Laboratori non aule

LABORATORI NON AULE NON CELLE NELLA BUONASCUOLA di Umberto Tenuta

Canto 319 EDIFICI PRECARI E MERITI

Sembra che siano questi gli emblemi della BUONASCUOLA

E non lo sono!

Se non si sa a cosa servono gli Edifici

Se non si sa che cosa debbono fare i Precari

Se non si sa che i Meriti debbono essere posseduti da tutti

Se queste TRE COSE non si sanno

La BUONASCUOLA non si fa!

 

EDILIZIA SCOLASTICA, che delizia!

Certo, se nelle aule ci piove, scuola non si fa.

E quando c’è il sole?

Nelle aule si sta.

A soffrire!

La lezione che il docente fa.

La lezione che il docente ti dà.

Tutte da ascoltare in religioso silenzio.

Tutte da imparare sui libri di testo.

Roba da manuale scolastico.

Ma è questa la scuola della BUONASCUOLA?

È questa la Scuola che rende tutti meritevoli.

È questa la Scuola del SUCCESSO FORMATIVO garantito a tutti i figli di mamma?

È BUONASCUOLA solo la Scuola che garantisce il SUCCESSO FORMATIVO a tutti gli studenti.

PUNTO UNO.

Ma come si fa?

Come si fa a garantire il SUCCESSO FORMATIVO anche ai figli dei precari?

Dei Precari della SCUOLA e dell’EXTRASCUOLA?

Solidarietà ci vuole.

I PRECARI DELLA SCUOLA debbono cambiar verso.

CAMBIARE VERSO, sì!

Le Promesse si mantengono.

Orsù, Precari della scuola, date voi una buona lezione!

Non fate più lezione!

Non fate né lezioni, né interrogazioni.

Aiutate i vostri studenti a riscoprire il mondo minerale, vegetale, animale ed umano.

<<vi è un doppio modo di acquistare la scienza: uno quando la ragione naturale da se stessa giunge alla conoscenza di cose ignote, e questo modo si chiama invenzione; l’altro quando la ragione naturale viene aiutata da qualcuno dall’esterno, e questa maniera si chiama dottrina (insegnamento).

In ciò in vero che viene prodotto dalla natura e dall’arte, l’arte procede allo stesso modo e con gli stessi mezzi che la natura.

Come infatti la natura guarirebbe riscaldando chi soffre di frigidezza, così fa pure il medico; per cui si dice che l’arte imita la natura.

Il simile accade anche nell’acquisto della scienza: il docente cioè conduce altri alla scienza di cose ignote allo stesso modo che uno, scoprendo, conduce se stesso alla conoscenza di ciò che ignora>>[1].

Il docente conduce gli studenti alla scienza dell’umano sapere allo stesso modo che uno, scoprendo, conduce se stesso alla conoscenza di ciò che ignora.

Lavoratore del braccio e della mente, il vostro amato studente.

Chiaro, no?

Lavoratore, e quindi laboratorio.

Aule laboratorio!

Tante Discipline, tanti Laboratori.

E le aule?

Tutte laboratori!

Non servono le aule asciutte.

Ci vogliono le aule-laboratorio.

Alle famiglie povere assicurate un inverno caldo!

Date loro i banchi che non riuscite a trasformare in tavoli della pizza serale.

E come li attrezzate i vostri laboratori?

SE ASCOLTO DIMENTICO

SE VEDO RICORDO

SE FACCIO CAPISCO (Confucio)

Provate a fare il conto di quanto si spende per dotare ogni studente delle piccole enciclopedie cartacee.

Utilizzate questi fondi per dotare di Tablet i pochi studenti che già non li possiedono.

E utilizzate questi fondi per attrezzare i laboratori scolastici di materiali[2]:

CONCRETI: comuni e strutturati

VIRTUALI: prossimamente in 3D

SIMBOLICI: digitali e cartacei

Il gioco è fatto!

Una NUOVA SCUOLA è nata.

La BUONASCUOLA è realizzata.

Dirigenti, Docenti e Studenti sono contenti!

Gli Editori si convertiranno e si impegneranno a produrre soprattutto materiali didattici digitali.

Mica si rimane legati a GUTEMBERG per l’eternità!

Sogno[3] o vaneggio?

Senza i sogni l’uomo sarebbe rimasto sull’albero!

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

 

[1] TOMMASO D’AQUINO (a cura di M. Casotti), De magistro, La Scuola, Brescia, 1957, p 28.

[2] A titolo orientativo, si possono consultare: AGAZZI R., Come intendo il museo didattico, La Scuola, Brescia, 1968; MONTESSORI M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000; BISSI R., I sussidi didattici, La Scuola, Brescia, 1976;DOMENIGHINI L., Sussidi didattici e scuola di base – Orientamenti educativi e metodologici, La Scuola, Brescia, 1980; UMBERTO TENUTA, L’attività educativa e didattica nella scuola elementare-Come organizzare l’ambiente educativo e di apprendimento, La Scuola, Brescia, 1989

[3] Pedro Calderón de La Barca, La vida es sueño

Terra di odio e di vendetta

Terra di odio e di vendetta

di Vincenzo Andraous

 

Ci risiamo, come ieri, avanti Cristo, dopo Cristo, quella Croce offesa, umiliata, annientata. Ognuno a rivendicare ragione, diritto, giustizia, ciascuno a fare nel sangue la propria assoluzione da vincitore.

Terre inzuppate di sofferenza imbavagliata, atrocità nascoste, massacri silenziati, dentro stati della mente ottusi e conclusi, dimensioni del cuore che non posseggono più alcuna compassione, pietà, l’ultima volontà di un perdono.

