Con la pistola puntata alla tempia

Con la pistola puntata alla tempia

di Cosimo De Nitto

Condivido il contenuto dell’intervento di Errico Maranzana pubblicato da edscuola, che titola “Valutiamo il sottosegretario del MIUR“.
L’intervento coglie la differenza sostanziale tra “controllo” e “valutazione” iscrivendo l’azione e le politiche del governo più nel primo che nella seconda.
Per ignoranza? Per superficialità? Anche, direi io, ma soprattutto per scelta consapevole e intenzionale che connota la valenza politico-pedagogico-culturale di questo governo rispetto alla scuola, e non solo alla scuola.
Il proposito, o l’annuncio, del sottosegretario che, tramite questionario (ovviamente predisposto dal governo, o dall’Invalsi?) “I ragazzi valuteranno gli insegnanti” qualifica subito la proposta come “tipica tecnica della customer satisfaction, appagamento rilevato per mezzo di questionari compilati dai soggetti destinatari degli output aziendali.” Così Maranzana, e io concordo con la sua opinione. I questionari per rilevare la “soddisfazione del cliente” sono tecniche puramente aziendali tramite le quali si invita il cliente a manifestare il proprio gradimento rispetto ad un prodotto o servizio. Il gioco si svolge così: c’è un “prodotto” o “servizio”, c’è una “azienda” che lo ha fabbricato o prestato, c’è il “cliente” che lo ha acquistato e “consumato” o “fruito”. Attraverso il questionario il “cliente” si dichiara più o meno soddisfatto rispetto alle sue aspettative o ai vantaggi che pensa di aver ricavato.
Questo strumento è esportabile in ambito scolastico? Sono confrontabili, identici, se non proprio uguali, i presupposti che rendano significativo ed utilizzabile questo strumento nel contesto scolastico? Assolutamente no, perché:

1) lo studente non è un “cliente”. Il cliente è singolare, lo studente è singolare e plurale allo stesso tempo, opera in un contesto relazionale complesso (la scuola) in cui tutti si è “clienti” e tutti al tempo stesso si è “azienda”, tutti si è soggetti protagonisti e allo stesso tempo destinatari delle dinamiche educative e formative. Il cliente invece è solo, giudica in relazione ai propri gusti e vantaggi personali, non gli è chiesto altro, la finalità è rilevare la sua “soddisfazione” della quale all’azienda non importa assolutamente niente in termini intellettuali, esistenziali, culturali, personali, interessa solo in quanto egli sceglie e acquista il prodotto e contribuisce alla crescita del fatturato. Non interessa all’azienda che il prodotto faccia male o bene al cliente, non interessa la persona, come essa potrà essere in futuro, non interessa che essa si costruisca un progetto di vita, non interessa il ruolo che essa vorrà/potrà avere nella società, non interessa il modo in cui essa potrà interpretare e realizzare la cittadinanza… all’azienda interessa solo che scelga il proprio prodotto e compri. Il “cliente” è solo nel giudizio che deriva dai gusti, interessi, aspettative personali; gli altri clienti non interferiscono, non partecipano del gioco, ognuno gioca per se stesso, non c’è in ballo un interesse collettivo, non esiste proprio la dimensione collettiva e relazionale come parte del gioco. Nella scuola sì invece, questa dimensione esiste ed è determinante;

2)il “prodotto”/”servizio” consumato/fruito in che cosa consisterebbe nella scuola? Prodotto/oggetto possono considerarsi le nozioni apprese? Servizio alla persona potrebbero considerarsi le lezioni svolte dal docente, il modo di comportarsi del docente con quel “cliente” a prescindere dagli altri clienti? Nella scuola la parola “prodotto” e così pure la parola “servizio” sono metafore assolutamente sbagliate. Esse non rendono la specificità delle relazioni educative, al contrario, ne impediscono la piena e consapevole conoscenza e intelligenza. Senza conoscenza e intelligenza delle relazioni educative parlare di valutazione è parlare del nulla;

3) la nozione di “azienda” non può mai essere nemmeno semplicemente accostata alla scuola. Il fine dell’azienda è il fatturato (il fatturato quale sarebbe per la scuola: le promozioni, i 10 dati, le risposte ai quiz invalsi, le iscrizioni, altro?). Il fine del fatturato è il profitto privato che si consegue entro l’anno finanziario. Il “profitto” scolastico, diversamente, è conseguenza della maturazione delle personalità, la crescita culturale, le competenze che si formano sulla base di un lento processo di acquisizione la cui verifica può essere fatta solo a distanza di molto tempo, spesso di anni. La produzione-vendita-consumo di cose, ma anche l’organizzazione-erogazione-fruizione di un servizio direi che sono cosa affatto diversa rispetto a conoscenze, elaborazione mentale e materiale, conoscenza e costruzione del sé, relazione, comunicazione, divergenza, concentrazione, motivazione, educazione, formazione, istruzione, saper imparare ecc.ecc. Sono “cose” e soprattutto processi non confrontabili quantitativamente né qualitativamente.

Chiarita l’insostenibilità e la non validità dello strumento questionario degli studenti modello customer satisfaction per le differenze strutturali e per le distanze abissali tra l’un campo (azienda) e l’altro (scuola), andiamo per un momento a vedere nel concreto quale resa può avere in termini di conoscenza dell’operato di un docente.
Poniamo caso che in una classe alcuni studenti dicano A (bravo, si comporta bene, si capisce quando spiega, è comprensivo, è competente, è equilibrato nella valutazione ecc ecc.) di un docente, altri dicano B (tutto il contrario di A, non è bravo, non sa spiegare, è rigido, non conosce a fondo la materia ecc. ecc). e tutto quello che si vorrà scrivere sul questionario. Quali indicazioni si potranno mai avere circa le capacità dell’insegnante? Il conflitto di interessi degli studenti è chiaro come il sole. La loro incompetenza contenutistica lo è altrettanto. Alla fine cosa potranno mai dire che non siano impressioni superficiali e soggettive che riguardano solo il loro stato di “soddisfazione” relazionale, condizionato fra l’altro dal loro successo o insuccesso scolastico? Per loro l’insegnante sarà buono o cattivo per il proprio singolo punto di vista e di interesse, non potranno mai spiegarsi perché l’insegnante per gli uni è A e per gli altri è B, a meno che non ricorrano alla simpatia/antipatia personale (al prof, sono antipatico, ce l’ha con me ecc. ecc.) vecchia come il cucco che sta alla vita scolastica come all’autunno la pioggia.

