Sciopero generale

UIL proclama sciopero generale

Male incontro ieri a Palazzo Chigi. Punti critici da PA a Job Act

Domani si proporrà a Cgil e Cisl data e modalità

“Si è riunito l’Esecutivo nazionale dell’Organizzazione per una valutazione del confronto e dei rapporti con il Governo, con particolare riferimento alle vicende di merito che non hanno trovato soluzione.
La UIL ha giudicato negativamente l’esito dell’incontro svoltosi nella serata di ieri a Palazzo Chigi: nessuna disponibilità è giunta dal Governo a proposito del rinnovo dei contratti nel pubblico impiego. Nessuna risposta è stata data sulla richiesta degli 80 euro ai pensionati, né sul ripristino della rivalutazione delle pensioni né, tantomeno, sui non autosufficienti. Inoltre, resta nebulosa tutta la partita relativa al Jobs Act, con il rischio concreto che siano messi in discussione le tutele per quei lavoratori che già le hanno.
Mancano, poi, le risorse necessarie a garantire una continuità agli ammortizzatori sociali, per la protezione di coloro che rischiano la perdita del posto di lavoro. Bisognerebbe accrescere l’azione di salvaguardia delle aziende in crisi e determinare le condizioni per favorire la contrattazione anche nel settore privato. Nella legge di stabilità, infine, permangono forti contraddizioni che impediscono di immaginare un progetto di rilancio del Paese, a partire dal Sud, mentre per le imprese si prevede una riduzione indiscriminata dell’Irap, che non premia chi fa innovazione e occupazione.
La stessa auspicata riduzione delle tasse sul lavoro può perdere peso e sostanza a fronte di un incremento della tassazione locale, oltreché sul TFR o sui fondi pensione. Le ricadute negative di questa condizione sarebbero immediate, peralto, nel settore dei trasporti e dei servizi.
Abbiamo avanzato rivendicazioni concrete per dare soluzione ai problemi dei giovani, dei disoccupati, dei pensionati e dei lavoratori.
Abbiamo cercato e voluto, con determinazione, il confronto.
Ma il Governo non ha dato alcuna risposta chiara ai problemi veri delle persone, né in occasione degli incontri che ha avuto con i sindacati né nella sua attività di definizione e proposta dei provvedimenti necessari ad affrontare tutte le questioni ancora aperte.
Il Governo ha perso un’occasione nei confronti del Paese.
Contemporaneamente, abbiamo cercato e voluto, con altrettanta determinazione, il rapporto unitario con CGIL e CISL per definire, insieme, le iniziative di lotta necessarie.
Pertanto, coerentemente con il percorso messo in atto in questi mesi e avendo esperito tutti i tentativi per ottenere risultati concreti, a questo punto, la UIL dichiara lo sciopero generale e proporrà, già domattina, a CGIL e CISL l’individuazione di una data e di modalità comuni per l’attuazione della mobilitazione ormai non più rinviabile”.

Se questo è parlare di scuola…

Se questo è parlare di scuola…
Considerazioni dell’ Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante sul rapporto sulla scuola del Governo Renzi