Terre di potenti che non concedono più metri, ne tolgono, terre di ricchi e di poveri ridotte a camposanti, in preda all’ira della vendetta, a urlare colpe, condanne, accuse incrociate, la sentenza sta nei tanti e troppi volti reclinati.

Eserciti bene intruppati e colonne di affaccendati con la polvere da sparo, tecniche di guerra e pratiche del terrore, popoli fintamente mascherati di giustizia, angolazioni di disumanità abbandonata a se stessa, nell’esclusione sociale, caratterizzata dai più alti livelli di controllo sulle persone, subordinate ai colpi di pietra, di machete, di pistola, di obice.

L’idea che osservare e costringere qualcuno in condizioni sub-umane sia sinonimo di osservare ciò che accade in termini più generali, è davvero una bestemmia pronunciata ad alta voce, una derisione all’onestà intellettuale, con lo scopo di rendere la tortura e l’omicidio una condizione alternativa più accettabile.

Si muore scomposti dal rumore degli spari, degli scarponi chiodati, dai cingoli dei carri armati, fanno breccia nel cuore indurito di chi non ha più figli, sorelle, fratelli, una famiglia, la propria casa.

Nel morso antico dell’odio, della vendetta, della supplica e della concessione tradita, si muore dentro la propria storia millenaria, si muore per una bandiera, per un pezzo di terra con tanti padroni e pochi giusti. Si muore per opulenza da difendere, per povertà da rivendicare, si muore per un principio, per una fede contrapposta, si muore per delirio di onnipotenza, anche là dove il potere ha solo voce di commiserazione.

Si muore senza onore delle armi, si muore tra gli scaracchi, mai con sentimento di riconciliazione.

Al dolore per una scomparsa, c’è preghiera di circostanza, azione di propaganda, che sfocia nella ferocia del più forte, persino il più debole non fa passi indietro.

Spara il cannone, spara il lanciarazzi, sparano come forma di tutela della propria incolumità, della propria leggittimità a esistere in un territorio che non ha più speranza, perché oppressa dalla più ostile disperazione.

Ci risiamo, proprio come ieri, donne, uomini, bambini, trucidati in una sinagoga, in autobus, altri suicidati su una trave, altri ancora in galera, dentro le proprie case polverizzate.

Tu ne ammazzi uno, io ne ammazzo cento, tu lanci razzi, io bombardo, donne, vecchi, bambini, carne da macello con la divisa della vittima svenduta e fin’anche oltraggiata.

Un passato che non passa, che non insegna un bel niente, che non allena gambe solide per ritornare al mondo di un possibile futuro.

E’ un’umanità in asfissia, stretta tra eredità indicibili e rivalse fraudolente, plotoni in fila per tre in attesa del colpo alla nuca, persone prese in mezzo, non più riconosciuti i ruoli, il valore della vita umana, da ogni barricata il nemico a vista è da atterrare, non più storie di uomini, ma numeri, cose, oggettistica d’accatto, rimasugli da estinguere in fretta.

Non c’è spazio per il rispetto, sono minacce che s’avverano, a differenza di qualche parolaio da gran cassa mediatica, in questo film che s’annuncia poderoso, non c’è Davide contro Golia, bensì innocenti senza più documenti di identità, ma forse Dio, il tuo, il mio, non starà più appoggiato a fare di conto con arguzia da mercato, forse Dio s’è davvero stancato.

Ancora sul registro elettronico

Ancora sul registro elettronico

di Cosimo De Nitto

Che strana stagione viviamo, è la stagione dell'”incontrario”, si potrebbe dire.

Standardizzano ciò che non va standardizzato (INVALSI), non standardizzano, invece, ciò che va standardizzato (la documentazione scolastica). I tanto declamati costi standard si fermano alle soglie della scuola? Il registro potrà cambiare colore e grafica, ma alla fine le “cose” che deve registrare sono le stesse per tutti, o no? In quanto strumento burocratico (spesso, invece, viene pensato e agito come fine con sopraggiunta di un carico da 90 di senso che lo fa coincidere con la modernità, efficienza, novità, futuro ecc.) deve essere per definizione standard relativamente alle circostanze d’uso (se uno insegna in più scuole non può avere un diverso registro elettronico in ciascuna di esse), pratico nella compilazione (data in), facile, comodo, infallibile nella consultazione (data out). Un registro elettronico affinché si faccia preferire a quello cartaceo deve dimostrare dunque:

1) che fa risparmiare tempo;

2) che fa risparmiare denaro;

3) che è più friendly nell’uso e nella gestione;

4) che garantisce di più la sicurezza dei dati.

I registri elettronici rispondono tutti a questi requisiti? Non si può dire.

Dunque?

Che senso ha una registrazione di atti amministrativi diversa per ogni scuola? Che senso ha che ogni scuola compra per fatti suoi a costi diversi programmi diversi? Se un genitore (ma proprio tutti i genitori e tutte le famiglie usano il registro elettronico per avere contezza delle informazioni scolastiche relative ai propri figli? Siamo sicuri che non stiamo riproducendo un ulteriore digital divide che rinforza il social divide?) ha più figli disseminati in scuole diverse, oppure se la famiglia si trasferisce da una città all’altra, cosa farà? Sarà in permanente apprendimento dei diversi registri elettronici usati? Ma facciamo un discorso paradossale: cosa accadrebbe se ogni comune-provincia-regione adottasse modulari e modalità di compilazioni diverse per i più banali rapporti con i cittadini (carte di identità, patenti, domande di pensione, disoccupazione ecc.)?

Siamo seri, per favore.

