A proposito di assenze del personale del pubblico impiego

A proposito di assenze del personale del pubblico impiego

Smettiamola con la campagna di denigrazione che si basa su luoghi comuni col solo scopo di giustificare tagli e politiche sbagliate. Ma vediamo più nel dettaglio, e dati alla mano, se questa campagna ha fondamento.

I lavoratori italiani (tutti) sono agli ultimi posti, nelle rilevazioni internazionali, come assenze sia per malattia che in generale. Poi ci sono certamente delle differenze tra lavoratori pubblici e privati, con i dipendenti pubblici che si assentano in media per un numero maggiore di volte durante l’anno, ma per un numero medio complessivo di giorni inferiori (18 giorni di assenza complessivi l’anno per dipendente nel privato e 16.5 giorni l’anno per dipendente nel pubblico, secondo uno studio fatto dalla CGA di Mestre).

Dalle rilevazioni dell’INPS fatte nel 2013 (le ultime disponibili) si evince che i lavoratori pubblici si assentano “per malattia” in media per 10 giorni l’anno. Dunque le altre fattispecie di assenze possibili, e tra questa certamente anche quelle per fruire dei permessi per l’assistenza di cui alla Legge 104/92, risultano pari ad una media complessiva di poco superiore ai 6 giorni l’anno.

Se poi ci sono situazioni di abuso nell’utilizzo dei permessi della Legge 104/92, una legge che come sindacato vogliamo difendere come indicatore del livello di civiltà del nostro paese e come diritto indisponibile, questo non sta certo nelle modalità e quantità di utilizzo da parte dell’insieme dei lavoratori.

Qualora ci fossero delle truffe o dei falsi nelle certificazioni di tale diritto, o in qualche modalità di utilizzo, questo non è certamente imputabile a tutti i lavoratori.

Si facciano tutti gli accertamenti dovuti e non sarà certo il sindacato a difendere situazioni di illegittimità.
Ma su un punto non si può più transigere.
È ora di finirla questa campagna contro il lavoro pubblico!

Riflessioni concernenti l’indennità di direzione spettante ai DSGA “utilizzati”

Riflessioni concernenti l’indennità di direzione spettante ai dsga “utilizzati”
(in particolari posizioni di stato ai sensi dell’art. 145 del CCNL 29 novembre 2007)

di Vincenzo Diceglie

 

Circa la natura giuridica dell’indennità di direzione

L’indennità di direzione dei dsga costituisce un trattamento accessorio previsto e disciplinato dagli artt. 56 (indennità di direzione e sostituzione del dsga), 77 (struttura della retribuzione), 82 (compenso individuale accessorio per il personale ata) ed 88 (indennità e compensi a carico del fondo d’istituto) del vigente CCNL 29 novembre 2007.

In virtù del richiamo operato dal predetto art. 88, le modalità di corresponsione sono disciplinate dal CCNI del 31.8.1999, in particolare dall’art.34 (Indennità di amministrazione) che rimanda all’art. 33 (Indennità di direzione); le misure sono definite dalla tabella 9 allegata al vigente CCNL, come modificata dall’art.3 della sequenza contrattuale per il personale ATA del 25 luglio 2008.

L’art. 145 (personale in particolari posizioni di stato), infine, prevede l’erogazione del compenso in favore di personale collocato in particolari posizioni (comando, distacco, esonero, aspettativa sindacale, utilizzazione e collocamento fuori ruolo).

 

Circa la struttura unitaria del compenso

La vigente normativa conferisce all’indennità di direzione il carattere di elemento retributivo unitariamente ed organicamente strutturato, sia pure suddividendolo nelle seguenti due sottocategorie:

  • importo/parametro base – corrisposto dalla Direzione provinciale del Tesoro (ora Ragioneria territoriale dello Stato) – determinato in misura fissa;
  • quota variabile – posta a carico del fondo d’istituto – determinata sulla base di parametri connessi a particolari tipologie ed alla complessità organizzativa esistenti nella scuola di titolarità.

La suddivisione predetta non interessa in alcun modo né la periodicità della corresponsione (che in entrambi i casi, come in seguito argomentato, è mensile), né la riduzione per particolari posizioni di stato (l’una viene ridotta nella medesima misura e nelle medesime circostanze dell’altra), né, tantomeno, il diritto alla percezione (qualora spetti l’importo base, spetta anche quello variabile).

La differenza tra le due sottocategorie attiene a mere esigenze organizzativo-funzionali, considerato che essa riguarda, come detto, esclusivamente le modalità di determinazione (l’una in misura fissa, l’altra in rapporto all’esistenza di “complessità”) e il soggetto erogante (per l’una la DPT, per l’altra la scuola di titolarità).

 

Circa la periodicità della corresponsione

Dal combinato disposto dell’art. 77, comma 3, del vigente CCNL (“Le competenze di cui ai commi precedenti aventi carattere fisso e continuativo sono corrisposte congiuntamente in unica soluzione mensile”) e dell’art.82, commi 6 (“Nei confronti del direttore dei servizi generali ed amministrativi detto compenso viene corrisposto nell’ambito delle indennità di direzione di cui all’art.56”) e 12 del medesimo CCNL (“…Alla sua liquidazione mensile provvedono le direzioni provinciali del tesoro”), emerge la prescrittività della corresponsione mensile di tale indennità, sia della quota fissa che di quella variabile.

 

Circa la legittimità del diritto alla percezione nell’ipotesi di “particolari posizioni di stato”

L’esemplare stesura sintattico/lessicale dell’art. 145 del vigente CCNL non pone particolari problemi interpretativi nel determinare il diritto alla percezione dell’indennità in questione da parte del personale contemplato nel predetto art. 145.

Del resto la circolare ministeriale n. 118 del 14/4/2000, avente per oggetto: CCNI del 31 agosto 1999 – Competenze accessorie – Modalità operative, tutt’ora in vigore, conferma espressamente la vigenza dell’art 50 del CCNL, richiamandolo pedissequamente senza necessità di ulteriori apporti esplicativi.

Essa, sia pure in maniera ridondante ma a beneficio dell’estrema chiarezza e con l’evidente intento di tacitare eventuali perplessità interpretative, anche in considerazione della delicatezza e della “atipicità” che connotano l’assetto normativo in esame, così prevede: “Le particolari posizioni di stato, per le quali sussiste il diritto alla percezione dei compensi, sono indicate nell’art.50 del CCNL del 26 maggio 1999 (comando, distacco, esonero, aspettativa sindacale, utilizzazione e collocamento fuori ruolo, con trattamento a carico del Ministero della Pubblica Istruzione)”.

Detta circolare costituisce a tutt’oggi l’unico intervento del MIUR sulla questione trattata, né l’Aran ha mai pubblicato sul proprio sito specifici orientamenti applicativi (limitandosi, nelle sporadiche risposte a quesiti, alla riproposizione letterale del contenuto del precitato art.145), a dimostrazione dell’esemplare chiarezza dell’impianto contrattuale esistente.

In proposito è da evidenziare, peraltro, il costante, univoco comportamento delle Direzioni provinciali del Tesoro, che provvedono, senza operare alcuna decurtazione o sospensione, alla regolare mensile corresponsione dell’indennità di direzione in favore del personale appartenente al profilo dei dsga, posto nelle predette situazioni di stato.

 

Circa l’evoluzione, nel tempo, dell’assetto normativo

Il seguente breve excursus analizza l’evoluzione normativa avvenuta nell’arco di tutto il periodo di vigenza delle modalità pattizie di determinazione dell’indennità (a partire dal CCNL sottoscritto il 4/8/95).

L’indennità di amministrazione (poi denominata di “direzione” dal CCNL 2006-2009 del 29 novembre 2007, a seguito dell’istituzione del profilo professionale di direttore dei servizi generali ed amministrativi) fu introdotta dall’art. 76 del CCNL 4/8/95 (previa disapplicazione dell’art. 10, comma 2 del D.P.R. 399 del 1988) che, al comma 2, così disponeva quale ipotesi di mancata corresponsione: “…Nel caso in cui il personale (dsga) si trovi in posizione di stato implicante il mancato esercizio della funzione amministrativa per un periodo superiore a quindici giorni, l’indennità di amministrazione non è corrisposta per tutto il periodo di mancato esercizio della funzione”.

Tale previsione normativa comportava espressamente, con una espressione lessicale perentoria ed inequivocabile, la mancata corresponsione dell’indennità nel caso in cui, per un periodo superiore a 15 giorni, all’interessato fosse concesso un esonero, un distacco ovvero una utilizzazione in altro Ufficio, evento che determina il mancato esercizio della funzione. In sua vece l’indennità veniva corrisposta al dipendente che lo aveva sostituito.

Successivamente, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto dell’art.50 (personale in particolari posizioni di stato) del CCNL 26/5/1999 (“Il periodo trascorso dal personale della scuola in posizione di comando, distacco, esonero, aspettativa sindacale, utilizzazione e collocamento fuori ruolo, con retribuzione a carico dell’Amministrazione della Pubblica Istruzione, è valido a tutti gli effetti come servizio di istituto nella scuola, anche ai fini dell’accesso al trattamento economico previsto dagli articoli …35 (indennità di amministrazione, nda) …”) e dell’art. 34 (Indennità di amministrazione) del CCNI 31/8/1999 (“Nel caso in cui il personale di cui sopra si trovi in posizione di stato implicante il mancato esercizio della funzione, l’indennità di amministrazione viene corrisposta, per lo stesso periodo, anche al personale A.T.A. che lo sostituisca…”), le posizioni di stato che avessero comportato assenze dal servizio, come individuate dall’art. 50 del contratto, furono equiparate a tutti gli effetti al servizio effettivamente prestato, e, contrariamente a quanto previsto dal precedente CCNL del 4/8/95, esse non determinarono più la perdita del diritto ai compensi accessori (ivi compresa l’indennità in parola).

Dall’analisi della normativa appena esposta emerge infatti che le parti contraenti, con una scelta inequivocabile, coerente e consapevole, trascurando ogni riferimento al mancato esercizio della funzione (peculiarità che caratterizza – in negativo- la prestazione del servizio reso dal personale “utilizzato” in uffici esterni/estranei alla scuola) assunsero a discriminante, quale criterio di spettanza, l’equiparazione delle posizioni di stato al mero servizio effettivamente prestato.

Una volta stabilito di prescindere dal concreto ed effettivo svolgimento dei compiti e delle mansioni proprie del profilo di dsga, fu necessario prendere atto e prefigurare l’ipotesi dell’erogazione di una doppia indennità, al fine di compensare l’attività del sostituto (… l’indennità .. viene corrisposta, per lo stesso periodo, anche al personale A.T.A. che lo sostituisca…).

