Tullio De Mauro, Massimo Giletti. «Il 70% degli italiani non è in grado di elaborare informazioni matematiche in Italia. Nessuno vuole abolire la
cultura umanistica ma serve un nuovo equilibrio tra cultura umanistica e cultura scientifica», ha attaccato Ichino nella requisitoria. «Non è vero che studiando al classico si può fare qualunque cosa. Ad esempio tra gli studenti che tentano il test di medicina quelli del classico hanno risultati meno positivi». «Avere una cultura umanistica – ha replicato Eco nell’arringa – significa saper fare i conti con la storia e con la memoria. L’umanità sta perdendo la memoria». Per Eco, che ha scherzosamente proposto di eliminare il liceo scientifico, bisogna portare l’inventiva e la creatività anche nel mondo scientifico e tecnologico. E «contrastare quelle sacche di iperspecializzazione dove l’esperto di malattie rare non sa curare un raffreddore». Bisogna sapere insegnare non solo il teorema di
Pitagora «ma anche qual era il suo terrore dell’infinito».

Dito puntato contro chi avrebbe dovuto cambiare
Il liceo classico di oggi, dice la corte, non è figlio di una cultura e di una riforma fascista, ma occorre un cambiamento troppo a lungo atteso. Il giudice manda gli atti al pm «perché promuova indagini preliminari in ordine a eventuali responsabilità per mancata o distorta opera riformatrice della scuola italiana». Spetta al pubblico ministero, secondo il dispositivo, «indagare su eventuali comportamenti omissivi di chi, avendo responsabilità di governo, non ha attuato la riforma, venendo anche meno al dovere di fornire alla scuola risorse personali e strutturali assolutamente necessarie per il suo funzionamento». In gioco anche altro: Canfora parla del liceo classico come di una «trincea della democrazia». Tradurre latino e greco non è un esercizio sterile e fine a se stesso, «ma è lo strumento principale per orientarsi nella comprensione degli altri e delle altre culture».

La scuola digitale è un fattore d’integrazione per disabili e stranieri

da Il Sole 24 Ore

La scuola digitale è un fattore d’integrazione per disabili e stranieri

di Eugenio Bruno

Per la maggioranza dei docenti la tecnologia in classe è un potente fattore d’aggregazione per disabili (80%) e stranieri (60%). Un insegnante su due ritiene infatti che la tecnologia favorisca la responsabilità, il rendimento e l’aggregazione dei ragazzi. A sua volta un genitore su quattro incoraggia l’uso di tablet per rinnovare la didattica. Sono i primi dati sulla sperimentazione della scuola digitale diffusi nell’ambito di «Smart family»: l’iniziativa di Samsung e Moige (Movimento italiano genitori) che parte oggi e punta a sensibilizzare famiglie e prof sull’importanza di una fruizione responsabile delle nuove tecnologie da parte dei minori

L’iniziativa
«Smart Family» è la declinazione pedagogica del progetto Samsung Smart Future che ha debuttato durante l’anno scolastico 2013/2014. Attraverso la fornitura di E-boards e tablet e corsi di formazione a 37 scuole primarie e secondarie italiane su tutto il territorio nazionale, stati raggiunti importanti risultati rispetto al processo di apprendimento, come dimostra una ricerca condotta dall’università Cattolica di Milano nell’ambito dell’Osservatorio sui Media Digitali a Scuola. Dall’indagine – che ha coinvolto 199 genitori, 157 docenti (64% donne e 36% uomini) e 16 dirigenti scolastici – è emerso come la tecnologia non venga percepita come sostitutiva della didattica tradizionale, ma come un elemento che genera valore aggiunto: viene infatti ritenuta un aspetto vicino e quotidiano dal 35,49% degli insegnanti, che le attribuiscono il ruolo di aggregante per l’inclusione di studenti stranieri (60%) e diversamente abili (80%). Non solo: sul fronte studenti, gli insegnanti pensano che la tecnologia renda i ragazzi maggiormente responsabili (46%) e possa incidere anche sul rendimento (46%) e l’aggregazione (58%). Positivi i riscontri anche da parte dei genitori: per il 53,68% il tablet può contribuire a fare squadra e il 23,44% è fiducioso che, grazie al suo utilizzo, i figli possano acquisire competenze diverse. Inoltre, per il 23,25% del campione, il tablet è in grado di produrre strumenti e materiali per una didattica innovativa, per il 4,93% aumenta il livello di motivazione e per l’11,72% migliora l’attenzione in classe.