Anziché pagare costose campagne pubblicitarie e propagandistiche, anziché spendere invano il denaro pubblico in consultazioni che non servono a niente, anziché diffondere “pillole di conoscenza” ridicole in formato cartaceo o digitale, anziché…ecc, ecc. piuttosto il ministero doti ogni ordine di scuola di un programma standard, magari open suorce. Garantisca prima a tutti la possibilità di accesso, sia in termini di know how, sia in relazione ai terminali sui quali farli girare per compilarli e consultarli (in quale Costituzione sta scritto che gli insegnanti e/o i genitori debbano essere costretti a comprare a spese proprie tablet, portatili, pc ecc.per fruire di un proprio diritto/dovere?).

” Last, but not least ” risolva prima il problema della sicurezza dei dati sensibili e della privacy

e poi ne parleremo.

Meglio fondere elementari e medie che tagliare l’ultimo anno del liceo

da Corriere.it

Meglio fondere elementari e medie che tagliare l’ultimo anno del liceo

L’ex ministro Berlinguer: non si può stare a scuola fino a 19 anni. Ma l’idea di eliminare il quinto anno delle superiori è sbagliata. Molto meno traumatico ridurre il primo ciclo

di Luigi Berlinguer

Non si può tenere a scuola i nostri ragazzi fino a 19 anni. È un grave danno che facciamo loro rispetto ai loro colleghi europei. Questo problema era stato risolto con la riforma dei cicli che la restaurazione di destra nel Paese ha cancellato. Bisogna tornare a ristrutturare l’architettura scolastica riducendo, ancora una volta di un anno, il suo percorso. C’è chi affaccia ora la proposta di ridurre la secondaria superiore cancellando l’ultimo anno. Io lo ritengo un grave errore perché, nella scuola di tutti e nella società della conoscenza, per la quale si programma un percorso universitario addirittura al 40%, quello della verticalizzazione curricolare e del favorire la più proficua crescita nell’ambito educativo – scolastico e universitario – è un problema capitale. E, in questo quadro, l’ultimo anno delle superiori funge da raccordo fra scuola e post-scuola ed è pertanto indispensabile.

Si tratta, pertanto, di riflettere come riorganizzare il ciclo della scuola primaria rendendolo coerente con le indicazioni nazionali per il curricolo, introdotte ad ordinamento nel 2012, che puntano sulla continuità e unitarietà educativa dai 3 ai 16 anni. E’ necessario rendere congruente l’impianto culturale con gli ordinamenti, oggi separati in tre diversi segmenti che costituiscono una delle principali cause della dispersione scolastica che inizia sin dal primo ciclo. Ed è qui che va accorciato di un anno e non nel secondo ciclo, in modo da renderlo unitario con il percorso di apprendimento dell’alunno. Dato che la scuola per l’infanzia è stata pensata come una pre-scuola con elevato tasso di educatività e ancor più oggi (nuove iniziative legislative Puglisi ed altri) si tende a perfezionare tale modello, togliere un anno da questo lungo I ciclo non solo non è traumatico, e non solo serve a fare uscire i nostri ragazzi a 18 anni, ma è addirittura necessario nell’ottica del riordino del ciclo stesso. Tralascio numerosi altri argomenti in proposito perché desidero con questo mio intervento sollecitare le riflessioni di coloro che vorrebbero apportare contributi a questo dibattito su Education 2.0 e, nel contempo, evitare affrettate decisioni governative in proposito.

A un anno dalla maturità il 65% dei diplomati ha scelto l’università, il 28% lavora

da Il Sole 24 Ore

A un anno dalla maturità il 65% dei diplomati ha scelto l’università, il 28% lavora

di Eugenio Bruno

A un anno dalla maturità il 65% dei diplomati ha scelto di proseguire gli studi e iscriversi all’università. Una percentuale che tra i liceali arriva al 76 per cento. Ammonta invece al 28% la quota di chi nel frattempo ha trovato un lavoro. A dirlo sono AlmaDiploma e AlmaLaurea.

L’anticipazione
AlmaDiploma e AlmaLaurea – che mercoledì scorso hanno presentato il Profilo dei diplomati 2014 – anticipano a Scuola 24 i primi risultati dell’Indagine 2014 sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati 2013, intervistati a uno anno dal conseguimento del diploma. L’Indagine – che ha interessato quasi 50mila diplomati del 2013 provenienti da 350 istituti d’istruzione superiore – fotografa le scelte dei diplomati al termine delle superiori. Ebbene, a un anno dalla maturità, il 65% del campione ha scelto di proseguire la propria formazione e si è iscritto a un corso di laurea, il 53% ha optato esclusivamente per lo studio e il 12% frequenta l’università lavorando. La quota di diplomati dediti esclusivamente allo studio universitario è nettamente più elevata tra i liceali (76% contro il 16% studia e lavora) rispetto ai diplomati del tecnico (40%) e del professionale (18%). Al contrario i diplomati che esclusivamente lavorano sono poco diffusi tra i liceali (3%), rispetto a quelli del tecnico (24%) e del professionale (33%).
Sulle loro scelte un impatto ce l’ha anche il contesto socio-culturale di origine. Fra i diplomati 2013 che provengono da famiglie più favorite, con almeno un genitore laureato, la quota di chi ha scelto di proseguire gli studi iscrivendosi a un corso di laurea triennale, 86%, è nettamente superiore rispetto a chi ha genitori in possesso di un diploma secondario superiore (66%) o un titolo inferiore (circa 40%).

