Medicina, Giannini firma riordino specializzazioni

Medicina, Giannini firma riordino specializzazioni:
meno scuole e anni di corso e più borse
“Ora Miur al lavoro su secondo bando concorso nazionale”

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini ha firmato il decreto di riordino delle Scuole di specializzazione di Medicina. La durata delle Scuole viene ridotta mediamente di un anno. Non esisteranno più percorsi di studio di 6 anni: potranno essere di 3, 4 o 5 anni al massimo. Per diventare chirurghi generali o neurochirurghi, ad esempio, serviranno 5 anni di formazione e non più 6. Scuole come Geriatria, Dermatologia, Oftalmologia, dureranno 4 anziché 5 anni. La riduzione del percorso di studio riguarda oltre 30 Scuole su 55. E’ previsto anche l’accorpamento di cinque Scuole precedentemente esistenti, mentre due (Medicina aeronautica e spaziale e Odontoiatria clinica generale) vengono soppresse. Le Scuole di specializzazione passano dalle attuali 61 a 55.

“Si tratta di un provvedimento atteso – sottolinea il Ministro Giannini – che consentirà ai nostri giovani medici di specializzarsi in anticipo e di entrare prima nella professione. Le novità introdotte avranno l’effetto, fra l’altro, di incrementare le borse messe a disposizione dal Ministero, che per quest’anno saranno circa 700 in più. Ora il Miur è al lavoro sul secondo bando di concorso nazionale per l’ingresso nelle Scuole – chiude il Ministro – Alle università chiedo di rivedere a tempo di record gli ordinamenti”.

Il decreto firmato oggi mette infatti mano agli ordinamenti didattici delle Scuole di specializzazione, con i relativi obiettivi formativi, e rivede la distribuzione dei crediti fra le attività previste. Almeno il 70% della formazione dovrà essere dedicato allo svolgimento di attività professionalizzanti (pratiche e di tirocinio). Gli specializzandi potranno fare il loro percorso all’interno di una rete formativa più ampia che potrà includere, oltre alle strutture universitarie, i presidi ospedalieri e le strutture territoriali del Servizio sanitario, attraverso un meccanismo rigoroso di accreditamento secondo specifici parametri valutativi. Gli specializzandi assumeranno una progressiva responsabilità durante il periodo di formazione, soprattutto nell’ultimo anno di corso. Il provvedimento rafforza l’integrazione fra il sistema sanitario e quello universitario. Dopo la firma del Ministro Giannini ora il decreto passa alla firma del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

Il merito del docente? Insegnare bene non sempre basta

Il merito del docente? Insegnare bene non sempre basta *

di Maurizio Tiriticco

 

Il ruolo e la funzione di un qualsiasi lavoratore sono strettamente legati al modello organizzativo in cui opera. E’ un principio che ha la sua valenza soprattutto nelle società avanzate e con tale ottica occorre guardare anche al nostro complesso “Sistema educativo di istruzione e formazione”. In effetti, non è corretto oggi parlare di “scuola”, intendendo un edificio in cui si insegna e si apprende: occorre parlare di “istituzione scolastica autonoma”. La questione non è solo semantica, ma rinvia al profondo rinnovamento che abbiamo avviato alla fine del secolo scorso con il dpr 275/99: l’autonomia scolastica, un processo che aveva le sue origini fin dall’epoca dei “decreti delegati” del ’74, ma che in effetti non è ancora giunto a compimento per una serie di difficoltà che sarebbe interessante enumerare, ma che ci porterebbero lontano dall’assunto di queste note.

Ciò che interessa sottolineare in questa sede è la questione del ruolo e della funzione di un insegnante all’interno di tue tipologie di scuole. Nella scuola della tradizione ruolo e funzione sono legati unicamente alla/e disciplina/e di insegnamento. Tra chi dirige e chi insegna non vi è alcuna soluzione di continuità: il lavoro dell’insegnante si svolge per il totale delle ore di servizio nell’insegnamento in aula. Dagli anni Settanta in poi le modifiche apportate (pensiamo ad esempio alle figure di sistema) sono state indubbiamente importanti, ma il rapporto funzione/ore di insegnamento non ha subito alcuna modifica di rilievo.

Eppure oggi, in una scuola che opera in chiave di apprendimento per tutta la vita, che è uno dei segmenti in cui si “educa”, si “forma” e si “istruisce” (dpr 275/99, art. 1, c. 2) – quindi al di là del tradizionale insegnare/apprendere – le figure degli operatori dovrebbero essere profondamente diversificate. Le esigenze che una scuola di tutti propone non si affrontano e non si risolvono soltanto insegnando discipline tout court.

Un solo esempio: in una scuola in cui la presenza di alunni stranieri si fa sempre più massiccia, le attività di prima socializzazione vanno ben oltre il puro e semplice insegnamento squisitamente disciplinare. In altre parole, non è detto che un insegnante, esperto di materia, debba “spendere” l’intero tempo di lavoro in aula ad insegnare la “sua” materia. Sarebbe invece opportuno che arricchisse la sua professionalità di segmenti “nuovi”, che conducano ad attività di accoglienza, di sostegno, di socializzazione, di orientamento, che prescindono dalla disciplina di competenza.