Le tappe successive
Sempre in quest’ottica Samsung ha deciso di digitalizzare altre 54 scuole nell’anno scolastico 2014/2015. In questo scenario s’inserisce «Smart Family» che si rivolge principalmente a genitori ed agli studenti di 291 classi di scuola primaria e secondaria di primo grado tra quelle già digitalizzate nell’ambito del progetto Smart Future e coinvolgerà oltre 25.000 partecipanti. Il tour che parte oggi attraverserà 7 regioni d’Italia, dalla Lombardia alla Puglia, per un totale di 34 date in 29 scuole. Negli istituti coinvolti, gli operatori del Moige – con il supporto di dipendenti Samsung, in qualità di volontari – organizzeranno incontri e confronti con esperti, pedagogisti e psicologi, che sensibilizzeranno i presenti sull’uso sicuro e responsabile delle nuove tecnologie. Al termine di ogni incontro, i partecipanti riceveranno materiale didattico sulla tematica affrontata e avranno a disposizione un’area riservata sui siti istituzionali di Samsung e del Moige per accedere ai contenuti multimediali disponibili e scaricabili on-line.

La Buona Scuola è il momento della trasparenza e della sintesi efficace

da TuttoscuolaNews

La Buona Scuola è il momento della trasparenza e della sintesi efficace

Terminata la consultazione sulla Buona Scuola, comincia ora la difficile operazione di ordinare le 100.000 risposte del questionario, esaminare i 15 mila commenti inviati e le 3.500 proposte pervenute, al fine di  integrare il documento della Buona Scuola ed elaborare i disegni di legge che il Governo presenterà in Parlamento. Una complessa operazione per una scelta di qualità. I risultati

saranno presentati nei prossimi giorni dal ministro Giannini, ha annunciato il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. E intanto la Giannini lancia un appello da Matera, dove ha concluso i sessanta giorni di consultazione: ci vuole “un ambasciatore (studente, professore o genitore) della ‘Buona Scuola’ in ogni istituto: ora comincia tutto”.

È stato rimproverato al ministro Giannini e al Governo che questo metodo di consultazione on line ha peccato di scarsa democrazia, perché non si è avvalso di un vero confronto, pur essendovi state in tutta Italia migliaia di incontri e dibattiti. Si tratta di rispettabili opinioni da considerare, ma la prova di democrazia comincia ora con la restituzione trasparente di tutti i dati contenuti nei questionari restituiti e la messa in linea (eventualmente sintetizzati in abstract) delle proposte pervenute.

Operazione trasparenza, prima di tutto. Poi ci dovrà essere la valutazione degli esiti del questionario e delle proposte, la parte più impegnativa di tutta la Buona Scuola.

Sarà importante prevedere il coinvolgimento vero e proprio del Miur, visto che nell’elaborazione del testo della Buona Scuola il Ministero è stato messo sostanzialmente da parte (anche se nell’incontro dei giorni scorsi con i sindacati della scuola il ministro Giannini ha affermato proprio il contrario). All’interno del Miur vi sono risorse amministrative e tecniche che sarebbero molto utili da impiegare.

La credibilità di questa grande operazione della Buona Scuola – unica nel suo genere da quarant’anni a questa parte – non ha però bisogno soltanto di trasparenza. Deve dimostrare nei fatti che per effetto della consultazione sono state recepite proposte integrative e, se del caso, modificate tesi del testo iniziale. Sarebbe una prova di vera democrazia.

