Sul Rapporto di AutoValutazione (RAV)

Sul Rapporto di AutoValutazione (RAV)
Lineamenti di autodifesa e progetto per docenti liberi e dirigenti non-manager

di Gabriele Boselli

 

Dopo lunga fecondazione e brevissima gravidanza è finalmente (ma non è la fine, come vedremo) giunta a pubblicazione l’aliena creatura. Ha iniziato a muoversi asimmetricamente, zoppicando assai sul piano epistemologico e didattico, su quattro/cinque gambe, o meglio zampe. Qualche anima ingenua la approva; un maggior numero di docenti e dirigenti la attende sul percorso con rassegnazione, nel sempre procrastinato avvento di tempi migliori. Della serie “passerà anche questa”. Le norme vanno applicate anche laddove valorialmente e scientificamente risibili.

Cinici ispiratori e/o sfruttatori seguono speranzosi il cammino di questo apparentemente innocuo e condivisibile cavallino di troia che non avrebbe alcun senso in sé ma serve invece a preparare lo scatenarsi di veri e propri processi di valutazione sistemica “oggettiva”, ovvero reificante, degli insegnanti e dei dirigenti. Di per sé il RAV non costituirebbe un gran danno anche se non si tratta solo di “autovalutazione” (il meccanismo è di origine extrascolastica e precostituito); il guaio principale è che apre le porte al Sistema Nazionale della Valutazione.

Il RAV è un altro dei sintomi del non-pensiero, del deserto culturale che cresce. Alle anime pensanti e che tali vorrebbero restare al meglio possibile per valutare in modo epistemologicamente avanzato ed eticamente condivisibile dedico questo piccolo studio di ricognizione e autodifesa, prodromico alla progettazione.

 

  1. L’attacco all’autonomia pedagogica
  2. 1 Normativa – Il nome tranquillizzante di “autovalutazione” non inganni troppo: non si tratta di una semplice disposizione ad autovalutarsi. Tutto è preordinato e l’elaborazione e la redazione del Rapporto è voluta da Roma come primo adempimento in vista del Sistema Nazionale di Valutazione cui sono chiamate le scuole (statali e paritarie) e il cui Regolamento, contenuto nel DPR 80/2013, è di durata triennale, come previsto dalla direttiva n. 11 del settembre 2014 e dalla CM 47 dell’ottobre 2014. Il SNV come tristemente noto si compone dell’Invalsi, dell’Indire e –dispiace per i colleghi- del corpo ispettivo. Il procedimento di valutazione delle scuole si articolerà in 4 fasi: autovalutazione, valutazione esterna, azioni di miglioramento, rendicontazione sociale.

 

Scherzetti e specchietti – A partire dall’anno scolastico corrente, tutte le scuole dovranno adempiere al

l’ ”autovalutazione” mediante la redazione on line di un Rapporto di autovalutazione sulla base di un processo di cosiddetta autoanalisi non libero come quelli da sempre praticati dalle scuole serie ma articolato sui soliti sintagmi economicistici: punti di forza e di criticità, produzione di dati oggettivi, comprovabili e comparabili. Il raffronto con situazioni analoghe (con conseguenti svalorizzazioni e valorizzazioni estrinseche) è uno degli aspetti essenziali del modello.

Lo scopo ufficiale del Sistema di valutazione sarebbe il miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti. Altri specchietti per le allodole sono costituiti dalla riduzione della dispersione scolastica e dell’insuccesso scolastico, l’avvicinamento delle differenze tra scuole di aree geografiche diverse, il rafforzamento delle competenze di base, l’individuazione degli esiti a distanza dopo l’uscita dalla scuola in termini dei possibili percorsi successivi di studio e di lavoro.

 

1.3 Messa in moto – Le scuole individuano un’unità di autovalutazione, costituita preferibilmente dal dirigente scolastico, dal docente referente della valutazione e da uno o più docenti con adeguata professionalità teoricamente individuati dal Collegio dei docenti, in pratica dal preside, pardon Dirigente scolastico. L’analisi è finalizzata a individuare le priorità per il miglioramento individuate dal MIUR e localmente definite dopo un esame della relazione tra gli esiti di apprendimento e le pratiche didattiche e organizzative entro il contesto sociale e professionale; e qui ci possiamo salvare.

1.4 Meccanismi attuativi

Gruppi – Il meccanismo di funzionamento è complicato. Sono costituiscono gruppi di lavoro: uno nazionale, uno regionale e uno provinciale. Non basta: nei mesi di Febbraio e Marzo in varie regioni si realizzeranno anche incontri con i referenti di ogni istituzione scolastica per addestrare all’uso dello strumento RAV. I Gruppi provinciali organizzeranno poi ulteriori incontri con i referenti delle istituzioni scolastiche, mirati al conseguimento delle ulteriori determinazioni MIUR.

Ruolo dei DS – Compito del dirigente scolastico e ahimè pure degli ispettori (i quali dovranno smettere nell’occasione di essere uomini di scienza) è quello di convincere i docenti sulla giustezza del significato conferito dal MIUR al valutare secondo normativa. Valutazione è affare importante in alto loco perché costituisce la premessa di ciò che si farà; non è tanto trarre bilanci ma soprattutto imbrigliare la progettazione, mettere il morso ai cavalli da tiro. Valutare non dev’essere incontrollabile processo di conoscenza secondo idee di valore, né attività costante di ricerca per comprendere le situazioni e introdurre cambiamenti; né attività volta alla valorizzazione di tutti, ad incrementare le consapevolezze. Nell’ottica del Potere valutare significa controllare, determinare pensieri ed esistenze, sorvegliare e domani premiare/punire (verbi mortificanti entrambi). Ottica condivisa dai fortunatamente rari Dirigenti-manager in quanto aumenterebbe il loro potere.

Invalsi – La regia del SNV è affidata al fido Invalsi, istituto in cerca di una qualche ragione di esistenza e i cui operatori sono controllabili in quanto in buona parte precari con contratto a breve termine e focalizzato solo sul valutare. La scelta dell’INVALSI, il quadro teorico di riferimento del linguisticamente mal scritto ma slidatissimo documento rimandano a una valutazione dove la comparazione in riferimento al voluto riveste una funzione preminente di omologazione; l’assunto è che la restituzione dei risultati possa determinare azioni correttive delle eventuali singolarità. L’insieme dei processi di autovalutazione, in particolare, associata a riferimenti esterni, dovrebbe rappresentare un costante rimando di informazioni a Roma sul funzionamento dell’istituzione scolastica e della sua regolazione. Dovrebbe modificare il concetto di “buona scuola” secondo la letteratura delle “scuole efficaci”: di qui la pseudo-autovalutazione, la partecipazione e il coivolgimento di soggetti a denominazione di origine controllata. Le classiche domande come il senso del valutare, cosa valutare, identità dei soggetti coinvolti perderebbero la loro pregnanza.

1.5 Lustrini – Non mancano nei documenti ministeriali magliette con lustrini a coprire la pellaccia della Creatura. Nella parte inerente il Quadro di riferimento teorico elaborato dall’Invalsi si legge che i criteri per l’autovalutazione sarebbero: equità, partecipazione, qualità; vi è per la verità anche una parola di involontaria autodenuncia: differenziazione. Tra i lustrini anche il dichiarato sforzo di garantire a ogni studente i livelli essenziali di competenza, di assicurare le condizioni per fruire degli interventi della scuola, di offrire attività volte alla riuscita scolastica, di curvare i percorsi a seconda delle caratteristiche di ciascun alunno. Come ci si possa arrivare attraverso strade omologanti è un mistero.