Valga un secondo esempio: le prove Invalsi sollecitano nelle scuole esperienze valutative innovatrici rispetto ad una certa tradizione, nonché diverse applicazioni metodologiche e docimologiche. E’ necessario che un docente si faccia carico di acquisire competenze in merito, anche e soprattutto per le ricadute che avrà sugli altri docenti. Altrettanto si può dire per altre attività, che non ricadono direttamente sulla cosiddetta “disciplina di competenza”. Ad esempio, sappiamo quanto siano importanti oggi, nella scuola dell’autonomia, attività non curricolari “altre”, sul territorio, sul mondo del lavoro, delle quali occorre avere conoscenza al fine di farne il necessario buon uso. E ancora: sappiamo quanto sia importante l’orientamento degli alunni per quanto riguarda lo snodo tra la scuola media e i gradi successivi di istruzione: orientamento, a cui dovrebbe seguire una diffusa alternanza scuola/lavoro come pratica ricorrente e non eccezionale. Per non dire quanto l’esperienza di un insegnante “anziano” possa contare per “aiutare” i più giovani nel governo dei gruppi alunni, delle dinamiche interpersonali, delle pratiche laboratoriali, della peer education.

Si tratta di una serie di attività di cui alcuni insegnanti potrebbero farsi carico: alcune delle ore contrattuali potrebbero essere spese in aula come di consueto, ma altre in attività di relazione e di aiuto, di cui l’istituzione scolastica autonoma oggi necessita. Il superamento dell’orario di cattedra consentirebbe nei tempi medio lunghi di arricchire l’istituzione scolastica di professionalità via via sempre nuove e sempre più rispondenti alle necessità di un’utenza scolastica sempre diversa e, per certi versi, sempre più problematica. La scuola di un tempo oggi è sempre più un’istituzione aperta a soggetti portatori di problemi sempre più complessi. E’ lo scotto che si paga nelle società sempre più globalizzate.

A mio giudizio, è questa la chiave con cui vanno lette le innovazioni della Buona scuola in materia di funzione docente. E il merito va ricercato non tanto nell’insegnamento disciplinare, di cui fa già testo un concorso vinto, ma in attività di cui abbiamo ad oggi solo sporadici significativi esempi, che però debbono essere implementati e generalizzati. Premi, scatti e tutto ciò che riguarda una gestione intelligente e produttiva del decreto Brunetta possono essere occasione non per dividere gli insegnanti tra buoni e cattivi, ma per incentivare quelle professionalità nuove di cui la scuola in un Paese come il nostro ha estremo bisogno.

 

* in ItaliaOggi del 27 gennaio 2015

Scuole di montagna e delle isole in via d’estinzione

da La Stampa

Scuole di montagna e delle isole in via d’estinzione

3.600 istituti cancellati dal dimensionamento degli ultimi anni, 236 situate nelle aree più isolate
roma

Tra i 3.600 istituti cancellati dalle riforme e dal dimensionamento degli ultimi anni, vi sono 236 realtà scolastiche situate nelle aree più isolate e impervie del Paese. Nelle zone montane del Molise ne sono state fatte sparire il 37%: quattro su dieci. Nel Lazio il 25%, in Calabria e Campania il 24%. In Toscana sono state chiuse sei scuole, che corrispondono a 46 cattedre.

Nelle isole minori i tagli sono stati meno vistosi, ma si sta andando verso le classi “pollaio”, con utenti e insegnanti costretti a raggiungere le sedi rimaste in vita attraverso viaggi lunghi e al limite del sopportabile.

Lo denuncia l’Anief, ricordando che «per Tar e Consulta bisogna riparare il danno ma sembra che nessuno voglia tornare indietro».

Fino al 15 febbraio prossimo, dice il sindacato, le famiglie avranno la possibilità di potersi registrare nella pagina web e di prendere confidenza con il sito internet del Miur creato ad hoc, indicando l’istituto prescelto per il prossimo anno scolastico. Ma i titoli di studio rilasciati dalle scuole, avverte l’Anief, potrebbero essere messi in discussione dalla giustizia amministrativa: negli ultimi anni le cancellazioni e gli accorpamenti degli istituti hanno introdotto parametri minimi di iscritti spiccatamente elevati, con il risultato che le 12 mila sedi scolastiche italiane si sono ridotte alle attuali 8.400, con effetti negativi drastici sulla qualità dell’offerta formativa.

«Ora non venite a dirci che le lezioni online possono sopperire quelle reali. La realtà è che vi sono tutti i motivi formativi e legislativi per ridare vita e quelle scuole» afferma Marcello Pacifico (Anief-Confedir).

«Non abbiamo alcun preconcetto sulle nuove tecnologie applicate alla didattica, ma l’attività scolastica si fa in classe: il valore aggiunto alla formazione che può dare un insegnante in carne e ossa, il gruppo e l’interazione con i compagni, è imparagonabile rispetto a quello prodotto via web o attraverso lezioni virtuali. Se il Governo vuole davvero rilanciare la scuola pubblica, si impegni seriamente a ridare vita alle 3.600 scuole falcidiate dalle riforme e dal cosiddetto dimensionamento. Ad iniziare dagli istituti collocati in montagna e nelle piccole isole, dove la sparizione di tante scuole autonome ha prodotto danni irreparabili», conclude Pacifico.