L’equiparazione delle posizioni di stato di cui all’art.50 al servizio effettivamente prestato ebbe la finalità di perequare la condizione retributiva dei dsga nei confronti del restante personale scolastico: infatti, allorché fu previsto (art. 25, commi 3 e 4, del CCNI 31/8/1999) che:

  • il compenso individuale accessorio istituito dal medesimo articolo fosse corrisposto a tutto il personale che si fosse trovato “in situazioni di stato assimilate al servizio”;
  • nei confronti dei direttori amministrativi detto compenso venisse “corrisposto nell’ambito delle indennità di direzione e di amministrazione” e, pertanto, “disciplinato all’interno di detti istituti retributivi”,

la necessità di assicurare pari opportunità retributiva circa un emolumento la cui spettanza – per tutto il personale scolastico – si configurava sganciata dalla effettiva e concreta prestazione lavorativa nella scuola di titolarità (dal c.d. “esercizio della funzione”), impose la revisione e l’adeguamento – nei termini descritti – dell’ormai obsoleto art. 76 del CCNL 4/8/95.

Le successive sessioni contrattuali, coerentemente (cfr l’art. 141 del CCNL del 24/7/2003 e l’art. 145 del CCNL del 29/11/2007), hanno confermato il diritto alla percezione dell’indennità da parte del dsga utilizzato in altre sedi/uffici (in quanto posto in particolari posizioni di stato), senza apportare modifiche suscettibili di assumere una qualche valenza a sostegno di eventuali tesi difformi.

Che tale fosse indubitabilmente la volontà delle parti, infine, è testimoniato dal dettagliato approfondimento delle varie casistiche prefigurabili, allorché si è proceduto alla puntuale individuazione sia dei criteri di quantificazione, che del soggetto erogatore, persino nell’ipotesi di personale privo di sede di titolarità (cfr. comma 8, art.33, del CCNL Integrativo 31 agosto 1999, attualmente vigente in virtù del richiamo operato, come già sottolineato, dall’art. 88 del CCNL 29 novembre 2007).

 

Circa l’eventuale ricorso all’Aran

L’ARAN ha più volte fatto notare che le risposte che essa fornisce in relazione ai quesiti formulati dalle Amministrazioni devono essere ricondotte nell’ambito della “attività di assistenza delle pubbliche amministrazioni per la uniforme applicazione dei contratti collettivi”, espressamente prevista dall’art. 46, comma 1, del D. Lgs. n. 165/2001.

Le stesse risposte, pertanto, assumono il contenuto di un orientamento di parte datoriale, e quindi non vincolano né l’autonomia, né le scelte interpretative delle singole Amministrazioni; esse non rivestono neanche la caratteristica della “interpretazione autentica” per la quale, invece, è prescritto uno specifico procedimento negoziale.

Di conseguenza l’attività di gestione dei Contratti Collettivi, rimessa alla competenza e responsabilità di ciascuna Amministrazione, non può essere sospesa in attesa della risposta ad eventuali quesiti inoltrati: le singole questioni vanno risolte sulla base di soluzioni coerenti con le clausole contrattuali, nel rispetto dei principi fondamentali di correttezza e buona fede.

(cfr RAL725_Orientamenti Applicativi in data 11/10/2011:

https://www.aranagenzia.it/index.php/orientamenti-applicativi/comparti/regioni-ed-autonomie-locali/relazioni-sindacali/6850-attivita-di-assistenza-dellaran/2562-ral725orientamenti-applicativi)

 

Circa gli interessi legali e la rivalutazione monetaria del credito

Trattandosi di credito da lavoro non tempestivamente corrisposto, spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.

 

Conclusioni

L’assenza di conclamate controversie, di chiarimenti interpretativi e di orientamenti applicativi sul caso in questione da parte degli “attori” potenzialmente coinvolti (diretti interessati, Istituzioni scolastiche, Uffici scolastici territoriali, Aran, organizzazioni sindacali, giudici del lavoro) dimostra che la pur complessa architettura normativa citata si caratterizza per un significato obiettivamente univoco, e che essa non lascia alcuno spazio a possibili condizioni di incertezza suscettibili di favorire interpretazioni divergenti.

E, pertanto, la spettanza dell’indennità di direzione può essere più che ragionevolmente sancita con il puntuale ed univoco riferimento normativo così letteralmente riassunto e riorganizzato in estrema sintesi lessicale: “il periodo trascorso dal personale della scuola … in posizione di … utilizzazione … con retribuzione a carico del MPI, è valido a tutti gli effetti come servizio di istituto nella scuola, anche ai fini dell’accesso all’…indennità di direzione”.

 


 

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

 

CCNL Scuola 1994/1997 del 4 agosto 1995

art.76 – Indennità di amministrazione

  1. A decorrere dal 1° gennaio 1996, al fine di compensare le maggiori responsabilità e i maggiori carichi di lavoro connessi alle dimensioni e al grado di complessità dell’istituzione scolastica, sarà corrisposta ai direttori amministrativi ed ai responsabili amministrativi, a carico della quota del fondo di cui all’art. 71, comma 2, lett. b), un’indennità di amministrazione. Le misure dell’indennità di amministrazione sono determinate in relazione alle dimensioni ed alla complessità degli istituti, in sede di contrattazione decentrata nazionale ai sensi dell’art. 5, comma 4, lett. h) del presente CCNL.
  2. Nel caso in cui il personale di cui al primo comma si trovi in posizione di stato implicante il mancato esercizio della funzione amministrativa per un periodo superiore a quindici giorni, l’indennità di amministrazione non è corrisposta per tutto il periodo di mancato esercizio della funzione. Per lo stesso periodo l’indennità viene corrisposta al dipendente che abbia sostituito, ai sensi della normativa vigente, il direttore o il responsabile amministrativo.

 

CCNL Scuola 1998/2001 del 26 maggio 1999

 

art. 21 – l’indennità di direzione

  1. Ai capi di istituto, ivi compresi gli incaricati, spetta una indennità accessoria mensile. Il relativo importo sarà determinato in sede di contrattazione integrativa nazionale, che potrà definire maggiorazioni in relazione alla tipologia e alla dimensione degli istituti.
  2. L’indennità compete anche ai vicedirettori ed alle vicedirettrici degli istituti di educazione, nonché ai direttori dei Conservatori di musica e delle Accademie e al personale incaricato della direzione. Nel caso in cui il capo di istituto si trovi in posizione di stato implicante il mancato esercizio della funzione direttiva, l’indennità di direzione per lo stesso periodo è corrisposta anche al dipendente che lo abbia sostituito, ai sensi della normativa vigente.

Per le istituzioni scolastiche affidate in reggenza l’indennità di direzione è corrisposta nella misura del 50% sia al capo d’istituto sia al docente vicario della stessa istituzione scolastica.

  1. La contrattazione integrativa nazionale determinerà criteri, consistenza numerica del personale destinatario e decorrenza per l’attribuzione di una indennità aggiuntiva di direzione ai capi d’istituto che abbiano superato le verifiche di cui al precedente articolo 20.

 

art. 35 – indennità di amministrazione

Nel primo biennio contrattuale ai direttori amministrativi delle Accademie e dei Conservatori ed ai responsabili amministrativi delle scuole ed istituti di ogni ordine e grado è corrisposta una indennità di amministrazione, determinata in sede di contrattazione integrativa nazionale, avuto riguardo anche della tipologia e della dimensione dell’istituzione scolastica. La predetta indennità di amministrazione sarà corrisposta al direttore dei servizi generali ed amministrativi in luogo del responsabile amministrativo delle scuole di ogni ordine e grado, allorché avrà piena attuazione l’autonomia scolastica e la operatività di tale profilo professionale, nonché al personale che, in base alla normativa vigente, sostituisce le suddette figure professionali o ne svolge le funzioni.

Gli oneri derivanti dal presente articolo incidono sulle risorse di cui all’articolo 42, comma 4.

 

art.50 – personale in particolari posizioni di stato

Il periodo trascorso dal personale della scuola in posizione di comando, distacco, esonero, aspettativa sindacale, utilizzazione e collocamento fuori ruolo, con retribuzione a carico dell’Amministrazione della Pubblica Istruzione, è valido a tutti gli effetti come servizio di istituto nella scuola, anche ai fini dell’accesso al trattamento economico previsto dagli articoli 16, 21, 29, 35 e 42, comma 2.

In sede di contrattazione integrativa nazionale saranno definiti criteri, modalità e misure dei compensi accessori da destinare al personale di cui al presente articolo.

Restano ferme le disposizioni in vigore che prevedono la validità del periodo trascorso dal personale scolastico in altre situazioni di stato che comportano assenza dalla scuola.

 


 

CCNL Integrativo 1998-2001 del 31 agosto 1999

 