  1. La difesa

2.1 Contesto e risorse – La prima zampa della creatura, “contesto e risorse” è quella più favorevole alle scuole e utilizzabile nella difesa. Consente infatti di fare riferimento al contesto operativo esterno (citare crisi economica, depressione valoriale) ed interno ovvero handicap, DSA e BES che andranno segnalati in maggior numero denunciando non più di 2-3 ragazzi normali per classe. Utile poi segnalare la sempre enfatizzabile modestia di risorse per attribuirvi anche i limiti del proprio agire senza doversi troppo produrre in autofustigazioni e processi autodemolitori, breccia per cui poi si riverserà la successiva eterovalutazione dichiarata.

Bisognerà però avere l’accortezza di citare di sfuggita, senza metterli in evidenza, i fattori ambientali positivi presenti nel territorio in modo che i loro effetti siano attribuiti all’efficacia del nostro agire. Le colpe vanno date agli altri, i meriti a noi. Non è onesto ma quando è necessario per preservare un fine più alto come quello dell’autonomia intellettuale, morale e pedagogica……

 

2.2 Esiti – Gli Esiti degli studenti rappresentano la seconda sezione. E’ costituita dai Risultati scolastici (promozioni…) ma soprattutto dai Risultati nelle prove standardizzate, di cui si può pensare tutto il male epistemologicamente possibile. Ci si potrà difendere meglio sulle “competenze chiave e di cittadinanza” più difficilmente definibili e sui Risultati a distanza (chi vivrà vedrà).

2.3 Processi – La terza sezione è relativa ai processi messi in atto dalla scuola. Su “Curricolo, progettazione, valutazione” il progetto difensivo può essere agevole se si evita di seguire il percorso suggerito e si fa riferimento alle tradizioni locali in materia • L’Ambiente di apprendimento (fisico, virtuale, relazionale) può rappresentare occasione di divagazioni neutralizzanti.
Molto importante il modo in cui sarà gestito il punto successivo “Inclusione e differenziazione”. La direttiva del 27 dicembre 2012, la successiva CM n.8 del marzo 2013 e la nota del giugno 2013 cercano di rafforzare quella che costituisce una questione rilevante: come gestire le diversità e le differenze nelle classi. Sono i docenti, d’intesa con la famiglia, i soggetti da sempre intenti a valutare queste situazioni. Vanno certamente promossi, RAV o nonRAV, circuiti di riflessione, coordinamento, formazione ricerca, ascolto, proposta, conoscenza per capire i diversi stili di apprendimento e corrispondervi.

Ai fini eterovalutativi non si dovrebbe nemmeno perdere troppo tempo: si può fare pressoché copia e incolla con il piano annuale per l’inclusività, base degli interventi didattici in questa direzione. Il Piano annuale per l’inclusività è parte del POF; raccoglie in un quadro di significati le attività progettuali; riguarda gli impegni per quegli alunni che richiedono percorsi diversi da quelli comuni L’approccio non-manageriale ma pedagogico è quello più sostenibile anche nel RAV perché incentrato sulle potenzialità, senza ignorare le difficoltà; non enfatizza i sintomi o i disturbi, ma il modo di apprendere di ciascuno e di accompagnarne la crescita.

2.4 Continuità e orientamento – La maggior parte delle scuole penso non debba preoccuparsi troppo anche di questa richiesta. Vi si presta attenzione da sempre; da sempre e spesso molto bene, anche se le norme non aiutano e privilegiano più i diritti di graduatoria dei docenti che quelli dell’alunno. Norme, gravidanze, GAE permettendo, nelle scuole buone per davvero la continuità è soprattutto ricercata attraverso i nessi disciplinari, nella costante ricerca delle strutture di connessione, generative di pensiero ulteriore. Anche qui, per far contenti i gruppi di potere che da trent’anni comandano al MIUR, un bel copia e incolla può bastare. Poi si ricomincia a lavorare seriamente.

2.5 Autovalutazione in atto – La quarta sezione invita a riflettere sul processo di autovalutazione in corso e sulla possibile integrazione delle disposizioni romane con pratiche autovalutative già in uso nella scuola.

Le buone scuole, che non hanno aspettato Renzi e il Faraone per muoversi, hanno da sempre una tradizione autovalutativa. Basterà continuare sostanzialmente su quella scia.

 

2.6  Miglioramento e rendicontazione sociale- Si ordina alle scuole di individuare le priorità su cui si intende agire al fine di migliorare gli esiti, in vista della predisposizione di un “piano di miglioramento” e la conseguente “rendicontazione sociale”. Nel primo caso si tratta di agitarsi freneticamente quanto insensatamente, di “fare ammuina”, certo sottraendo attenzione a ciò che vale (la cultura e le persone) per inseguire ciò che conta, ovvero la bella figura. Pazienza se molti insegnanti non studieranno più e alcuni dirigenti-non-dirigenti (ovvero dirigenti-manager) si preoccuperanno solo della sicurezza. Nel secondo caso si tratta di allestire strategie reputazionali efficaci.

Sempre buone per entrambe le disposizioni le vecchie pratiche della “qualità totale” di lombardiana memoria (oggi in versione “Scuole efficaci”) e tutto ciò che può fare scena: convention di presentazione con tanto di slides e musichette, ritratti del preside-manager con dentatura e tratti del volto rifatti che sorridono dalle pareti, video esaltanti i successi della scuola, sfilate nordcoreane di studenti sincronizzati.

 

  1. Conclusioni

 

  • Si chiama autovalutazione ma non lo è in quanto articolata secondo precisi sintagmi.

  • Nell’Apologia vergata da Platone in memoria di Socrate è scritto che le disposizioni delle leggi vanno eseguite anche quando dovessero comportare la morte del Giusto. Figurarsi quelle del RAV e anche quelle successive del SNV che faranno anche ridere ma non ammazzano nessuno; vi daremo dunque esecuzione, anche perché il non farlo esporrebbe alla cicuta no ma a fastidi sì.

  • La difesa, mai contra legem e attenta anche nella conformità alla normativa secondaria, non deve consistere solo nell’aggiramento o nella fuga ma dev’essere attiva: criticare i fondamenti politici, etici e pedagogici ovvero analizzare, decostruire nei collegi dei docenti e nei gruppi di lavoro (sono ancora luoghi di discussione o vi si ricevono solo disposizioni?) il dettato per coglierne gli elementi costitutivi e raffrontarli con principi autonomamente individuati (1). Pensare, criticare: per costruire localmente un contesto autovalutativo autonomo.