L’italiano insegnato come seconda lingua agli alunni stranieri

da Corriere della sera

L’italiano insegnato come seconda lingua agli alunni stranieri

Entro febbraio la riforma della scuola. Alle superiori si potranno scegliere le materie dell’ultimo triennio

Venti capitoli. Più insegnanti e sempre più specializzati. Maestri di italiano per gli studenti stranieri. Massiccia presenza dei privati nella scuola. Materie scelte dagli studenti negli ultimi tre anni di superiori. Più ore in azienda durante l’orario scolastico. Si delinea sempre di più la riforma della «Buona scuola», quella su cui il premier Matteo Renzi ha messo la faccia dal primo giorno del suo mandato, quella che lo stesso Renzi all’inizio del 2015 ha promesso di far conoscere al mondo, «iniziate a segnarvi questa data: 22 febbraio, Roma», il cui decreto sarà una delle prime cose che il nuovo presidente della Repubblica dovrà affrontare.
Tanto per cominciare la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini fa sapere che gli studenti stranieri nelle classi potranno avere il loro insegnante di italiano, materia che per loro equivarrà alla lingua straniera, Italiano L2. Il problema riguarda almeno 700 mila alunni, il 10% del totale. Bisogna, dice la ministra, «attrezzare una generazione di maestri e professori per l’insegnamento linguistico agli alunni stranieri», perché oggi è tutto lasciato alla buona volontà di maestri e associazioni. Gli insegnanti di «L2» dovranno invece avere un percorso ad hoc, come tutti gli altri con una propria classe di concorso. «Una buona idea — dice Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda Insegnanti —, ma è importante concentrarsi sulle elementari, potenziare l’insegnamento lì dove c’è la prima linea». Ma, si chiede, «con quali soldi?».
Per gli studenti stranieri, il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone sta anche pensando a soluzioni per evitare le cosiddette «classi ghetto» costituite solo da stranieri: «Il principio deve essere quello dell’eterogeneità: non parliamo di quote, ma se lasciamo dei posti liberi per ogni classe, si possono distribuire meglio gli iscritti provenienti da altri Paesi».
Nella Buona scuola del governo Renzi si delinea sempre di più anche il ruolo dei privati, accennato al punto 12 del documento sulla capacità di attrarre risorse di singoli cittadini o imprese. «La Buona scuola è ormai un brand , un marchio», sottolinea Faraone spiegando che sempre più aziende stanno stipulando protocolli d’intesa con il Miur per «adottare» le scuole offrendo loro servizi e prodotti. Il Miur ipotizza quindi degli «school bonus», una sorta di defiscalizzazione, per chi finanzia progetti o prende ragazzi in stage, e pensa ad un albo online di buone pratiche cui singoli e aziende possono far riferimento per destinare risorse. «La scuola è di tutti — dice Faraone — è parte integrante della società, perciò è fondamentale che tutti collaborino perché sia la migliore scuola possibile».
E anche il percorso dell’alternanza scuola-lavoro va in questa direzione: 600 ore nell’ultimo triennio che gli studenti dovranno trascorrere nelle aziende. «Bisogna lavorare sulle competenze specifiche — dice il sottosegretario al Miur Gabriele Toccafondi —: solo così si può combattere la disoccupazione giovanile».
Intanto, sempre nell’ultimo triennio, gli studenti potranno scegliere quali materie seguire, una specie di percorso personalizzato in vista dell’università, «ma non parlate di menu à la carte», dicono al Miur. Ci saranno alcune materie obbligatorie ed altre opzionali scelte dai ragazzi sempre nell’ambito del proprio indirizzo scolastico per approfondire argomenti di loro interesse. Rino Di Meglio (Gilda) sorride e ripete: «Continuano le chiacchiere, ma dove sono le risorse? Io dico: non fiori ma opere di bene».
Claudia Voltattorni

Personale Ata, in 5.200 non percepiscono lo stipendio accessorio dal 2011

da La Tecnica della Scuola

Personale Ata, in 5.200 non percepiscono lo stipendio accessorio dal 2011

Denuncia del Coordinamento: sono stati dimenticati fra le reti del Miur e del Mef. Eppure hanno portato a termine i percorsi formativi finalizzati al conseguimento di una maggiore professionalità e assunto incarichi lavorativi aggiuntivi connessi con il percorso formativo intrapreso: il tutto, ricordiamolo, con uno stipendio medio che oscilla intorno a 1.000/1.200 euro, quasi a livello di sussistenza.

A quasi un mese dallo stop del pagamento dello stipendio accessorio, comincia a trapelare il malumore dei tanti dipendenti della scuola che operano come amministrativi, tecnici ed ausiliari. E si scopre, purtroppo, che il fenomeno per diversi risale ad ancora prima: per il Coordinamento del personale Ata “in Italia ci sono 5.200 lavoratori della scuola che non percepiscono lo stipendio accessorio dal 2011”.

“Non è possibile parlare di valorizzazione senza toccare il nodo cruciale dell’adeguamento stipendiale: sono stati dimenticati fra le reti di un Miur, che evidentemente in fretta e furia non ha saputo contare quante erano le persone che avevano superato i corsi di formazione, e di un Mef, al quale non sono più tornati i conti di spesa previsti e non ha potuto pagare tutti i titolari di Posizione Economica (nonostante stiano lavorando con più responsabilità). Questo personale – ricorda il coordinamento – ha superato il concorso per conseguire le Posizioni Economiche, portato a termine i percorsi formativi finalizzati al conseguimento di una maggiore professionalità e assunto incarichi lavorativi aggiuntivi connessi con il percorso formativo intrapreso, il tutto, ricordiamolo, con uno stipendio medio che oscilla intorno a 1.000/1.200 euro, quasi a livello di sussistenza!”.