I questionari proposti dal sottosegretario Faraone tramite i quali “I ragazzi valuteranno gli insegnanti” sono assolutamente insignificanti e sbagliati. Non solo. Sono da considerare pericolose armi improprie, non convenzionali, capaci di fare danni e ingiustizie non solo nei confronti dei docenti, ma degli stessi studenti che, secondo me, dovrebbero rifiutarle anche se vengono loro imposte. Se la valutazione dei docenti dovrà anche solo in minima parte essere influenzata da siffatti questionari tutta la relazione educativa e la valenza formativa del rapporto insegnamento/apprendimento, docenti/studenti risulterà alterata a causa delle conseguenze che avranno i comportamenti deviati degli uni e degli altri. Siamo sicuri che sarebbe una Buona Scuola quella in cui da un lato prevalgono gli opportunismi, la blandizie, il buonismo interessato, la seduzione, la captatio benevolentiae, l’affascinamento retorico, il paternalismo ecc. e dall’altro lato i ricatti, la presunzione, l’arroganza di un potere privo di competenza, basato sull’ignoranza e sulla meschinità degli interessi personali?
Questa scuola vuole dunque il governo? Questa sarebbe la valorizzazione degli insegnanti? Questo sarebbe il loro “merito”, con questi strumenti così obiettivi, pertinenti, scientifici, assoluti sarebbe rilevato?
Come siamo caduti in basso, in che mani è finito il governo della scuola.

Apre “Tolomeo”, il museo che raccoglie 134 anni di dispositivi per i ciechi

da Redattore Sociale

Apre “Tolomeo”, il museo che raccoglie 134 anni di dispositivi per i ciechi

In mostra gli oggetti per la lettura e la scrittura che hanno fatto la storia dell’Istituto ‘Francesco Cavazza’ di Bologna. Un luogo dove il passato si mescola al presente e guarda al futuro alla ricerca di una maggiore integrazione per le persone cieche

BOLOGNA – Una stanza in penombra, un tavolo raffigurante una nuvola su cui sono poggiati i dispositivi per la lettura e la scrittura per ciechi, le foto in bianco e nero dei ragazzi che li hanno utilizzati per studiare. Sono racchiusi in tutti questi oggetti, immagini e libri i 134 anni di vita dell’Istituto dei ciechi Francesco Cavazza di Bologna che oggi ha inaugurato il “Museo Tolomeo”. Una raccolta di storie, fatte di sperimentazioni di linguaggi, di nuove tecnologie, di persone e di tutti coloro che per differenti motivi hanno avuto a che fare con l’istituto. Un viaggio dalla fine dell’Ottocento agli anni più recenti, dove il passato si mescola con il presente e getta il suo sguardo verso il futuro, alla ricerca d’integrazione e innovazione. L’evento d’apertura, “Viaggio in una città intorno a una stanza”, e l’allestimento del museo sono stati curati dall’architetto Fabio Fornasari e da Lucilla Boschi. Con lo scopo di far aprire l’istituto alla città e al contempo permettere ai cittadini di conoscere un pezzo importante della cultura bolognese. “Con questo museo non vogliamo solo mostrare quelli che sono stati i progressi fatti e la storia di quest’istituto – dice Pier Michele Borra, presidente dell’Istituto dei ciechi ‘Francesco Cavazza’ – ma anche pensare a quanta strada c’è ancora da fare. In questi luoghi, passato e futuro si incontrano e da questo nasce il pensiero di una continua ricerca, per poter innovare e realizzare così una maggiore integrazione per i ciechi”.

Ogni macchina, libro o foto descrive un momento e porta con sé le speranze e le intuizioni che hanno permesso a chi vi ha lavorato di aggiungere un suo contributo per lo sviluppo di progetti e modelli innovativi. Ecco allora che dalla fine degli anni Settanta la biblioteca cartacea ha cominciato a lasciare il posto ai materiali digitali. “I libri venivano scannerizzati e riprodotti in formato audio o txt per poter essere ascoltati oppure letti attraverso determinati dispositivi – racconta Lucilla Boschi –. Con il passare degli anni si sono fatti sempre più passi in avanti per arrivare a dispositivi sempre più innovativi. Penso all’applicazione creata da Luca Ciaffoni, ingegnere di quest’istituto, che permette alle persone cieche di sapere dove si trovano e che cosa le circonda”. La app si chiama Ariadne Gps e consente di sapere dove ci si trova, di monitorare gli spostamenti, essere allertato in merito al raggiungimento di un luogo preimpostato e ascoltare i rumori di ciò che ci circonda. Attraverso questi oggetti l’istituto Cavazza ripercorre la sua vita dal 1881, anno in cui il conte Francesco Cavazza diede vita a quest’istituto, fino ai giorni nostri e ricorda i tanti ragazzi provenienti da ogni parte d’Italia che nell’istituto hanno imparato a leggere e scrivere. Ma l’istituto è anche qualcosa di più è un luogo dove si progetta il futuro e si costruisce l’integrazione grazie alle persone che ci lavorano. “Il museo vuole essere un modo per ricordare – dice Fornasari – Fissare il punto da dove si è partiti e immaginare il percorso che si deve intraprendere da una prospettiva diversa”.

All’inaugurazione è intervenuta anche Simonetta Saliera, neo presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna: “Sono emozionata – ha detto – perché l’Istituto Cavazza è un pezzo importante della cultura della nostra regione e il museo è un omaggio al lavoro e al percorso fatto in più di un secolo di vita”. (Dino Collazzo)

Avviamento al lavoro nel Sud

Avviamento al lavoro nel Sud con il nuovo progetto AIPD

Saranno 35 le persone con sindrome Down del Sud Italia e Isole (in una fascia d’età compresa tra i 18 e i 29 anni) coinvolte nel nuovo progetto dell’Associazione Italiana Persone Down, sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD, dedicato agli inserimenti lavorativi nel Meridione. L’obiettivo del progetto “Lavoriamo in rete – percorsi di inserimento lavorativo nei territori del Sud”, della durata di 18 mesi è quello di incrementare la motivazione, la consapevolezza, la capacità e l’occupabilità delle persone con sindrome di Down. Il progetto coinvolgerà 13 operatori e 13 sezioni AIPD (35 persone con sindrome di Down e 35 famiglie), sei regioni nel Sud Italia e le due Isole (Bari, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Foggia, Lecce, Matera, Milazzo-Messina, Napoli, Oristano, Potenza, Reggio Calabria, Termini Imerese).