 

(1) G. Boselli Per una valutazione delle scuole e di chi vi lavora, n. 30, annata 2011 di Encyclopaideia (Bononia University Press, Bologna)

Vota la tua scuola del cuore

Concorso Sant’Anna “Vota la tua scuola del cuore”
BUFFON SCENDE IN CAMPO CON SANT’ANNA PER SOSTENERE LE SCUOLE ITALIANE
Con il concorso “Vota la tua scuola del cuore”, Sant’Anna, il marchio leader dell’acqua minerale da sempre attento al mondo delle famiglie e dei giovani, lancia una importante iniziativa a sostegno delle scuole italiane scendendo in campo con il grande campione Gigi Buffon e Carrarese Calcio 1908, lo storico club che, oltre a essere una importante squadra del calcio professionistico, è un vero e proprio contenitore di iniziative a contenuto sociale e di promozione e coinvolgimento dell’universo giovanile, di cui è patron Gigi Buffon.
Dal 28 gennaio al 31 maggio 2015, tutti i consumatori che acquisteranno almeno una confezione a scelta di SanThé, il nuovo the freddo Sant’Anna, o SanFruit, il nuovo nettare di frutta Sant’Anna, nel formato bicchierino, potranno votare gli istituti scolastici e i comitati genitori che parteciperanno all’estrazione mensile di 5 premi da € 1.000 ciascuno.
Partecipare non è difficile come segnare un gol a Gigi, anzi! Basta infatti acquistare almeno un bicchierino di SanThé Sant’Anna o di SanFruit Sant’Anna: per ogni prova d’acquisto spedita unitamente ai propri dati, si potrà indicare la scuola o il Comitato Genitori a cui assegnare il proprio voto. Spedendo più prove d’acquisto, aumentano le possibilità di far vincere la propria scuola del cuore! Tra tutti gli istituti votati nel corso del mese avverrà l’estrazione dei cinque vincitori.
I più votati di ciascuna categoria, si aggiudicheranno inoltre 5 superpremi finali da € 1.500 ciascuno. Regolamento completo sul sito http://www.santanna.it .
Sant’Anna, riconosciuta come una delle prime acque indicate per l’alimentazione dei bambini, è da sempre vicina ai consumi e alle necessità delle famiglie, dei giovani e dei bambini. Con il concorso “Vota la tua scuola del cuore”, Sant’Anna si avvicina alle famiglie nei luoghi in cui si svolge la loro normale vita quotidiana. Nota per ascoltare e soddisfare le esigenze dei consumatori, con questa operazione Sant’Anna mette in palio premi pensati per migliorare la qualità della vita negli istituiti scolastici italiani e per mettere a disposizione dei comitati genitori utili risorse per portare avanti i loro progetti. Per la prima volta un concorso nazionale premia i luoghi della formazione e i genitori, affinché attraverso di essi possa migliorare la qualità della vita dei giovani all’interno degli istituti scolastici. Il regolamento prevede infatti che Sant’Anna fornisca agli istituti e comitati di genitori vincitori quanto da loro indicato come necessità vera delle scuole e dei comitati, per un importo pari a quello messo in palio.
Del concorso è testimonial Gigi Buffon, grande campione e patron di Carrarese Calcio 1908, un simbolo dello sport sano, lo sport inteso anche come valore sociale, oltre che espressione di uno stile di vita teso al benessere. La manifestazione si concluderà sul campo di Carrarese Calcio 1908 con un evento unico: il partitone finale che vedrà sfidarsi da un lato una rappresentativa degli enti vincitori e dall’altro il mitico Gigi Buffon in porta!
Gazzetta dello Sport è media partner dell’iniziativa, lanciata ufficialmente il 28 gennaio sul quotidiano (la data coincide con il compleanno di Buffon, ndr). Sul sito web della Gazzetta dello Sport sarà visibile un aggiornamento periodico con la classifica delle scuole e comitati genitori più votati.
Con questa iniziativa Acqua Sant’Anna offre il suo appoggio alla scuola, fondamentale luogo di vita delle famiglie italiane, che spesso fa i conti con risorse non sempre sufficienti.
Per informazioni è disponibile il numero verde 800/970726 (lun-ven 9.00-16.00).
Per informazioni: Dracma Servizi di Comunicazione
tel. 02/87187797 e-mail: dracma@dracmasrl.it

Governo non comprende vere criticità

Scuola, Mascolo (Ugl): “Governo non comprende vere criticità”
Essenziale rafforzare il ruolo delle rsu
“Continua a non sembrare chiaro al Governo quali siano le criticità della scuola che vanno affrontate immediatamente, a partire dalle scarse risorse economiche e dal blocco del ccnl”.
Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Scuola, Giuseppe Mascolo, che in questi giorni sta tenendo diverse riunioni su tutto il territorio nazionale in vista delle prossime elezioni rsu e ieri ha incontrato iscritti e dirigenti sindacali di Caserta.
“Abbiamo da sempre sostenuto – spiega il sindacalista – che fosse necessario affrontare il percorso di riforma della scuola italiana, in un unico ‘pacchetto’ e non con provvedimenti disgiunti, attraverso un confronto costruttivo con le parti sociali”.
Secondo il sindacalista, che venerdì sarà a Latina e sabato a Taranto, “è allo stesso tempo essenziale rafforzare il ruolo delle rsu che, in un momento delicato come quello che il Paese sta attraversando, devono svolgere un ruolo sempre più incisivo affinché le istituzioni scolastiche siano gestite nel miglior modo possibile. Proprio per questo motivo – conclude – riteniamo necessario il potenziamento delle iniziative di formazione”.

La Buona Scuola: il governo Renzi e gli insegnanti ‘innamorati’

da Il Fatto Quotidiano

La Buona Scuola: il governo Renzi e gli insegnanti ‘innamorati’

di

“Abbiamo bisogno di almeno mille persone in Italia innamorate della scuola che ci affianchino con il loro entusiasmo e il loro amore per la scuola per portare fino in fondo questa riforma”. Così Renzi, in dicembre, dopo la giornata dedicata al commento degli esiti del sondaggio sul Pdf La Buona Scuola, che decretò – attraverso patinate azioni di maquillage eufemistico – il fallimento dell’ “ascolto”, rimandando la realizzazione della riforma in febbraio. Da allora le notizie che si sono susseguite sono ispirate al consueto: “ascolto tutti, ma decido io”. Il dissenso continua ad essere ignorato.

Intanto, però, una domanda: come si dimostra di “essere innamorati della scuola”? Ci vuole un titolo speciale, magari da inserire nel portfolio, tra i propri crediti? Chi selezionerà questa nuova categoria di docenti: gli innamorati della scuola? O dobbiamo pensare che non siano solo docenti, come il famoso Alessandro Fusacchia, ghost writer del documento e capo gabinetto del Miur, il cui curriculum esprime una lontananza abissale con il mondo della scuola e una contiguità strettissima con quello della finanza e dell’economia?

Il 22 febbraio del 2015, in occasione del primo anniversario del suo governo, il premier incontrerà «mille» rappresentanti del mondo scolastico che «avvertono questa battaglia come una battaglia propria, che entrino nel merito dei provvedimenti e che dicano: questa cosa mi riguarda troppo, non posso lasciarla al presidente del Consiglio o al sottosegretario». Perché «la riforma non la fa solo il governo, ma si fa con l’opinione pubblica, perché questa è la riforma delle persone».

La solita propaganda in salsa demagogica. Intanto, per contrastare quelle che probabilmente saranno i provvedimenti che da quel testo il Governo emanerà, docenti, studenti, genitori, associazioni – che da sempre hanno il comune obiettivo di concretizzare un’idea di scuola coerente con il dettato costituzionale – si incontreranno il 31 pomeriggio a Roma, in un’assemblea nazionale, sotto il comune segno di un disegno di legge presente dall’estate scorsa alla Camera e al Senato, che il governo si ostina ad ignorare: la Lipscuola.