Alla luce di questa situazione il Coordinamento chiede al ministero che la nuova rilevazione chiesta dal Miur venga fatta in modo sollecito senza escludere nessuno dei migliaia di aventi diritto, £così come era previsto – si legge ancore nella denuncia – nella legge ‘Decreto Stipendi’; che vengano reperiti i fondi per pagare tutte le 5.200 Posizioni economiche, fondi che erano già stati previsti e accantonati quando sono stati banditi i relativi concorsi, in quanto si riferivano ai risparmi derivanti dalle surroghe del personale cessato andato in pensione; la riattivazione delle Posizioni economiche dal 1° gennaio 2015 sul cedolino di tutti gli aventi diritto, in quanto non si può chiedere ai lavoratori di eseguire prestazioni aggiuntive senza corresponsione di alcun compenso”.

Nei giorni scorsi anche i sindacati avevano denunciato la mancata applicazione delle cosiddette posizione economiche, con l’Anief che ha anche minacciato di passare alla fase dei ricorsi.

Permessi Legge 104, ne usufruisce 1 statale su 10

da La Tecnica della Scuola

Permessi Legge 104, ne usufruisce 1 statale su 10

La cifra è stata pubblicata sul sito della Funzione Pubblica: ad avvalersi delle ore per se stessi o per assistere parenti o affini con gravi problemi di salute, sono 316.514 dipendenti pubblici su un totale di 3,2 milioni (il 9,8%). Ma manca ancora la Scuola, il comparto pubblico con più dipendenti.

Sono 316mila gli impiegati statali che hanno fruito nel 2013 dei permessi della Legge 104 per i lavoratori disabili: per se stessi o per assistere parenti o affini con gravi problemi di salute. La cifra è stata pubblicata sul sito internet della Funzione Pubblica e fornite dalle amministrazioni che hanno comunicato i dati: ebbene, nel 2013 si sono avvalsi dei permessi 316.514 dipendenti pubblici su un totale di 3,2 milioni. La percentuale è infatti già ora al 9,8%, ma restano da aggiungere i dati della scuola.

Le giornate di permesso cumulate nel complesso, durante il 2013, sono state pari a 6 milioni 258 mila, di cui quasi 5,8 milioni, quindi oltre il 92%, fruite per assistenza a parenti o affini.

“Per avere un quadro più completo – scrive l’Ansa – occorre quindi attendere che vengano inclusi altri dati, soprattutto del settore della scuola, che vanta il maggior numero di dipendenti. Dovrebbe essere comunque solo una questione di tempo, visto che nei giorni scorsi dal ministero dell’Istruzione è partita una nota, rivolta ai direttori generali degli uffici scolastici regionali, che richiama all’obbligo della comunicazione al Dipartimento della Funzione Pubblica, entro il 31 marzo di ogni anno, dei dati relativi ai permessi fruiti in base alla legge 104. Per adesso le cifre sono quelle basate sulle informazioni fornite dalle amministrazioni che hanno aderito alla rilevazione, il 64% del totale degli enti iscritti al sistema per il monitoraggio. Una rilevazione che alle spalle ha una banca dati, nata a fine 2010 per finalità di controllo sul “legittimo utilizzo” dei permessi, anche per “evitare abusi”, “indirizzare i benefici direttamente sui disabili” e “semplificare” il rapporto con la Pubblica Amministrazione, si legge sul sito della P.A”.

L’oggetto della rilevazione sono, appunto, i permessi mensili consentiti dalla legge 104 del 1992, che prevede, sia nel pubblico sia nel privato, fino a tre giorni. Può assentarsi dal lavoro, oltre al lavoratore con disabilità grave, che non perde nulla in termini di stipendio, anche il dipendente che assiste un parente malato, che può essere il marito, la moglie, il figlio, il genitore, ma anche il fratello, la sorella, il nonno o il nipote (si arriva fino al secondo grado di parentela). Il diritto ai permessi si può allargare al terzo grado, inclusi quindi gli zii, solo quando i genitori o il coniuge del malato abbiano più di sessantacinque anni o siano a loro volta invalidi o ancora non più in vita.

Esami di Stato: questa è la settimana delle materie della seconda prova

da La Tecnica della Scuola

Esami di Stato: questa è la settimana delle materie della seconda prova

Quest’anno più degli altri anni è fortemente atteso il decreto ministeriale del Miur dove sono indicate le materie oggetto della seconda prova scritta negli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio ordinari e sperimentali di istruzione secondaria di secondo grado e le materie affidate ai commissari esterni delle commissioni.

Infatti questo è l’anno dell’entrata a regime della riforma Gelmini, quindi ci potrebbero essere delle novità inaspettate. Insieme al decreto ministeriale in cui si individuano le materie della seconda prova scritta dell’esame di Stato e le materie che verranno affidate, forse per l’ultima volta, ai commissari esterni, è pronto anche un altro decreto ministeriale, in cui il Miur dispone le norme per lo svolgimento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado nelle classi sperimentali autorizzate per l’anno scolastico 2014-2015. La data dell’annuncio delle materie della seconda prova scritta dell’esame di Stato 2014-2015, è prevista per i prossimi giorni, qualcuno all’interno del Miur, indica come data possibile il giorno venerdì 30 gennaio. É quindi questa la settimana buona per conoscere quali saranno le materie della suddetta seconda prova.