Secondo un’indagine condotta da AIPD nel 2013 su 43 delle proprie Sezioni, su 1.026 persone con sindrome di Down maggiorenti aderenti alla rete, solo 125 (il 12%) lavora con un regolare contratto (dei 125 solo il 12,8% dal Sud e le Isole). In Italia, nel 2011, rispetto alle 644.029 persone con disabilità iscritte agli elenchi unici del collocamento e ai 37.375 posti disponibili, sono stati realizzati 22.023 avviamenti: di questi 4.761 nel Centro, 2.409 nel Sud/ Isole, 14.853 nel Nord (VI Relazione al Parlamento sulla Legge 68/99).
Il progetto AIPD prevede una serie di azioni nel corso dei 18 mesi: consulenza, informazione e formazione in presenza (incontri di formazione per familiari, percorsi di orientamento e formazione per giovani con sindrome di Down) e a distanza (tramite corso online e telefono), azioni di sensibilizzazione del mondo aziendale/istituzionale e monitoraggio e tutoraggio in situazione e l’avvio di nuovi servizi di inserimento lavorativo (SIL) presso le Sezioni che ne sono sprovviste. Verrà inoltre creato un database online di raccolta dati dei potenziali lavoratori e delle aziende dei territori coinvolti.

“Tali azioni – spiega Monica Berarducci, responsabile dell’Osservatorio sul mondo del Lavoro di AIPD e ideatrice del progetto – coinvolgeranno direttamente le organizzazioni partecipanti rendendole protagoniste, con l’obiettivo di potenziare la rete delle sedi AIPD presenti nel Sud e le Isole e creare poli regionali per l’impiego, scardinando il pregiudizio che consiste nel pensare che l’inserimento lavorativo delle persone con sindrome Down è solo un’opportunità “occupazionale” o terapeutica, quindi un peso per l’impresa e non un contributo alla produttività aziendale. Importante anche il lavoro sulle famiglie, in un percorso che permetta loro di riconoscere il loro figlio finalmente adulto e di pensare l’inserimento lavorativo come una reale possibilità di esprimere le capacità lavorative delle persone con sindrome Down e non solo come ore della giornata da riempire”.

Soppressione delle Province: a rischio assistenti educativi e della comunicazione per i disabili

Soppressione delle Province: a rischio assistenti educativi e della comunicazione per i disabili

Il diritto allo studio e ad una efficace inclusione scolastica non sono garantiti solo dagli insegnanti di sostegno o dall’attenzione nella predisposizione di percorsi personalizzati ma, in molti casi, anche dalla presenza di assistenti educativi e della comunicazione (AEC). Il loro supporto è essenziale soprattutto nel caso di alunni sordi, non vedenti o ipovedenti o con pluriminorazioni. Il loro ruolo è espressamente previsto dalla legge quadro 104/1992.

Le competenze riguardo alla loro assegnazione sono state attribuite (legge 112/1998, art. 139, comma 1 c) alle Province.

Com’è noto però la legge 7 aprile 2014, n. 56 – pur nell’intento di perseguire principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza – ha soppresso le Province e ne ha redistribuito le principali competenze istituzionali, ma quelle relative agli AEC rimangono piuttosto indeterminate causando un notevole disorientamento e un rischio per il diritto allo studio delle persone con disabilità.

“Alla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – dichiara Vincenzo Falabella che ne è il Presidente – giungono segnali di allarme da molti territori circa l’assenza di definizione di quale sia la destinazione di questa competenza, se quindi in capo alle Regioni, ai Comuni o alle nuove Città Metropolitane.”

FISH rileva, con preoccupazione e disappunto, come la tendenza appaia orientata maggiormente alla soppressione della competenza stessa e, conseguentemente, all’eliminazione delle figure degli assistenti educativi e della comunicazione.

“Ricordiamo – prosegue Falabella – che la Sentenza della Corte Costituzionale n. 80/2010 garantisce il diritto allo studio delle persone con disabilità senza vincoli di bilancio, riconoscendo che tutti gli strumenti e gli istituti necessari all’educazione inclusiva devono essere garantiti.”

Per chiarire la situazione e scongiurare questi gravi rischi, FISH ha richiesto un urgente incontro con Graziano Delrio, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ritenendo che vi siano gli spazi politici e i tempi tecnici per un intervento dirimente e di salvaguardia dei diritti civili.

Più collegamento tra scuola e lavoro, così Berlino ha ridotto gli abbandoni

da Il Sole 24 Ore

Più collegamento tra scuola e lavoro, così Berlino ha ridotto gli abbandoni

di Claudio Tucci

Il decreto «Buona Scuola» e i provvedimenti attuativi del Jobs act dovranno collegare di più e meglio formazione e mondo delle imprese, e ridare centralità all’istruzione tecnica e professionale. Paesi come la Germania, sono ormai anni che hanno imboccato questa strada, e i numeri gli danno ragione. Berlino, a novembre, ha registrato un tasso di disoccupazione giovanile stabile al 7,4% (in Italia siamo saliti al 43,9 per cento). Tra i tedeschi, poi, gli abbandoni scolastici sono a un fisiologico 9,9%, da noi si supera il 17 % (quasi il doppio).

I ritardi con i tedeschi
E ancora: il numero di apprendisti in Germania sfiora il milione e mezzo di unità, in Italia siamo a quota 470mila, quasi tutti “contratti professionalizzanti” (senza quindi rapporti con scuole o università). E la differenza è pure retributiva: un apprendista tedesco “guadagna” circa 700 euro (una retribuzione che sale con il tempo e sconta l’impegno formativo dell’impresa), mentre nel nostro Paese il costo per l’azienda è più elevato, in media 1.200 euro (in pratica c’è pochissima differenza con una normale busta paga di un lavoratore qualificato).