A questo proposito, tra le varie indiscrezioni emerse nel frattempo rispetto a ciò che Renzi cercherà di realizzare, allarmano particolarmente le affermazione del sottosegretario Davide Faraone, esplicito su quello che sarà il ruolo dei privati in quella che – potremmo dire – fu la Scuola della Repubblica. Solo il linguaggio è agghiacciante: la modernità impera, l’incultura avanza. «La Buona scuola è ormai un brand , un marchio», afferma. E spiega che sempre più aziende stanno stipulando protocolli d’intesa con il Miur per «adottare» le scuole, offrendo loro servizi e prodotti. Nel documento La Buona Scuola è previsto lo «school bonus», una sorta di defiscalizzazione, per chi finanzia progetti o prende ragazzi in stage. «La scuola è di tutti – dice Faraone – è parte integrante della società, perciò è fondamentale che tutti collaborino perché sia la migliore scuola possibile».

Un politicante non può che ignorare alcune cose.

1. La libertà di insegnamento (art. 33 della Costituzione) è in qualche modo espressione del più generale principio costituzionale della libertà di pensiero, sancito dall’art. 21. Ma ha una propria specificità, nel senso che è per un verso preclusiva di ogni forma di condizionamento esterno e quindi è una libertà in negativo (libertà da); ma è anche – e soprattutto – libertà in positivo, cioè di partecipare senza alcun condizionamento alla elaborazione culturale. Non può però esserci libertà di insegnamento del docente se anzitutto il sistema scolastico non è organizzato nel suo complesso sul principio di libertà di insegnamento e quindi dall’autonomia da forme di condizionamento esterno ed interno (compresa – peraltro – la gerarchizzazione e poteri di indirizzo e di valutazione da parte del ministero, come nel caso dell’Invalsi)

2. Esiste un altro principio, quello dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, garanzia dell’interesse generale e dell’esercizio del diritto di uguaglianza per tutti i cittadini. Ovvero il principio costituzionale secondo cui, poiché da una parte la scuola deve mettere in analoghe condizioni tutti i cittadini del Paese, ovunque risiedano; e poiché i titoli di studio rilasciati sul territorio nazionale devono essere identici in termini di effetti giuridici, il sistema scolastico italiano – da Lampedusa a Sondrio – deve ispirarsi ad un rigoroso principio di omogeneità.

Un’entrata dei privati minerebbe alle fondamenta questi due principi, capisaldi di una scuola che sia veramente strumento di emancipazione per tutti i cittadini italiani. Inserendo definitivamente il sistema scolastico statale in una logica di mercato, elementi fondamentali di incentivo per l’intervento dei privati diverrebbero utenza, collocazione, peculiarità socio economiche del territorio di riferimento. Amplificando ulteriormente il divario già esistente tra scuole di serie A e scuole di serie B. A voi piacerebbe che i vostri figli fossero inserite in queste ultime?

L’ignoranza dei fondamentali principi di equità e democrazia da parte di questo rampante PD non deve sorprendere: per la prima volta nel documento renziano “il sistema di valutazione sarà operativo dal prossimo anno per tutte le scuole pubbliche, statali e paritarie”: la scuola paritaria viene promossa al rango di scuola pubblica. Il cerchio si chiude.

Precari, dopo Napoli già 10 mila ricorsi

da Corriere.it

Precari, dopo Napoli già 10 mila ricorsi

La sentenza che ha fatto assumere la prof di Ischia. Il sindacato: i giudici devono adeguarsi

Sono già oltre 10mila i ricorsi pendenti nei tribunali italiani dopo la sentenza del tribunale di Napoli che ha decretato l’assunzione in ruolo di una docente precaria prendendo atto della sentenza della Corte di Giustizia europea. «Tutti i tribunali italiani – spiega Marcello Pacifico presidente dell’Anief – si dovranno adeguare come ha fatto nei giorni scorsi il giudice Paolo Coppola di Napoli nei confronti di Raffaella Mascolo, la prof di Ischia». In pratica chiunque abbia un giorno più di trentasei mesi può, secondo la corte europea, ricorrere. «Ma vinta questa battaglia – annuncia Pacifico – l’Anief non si fermerà: oltre all’assunzione, i precari hanno diritto a percepire gli scatti di anzianità da precari, al pagamento delle mensilità estive, alla riconoscimento pieno del periodo pre-ruolo anche ai fini della mobilità». La sentenza sulla docente di Ischia, ricorda Pacifico, arriva a distanza di cinque anni da quando l’Anief denunciò il danno prodotto ai precari italiani, costituendosi in Corte Costituzionale, cui seguirono migliaia di ricorsi presentati nei tribunali del lavoro italiani, che si vanno a sommare alla miriade di denunce pervenute alla Commissione Europea.

Ora i magistrati non potranno che dare il via libera e Napoli ha fatto da apripista. Il sindacato ha sempre sostenuto l’illegittimità dello Stato italiano nel rinnovare i contratti a tempo determinato per provvedere alla copertura di posti vacanti nella pubblica amministrazione: ciò è avvenuto senza ragioni oggettive e con il solo scopo di lucrare un risparmio di spesa in danno di un’intera generazione di lavoratori. Già nel 2011 arrivarono congrui risarcimenti danni a favore dei precari ricorrenti, con indennizzi fino a 30mila euro. «È evidente che anche il nuovo contratto di lavoro – conclude Pacifico – dovrà contenere la validità del servizio svolto dai precari ai fini di tutto quanto stabilito nei tribunali, italiani e non. Il rispetto dalla dignità dei lavoratori, di ruolo e non di ruolo, non può continuare ad essere calpestato. Anche per questo, fino al 6 febbraio, l’Anief chiede ai lavoratori della scuola di presentare le proprie liste di candidati in tutti gli ordini scolastici».

Scuola, la sfida del governo è attrarre gli investimenti dei privati

da Corriere.it

Scuola, la sfida del governo è attrarre gli investimenti dei privati

Entro febbraio la riforma della scuola. Alle superiori si potranno scegliere le materie dell’ultimo triennio. Insegnanti di italiano specializzati per gli stranieri

di Claudia Voltattorni (cvoltattorni@corriere.it)

Venti capitoli. Più insegnanti e sempre più specializzati. Maestri di italiano per gli studenti stranieri. Massiccia presenza dei privati nella scuola. Materie scelte dagli studenti negli ultimi tre anni di superiori. Più ore in azienda durante l’orario scolastico. Si delinea sempre di più la riforma della «Buona Scuola», quella su cui il premier Matteo Renzi ha messo la faccia dal primo giorno del suo mandato, quella che lo stesso Renzi all’inizio del 2015 ha promesso di far conoscere al mondo, «iniziate a segnarvi questa data: 22 febbraio, Roma», il cui decreto sarà una delle prime cose che il nuovo presidente della Repubblica dovrà affrontare.

Italiano come lingua straniera

Tanto per cominciare la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini fa sapere che gli studenti stranieri nelle classi potranno avere il loro insegnante di italiano, materia che per loro equivarrà alla lingua straniera, Italiano L2. Il problema riguarda almeno 700 mila alunni, il 10% del totale. Bisogna, dice la ministra, «attrezzare una generazione di maestri e professori per l’insegnamento linguistico agli alunni stranieri», perché oggi è tutto lasciato alla buona volontà di maestri e associazioni. Gli insegnanti di «L2» dovranno invece avere un percorso ad hoc, come tutti gli altri con una propria classe di concorso. «Una buona idea – dice Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda Insegnanti -, ma è importante concentrarsi sulle elementari, potenziare l’insegnamento lì dove c’è la prima linea». Ma, si chiede, «con quali soldi?». Per gli studenti stranieri, il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone sta anche pensando a soluzioni per evitare le cosiddette «classi ghetto» costituite solo da stranieri: «Il principio deve essere quello dell’eterogeneità: non parliamo di quote, ma se lasciamo dei posti liberi per ogni classe, si possono distribuire meglio gli iscritti provenienti da altri Paesi».