Attesa in modo particolare è la materia che verrà scelta come seconda prova nei licei scientifici ordinari e delle scienze applicate. Infatti al liceo scientifico potrebbe uscire come seconda prova scritta Fisica al posto della solita matematica. Nell’indirizzo delle scienze applicate oltre a matematica e fisica, potrebbe uscire scienze. In ogni caso e per tutti gli indirizzi dello scientifico la tipologia della prova scritta prevede un problema a scelta fra due proposti e la scelta di cinque quesiti su dieci proposti. Quest’anno che entra a regime la riforma scolastica voluta da Mariastella Gelmini, anche i licei musicali e coreutici dovranno sostenere gli esami di Stato.

In tali licei la seconda prova potrà essere scelta tra la materia di “Teoria, Analisi e Composizione” e “Tecnologie musicali”. Nei Licei musicali la prova si svolgerà in due parti e in due giorni. Adesso non resta che attendere la fine di questa settimana o al massimo l’inizio della prossima, per sapere quali saranno le scelte effettuate dal Miur per i prossimi esami di Stato.

Attività opzionali: una novità, anzi no

da La Tecnica della Scuola

Attività opzionali: una novità, anzi no

Si parla di curricolo personalizzato come se si trattasse di una straordinaria novità, ma in realtà l’idea era già contenuta nella legge Moratti e venne fortemente ostacolata dalle scuole stesse.

L’orario annuale delle lezioni nei percorsi liceali è articolato in attività e insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti, attività e insegnamenti obbligatori di indirizzo, attività e insegnamenti obbligatori a scelta dello studente e attività e insegnamenti facoltativi”
E ancora: “Al fine di realizzare la personalizzazione del piano di studi sono organizzati, attraverso il piano dell’offerta formativa e tenendo conto delle richieste delle famiglie e degli studenti, attività ed insegnamenti, coerenti con il profilo educativo, culturale e  professionale”.
I due passaggi citati potrebbe essere contenuti in uno dei prossimi provvedimenti attuativi del Piano “Buona Scuola”: da diversi giorni, infatti, si sta parlando, con sempre maggiore insistenza, della possibilità per gli studenti di costruirsi un proprio percorso di studi personalizzato.
Il commento quasi generalizzato è che questa “novità” potrebbe davvero servire a migliorare la qualità dell’insegnamento nella secondaria di secondo grado e anche le competenze degli studenti.
Ma si tratta proprio di una novità?
A dire il vero proprio per nulla, tanto che i due passaggi proposti sono già contenuti nell’ articolo 3 del decreto legislativo226/ 2005 emanato in attuazione della legge 53/2003.
La novità, insomma, risale a una decina di anni fa e stava già scritta nella legge Moratti. Ma la disposizione è stata abrogata dal DPR 89/2010 e quindi i percorsi “opzionali” ne sono usciti molto ridimensionati.
D’altronde, all’epoca della Moratti, la “novità” era stata contrastata non poco nelle scuole; c’era anzi chi sosteneva che la possibilità di scegliere insegnamenti opzionali avrebbe trasformato la scuola in un vero e proprio “supermercato” dell’offerta formativa.
Ora, a distanza di 10 anni, sembra che i tempi siano maturi per introdurre nella scuola superiore un modello organizzativo che è assai diffuso in molti Paesi europei e che, stando alle ricerche internazionali, sembra fare davvero la differenza.

Per gli studenti stranieri, ecco l’insegnante ad hoc

da La Tecnica della Scuola

Per gli studenti stranieri, ecco l’insegnante ad hoc

Giannini: una classe di concorso per docenti di Italiano L2; ma l’esperto: meglio coinvolgere tutto il personale. Sono 700mila nelle scuole italiane, il 10 per cento circa, e stanno trasformando un sistema che è definitivamente diventato multiculturale. Per questi bambini l’apprendimento della lingua italiana  è un’emergenza, non solo didattica.
Le scuole avviano, scrive Il Corriere della Sera, corsi annuali di L2: lingua italiana per stranieri e quando non bastano, si fa appello alla normativa sui Bes (i bisogni educativi speciali) che tra i tanti disagi degli alunni si preoccupa anche di quello linguistico. Per i «minori con cittadinanza non italiana», la legge prevede la possibilità di «usufruire di un piano didattico individualizzato e personalizzato», ma solo in via eccezionale, soprattutto alla scuola secondaria, dove alternativa più frequente è utilizzare le due ore di seconda lingua comunitaria per arrivare a padroneggiare l’italiano. Senza perdere di vista la lingua straniera, però, sulla quale tutti, alla fine, vengono valutati «nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani».

Il ministro, precisa il Corsera, ha detto di voler «attrezzare una generazione di maestri e professori per l’insegnamento linguistico agli alunni stranieri», come ha confermato il sottosegretario Toccafondi. Questione di un paio di Consigli dei ministri, fanno sapere al Miur e anche a «Italiano L2» si accederà con un percorso abilitante, così come richiesto per le altre materie. Un’occasione, per i docenti di «L2», che al momento non sono inseriti in graduatorie e hanno limitate possibilità di svolgere la propria attività nelle istituzioni scolastiche, pubbliche e private. Ma anche un nuovo dilemma da sciogliere: quanti insegnanti servono? I soldi, ci sono?