Art. 25 – Compenso individuale accessorio

  1. A norma dell’art. 42, comma 2 del C.C.N.L., al sottoelencato personale statale docente educativo ed A.T.A. delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, dei Conservatori, delle Accademie e degli ISIA. è corrisposto, con le decorrenze a fianco di ciascuna categoria indicate, un compenso individuale accessorio, secondo le misure lorde mensili indicate nelle tabelle A e A1 allegate al presente contratto:
  2. a) dal 1° luglio 1999, a tutto il personale docente, educativo ed A.T.A. con rapporto di impiego a tempo indeterminato e al personale insegnante di religione cattolica con progressione di carriera;
  3. b) dalla data di assunzione del servizio, per ciascun anno scolastico, al personale docente, educativo ed A.T.A. con rapporto di impiego a tempo determinato su posto vacante e disponibile per l’intera durata dell’anno scolastico;
  4. c) dalla data di assunzione del servizio, e per un massimo di dieci mesi per ciascun anno scolastico, al personale docente, educativo ed A.T.A con rapporto di impiego a tempo determinato fino al termine delle attività didattiche nonché al personale insegnante di religione cattolica con impiego di durata annuale.
  5. Limitatamente all’anno scolastico 1998-99, nei confronti del personale docente a tempo determinato con supplenza annuale e retribuzione durante i mesi estivi e per quello A.T.A. con supplenza annuale, il compenso di cui al presente articolo viene liquidato per i mesi di luglio e agosto 1999.
  6. Nei confronti dei dirigenti scolastici, dei direttori amministrativi e dei responsabili amministrativi detto compenso viene corrisposto nell’ambito delle indennità di direzione e di amministrazione e viene pertanto disciplinato all’interno di detti istituti retributivi di cui agli artt. 33 e 34.
  7. Il compenso individuale accessorio in questione spetta al personale indicato alle lettere a), b) e c) del precedente comma 1 e a quello indicato nel comma 2, in ragione di tante mensilità per quanti sono i mesi di servizio effettivamente prestato o situazioni di stato assimilate al servizio;
  8. Per i periodi di servizio o situazioni di stato assimilate al servizio inferiori al mese detto compenso è liquidato al personale in ragione di 1/30 per ciascun giorno di servizio prestato o situazioni di stato assimilate al servizio.
  9. Nei casi di assenza per malattia il compenso di cui trattasi è assoggettato alla disciplina prevista dagli artt. 23 e 25 del C.C.N.L-Scuola del 4 agosto 1995, come integrati dall’art. 49 del C.C.N.L..
  10. Per i periodi di servizio prestati in posizioni di stato che comportino la riduzione dello stipendio il compenso medesimo è ridotto nella stessa misura.
  11. Nei confronti del personale docente con contratto a tempo determinato senza trattamento di cattedra e del personale docente ed A.T.A. con contratto part-time, il compenso in questione è liquidato in rapporto all’orario risultante dal contratto.
  12. Il compenso di cui trattasi è assoggettato alle ritenute previste per i compensi accessori. Alla sua liquidazione mensile provvedono le direzioni provinciali del tesoro (DPT).
  13. Le risorse non utilizzate per il compenso individuale accessorio nell’anno 1999 integrano la dotazione finanziaria del presente istituto retributivo per gli anni finanziari 2000 e 2001.
  14. Eventuali economie che dovessero verificarsi negli anni finanziari 2000 e 2001 costituiscono, a norma dell’art. 42, comma 5, del C.C.N.L, risorse aggiuntive del fondo dell’istituzione scolastica.

 

Art. 33 – Indennità di direzione

  1. Il C.C.N.L., all’art. 21, prevede che ai capi d’istituto, ivi compresi gli incaricati, ai vice rettori e alle vice direttrici degli istituti di educazione nonché ai direttori dei conservatori di musica e delle accademie e al personale incaricato della direzione spetta una indennità accessoria di direzione.
  2. Detta indennità di direzione spetta altresì ai coordinatori degli istituti superiori per le industrie artistiche.
  3. L’indennità compete, nella misura del 50% al personale educativo incaricato della funzione di vice rettore o di vice direttrice di convitto nazionale e di educandato femminile dello Stato.
  4. Fermo restando quanto previsto dal comma 2 dell’art. 21 del C.C.N.L., nel caso di assenza o impedimento del capo d’istituto titolare o reggente l’indennità in parola viene corrisposta dall’istituzione scolastica interessata al sostituto, nella misura, rispettivamente di quella spettante al capo d’istituto ovvero nella misura intera per il docente vicario della istituzione scolastica affidata in reggenza, detratta la quota del compenso individuale accessorio spettante al sostituto in relazione al proprio status di docente.
  5. L’indennità di cui al presente articolo è assoggettata alle ritenute previste per i compensi accessori ed è costituita, secondo i sottoelencati parametri, il cui valore economico è individuato nella tabella B, allegata al presente contratto:
  6. a) da un importo base determinato in misura fissa, che comprende il compenso individuale accessorio;
  7. b) dai parametri relativi a particolari tipologie di istituzioni scolastiche;
  8. c) limitatamente alle istituzioni scolastiche con organico di diritto di personale docente superiore a 35 posti, dal parametro connesso con la complessità organizzativa, da moltiplicare per il predetto numero di posti.
  9. L’indennità viene erogata in ragione di tanti dodicesimi per quanti sono i mesi di servizio effettivamente prestati nell’anno o situazioni di stato assimilate al servizio. Per periodi inferiori al mese detta indennità è liquidata in ragione di 1/30 della misura mensile per ciascun giorno compreso nel periodo di servizio. Per i periodi di servizio prestati in posizioni di stato che comportino la riduzione dello stipendio l’indennità stessa è ridotta nella medesima misura.
  10. Alla liquidazione dell’indennità in parola provvedono le direzioni provinciali del Tesoro competenti al pagamento dello stipendio agli interessati per l’importo di cui alla lettera a) del precedente comma 5 e, ove spettanti, le istituzioni scolastiche, per i parametri di cui alle precedenti lettere b) e c) del medesimo comma 5.
  11. Al personale che si trovi nelle posizioni di stato previste dall’art. 50 del C.C.N.L. l’indennità di direzione viene liquidata, determinando i relativi parametri economici, in relazione alla situazione esistente presso la scuola di titolarità ovvero, per il personale senza sede di titolarità, in relazione alla situazione esistente presso la scuola di ultima titolarità:

I – relativamente all’importo base determinato in misura fissa (lettera a) del precedente comma 5) dalla direzione provinciale del Tesoro competente alla liquidazione degli emolumenti fissi e continuativi;

II – relativamente ai parametri connessi alle particolari tipologie e alla complessità organizzativa e di cui alle lettere b) e c) del precedente comma 5, ove spettanti, dall’istituzione scolastica della sede di titolarità ovvero dall’ultima scuola di titolarità.

  1. L’indennità in questione compete, relativamente all’importo in misura fissa di cui alla lettera a) del precedente comma 5, anche ai capi d’istituto in servizio nelle scuole italiane all’estero.
  2. Per il finanziamento degli oneri derivanti dall’erogazione dell’indennità in questione al personale che sostituisce il capo d’istituto nei casi di sua assenza o impedimento viene mantenuta, a livello di Amministrazione centrale, una quota dello stanziamento destinato all’indennità di direzione pari al 6,5%, da distribuire alle scuole da parte dei provveditorati agli studi su richiesta delle scuole stesse.
  3. Per il periodo dal 1° gennaio al 31 agosto 1999 continuano ad applicarsi i criteri di determinazione dell’indennità di direzione stabiliti dal contratto decentrato nazionale sottoscritto il 19 ottobre 1998.
  4. Le risorse finanziarie destinate in ragione d’anno al presente istituto contrattuale e a quello relativo all’indennità di amministrazione, ammontanti a lire 80 miliardi, al lordo degli oneri riflessi, sono previste dal 3° alinea del comma 4 dell’art. 42 del C.C.N.L., a decorrere dal 1° settembre 1999.

A tale finanziamento va aggiunta la quota utilizzata nel decorso esercizio finanziario 1998 per il pagamento dell’indennità di direzione e di amministrazione, gravante sui capitoli di spesa attribuiti ai diversi centri di responsabilità del Ministero della Pubblica Istruzione e una ulteriore quota da trarre a carico dei capitoli di spesa attribuiti ai centri di responsabilità del Ministero della pubblica istruzione che amministrano gli ordini scolastici di istruzione classica, scientifica e magistrale, tecnica, professionale e artistica, relativi al finanziamento degli interventi didattici ed educativi integrativi.

  1. Gli oneri relativi all’indennità aggiuntiva di direzione di cui all’art. 21 – comma 3 – del C.C.N.L., pari a lire 15 miliardi per l’anno scolastico 2000-2001, vengono tratti dallo stanziamento previsto dall’art. 42 – comma 4 – secondo alinea – del C.C.N.L. destinato alla copertura degli oneri derivanti dalla modifica degli istituti contrattuali preesistenti al C.C.N.L.. L’importo lordo tabellare dell’indennità aggiuntiva di direzione è di £. 6.000.000 annui. I criteri per l’erogazione di detto emolumento verranno stabiliti successivamente, in sede di contrattazione integrativa.
  2. Le eventuali economie derivanti dall’applicazione del presente istituto contrattuale confluiscono nel fondo dell’istituzione scolastica.

 

art. 34 – Indennità di amministrazione

  1. Il C.C.N.L., all’art. 35, prevede che ai direttori amministrativi dei conservatori di musica e delle accademie e ai responsabili amministrativi delle scuole ed istituti di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative spetta, una indennità accessoria di amministrazione.
  2. Nei Conservatori e nelle Accademie, in cui siano presenti due direttori amministrativi, a quello senza responsabilità di firma l’indennità di amministrazione è corrisposta nella misura del 50% di quella spettante al direttore amministrativo con responsabilità di firma. Al responsabile amministrativo dei Conservatori e delle Accademie l’indennità in questione è corrisposta nella misura del 50% di quella spettante al direttore amministrativo senza responsabilità di firma.
  3. Nel caso in cui il personale di cui sopra si trovi in posizione di stato implicante il mancato esercizio della funzione, l’indennità di amministrazione viene corrisposta, per lo stesso periodo, anche al personale A.T.A. che lo sostituisca ai sensi della normativa vigente, detratto l’importo del compenso individuale accessorio spettante al sostituto nella sua qualità di personale non docente.
  4. L’indennità di cui al presente articolo viene erogata, con i medesimi criteri e modalità già previste per l’indennità di direzione a favore dei capi d’istituto dal precedente art. 33, nelle misure individuate nella tabella C allegata al presente contratto.
  5. Le risorse finanziarie destinate in ragione d’anno, a decorrere dal 1° settembre 1999, al presente istituto contrattuale sono quota parte di quelle individuate nel comma 12 del precedente art. 33.
  6. Le eventuali economie derivanti dall’applicazione del presente istituto contrattuale confluiscono nel fondo dell’istituzione scolastica.

 


 

CCNL 2002/2005 del 24 luglio 2003

 

art. 55 – indennità di amministrazione e sostituzione del dsga

  1. Ai DSGA delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative è corrisposta un’indennità di amministrazione come nella misura prevista dalla Tabella 9. La stessa indennità è corrisposta, a carico del fondo di cui all’art. 86, comma 2, lettera h), al personale che, in base alla normativa vigente, sostituisce la predetta figura professionale o ne svolge le funzioni.
  2. Il direttore dei servizi generali ed amministrativi è sostituito, nei casi di assenza, dal coordinatore amministrativo che, a sua volta, è sostituito secondo le vigenti disposizioni in materia di supplenze. Fino alla concreta e completa attivazione del profilo del coordinatore amministrativo, il DSGA viene sostituito dall’assistente amministrativo con incarico conferito ai sensi dell’art. 47.
  3. In caso di assenza del DGSA dall’inizio dell’anno scolastico, su posto vacante e disponibile, il relativo incarico a tempo determinato verrà conferito sulla base delle graduatorie permanenti.