«School bonus» per il privato che investe nella scuola

Nella Buona scuola del governo Renzi si delinea sempre di più anche il ruolo dei privati, accennato al punto 12 del documento sulla capacità di attrarre risorse di singoli cittadini o imprese. «La Buona scuola è ormai un brand , un marchio», sottolinea Faraone spiegando che sempre più aziende stanno stipulando protocolli d’intesa con il Miur per «adottare» le scuole offrendo loro servizi e prodotti. Il Miur ipotizza quindi degli «school bonus», una sorta di defiscalizzazione, per chi finanzia progetti o prende ragazzi in stage, e pensa ad un albo online di buone pratiche cui singoli e aziende possono far riferimento per destinare risorse. «La scuola è di tutti – dice Faraone – è parte integrante della società, perciò è fondamentale che tutti collaborino perché sia la migliore scuola possibile».

Alternanza scuola-lavoro

E anche il percorso dell’alternanza scuola-lavoro va in questa direzione: 600 ore nell’ultimo triennio che gli studenti dovranno trascorrere nelle aziende. «Bisogna lavorare sulle competenze specifiche – dice il sottosegretario al Miur Gabriele Toccafondi -: solo così si può combattere la disoccupazione giovanile».
Intanto, sempre nell’ultimo triennio, gli studenti potranno scegliere quali materie seguire, una specie di percorso personalizzato in vista dell’università, «ma non parlate di menu à la carte», dicono al Miur. Ci saranno alcune materie obbligatorie ed altre opzionali scelte dai ragazzi sempre nell’ambito del proprio indirizzo scolastico per approfondire argomenti di loro interesse. Rino Di Meglio (Gilda) sorride e ripete: «Continuano le chiacchiere, ma dove sono le risorse? Io dico: non fiori ma opere di bene».

Aggiornamento, decide il preside

da ItaliaOggi

Aggiornamento, decide il preside

Decreto legge Buona scuola, resta il rebus sulle assunzioni dalle graduatorie a esaurimento. La formazione in servizio tarata sulle priorità dell’istituto

Basta con il far west della formazione in servizio. Nel decreto legge sulla Buona scuola troverà spazio anche una regolamentazione dei corsi di aggiornamento per gli insegnanti. Con un ruolo chiave assegnato al dirigente scolastico che, nella sua veste di responsabile delle azioni di miglioramento della didattica e dell’organizzazione, dovrà verificare la coerenza tra le attività proposte dai docenti e le esigenze dell’istituto.

Insomma, basta con l’autonomia dei singoli, che in passato è stata talvolta causa di inefficienza se non di sprechi, anche la formazione, che sarà utile in termini di merito e di scatti economici, dovrà rispondere a un progetto più complessivo di interesse dell’intera comunità scolastica così come si evincerà dal rapporto di autovalutazione della stessa scuola. Questo almeno l’intento dei tecnici del dicastero guidato da Stefania Giannini che stanno lavorando ai capitoli del pacchetto legislativo sulla Buona scuola. La formazione obbligatoria in servizio era nel programma del precedente ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza, che poi fu costretta a una marcia indietro. Il contratto nazionale prevede per la formazione 5 giorni di permesso, durante i quali il docente va sostituito. Ad oggi ci sono scuole dove il collegio dei docenti delibera le attività, con insegnanti che vi si attengono e altri che non lo fanno. E tanti che si muovono in autonomia. E poi c’è l’annosa questione della carenza dei fondi. Proteste si registrano in queste settimane, per esempio, per la mancanza di corsi di supporto alle attività di autovalutazione.

La Buona scuola dovrebbe intervenire sulla scelta dei corsi e sulla loro finalizzazione. Un tassello di un pacchetto normativo assai ampio, composto di un decreto legge e di un disegno di legge, che potrebbe debuttare al consiglio dei ministri del 27 febbraio, la prima data utile dopo la festa programmata per il 22 di febbraio, in occasione del primo anno del governo Renzi. E quando la partita del Quirinale, con tutte le ripercussioni che l’elezione del nuovo capo dello stato comporta per la tenuta del Pd e della maggioranza, sarà ormai alle spalle.

Il pacchetto scuola, stando alle anticipazioni di stampa del sottosegretario all’istruzione, Davide Faraone, sarà articolato su misure per gli studenti e misure per il personale. Con un’incursione sulle discipline obbligatorie e facoltative di insegnamento, e la necessità di una verifica delle Indicazioni nazionali ,cui rimanda la responsabile scuola del partito democratico, la senatrice Francesca Puglisi. Al momento, in assenza di un’indicazione politica chiara, risulta ancora irrisolto il nodo del mega piano assunzionale previsto dall’impianto originario della Buonascuola. Non sono noti i risultati del monitoraggio sulla consistenza per classi di concorso delle graduatorie ad esaurimento, che potrebbero contare meno dei 148 mila insegnanti ad oggi indicati come la platea finale dei precari da assumere. Il timore che serpeggia è che la composizione alle graduatorie non consenta di rispondere in modo soddisfacente al fabbisogno delle scuole, con docenti precari di classi di concorso per le quali ci sono esuberi, a fronte di altre classi che resterebbero scoperte. E un piano di riqualificazione professionale potrebbe non bastare per tutti.

Ma c’è chi fa notare come l’annuncio che tutti i docenti delle Gae saranno assunti è ormai stato acquisito e che tornare indietro sarebbe assai difficile. Intanto, un altro aggiustamento sembra invece fatto, ed è quello dei docenti precari non iscritti in graduatoria ma che vantano i requisiti deducibili dalla sentenza della Corte di giustizia europea. Per loro dovrebbe esserci spazio nel piano assunzionale.

Assunti i supplenti over 36 mesi

da ItaliaOggi

Assunti i supplenti over 36 mesi

Dal tribunale di Napoli la prima sentenza di stabilizzazione dopo la pronuncia della Corte Ue. Il giudice ha negato che basti il risarcimento economico

La reiterazione dei contratti di supplenza oltre i 36 mesi, avvenuta prima del 13 maggio 2011, va sanzionata con la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Anche nella scuola. Prima di tale data, infatti, era ancora applicabile l’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 368/2001: la norma che dispone la stabilizzazione quando si superano i 36 mesi di supplenza.

Dopo il 13 maggio 2011, invece, con l’avvento del decreto legge 70/2011, la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, al superamento dei 36 mesi, è stata espressamente vietata. È questo il principio affermato dal giudice del lavoro di Napoli con una sentenza depositata il 21 gennaio scorso (r.g. 57536/11).

Con una pronuncia di ben 51 pagine, il giudice monocratico ha accolto il ricorso di una docente che aveva chiesto di essere immessa in ruolo per abuso di contratti a termine, derivante dal superamento del 36esimo mese di supplenza.