I risultati all’università
A un anno dal titolo, per 18 diplomati su cento la scelta universitaria non si è dimostrata vincente: fra chi ha deciso di continuare gli studi, il 7% ha, nel corso del primo anno, deciso di abbandonare l’università, mentre un ulteriore 11% è attualmente iscritto all’università ma ha già cambiato ateneo o corso di laurea. Confrontando la situazione dei diplomati del 2011 e del 2013 (nello specifico si tratta di circa 48.000 diplomati di 110 Istituti di scuola secondaria superiore che hanno partecipato ad entrambe le rilevazioni) si rilevano risultati interessanti. Tra quanti hanno scelto di proseguire la formazione, la quota dei “pentiti” è andata progressivamente diminuendo. L’Indagine mette infatti in evidenza, da un lato, la crescita della quota dei diplomati che ha deciso di proseguire con gli studi universitari (dal 69% del 2011 al 71,5% del 2013); dall’altro, una progressiva riduzione della percentuale di abbandoni (dall’8,5 del 2011 al 7% del 2013) e della quota di coloro che una volta iscritti all’università hanno poi scelto di cambiare ateneo o corso di laurea (dall’11 del 2011 al 9% del 2013).

I diplomati alla prova del lavoro
A un anno dal conseguimento del titolo risultano occupati 28 diplomati su cento: il 16% è dedito esclusivamente al lavoro; un altro 12% studia all’università e lavora. La disoccupazione a un anno resta tuttavia elevata e coinvolge 36 diplomati su cento; una quota significativa, che si riduce tra i liceali (31%) ma che raggiunge ben il 44,5% dei diplomati professionali, per i quali è più consistente la quota di chi, terminati gli studi secondari, decide di inserirsi nel mercato del lavoro.

Censis: nel 2013 alternanza scuola-lavoro per oltre 220mila studenti

da Il Sole 24 Ore

Censis: nel 2013 alternanza scuola-lavoro per oltre 220mila studenti

di Alessia Tripodi

Il Rapporto 2014 sulla situazione del Paese: corsi sono in aumento, ma la percentuale di giovani coinvolti non supera il 9 per cento.

Cresce l’alternanza scuola lavoro, che nel 2013 ha coinvolto oltre 220mila studenti e più del 58% delle imprese italiane. Lo rivela il Censis nel Rapporto 2014 sulla situazione sociale del Paese, che – a fronte dei dati preoccupanti su un capitale umano sempre più sottoutilizzato – fornisce numeri più rassicuranti sulla risposta del sistema formativo al sempre crescente numero di Neet, cioè di giovani che non studiano e non lavorano.

Più alternanza, ma non basta
Secondo il Censis si è passati dai 45.879 studenti coinvolti in percorsi di alternanza nel 2006-2007 ai 227.886 del 2012-2013. Sono oggi coinvolte quasi 78.000 strutture ospitanti, tra imprese (il 58,2% del totale), professionisti, strutture pubbliche (enti locali, scuole, Asl, università, camere di commercio). Ma «nonostante la vivacità dimostrata » sottolinea il rapporto, i percorsi di alternanza coinvolgono però appena il 9% degli studenti di scuola secondaria superiore. Secondo i dirigenti scolastici incaricati di organizzare le attività, i corsi forniscono una maggiore conoscenza del mondo del lavoro (66,2%), anche in funzione orientativa per la eventuale scelta di proseguire negli studi (47,3%), ma esistono difficoltà a coinvolgere le aziende e il mondo del lavoro in genere (47%), oltre a ostacoli legati alle risorse insufficienti(46,4%) . Per quanto riguarda i percorsi di istruzione tecnica superiore (Its), dal primo periodo di sperimentazione 2010-2012, con 59 Fondazioni e più di 70 percorsi avviati, si è giunti oggi a 64 Fondazioni (più 10 in corso di attivazione), 240 percorsi tra già realizzati, in attuazione e in corso di attivazione, e circa 5.000 studenti. I referenti delle 41 Fondazioni intervistate nell’ambito di una indagine del Censis si dichiarano in maggioranza molto (31,7%) o abbastanza (56,1%) soddisfatti degli esiti occupazionali dei primi diplomati.

Neet record
Quello italiano è un capitale umano non utilizzato di quasi 8 milioni di individui. I dati del Censis rivelano che i più penalizzati sono i giovani: i 15-34enni costituiscono infatti il 50,9% dei disoccupati totali. E i numeri confermano i dati allarmanti sui Neet: i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego né lo cercano passano da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013.

Sui test Invalsi pesano ancora le «resistenze» di docenti e alunni

da Il Sole 24 Ore

Sui test Invalsi pesano ancora le «resistenze» di docenti e alunni

di Francesca Milano

A dieci anni dall’avvio delle prove sulla valutazione degli apprendimenti restano in piedi alcune problematiche che ne impediscono la diffusione capillare nelle classi.

Le prove Invalsi compiono dieci anni: dieci anni durante i quali si è passati dalla partecipazione volontaria ai test sulla valutazione del sistema istruzione alla obbligatorietà per le scuole di svolgere le prove.
Eppure – stando a quanto riportato nel documento sul “Decennale delle prove Invalsi” – esistono ancora alcune «resistenze culturali minoritarie, eppure rilevanti, che si manifestano sotto differenti forme». La prima e più radicale di queste consiste nell’astensione dalla partecipazione alle rilevazioni «attuata mediante lo sciopero dichiarato da alcune organizzazioni sindacali». Nell’anno scolastico 2013-2014 le classi che non hanno partecipato alle prove sono l’1,8% del totale. Significa, quindi, che su 2.287.745 studenti, 41.179 non hanno svolto le prove Invalsi.

Oltre all’asentensione, esiste poi un altro fenomeno diffuso: quello del cheating. Questa forma di «resistenza» si manifesta negli studenti che copiano le risposte o negli insegnanti, attraverso l’aiuto o il suggerimento o addirittura l’intervento ex post sulle schede nelle
risposte lasciate in bianco. «Le ragioni del cheating – si spiega nel documento Invalsi – risiedono nel grado di presenza della cultura della valutazione, ma anche nel grado di incertezza rispetto all’utilizzo finale delle informazioni derivate dalle rilevazioni. Se gli studenti o i docenti temono che un risultato non soddisfacente possa danneggiare la personale carriera scolastica o professionale, saranno maggiormente incentivati ad attuare comportamenti che possano migliorare il livello medio dei risultati o anche la singola prova».