 

art.141 – personale in particolari posizioni di stato

  1. Il periodo trascorso dal personale della scuola e delle istituzioni educative in posizione di comando, distacco, esonero, aspettativa sindacale, utilizzazione e collocamento fuori ruolo, con retribuzione a carico del MIUR, è valido a tutti gli effetti come servizio di istituto nella scuola, anche ai fini dell’accesso al trattamento economico previsto dal capo VIII.
  2. Restano ferme le disposizioni in vigore che prevedono la validità del periodo trascorso dal personale scolastico in altre situazioni di stato che comportano assenza dalla scuola.

 

CCNL 2006-2009 del 29 novembre 2007

art. 56 – indennità di direzione e sostituzione del dsga

  1. Ai DSGA delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative è corrisposta un’indennità di direzione come nella misura prevista dalla tabella 9.

La stessa indennità è corrisposta, a carico del fondo di cui all’art. 88, comma 2, lettera i), al personale che, in base alla normativa vigente, sostituisce la predetta figura professionale o ne svolge le funzioni.

  1. Ai sensi dell’art. 4, comma 2 del CCNQ del 29 luglio 1999, a decorrere dal 1/1/2006 l’indennità di direzione, di cui al comma 1, nella misura base indicata alla tabella 9, è inclusa nel calcolo della quota utile ai fini del trattamento di fine rapporto (TFR), in aggiunta alle voci retributive già previste dal comma 1 dell’art. 4 del CCNQ del 29 luglio 1999.
  2. A decorrere dal 31/12/2007, al fine di garantire la copertura dei futuri oneri derivanti dall’incremento dei destinatari della disciplina del trattamento di fine rapporto, è posto annualmente a carico delle disponibilità complessive del fondo dell’istituzione scolastica di cui all’art. 84, comma 1(PAG. 76), un importo pari al 6,91%

del valore dell’indennità di direzione nella misura base effettivamente corrisposta in ciascun anno. Conseguentemente, il fondo è annualmente decurtato dell’ammontare occorrente per la copertura dei maggiori oneri per il personale che progressivamente sarà soggetto alla predetta disciplina.

  1. Il direttore dei servizi generali ed amministrativi è sostituito, nei casi di assenza, dal coordinatore amministrativo che, a sua volta, è sostituito secondo le vigenti disposizioni in materia di supplenze. Fino alla concreta e completa attivazione del profilo del coordinatore amministrativo, il DSGA è sostituito dall’assistente

amministrativo con incarico conferito ai sensi dell’art. 47.

  1. In caso di assenza del DGSA dall’inizio dell’anno scolastico, su posto vacante e disponibile, il relativo incarico a tempo determinato verrà conferito sulla base delle graduatorie permanenti.

 

art. 77 – struttura della retribuzione

  1. La struttura della retribuzione del personale docente, educativo ed A.T.A. appartenente al comparto della Scuola si compone delle seguenti voci:
  • trattamento fondamentale:
  1. a) stipendio tabellare per posizioni stipendiali;
  2. b) posizioni economiche orizzontali;
  3. c) eventuali assegni “ad personam”.
  • trattamento accessorio:
  1. a) retribuzione professionale docenti;
  2. b) compenso per le funzioni strumentali del personale docente;

c)

  1. d) compenso per le ore eccedenti e le attività aggiuntive;
  2. e) indennità di direzione dei DSGA;
  3. f) compenso individuale accessorio per il personale ATA;
  4. g) compenso per incarichi ed attività al personale ATA;
  5. h) indennità e compensi retribuiti con il fondo d’istituto;
  6. i) altre indennità previste dal presente contratto e/o da specifiche disposizioni di legge.
  7. Al personale, ove spettante, è corrisposto l’assegno per il nucleo familiare ai sensi della legge 13 maggio 1988, n. 153 e successive modificazioni.
  8. Le competenze di cui ai commi precedenti aventi carattere fisso e continuativo sono corrisposte congiuntamente in unica soluzione mensile.

 

art.82 – compenso individuale accessorio per il personale ata

  1. Al personale ATA delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, è corrisposto, con le decorrenze a fianco indicate, un compenso individuale accessorio, nelle misure e con le modalità di seguito indicate, salvo restando l’eventuale residua sussistenza di compensi corrisposti ad personam.
  2. Il compenso di cui al comma 1 è incrementato nelle misure ed alle scadenze indicate nell’allegata Tabella 3.
  3. Ai sensi dell’art. 4, comma 2 del CCNQ del 29 luglio 1999, a decorrere dal 1/1/2006 il Compenso Incentivante Accessorio, di cui al comma 1, è incluso nella base di calcolo utile ai fini del trattamento di fine rapporto (TFR), in aggiunta alle voci retributive già previste dal comma 1 dell’art. 4 del CCNQ del 29 luglio 1999.
  4. A decorrere dal 31/12/2007, al fine di garantire la copertura dei futuri oneri derivanti dall’incremento dei destinatari della disciplina del trattamento di fine rapporto, è posto annualmente a carico delle disponibilità complessive del fondo dell’istituzione scolastica di cui all’art. 84, comma 1, un importo pari al 6,91% del valore del Compenso Incentivante Accessorio effettivamente corrisposto in ciascun anno. Conseguentemente, il fondo è annualmente decurtato dell’ammontare occorrente per la copertura dei maggiori oneri per il personale che progressivamente sarà soggetto alla predetta disciplina.
  5. Il compenso di cui al comma 1, per il personale a tempo determinato, è corrisposto secondo le seguenti specificazioni:
  6. dalla data di assunzione del servizio, per ciascun anno scolastico, al personale ATA con rapporto di impiego a tempo determinato su posto vacante e disponibile per l’intera durata dell’anno scolastico;
  7. dalla data di assunzione del servizio, e per un massimo di dieci mesi per ciascun anno scolastico, al personale ATA con rapporto di impiego a tempo determinato fino al termine delle attività didattiche.
  8. Nei confronti del direttore dei servizi generali ed amministrativi detto compenso viene corrisposto nell’ambito delle indennità di direzione di cui all’art.56.

7.Il compenso individuale accessorio in questione spetta in ragione di tante mensilità per quanti sono i mesi di servizio effettivamente prestato o situazioni di stato assimilate al servizio;

  1. Per i periodi di servizio o situazioni di stato assimilate al servizio inferiori al mese detto compenso è liquidato al personale in ragione di 1/30 per ciascun giorno di servizio prestato o situazioni di stato assimilate al servizio.
  2. Nei casi di assenza per malattia si applica l’art. 17, comma 8, lettera a).
  3. Per i periodi di servizio prestati in posizioni di stato che comportino la riduzione dello stipendio il compenso medesimo è ridotto nella stessa misura.
  4. Nei confronti del personale ata con contratto part-time, il compenso in questione è liquidato in rapporto all’orario risultante dal contratto.
  5. Il compenso di cui trattasi è assoggettato alle ritenute previste per i compensi accessori. Alla sua liquidazione mensile provvedono le direzioni provinciali del tesoro (DPT).
  6. A tutto il personale ATA a tempo determinato e indeterminato, a valere sulle risorse derivanti dalle economie realizzate nell’applicazione progressioni economiche di cui all’art. 7 del CCNL 7.12.2005 (22 milioni di euro al lordo degli oneri riflessi per l’anno 2006) e dal contenimento della spesa del personale ATA (96,3 milioni di euro al lordo degli oneri riflessi per l’anno 2007), è corrisposta un compenso una-tantum pari a € 344,65 in ragione del servizio prestato nel biennio contrattuale 2006/07.

 

art. 88 – indennità e compensi a carico del fondo d’istituto

(omissis) 2.Con il fondo sono, altresì, retribuite: ….(omissis)

  1. la quota variabile dell’indennità di direzione di cui all’art.56 del presente CCNL spettante al DSGA con le modalità stabilite nel CCNI del 31.8.1999 e nelle misure definite con la tabella 9;

….(omissis)

art. 145 – personale in particolari posizioni di stato

  1. Il periodo trascorso dal personale della scuola e delle istituzioni educative in posizione di comando, distacco, esonero, aspettativa sindacale, utilizzazione e collocamento fuori ruolo, con retribuzione a carico del MPI, è valido a tutti gli effetti come servizio di istituto nella scuola, anche ai fini dell’accesso al trattamento economico previsto dal capo VIII.
  2. Il periodo di distacco o di aspettativa sindacale è considerato servizio effettivo ed è utile anche ai fini delle progressioni di cui agli articoli 77, 80 e 81 del CCNL 24.07.2003.
  3. Restano ferme le disposizioni in vigore che prevedono la validità del periodo trascorso dal personale scolastico in altre situazioni di stato che comportano assenza dalla scuola.

 

 

 

art.3 della sequenza contrattuale per il personale ATA del 25 luglio 2008

tabella9

Nella scuola a ciascuno il suo ruolo

Nella scuola a ciascuno il suo ruolo

di Maurizio Tiriticco

Ma perché l’On. Faraone insiste a occuparsi di scuola? Non è stata sufficiente l’infelice uscita sulla pretesa opportunità, oggi, delle occupazioni studentesche? Com’è noto, negli anni Sessanta e Settanta queste costituirono una salutare rottura rispetto a un’organizzazione scolastica in cui gli studenti delle superiori avevano il solo diritto ad eleggere i loro rappresentanti negli organi collegiali. Ma nel ’98, con il varo dello Statuto delle studentesse e degli studenti, il diritto alle riunioni e alle assemblee è stato riconosciuto e ratificato: il che ha reso inutili, se non dannose e controproducenti, le occupazioni. Non si occupa un luogo che di fatto e di diritto è già “occupato”. Non può l’On. Faraone, parlamentare della Repubblica e sottosegretario di Stato, parlare come uno sprovveduto studentello e, come tale, sollecitare a inutili, se non pericolose, avventure!.
E’ di oggi la nuova trovata! Alla fine dell’anno gli studenti delle istituzioni scolastiche di secondo grado “daranno i voti” ai professori. Ma si rende conto l’On. Faraone della portata della cosa? Sa quanto sia estremamente delicato il rapporto docente/discente, caratterizzato in primo luogo dal fatto che il primo è un professionista a tutto tondo, ha una particolare responsabilità, attribuitagli dalle norme vigenti e dal contratto di lavoro, e che il secondo, invece, è in fase di sviluppo/crescita e apprendimento ed è per di più minorenne? Il rapporto docente/discente non è e non può essere un rapporto paritario. Il primo giudica il secondo e il secondo è giudicato; né potrebbe essere altrimenti. Il problema, semmai, è un altro: il fatto che l’alunno ha il diritto di conoscere come e perché è valutato in ordine agli obiettivi che gli sono stati assegnati. E in questo senso si esprime chiaramente, già dal 1995, la Carta dei servizi scolastici.
Le norme offrono ormai da anni ai nostri alunni tutte le garanzie perché il servizio loro offerto dagli insegnanti sia eseguito a regola d’arte, come si suol dire. Se poi un alunno e i suoi genitori considerano i comportamenti e le valutazioni dell’insegnante non conformi, hanno tutti gli spazi che le norme prevedono per avanzare puntuale ricorso. Democrazia d’abord, ovviamente, ma non confondiamo i ruoli! Il che non significa affatto che il docente “comanda” e il discente “obbedisce”. Il “comportamento insegnante” – si chiama così – è già definito nel ruolo e nella funzione svolti: l’insegnante “non comanda” e l’alunno “non obbedisce”. La relazione che si stabilisce tra i due è particolare e ne è garante l’adulto, anche e soprattutto per la responsabilità professionale di cui è investito e per cui è stato formato! Non giochiamo con la scuola! Non illudiamo i nostri alunni a compiti che non sono loro! Piuttosto – ma questo gli insegnanti migliori già lo fanno – insegniamo ai nostri alunni come valutare le loro performances, come migliorarle costantemente! La scuola non è un gioco di ruolo. E’ una palestra in cui si cresce e si apprende, e dirigenti e insegnanti ne hanno la responsabilità.