“Questa consultazione – ha affermato Stefania Giannini – non voleva essere un referendum e non voleva essere un sondaggio: voleva essere un grande nastro registratore che ascolta tutte le voci diverse del Paese, le analizza, le sente anche non sempre in sintonia con quello che abbiamo scritto”. E così, alla fine della consultazione, uscirà una ‘Buona scuola’ diversa: “Nel nostro documento, ad esempio, il tema dell’integrazione non era forte e invece il tredicesimo capitolo sarà proprio sulla diversità e sull’integrazione”.

Costo standard Un concetto di non facile definizione tra vantaggi e rischi

da TuttoscuolaNews

Costo standard  Un concetto di non facile definizione tra vantaggi e rischi  

Quella del costo standard potrebbe diventare la nuova cometa che periodicamente solca i cieli dell’universo scolastico italiano: ogni 15-20 anni ne compare una, con il fascino della novità, poi progressivamente la luce si attenua e compare un’altra cometa, o idea guida o parola d’ordine.

È stato così, negli anni settanta-ottanta dello scorso secolo per l’idea forza di partecipazione, seguita poi da quella di autonomia. Ora potrebbe essere il momento del costo standard, inteso come parametro di riferimento per il finanziamento dell’offerta pubblica di istruzione nel suo insieme, costituito dalle scuole statali e da quelle paritarie.

Se ne è discusso sabato scorso in un affollato convegno promosso a Milano, nella sede della Provincia, per iniziativa della deputata Elena Centemero, responsabile scuola e università di Forza Italia, da tempo impegnata su questa tematica con l’obiettivo prioritario di favorire la maggiore efficacia ed efficienza di tutte le istituzioni scolastiche che deriverebbe dalla loro libera competizione sulla qualità dell’offerta, a parità di risorse.

Centemero è impegnata su questo fronte a livello nazionale, in Parlamento, ma non è casuale che abbia scelto la Lombardia per questo convegno. In questa regione, come ha osservato Valentina Aprea, ora assessore regionale all’istruzione (ma in passato suo predecessore come responsabile scuola di Forza Italia), “c’è apertura verso il pluralismo educativo”. Aprea, intervenuta anche in rappresentanza del presidente della Regione Maroni, ha sostenuto che “le risorse devono seguire le scelte delle famiglie, quindi gli alunni, non il contrario” come ora avviene.

Sul dibattito politico torniamo nella news successiva. La prima parte del convegno si è incentrata invece sugli aspetti concettuali e tecnici della nozione di Costo Standard (CS). Dalla relazione svolta da Marco Grumo, docente di economia aziendale all’Università Cattolica, si è ben compreso che l’applicazione del CS (definito come “costo ipotetico calcolato sotto precisi assunti di efficacia, efficienza e qualità dei processi”, da non confondere con costo medio o a consuntivo) potrebbe portare grandi benefici a tutto il sistema se ben gestita, ma anche grandi guasti e inefficienze se il management (leggi presidi) non fosse all’altezza del compito.

Più orientata alla necessità di dare risposte urgenti anche ai problemi finanziari delle scuole paritarie, ora in gravi difficoltà, la relazione svolta da Anna Monia Alfieri, docente presso la scuola ALTIS dell’Università Cattolica ma anche gestore di scuole paritarie. L’adozione del CS, a suo giudizio, aiuterebbe tutte le scuole, a partire da quelle statali, a gestire meglio le risorse, manderebbe fuori mercato le scuole, anche paritarie, inefficienti, e costerebbe meno allo Stato. Alfieri insiste per tempi rapidi e fa presente che la proposta di adottare subito il CS, avanzata a soli cinque giorni dalla fine della consultazione online, ha ricevuto molti consensi (1.700), piazzandosi al secondo posto nella classifica delle proposte più condivise.

Giannini tranquillizza sulle 148mila assunzioni: tutte a settembre e senza nuove norme

da La Tecnica della Scuola

Giannini tranquillizza sulle 148mila assunzioni: tutte a settembre e senza nuove norme

Lo ha tenuto a specificare il titolare del Miur parlando del progetto la ‘Buona scuola’, da considerare anche come “un grande piano occupazionale”: le immissioni in ruolo saranno realtà il 1° settembre 2015 e non occorre alcun provvedimento legislativo, visto che il passaggio è ribaltato grazie ai tre miliardi previsti dalla Legge di Stabilità. Ma bastano i finanziamenti per superare l’art. 19 del DL 98/2011e l’art.50 del DL 5/2012 che impongono immissioni in ruolo non oltre il turn over?