Nel lungo testo redatto dagli esperti
del Governo, denominato “La buona
scuola”, al di là del proposito, astrattamente
condivisibile, di dare all’Italia
una buona scuola, proposito contraddetto
da dichiarazioni d’intenti
vacue e generiche, emergono indicazioni
di rotta assai preoccupanti.
Nelle 136 pagine, non abbiamo mai
letto né la parola “cultura”, né la parola
“libertà”: come si fa, ci si chiede
con sorpresa, a formulare un qualsiasi
piano di riforma o di semplice innovazione
del sistema scolastico italiano,
tacendo che cultura e libertà
stanno alla base di ogni innovazione,
di ogni proposta di spesa, di ogni organizzazione
? Viene il dubbio che
questo non sia effetto di dimenticanza,
bensì una voluta scelta politica
tendente ad orientare l’opinione
pubblica verso soluzioni che ignorano
tanto la cultura, quanto la libertà.
Qui desideriamo mettere a fuoco alcuni
fra quelli che ne costituiscono,
o ci sembrano costituire, i punti salienti
della sua prima parte, e cioè:
stato giuridico della docenza, carriera,
retribuzione. Ad altre tematiche,
pure importanti, dedicheremo successivamente
ulteriori interventi.
A pag. 50 viene affrontato lo stato
giuridico. È una sorpresa in se stessa
piacevole, perché la locuzione sembrava da qualche tempo scomparsa
dal pubblico dibattito sulla scuola.
Ebbene, le misure escogitate per
rinnovarlo costituiscono effettivamente
delle novità, ma delle novità
che non promuovono la condizione
dell’insegnante, anzi ne polverizzano
la funzione in una miriade di
attività eterogenee. Seguiamo l’iter
concettuale (ma Dio non voglia
legislativo!) che perviene a questo
risultato. Il documento annuncia
l’ambizioso progetto di eliminare il
precariato, assumendo stabilmente
entro il settembre 2015 ben 149.000
docenti. L’ipotesi è in sé allettante,
ma il prezzo da pagare altissimo. La
parte preponderante di questi insegnanti,
infatti, non verrebbe stabilizzata
su cattedra, ma su quello che si
definisce “organico dell’autonomia”.
A quanto si può comprendere, l’insegnante
viene immesso in un alveo
indistinto costituito da una rete
di scuole, nei confronti delle quali
egli si impegna all’espletamento di
compiti assai variegati: docenza in
classe, ma anche “attività di laboratorio
ed extracurriculari”, supplenze
brevi, copertura di lezioni in materie
“collaterali” alle proprie, imprecisate
attività “funzionali all’offerta
formativa”. Si prospetta una figura
di docente tuttologo e itinerante
che smarrisce le due dimensioni
fondamentali della professione: la
competenza in discipline specifiche
(semplicemente: la cultura) e la stabile
relazione con l’allievo. Non è,
la nostra, una preoccupazione ingiustificata:
basta leggere. Si presti
infatti attenzione al seguente passaggio
in pretto didattese infarcito di
anglicismi: “Ci si aspetta inoltre che
[gli insegnanti] non insegnino solo
un sapere codificato (più facile da
trasmettere e valutare), ma modi di
pensare (creatività, pensiero critico,
problem-solving, decision-making,
capacità di apprendere), metodi di
lavoro (tecnologie per la comunicazione
e collaborazione) e abilità per
la vita e per lo sviluppo professionale
nelle democrazie moderne”.
CARRIERA E
RETRIBUZIONI DEGLI
INSEGNANTI
Posto in rilievo tutto ciò, consideriamo
ora il nesso carriera-retribuzione
come si configura nel documento del
3 settembre. In esso si insiste molto
sul fatto che si deve introdurre nella
scuola un dinamismo della carriera
sganciato dall’anzianità. Questo dinamismo
è legato a cosiddetti “scatti
di competenza” la cui entità è di 60
euro l’uno e che possono essere attribuiti
ognuno ogni triennio. Ad essi
si aggiunge una seconda componente
economica, attribuibile annualmente
in relazione a “svolgimento
di ore e attività aggiuntive ovvero
progetti legati alle funzioni obiettivo
o per competenze specifiche (BES,
Valutazione, POF, Orientamento, Innovazione
Tecnologica. Tali aumenti
vengono legati all’acquisizione di
“crediti” i quali possono essere di
natura didattica (qualità dell’insegnamento),
formativa (cioè relativi
all’aggiornamento) o professionale
(ruoli organizzativi svolti nella scuola).
I crediti vengono raccolti in un
“portfolio” elettronico di pubblica
consultazione. Chi li attribuisce, e a
quanti insegnanti? Par di capire: il
“nucleo di valutazione” interno ad
ogni istituto. Rinviando a un successivo
documento ogni giudizio su
questo organismo per ora nebuloso
e che sarà sicuramente occasione di
problemi e contenziosi, quello che
si deve rimarcare è che esso può
riconoscere lo scatto a un massimo
del 66 % dei docenti della scuola (o
della rete di scuole). Si di una procedura
macchinosa, arbitraria che
privilegia il “fare altro” rispetto
all’insegnamento, a conferma di una
ridefinizione della figura del docente
dai tratti deboli e incerti, orientata
verso incombenze organizzative,
funzionali, para-didattiche, ben lontana
dalla figura del docente come lo
concepisce questa associazione: un
soggetto volto all’approfondimento
delle discipline nelle quali è competente,
dotato di umano interesse per
la persona in formazione che ha di
fronte a sé in classe, provvisto di un
profilo professionale sostenuto da
idonee garanzie di legge e da un diffuso
riconoscimento sociale.
AUTENTICA ED UNICA
RATIO DEL PROGETTO
GOVERNATIVO
Non siamo per partito preso contrari
alle riforme a costo zero. Pensiamo
anzi che il legislatore intelligente ed
oculato possa, in alcuni casi, ottenere
risultati apprezzabili senza gravare
sul bilancio dello Stato. In questo
caso, però, ci sono alcuni passaggi
che – per così dire – si richiamano e
si rischiarano a vicenda, conducendo
il lettore a formulare una valutazione
d’insieme, che identifichi, al
di là del dichiarato, l’autentica ratio
della riforma.
In questi passaggi si colgono i seguenti
punti fermi:
1) l’assenza di qualsiasi miglioramento
dello stato giuridico degli
insegnanti negli elementi che potrebbero
effettivamente determinarlo,
i quali sono: sganciamento
dal pubblico impiego – contrattazione
separata – autonomia della
categoria attraverso Ordine, Albo,
organismi di autodisciplina – eliminazione
delle RSU;
2) la polverizzazione della funzione
docente in una molteplicità di
ruoli che consentono di utilizzare
il personale per soddisfare esigenze
di natura formativa e culturale
ma anche – e sempre di più – di
organizzazione, di valutazione, di
custodia, di intrattenimento, di
chissà cos’altro;
3) la mancanza di riferimenti alla
libertà d’insegnamento protetta
dall’art. 33 Cost., coerentemente
con l’illustrata rimodulazione del
ruolo docente ad un livello polifunzionale
impiegatizio;
4) la scarsissima enfasi posta sui concetti
di preparazione e di cultura,
che nel testo in esame appaiono
posposti a tutta una serie di competenze
di altro genere;
5) l’assenza di un reale miglioramento
delle retribuzioni commisurato
alla responsabilità e delicatezza
della docenza e alla particolare
usura che il suo esercizio
produce.
Di fronte a questo quadro composito,
ma in fondo coerentissimo, la
domanda: a che scopo? All’origine di
tutto vi è il rischio di dover incorrere
nelle onerosissime sanzioni che
inevitabilmente scatterebbero al termine
della fase giurisdizionale della
già iniziata procedura di infrazione
della Commissione Europea. L’immissione
in ruolo della legione dei
149.000 docenti, dunque, non è un
mezzo per rendere più funzionale il
sistema-scuola, ma semplicemente
un “atto dovuto” che il timore degli
strali della Commissione induce
ad espletare al più presto. Da ciò la
necessità inderogabile di stabilizzare
quanti più precari è possibile e
di identificare per loro una funzionalità
non rigida ma plasmabile, in
modo da potersi adattare a multiformi
esigenze nonché alla fluttuazione
della popolazione scolastica.
Dunque il documento, con il suo
didattese di marca anglosassone,
con l’esibizione a pag. 7 dei santini
di una pedagogia fortemente orientata
– Montessori, Don Milani, Don
Bosco, Malaguzzi, dove Don Bosco è
probabilmente un refuso dell’estensore
distratto tanto poco c’entra con
gli altri, e da dove Giovanni Gentile
è naturalmente espunto – con il suo
mettere assieme elementi disparati
(eccellenze, laboratorio, merito,
apertura al territorio, assunzioni di
massa, concorsi ecc. ecc.) si qualifica
come nient’altro che una vasta e
variopinta pezza a colori utile demagogicamente
a coprire un’esigenza
meramente finanziaria, cioè ad impedire
il danno che deriverebbe dalle
sanzioni europee.
Concludendo: nessuna illusione.
Non si intravede per i docenti italiani,
nella riforma che si prepara,
alcuna promozione professionale,
sociale, economica. Non vi sono,
rispetto al passato, né inversioni di
rotta, né più modeste correzioni di
marcia. Il docente, perso il collegamento
stabile con la sua cattedra e
assunte sempre di più funzioni di
intrattenitore e facilitatore culturale,
smarrirà il residuo credito sociale
che gli rimane. Il livello generale degli
studi subirà un ulteriore abbassamento.
Il polpettone indigesto viene servito
con colorate guarnizioni e il suo anfitrione
approfitterà della gratitudine
degli immessi in ruolo. Conseguenza
di tutto ciò è l’ufficializzazione della
scuola quale ammortizzatore sociale
dal quale usciranno le future generazioni
come meri “consumatori”
(ma di che cosa, vista la crisi in atto?)
È il mondo di Berlinguer, misero
quale prospettiva per i giovani.
CONCLUSIONE
In conclusione, le linee – guida
del Governo, contenute nel testo
“La buona scuola” andrebbero
riscritte integralmente con l’apporto
di persone competenti; così come
sono formulate, vanno respinte in
blocco per l’evidente inconsistenza
culturale e l’altrettanto evidente
misconoscimento della dimensione
educativa e formativa che una scuola
degna di tale nome deve possedere.

LEGGE DI STABILITA’

I LAVORATORI COCOCO CON FUNZIONI ATA NELLA SCUOLA PUNTANO SULLA LEGGE DI STABILITA’

In un nota inviata a tutti i Senatori e ai rappresentanti politici nazionali i lavoratori denunciano l’ingiustizia che vivono quotidianamente da più di un ventennio all’interno dell’amministrazione pubblica

Nelle mani dei Senatori la speranza di 900 lavoratori CoCoCo scuola DM 66/2001, su base nazionale, che da più di un decennio svolgono funzioni di assistente amministravo nella scuola. Il loro futuro è legato alla legge di stabilità di prossima approvazione e lanciano una campagna di informazione nei confronti dei politici per denunciare la palese ingiustizia che vivono quotidianamente a causa di atti amministrativi errati e contraddittori. Questi lavoratori, provenienti dagli Enti Locali, prestano la loro attività presso le scuole statali dove hanno il posto in organico accantonato così come stabilito dalle norme in essere. Varie promesse verbali di stabilizzazione si sono susseguite nel tempo, ma nei fatti nulla. Oggi si registra quindi il mancato rispetto di impegni presi dal Ministero della Pubblica Istruzione, contenuti in verbali redatti alla fine di tavoli tecnici alla presenza di rappresentanti del Governo e dalle organizzazioni sindacali della scuola, circa la stabilizzazione di questo personale Co.Co.Co. Nella lettera che i lavoratori hanno inviato a tutti i Senatori di tutte le forze politiche è anche allegata la proposta emendativa che, come viene evidenziato, non comporta spesa aggiuntiva nel bilancio dello Stato, anzi determina una progressiva economia di bilancio. La nota, promossa dal “Comitato dei Lavoratori CoCoCo Scuola” vuole anche essere una sorta di denuncia pubblica della ingiustizia in atto e della disparità di trattamento tra precari pubblici con stessa funzione e medesima mansione. Vuole anche essere una richiesta di giustizia, d’attenzione e di d’intervento; un grido di rispetto delle regole, un grido di rispetto della costituzione. Dopo 14 anni di contratto di cococo, più 5 da LSU e 7 da art. 23 questi lavoratori, padri di famiglia, non possono ancora essere considerati precari di serie B. Per porre rimedio a tutto ciò i lavoratori chiedono una graduale assunzione nell’ambito dei piani annuali per l’assunzione del personale scolastico fino ad esaurimento del bacino, nel rispetto dell’invarianza della finanziaria, partecipando alle procedure concorsuali secondo criteri e modalità previste dalle norme in essere.