Il progetto “La Buona Scuola ” indica come valutare il merito: ma c’è chi resiste all’innovazione

Il progetto “La Buona Scuola ” indica  come valutare il merito: ma  c’è chi resiste all’innovazione

 

Il ministro Giannini ha da poco dato notizia che oltre l’80% di coloro che hanno partecipato alla grande consultazione su “La Buona Scuola” (BS) si è espresso per il riconoscimento del merito; ma al contempo costoro hanno chiesto che in ogni scuola  si crei un’ offerta di formazione permanente per migliorare la professionalità di tutti gli insegnanti.

Tuttavia per  Treellle (e per l’OCSE) è necessario  realizzare un terzo punto che è previsto ma non enfatizzato dal documento governativo. Infatti, se le scuole non sono aziende, sono  comunque “imprese sociali” di elevata complessità che richiedono una  “leadership distribuita”, comprendente il preside e un limitato numero di docenti di sua fiducia (“quadri intermedi”) impegnati nell’organizzazione dei  servizi.

Su questi temi il progetto BS è innovativo: esso riconosce infatti ad ogni scuola, tenendo conto del suo contesto sociale, l’autonomia per decidere sia chi siano i docenti meritevoli sia quelli cui attribuire particolari funzioni. Tutte queste valutazioni e scelte vengono infatti affidate ad un Nucleo di valutazione  della singola scuola del quale dovrebbero far parte il preside e due docenti (per TreeLLLe , specie in prima applicazione, potrebbero essere eletti dal collegio dei docenti), più una figura esterna di garanzia. Il Nucleo (rinnovabile ogni tre anni) opererebbe su tre versanti: attribuirebbe ogni tre anni al 66% dei docenti un riconoscimento economico permanente distribuendo solo fra costoro l’importo complessivo degli attuali scatti di anzianità  che al momento sono uguali per tutti; individuerebbe, fra gli insegnanti i più apprezzati per le loro capacità didattiche e formative, i “mentori” incaricati di realizzare la formazione permanente (fino al 10% massimo); farebbe emergere i quadri intermedi (dal 5 al 15%, a seconda della complessità della scuola) che si farebbero carico di realizzare, insieme al preside, una “leadership distribuita”. Mentori e quadri intermedi avrebbero incarichi (e una significativa retribuzione aggiuntiva) temporanei e rinnovabili previa valutazione del lavoro svolto.

I vantaggi sono evidenti: se ci si accorgesse che il Nucleo ha sbagliato nella scelta, si potrebbe sempre tornare indietro in occasione della tornata successiva. Inoltre, tutti gli altri colleghi sarebbero sempre in tensione positiva, visto che le opportunità di incarichi  di prestigio e retribuiti si rinnoveranno periodicamente.

Il modello  previsto  da  BS realizza per la prima volta tre caratteristiche finora ignorate nel nostro sistema e che sono risultate vincenti in altri paesi: un concreto riconoscimento dei meriti professionali, un effettivo spazio per l’autonomia delle scuole e un decisivo apprezzamento alla flessibilità organizzativa.

In prospettiva, TreeLLLe indica un ulteriore sviluppo positivo: l’accesso alla funzione di preside dovrebbe essere riservato  solo a chi ha svolto positivamente ruoli di mentore o di quadro intermedio: un modo per verificare preventivamente i requisiti attitudinali  ( del tutto ignorati dal reclutamento  attuale) che sono essenziali per dirigenti che di fatto occuperanno per tutta la vita, nel bene o nel male, quella posizione.

Tutto ciò richiede che un po’ di risorse siano finalmente dedicate al personale meritevole  così da migliorare la “qualità dell’insegnamento ” nell’ interesse degli studenti piuttosto che, come  ė finora avvenuto, per creare nuovi posti di lavoro.

Ma i soliti nemici della autonomia non si danno ancora per vinti: giungono notizie di spinte per spostare la valutazione del merito – qualora non si riuscisse a cancellarla – al di fuori delle scuole, tramite concorsi nazionali o territoriali. Con l’appendice di nominare a vita mentori e quadri secondo un modello di carriera rigido e immodificabile nel tempo.

L’ esperienza dovrebbe  aver  ben dimostrato che i concorsi sono costosi, lenti ed inefficaci, esposti a raffiche di contenzioso e comunque affidati a commissioni che non hanno conoscenza diretta della singola scuola, né un diretto interesse a scegliere i più idonei. Il principio di operare nomine a vita, poi, costituisce un doppio errore: toglie a tutti i  non prescelti la tensione positiva a migliorare  e preclude segnatamente ai più giovani la possibilità di concorrere a posizioni superiori, occupate a vita da chi vi è approdato per primo.

Una tale decisione, ove mai dovesse essere assunta, non terrebbe conto del fatto che non solo le persone cambiano nel tempo, ma  che anche la scuola cresce e modifica i propri bisogni e non può essere trattata come un esercito da irreggimentare. Ancora, tenuto conto della elevata mobilità esistente, succederebbe  poi che queste figure rigide,  migrando da una scuola a un’altra, determinerebbero  soprannumeri e/ o carenze nei vari profili necessari.

Riforma della scuola, con meritocrazia insegnanti guadagneranno di meno

da Il Fatto Quotidiano

Riforma della scuola, con meritocrazia insegnanti guadagneranno di meno

di

È uno dei cardini della riforma della scuola. Ma anche uno dei punti più contestati: la rivoluzione meritocratica delle carriere non piace agli insegnanti italiani. Almeno nella sua formula attuale, che prevede l’abolizione degli scatti d’anzianità in favore di bonus legati ai risultati. Ma l’ostilità della classe docente non è forse del tutto immotivata: il timore è che dietro lo slogan della meritocrazia si nasconda solo l’intenzione di risparmiare sugli stipendi di maestri e professori italiani. E alcuni calcoli sembrano confermare questa paura: con il nuovo meccanismo i docenti potrebbero andare a guadagnare oltre 10mila euro in meno nel corso della carriera. Anche i più bravi.

Con il nuovo meccanismo i docenti potrebbero andare a guadagnare oltre 10mila euro in meno nel corso della carriera

È una stima empirica che deve tener conto di molte variabili, a partire ovviamente dalle valutazioni conseguite dai docenti per il proprio operato. La grande novità è proprio questa: scatti di merito invece che di anzianità. Fino ad oggi gli anni di servizio erano l’unico criterio di avanzamento di carriera per i docenti: cinque gradoni, uno ogni sette anni circa fino all’ultimo oltre i 35 anni di servizio, con una differenza intorno ai 150 euro al mese in busta paga. Nei piani del governo questo sistema sembra destinato a scomparire: la progressione di carriera funzionerà in base a “scatti di competenza”. Ogni tre anni, il 66% dei docenti di ogni scuola che avrà maturato più crediti didattici, formativi e professionali (insomma, i migliori due/terzi degli insegnanti) avrà diritto ad un aumento fisso in busta paga, quantificato dal ministero in circa 60 euro netti al mese.

Ogni tre anni, il 66% dei docenti di ogni scuola che avrà maturato più crediti didattici, formativi e professionali avrà diritto ad un aumento fisso in busta paga
Sulla base di queste indicazioni è possibile fare un paragone tra il vecchio e il nuovo sistema. E alla fine della giostra, dopo 40 anni di carriera, il saldo rischia di essere negativo. Nel documento de “La Buona scuola”, il ministero sottolinea come “gli insegnanti giovani potranno avere il primo incremento stipendiale dopo soli tre anni, anziché dopo nove come oggi”. E che “dopo sei anni molti docenti avranno 120 euro netti in più al mese, alcuni avranno la metà in più, altri saranno rimasti con lo stipendio iniziale, esattamente come oggi”. Tutto vero. Se non fosse che un giovane docente appena arrivato potrebbe avere difficoltà a maturare subito lo scatto. E che alla lunga il meccanismo sembra non convenire: basta mancare un paio di salti nel corso del lungo percorso per vedere complessivamente depauperata la propria busta paga, come dimostra la tabella.Pur risultando tra i migliori in dieci occasioni su dodici, il docente (un ottimo docente, quindi) in 24 anni su 40 guadagnerebbe meno che col vecchio sistema. E perderebbe complessivamente circa 12mila euro. Senza contare che per chi viene assunto non in coincidenza con l’inizio del triennio di valutazione non sarà immediatamente possibile concorrere allo scatto, bisognerà “aspettare l’onda” (cosa che può far perdere anche due anni di servizio). Di certo, con la riforma non ci saranno scatti fino a fine 2018, e questo permetterà allo Stato di risparmiare subito decine di milioni di euro (risorse che il Miur conta di utilizzare per rifinanziare il Fondo per l’offerta formativa).

Basta mancare un paio di salti nel corso del lungo percorso per vedere complessivamente depauperata la propria busta paga

Per questo l’ipotesi ha scatenato tante proteste. Non soltanto tra i sindacati, contrarissimi alla riforma, anche nella base del movimento. E persino in una fronda del governo, visto che in un documento del Pd di dicembre si parla della necessità di mantenere l’anzianità come criterio di progressione. Per conoscere il proprio futuro i docenti italiani attendono il prossimo decreto sulla scuola, in calendario per fine febbraio, che dovrà tradurre le parole in fatti. Non è detto che la soluzione proposta all’interno de “La buona scuola” resti invariata: le ultime indiscrezioni parlano di un sistema “misto”, che combini gli scatti per anni di servizio a quelli di merito. La seconda voce, però, dovrebbe restare preponderante. Lo confermano anche recenti parole del ministro Giannini: “È importante che il criterio del merito sia e rimanga dominante”, ha detto a dicembre in audizione in Commissione Istruzione, aggiungendo però che “l’idea di un azzeramento totale degli scatti di anzianità è un punto sicuramente negoziabile”. Resta da capire come e quanto.