C’è un passaggio dell’intervento del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, tenuto a Matera che merita un approfondimento. Stiamo parlando delle precisazioni fornite dal titolare del Miur a proposito del piano di svuotamento delle GaE attraverso l’assunzione di 148mila docenti. Che a detta di Giannini necessiterebbe di una modifica alla legge vigente, che blocca il numero di assunzioni al numero effettivo di posti disponibili (fermi all’organico del 2011/12). Lo stesso ministro, però, sembrerebbe volere dire che essendo il piano finanziato dalla stessa Legge di Stabilità che lo dovrebbe attuare, allora automaticamente il problema del tetto delle immissioni in ruolo non si pone.

Come evidenziato da questa testata giornalistica, “il nodo sta tutto nel DL 98/2011 che all’art. 19 (comma 7) chiarisce che  “a decorrere dall’anno scolastico 2012/2013 le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed ATA della scuola non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell’anno scolastico 2011/2012 in applicazione dell’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112”. Disposizioni, richiamate anche nell’art.50 del DL 5/2012 approvato all’epoca del ministro Profumo contenente indicazioni per l’attuazione dell’organico funzionale.

Ecco cosa ha detto Giannini: sugli insegnanti, ha tenuto a specificare, “noi abbiamo detto ‘no’ a una scuola che non dà stabilità di progetto: per assumere 140 mila insegnanti ci vuole un provvedimento legislativo, ma il passaggio è ribaltato perché la Stabilità ci ha dato le risorse: tre miliardi”. Il messaggio appare chiaro.

Come appare chiaro che le immissioni in ruolo si concretizzeranno tutte nella prossima estate. Smentendo così sul nascere le voci di “spalmatura” delle immissioni in ruolo su tre anni anziché uno. “Le assunzioni – ha sottolineato Giannini – saranno realtà il 1° settembre 2015: la ‘Buona scuola’ è anche un grande piano occupazionale”.

Nei prossimi giorni, comunque, ne sapremo qualcosa di più: sia perché la Legge di Stabilità è attesa alla votazione dell’Aula della Camera; sia perché il testo della Buona Scuola dovrebbe cominciare a delinearsi.

Le assunzioni impediranno la mobilità dei docenti di ruolo

da La Tecnica della Scuola

Le assunzioni impediranno la mobilità dei docenti di ruolo

Lo sostiene l’Associazione “Insegnanti in Movimento” di cui fanno parte soprattutto docenti del sud che lavorano al nord. Se tutti i posti vacanti verranno. assegnati ai precari da assumere, gli spazi per la mobiltà si ridurranno drasticamente

Alla Associazione Insegnanti in movimento le 148mila assunzioni promesse dal Governo Renzi non piacciono molto e lo spiegano in un lungo documento in cui, in estrema sintesi, si sottolinea un rischio importante: se non ci sarà più distinzione fra organico di diritto e organico di fatto e se entro settembre 2015 il Ministero dovesse procedere davvero con le immissioni in ruolo su tutti i posti disponibili, le possibilità di trasferimento per i docenti già in servizio si ridurrebbero drasticamente.
In realtà gli “Insegnanti in movimento” si dicono preoccupati ) in quanto nel documento “Buona Scuola”, laddove si parla delle assunzioni, si dice anche che si prevede l’attuazione di un “minimo di mobilità da organico su cattedra a organico funzionale, da parte dei docenti di ruolo attualmente in servizio”.
“La Pubblica Amministrazione – sostiene l’Associazione – dovrebbe al contrario attenersi al principio del ‘previo esperimento delle procedure di mobilità’ che privilegia l’acquisizione di risorse umane tramite la mobilità rispetto alle ordinarie misure di reclutamento così come espressamente enunciato nella Circolare n° 4/2008   del Dipartimento della Funzione Pubblica”.
Il problema maggiore – afferma ancora l’Associazione – riguarda i docenti residenti al sud che stanno lavorando in regioni del nord e che cercano di ricongiungersi con i propri familiari che stanno al sud.
E allora ecco una proposta concreta: “Considerato che alla data del 31/08/2014 in molte regioni d’Italia (in particolare la Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Puglia, Basilicata) l’organico di diritto è pressoché esaurito in quanto tutti i posti sono stati già coperti in occasioni delle recenti immissioni in ruolo, chiediamo che la trasformazione dei 140.000 posti da organico di fatto a organico di diritto e la costituzione dell’organico  funzionale vengano effettuate entro il 28/02/2015, data utile per le operazioni di mobilità”
A ben vedere, però, per il 2015/2016 il problema dovrebbe essere più teorico che pratico, in quanto le assunzioni verranno fatte certamente nelle ultime settimane di agosto e quindi dopo tutte le operazioni di mobilità.
Certo è che a partire dal 2016/2017 ci saranno non pochi problemi per trasferirsi da una scuola all’altra: per spostarsi di sede bisognerà confidare nello spostamento di altri docenti, perché se il piano di assunzioni andrà in porto i posti vacanti saranno davvero pochi.