Ars maieutica digitalis

ARS MAIEUTICA DIGITALIS

 

Sintesi dell’intervento al Convegno Internazionale

LE VIE DELLA PEDGOGIA

tra linguaggi, ambienti e tecnologie

Università degli Studi di Macerata

14-15 novembre 2014

 

prof. Giovanni Soldini

(Dirigente Tecnico MIUR- USR Marche)

 

Con Decreto della Direzione Generale per i contratti, gli acquisti e per i sistemi informativi e la statistica del MIUR n.12 del 6 novembre 2014 è stato pubblicato un avviso per la selezione di progetti formativi sulle competenza digitali del personale docente per €1.000.000 .

 

Perché spendere ben 1 milione di Euro per il potenziamento delle competenze del personale docente sui processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica?

 

Negli ultimi anni il MIUR ha promosso il “Piano Nazionale Scuola Digitale” articolato in una pluralità di azioni coordinate (LIM in classe, Cl@ssi 2.0, Scuol@ 2.0 e i Centri Scolastici Digitali), che fino ad oggi hanno dato vita ad una rete di istituzioni scolastiche tecnologicamente avanzate. Le attività poste in essere sono state sicuramente molto interessanti ed hanno ottenuto anche risultati degni di particolare attenzione.

Bisogna rilevare però che non c’è stato il cosiddetto “contagio”: il coinvolgimento di altre classi e scuole (escluse dalla sperimentazione) è stato limitato.

 

Nel documento del Governo denominato “La Buona Scuola” – un documento che ha portato per due mesi al dibattito e al confronto non solo gli “addetti ai lavori” (= scuola), ma anche la società civile – si sottolinea che “la sfida dell’alfabetizzazione che ha contraddistinto la scuola nel Novecento, non è finita: si è estesa a nuovi ambiti e a nuovi linguaggi […]Se il secolo scorso è stato quello dell’alfabetizzazione di massa, durante il quale gli italiani hanno imparato a leggere, scrivere e far di conto, il nostro è il secolo dell’alfabetizzazione digitale: la scuola ha il dovere di stimolare i ragazzi a capire il digitale oltre la superficie, a non limitarsi ad essere “consumatori di digitale”, a non accontentarsi di utilizzare un sito web, una app, un videogioco, ma a progettarne uno”. [1]

Programmare non serve solo agli informatici – si sostiene – ma serve a tutti. Pensare in termini computazionali significa applicare la logica per capire, controllare, sviluppare contenuti e metodi per risolvere i problemi e cogliere le opportunità che la società ci offre.

Il MIUR intende quindi introdurre il “coding” (= programmazione) nella scuola italiana, a partire dalla primaria: gli alunni devono imparare a risolvere problemi complessi applicando il paradigma informatico, anche attraverso modalità ludiche (“gamification”), come ad esempio attraverso il sito code.org

 

Se l’ipotesi di introduzione del “coding” nella primaria ha suscitato inizialmente non poche perplessità, ad una analisi più approfondita emergono aspetti degni di particolare attenzione:

 

“Il coding non va visto come conseguimento di una competenza informatica in senso tecnico (la programmazione è ormai una competenza specialistica, viceversa essere un creatore digitale non significa necessariamente programmare) ma nell’ottica della sua valenza formativa trasversale (sviluppo del pensiero logico-analitico, delle abilità di problem solving e di formalizzazione intesa come rappresentazione corretta, completa e coerente di fatti e situazioni complesse). Occorre distinguere la cultura informatica (permanente e con valenza culturale come disciplina autonoma) dalle competenze tecniche (soggette a rapida obsolescenza)[2].” […]

 

Ma ci sono altre importanti criticità: ad oggi, solo il 10% delle nostre scuole primarie e il 23% delle nostre scuole secondarie è connesso ad Internet con rete veloce. Le altre sono collegate a velocità medio-bassa, e con situazioni molto differenziate. C’è un chiaro problema di “digital divide”: semplicemente la connessione non raggiunge le classi e quindi non permette di applicare forme di didattica digitale.

 

Quanto all’introduzione delle LIM (Lavagne Interattive Multimediali ), definirle una tecnologia troppo pesante che ha da una parte ipotecato l’uso di notevoli nostre risorse per innovare la didattica, e ha anche parzialmente “ingombrato” le nostre classi, spaventando alcuni docenti,[3] sembra eccessivo. Le LIM sono senza dubbio uno strumento molto valido ma che, per essere veramente efficace, deve essere utilizzato costantemente dal docente.

 

C’è sicuramente anche un problema di formazione, e dunque nel citato Decreto del 6 novembre 2014 si dice che “obiettivo dei progetti formativi è l’organizzazione, l’erogazione e la verifica della efficacia di corsi di formazione di tipo base e avanzato, in risposta ai livelli differenziati dei bisogni formativi dei docenti, sui linguaggi multimediali e l’integrazione tra risorse cartacee e digitali in una logica di modularità e flessibilità”[4]. Ci piace in particolare evidenziare quest’ultimo aspetto (l’integrazione tra risorse cartacee e digitali): sono stati gli stessi studenti dell’ultimo anno di un liceo maceratese – in un recente dibattito – a rifiutare l’uso esclusivo del digitale, ritenendo che un buon manuale sia ancora un necessario punto di riferimento.

 

Cosa implica ciò?

Una didattica diversa, un capovolgimento della didattica: UPSIDE DOWN, “sottosopra”.

 

Un primo aspetto da tenere in considerazione è quello legato al sistema. Mi piace richiamare una felice argomentazione dell’ispettore Maurizio Tiriticco[5] che da tempo sostiene che abbiamo bisogno di una nuova pedagogia delle 3 C: accanto a conoscenze capacità e competenze, a livello sistemico vanno modificate Classe Cattedra e Campanella.

 

Ciò significa che:

  1. CLASSE – bisogna superare il modello di gruppi di studenti per età cronologica, andando verso una individualizzazione e personalizzazione dei percorsi, in base agli interessi specifici degli alunni.

 

Superamento della classe significa che non esiste più lo spazio classico dell’aula abbinata ad un gruppo di studenti, ma solo l’aula per la disciplina specifica, dove il docente prepara il lavoro, il setting, i materiali.
Grazie alla completa informatizzazione della scuola e alla digitalizzazione della didattica sarà possibile sfondare le pareti, configurare una “scuola trasparente”, una scuola che possa finalmente uscire dalla sua tradizionale immagine “opaca”, per aprirsi a nuovi orizzonti.

C’è una “leggibilità” degli spazi, concetto già caro alla Montessori, per cui gli studenti devono essere in grado di riconoscere, attraverso la lettura dei luoghi, a quale tipo di apprendimento lo spazio è destinato. L’aula-disciplina è uno spazio in cui si può “leggere” l’apprendimento, quindi l’aula di matematica non può essere asetticamente uguale all’aula di italiano o di inglese. Classe e aula non sono più in corrispondenza biunivoca: avremo perciò una “aula disciplina” (lo spazio fisico in cui si svolge l’azione didattica) e la “aula classe” (l’insieme degli alunni). I laboratori sono a tutti gli effetti aule e le aule a tutti gli effetti laboratori. I docenti possono personalizzare gli arredi collegando la leggibilità dello spazio alla disciplina insegnata.