La ricerca
L’occasione per tornare a discutere di “sistema Germania” è stata la presentazione ieri, all’università Luiss di Roma, davanti al ministro, Giuliano Poletti, e al segretario di Stato del ministero federale dell’educazione tedesco, Georg Schutte, della ricerca «Educare alla cittadinanza, al lavoro e all’innovazione: il modello tedesco e proposte per l’Italia», curata dall’associazione TreeLLLe e dalla Fondazione Rocca.

Le proposte
Un nuovo richiamo ai ministeri dell’Istruzione e del Lavoro italiani: da noi non c’è nessuna diversificazione dell’offerta accademica, e siamo in ritardo sull’istruzione superiore professionalizzante: in Germania ci si iscrivono un milione e 347mila studenti (altri 1,6 milioni scelgono l’università). In Italia invece gli Its (le super scuole di tecnologia post diploma alternative all’università) sono decollati da pochi anni e contano appena 7mila studenti (lo 0,4% del 1.747.000 alunni che frequentano l’istruzione terziaria). Di qui la necessità di un cambio di passo, puntando su un rafforzamento delle normative sull’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato, che va semplificato, reso meno oneroso per le imprese e sviluppato a livello secondario e universitario. C’è necessità poi di introdurre periodi obbligatori (almeno il 20% dell’orario) di formazione “on the job” per tutti i percorsi a carattere tecnico e professionale; gli Its vanno valorizzati, e i docenti formati.

Una caratteristica vincente del modello tedesco è anche la sua capacità di trasferire i risultati della ricerca scientifica al sistema produttivo, favorendo così l’innovazione: in Germania, per esempio, le domande di brevetti (per milioni di abitanti) sono state 272, contro le 63 dell’Italia. E Berlino investe 77,8 miliardi di euro in Ricerca e Sviluppo (contro i nostri 19,8 miliardi).

Gli impegni del Governo
E l’Italia? Il ministro Poletti ha aperto alla possibilità di ulteriori modifiche all’apprendistato: «Ci stiamo ragionando». Mentre nel decreto «Buona Scuola», atteso per fine febbraio, il Miur dovrebbe raddoppiare le ore di alternanza (portandole fino a 200) nelle ultime tre classi degli istituti tecnici e professionali. Inoltre, «puntiamo a rendere strutturale l’apprendistato a scuola previsto dal decreto Carrozza – ha spiegato il sottosegretario, Gabriele Toccafondi -. E sugli Its semplificheremo la rendicontazione, introducendo regole comuni, e le competenze acquisite dai ragazzi saranno certificate nel corso dell’esame finale per renderle subito spendibili sul mercato».

 

Ok in Stato-Regioni al decreto per il riconoscimento delle qualifiche regionali

da Il Sole 24 Ore

Ok in Stato-Regioni al decreto per il riconoscimento delle qualifiche regionali

di Claudio Tucci

Diventa operativo il «Quadro di riferimento nazionale delle qualificazioni regionali», che, all’interno del Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, rappresenta il riferimento unitario per la correlazione delle qualificazioni regionali e la loro progressiva standardizzazione. Oltre che per l’individuazione, validazione, certificazione delle qualificazioni e delle competenze anche in termini di crediti formativi in chiave Ue.

La conferenza Stato-Regioni ha dato l’intesa al decreto interministeriale (Lavoro-Miur) che definisce il quadro operativo per il riconoscimento a livello nazionale delle qualifiche regionali e le relative competenze . L’obiettivo è promuovere così l’apprendimento permanente, favorendo la trasparenza degli apprendimenti e ampliando la spendibilità delle qualificazioni in ambito nazionale ed europeo.

Qualifiche regionali
Le qualificazioni rilasciata da Regioni ed enti locali hanno valore su tutto il territorio nazionale e possono costituire titolo di ammissione ai concorsi pubblici o concorrere ai requisiti professionali per l’accesso alle attività di lavoro riservate. Diventa ora tutto più trasparente. Il decreto specifica poi come le competenze validate o certificate possono costituire credito formativo in ingresso ai percorsi formali di apprendimento secondo criteri e procedure definiti da ciascun ente publico.

Ict e formazione, in Liguria 3mila euro di premi per i progetti degli studenti

da Il Sole 24 Ore

Ict e formazione, in Liguria 3mila euro di premi per i progetti degli studenti

di Alessia Tripodi

Scade il prossimo 10 febbraio il bando di concorso promosso da regione, Usr e Aica e rivolto a istituti professionali ed enti formativi accreditati

Un montepremi da 3mila euro per premiare le «best practice» in materia di Ict messe a punto dagli studenti degli istituti professionali e della formazione. E’ quello messo in palio dal concorso «Progetti digitali – IeFp» lanciato dalla regione Liguria in collaborazione con l’Ufficio scolastico regionale e l’Aica, l’Associazione italiana per l’informatica e il calcolo automatico. Il bando – rivolto alle classi degli Organismi formativi accreditati e degli istituti che realizzano (o hanno realizzato) percorsi triennali di IeFp (istruzione e formazione professionale) nel 2013-2014 e nel 2014-2015 – è promosso nell’ambito delle iniziative per il raggiungimento degli obiettivi Ue in materia di innovazione tecnologica, istruzione e formazione.

Come partecipare
Il concorso, spiega il bando, punta a sviluppare le competenze Ict degli studenti attraverso percorsi formativi «particolarmente innovativi», incentrati sulle capacità critiche e creative dei giovani.
Per questo l’Usr Liguria invita gli istituti professionali e gli enti formativi a segnalare esperienze significative realizzate dalle classi su temi legati alla didattica attraverso la produzione di videoclip, percorsi multimediali, prodotti online e offline, fruibili dai principali player (Vlc, Media Player) o browser.
Saranno assegnati 4 premi del valore di 750 euro ciascuno, ma sono previste anche menzioni speciali di valore simbolico.
Il termine per la presentazione degli elaborati scade il prossimo 10 febbraio. Per informazioni e adesioni cliccare qui .