Aprea e la “Buona scuola”

da La Tecnica della Scuola

Aprea e la “Buona scuola”

“Le risorse devono seguire le scelte delle famiglie, quindi gli alunni, non il contrario: non deve essere lo studente che va dove lo Stato ha allocato le risorse. In questo senso, il governo centrale deve consentire alle Regioni di ricevere trasferimenti in base agli effettivi costi standard e a loro spetta ridistribuirle in base alle scelte delle famiglie e alla capacità dei territori di soddisfare i bisogni formativi”

Lo ha detto l’assessore all’Istruzione di Regione Lombardia, Valentina Aprea, intervenendo al seminario ‘La buona scuola e il costo standard’ ospitato a Milano nella Sala Affreschi della Provincia e organizzato dall’onorevole Elena Centemero, componente della I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, in collaborazione con Regione Lombardia, Provincia e Associazioni delle famiglie e dei docenti delle scuole paritarie.

Con l’assessore regionale hanno partecipato al momento di lavoro, tra gli altri, Carmela Palumbo, direttore generale per gli ordinamenti scolastici e per l’autonomia scolastica del Ministero all’Istruzione, Ricerca e Università, in rappresentanza del ministro Stefania Giannini, Guido Podestà, presidente della Provincia di Milano, Francesco Cappelli, assessore all’Educazione e Istruzione del Comune di Milano, Marco Grumo, docente di Economia aziendale presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Anna Monia Alfieri, gestore scuole paritarie e docente Altis Università Cattolica, oltre a dirigenti dell’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia.

“E’ necessario realizzare e regolare un modello di governance condiviso del sistema educativo – ha spiegato l’assessore Aprea – quale presupposto imprescindibile per rendere efficace l’azione di Governo e Regioni, anche per utilizzare al meglio le risorse disponibili”.

Portando i saluti del presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, l’assessore Aprea ne ha richiamato l’impegno per l’introduzione di costi standard e quindi modificare l’attuale impianto della Legge di stabilità.

“Anche per la scuola – ha sottolineato Aprea – così come è stato fatto per la sanità è indispensabile passare ad un sistema di Livelli Essenziali di Prestazioni che individui con criteri oggettivi il fabbisogno formativo sulla base di uno standard condiviso su cui fondare la programmazione territoriale, un modello capace di realizzare un giusto equilibrio tra l’autonomia programmatoria delle Regioni nei territori e il rispetto dei vincoli di bilancio imposti dalla finanza pubblica”.

Argomentazioni ampiamente condivise dal direttore generale del Miur, Palumbo, che ha sottolineato sia molto utile “guardare ai criteri di allocazione delle risorse”, annunciando che il ministero sta lavorando per intervenire su un altro capito critico del sistema scuola: non solo la valutazione dei docenti ma anche delle scuole e della dirigenza scolastica. “A fine mese – ha precisato Palumbo – presenteremo il format di autovalutazione delle scuole che permetterà ai genitori di effettuare una comparabilità degli istituti in base a criteri prestabiliti che tengono conto dello stesso background socio-economico”.