E ha condannato l’amministrazione a pagare 5500 euro di spese legali (+ Iva e cassa per gli avvocati) oltre che alla ricorrente, anche alle altre parti intervenute nel giudizio (in ordine di costituzione: Gilda-Unams, Flc Cgil e Cgil confederazione). In tutto, circa 28mila euro. La sentenza è la prima, in ordine di tempo, dopo la pronuncia della Corte di giustizia europea, con la quale è stata dichiarata illegittima la normativa che consente la reiterazione senza limite dei contratti di supplenza fino al 31 agosto. Ma il percorso argomentativo seguito dal giudice del lavoro di Napoli è autonomo e originale.

Secondo il giudice monocratico, infatti, ai fini del diritto alla stabilizzazione è irrilevante che il limite dei 36 mesi sia stato sforato con la successione di supplenze al 30 giugno (dunque su posti non vacanti). E soprattutto non sarebbe applicabile il criterio dei risarcimento del danno per equivalente (e cioè il risarcimento in denaro). Criterio fin qui adottato dalla prevalente giurisprudenza di merito, nella duplice accezione della corresponsione di un certo numero di mensilità oppure nel riconoscimento del diritto alla progressione di anzianità, arretrati compresi (cosiddetta ricostruzione di carriera).

La non applicabilità del risarcimento in denaro deriverebbe da una falla presente nella normativa. Che peraltro non indica nemmeno i criteri per definirne l’importo. Di qui la necessità della stabilizzazione quale unica sanzione applicabile. Inoltre, secondo il giudice del lavoro, la legge preclude la conversione del contratto. Ma non vieta la costituzione del rapporto a tempo indeterminato. In altre parole, la legge vieta solo la trasformazione del rapporto in essere (da supplenza a ruolo). Ma non la costituzione, ex novo, del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Di qui la percorribilità di tale ultima opzione. A nulla rilevando che la materia del reclutamento scolastico sia stata sottratta dal legislatore all’applicazione delle regole generali sul pubblico impiego. Perché «una cosa sono le procedure di reclutamento», si legge nella sentenza, «_altro la disciplina del contratto (dunque la disciplina del contratto a termine)».

Per argomentare la propria tesi il giudice monocratico ha citato, espressamente, diverse sentenze della Corte di cassazione. Che riguardano altri settori della pubblica amministrazione.

Il merito del docente? Insegnare bene non sempre basta

da ItaliaOggi

Il merito del docente? Insegnare bene non sempre basta

Le competenze richieste nella scuola dell’autonomia a volte esulano dalla disciplina di cattedra

Maurizio Tiriticco

Il ruolo e la funzione di un qualsiasi lavoratore sono strettamente legati al modello organizzativo in cui opera. È un principio che ha la sua valenza soprattutto nelle società avanzate e con tale ottica occorre guardare anche al nostro complesso sistema educativo di istruzione e formazione. In effetti, non è corretto oggi parlare di “scuola”, intendendo un edificio in cui si insegna e si apprende: occorre parlare di istituzione scolastica autonoma. La questione non è solo semantica, ma rinvia al profondo rinnovamento che abbiamo avviato alla fine del secolo scorso con il dpr 275/99: l’autonomia scolastica, un processo che aveva le sue origini fin dall’epoca dei decreti delegati del ’74, ma che in effetti non è ancora giunto a compimento per una serie di difficoltà che sarebbe interessante enumerare, ma che ci porterebbero lontano dall’assunto di queste note.Ciò che interessa sottolineare in questa sede è la questione del ruolo e della funzione di un insegnante all’interno di tue tipologie di scuole.

Nella scuola della tradizione, ruolo e funzione sono legati unicamente alla/e disciplina/e di insegnamento. Tra chi dirige e chi insegna non vi è alcuna soluzione di continuità: il lavoro dell’insegnante si svolge per il totale delle ore di servizio nell’insegnamento in aula. Dagli anni Settanta in poi le modifiche apportate (pensiamo ad esempio alle figure di sistema) sono state indubbiamente importanti, ma il rapporto funzione/ore di insegnamento non ha subito alcuna modifica di rilievo.

Eppure oggi, in una scuola che opera in chiave di apprendimento per tutta la vita, che è uno dei segmenti in cui si educa, si forma e si istruisce (dpr 275/99, art. 1, c. 2) – quindi al di là del tradizionale insegnare/apprendere – le figure degli operatori dovrebbero essere profondamente diversificate. Le esigenze che una scuola di tutti propone non si affrontano e non si risolvono soltanto insegnando discipline tout court.

Un solo esempio: in una scuola in cui la presenza di alunni stranieri si fa sempre più massiccia, le attività di prima socializzazione vanno ben oltre il puro e semplice insegnamento squisitamente disciplinare. In altre parole, non è detto che un insegnante, esperto di materia, debba spendere l’intero tempo di lavoro in aula ad insegnare la sua materia. Sarebbe invece opportuno che arricchisse la sua professionalità di segmenti nuovi, che conducano ad attività di accoglienza, di sostegno, di socializzazione, di orientamento, che prescindono dalla disciplina di competenza.

Valga un secondo esempio: le prove Invalsi sollecitano nelle scuole esperienze valutative innovatrici rispetto ad una certa tradizione, nonché diverse applicazioni metodologiche e docimologiche.

È necessario che un docente si faccia carico di acquisire competenze in merito, anche e soprattutto per le ricadute che avrà sugli altri docenti. Altrettanto si può dire per altre attività, che non ricadono direttamente sulla cosiddetta disciplina di competenza. Ad esempio, sappiamo quanto sia importante l’orientamento degli alunni per quanto riguarda lo snodo tra la scuola media e i gradi successivi di istruzione: orientamento, a cui dovrebbe seguire una diffusa alternanza scuola/lavoro come pratica ricorrente e non eccezionale. Per non dire quanto l’esperienza di un insegnante «anziano» possa contare per «aiutare» i più giovani nel governo dei gruppi alunni, delle dinamiche interpersonali, delle pratiche laboratoriali, della peer education.

Si tratta di una serie di attività di cui alcuni insegnanti potrebbero farsi carico: alcune delle ore contrattuali potrebbero essere spese in aula come di consueto, ma altre in attività di relazione e di aiuto, di cui l’istituzione scolastica autonoma oggi necessita. Il superamento dell’orario di cattedra consentirebbe nei tempi medio lunghi di arricchire l’istituzione scolastica di professionalità via via sempre nuove e sempre più rispondenti alle necessità di un’utenza scolastica sempre diversa e, per certi versi, sempre più problematica. La scuola di un tempo oggi è sempre più un’istituzione aperta a soggetti portatori di problemi sempre più complessi.

In tal senso, il merito, centrale nel programma della Buona scuola, va ricercato non tanto nell’insegnamento disciplinare, di cui fa già testo un concorso vinto, ma in attività di cui abbiamo ad oggi solo sporadici significativi esempi, che però debbono essere implementati e generalizzati. Premi, scatti e tutto ciò che riguarda una gestione intelligente e produttiva del decreto Brunetta possono essere occasione non per dividere gli insegnanti tra buoni e cattivi, ma per incentivare quelle professionalità nuove di cui la scuola in un Paese come il nostro ha estremo bisogno.

Mobilità: alcune anticipazioni sulle possibili scadenze

da La Tecnica della Scuola

Mobilità: alcune anticipazioni sulle possibili scadenze

L.L.