 

  1. CAMPANELLA- l’unità didattica basata sull’ora di lezione va modificata e resa più flessibile. Anche se i Regolamenti del 2010 (DPR 87 per i professionali, 88 per i Tecnici e 89 per i Licei) contemplano la possibilità di una quota di autonomia e di flessibilità nella gestione del tempo-scuola e dell’offerta formativa, in realtà tali e tanti sono i vincoli (tra cui, in particolare, l’espressione “nei limiti dell’organico assegnato”[6] ovvero “senza ulteriori oneri per lo Stato”) che rendono praticamente impossibile un vero cambiamento della struttura oraria e del curricolo. C’è bisogno di garantire maggiore e più reale autonomia alle scuole, come previsto dal DPR 275/99.

 

  1. CATTEDRA- la didattica va profondamente rinnovata e cambiata. Non è più possibile pensare ad un docente che “sale in cattedra” … e non ne scende più! Ritroviamo il docente in cattedra anche in quadri del medioevo, riferiti alle lezioni nelle prime Università europee, in cui si vede il docente in cattedra, appunto, gli studenti delle prime file attenti alla lezione, quelli più indietro disattenti o addirittura addormentati sui banchi. Sembra la fotografia delle nostre classi.

 

Nulla è cambiato. Eppure la “lectio” (che deriva dal latino *legere) aveva originariamente lo scopo di leggere ad alta voce il libro, che era inaccessibile ai più; con l’avvento della stampa a caratteri mobili il libro era a disposizione di molti, ma gli eruditi continuavano a sostenere la necessità di una interpretazione autorevole, di una spiegazione da parte dei “saggi” e questo si è perpetuato nel tempo. Oggi con l’evoluzione della tecnologia e di Internet la diffusione dei contenuti avviene in modo istantaneo e su scala globale; gli stessi contenuti non sono più fissi e definiti come in un testo, ma fluidi, in continuo divenire e generati da tutti (si pensi a Wikipedia, per esempio).

 

La nostra è una società fluida, liquida, come sostiene *Bauman[7] e non c’è più distinzione tra produttore e fruitore di contenuti: tutti possono esprimere le proprie idee senza particolari filtri o impedimenti. Cambia quindi il meccanismo stesso di creazione della conoscenza: questa interconnessione globale ha dato vita a quella che *Levy chiamava già 20 anni fa “intelligenza collettiva”[8]: ci vengono offerte strategie di conoscenza del tutto nuove, come la realtà virtuale, la realtà aumentata, che consentono non solo una grande interattività con i contenuti, ma anche la possibilità di entrare in contatto diretto con le fonti, con persone in tutto il mondo.

 

Dunque, l’innovazione digitale rappresenta per la scuola l’opportunità di superare il concetto tradizionale di classe, per creare uno spazio di apprendimento aperto sul mondo nel quale costruire il senso di cittadinanza ed entrare in contatto con realtà sia locale che internazionali, con il supporto e il mentoring di esperti ed educatori.

 

Una metodologia didattica – già sperimentata da anni negli Stati Uniti e che si va diffondendo sempre più in vari paesi europei – è il cosiddetto “FLIP TEACHING”.

Le classi coinvolte in questa metodologia, chiamate flipped classrooms, sono protagoniste di una inversione delle modalità di insegnamento tradizionale, come ben sottolinea *Graziano Cecchinati[9]. Il termine “flip” indica il ribaltamento della modalità in cui vengono proposti i contenuti e i tempi utili per l’apprendimento, dunque “UPSIDE DOWN”, sottosopra!

La responsabilità del processo di insegnamento viene in un certo senso “trasferita” agli studenti: essi possono accedere ai contenuti in modo diretto, gestendo personalmente fonti, tempi e modalità necessari per l’apprendimento; gli allievi hanno a disposizione una ingente quantità di materiali didattici (video, podcast, websites, DVDs, CDs, o qualsiasi altra forma che fornisca un chiaro messaggio istruzionale), che possono condividere (ad esempio attraverso un forum), annotare, modificare o addirittura creare in maniera collaborativa (scricoll= scrittura collaborativa).

L’insegnante diventa quindi un supporto alla comprensione di ciò che gli studenti hanno appreso: la cosiddetta lezione è finalizzata all’acquisizione di capacità e competenze più che all’ampliamento delle conoscenze.

Tra i vantaggi dell’introduzione dell’insegnamento capovolto va indubbiamente messa al primo posto la motivazione; gli studenti si sentono pienamente coinvolti nel processo di insegnamento-apprendimento e non sono più spettatori passivi, bensì protagonisti attivi e responsabili nella costruzione del proprio sapere. Trasmettere entusiasmo è di certo una carta vincente per il raggiungimento del successo formativo.

 

Gli studenti possono dunque gestire il proprio apprendimento, senza doversi necessariamente adattare ai ritmi e alla velocità espositiva dell’insegnante ma utilizzando le loro indicazioni su come muoversi e sulle risorse che ciascuno di loro può utilizzare. D’altro canto i docenti potranno realizzare attività individualizzate e/o personalizzate, partendo dai diversi stili cognitivi degli alunni, senza alcuna generalizzazione o omologazione! […]

 

Alcuni studiosi ritengono che tra i punti deboli vada inserito il fatto che le relazioni, i rapporti interpersonali potrebbero essere fortemente penalizzati, in quanto l’allievo avrà un contatto molto stretto con il computer sia a scuola che a casa!

 

In realtà è vero il contrario, dal momento che si passa da una didattica fondamentalmente istruzionista (fondata sulla trasmissione del sapere) ad una didattica costruttivista e sociale; infatti le attività di studio e di elaborazione personale sono portate in classe dove verranno svolte in un contesto collaborativo e con la supervisione del docente, attività di elaborazione dei contenuti che prima avvenivano in solitudine; in particolare gli studenti sono chiamati a lavorare sia su ciò che ritengono di aver ben compreso, sia su ciò che risulta ancora poco chiaro. L’attività in aula potrà svolgersi principalmente secondo uno schema basato sul problem solving: viene posta una domanda o viene chiesto di risolvere un problema che impegna a riflettere sui concetti sottesi e ad applicarli in contesti di vita reale (ma non è forse proprio questa la tipologia delle domande proposte dalle rilevazioni INVALSI che suscitano tante perplessità tra i docenti?). Per poter sfidare effettivamente la classe, le domande del docente dovrebbero essere né troppo semplici né troppo complesse, secondo il concetto di “linea di sviluppo prossimale” di *Vygotskij.[10]

Il docente è un mèntore, una persona che funge da sostegno e aiuto nello costruzione e nello sviluppo dei processi di conoscenza, anche in chiave critica. […]

 

L’insegnante deve aiutare l’alunno a tirar fuori ciò che ha dentro: “inside out”, ovvero il metodo socratico della maieutica. Socrate paragonava l’arte dialettica a quella della levatrice: come quest’ultima, il filosofo di Atene intendeva “tirar fuori” all’allievo pensieri assolutamente personali, a differenza di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri con la retorica e l’arte della persuasione.

In tal direzione deve oggi cambiare il ruolo dell’insegnante: egli deve trasformarsi in guida, sostegno alla costruzione della conoscenza negli studenti, stimolo per favorire un’elaborazione personale dei contenuti, per attribuire significato a ciò che studia, per sviluppare pratiche che consentano l’acquisizione di competenze.[11]

E non è forse la competenza digitale (che consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione e richiede quindi abilità di base nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione) una competenza chiave per l’apprendimento permanente?[12]

 

Utilizzare le tecnologie a scuola ha il merito di favorire l’apprendimento di un nuovo tipo di competenza che aiuterà i ragazzi a vivere nella società dell’informazione e ad essere “cittadini digitali”.

