LES: Tema di diritto ed economia politica

Liceo Scienze umane – opzione economico sociale
Tema di diritto ed economia politica

di Mavina Pietraforte

 

Prima parte

Premessa

Il tema proposto chiede di sviluppare l’argomentazione del welfare state nell’epoca della globalizzazione con riguardo ai principi costituzionali e a quelli dell’Unione Europea, ispiratori dello Stato del benessere e alle modalità con cui porre rimedio alla disoccupazione e alle disuguaglianze economiche.

 

Svolgimento

La scienza economica e i suoi limiti

Le riflessioni del filosofo F. Galimberti vanno al cuore del problema evidenziando i limiti della scienza economica che osserva solo il comportamento concludente dell’agire umano, ma non le precondizioni che spiegano le ragioni di quell’agire.

Così l’economia politica non indaga sulle diverse situazioni di partenza, considerando come fossero tutti sullo stesso piano e dissertando solo sui comportamenti osservabili, sia pure considerando vincoli e scelte condizionate.

Non va alla ricerca dell’etica, l’economia, in condizioni di bisogno e quindi di domanda superiore all’offerta, può considerare economico pagare un prezzo inusitato per un bicchiere d’acqua nel deserto, ma non si chiede se sia giusto che a dissetarsi possa essere solo un miliardario, uno su mille.

Ma l’economia politica è pur sempre una scienza sociale e allora occorre andare a ragionare sulle precondizioni, chiedersi perché possa esserci un privilegio di sopravvivenza a fronte di condizioni di povertà di molti.

In questo viene in aiuto il mondo del diritto, in specie la Costituzione che nell’art. 3 ci parla di uguaglianza, ma soprattutto al secondo comma   parla appunto delle diverse condizioni di partenza, delle situazioni di svantaggio che è cura della Repubblica sanare e livellare.

Un’uguaglianza nella diversità.

Affinché un comportamento economico possa essere valutato come tale, ovvero rispondente ai principi di razionalità e del tornaconto, devono poter essere perseguiti liberamente, riducendo al minimo le contraddizioni e lo stato di disagio preliminare.

Galimberti parla della necessità di considerare tutto ciò che viene prima del “margine”, ovvero di non potersi contentare di una utilità marginale che spiegherebbe le scelte economiche del consumatore, spingendolo a livellare il proprio livello di soddisfazione nella scelta tra più beni, dati il loro prezzo.

Sono principi della microeconomia neoclassica che nel mondo prefetto della libera concorrenza spiegano il comportamento dell’homo oeconomicus.

a così non è. Non solo la Costituzione repubblicana, ma anche nel il Trattato di Roma del ’57 si è sancito il divieto di pratiche monopolistiche, assunto che la libera concorrenza, come dimostrato dagli studi di J.Robinson[1], è un’utopia.

Ancora, è la Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea del 2000 a sancire il diritto alla dignità dell’uomo, ciò che nella nostra Costituzione è legato al diritto ad una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.), e tornando alla Carta dei diritti UE, all’art. 34, Sicurezza sociale e assistenza sociale,  è stabilito che “L’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”.

Dunque, sia la nostra Costituzione che la Carta dei diritti UE si preoccupano di garantire dignità e sicurezza sociale in termini di previdenza ed assistenza[2], ai cittadini e ai lavoratori.

Relazioni tra mercato e welfare state nell’epoca della globalizzazione

Tappe miliari questi principi giacché anche nel Terzo Millennio, in piena era di globalizzazione non siamo in realtà lontani dai tempi del Rapporto Beveridge che nel lontano ’42 gettava le basi del Welfare State, costatate le condizioni di povertà della popolazione, cercando di garantire un sistema di tutele dei cittadini “dalla culla alla tomba”.

Da allora molte sono state le critiche allo Stato del benessere, rivelatosi un apparato talora inefficiente e costoso, molti rivendicando la flessibilità del mercato e la sua leggerezza.

Ma anche questi miti sono da sfatare, giacché i fallimenti del mercato sono sempre più evidenti, a fronte dell’inasprimento delle disuguaglianze economiche e della concentrazione della ricchezza nel sempre minor numero di persone e questo non solo a livello dei singoli paesi, ma mondiale.

Uno degli effetti della globalizzazione è difatti proprio l’estendersi delle condizioni di povertà nel mondo.

Non sono state raggiunte le condizioni di uno sviluppo tecnologico e di progresso riproponibili in ogni dove, ma sono state esasperate le situazioni di povertà e di disagio socio economico.

Non solo nei paesi in preesistenti condizioni di povertà per il meccanismo perverso del c.d. “circolo vizioso della povertà” (bassi redditi/bassi risparmi/bassi investimenti), ma anche in Europa l’onda lunga della recessione colpisce e mina la capacità di reddito.

Nel secondo brano proposto, quello di C. Saraceno, si fa riferimento ad un volume comparativo sugli anni pre-crisi, “quando in Europa è aumentato il tasso di occupazione ma non è diminuito quello di povertà”, a dimostrazione del fatto che non bastano le politiche di empowerment del mercato del lavoro per risollevare una domanda di lavoro che ancora non c’è, supposto “che ci si riesca in un contesto di domanda debole”, ma ciò che occorre è che le scelte di governo siano sensibili alla richiesta di aiuto dei soggetti più deboli, dai giovani alle famiglie monoreddito che sopportano il peso degli anziani o dei malati o dei giovani disoccupati.

In questo senso, le “condizioni di base”, come le chiama Galimberti, per un corretto spiegamento dell’agire economico, devono essere oggetto di attenzione da parte delle istituzioni.