Intanto, è stata avviata la ricognizione. Non semplice, sono diverse le figure coinvolte: insegnanti «distaccati» (i facilitatori linguistici); specialisti con formazione specifica; insegnanti di scuola che prestano servizio «diffuso». E gli esterni: studenti universitari, volontari.

L’insegnante specialista sembra dunque essere come una delle soluzioni possibili («non necessariamente la migliore, richiede tempi lunghi» – sostiene Vinicio Ongini, esperto di multiculturalità), ma forse «costo e alibi per gli altri, per togliersi da sotto l’ombrello della responsabilità».

Inserire subito i «neoarrivati», evitando liste d’attesa e trasferimenti continui, dicono gli esperti; sì ai piani personalizzati, ma che abbiano valutazioni finali coerenti; più orientamento; più coinvolgimento delle famiglie. La peer education, poi, è una risorsa: «importante coinvolgere gli altri studenti», dice Ongini. Formare tutti: dirigenti, insegnanti, personale; far passare l’idea che «accogliere i mondi» nelle classi, «può essere un problema, ma anche un’opportunità, un laboratorio di convivenza e di nuova cittadinanza». Appannaggio non necessariamente degli specialisti, ma di bravi insegnanti.

Entro il 31 gennaio la trasmissione all’Anac dei dati dei contratti

da La Tecnica della Scuola

Entro il 31 gennaio la trasmissione all’Anac dei dati dei contratti

L.L.

L’adempimento riguarda anche le scuole, così come conferma il Miur con apposita nota. La Flc Cgil però non ci sta e chiede al Ministero il ritiro della nota

Le Stazioni Appaltanti devono provvedere a:

  1. Trasmettere all’Anac, entro il 31 gennaio 2015, solo mediante Posta Elettronica Certificata all’indirizzo comunicazioni@pec.avcp.it Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E’ necessario abilitare JavaScript per vederlo. , un messaggio di PEC attestante l’avvenuto adempimento previsto dall’art.1 comma 32 Legge 190/2012. Tale messaggio PEC deve riportare obbligatoriamente, nell’apposito modulo PDF allegato (si deve utilizzare esclusivamente la versione del modulo aggiornata),  il codice fiscale della Stazione Appaltante e l’URL di pubblicazione delle informazioni di cui all’articolo 3 in formato digitale standard aperto;
  2. Pubblicare sul proprio sito web istituzionale le informazioni di cui all’articolo 3 della Deliberazione n. 26 del 22 maggio 2013secondo la struttura e le modalità definite dall’Autorità (vedi specifiche tecniche per la pubblicazione dei dati aggiornate).

In pratica, con riferimento ai procedimenti di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione  prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, le  stazioni  appaltanti  sono  tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali:

  1. la  struttura proponente;
  2. l’oggetto del bando;
  3. l’elenco degli operatori invitati  a presentare offerte;
  4. l’aggiudicatario;
  5. l’importo di aggiudicazione;
  6. i tempi di completamento dell’opera, servizio  o  fornitura;
  7. l’importo delle somme liquidate.

Entro  il  31  gennaio  di  ogni  anno,  tali informazioni, relativamente all’anno precedente, devono essere  pubblicate  in tabelle  riassuntive  rese  liberamente  scaricabili  in  un  formato digitale standard aperto che consenta di  analizzare  e  rielaborare, anche a fini  statistici,  i  dati  informatici. Le  amministrazioni, poi, devono trasmettere in formato digitale tali informazioni  all’Anac, che le pubblica nel proprio  sito  web  in  una  sezione  liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla  tipologia di stazione appaltante  e  per  regione.

A conferma dell’obbligo anche per le scuole di adempiere alla trasmissione all’Anac è arrivata la nota prot. 2351 del 22 gennaio 2015, con la quale sinteticamente il Miur dice che “In mancanza di un’espressa deroga per le istituzioni scolastiche, le stesse devono considerarsi destinatarie dei citati obblighi di pubblicità e comunicazione”.

Un chiarimento che, come spesso accade, è arrivato quasi a ridosso della scadenza, e che sembra quasi contraddire quanto il Miur aveva invece disposto un anno fa, quando lo stesso Ministero aveva condiviso con il Dipartimento della Funzione Pubblica e con l’Anac la necessità di inserire nel Piano Nazionale Anticorruzione un apposito atto aggiuntivo con le indicazioni per l’applicazione delle norme anticorruzione alle scuole, ed invitando i Direttori Generali degli Uffici scolastici regionali ad astenersi da dare indicazioni alle scuole fino all’emanazione del citato atto aggiuntivo.

Ed è su questo punto che si sofferma la Flc Cgil, che chiede al Miur il ritiro della “solita nota “lava mani” che si conclude con il consueto richiamo alle “sanzioni previste in caso di mancato adempimento”.

La richiesta del Sindacato è che il Miur si faccia carico degli adempimenti previsti dalla norma che chiaramente non individua le scuole, che non hanno siti web istituzionali, come soggetti destinatari. “Chiediamo al MIUR di ritirare la nota della Direzione Generale del personale scolastico e di pubblicare sul proprio sito (magari nella sezione “Scuola in chiaro”) le informazione richieste dall’A.N.AC., dandone la relativa informazione all’Autorità”.