C’è anche una terza «forma di resistenza» che riguarda il cosiddetto “teaching to the test”, ossia le forme di addestramento esplicito degli studenti per il superamento delle prove. «Si tratta – è scritto sempre nel documento – di un comportamento sul quale esistono pareri e opinioni discordanti e molto dipende dalle forme concrete attraverso cui viene messo
in atto. I più critici sostengono che qualsiasi forma di addestramento allo svolgimento di
prove standardizzate distoglie docenti e studenti da altre attività didattiche ugualmente
o maggiormente importanti e forma le menti verso l’automatismo dei quesiti a risposta
multipla, anziché favorire la creatività e il problem solving». Nel contesto italiano il teaching to the test sembrerebbe avvenire in forme molteplici: ci sono casi in cui gli insegnanti
svolgono veri e propri “laboratori“ sui test Invalsi, utilizzando manuali o le passate edizioni delle prove reperibili in rete.

Sei un docente da Premio Nobel? Due italiani nella rosa dei migliori 50 al mondo

da La Tecnica della Scuola

Sei un docente da Premio Nobel? Due italiani nella rosa dei migliori 50 al mondo

La competizione si chiama “Global Teacher Prize” e la lista è stata realizzata da un apposito comitato, tra oltre 5.000 nomi e 1.300 candidature di 127 Paesi: in palio un milione di dollari, da assegnare, a rate di uguale entità in un periodo di dieci anni, al docente che abbia offerto uno straordinario contributo alla professione. I “nostri” giunti in zona traguardo sono Daniela Boscolo dell’Istituto tecnico C. Colombo di Porto Viro, Rovigo, e Daniele Manni dell’Istituto Galilei Costa di Lecce. Il vincitore si decreterà il 16 marzo a Dubai.

Ci sono anche due insegnanti italiani tra i primi 50 candidati al “Global Teacher Prize”, una sorta di Premio Nobel per gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado di tutto il mondo: una competizione di alto livello d’immagine, che mette tra l’altro in palio un milione di dollari da assegnare al docente che abbia offerto uno straordinario contributo alla professione.

Il Global Teacher Prize, alla prima edizione, è frutto di un impegno di lunga data della Varkey Gems Foundation. Portando alla luce migliaia di storie di “eroi” che hanno trasformato la vita di bambini e adolescenti, il premio spera di far conoscere e divulgare – spiegano i promotori – “lo straordinario lavoro di milioni di insegnanti”.

Il vincitore riceverà il premio in denaro a rate di uguale entità in un periodo di dieci anni. Una condizione per vincere il premio è che il vincitore continui a essere un insegnante per almeno cinque anni. I due insegnanti italiani arrivati in zona traguardo sono Daniela Boscolo dell’Istituto tecnico C. Colombo di Porto Viro, in provincia di Rovigo, e Daniele Manni dell’Istituto Galilei Costa di Lecce.

L’Ansa riporta i meriti professionali dei due docenti italiani. “La professoressa Boscolo, in collaborazione con aziende e associazioni locali, ha creato progetti per consentire ad alunni portatori di disabilità di sviluppare le proprie capacità nelle normali situazioni sociali. Nel 2010 questi progetti le sono valsi il riconoscimento nazionale di “Migliore insegnante dell’anno”. Daniele Manni insegna Informatica e impegna i propri studenti in progetti che abbracciano diversi temi, dall’inclusione sociale alle start-up. I suoi studenti hanno raggiunto un alto tasso di successi, vincendo in media 3 o 4 premi all’anno. I primi 50 candidati sono stati scelti, da un apposito comitato, tra oltre 5.000 nomi e 1.300 candidature finali provenienti da 127 Paesi. Il vincitore o la vincitrice verrà annunciato il 16 marzo 2015 al Global Education & Skills Forum a Dubai”.

“Abbiamo introdotto il premio – spiega Sunny Varkey, fondatore della Vgf – per restituire agli insegnanti la posizione che spetta loro di diritto. Il premio non è soltanto una somma di denaro: come dimostrano le tante candidature è un modo per far conoscere migliaia di storie fatte di ispirazione. Naturalmente serve molto di più del Global Teacher Prize per ridare a questa professione lo status che le compete nel mondo. Ma la mia speranza è che dia la battuta d’avvio a migliaia di conversazioni sul ruolo degli insegnanti: nelle famiglie riunite per la cena, tra gli adolescenti sui social media, fino ai ministeri dell’istruzione in tutto il mondo”.

Per l’attore Kevin Spacey, vincitore di due premi Oscar, membro della Global Teacher Prize Academy che sceglie il vincitore finale, “indipendentemente dai propri risultati nella vita, è innegabile che i primi insegnamenti sono proprio quelli che sono stati impartiti in un’aula scolastica”.

“Attirare le persone migliori – aggiunge Bill Clinton, presidente onorario della Varkey Gems Foundation – verso l’insegnamento, sviluppandone e sostenendone le capacità, e tenendo in alta considerazione i nostri insegnanti: tutto ciò è fondamentale per raggiungere l’eccellenza, sia nell’insegnamento, che nell’apprendimento”.

Partono i risarcimenti ai prof precari

da La Tecnica della Scuola

Partono i risarcimenti ai prof precari

Arriva la prima sentenza, dopo la decisione della Corte di giustizia Ue: il precariato nella scuola, se diventa la norma, è illegittimo e si deve risarcire il professore o assumerlo

I precari della scuola con più di 36 mesi di insegnamento continuativo, ha stabilito la  Corte di giustizia europea, devono essere assunti oppure indennizzati.