Pur risultando tra i migliori in dieci occasioni su dodici, il docente (un ottimo docente, quindi) in 24 anni su 40 guadagnerebbe meno che col vecchio sistema. E perderebbe complessivamente circa 12mila euro. Senza contare che per chi viene assunto non in coincidenza con l’inizio del triennio di valutazione non sarà immediatamente possibile concorrere allo scatto, bisognerà “aspettare l’onda” (cosa che può far perdere anche due anni di servizio). Di certo, con la riforma non ci saranno scatti fino a fine 2018, e questo permetterà allo Stato di risparmiare subito decine di milioni di euro (risorse che il Miur conta di utilizzare per rifinanziare il Fondo per l’offerta formativa).

Basta mancare un paio di salti nel corso del lungo percorso per vedere complessivamente depauperata la propria busta paga

Per questo l’ipotesi ha scatenato tante proteste. Non soltanto tra i sindacati, contrarissimi alla riforma, anche nella base del movimento. E persino in una fronda del governo, visto che in un documento del Pd di dicembre si parla della necessità di mantenere l’anzianità come criterio di progressione. Per conoscere il proprio futuro i docenti italiani attendono il prossimo decreto sulla scuola, in calendario per fine febbraio, che dovrà tradurre le parole in fatti. Non è detto che la soluzione proposta all’interno de “La buona scuola” resti invariata: le ultime indiscrezioni parlano di un sistema “misto”, che combini gli scatti per anni di servizio a quelli di merito. La seconda voce, però, dovrebbe restare preponderante. Lo confermano anche recenti parole del ministro Giannini: “È importante che il criterio del merito sia e rimanga dominante”, ha detto a dicembre in audizione in Commissione Istruzione, aggiungendo però che “l’idea di un azzeramento totale degli scatti di anzianità è un punto sicuramente negoziabile”. Resta da capire come e quanto.

Pur risultando tra i migliori in dieci occasioni su dodici, il docente (un ottimo docente, quindi) in 24 anni su 40 guadagnerebbe meno che col vecchio sistema. E perderebbe complessivamente circa 12mila euro. Senza contare che per chi viene assunto non in coincidenza con l’inizio del triennio di valutazione non sarà immediatamente possibile concorrere allo scatto, bisognerà “aspettare l’onda” (cosa che può far perdere anche due anni di servizio). Di certo, con la riforma non ci saranno scatti fino a fine 2018, e questo permetterà allo Stato di risparmiare subito decine di milioni di euro (risorse che il Miur conta di utilizzare per rifinanziare il Fondo per l’offerta formativa).

Basta mancare un paio di salti nel corso del lungo percorso per vedere complessivamente depauperata la propria busta paga

Per questo l’ipotesi ha scatenato tante proteste. Non soltanto tra i sindacati, contrarissimi alla riforma, anche nella base del movimento. E persino in una fronda del governo, visto che in un documento del Pd di dicembre si parla della necessità di mantenere l’anzianità come criterio di progressione. Per conoscere il proprio futuro i docenti italiani attendono il prossimo decreto sulla scuola, in calendario per fine febbraio, che dovrà tradurre le parole in fatti. Non è detto che la soluzione proposta all’interno de “La buona scuola” resti invariata: le ultime indiscrezioni parlano di un sistema “misto”, che combini gli scatti per anni di servizio a quelli di merito. La seconda voce, però, dovrebbe restare preponderante. Lo confermano anche recenti parole del ministro Giannini: “È importante che il criterio del merito sia e rimanga dominante”, ha detto a dicembre in audizione in Commissione Istruzione, aggiungendo però che “l’idea di un azzeramento totale degli scatti di anzianità è un punto sicuramente negoziabile”. Resta da capire come e quanto.

Italia, un giovane su 4 fermo alla terza media. E solo uno su 5 è laureato

da Corriere.it

Il rapporto intermedio Ocse-Education at a Glance

Italia, un giovane su 4 fermo alla terza media. E solo uno su 5 è laureato

Peggio di noi, quanto a laureati, solo Brasile, Cile e Turchia. E il titolo di studio da noi paga di meno: i disoccupati con la laurea sono il 16% contro il 5,3% della media Ocse

di Redazione Scuola

Investire tempo e denaro per conseguire una laurea serve? Secondo il rapporto intermedio Ocse Education at a Glance sì, ma in Italia meno che in altri Paesi. Avere in tasca il «pezzo di carta», da noi non garantisce un’occupazione. Nei paesi Ocse sono il 5,3% i laureati senza lavoro, contro il 13,7% di chi non ha ancora un diploma. Ma da questa media, alcuni Paesi si discostano: il tasso di disoccupazione resta ancora abbastanza alto tra i giovani adulti (25-34 anni) con istruzione post secondaria in Grecia (33,1%), Italia (16%), Portogallo (18,4%), Slovenia (10,8%), Spagna (20,8%) e Turchia (11,1%).

Qualifiche basse

Lo studio mostra pure che l’Italia è tra i cinque paesi Ocse (insieme a Messico, Portogallo, Spagna e Turchia) che hanno la più alta percentuale di persone con qualifiche basse sia tra gli adulti maturi (55-64 anni) sia tra i giovani adulti (25-34). In Portogallo e Spagna la proporzione di 25-34enni con qualifiche basse è di oltre il 30% mentre in Messico e Turchia più della metà dei 25-34enni non ha raggiunto un diploma di scuola superiore. È di poca consolazione sapere che tra questi cinque Paesi soltanto in Italia la quota di 25-34enni privi di istruzione secondaria superiore resti al di sotto del 30%.

Più «N.e.e.t.»

Nel 2013 Italia, Grecia, Spagna e Turchia sono stati anche gli unici paesi in cui più del 30% dei 20-24 anni erano Neet. La Turchia ha la più alta percentuale di questi giovani che non lavorano, non studiano e non si formano, ma è tuttavia anche l’unico paese tra i quattro a mostrare un calo tra il 2005 e il 2013: si è passati dal 50% al 36%.

Questione di genere

Nella maggior parte dei paesi la condizione di Neet è simile tra uomini e donne. Quando però emerge una differenza sono le donne in genere a mostrare percentuali più elevate: ad esempio ci sono più di 25 punti percentuali di differenza tra la popolazione maschile e femminile Neet in Messico e Turchia. La più grande differenza a favore delle donne si osserva, invece, in Lussemburgo, dove il 5% delle donne sono Neet a fronte del 12% di uomini. I dati mostrano pure che non esiste una diretta correlazione tra la percentuale complessiva di Neet in un Paese e il suo divario di genere: in Italia e Turchia, infatti, la percentuale di Neet considerando insieme uomini e donne è superiore al 30%, ma mentre il divario di genere è molto grande in Turchia è quasi inesistente in Italia.

«Distanti università e lavoro»

«Quando si guarda alla scuola in Italia ci sono stati molti e significativi miglioramenti negli ultimi dieci anni, si può vedere, ad esempio, dai risultati del Pisa test», ha detto Andreas Schleicher, il responsabile dei programmi su innovazione e competenze dell’Ocse. «Quando si guarda invece all’educazione dopo la scuola sono molto più scettico, il legame fra educazione e mondo del lavoro è molto debole», ha aggiunto, sottolineando che in particolare l’università è «distante» dall’ambito professionale. Schleicher ha espresso dubbi anche su quanto fatto in Italia in fatto di formazione dei disoccupati. «Molti soldi sono stati spesi negli ultimi anni, ma molto poco è stato raggiunto».

Maturità: un sondaggio della Gilda «boccia» la commissione interna

da Il Sole 24 Ore

Maturità: un sondaggio della Gilda «boccia» la commissione interna

di Federica Micardi

La maturità svolta da una commissione interna fa risparmiare al sistema scuola 147milioni di euro; un risparmio che però non convince gli oltre 750 docenti che hanno risposto al sondaggio composto da cinque domande sul “nuovo esame di maturità” lanciato dalla Gilda degli insegnanti sul proprio sito agli indirizzi www.gildains.it e www.gilda-unams.it .

Il passaggio alla Commissione interna per l’esame di maturità è contenuto nella legge di stabilità , che prevede una commissione giudicatrice composta da sei commissari interni – che svolgerebbero questo ruolo senza compenso – ed un presidente esterno.

I docenti che hanno risposto al questionario della Gilda sembrano però convinti, senza ombra di dubbio, che si tratti di una soluzione più dannosa che altro.

In particolare sono contrari alla commissione interna l’85,66% dei 753 docenti intervistati; inoltre una commissione interna «potrebbe creare una disparità di valutazione» tra i maturandi delle scuole pubbliche e private, paventa questo rischio l’83% del campione. Per il 79,81% (601 docenti) la soluzione migliore è mantenere l’attuale modello che prevede commissioni miste, composte da membri esterni, che valutano le prestazioni dei maturandi all’esame, e da docenti interni il cui parere consente di prendere in considerazione l’intero ciclo di studi dello studente.

Per consentire il risparmio e garantire l’autonomia del giudizio il Governo starebbe pensando di prevedere commissioni con docenti interni alle scuole ma non titolari delle classi quinte. Una soluzione che convince solo il 14,48% degli intervistati.

Ma qual è il rischio di avere commissioni interne? Secondo la Gilda «potrebbe rappresentare il primo passo verso l’abolizione del valore legale del titolo di studio», un timore condiviso da 569 intervistati, il 75,56% del totale.

Per i prof niente modifiche alle commissioni dell’esame di Maturità

da La Stampa

Per i prof niente modifiche alle commissioni dell’esame di Maturità

Contro l’introduzione di soli commissari l’85,66% degli insegnanti che hanno partecipato a un sondaggio online condotto dalla Gilda
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Le commissioni dell’esame di Maturità non vanno modificate: a pensarla così sono i 753 docenti che, dal 4 dicembre scorso al 13 gennaio, hanno partecipato a un sondaggio online condotto dalla Gilda degli Insegnanti.

Il questionario, pubblicato nei siti www.gildains.it e www.gilda-unams.it è composto da cinque domande riguardanti l’ipotesi, dettata da esigenze di risparmio economico, di cambiare la composizione delle commissioni esaminatrici.