Arrivano le pagelle per i prof

da La Tecnica della Scuola

Arrivano le pagelle per i prof

Skuola.net a “Mattino in Famiglia” su RaiUno spiega come funziona la “pagella ai prof”. Ma è bene attendere, prima di trarre conclusioni, cosa accadrà col varo della cosiddetta “Buona scuola”.
La Buona Scuola prevede che ogni fine anno gli studenti dai 15 ai 19 anni possano compilare un questionario nazionale in cui esprimersi sulla puntualità dei prof, la sua capacità di esposizione della lezione, l’efficacia della sua didattica. Ma non è tutto: gli studenti parteciperanno anche alla compilazione del RAV, il Rapporto di Autovalutazione annuale che le scuole dovranno presentare ogni anno, consultabile anche dalle famiglie. Infatti La Buona Scuola stabilisce che sarà il nucleo di valutazione a dare i voti alla scuola secondo il Format preparato dall’INVALSI: questo nucleo sarà composto dal preside, 3 prof e uno studente eletto dagli altri alunni della scuola.

Lo studente che farà parte del nucleo di valutazione avrà un ruolo davvero importante. Infatti, oltre a compilare il RAV insieme agli altri componenti, potrà partecipare al voto sui neodocenti da stabilizzare dopo primo anno di prova, decidendone di fatto l’assunzione. Dovrà però astenersi dal voto sugli avanzamenti di stipendio dei docenti.

E se gli scatti stipendiali dei docenti, secondo La Buona Scuola, dovranno infatti tener conto anche del merito, sarebbero calcolati a partire da 3 tipologie di crediti: i crediti didattici, i crediti formativi e i crediti professionali. La prima tipologia riguarda proprio la qualità dell’insegnamento in classe e i risultati ottenuti dagli studenti. Ogni tre anni, a seconda dei crediti ottenuti, si potrà avere accesso ad un aumento di stipendio oppure esserne fuori. Come sarà calcolata la voce relativa alla qualità dell’insegnamento? Per avere una risposta, bisognerà attendere le decisioni su La Buona Scuola. Ma è lecito pensare (e augurarsi) che i questionari di fine anno potrebbero avere un ruolo centrale.

Aula digitale e lavagna sul comodino. Il docente un compagno di apprendimento

da La Tecnica della Scuola

Aula digitale e lavagna sul comodino. Il docente un compagno di apprendimento

Una E-Board accanto alla tradizionale lavagna, un server per la connessione, un tablet per l’insegnante e uno per ciascuno dei 27 alunni: così la tecnologia migliora la motivazione allo studio nella “classe rovesciata”, senza lezione frontale, con i ragazzi che consultano online materiali messi a disposizione dai docenti e fanno domande per approfondire.
L’Ansa racconta quanto accade a Chieti, nella prima D della Secondaria di I grado dell’Istituto Comprensivo n.3, una delle scuole inserite nel Progetto di sperimentazione nazionale “Samsung Smart Future” e una delle 5 in Italia della sperimentazione “scuola in ospedale”, iniziativa che a Chieti coinvolge la Clinica Pediatrica universitaria diretta dal professor Francesco Chiarelli.

Il dirigente spiega così il progetto:  “Esso nasce dal partenariato tra Samsung e il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’informazione e alla Tecnologia (Cremit) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E’ inserito nell’ambito delle azioni di Corporate Social Responsability di Samsung e coinvolge una trentina di scuole del primo ciclo di istruzione”. Nessun costo per la scuola: Samsung ha dotato l’istituto di tutto l’hardware e software necessario per allestire la “smart classroom”, un’aula digitale nella quale i ragazzi della prima D, che frequentano il tempo pieno, prelevano da Dropbox i materiali forniti dai docenti, discutono con loro e tornano a casa senza dover fare i compiti. “Ci si appassiona al sapere utilizzando metodologie didattiche quali la classe rovesciata (flipped classroom) e la strutturazione di interventi didattici per episodi di apprendimento situato (Eas)” spiega la professoressa Anna Genovese, coordinatrice del consiglio di classe.

Riguardo alla scuola in ospedale: ci sarà un tablet per ogni bimbo ricoverato che potrà così avere la “lavagna sul comodino” e dialogare con la propria classe durante la degenza. Il progetto è coordinato dal professor Gianfranco Puddu e coinvolge un intero consiglio di classe, 12 docenti, 27 alunni della Secondaria di I grado “V. Antonelli” e due docenti della scuola in ospedale.

È già tempo di calendari scolastici 2015/16

da La Tecnica della Scuola

È già tempo di calendari scolastici 2015/16

A tagliare il traguardo per prima la Liguria

La giunta regionale ha infatti approvato il calendario scolastico per il prossimo anno: le lezioni avranno inizio lunedì 14 settembre 2015 e termineranno mercoledì 8 giugno 2016 in tutte le scuole di ogni ordine e grado della Regione. Le scuole dell’infanzia invece chiuderanno, come di solito, giovedì 30 giugno 2016. Previsti 209 giorni di lezione per le scuole secondarie di primo e secondo grado, mentre per la scuola dell’infanzia 228 giorni.

Adesso a ruota seguiranno tutte le altre regioni e, c’è da scommetterci, una delle ultime sarà la Sicilia. Speriamo che almeno non si registrino errori madornali come quello dell’anno scorso, che tamponarono poi due provvedimenti dell’assessorato con anticipazione dell’ultimo giorno di scuola. Già, perchè tra la chiusura formale dell’anno scolastico e l’inizio degli esami di maturità era stato erroneamente previsto solo un week end…

Didattica via web per le piccole scuole

da La Tecnica della Scuola

Didattica via web per le piccole scuole

Tra i 3.600 istituti eliminati dal dimensionamento, vi sono 236 realtà scolastiche cancellate nelle aree più isolate d’Italia. In Molise spariti il 37%, quattro su dieci. Nel Lazio il 25%, in Calabria e Campania il 24%. In Toscana chiuse sei scuole, pari a 46 cattedre

E poi nelle isole minori si va classi “pollaio”. Con utenti e insegnanti costretti a raggiungere le sedi rimaste in vita attraverso viaggi lunghi e al limite del sopportabile. Per Tar e Consulta bisogna riparare il danno.