Occorre qui precisare che la didattica digitale è la didattica che si avvale delle tecnologie. La tecnologia da sola non fa niente; la tecnologia permette semplicemente di fare una didattica migliore, ci permette di fare cose che se non avessimo la tecnologia non potremmo fare, quindi la tecnologia è uno strumento e non ha nessuna altra funzione.

 

Nel mondo del lavoro di oggi si richiede che le persone siano autonome, che sappiano risolvere i problemi, che lavorino in team, che sappiano andare su Internet, che siano globalizzati: sarà poi l’azienda a provvedere a formarli sulle compente specifiche di cui ha bisogno.

 

Quindi adesso bisogna preparare i nostri ragazzi a un mondo del lavoro diverso, dove occorre  insegnare a saper progettare, a lavorare in gruppo, a condividere del materiale, a collaborare, a interagire nella rete, ad essere un cittadino digitale ‘responsabile’. Bisogna  insegnare loro a muoversi nel digitale, conoscere il copyright, le leggi,  come si fa a selezionare i siti, come si selezionano le risorse digitali e così via. E l’insegnante deve essere disposto ad apprendere insieme al proprio studente. […]

Con le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) è stato possibile scardinare la dimensione temporale della lezione in classe: le nuove tecnologie  hanno portato ad una socializzazione della conoscenza legata a processi di interconnessione mai visti prima (si pensi ai social network), espandendo le possibilità di conoscenza, collaborazione, progettazione, indipendente dal tempo e dal luogo. E’ la metafora della rete.

Per spiegare questa nuova modalità di apprendere tipica dell’era digitale è emersa recentemente una nuova teoria dell’apprendimento, denominata connettivismo.

Partendo dall’analisi dei limiti del comportamentismo, cognitivismo e costruttivismo nel tentativo di spiegare gli effetti dell’uso delle tecnologie sul nostro modo di apprendere, *George Siemens[13] ha formulata questa teoria, secondo cui l’apprendimento è un processo che crea delle connessioni e sviluppa una rete; un nodo è qualunque cosa che possa essere connessa ad un altro nodo: informazioni, dati, immagini, sentimenti… L’apprendimento è dunque un processo di connessione di nodi specializzati o fonti di informazione e si fonda sulla differenza di opinione. Per facilitare l’apprendimento permanente è necessario alimentare e mantenere le connessioni. […]

Ci sono tuttavia varie critiche al connettivismo che arrivano dal mondo scientifico; in particolare *Antonio Calvani sostiene che “un trasferimento selvaggio del connettivismo alla scuola può indurre a credere che basti mettere gli allievi in rete per produrre conoscenza, consolidando quel famoso stereotipo diffuso, secondo cui più tecnologie si usano, in qualunque modo lo si faccia, e meglio è per l’apprendimento[14].

 

Occorre infatti ribadire che l’introduzione delle tecnologie nella scuola deve avere come scopo principale quello di innovare la didattica, altrimenti la presenza degli strumenti non solo sarà superflua, ma anche controproducente. In alcune scuole sono stati introdotti i tablet ma poi sono stati messi nel cassetto adducendo la motivazione che distraevano e basta; in realtà distraggono se gli insegnati non fanno lavorare seriamente i ragazzi, se non c’è un uso continuo, se non c’è il consolidamento di buone prassi. […]

 

In conclusione possiamo affermare che il web rappresenta una straordinaria opportunità di rinnovamento della didattica se adeguatamente utilizzato.

 

Per far ciò c’è bisogno di formazione continua e aggiornamento da parte degli insegnanti non solo per quanto concerne le competenze tecnologiche e digitali in senso stretto, ma anche e soprattutto per le competenze cognitive, creative, emotive, comunicative, collaborative e… maieutiche, per tirar fuori, per sviluppare le potenzialità delle diverse forme di intelligenza[15] nel rispetto delle attitudini di ciascuno e per creare una cultura della rete o, meglio ancora, una rete della cultura.

ars maieutica digitalis


 

[1] MIUR, La Buona Scuola, settembre 2014, pag. 95

[2] Sintesi del dibattito sulla tematica specifica “La digitalizzazione” promosso dall’USR Marche a San Benedetto del Tronto il 24 ottobre 2014

[3] MIUR, La Buona Scuola, cit., pag. 74

[4] DDG n.12 cit., pag. 2

[5] La rivoluzione copernicana proposta dall’ispettore Maurizio Tiriticco, PVM Scuola, 23 Febbraio 2014,  http://www.pvmscuola.it

[6] Cfr. CM 34/2014

[7] Bauman Z., Modernità liquida, Ed. Laterza, Bari, 2002

[8] Lévy P., L’intelligenza collettiva. Per un’antologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 1996

[9] Cecchinato G., Flipped classroom. Innovare la scuola con le tecnologie del Web 2.0, Atti del seminario residenziale “il fascino discreto dell’innovazione”, Lecce, 2012

[10] Vygotskij, Pensiero e linguaggio, 1934

[11] Competenza è “la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; sono descritte in termini di responsabilità e autonomia” – Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente

[12] Il quadro di riferimento delinea otto competenze chiave: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale. – Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente [Gazzetta ufficiale L 394 del 30.12.2006, pag. 10].

[13] Connectivism: A Learning Theory for the Digital Age, International Journal of Instructional Technology and Distance Learning, Vol. 2 No. 1, Jan 2005

[14] Connectivism: new paradigm or fascinating pout-pourri? , Antonio Calvani, Je-LKS n.1, 2008

[15] Gardner, Frames of mind, 1983

Words and Pictures di Fred Schepisi

Un film da non perdere

di Mario Coviello

wordandpicturesSono sugli schermi italiani in questi giorni due film che aiutano a riflettere sulla scuola e i suoi contenuti. Il primo è “ll giovane favoloso” di Mario Martone che narra di Leopardi e sta avendo in Italia un successo straordinario al botteghino. I commenti dei critici e dei letterati su questo film ribadiscono la necessità della letteratura e della poesia come risposta alla crisi che stiamo attraversando. Il secondo film che voglio consigliarvi è “ Words and pictures” di Fred Schepisi, un film da non perdere.

Un’immagine vale mille parole. E’ una teoria che ha almeno cento anni. La frase “Use a picture. It’s worth a thousand words” ,”Usa un’immagine, vale mille parole” è apparsa per la prima volta su un quotidiano nel 1911. E così, tra equivoci e cliché, lo slogan ha attraversato il secolo e adesso è al centro del film Words and Pictures, con Clive Owen e Juliette Binoche, una commedia sentimentale e spiritosa, ambientata in un liceo privato americano. Jack Marcus ama le parole, la letteratura, l’insegnamento e la vodka. Da anni non scrive più poesie e consuma sempre più bottiglie, al punto che il suo posto di lavoro viene messo in discussione. Il professor Marcus combatte da tempo una lotta contro la dipendenza dei giovani per i media, cercando di incoraggiare i suoi studenti a una maggiore valorizzazione della parola scritta. Dina Delsanto è l’ultima arrivata del corpo docente, artista figurativa molto nota, ha ripiegato sull’insegnamento a causa di una artrite reumatoide che le rende sempre più difficili i movimenti. Tra Marcus e Del Santo è subito guerra ed è subito amore. Le due anime del cinema, quella verbale e quella visuale, si fronteggiano a colpi di fendente per ribadire che è proprio la loro unione che rende possibile la magia. Jack escogita una geniale guerra tra parola e immagine, fiducioso che la prima possa veicolare un significato più profondo rispetto alle seconda. Dina e i suoi studenti d’arte raccolgono la sfida di Jack e dei suoi studenti d’inglese. La battaglia avrà così inizio.