La Flc Cgil fa sapere che la probabile sottoscrizione definitiva del contratto dovrebbe avvenire intorno a metà febbraio. Seguirà l’Ordinanza Ministeriale di attuazione del CCNI con le scadenze per la presentazione delle domande online

Secondo quanto riporta la Flc-Cgil, in data 14 gennaio 2015 il testo della preintesa sulla mobilità sottoscritto il 26 novembre scorso, con allegata la relazione tecnica-finanziaria, è stato trasmesso dall’Uff. VIII della Dir. Gen. per la politica finanziaria e per il bilancio al Dipartimento della Funzione pubblica al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato per l’accertamento congiunto della compatibilità economico-finanziaria e dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalle norme di legge e contrattuali.

È quindi dal 14 gennaio 2015 che decorrono i 30 giorni, previsti dalla normativa vigente, entro cui dovranno essere rilasciate le valutazioni di competenza dei due Dipartimenti.

Considerato che negli anni passati questi 30 giorni sono stati totalmente utilizzati, per il Sindacato è prevedibile la sottoscrizione definitiva del CCNI intorno a metà febbraio.

Dopodiché il Miur dovrebbe emanare la connessa Ordinanza Ministeriale di attuazione del CCNI con le scadenze per la presentazione delle domande online e pubblicare sul proprio sito tutta la modulistica necessaria.

Stipendi dei supplenti: in forse il decreto legge

da La Tecnica della Scuola

Stipendi dei supplenti: in forse il decreto legge

Il decreto legge 185 che stanzia 64 milioni di euro per pagare gli stipendi arretrati dei supplenti non ha ancora iniziato il percorso di conversione in legge. Ma i tempi stringoono: bisogna chiudere entro il 15 febbraio.

Riuscirà il Parlamento a convertire in legge il decreto 185 del 16 dicembre scorso che stanziava 64 milioni di euro per consentire la liquidazione degli stipendi arretrati dei supplenti?
Il dubbio è assolutamente legittimo, perchè, al momento, il provvedimento è fermo al Senato dove l’iter non è ancora neppure iniziato.
A riferire in aula dovrà essere la Commissiione Finanzei che però non ha ancora ricevuto i pareri delle altre commissioni chiamate in causa ((Affari costituzionali,  Bilancio,  Cultura, Agricoltura,  Ambiente e Rapporti con  UE).
Nella migliore delle ipotesi l’iter potrebbe iniziare nella settimana del 2 febbraio per concludersi entro 6 (ma bisognerà che i senatori vadano davvero di corsa). A quel punto il giorno 9 la palla dovrebbe passare alla Camera che avrebbe solo una settimana di tempo per concludere i lavori.
Il fatto è che il regolamento della Camera è più complesso rispetto a quello del Senato e quindi non è detto che si riesca a rispettare i tempi.
Ma come mai questo ritardo nell’avviare l’esame del decreto legge?
Una ipotesi è che ci siano, come al solito, problemi di copertura e che il Governo non voglia esporsi ad una “brutta figura” che potrebbe compromettere anche il percorso dei decreti sulla Buona Scuola.
Per intanto in Parlamento tutto procede a rilento in vista della elezione del Presidente della Repubblica.
Certo è che se il DL 185 non sarà convertito in legge nei tempi stabiliti (15 febbraio) per il Governo si porrà un nuovo problema.

Per il trasferimento interprovinciale c’è il vincolo triennale

da La Tecnica della Scuola

Per il trasferimento interprovinciale c’è il vincolo triennale

L’Ordinanza minsteriale dovrebbe essere emanata verso la metà di febbraio.
L’eventuale istituzione dell’organico funzionale potrebbe determinare una revisione del contratto già firmato.

Parte il countdown per la mobilità 2015-2016, anche se restano perplessità e dubbi su quanto potrà accadere nei trasferimenti per il prossimo anno scolastico. L’ ordinanza ministeriale che recepisce tutte le norme della mobilità della scuola e specificherà modalità e date di presentazione dell’istanza per essere trasferiti da una scuola ad un’altra dello stesso comune o della stessa provincia o ancora tra province differenti, è prevista per la metà o poco più del prossimo mese di febbraio.
Parallelamente a questa partita dei trasferimenti si sta provvedendo a mettere appunto un cambiamento sulla modalità della formazione degli organici, che dovrebbero superare il passaggio da organico di diritto a quello di fatto e confluire in un unico organico che verrà chiamato organico funzionale.
Tale organico dovrebbe consentire  l’entrata in ruolo di 150 mila precari storici, che si troverebbero  a concorrere per un posto in organico funzionale al pari di chi chiede trasferimento.
Quale delle due operazioni verrà fatta prima? I trasferimenti e le utilizzazioni o le immissioni in ruolo? Il fatto che nell’ipotesi di contratto sulla mobilità si sia scritto al comma 4 art.1 che sarà possibile, anche per volere di una sola organizzazione sindacale, riaprire il confronto contrattuale per recepire possibili effetti sulla mobilità derivanti da nuove norme legislative, fa comprendere che si vogliano tutelare prima i docenti già in ruolo piuttosto che i nuovi aspiranti assunti. Nel frattempo dobbiamo registrare che chi è stato immesso in ruolo nel 2013-2014 o 2014-2015, resta vincolato nella provincia di titolarità e non può produrre domanda di trasferimento interprovinciale.
Pertanto può produrre domanda di trasferimento per l’anno scolastico 2015-16 in ambito interprovinciale il personale docente assunto con decorrenza giuridica 1 settembre 2012 o precedente. È escluso dall’applicazione della suddetta norma il personale docente ed educativo che usufruisce delle precedenze per gravi disabilità o che ha disabilità secondo l’art.21 della legge 104/92, il personale bisognoso di cure continuative o anche il personale che assiste il coniuge o il figlio con disabilità. Per quanto riguarda il personale che in qualità di figlio referente unico che assiste il genitore con grave disabilità, pur non usufruendo della precedenza per la mobilità interprovinciale, potrà presentare istanza a prescindere dal vincolo triennale. Quindi per essere chiari il docente entrato in ruolo quest’anno che è figlio referente unico che assiste il genitore disabile in stato di gravità, potrà liberamente presentare la domanda di trasferimento con prima preferenza il comune del genitore d’assistere e in seguito la provincia medesima e se si tratta di mobilità delle scuole secondarie di II grado, potranno seguire via via altre province.

Permessi retribuiti per motivi sindacali

da La Tecnica della Scuola

Permessi retribuiti per motivi sindacali

L.L.

Ai Dirigenti delle OO.SS. rappresentative spettano massimo cinque giorni lavorativi (fruibili anche ad ore) nel bimestre e, in ogni caso, massimo dodici giorni nel corso di tutto l’anno scolastico per l’espletamento del loro mandato, la partecipazione a trattative sindacali e la partecipazione a convegni e congressi di natura sindacale

Ai Dirigenti delle Organizzazioni Sindacali rappresentative, non collocati in distacco o aspettativa sindacale, possono fruire, nel limite del monte ore spettante a ciascuna, di permessi sindacali giornalieri e orari per:

  • l’espletamento del loro mandato;
  • partecipazione a trattative sindacali;
  • partecipazione a convegni e congressi di natura sindacale.

La previsione è contenuta negli artt.8-9-10 del CCNQ 7/8/98, ed è stata recentemente riepilogata dal Miur con la nota 36384/2014.

Tali permessi non possono superare bimestralmente, per ciascun dirigente sindacale tenuto ad assicurare la continuità didattica, i cinque giorni lavorativi e, in ogni caso, i dodici giorni nel corso di tutto l’anno scolastico.