Educazione civica europea in tutte le classi entro il 2020

da La Stampa

Educazione civica europea in tutte le classi entro il 2020

Un programma pilota fornirà i moduli didattici per gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie
roma

L’educazione civica europea materia in tutte le scuole entro il 2020. Un accordo siglato tra il Miur e la Commissione Europea ha promosso un programma pilota sperimentale per munire i docenti del materiale didattico necessario a trasmettere agli studenti le nozioni della materia. sul modulo dedicato all’Unione europea.

L’accordo prevede – attraverso un progetto pilota che sta per partire – una fase sperimentale di elaborazione dei moduli didattici per gli insegnanti delle scuole primarie, secondarie e secondarie superiori.

In una seconda fase, da portare a compimento entro il 2020, i 234.000 docenti italiani che oggi insegnano “Cittadinanza e Costituzione” potranno acquisire gli strumenti per offrire ai loro alunni, all’interno dello stesso insegnamento, un modulo didattico dedicato all’Unione europea.

«L’appartenenza all’Unione europea riguarda ormai gran parte dei diritti e dei doveri del cittadino e rappresenta – spiegano i firmatari – una dimensione imprescindibile della cittadinanza». Per questo attraverso questo partenariato si vuole «diffondere la conoscenza della dimensione civica europea tra gli alunni, futuri cittadini».

Scuola, l’exploit dei quindicenni italiani: balzo nelle prestazioni secondo i test Pisa

da la Repubblica

Scuola, l’exploit dei quindicenni italiani: balzo nelle prestazioni secondo i test Pisa

Nella classifica apparsa sul sito dell’Ocse, i ragazzi del Paese sono tra quelli che fanno registrare i più significativi progressi in compagnia di Brasile, Germania, Grecia, Messico, Tunisia e Turchia. I matematica il punteggio è cresciuto di quasi 20 lunghezze

Buone notizie per i quindicenni italiani. Nonostante le loro performance in Matematica, Italiano e Scienze restino al di sotto delle medie Ocse, l’Italia è uno dei paesi che è riuscito a migliorare maggiormente le prestazioni dei propri studenti nell’ultimo decennio. A certificarlo è il focus numero 47 sui test Pisa (Programme for International Student Assessment) 2012 che l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha pubblicato sul proprio sito. Il nostro Paese si trova in compagnia di Brasile, Germania, Grecia, Messico, Tunisia e Turchia. Nazioni che, pur partendo da livelli diversi, sono riusciti a migliorare più delle altre le prestazioni dei propri quindicenni. Insomma, non solo batoste internazionali per la scuola italiana. Ogni tanto arriva anche qualche soddisfazione.

Dal 2000 l’Ocse effettua uno studio sulle competenze fondamentali dei quindicenni di mezzo mondo perché a Parigi sono convinti che lo sviluppo economico di un paese sia strettamente legato al livello di preparazione dei propri cittadini. Per questa ragione ogni tre anni l’Ocse sonda le competenze in Lettura, Matematica e Scienze dei quindicenni di decine di nazioni di tutti i continenti e di volta in volta effettua un approfondimento in una singola area. Poi, stila tre classifiche internazionali e pubblica un ponderoso volume con una serie di approfondimenti che i singoli ministeri dell’Istruzione possono utilizzare per rivedere le proprie politiche scolastiche. L’ultima indagine è quella condotta nel 2012  –  con approfondimento sulla Matematica  –  ma pubblicata l’anno scorso. I giovani italiani rispetto alla tornata del 2003 sono riusciti a migliorarsi più dei compagni di altre nazioni.

In Matematica, dal 2003 al 2012, il punteggio dei ragazzini nostrani è cresciuto di quasi 20 lunghezze, passando da 466 a 485 punti. Un balzo in avanti superiore al 4 per cento che può vantare sono qualche nazione. “Il miglioramento delle prestazioni nel Pisa  –  scrivono gli esperti dell’Ocse  –  non è legato alla geografia, alla cultura o alla ricchezza nazionale. Nella maggior parte dei casi, i paesi che mostrano un significativo miglioramento delle prestazioni Pisa – Brasile, Germania, Grecia, Italia, Messico, Tunisia e Turchia – sono quelli che riescono a ridurre la percentuale di studenti con scarse capacità”. In altre parole: “anche nel corso del tempo, l’eccellenza e l’equità nell’istruzione non sono obiettivi mutuamente esclusivi”.

Sembra proprio questo il segreto per scalare le classifiche internazionali: prestare maggiore attenzione agli alunni in difficoltà supportandone gli apprendimenti e portandoli a livelli almeno sufficienti. Il nostro Paese, in appena un decennio, ha infatti ridotto di oltre sette punti percentuali  –  dal 31,9 al 24,7 per cento  –  gli alunni che in matematica mostravano scarse competenze. Meglio di noi hanno fatto soltanto Messico  –  meno 11,2 per cento  –  Tunisia e Turchia  –  meno 10,2 per cento  –  Brasile e Polonia. Un messaggio chiaro anche per gli operatori della scuola e il governo italiano alle prese con l’ennesima riforma della scuola: non è possibile migliorare le performance complessive del proprio sistema di istruzione se non si focalizzano le risorse sui più deboli e gli alunni meno attrezzati

Posizioni economiche Ata: il lavoro è stato fatto ma i soldi non arrivano

da La Tecnica della Scuola

Posizioni economiche Ata: il lavoro è stato fatto ma i soldi non arrivano

Nessuna soluzione, almeno per il momento, per 5.200 Ata che hanno svolto attività aggiuntive ma che non hanno ancora ricevuto il pagamento di quanto concordato fra Aran e sindacati la scorsa estate.