E venerdì scorso, scrive La Stampa, il tribunale del lavoro di Torino, primo in Italia, ha recepito e attuato la pronuncia dell’Ue, accogliendo il ricorso di una insegnante delle scuole medie superiori che, dopo aver lavorato per sette anni, sempre con contratti a tempo determinato, ha deciso di fare causa allo Stato.

Il giudice ha quantificato il risarcimento del danno in misura quindici volte il suo attuale stipendio (circa 1.500 euro, in totale quindi 22 mila euro).

E, sulla scia di una sentenza pilota emessa dallo stesso giudice nel 2009, ha ordinato di riconoscere anche gli scatti di anzianità che avrebbe maturato se avesse avuto il ruolo anziché ripartire sempre da zero ogni anno.

Non ha invece disposto l’assunzione, possibilità che la Corte europea aveva ammesso, perché la legge italiana indica nel concorso la via maestra per diventare insegnanti di ruolo.

Anche la Corte costituzionale dovrà presto esprimersi, giudicando l’articolo 4 della legge 124 del 1999 che prevedeva di coprire i posti vacanti con supplenze annuali «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo».

Nata come norma transitoria, resiste invece da quindici anni. E dopo la decisione della Corte europea – che fa giurisprudenza – è realistico immaginare che i giudici costituzionali chiederanno di superarla, disciplinando una volta per tutte il reclutamento degli insegnanti.

Nulla di inatteso dunque se un’ondata di ricorsi si scaricherà sui tribunali italiani che da tempo attendevano che la Corte di giustizia si pronunciasse. Ora che ha deciso, le cause rimaste in sospeso usciranno dai cassetti come è avvenuto venerdì a Torino. E, con ogni probabilità, lo Stato dovrà risarcire tutti coloro che lo chiederanno.

Presidi sul piede di guerra

da La Tecnica della Scuola

Presidi sul piede di guerra

I dirigenti scolastici protestano e scendono in piazza: hanno stipendi nettamente inferiori a quelli dei dirigenti ministeriali di pari livello. Questa volta la protesta è sostenuta da tutti i sindacati in modo unitario.

A quanto pare nella scuola non c’è nessun operatore contento. E anche i presidi sono da tempo sul piede di guerra. I protagonisti della dirigenza più rognosa e malpagata del pubblico impiego continuano la lotta e per questo il 4 dicembre scorso alcune loro delegazioni, provenienti da tutte le parti d’Italia, hanno manifestato davanti al Miur chiamati a raccolta dalle OO.SS. rappresentative dell’Area V (Anp Cida, Cisl Scuola, Flc Cgil, Snals Confsal e Uil Scuola).
Proteste dovute a una situazione ormai insostenibile. A fronte di carichi di lavoro accresciuti e di responsabilità immense non si registra un adeguato aumento delle retribuzioni. Anzi, per ironia della sorte, gli stipendi sono fermi da oltre cinque anni, quasi sei, anzi sono stati ampiamente decurtati.
I motivi della protesta sembrano essere però molto più ampi del mancato rinnovo del CCNL sia per la parte economica sia per la parte normativa: anche il Fun piange, che eroga il salario accessorio legato alla complessità dell’istituzione scolastica che si dirige e che il Miur ha pensato bene di non finanziare adeguatamente, anzi di decurtarlo rispetto al passato. Insomma a fronte di maggiori carichi di lavoro per scuole complesse e magari in zone a rischio, il compenso economico è inesistente.
Ma il vero punctum dolens è un altro: perché la dirigenza scolastica è valutata in modo difforme da tutte le altre dirigenze ministeriali? E’ noto che un Ds percepisce 55mila euro lordi/anno che è esattamente la metà dello stipendio di un ministeriale di pari grado. La scuola non merità forse attenzione? Nessuno pensa che le presidenze sono fondamentali per il buon andamento educativo, amministrativo e didattico dell’istruzione?
Certo è che la categoria ha complessivamente un danno in busta paga pari a circa 7mila euro/lordi rispetto a due anni addietro, fino ad un massimo di 12mila euro, a seconda della regione di appartenenza.
Al termine della manifestazione, una delegazione è stata ricevuta dal sottosegretario Davide Faraone al quale i Ds hanno spiegato con dovizia di particolari i motivi della lotta. Faraone, dal canto suo,  ha cercato di metterci una pezza, impegnandosi ad aprire un tavolo sul Fun nel pomeriggio di mercoledì 10 dicembre.
Se son rose fioriranno, o sfioriranno chissà…

L’ipotesi di contratto sulla mobilità 2015-2016 è illegittima?

da La Tecnica della Scuola

L’ipotesi di contratto sulla mobilità 2015-2016 è illegittima?

La sentenza europea apre nuovi scenari e mette in forse alcune regole che finora erano fuori discussione. Per esempio: perchè valutare diversamente il punteggio del servizio di ruolo da quello non di ruolo?