Negli ultimi anni, scrive Anief, le cancellazioni e gli accorpamenti degli istituti (derivanti delle Leggi 244/2007, 133/2008, 111/11 e 135/12) hanno introdotto parametri minimi di iscritti spiccatamente elevati: con il risultato che le 12mila sedi scolastiche italiane si sono ridotte alle attuali 8.400, con effetti negativi drastici sulla qualità dell’offerta formativa.

Negli ultimi tre anni gli studenti fuori zona, dalla prima elementare alla terza media, sono rimasti invariati, ma gli istituti sono stati falcidiati: 236 scuole montane-isolane, in prevalenza montane, non ci sono più.

“È un fenomeno amministrativo parallelo a quello che è successo con gli accorpamenti degli istituti in pianura, da 12.000 a 8.500, ma l’operazione soppressione sulle Dolomiti e sui picchi dell’Abruzzo sta regalando alle famiglie disagi notevoli, viaggi chilometrici”.

Per i tanti alunni rimasti senza scuola, a volte anche nel raggio di decine e decine di chilometri, un’ancora di salvataggio sembrerebbe giungere dall’Indire, l’Istituto di innovazione e ricerca del Miur, che “nel corso del 2014 ha organizzato “Piccole scuole crescono”, un network di istituti che operano nei territori di montagna e nelle isole minori. Una rete aperta a tutti i presidi che per superare l’isolamento vogliono introdurre formule didattiche nuove. Uno dei problemi principali, in questi casi, è la difficoltà di assegnazione dell’organico e l’elevato turnover dei docenti: durano poco, in montagna, e la discontinuità dell’insegnamento rallenta l’apprendimento degli alunni”.

Il risultato pratico di questo progetto, scrive sempre Anief, è che “nelle rete toscana, undici scuole, Indire ha previsto due modelli, esportabili: “didattica condivisa” e “ambiente di apprendimento allargato”. La didattica condivisa prevede l’uso quotidiano della videoconferenza tra due o più classi appartenenti a istituzioni scolastiche diverse. Nelle piccole scuole la lezione condivisa favorisce lo scambio di esperienze e garantisce l’insegnamento di tutte le discipline. Le classi lontane spesso sono “classi capovolte”, con gli studenti che imparano da soli, a casa, la teoria, poi la sperimentano in classe. Con l’ambiente di apprendimento allargato una o più classi lavorano invece a un progetto disciplinare comune e organizzano incontri periodici tra docenti, studenti ed esperti che possono fare uso di videoconferenze o di altri setting tecnologici. In questo caso la didattica a distanza diventa una metodologia complementare all’insegnamento tradizionale”.

Sicurezza: doveri e diritti dei lavoratori della scuola

da La Tecnica della Scuola

Sicurezza: doveri e diritti dei lavoratori della scuola

Come in qualsiasi azienda, anche nella scuola i lavoratori sono portatori di doveri e di diritti, tutti desumibili dalla normativa (http://www.utsbasilicata.it/allegati/Testoinail.pdf).

Tra i doveri di ogni lavoratore, riscritti con il lessico scolastico, si trovano (D.Lgs. 81/08, art. 20):

– prendersi cura della propria sicurezza e salute e di quella delle altre persone presenti a scuola su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi ricevuti dal dirigente scolastico

– contribuire all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza

– osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal dirigente scolastico

– utilizzare correttamente macchine, utensili, sostanze, mezzi di trasporto e dispositivi di sicurezza e protezione

– segnalare immediatamente al dirigente scolastico o ad un superiore le deficienze di macchine, impianti o dispositivi, nonché qualsiasi condizione di pericolo di cui venga a conoscenza adoperandosi direttamente in caso di urgenza per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al RLS

– non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza, di segnalazione, ecc.

– non compiere di propria iniziativa operazioni non di competenza

– partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal dirigente scolastico

– sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal Decreto o comunque disposti dal MC.

I diritti dei lavoratori, collegati a precise responsabilità penali, sono contenuti nell’art. 59 del Decreto, e possono essere così riassunti:

– lavorare in un contesto ambientale favorevole, esente da rischi importanti per la salute e la sicurezza

– operare in un contesto organizzativo e gestionale attento al benessere fisico e psicologico dei singoli e dei gruppi

– essere informati, formati ed addestrati adeguatamente sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, in preciso riferimento alle peculiarità e caratteristiche proprie dell’istituzione scolastica d’appartenenza

– operare in un contesto organizzato per affrontare adeguatamente tutte le più probabili situazioni d’emergenza e per evitare gli infortuni e l’insorgenza di malattie professionali, anche attraverso l’uso di appositi dispositivi di protezione individuale e l’effettuazione della sorveglianza sanitaria sul personale esposto a rischi specifici

– poter contribuire al miglioramento del Sistema di gestione della sicurezza

nell’istituto, anche attraverso il proprio rappresentante (RLS).