E’ la battaglia nella scuola di oggi in tutto il mondo fra i fautori del libro, la galassia Gutemberg, alla quale, almeno per l’età, appartengono tutti i docenti, e gli appassionati della scuola 3.0, i giovani docenti e le generazioni che siedono nei banchi. Words and pictures riesce a mettere in scena l’arte, sia quella letteraria che quella pittorica e ci fa seguire i protagonista che cade prima di rialzarsi e la protagonista che vive tormentata dall’elemento melodrammatico per eccellenza: “la malattia”. ‘Words and Pictures’ si concentra sulla fatica tutta umana che precede l’eventuale divina ispirazione, mettendo a confronto il personaggio di Marcus con un foglio bianco troppo spesso e muto e l’artista Delsanto con una parte della sua identità da reinventare o archiviare per sempre. Quelle con il dolore psichico e il dolore fisico sono le vere lotte, personalissime, dei protagonisti, rispetto alle quali la competizione ufficiale è un paravento e un espediente.

“C’è una dicotomia tra immagine e parola – spiega lo sceneggiatore Gerald Di Pego, ex insegnante – noi cerchiamo di vedere come Jack sia appassionato alla scrittura e quanto Dina ami la pittura. Lo scontro è allo stesso tempo divertente e intenso, ma la vera lotta è all’interno di questi due personaggi.

” Gli fa eco Clive Owen: “Jack è un grande insegnante, è totalmente appassionato e crede in quello che fa. Crede nel valore del linguaggio e nella scrittura di qualità. La vede come qualcosa di molto importante sia per i suoi alunni che per lui e quando è in forma è un ottimo insegnante”.

Juliette Binoche spiega: “Mi piace il confronto tra professori. Non ho mai recitato il ruolo da insegnante e mia madre lo era. Era la mia insegnante di francese e di teatro; per questo motivo percepivo un legame con il progetto. La protagonista del film, inoltre, è una pittrice e anche io a volte dipingo”.

Consiglio questi film per continuare ad avere passione nella difficile arte di insegnare.

Seminario sui disturbi del neurosviluppo e i bambini a rischio socio ambientale a scuola

Fiumicino CTS “P. Baffi”. Seminario sui disturbi del neurosviluppo e i bambini a rischio socio ambientale a scuola

Il C.T.S. “Paolo Baffi”, in collaborazione con l’Associazione per l’autismo “I mille colori dell’albero della vita”, organizza un Seminario rivolto a docenti e operatori del settore dal titolo “Cambiamo la Chiave?” che si terrà nella sede centrale dell’I.I.S. Paolo Baffi in via Bezzi 51/53 Fiumicino.
Il Seminario, che tratterà i disturbi del neurosviluppo e i bambini a rischio socio ambientale a scuola, si terrà il giorno 28 novembre 2014, dalle 9,30 alle 17,30.

Mille euro alla famiglia del diversamente abile per ogni mese di mancato sostegno

da Il Sole 24 Ore

Mille euro alla famiglia del diversamente abile per ogni mese di mancato sostegno

di Andrea Alberto Moramarco

La mancata assegnazione di un insegnante di sostegno ad un ragazzo con grave e accertata disabilità che necessità di un sostegno secondo il rapporto 1/1 per l’intero orario scolastico comprime ingiustamente il diritto allo studio dell’alunno e comporta un risarcimento del danno non patrimoniale pari a mille euro per ogni mese di mancato sostegno. Lo ha ribadito il Tar Palermo con una sentenza del 4 novembre scorso.
La vicenda
Il caso riguardava la mancata assegnazione da parte di un istituto di istruzione secondaria superiore di un insegnante di sostegno ad un ragazzo affetto da una documentata e grave disabilità ex articolo 3 della legge 104/1992. Data la sua malattia, il ragazzo avrebbe avuto diritto al sostegno secondo il rapporto 1/1 per 18 ore, ma l’istituto scolastico non aveva provveduto in alcun modo. Di conseguenza il genitore dello studente si rivolgeva al Tar chiedendo che fosse assegnato a suo figlio un insegnante di sostegno affinché la sua partecipazione alle attività didattiche non fosse resa vana a causa della sua disabilità, oltre al risarcimento per danno non patrimoniale.
Il diritto al sostegno
Il Tar accoglie il ricorso riconoscendo il diritto del ragazzo ad essere assistito da un insegnante di sostegno secondo il rapporto 1/1 per tutte le ore di frequenza scolastica e bacchetta duramente il Ministero ricordando i numerosi precedenti di mancata assegnazione di un insegnante di sostegno a ragazzi disabili che subiscono in questo modo una inescusabile compressione del proprio diritto allo studio: è necessario adottare tutte le misure idonee ad «evitare che il soggetto disabile altrimenti fruisca solo nominalmente del percorso di istruzione».
Il danno non patrimoniale
Dall’accertamento di tale diritto per i giudici deriva anche il riconoscimento di un danno non patrimoniale risarcibile per il ragazzo privato in maniera del tutto ingiustificabile del sostegno scolastico. Dato per certo l’elemento oggettivo del danno, il Tar ritiene accertato anche l’elemento soggettivo richiesto per l’attribuzione di un danno risarcibile, che è riscontrabile nella condotta del Ministero e dell’Ufficio scolastico regionale che, nonostante i numerosi e sfavorevoli precedenti, continuano a reiterare provvedimenti in palese violazione della normativa in materia di tutela dei disabili.
Ed il danno da risarcire viene quantificato in via equitativa in mille euro per ogni mese di mancanza dell’insegnante di sostegno nel rapporto 1/1 a partire dall’inizio dell’anno scolastico e sino all’effettiva assegnazione, con l’obbligo di corrispondere la cifra che deve essere posto «a carico del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, cui va imputata la responsabilità generale delle scelte gestionali poi effettuate dalle articolazioni periferiche dell’Amministrazione (gli Uffici scolastici regionali)».

Otto per mille alle scuole, regolamento pronto per la pubblicazione

da Il Sole 24 Ore

Otto per mille alle scuole, regolamento pronto per la pubblicazione

di Eugenio Bruno

Arriva una buona notizia per le scuole italiane. Il Governo ha trasmesso ieri alla Gazzetta Ufficiale il regolamento che inserisce l’edilizia scolastica tra i possibili destinatari dell’8 per mille. A questo punto per la pubblicazione è solo questione di giorni, se non di ore, visto che all’appello manca solo il visto di registrazione della Corte dei conti.
L’approdo in Gazzetta del Dpcm che inserisce le scuole tra i possibili destinatari da indicare in dichiarazione dei redditi era atteso da circa tre settimane. Da quando, il 30 ottobre scorso, il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il regolamento che modifica e integra la precedente normativa in materia di criteri e procedure per l’utilizzazione della quota dell’otto per mille dell’Irpef devoluta alla diretta gestione statale. Adeguandosi a quanto stabilito dalla scorsa legge di stabilità.
Recependo un emendamento del Movimento 5 Stelle l’ articolo 1, comma 206, della legge 147 del 2013 ha innovato infatti la disciplina della destinazione della quota prevedendo l’aggiunta alle quattro tipologie già previste (fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali) di una quinta voce: «Ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all’istruzione scolastica».

Rinnovo contratti PA, si va verso lo strappo

da La Tecnica della Scuola

Rinnovo contratti PA, si va verso lo strappo

Nessuna apertura da parte del Governo ai sindacati. Subito dopo l’incontro a Palazzo Chigi, la Cisl proclama lo stato di agitazione per il prolungamento del fermo degli stipendi: dall’Esecutivo nessuna apertura significativa. Salvo improbabili colpi di scena, lo sciopero appare inevitabile. Quello che intanto farà in solitudine la Cgil venerdì 5 dicembre.