È veramente una vicenda kafkiana quella che è capitata al personale scolastico Ata che ha la qualifica per ricoprire specifiche funzioni, tali da rendere un servizio efficiente e di qualità. In un momento in cui le segreterie scolastiche scoppiano di lavoro, al limite delle molestie burocratiche, si sfrutta il lavoro qualificato degli amministrativi e poi ci si dimentica di pagarli adeguatamente. Rimangono non pagate le posizioni economiche ata del 2011-2012, 2012-2013 e del 2013-2014. Ieri al Miur, al riguardo proprio delle posizioni economiche ata, sono stati ricevuti i sindacati. In tale incontro è emerso che secondo il parere del Ministero di economia e finanza, le posizioni economiche Ata non rientrerebbero nel CCNL sottoscritto all’Aran il 7 agosto 2014. Dunque, sempre secondo il parere del Mef, le posizioni suddette non devono essere pagate e non godranno in futuro di recuperi economici. In buona sostanza per il Mef, il lavoro è stato fatto ma i soldi non arriveranno. Su questo fronte si sono schierati contro i sindacati, che hanno rivendicato il fatto che il personale regolarmente inserito negli elenchi dei titolari di posizione economica, e che hanno effettivamente  svolto la funzione, hanno diritto a essere pagati. D’altronde è la ratio di quanto è scritto nel contratto siglato il 7 agosto 2014. Infatti in tale accordo è scritto: “L’emolumento una tantum di cui al presente articolo, è corrisposto per il periodo in cui la posizione è riconosciuta ai soli fini giuridici, in ragione delle mensilità stipendiali percepite o da percepire dall’attribuzione giuridica della posizione economica fino al 31 agosto 2014”.
Purtroppo, di questi tempi tra sindacato e Mef, sembra sempre prevalere la posizione di quest’ultimo e a pagarne le conseguenze sono sempre i lavoratori a cui vengono calpestati i diritti più elementari, cioè quello di ricevere un giusto compenso rispetto le funzioni effettivamente svolte. Per quanto riguarda le posizioni economiche del nuovo anno, ci sarà un altro incontro il prossimo 28 gennaio, speriamo che ci siano notizie più confortanti.

Esami di scuola media, quasi una formalità: superati dal 99,7% degli alunni

da La Tecnica della Scuola

Esami di scuola media, quasi una formalità: superati dal 99,7% degli alunni

Il dato è contenuto nel Focus, appena pubblicato dal Miur, sugli esiti degli scrutini ed esami a.s. 2013/2014 aggiornati al 1° novembre 2014: è il colloquio orale a portare in alto la media del punteggio, mentre nel test Invalsi e in Matematica gli studenti brillano meno. Meglio le ragazze e al Nord. Gli stranieri hanno più difficoltà, ma non i cinesi.

Gli alunni di terza media continuano quasi tutti ad essere promossi all’Esame di Stato: il dato è contenuto nel Focus, appena pubblicato dal Miur, sugli esiti degli scrutini ed esami a.s. 2013/2014 aggiornati al 1° novembre 2014.

Ebbene, dai dati ufficiali emessi dal dicastero dell’Istruzione, risulta che lo scorso a superare l’Esame è stato il 99,7% dei circa 589 mila gli studenti coinvolti. Inoltre, si registra un leggero aumento del tasso di ammissione all’esame: in media di un punto percentuale. Ma non per gli studenti di Sicilia e Sardegna, dove risulta si perdono rispetto alla media nazionale rispettivamente 1,4 e 2,3 punti.

Negli ultimi anni i bravissimi sono aumentati: la percentuale di 6 e 7 dal 2012 è calata di 2,5 punti, tutti a favore della fascia di voto tra l’8 e il 10 e lode. La media di voto finale, comunque, si assesta sul 7 e mezzo.

Il Miur ricorda che tra tutte le prove (italiano, matematica, inglese, seconda lingua, prova Invalsi e colloquio) è il colloquio orale a portare in alto la media del punteggio, mentre nel test Invalsi e in Matematica gli studenti brillano meno. Se la media riportata all’esame orale è poco meno di 8, i problemi di aritmetica e geometria non arrivano che a un 7 più mentre il punteggio del Test Invalsi non raggiunge il 7. Per quanto riguarda le differenze di genere, le studentesse hanno dei voti in media di mezzo punto più alto, sia nella prova di italiano sia nelle lingue.

A livello regionale, gli studenti hanno mostrato comportamenti piuttosto omogenei arrivando mediamente a un 6,8. Leggermente più bravi degli altri sono risultati gli studenti siciliani e molisani con un voto pari a 7, i meno brillanti i sardi che hanno superato la prova con un voto medio di 6,5. Tuttavia, rispetto all’anno precedente, i risultati riportati dagli studenti ai test dell’Invalsi sono migliorati, passando dal 6,2 al 6,8.

Altro dato indicativo è che è leggermente aumentata anche la quota di ammessi in occasione degli scrutini delle prime due classi: si è passati dal 95,7% del 2011/12 al 96,5% del 2013/14. Con la fase di selezione che si conferma più marcata al primo anno.

Il Focus ministeriale si è soffermato anche sugli studenti con cittadinanza non italiana, che mediamente hanno riportato risultati meno brillanti. Tuttavia, tra loro spiegano i ragazzi cinesi hanno ottenuto in matematica una votazione di circa un punto superiore alla media.

Il Miur ha anche reso note le scelte delle superiori, che coinvolgono proprio in questi giorni i “colleghi” più giovani di una anno: il liceo si conferma l’istituto che più piace agli alunni che ottengono voti alti. Circa l’80% dei nove, il 90% dei dieci e il 95% dei dieci e lode hanno scelto un percorso tra il classico, scientifico e gli altri indirizzi della formazione liceale. Tecnici e professionali pescano invece di più i loro studenti tra i ragazzi dalle votazioni appena sopra la sufficienza.

 

Fondazione Agnelli: la dispersione preoccupa, ma nessun allarme

da La Tecnica della Scuola

Fondazione Agnelli: la dispersione preoccupa, ma nessun allarme

Da parte dell’organizzazione torinese non c’era alcuna intenzione di mettere in dubbio le stime emesse dall’Unione Europea (Eurostat) sull’entità del fenomeno dei giovani solo in possesso della licenza media: il problema vero è che mancano ancora molte anagrafe regionali sugli esiti formativi dei giovani iscritti ai Cfp.

Sulla dispersione scolastica niente allarmismi, ma esiste l’esigenza di venire in possesso sugli esiti formativi dee tanti giovani che ogni anno si iscrivono ai corsi di formazione professionale: a sostenerlo è la Fondazione Agnelli, dopo che nei giorni scorsi aveva spiegato che ancora oggi “il 28-30% la percentuale di coloro tra i 18 e i 23 anni che non concludono la secondaria superiore”.