Contro l’introduzione, molto probabile, di soli commissari interni ai quali non corrispondere alcuna retribuzione aggiuntiva si è espresso l’85,66%. A motivare il no secco dei docenti non è unicamente la mancanza di compensi accessori per i commissari: secondo l’83% dei partecipanti al sondaggio, infatti, l’introduzione della commissione interna potrebbe creare disparità di valutazione tra i maturandi delle scuole statali e quelli degli istituti parificati.

Il 79,81% ritiene che il modello attualmente in vigore, che prevede commissioni miste, debba essere mantenuto perchè la compresenza di membri esterni, che valutano la prestazione dei maturandi all’esame, e interni, che nel loro giudizio prendono in considerazione anche l’intero percorso di studi dei candidati, garantisce un maggiore equilibrio.

Bocciata dall’85,52% anche l’ipotesi, alla quale secondo indiscrezioni starebbe pensando il Governo, di insediare commissioni con docenti interni alle scuole ma non titolari sulle classi quinte. Nettamente maggioritaria, infine, la percentuale dei docenti – 75,56% – in disaccordo con l’eventuale abolizione del valore legale del titolo di studio, uno scenario verso cui la modifica delle commissioni di Maturità potrebbe rappresentare il primo passo.

Il registro elettronico non manda in soffitta i colloqui con i prof.

da La Stampa

Il registro elettronico non manda in soffitta i colloqui con i prof.

È un utile strumento di consultazione immediata ma per i genitori non sostituisce la comunicazioni scuola-famiglia
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Utilizzato ormai dalla maggioranza delle scuole il registro elettronico non ha però sostituito il caro e vecchio cartaceo e, soprattutto, non ha mandato in soffitta i colloqui diretti tra i genitori e i prof.

Nessun registro, reale o virtuale che sia, potrà mai sostituire il rapporto diretto, le “spiegazioin” e gli scambi di informazioni possibili solo attraverso i ricevimenti dei docenti. Ad esserne convinti i diretti interessati: genitori e docenti che continuano ad incontrarsi periodicamente per le classiche comunicazioni scuola-famiglia.

«I registri elettronici sono ormai abbastanza diffusi – spiega all’Adnkronos il presidente del Cidi (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti ), Beppe Bagni – ma non tutti i genitori hanno ancora l’abitudine di utilizzare questo strumento. Non bisogna dimenticare che c’è ancora un’Italia adulta che non ha ancora dimestichezza con le nuove tecnologie e alcune regioni che ancora non sono collegate. Comunque l’avvento dei “nuovi” registri non ha assolutamente sostituito il rapporto diretto con i docenti».

«Il registro elettronico, infondo – aggiunge Bagni – è solo un elenco di voti ma l’apprendimento non è un somma di voti. Vedendo il voto non saprai mai come e quanto sta imparando tuo figlio, quali problemi ha o quali risultati ha raggiunto. Certo, se un genitore vede che il figlio ha tutti 8 e 9 probabilmente non andrà a parlare con i professori ma questo accadeva anche con la vecchia pagella. Il registro elettronico – conclude il presidente del Cidi – è solo uno strumento di trasparenza immediata ma non potrà mai sostituirsi al rapporto diretto».

Gli fa eco la presidente del Coordinamento genitori democratici Angela Nava secondo la quale il registro elettronico «è e rimane uno strumento di consultazione immediata ma non sostituisce l’interazione con i docenti. Da parte delle famiglie , infatti – aggiunge Nava – c’è un grandissimo bisogno di condividere la responsabilità educativa».

«La coscienza del paese – sottolinea – è migliore di quanto la immaginiamo. I genitori – evidenzia – hanno bisogno non solo dei voti e delle assenze, ma anche del perché di quei voti e di quelle assenze, per stabilire una linea educativa condivisa. Chi sta scrivendo le nuove regole della scuola – conclude Nava – dovrebbe tener conto di questo desiderio e necessità di partecipazione».

La scuola a regola d’arte

da Il Messaggero

La scuola a regola d’arte

Rivoluzione nell’insegnamento: a otto anni dalla riforma Gelmini, Storia dell’Arte torna a essere obbligatoria in tutti gli istituti

ISTRUZIONE
Tornare a scoprire la differenza che c’è tra due sculture, come la Pietà e Apollo e Dafne, entrambe in marmo, ma profondamente diverse giacché scolpite da Michelangelo e Bernini. Comprendere quanto sia importante, per la salvaguardia dell’ambiente, la raccolta differenziata. L’istruzione che cambia, nella scuola dell’obbligo, passa da qui. Da una rivoluzione nell’insegnamento che rispolvera materie cancellate, come la Storia dell’arte, e pone sui banchi dei ragazzi nuovi programmi, a partire dall’Educazione ambientale. Il governo Renzi sta portando avanti la riforma del settore attraverso il piano elaborato dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che, salvo complicazioni, dovrebbe trasformarsi in decreto entro la fine di febbraio.
E se è vero che il capitolo centrale riguarda l’ingente piano di assunzioni di docenti precari, una parte importante la gioca anche la didattica. Dall’introduzione dell’Economia nei licei all’educazione musicale, dall’implementazione delle lingue straniere, in primis dell’inglese, all’informatica applicata al coding. Ancora: c’è pure chi invoca, dopo gli attentati di Parigi, l’introduzione di un’ora settimanale per lo studio delle religioni e non soltanto di quella cattolica. Tuttavia, su quest’ultimo argomento, non c’è ancora una proposta ufficiale.
Il primo asset lo lancia il dicastero retto da Gian Luca Galletti. Introdurre nelle scuole l’Educazione ambientale. Un faldone di 150 pagine, articolato in dieci capitoli, elaborato negli ultimi mesi dal sottosegretario Barbara Degani, che punta a introdurre la disciplina tra le materie scolastiche a partire già dalle materne. Più di 8mila gli studenti da coinvolgere nel prossimo anno scolastico.
UN MONDO SOSTENIBILE
L’obiettivo è nobile, certo. Far conoscere ai bambini e agli studenti come riciclare correttamente i rifiuti, come tutelare il territorio e il mare, fino a comprendere i temi della biodiversità e dell’alimentazione sostenibile. Una scommessa non da poco, ma ci vorrà del tempo affinché questa rivoluzione si trasformi in una realtà strutturata. L’Educazione ambientale, infatti, non partirà come materia scolastica a se stante. Piuttosto i temi ambientali entreranno in aula, per un’ora a settimana, durante l’insegnamento di altre materie come la Geografia o la Scienza, con i professori, dunque, incaricati a spiegare che fine farà l’umido mentre cercano di far capire come l’ossigeno si trasforma in anidride carbonica.
IL PROTOCOLLO
C’è poi il rilancio della Storia dell’arte, falcidiata negli istituti professionali e in buona parte dei licei ai tempi della riforma Gelmini. «Studiare Giotto è come studiare Dante e gli italiani hanno bisogno di riavvicinarsi al patrimonio artistico-culturale del Paese». Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, è tornato a ripeterlo solo pochi giorni fa, dopo che il suo dicastero ha firmato, a giugno scorso, un protocollo d’intesa con il Miur per il ripristino della Storia dell’arte in tutte le scuole d’Italia. La materia gode dell’attenzione del governo, tanto che un capitolo della riforma sulla Scuola prevede proprio il suo ripristino in almeno 5mila istituti nazionali.
Era il 2008, quando l’ex ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, aveva decretato la cancellazione della Storia dell’arte dal ginnasio del liceo Classico e dal biennio del Linguistico. Perfino dagli indirizzi Turismo e Grafica degli Istituti tecnici e dai professionali.
LA RICCHEZZA
E pensare che quella materia, insegnata per anni, faceva degli italiani un popolo dotto, che sapeva – per dirla con il critico d’arte francese, André Chastel – come guardare un quadro perché, meglio di altri, lo aveva imparato proprio a scuola. In Italia questa capacità – nonostante il Paese annoveri 3.400 musei, 2.100 parchi e aree archeologiche, il più alto numero a livello mondiale di siti Unesco, ben 50 -, si è perduta. La Francia ha imposto l’obbligo dello studio dell’Arte in tutte le scuole già nel 2007, rispettando la Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa, approvata in Portogallo nel 2005.
La direttiva è stata ratificata dall’Italia, solo nel 2013, con 8 anni di ritardo. Ora si cerca di tornare a regime, cercando di far quadrare i conti. I docenti che dovrebbero essere chiamati per l’insegnamento della materia sono 8.100 e la spesa prevista dal Miur per la copertura delle cattedre, si aggirerebbe intorno a 25 milioni di euro da garantire ogni anno a partire dal 2016.
Camilla Mozzetti

Pantaleo (Flc): “Più contenzioso, meno contratto, noi non ci stiamo”

da La Tecnica della Scuola

Pantaleo (Flc): “Più contenzioso, meno contratto, noi non ci stiamo”

Nostra intervista al segretario nazionale della Flc-Cgil.  Secondo il sindacato, la riduzione delle garanzie contrattuali fa inevitabilmente crescere il contenzioso. No alle sospensioni dal servizio decise dai dirigenti scolastici: “Vogliamo un  organo di garanzia perchè è in gioco la libertà di insegnamento”.

Sulla questione dell’incremento del contenzioso nelle scuole abbiamo posto qualche domanda al segretario nazionale di Flc-Cgil, Domenico Pantaleo.

Domanda  Secondo alcune recenti rilevazioni il contenzioso nella scuola è in aumento.
Come leggete questo dato?

Risposta
E’ la conseguenza del continuo tentativo da parte del Miur, del Mef  e del Ministero della Funzione Pubblica di interpretare in maniera restrittiva leggi e contratti. A ciò si aggiunge l’assenza di un sistema di relazioni sindacali che permetta di prevenire il contenzioso. E’ difficile avere informazioni preventive che possano aiutare a evitare inutili conflitti. La Flc-Cgil privilegia sempre i tavoli negoziali rispetto alle vertenze legali ma i comportamenti autoreferenziali e autoritari rendono sempre più complicato un normale rapporto tra sindacato, Governo e burocrazie ministeriali. Non abbiamo  nostalgia delle vecchie pratiche concertative ma continuiamo a pensare che senza partecipazione non si può innovare la scuola italiana e non si può restituire dignità e funzione sociale a chi lavora.