Nessun cambio di copione: dopo la fumata nera per il rinnovo dei contratti della scuola, arriva anche quella riguardante tutto il pubblico impiego. Che così rimane fermo a cinque anni fa.

Dall’annunciato incontro con il Governo, a Palazzo Chigi, i sindacati escono così contrariati. Non lo nasconde Francesco Scrima, coordinatore Cisl Lavoro Pubblico, che nei giorni scorsi aveva speso parole di speranza (grazie alle proteste di piazza “La piazza ‘stura le orecchie’ al Governo”) per la convocazione ottenuta dall’Esecutivo: nel corso dell’incontro, ha detto il sindacalista Confederale, abbiamo “ribadito al tavolo le richieste portate in piazza lo scorso 8 novembre a Roma da 100 mila lavoratori dei servizi pubblici: apertura della contrattazione nazionale e risorse per i contratti del pubblico, rilancio della contrattazione integrativa, riorganizzazione vera delle amministrazioni pubbliche, del sistema scolastico e formativo e dei corpi dello Stato, valorizzazione delle professionalità”.

La parte pubblica, però, ha continuato a prendere tempo. “Nonostante i nostri sforzi, dal Governo non è arrivata alcuna apertura significativa. Per questo motivo le categorie del lavoro pubblico Cisl proclameranno lo stato di agitazione e intensificheranno la mobilitazione per il rinnovo del contratto”, ha concluso Scrima.

L’impressione è che, seppure lentamente, anche gli altri sindacati Confederali stiano andando verso lo sciopero generale. Scelta per il momento presa, in solitudine, dalla Cgil che farà incrociare le braccia ai lavoratori pubblici il prossimo 5 dicembre.

La sicurezza per le scuole di tipo 0

da La Tecnica della Scuola

La sicurezza per le scuole di tipo 0

Per le scuole di tipo 0 le norme di sicurezza sono: le strutture orizzontali e verticali devono avere resistenza al fuoco non inferiore a REI 30. Gli impianti elettrici devono essere realizzati a regola d’arte in conformità alle leggi vigenti. Deve essere assicurato, per ogni eventuale caso di emergenza, il sicuro esodo degli occupanti la scuola.

Iniziamo con il dire che le scuole sono suddivise, in relazione alle presenze effettive contemporanee in esse prevedibili di alunni e di personale docente e non docente, nei seguenti tipi:

tipo 0: scuole con numero di presenze contemporanee fino a 100 persone;
tipo 1: scuole con numero di presenze contemporanee da 101 a 300 persone;
tipo 2: scuole con numero di presenze contemporanee da 301 a 500 persone;
tipo 3: scuole con numero di presenze contemporanee da 501 a 800 persone;
tipo 4: scuole con numero di presenze contemporanee da 801 a 1200 persone;
tipo 5: scuole con numero di presenze contemporanee oltre le 1200 persone.

Per le scuole di tipo 0 le norme di sicurezza sono:

  • Le strutture orizzontali e verticali devono avere resistenza al fuoco non inferiore a REI 30.
  • Gli impianti elettrici devono essere realizzati a regola d’arte in conformità alle leggi vigenti
  • Deve essere assicurato, per ogni eventuale caso di emergenza, il sicuro esodo degli occupanti la scuola.

Inoltre anche per le scuole di tipo 0 devono essere rispettati i seguenti punti:

1. Le vie di uscita devono essere tenute costantemente sgombre da qualsiasi materiale.
2. é fatto divieto di compromettere la agevole apertura e funzionalità dei serramenti delle uscite di sicurezza, durante i periodi di attività della scuola, verificandone l’efficienza prima dell’inizio delle lezioni.
3. Le attrezzature e gli impianti di sicurezza devono essere controllati periodicamente in modo da assicurarne la costante efficienza.
4. Nei locali ove vengono depositate o utilizzate sostanze infiammabili o facilmente combustibili è fatto divieto di fumare o fare uso di fiamme libere.
5. I travasi di liquidi infiammabili non possono essere effettuati se non in locali appositi e con recipienti e/o apparecchiature di tipo autorizzato.
6. Nei locali della scuola, non appositamente all’uopo destinati, non possono essere depositati e/o utilizzati recipienti contenenti gas compressi e/o liquefatti. I liquidi infiammabili o facilmente combustibili e/o le sostanze che possono comunque emettere vapori o gas infiammabili, possono essere tenuti in quantità strettamente necessarie per esigenze igienico-sanitarie e per l’attività didattica e di ricerca in corso.
7. Al termine dell’attività didattica o di ricerca, l’alimentazione centralizzata di apparecchiature o utensili con combustibili liquidi o gassosi deve essere interrotta azionando le saracinesche di intercettazione del combustibile, la cui ubicazione deve essere indicata mediante cartelli segnaletici facilmente visibili.
8. Negli archivi e depositi, i materiali devono essere depositati in modo da consentire una facile ispezionabilità, lasciando corridoi e passaggi di larghezza non inferiore a 0,90 m.
9. Eventuali scaffalature dovranno risultare a distanza non inferiore a m 0,60 dall’intradosso del solaio di copertura.

Ricci (Invalsi): Qui, signori miei, si deve studiare

da tuttoscuola.com

Ricci (Invalsi): Qui, signori miei, si deve studiare

L’appello è stato rivolto ad una attenta platea di docenti, dirigenti ed esperti di valutazione da Roberto Ricci, responsabile nazionale delle prove Invalsi, nel corso di un seminario di approfondimento sui risultati dell’indagine Ocse-Pisa 2012 in Lombardia svoltosi oggi, 17 novembre, presso l’università di Milano Bicocca.

Ma chi deve studiare, e che cosa? Ricci non ha fatto ovviamente nomi e cognomi, ma si è ben capito che a studiare dovrebbero essere in primo luogo i decisori politici in materia di valutazione, e con loro però anche i protagonisti, accademici e non (sindacati, associazioni professionali, editorialisti), del dibattito su obiettivi, contenuti e metodi della valutazione di sistema. La distanza che separa il dibattito internazionale da quello che si svolge in Italia è infatti, a suo giudizio, “impressionante”.

Mentre all’estero e nelle sedi internazionali in cui vengono prese le decisioni, come l’Ocse,  vengono elaborate strategie e predisposti strumenti valutativi sempre più sofisticati e capaci di fornire importanti indicazioni ai decisori politici e anche agli operatori scolastici, in Italia il dibattito registra forti resistenze e diffidenze verso l’ottica ritenuta meramente ‘quantitativa’ e ‘sommativa’ che ispira i test Pisa e quelli dell’Invalsi, accusati di ignorare l’importanza dei processi e dei contesti nei quali vengono rese le prestazioni da parte degli studenti.

In questo modo, secondo Ricci, il nostro Paese rischia di condannarsi alla marginalità culturale, almeno in materia valutativa, perché la ricerca internazionale va in direzione di una sempre più efficace ed esplicativa interpretazione dei risultati ottenuti dagli studenti sottoposti a test capaci di evidenziarne competenze, capacità, potenzialità.

In Lombardia (e nel Veneto), comunque, come si è notato anche in occasione di questo seminario, ci sono meno riserve e resistenze verso le prove Ocse e Invalsi. E forse è anche per questo che i risultati sono migliori: la Lombardia, come risulta dalla interessante relazione presentata da Brunella Fiore (del team Ocse-Pisa Lombardia) si piazza – sugli 87 Paesi e Regioni oggetto della indagine – al 18° posto in matematica e all’11° in scienze e lettura.