Ora, però, è arrivata la sottolineatura: “purtroppo – fa sapere la Fondazione Agnelli – , il clamoroso ritardo nella realizzazione di molte anagrafi regionali e nella loro integrazione con quella del MIUR impedisce oggi di avere quei dati che sarebbero necessari per politiche nazionali e locali di prevenzione e contrasto alla dispersione scolastica”.

Che ha poi confermato il dato ufficiale emesso “dall’Unione Europea (Eurostat): ammontava nel 2013 al 17%, riferendosi a quei giovani fra i 18 e i 24 anni che si sono fermati al titolo di terza media e risultano fuori da qualsiasi percorso formativo”.
Secondo la Fondazione Agnelli, qualsiasi riflessione su come prevenire e contrastare la dispersione scolastica deve comunque “partire da questo dato, che è la spia di un fenomeno in ogni caso estremamente grave e preoccupante per il nostro Paese e – nonostante i miglioramenti degli ultimi anni – resta 7 punti sopra l’obiettivo europeo del 10% e anche sopra l’obiettivo redeclinato per l’Italia al 15%”.

E ancora: “la comprensione e la stima del fenomeno della dispersione scolastica in Italia non possono prescindere dalla considerazione degli esiti dei percorsi di formazione professionale regionale e questo è un punto decisamente problematico. Per avere, infatti, un’idea più precisa di quanti siano e quale profilo abbiano i ragazzi e le ragazze che si trovano maggiormente a rischio di abbandono sarebbe cruciale avere informazioni affidabili su:
(i) quanti studenti usciti dal percorso di istruzione secondaria (dopo la terza media o nei primi anni di superiori) transitano alla formazione professionale regionale;
(ii) quanti di costoro portano a termine tale percorso, che – a differenza di altri paesi europei – è comunque più breve rispetto a quello dell’istruzione secondaria e non dà accesso all’università;
(iii) quali competenze abbiano effettivamente acquisito questi ragazzi e se siano tali da consentire un dignitoso inserimento nel mondo del lavoro e un ruolo attivo nella società (un interrogativo che, peraltro, andrebbe esteso anche a molti studenti che raggiungono il diploma di maturità, ma le cui competenze risultano inadeguate, secondo le rilevazioni internazionali)”.

Insomma, su circa il 10% di studenti a rischio occorrono altre informazioni. Quelle che i Centri di formazione professionale dovrebbero fornire in tempi rapidi.

Faraone: in arrivo due nuovi ruoli per i prof

da La Tecnica della Scuola

Faraone: in arrivo due nuovi ruoli per i prof

I docenti italiani, che finora sono stati retribuiti con progressioni esclusivamente legate all’anzianità di servizio, avranno l’opportunità di una carriera vera e propria: lo sostiene Faraone in una intervista al Sole 24 Ore.

Secondo Il Sole 24 Ore, che riporta l’intervista al sottosegretario Davide Faraone,  ciò sarebbe dovuto a due novità di rilievo:

le risorse per far crescere le busta paga saranno assegnate per almeno due terzi in base al merito e potranno aspirare a svolgere due nuove funzioni: insegnante «mentor», specializzato nella didattica, e «quadro-intermedio», più finalizzato al supporto organizzativo.

In un colloquio con il «Sole 24 Ore» il sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone, sottolinea come nella scuola «lo Stato abbia per molto tempo applicato il vecchio scambio della prima Repubblica: “basso stipendio, richieste minime”, senza alcuna valorizzazione delle differenze».

«La carriera è un diritto degli insegnanti. Già oggi – spiega – una parte significativa dei professori non si concepisce come mero esecutore di compiti, ma come professionista, progettista di percorsi formativi o come quadro che supporta il preside e la scuola».

Da qui la sua intenzione di superare «l’omologazione e la mancata differenziazione del lavoro» e la convinzione che è il «momento di cambiare visto che sono maturi i tempi per costruire percorsi di carriera per i professori».

Del resto, le scuole sono realtà con oltre un centinaio di professori, a parte il personale amministrativo, e sono gestite da un dirigente alle prese con un’unica categoria di personale. Domani, cioè all’inizio del prossimo anno scolastico, in ogni istituto ci sarà un 20%-30% di personale docente, che oltre agli scatti legati alla valutazione, potrà accedere ai due percorsi di carriera. Il primo, sarà orientato a supportare la didattica. Saranno figure “mentor”, che potranno anche fare da tutor ai 140mila neo-assunti il prossimo 1° settembre.

Il secondo percorso sarà invece più orientato al supporto organizzativo e alle attività connesse alla gestione della scuola (una sorta di “middle management”). Oggi molti docenti rivestono ruoli intermedi, indispensabili per far funzionare il sistema. Senza che questi compiti, però, abbiano consentito a chi si è impegnato di avere un minimo riconoscimento economico e nessuna progressione professionale.

Alcuni dettagli sono ancora in fase di definizione, come le modalità d’accesso ai due nuovi percorsi e le forme di pagamento. Ma il punto fermo, sottolinea Faraone, è che entrambe le carriere «verranno retribuite più di oggi e il titolo acquisito sarà permanente dal punto di vista giuridico, non cambierà cioè con l’arrivo di un altro dirigente scolastico».

Inoltre, «faremo in modo che questi due percorsi rappresentino una precondizione giuridica per accedere a un’ulteriore crescita professionale, la dirigenza scolastica, la dirigenza tecnica e amministrativa, ma anche per ricoprire ruoli all’interno di università, centri di ricerca. Non dimentichiamo infatti che nei nostri istituti lavorano esclusivamente professionisti laureati e specializzati».