D. C’è una relazione con il fatto che siamo in  assenza di contratto nazionale da diversi anni?

Risposta 
Non solo non si rinnova il contratto nazionale, ma si vuole demolire quello vigente. In realtà il Governo vuole cancellare il contratto nazionale per lasciare mano libera a rapporti individuali nella pubblica amministrazione. Il disegno è quello di  rilegificare il rapporto di lavoro in modo che la politica possa decidere unilateralmente le forme del reclutamento, le condizioni e l’organizzazione del lavoro e i salari. Non vedo all’orizzonte alcuna vera modernizzazione della scuola, ma un salto all’indietro che favorisce una deriva corporativa nella scuola e nelle pubbliche amministrazioni. Se si vuole cambiare veramente il sistema di istruzione bisogna anche rinnovare i contratti nazionali che devono essere interpretati come rendicontazione sociale del lavoro che si svolge nei luoghi della conoscenza.

D. Il decreto Brunetta ha contribuito ad aggravare la situazione?

Risposta
Brunetta ha usato la campagna contro i fannulloni per emanare provvedimenti che nei fatti indeboliscono il ruolo della contrattazione e peggiorano pesantemente le condizioni del lavoro pubblico. Se analizziamo i risultati concreti ci accorgiamo che nessun miglioramento si è realizzato in termini di qualità nei rapporti di lavoro in tutte le pubbliche amministrazioni. Nella scuola l’effetto combinato tra legge Brunetta e tagli al Mof è stato quello di limitare la contrattazione decentrata peggiorando la qualità dell’offerta formativa e penalizzando le retribuzioni del personale. Per queste ragioni la legge Brunetta deve essere superata. Quindi la risposta è sì, la situazione è stata aggravata.

D. Un problema particolare riguarda poi la gestione del codice disciplinare: diversi tribunali hanno accolto ricorsi di docenti che erano stati sanzionati dal dirigente scolastico con una sospensione dall’insegnamento, con la motivazione che il “trasferimento” della potestà di sospensione ai ds è alquanto dubbio Qual è la vostra posizione in merito?

Risposta.
Noi rivendichiamo diritti ma pretendiamo doveri da chi lavora nei nostri comparti. Detto questo, riteniamo che aver imposto  la gestione del codice disciplinare da parte della amministrazione e dirigenza scolastica finisce per consegnare nelle mani della magistratura i pronunciamenti sulla legittimità dei provvedimenti. Sarebbe utile tornare a praticare la conciliazione, alleggerendo il contenzioso e favorendo la obiettiva valutazione sulle motivazioni delle sanzioni. Non sarà certo la Flc-Cgil a difendere situazioni di illegittimità e violazione delle normative contrattuali, ma è ora di finirla con l’idea che con l’autoritarismo si governino meglio le scuole. La campagna denigratoria contro il lavoro pubblico diventa, per il Governo, un pretesto per cancellare lo statuto dei diritti dei lavoratori nei settori pubblici. Se ci sono situazioni di abuso e di violazione dei contratti ci sono già tutti gli strumenti per perseguirle.
Ciò detto, noi siamo contrari alla gestione delle sospensioni dal servizio da parte dei dirigenti. Chiediamo che ci sia un organismo di garanzia essendo in gioco la libertà di insegnamento.

A settembre 2015 + 70% di personale in pensione

da La Tecnica della Scuola

A settembre 2015 + 70% di personale in pensione

Secondo un dato ufficioso, le domande di pensione presentate entro il 15 gennaio scorso dal personale della scuola, hanno raggiunto livelli di esodo massiccio.
Sarebbero, scrive La Repubblica, 17mila i docenti che hanno presentato domanda o vi sono stati costretti per raggiunti limiti, con un balzo in avanti rispetto all’anno scorso del 70%.Se nel 2013/2014, sono stati 10mila gli insegnanti di scuola materna, elementare, media e superiore che hanno lascito la scuola quest’anno i numeri sono assai diversi.

In modo particolare le maestre di scuola elementare e materna, per la maggior parte dei casi, non riescono a pensare di dovere rimanere in servizio fino a 67 o 68 anni.

Per andare in pensione a domanda, quest’anno, ricorda Repubblica, occorre compiere 66anni e tre mesi d’età tra il primo settembre e il 31 dicembre 2015. Oppure avere già maturato 42 anni e sei mesi di contribuzione, per gli uomini, e 41 anni e sei mesi, per le donne, entro il 31 dicembre di quest’anno.

La fuga comunque dalla scuola, a parte i casi di altri prof, è dovuto al fatto che insegnare  è diventato un lavoro sempre più difficile, complicato dall’età che avanza e dalle tecnologie che hanno invaso prepotentemente le scuole italiane. Con una retribuzione che ha perso potere di acquisto negli ultimi cinque anni e una considerazione sociale ai livelli più bassi che la categoria ricordi.

Ecco il curriculum personalizzato, ma al quinto anno

da La Tecnica della Scuola

Ecco il curriculum personalizzato, ma al quinto anno

 

La proposta di un “curriculum personalizzato” al 5° anno, con una parte di materie obbligatorie e un’altra a scelta dei singoli studenti, è stata presentata dalla VII Commissione cultura del Senato dopo aver discusso con associazioni di dirigenti scolastici, insegnanti e genitori.
Si tratterebbe, spiega Il Corriere della Sera che riporta la notizia, di un “Curriculum flessibile”, di poter cioè scegliere alla fine delle superiori di modulare almeno una parte del curriculum, concentrandosi su quelle che piacciono di più e che riescono meglio, con un occhio ai futuri sbocchi universitari e lavorativi che a quel punto lo studente dovrebbe avere già, almeno vagamente, in testa. Sicuramente rimarrebbero tutte le materi di indirizzo.La risoluzione approvata  dal Senato contiene una serie di indicazioni per il governo che, dopo la campagna d’ascolto, sta limando il testo dei provvedimenti che dal 28 febbraio dovrebbero far ripartire la scuola italiana. Ma non è detto che l’esecutivo ne tenga poi effettivamente conto

Il «curriculum personalizzato» evoca una flessibilità «all’americana», che servirebbe sia per far emergere attitudini e interessi degli studenti sia per tamponare il «disallineamento tra domanda di competenze che il mondo chiede di sviluppare e ciò che la scuola offre» «in connessione con le esigenze del territorio».

“Nelle classi terminali del secondo ciclo – spiega Francesca Puglisi, senatrice Pd, relatrice del documento – il curriculum dovrebbe essere formato da una parte obbligatoria per tutti e una parte opzionale, a scelta dello studente, oltre che da discipline facoltative di arricchimento, tale da garantire una personalizzazione del percorso di studi, così da potenziare l’elemento orientativo dell’istruzione”

Una proposta destinata a stravolgere anche l’esame di Stato: «che metta al centro le scelte e le motivazioni di ciascun studente e non solo una verifica delle conoscenze acquisite», dice Puglisi.

Una novità che «va pensata molto bene» e con dei rischi, dice qualche pedagogista: «Il primo è che si eroda la preparazione degli studenti. Già, al primo anno di università hanno forti lacune nelle competenze trasversali di base: hanno problemi a scrivere, decifrare un testo, sostenere prove di matematica. Questa tendenza un po’ americana permette di ritagliarsi percorsi su misura, anche suggestivi, ma su basi fragili. Deve quindi essere molto chiaro quali sono i saperi minimi da portare avanti». Inoltre: «Un ragazzo di terza liceo non sa e non deve sapere cosa vorrà studiare “dopo”: i tre anni di superiori servono proprio ad assaggiare diverse materie e trovare la propria strada. Sarebbe sbagliato restringere, con un eccessiva specializzazione, all’inizio del triennio. Bene invece se la “personalizzazione” viene fatta all’ultimo anno, eventualmente aprendo all’università, facendo frequentare agli studenti pezzetti di corsi, seguire progetti».

Toccare con mano, insomma, per avere un quadro più completo.

Concorso dirigenti in arrivo

da tuttoscuola.com

Concorso dirigenti in arrivo
Quattro mesi di corso e quattro (o due) di tirocinio

Sarà varato in tempi brevi il regolamento sulle nuove modalità organizzative del prossimo concorso per dirigenti scolastici sul quale il ministero dell’Istruzione sta aspettando i previsti pareri.

La struttura del concorso è ormai definita, come riferisce l’Ansa, nel quadro di quanto previsto nei decreti legge 104/2013 e 58/2014. Il test preselettivo dovrebbe essere attivato solo nel caso (peraltro assai probabile) in cui i partecipanti fossero più del triplo dei posti messi a concorso, cioè più di 7.500 a fronte dei 2.500 posti disponibili.

La principale novità di questa nuova tornata concorsuale è rappresentata dalla introduzione di una fase di 4 mesi di formazione (in parte in aula e in parte on line) gestita direttamente dalla Scuola Nazionale di Amministrazione. Fase che sarà seguita da 4 mesi di tirocinio (che potrebbero essere ridotti a 2 per consentire la tempestiva conclusione della procedura) presso una delle istituzioni scolastiche individuate dai diversi Uffici scolastici regionali.

Alla formazione di durata quadrimestrale accederanno però solo coloro che, superato (se ci sarà) il test preselettivo, avranno sostenuto con successo due prove scritte e un colloquio: tre prove alle quali sarà attribuito un punteggio massimo di 30 punti per ciascuna. È prevista inoltre la valutazione dei titoli (anche in questo caso fino a 30 punti), per un punteggio finale massimo di 120 punti.

Nella graduatoria degli idonei entrerà un numero di concorrenti pari a quello dei posti a concorso aumentato del 20% (3.000 in tutto, se i posti banditi saranno 2.500).

La valutazione dei candidati continuerà anche nella successiva fase di formazione che si concluderà con un colloquio al quale sarà attribuito un ulteriore punteggio.

Ocse, la scuola italiana migliora, ma non il legame col lavoro

da tuttoscuola.com

Ocse, la scuola italiana migliora, ma non il legame col lavoro

Quando si guarda alla scuola in Italia ci sono stati molti e significativi miglioramenti negli ultimi dieci anni, si può vedere, ad esempio, dai risultati del Pisa test“. Lo ha detto all’Ansa il responsabile dei programmi su innovazione e competenze dell’Ocse, Andreas Schleicher, a margine della presentazione oggi a Londra del rapporto intermedio dell’Ocse ‘Education at a Glance‘.

Ma “quando si guarda invece all’educazione dopo la scuola sono molto più scettico, il legame fra educazione e mondo del lavoro è molto debole“, ha aggiunto, sottolineando che in particolare l’università è “distante” dall’ambito professionale.

Schleicher ha espresso dubbi anche su quanto fatto in Italia in fatto di formazione dei disoccupati. “Molti soldi sono stati spesi negli ultimi anni per la formazione de disoccupati ma molto poco è stato raggiunto“.