In lingua e in scienze le ragazze sono più brave dei coetanei maschi

da tuttoscuola.com

In lingua e in scienze le ragazze sono più brave dei coetanei maschi

Nel rapporto della Commissione europea sui livelli di competenza dei 15enni in lingua, matematica e scienze c’è un dato curioso e interessante nello stesso tempo: in quasi tutti i Paesi dell’Unione le ragazze superano i coetanei maschi in lingua e in scienze, mentre in matematica il confronto finisce quasi alla pari con una prevalenza dei maschi in 16 Paesi su 27.

In lingua il confronto è schiacciante. Nella media UE dove la percentuale del livello minimo di competenza linguistica è del 17,8%, le ragazze hanno fatto registrare il 12% (sotto il benchmark finale 15%!), mentre i coetanei maschi si sono attestati ad una percentuale quasi doppia (23,7%).

E quasi ovunque la percentuale di scarsa competenza linguistica dei maschi è doppia rispetto a quella delle ragazze, con punte estreme della Germania (8,7% delle femmine contro il 20,1% dei maschi), di tutti i Paesi del Nord Europa (Finlandia 4,6% contro il 17,7%, Svezia 14% a 31,3%).

Le ragazze italiane hanno segnato una percentuale del 12,6% (benchmark 2020 già raggiunto), mentre i ragazzi sono rimasti lontani al 25,9%, determinando con la loro scarsa prestazione la non esaltante media complessiva dei quindicenni italiani del 19,5%.

Nei livelli di scarsa competenza scientifica la media europea vede nuovamente le ragazze con prestazioni migliori dei maschi (15,7% contro il 17,5%).

In quasi tutti i Paesi dell’UE (escluse Lussemburgo e Gran Bretagna) le ragazze prevalgono sui maschi. In Italia, dove la media complessiva in scienze è di 18,7%, le ragazze fanno registrare il 17,8%, i ragazzi il 19,6%.

I ragazzi si riscattano parzialmente in matematica distanziando mediamente le ragazze di quasi due punti in percentuale (media UE 22,1% con i ragazzi al 21,2% e le ragazze al 23%).

In 11 Paesi dell’Unione, comunque, le ragazze prevalgono sui maschi. Non in Italia dove i maschi tengono a debita distanza le ragazze con un 22,8% contro il 26,7%.

Fame di grandezza

FAME DI GRANDEZZA di Umberto Tenuta

CANTO 299 FAME DI GRANDEZZA

Grande Grande Grande

Io voglio essere GRANDE

I Grandi Uomini

I Grandi Poeti

I Grandi Scienziati

I Grandi Storici

I Grandi Politici

I GRANDI PAPI

I GRANDI

 

Grande, grande, grande bimbo mio!

Quanto vuoi essere grande tu?

Così… Così… Così…

Ancora di più…

Ancora…

Mania di grandezza?

No!

Desiderio umano.

La bestia è già resa perfetta dall’istinto.

L’uomo no!

Scrive Kant che <<La bestia è già resa perfetta dall’istinto… L’uomo invece… non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agire… La specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell’umanità. Una generazione educa l’altra… L’uomo può diventare tale solo con l’educazione>>[1].

Miseria e grandezza dell’uomo!

È nulla e può aspirare all’infinito.

Bestia tra le bestie, può indiarsi!

Togliete al figlio di donna questo innato desiderio di grandezza e lo avrete annientato.

Lo avrete ucciso.

Ed allora?

Allora, che fa il Maestro?

Mica uccide i suoi giovani!

Mica li mortifica!

“TU SEI…”

Me lo disse il docentino di Educazione meccanica, all’Avviamento Industriale di Cosenza nei primi anni ’50.

E ne convinse altri suoi tre colleghi.

Mi respinse quella Scuola.

Mia GRANDE FORTUNA!

Il POETA mi guardò negli occhi, e lesse il mio desiderio di grandezza.

Miracolo!

Non erano riusciti a spegnere il desiderio di grandezza che mia Madre mi aveva inoculato nel sangue.

Cominciai a galoppare.

Ed eccomi qua.

O Docenti, questa è una storia vera.

È lo mia storia.

Ma è la storia di ogni vostro giovane studente presente e futuro.

Leggetela negli occhi suoi profondi!

Domandategli dove vuole arrivare!

E non ridete delle sue ambizioni.

Coltivatele.

Fatele diventare ancora più grandi.

Ognuno dei vostri giovani studenti sarà quello che vorrà.

Solo se voi non uccidete il suo desiderio di grandezza.

Non mortificate mai nessuno dei vostri giovani studenti.

Alimentateli non di nozioni ma di aspirazioni.

Arriveranno dove vorranno.

Come i loro padri nel corso dei Millenni.

IL PIù GRANDE UOMO che oggi parla alle genti è figlio dell’uomo delle foreste.

Come scriveva Ellen Key, la Scuola non cambierà fino a quando ogni docente non vedrà il figlio del re in ciascuno dei suoi venticinque marmocchi[2].

Non potrebbe essere questo l’impegno della BUONASCUOLA?

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

[1] KANT E., Pedagogia, O.D.C.U., Rimini, 1953, pp.25-27

[2] E. Key, Il secolo dei fanciulli [1900], trad. it., Torino, Bocca, 1906

 

Promuovere i talenti, far crescere l’eccellenza

“Promuovere i talenti, far crescere l’eccellenza”

“Promuovere i talenti, far crescere l’eccellenza” è il titolo e l’obiettivo dell’evento dedicato alla ricerca in programma il 18 e 19 novembre prossimi a Trento, presso l’Auditorium della facoltà di Lettere e Filosofia, in Via Tommaso Gar 14. La mattina del 18 aprirà l’iniziativa il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini.

Esperti, scienziati e rappresentanti delle istituzioni di tutta Europa saranno chiamati a confrontarsi sulle caratteristiche e le prerogative che dovrà possedere la prossima generazione di ricercatori per rafforzare il suo ruolo e il suo impatto sulle sfide della società che cambia.

L’iniziativa è organizzata dal Miur in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento nell’ambito del semestre di Presidenza italiana dell’Ue. Tra i altri relatori, il Direttore Generale del Dipartimento Educazione della Commissione europea, Xavier Prats Monnè.

Al centro del dibattito gli aspetti legati alla formazione, alla creazione di opportunità di crescita professionale e di costruzione della carriera scientifica che potranno favorire uno sviluppo completo delle potenzialità dei futuri ricercatori in un sistema unico e condiviso della ricerca europea. Gli elementi chiave della discussione saranno le competenze – complementari e multidisciplinari – e la mobilità internazionale e tra settori, in particolare l’interazione tra ricerca accademica (università ed enti di ricerca) e il settore industriale.

La conferenza affronterà anche il ruolo chiave dei legislatori, degli strumenti di finanziamento e valutazione della ricerca e del contributo alla ricerca e alla formazione del settore privato.

Nell’ambito dell’iniziativa la cerimonia di consegna dei Marie Sklodowska-Curie Actions Prizes 2014.

Link Utili: http://www.msca2014.eu/programme/

Sottosegretario Faraone ad Assisi

Scuola, Sottosegretario Faraone ad Assisi
“Necessaria presenza istituzionale in attesa esito indagini”

A seguito dei recenti fatti emersi dagli organi di stampa, martedì 18 novembre, alle 15 circa, il Sottosegretario all’Istruzione, Università e Ricerca, Davide Faraone si recherà ad Assisi per manifestare l’attenzione del Governo su una vicenda che “come ha detto anche il Ministro Stefania Giannini, se confermata, sarebbe di una gravità inaudita”.
“Attendiamo i risultati dei controlli avviati dall’Ufficio Scolastico Regionale, per gli aspetti amministrativi, e l’esito delle indagini in corso – spiega il Sottosegretario – ma, d’intesa con il Ministro, riteniamo fondamentale per il Miur approfondire quanto accaduto garantendo anche una presenza istituzionale”.