“Un percorso certamente utile – ha commentato l’assessore Aprea – a patto che il progetto di riforma ‘La buona scuola’ introduca nel suo impianto normativo un ruolo per le Regioni che, attualmente, non c’è. Per questo, anche in sede di Conferenza Stato-Regioni abbiamo proposto una nuova governance includendo i Livelli Essenziali di Prestazione che tengono conto dei costi standard”.

“Senza dimenticare la possibilità – ha detto con forza l’assessore Aprea – di lasciare alle famiglie l’opportunità di scegliere quale scuola far frequentare ai propri figli: in questi anni Regione Lombardia ha costituito un esempio a livello nazionale per il nostro sistema di Istruzione e Formazione Professionale, di cui abbiamo competenza esclusiva, e che oggi accoglie oltre 50.000 studenti, il 18% dei ragazzi che frequentano il secondo ciclo”.

“Il sistema della Dote – è entrata nel merito l’assessore – è strutturato in modo che ciascuno studente è titolare di un contributo regionale di 4.500 euro, la Dote appunto, che può spendere presso ogni istituzione accreditata e che gli garantisce la gratuità del percorso di studi: in questo modo l’alunno e la famiglia sono totalmente liberi di scegliere senza distinzioni tra enti di proprietà privata o pubblica perché entrambi sono accreditati”.

“In Europa – ha concluso Aprea – i modelli di gestione dell’istruzione sono molto più rispettosi della ‘libertà di scelta’ delle famiglie e non si identificano necessariamente con l’istruzione ‘statale’, gestita in regime di monopolio. Sono più rispettosi anche dell’autonomia delle scuole cui viene affidata l’intera gestione dei percorsi, dalle scelte dei docenti alle ‘curvature’ dei curricula in base alle effettive esigenze del territorio. Una autonomia finanziaria che ha, come rovescio della medaglia, processi di ‘accountability’ consolidati in base ai quali o si rispettano precisi parametri o scattano sanzioni fino alla chiusura degli istituti”.

Alla ricerca di ambasciatori per #BuonaScuola

da La Tecnica della Scuola

Alla ricerca di ambasciatori per #BuonaScuola

Da Matera alla ricerca di ambasciatori per una “Buona Scuola”, che “ha una grande voglia di innovazione, non di stravolgimento”: l’appello è stato lanciato dalla ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini

A Matera, la Città dei Sassi un mese fa designata Capitale europea della Cultura per il 2019, la ministra  ha partecipato all’evento conclusivo della consultazione avviata a settembre dal Governo.

“I risultati sono straordinari”, ha detto ai giornalisti prima di entrare nell’Auditorium “Roberto Gervasio” (all’esterno protesta con striscioni e volantini dei sindacati): un milione e 200 mila accessi al sito, 170 mila questionari compilati e 1.650 dibattiti. “Questa consultazione – ha spiegato – non voleva essere un referendum e non voleva essere un sondaggio: voleva essere un grande nastro registratore che ascolta tutte le voci diverse del Paese, le analizza, le sente anche non sempre in sintonia con quello che abbiamo scritto”.

E così, alla fine della consultazione, uscirà una “Buona scuola” diversa: “Nel nostro documento, ad esempio, il tema dell’integrazione non era forte e invece il tredicesimo capitolo sarà proprio sulla diversità e sull’integrazione”.

Durante la manifestazione sono state illustrate alcune buone pratiche pensate e realizzate nelle scuole italiane: “L’esempio di Fabiola Gianotti (nuovo direttore generale del Cern di Ginevra), in questo periodo la bandiera della scuola italiana – ha ricordato il Ministro – dimostra che in Italia di buona scuola ce n’è tanta: noi vogliamo sviluppare proprio questa potenzialità. Perché finora, secondo me, la cosa più importante che ha fatto questo Governo è stata quella di rimettere al centro i temi dell’istruzione e della cultura, due facce della stessa medaglia”. E anche, per questo “è stato difficile resistere alle ‘tentazione’ – ha proseguito – di chiudere il percorso della consultazione a Matera, una città emozionante e che mi ha trasmesso tanto entusiasmo”.