Il contratto di mobilità per l’anno scolastico 2015-2016, che solamente in via ipotetica è già stato firmato dai sindacati e dall’Amministrazione, parte con un grande sospetto di illegittimità.
Infatti, bisogna sapere che, poche ore prima dell’accordo raggiunto tra Miur e sindacati, era appena uscita la sentenza della Corte di giustizia europea di Strasburgo sul precariato scolastico che, di fatto, equipara il servizio svolto dagli insegnanti  precari a quello svolto dai docenti di ruolo.
Ma dove sta, quindi, l’ipotetica illegittimità riscontrabile nel contratto sulla mobilità per l’anno scolastico 2015-2016? Starebbe proprio nel fatto che in tale contratto si valuta il servizio di anzianità pre-ruolo degli insegnanti, con la metà del punteggio rispetto al servizio di anzianità prestato nello stesso ordine e grado da un docente di ruolo. Questa norma contrattuale è in evidente contrasto con quanto è stato sentenziato dalla suddetta Corte di giustizia europea. In buona sostanza la sentenza sui precari dello scorso 26 novembre, data coincidente con quella della firma di ipotesi di contratto sulla mobilità 2015-2016, recepisce concretamente la direttiva europea 1999/70 e la sua relativa clausola 4. In tale direttiva europea è scritto che i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
In sostanza una norma contrattuale dovrebbe recepire il concetto che  il servizio svolto a tempo determinato dovrebbe avere la stessa valenza giuridica ed economica del servizio a tempo indeterminato.  Invece nell’allegato D del contratto sulla mobilità, afferente alle tabelle di valutazione dei titoli di servizio si danno sei punti per ogni anno di servizio comunque prestato, successivamente alla decorrenza giuridica della nomina, nel ruolo di appartenenza, mentre se ne danno tre per ogni anno di servizio pre-ruolo o di altro servizio di ruolo riconosciuto o riconoscibile ai fini della carriera. Sorge il dubbio sulla legittimità di questa norma che continua a valutare in modo  differenziato l’anzianità di servizio di ruolo da quella di pre-ruolo. Questa differenziazione continua ad essere applicata anche per le graduatorie  interne d’Istituto per l’individuazione dei docenti soprannumerari, nonostante il Miur abbia dovuto soccombere con la sentenza sui precari per non avere recepito proprio la direttiva europea su citata.
Bisogna dire che la Flc Cgil e la FGU Gilda degli insegnanti, hanno già sollevato la problematica della valutazione del servizio, ed hanno chiesto all’Amministrazione, l’equiparazione dei punteggi sull’anzianità di servizio riguardo al contratto di mobilità. Il Miur, abile a cacciarsi sempre nei guai, ha ritenuto di non intervenire sulla valutazione dei punteggi dell’anzianità di servizio, non considerando le ipotesi di illegittimità suddette.

Rispunta il taglio di un anno di scuola

da La Tecnica della Scuola

Rispunta il taglio di un anno di scuola

L’ex ministro Luigi Berlinguer ritorna alla carica con l’idea di 7 anni di primo ciclo e 5 di seuperiori. Ma a questo punto a che servirebbero 150mila assunzioni?

Angela Merkel non ha ancora finito di dichiarare  pubblicamente che in Italia le riforme sono insufficienti, che subito rispunta l’idea, che sembrava accantonata, di accorciare di un anno il percorso di studi dei nostri studenti. A riportare alla ribalta questo delicato tema è, dalle colonne del corriere della sera on line, l’ex ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer.
Quello di anticipare di un anno l’entrata nel mondo del lavoro e dell’università dei nostri ragazzi è un problema che si pone come un’opportunità inderogabile, visto che negli altri Stati della comunità europea i ragazzi finisco la scuola a 18 anni contro i nostri 19. Ecco che quindi rispunta, come necessario e inderogabile, il bisogno di tagliare un anno di scuola. Poi ricorda l’ex inquilino di viale Trastevere c’è anche il problema della dispersione scolastica, che  si può imputare anche alla separazione in tre ordini di scuola per l’intero percorso scolastico di un alunno.
Quindi secondo Berlinguer tagliare di un anno il liceo o comunque la scuola secondaria di secondo grado, accorcerebbe il percorso di studi ma non risolverebbe il crescente problema della dispersione scolastica.
In buona sostanza l’architettura del percorso di studi dello studente italiano va ridotto, ma va anche rivisto. Secondo Luigi Berlinguer tagliare di un anno il percorso della scuola secondaria di secondo grado sarebbe solo un errore. Invece sarebbe opportuno strutturare, come era stato già proposto in passato, ridurre a due soli cicli la struttura del percorso scolastico, unificando scuola primaria con scuola media. In buona sostanza bisognerebbe creare un primo ciclo di sette anni e il secondo di cinque.
Secondo l’ex ministro dell’Istruzione togliere un anno dal primo lungo ciclo non sarebbe per niente traumatico, anzi servirebbe sia a  fare uscire i nostri ragazzi a 18 anni, ma anche ad armonizzare il percorso di studi abbattendo il tasso percentuale di abbandono scolastico. Sembrerebbe che Berlinguer rappresenti un messaggero del governo Renzi, che ci annuncia l’ennesima riforma che taglierà almeno 40 mila cattedre. Una riflessione al riguardo ci piace fare: “Con un taglio così consistente dove li metteranno i 150 mila nuovi immessi in ruolo del prossimo anno?”. Ci piacerebbe saperlo visto che il governo è così sicuro di assumere così tanti docenti.

Computer Science Education Week

Il futuro si programma fra i banchi
Progetto Miur-Cini, già 1.176 classi
e oltre 22.000 studenti hanno sperimentato il #coding a scuola
Dall’8 al 14 dicembre la “Computer Science Education Week”

Il MIUR – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – in collaborazione con il CINI – Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica, ha lanciato per l’anno scolastico 2014/2015 l’iniziativa Programma il Futuro fornendo alle scuole una serie di strumenti semplici, divertenti e facilmente accessibili per formare gli studenti ai concetti di base dell’informatica e del pensiero computazionale. Si tratta di uno dei primi passi de #labuonascuola.

Roma, 3 dicembre, 2014 – Sono 1.176 le classi, 448 gli insegnanti e oltre 22.000 gli studenti che hanno già sperimentato il coding (programmazione informatica) a scuola grazie al progetto triennale Programma il Futuro, nato dalla collaborazione fra il MIUR e il CINI. Partendo da un’esperienza di successo avviata negli USA che ha visto, nel 2013, la partecipazione di circa 40 milioni di studenti e insegnanti di tutto il mondo,l’Italia si colloca oggi fra i primi Paesi a sperimentare l’introduzione strutturale nelle scuole dei concetti di base dell’informatica attraverso la programmazione. L’iniziativa Programma il Futuro si inserisce fra gli obiettivi del documento del governo “La Buona Scuola” che punta a fare della scuola una leva di innovazione e sviluppo e a fornire ai ragazzi gli strumenti che faranno di loro i veri protagonisti dell’era digitale.