I due nuovi percorsi di carriera per i professori modificheranno anche i compiti del preside: «Si punterà su una robusta sburocratizzazione – evidenzia Faraone -. Oggi i capi d’istituto si occupano anche di funzioni “improprie”, come la ricostruzione di carriera o di calcolo delle pensioni del personale che va in quiescenza. Alleggeriremo i loro compiti». Inoltre, alle scuole arriveranno, da subito, più fondi: «Per il funzionamento – dice Faraone – abbiamo assegnato 50 milioni, con l’impegno a stabilizzare le risorse aggiuntive in almeno 25 milioni dal 2016. Novanta milioni, sempre una tantum, andranno invece per potenziare laboratori, biblioteche, digitalizzazione. Complessivamente, immetteremo 140 milioni di risorse fresche, frutto di risparmi del Miur. In questo modo i soldi che invieremo alle scuole passeranno dagli attuali 15-16mila euro medi a circa 35mila euro». (Da Il Sole 24 Ore)

Parere dell’U.s.r. Umbria sulle ferie del personale docente

da La Tecnica della Scuola

Parere dell’U.s.r. Umbria sulle ferie del personale docente

L.L.

I sei giorni di ferie da fruire nel periodo delle lezioni possono essere fruiti solo se non si determinino oneri per l’erario

I sei giorni di ferie che i docenti possono chiedere durante il periodo delle lezioni possono essere fruiti solo a condizione che non si determinino oneri per l’erario.

Questa è la posizione dell’U.s.r. per l’Umbria che con un parere del 20 gennaio 2015 risponde ad una richiesta riguardante la questione, precisando tuttavia che non esiste un’interpretazione autentica sul punto che raccordi le disposizioni di legge sopravvenute con quelle contrattuali.

Ad avviso dell’U.s.r., le disposizioni di legge (art. 1, commi 54-55-56, del D.L. convertito con L. 228/2012) e quelle contrattuali (artt. 13 e 15 del CCNL Scuola 2006-2009), anche alla luce del rapporto gerarchico tra le predette fonti (la contrattazione collettiva è gerarchicamente subordinata alla legge), i suddetti sei giorni di ferie da fruire nel periodo delle lezioni, sia che siano chiesti come ferie, sia in aggiunta ai tre giorni di permessi retribuiti, possono essere fruiti solo se non si determinino oneri per l’erario. Questo significa che spetterà al Dirigente scolastico valutare se ricorrono o meno gli estremi per consentire di fruire del periodo di ferie richiesto senza che ciò determini oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.

Con riguardo ai tre giorni di permessi retribuiti, lo stesso U.s.r. precisa che “occorre tenere conto di quanto previsto dal D.L. n. 101 del 31/08/2013, convertito in legge con la L. n. 125 del 30/10/2013 e relativa circolare n. 2/2014 del Dipartimento per la funzione pubblica. Si precisa, tuttavia, che le disposizioni di dettaglio contenute nella nota MIUR prot. n. 5181 del 22/04/2014, non riguardano il personale della scolastico come da avviso MIUR. Tenuto conto che analoga richiesta di parere è stata fatta anche all’Avvocatura di Stato, alla quale la presente nota viene inviata per conoscenza, si prega di comunicare il riscontro della stessa al fine di conoscerne il contenuto”.

Se gli alunni valutano i prof

da La Tecnica della Scuola

Se gli alunni valutano i prof

 

L’Unione degli studenti, Udu, critica sulla possibilità di affidare agli studenti mezzi per valutare i loro insegnanti: una pensata strumentale del Governo per fomentare una guerra tra prof e alunni

Danilo Lampis, coordinatore nazionale dell’Unione degli Studenti, in una nota scrive: “Apprendiamo a mezzo stampa che nel decreto legge e nella legge delega per l’attuazione de La Buona Scuola si prevederà la somministrazione in tutti gli istituti di un questionario-pagella che gli studenti saranno chiamati a compilare per valutare i docenti affinché il nucleo di valutazione della scuola, in cui sarà presente anche un rappresentante della componente studentesca, possa esprimersi sugli scatti di carriera degli insegnanti”

“Nonostante lo studente rappresentante non si esprimerà sugli scatti stipendiali ma solo sulla stabilizzazione del neo-docente, non accettiamo che la rivendicazione storica del movimento studentesco di una valutazione dei docenti da parte degli studenti, pensata per consentire a questi ultimi di potersi esprimere sulla didattica e sull’effettiva qualità del processo formativo e per poter quindi contribuire attivamente al miglioramento complessivo della realtà scolastica, venga utilizzata strumentalmente dal Governo per alimentare una guerra tra poveri all’interno delle nostre scuole e continuare a produrre classifiche degli istituti e del personale”

“Nel corso dell’autunno caldo abbiamo invaso centinaia di piazze per rivendicare un maggiore protagonismo all’interno delle nostre scuole. Non abbiamo bisogno di una patina di democraticità, di contentini o di poltrone da occupare in organi non paritetici e pensati per legittimare la premialità e la competitività.”

“Commissioni paritetiche per redigere il Pof e individuare i criteri valutativi, organi collegiali che favoriscano la partecipazione studentesca e lo strumento del referendum studentesco devono essere istituiti e introdotti prioritariamente negli istituti. Gli studenti devono poter sollevare contraddizioni, far emergere problematicità in maniera individuale affinché anche il docente possa fare autocritica sul proprio insegnamento e modellarlo per non lasciare nessuno indietro. Questa valutazione non deve avvenire come quella finale tramite voto, ma deve consistere in un lavoro individuale tra docente e studente  capace di costruire un altro modello di vivere la scuola in termini relazionali. Il nucleo di valutazione della scuola non si esprima circa l’apprendimento e l’offerta formativa, ma sull’abbandono scolastico, i servizi interni alla scuola, il rapporto studenti/docenti, il rapporto non ammessi/popolazione scolastica per slegare la valutazione da fini punitivi o premiali e per metterla al servizio del miglioramento effettivo delle condizioni di chi vive la scuola ogni giorno.”

“Positiva l’attenzione che è stata riservata allo “Statuto delle studentesse e degli studenti in stage”, alle competenze di cittadinanza e alla legge nazionale per il diritto allo studio, tutte rivendicazioni che hanno da sempre animato la nostra associazione.”

“Faremo pressione affinché queste proposte non rimangano slogan ma si concretizzino  mediante l’istituzione di un fondo perequativo statale che garantisca un’uniforme erogazione di servizi e prestazioni sul diritto allo studio a livello regionale. Chiediamo che venga altresì calendarizzata al più presto la discussione della legge nazionale già depositata in Parlamento e sia previsto un tavolo di confronto con le associazioni studentesche.”