Fermo rimanendo il limite massimo di dodici giorni nel corso dell’anno scolastico, nel periodo in cui si svolge la contrattazione integrativa, nella singola istituzione scolastica il cumulo dei permessi può essere diversamente modulato previo accordo tra le parti (CCNQ 18/12/2002, art.6).

Nel caso di fruizione di permesso sindacale giornaliero, dovrà essere conteggiato un numero di ore pari all’orario di lavoro giornaliero del dirigente sindacale che ne usufruisce.

Nell’utilizzo dei permessi deve comunque essere garantita la funzionalità dell’attività lavorativa della struttura di appartenenza del dipendente. Per tale ragione è necessario avvertire preventivamente il dirigente responsabile della struttura.

Nella richiesta di fruizione del permesso deve essere chiaramente specificato, a cura dell’associazione sindacale richiedente, oltre al periodo dell’assenza e della relativa durata, l’esatta imputazione dell’assenza medesima, specificando chiaramente se si tratta di permesso per espletamento del mandato (riconducibile all’art. 10 CCNQ 7/8/98) o di permesso per la partecipazione a riunioni degli organi statutari (ai sensi dell’art. 11 CCNQ 7/8/98).

Con riferimento ai dirigenti sindacali collocati in posizione di semi distacco o semi aspettativa sindacale, il comma 8 dell’art.7 del CCNQ 7/8/98 precisa che i citati dirigenti “non possono usufruire di permessi previsti dagli art.8 e 9. In caso di urgenza è ammessa la fruizione di permessi ad assentarsi dal servizio per l’espletamento del mandato senza riduzione del debito orario che dovrà essere recuperato nell’arco dello stesso mese”.

Se le OO.SS. avessero già usufruito dal 1° settembre 2014 di permessi sindacali retribuiti, il numero delle ore utilizzate dovrà essere scomputato dal contingente complessivo spettante fino al 31/8/2015.

In arrivo la quota massima di alunni stranieri per ogni classe

da La Tecnica della Scuola

In arrivo la quota massima di alunni stranieri per ogni classe

Una delle new entry del decreto che entro un mese arriverà in CdM è l’integrazione degli stranieri, la didattica interdisciplinare e multiculturale. Il sottosegretario Davide Faraone: classi composte interamente da bambini cinesi e classi con soli ragazzi italiani come accade da anni a Prato, rappresentano delle patologie che dobbiamo assolutamente modificare.

La scuola che verrà potrebbe portare agli alunni stranieri non solo l’insegnante ad hoc, ma anche la presenza limitata di alunni non italiani per classe. Di una sorta di quota massima parla il quotidiano “Il Messaggero” del 26 gennaio: si tratterebbe di “un capitolo extra della riforma. «Un tredicesimo punto» lo chiama il sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone, assente dalla bozza di riforma presentata lo scorso settembre”

Nell’articolo si spiega che “il governo, che sta marciando per licenziare il decreto sulla Buona Scuola” e che tra i nuovi punti salienti figurano stavolta “l’integrazione degli stranieri, la didattica interdisciplinare e multiculturale: «non sono mai stati sottovalutati dall’esecutivo e soprattutto dal ministero dell’Istruzione», spiega il braccio destro della responsabile del Miur, Stefania Giannini.

«Bisogna garantire agli studenti stranieri la possibilità di essere inseriti in classe in qualsiasi momento dell’anno – aggiunge il sottosegretario – perché non possono ripetersi episodi di bambini che devono aspettare mesi per trovare un’aula che li accolga». L’aspetto fondamentale, comunque, non si riduce a recuperare un banco; punta, piuttosto, a sconfiggere quella ghettizzazione compiuta silenziosamente negli anni.

«Classi composte interamente da bambini cinesi e classi con soli ragazzi italiani come accade da anni a Prato – prosegue Faraone – rappresentano delle patologie che dobbiamo assolutamente modificare». L’obiettivo è ambizioso: far crescere tutti i ragazzi in una cultura meno provinciale.

La novità, aggiungiamo noi, non sarebbe da poco. Vi sono aree del Paese, non solo la Toscana, dove la presenza di alunni stranieri è altissima: inserire un limite di allievi no italiani per gruppo-classe potrebbe non essere così agevole. Soprattutto alla primaria. Complessivamente, in tutta Italia vi sono almeno 400 istituti con una percentuale di alunni di recente immigrazione che si aggira sul 50%. Staremo a vedere gli sviluppi della proposta. Entro fine febbraio, infatti, il decreto Scuola arriverà in Consiglio dei Ministri.

Addio scuole di montagna e nelle piccole isole?

da La Tecnica della Scuola

Addio scuole di montagna e nelle piccole isole?

In una Nazione dominata dalla presenza di montagne e di piccole isole come l’Italia, è logico chiudere le istituzioni scolastiche in esse presenti e costringere genitori e alunni a spostamenti massacranti? A quanto pare sì.

Tra i 3.600 istituti falcidiati dalle riforme e dal dimensionamento degli ultimi anni, vi sono ben 236 realtà scolastiche cancellate nelle aree più isolate e impervie del Paese. Nelle zone montane del Molise ne sono state fatte sparire il 37%: quattro su dieci. Nel Lazio il 25%, in Calabria e Campania il 24%. In Toscana sono state chiuse sei scuole, che corrispondono a 46 cattedre. Nelle isole minori i tagli sono stati meno vistosi, ma si sta andando verso le classi “pollaio”. Con utenti e insegnanti costretti a raggiungere le sedi rimaste in vita attraverso viaggi lunghi e al limite del sopportabile.

E allora si è pensato di sfruttare le nuove tecnologie. Per i tanti alunni rimasti senza scuola, a volte anche nel raggio di decine e decine di chilometri, un’ancora di salvataggio sembrerebbe giungere dall’Indire, l’Istituto di innovazione e ricerca del Miur, che “nel corso del 2014 ha organizzato “Piccole scuole crescono”, un network di istituti che operano nei territori di montagna e nelle isole minori.

Una rete aperta a tutti i presidi che per superare l’isolamento vogliono introdurre formule didattiche nuove. Uno dei problemi principali, in questi casi, è la difficoltà di assegnazione dell’organico e l’elevato turnover dei docenti: durano poco, in montagna, e la discontinuità dell’insegnamento rallenta l’apprendimento degli alunni”.

Il risultato pratico di questo progetto è che “nelle rete toscana, undici scuole, Indire ha previsto due modelli, esportabili: “didattica condivisa” e “ambiente di apprendimento allargato”. La didattica condivisa prevede l’uso quotidiano della videoconferenza tra due o più classi appartenenti a istituzioni scolastiche diverse. Nelle piccole scuole la lezione condivisa favorisce lo scambio di esperienze e garantisce l’insegnamento di tutte le discipline. Le classi lontane spesso sono “classi capovolte”, con gli studenti che imparano da soli, a casa, la teoria, poi la sperimentano in classe. Con l’ambiente di apprendimento allargato una o più classi lavorano invece a un progetto disciplinare comune e organizzano incontri periodici tra docenti, studenti ed esperti che possono fare uso di videoconferenze o di altri setting tecnologici. In questo

L’attività scolastica, però, si fa in classe. E se il Governo vuole davvero rilanciare la scuola pubblica, si impegni seriamente a ridare vita alle 3.600 scuole falcidiate dalle riforme e dal cosiddetto dimensionamento. O la logica è esclusivamente quella dei tagli indiscriminati?