“Se il Novecento è stato il secolo dell’alfabetizzazione di massa, quello attuale è il secolo dell’alfabetizzazione digitale: è necessario che i ragazzi si convertano dall’essere semplici consumatori di tecnologia a persone in grado di applicare il pensiero logico per capire, controllare, sviluppare contenuti e metodi per risolvere i problemi e cogliere le opportunità che la società è già oggi in grado di offrire”, sottolinea il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini. “I numeri della sperimentazione del coding ci dicono che c’è un interesse da parte dei nostri ragazzi e dei nostri insegnanti per questo tipo di sfide – continua il Ministro – siamo felici di offrire loro un Progetto che risponde a un’esigenza di cambiamento e innovazione che nasce in primo luogo proprio fra i banchi”.

In un prossimo futuro nessun lavoro potrà più prescindere dalla cultura digitale – afferma Elio Catania presidente di Confindustria Digitale, la federazione delle imprese di Ict che è partner strategico del progetto – Già oggi nel nostro Paese vi sono oltre 20 mila posti di lavoro vacanti nel settore Ict per alti skills digitali e si prevede si possa arrivare a oltre 170mila nel 2020. Al contempo è in crescita anche la richiesta di figure con competenze informatiche in tutti gli altri settori economici, con circa 800mila nuovi posti di lavoro previsti per il 2020. Programmailfuturo rappresenta dunque un primo passo fondamentale per trasformare la scuola italiana in una fucina di competenze in grado di accompagnare l’innovazione digitale e rispondere in modo efficace alle nuove esigenze del mercato del lavoro”.

Enrico Nardelli e Giorgio Ventre, coordinatori del progetto per conto del CINI, aggiungono “Per essere adeguatamente preparato a qualunque lavoro vorrà fare da grande, a uno studente è ormai indispensabile una comprensione dei concetti di base dell’informatica. Esattamente com’è accaduto nel secolo passato per la matematica, la fisica, la biologia e la chimica.”

Ma come funziona Programma il Futuro? MIUR e CINI hanno reso disponibili alle scuole una serie di lezioni, interattive e non, che ogni istituzione scolastica può utilizzare, senza particolari requisiti o abilità tecniche, compatibilmente con le proprie esigenze e la propria organizzazione didattica. Informazioni e lezioni sono accessibili sul sito http://programmailfuturo.it, appositamente realizzato per accompagnare e supportare i docenti in questa iniziativa. Il progetto è partito ufficialmente lo scorso 23 settembre con una circolare inviata a tutte le scuole di ogni ordine e grado. In concomitanza con la settimana europea del codice dall’11 al 17 ottobre 2014 è stata realizzata una prima sperimentazione che ha prodotto i seguenti risultati:

1.176 classi sono state coinvolte
22.464 studenti hanno partecipato
16.166 studenti hanno completato almeno un’ora di programmazione
Eccellente è stata la valutazione da parte di insegnanti e studenti

Il 98% degli insegnanti ha valutato il progetto utile o molto utile
L’87% degli studenti sono stati interessati o molto interessati
Il 79% degli insegnanti ha dichiarato che le aspettative sono state soddisfatte
Insegnanti e studenti raccontano attraverso i social la loro esperienza di coding twittando con l’hashtag #programmailfuturo e inviando sulla pagina Facebook dedicata le loro foto e i loro video.

Il prossimo appuntamento in calendario è per la settimana 8-14 dicembre 2014, in cui è prevista una partecipazione di oltre 8.000 classi e 155.000 studenti. Le attività dell’anno scolastico 2014-15 proseguiranno successivamente, con una premiazione finale nel mese di Maggio 2015.

Un’appropriata educazione al “pensiero computazionale”, che vada al di là dell’iniziale alfabetizzazione digitale, è essenziale affinché le nuove generazioni siano in grado di affrontare la società del futuro non da consumatori passivi ed ignari di tecnologie e servizi, ma da soggetti consapevoli di tutti gli aspetti in gioco e come attori attivamente partecipi del loro sviluppo. In ogni scuola sono i docenti a guidare le classi nell’iniziativa.

Questo progetto triennale, basato su Code.org, si avvale della collaborazione strategica, attraverso accordi quadro, di associazioni nazionali di categoria, quali Confindustria Digitale e IAB Italia (Internet Advertising Bureau Italia). Prende parte al progetto un gruppo di Aziende ed Enti particolarmente sensibili alla crescita culturale e allo sviluppo della Società Italiana.
Il progetto è supportato da un innovativo partenariato pubblico-privato che permette ai partner la partecipazione con contribuzioni di differente natura e con un diverso livello di sostegno. Le Aziende ed Enti che hanno sinora aderito, tutti sensibili alla crescita culturale e allo sviluppo della Società Italiana, sono: Telecom Italia; Engineering, Microsoft Italia; De Agostini Scuola, Intel; Andinf, Cisco, Facebook, Fondazione IBM Italia, SeeWeb. Ulteriori aziende italiane e internazionali stanno definendo il livello del loro intervento.
Contatti

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Alessandra Migliozzi
Capo Ufficio Stampa
uffstampa@istruzione.it
Tel. 06.58492454

Programma il Futuro
Barbara Ferraris di Celle
Responsabile Ufficio Stampa e Comunicazione
barbara.ferraris@reputationagency.eu
Cell. +39 328 2488.170