Dagli alunni del liceo classico Duni (in attività da 150 anni) è arrivato per il Ministro un regalo inatteso: il registro del biennio 1882-1884 con le firme di Giovanni Pascoli che insegnò nella Città dei Sassi. “Grazie, grazie, grazie”, ha scandito il Ministro che ha anche chiesto di “superare le barriere ideologiche come quelle sul tema scuola e privati” e ha poi lanciato l’appello: “La consultazione è finita ma ora comincia tutto e, per questo, vogliamo un ambasciatore (studente, professore o genitore) della ‘Buona Scuola’ in ogni istituto”. E dall’1 settembre 2015 potrebbe essere una “Buona scuola” anche per i 140 mila insegnanti in attesa di assunzione: “Abbiamo detto ‘no’ a una scuola che non dà stabilità di progetto. Per assumere 140 mila insegnanti ci vuole un provvedimento legislativo, ma il passaggio è ribaltato perché la stabilità ci ha dato le risorse (tre miliardi). Le assunzioni – ha concluso Giannini – saranno realtà il 1 settembre 2015: la ‘Buona scuola’ è anche un grande piano occupazionale”. (Ansa)

Gli Italiani non sanno l’inglese

da La Tecnica della Scuola

Gli Italiani non sanno l’inglese

Secondo l’indagine Ef su 63 Paesi l’Italia è al 26° posto nel mondo. Migliora, ma non è sufficiente per il lavoro. Al top la Danimarca

I più bravi al mondo in inglese sono danesi, olandesi e svedesi. Si parla non bene in America Latina, Medio Oriente, Nord Africa, gran parte dell’Asia, con l’eccezione di Hong Kong, Taiwan, Giappone ma migliora l’ Indonesia. L’Italia è al 27esimo posto sui 63 Paesi sulla base di questa quarta indagine realizzata da Ef Englishtown. Peggio di noiin Europa solo la Francia.

Lo strumento utilizzato, con cui sono stati testati 750 mila adulti in 63 Paesi, si  allinea al Quadro Comune di Riferimento Europeo per le Lingue Straniere, secondo il livello di competenza alto: B2; buono, medio e basso  B1 e molto basso il livello A2.

Siamo dunque indietro rispetto alla media europea, «soprattutto nell’uso dell’inglese in ambito lavorativo», mentre 7 paesi europei sono nella fascia «alto livello di competenza» (tra 63 e 69 punti), undici a livello «buono», tredici nella fascia «media», in cui compare, appunto, l’Italia.

Nessuna nazione d’Europa tra i trenta con livello «basso» e «molto basso». «Ci sono però molti segnali positivi per il futuro: la conoscenza dell’inglese tra gli italiani che hanno meno di 35 anni è superiore rispetto agli altri adulti, il che indica che i cambiamenti operati nel sistema educativo per l’insegnamento dell’inglese stanno iniziando a dare frutti».

Per trovare il rapporto più alto di competenza in inglese bisogna andare nei Paesi Scandinavi continuano ad avere il più alto livello di competenza in inglese, mentre «la padronanza dell’inglese in Europa continua a essere notevolmente superiore rispetto alle altre regioni e continua a migliorare». Le donne parlano inglese meglio degli uomini, sia a livello internazionale che in quasi tutti i paesi analizzati singolarmente, come accade in Lombardia che è la regione italiana che ha il miglior punteggio e che è anche la regione con il maggior numero di studenti che frequentano corsi di lingue e programmi di formazione all’estero.

La padronanza dell’inglese inoltre resta, come sostengono gli esperti,  un indicatore fondamentale della competitività economica di un Paese ed è fortemente correlata al reddito, alla qualità della vita, alla facilità di fare impresa e di competere sui mercati internazionali. I paesi dove il livello è medio-basso, sono anche spesso quelli in situazione di stagnazione o recessione: Francia, Spagna e Italia. In matematica si dice: c.v.d.