E’ il governo, la Repubblica in senso più lato, come si esprime la Costituzione, intendendo quindi non solo le istituzioni, ma anche i corpi sociali intermedi a garantire assistenza e cura ai ceti sociali più svantaggiati.

 

I beni “indivisibili”.

Come? Innanzitutto garantendo la fornitura dei “ beni indivisibili”, quelli per cui non si può richiedere un prezzo di mercato, ma oggetto di imposte generali. Quei beni di cui non si può quantificare il benessere che ciascuno ne ricava, potendo ognuno non averne mai bisogno o potendo rivolgersi a strutture private, ma essendo nella necessità di altri, che non avrebbero altro modo di goderne, risultato estromessi dal poter condurre una vita dignitosa.

Sanità, Istruzione, Previdenza, Assistenza: i quattro pilastri dello Strato sociale sono ancora le pre-condizioni per assicurare ai meno abbienti una vita libera e dignitosa.

E questo anche nell’interesse delle classi agiate che vedrebbe così diminuire il conflitto sociale e quindi di poter godere dei propri privilegi, conquistati magari per merito personali, senza dover sentire un vago senso di colpa visti i baratri delle disuguaglianze.

Conclusioni

Oggi che sempre più importante è garantire i diritti di cittadinanza come strumenti di partecipazione alla vita sociale, non si può non sottolineare come l’esercizio di questi diritti passa attraverso una situazione reddituale minima che possa garantire libertà nelle proprie scelte politiche e sociali.

Un reddito minimo di cittadinanza affranca i ceti sociali più deboli dal degrado sociale e supporta i “fallimenti del mercato” nelle fasi economiche di crisi e recessione.

 

Seconda parte

Si chiede al candidato di sviluppare due tra quattro quesiti.

I quesiti sono i seguenti:

 

n.1 uali s

 

 

 

Quali sono i diversi sistemi pensionistici e di assistenza sanitaria?

 

Il problema pensionistico

Le pensioni rappresentano la voce più importante di spesa previdenziale italiana e dunque Il sistema pensionistico è il vero “nodo gordiano” che mette a dura prova le capacità di gestione della finanza pubblica da parte dei governi che man mano si sono provati a scioglierlo.

 

In virtù di questo, diverse sono state le riforme che dagli anni ’90 hanno interessato il sistema pensionistico.

 

Le riforme

Riforme che hanno avuto ad oggetto da un lato la revisione dell’età pensionabile, dall’altro il sistema in base al quale viene ad essere determinato l’ammontare della pensione che andrà ad essere percepita, o in base alla retribuzione (più favorevole per i pensionati) o in base alla contribuzione (più favorevole per i conti pubblici).

Il problema di fondo è che la disoccupazione giovanile fa sì che siano pochi a versare i contributi a fronte di milioni di pensionati, data l’età media che si è allungata.

Così dal ’92 in avanti con le   riforme Amato prima e poi Dini, si è da un lato elevato l’età pensionabile e dall’altro passati dal sistema retributivo ad uno contributivo, fino alla riforma Fornero che conferma le pensioni di vecchiaia con requisiti più elevati, gli assegni determinati con il contributivo anche per coloro che avevano conservato il più vantaggioso metodo retributivo, e la sostanziale cancellazione per le pensioni di anzianità.

Con l’attuale governo sono allo studio ulteriori modifiche al sistema pensionistico che sembrano voler tenere conto della flessibilità in uscita dei lavoratori, ma con penalizzazioni.

Le prospettive

In questo modo si cerca di bilanciare il fatto che i conti previdenziali in rosso impongono di mandare in pensione sempre più tardi, con il fenomeno della disoccupazione per cui larga fetta della popolazione attiva, ovvero i giovani, sono fuori dal mercato del lavoro e forse non è così opportuno allungare sine die l’età pensionabile.

 

L’assistenza sanitaria

L’assistenza sanitaria in Italia è una delle più avanzate al mondo, oggetto di imitazione anche da parte del presidente Obama, almeno nel corso della sua prima previdenza.

Il Ssn

Raggiungere un sistema che garantisca l’effettivo diritto alla salute è stato un traguardo che nel nostro Paese è stato raggiunto con la famosa riforma sanitaria del 1978 con la quale si istituì il Servizio Sanitario nazionale (Ssn). Con esso, venivano abolite le diverse forme d assistenza sanitaria previgenti e si istituivano le Aziende Sanitarie locali aventi autonomia di gestione e attraverso le quali le Regioni provvedevano a garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea).

Si dava attuazione così al dettato costituzionale di cui all’art. 117 Cost., secondo comma, lettera m).

Il fondo perequativo

Il finanziamento di questo servizio sanitario nazionale dal 2001 è in capo alle Regioni, stante però un fondo perequativo nazionale con l’intento di mantenere una certa perequazione, ovvero uniformi livelli di prestazione tra le regioni, in considerazione del fatto che si tratta dell’erogazione di servizi essenziali per il cittadino.

 

 

 

 

n.2

Quali conseguenze sul welfare state (stato sociale) ha avuto, a partire dagli anni ’70, il rallentamento dei tassi di crescita del prodotto interno lordo?

Il PIL e l’ISU

La ricchezza di una nazione, come è noto, è misurata dal suo livello di prodotto interno lordo. Questo d’altra parte non misura il livello di benessere, ma solo di ciò che in un anno è prodotto in un paese in termini di beni e servizi.

Più un paese produce e più e ricco, questo ci dice il suo Pil. Nulla sappiamo con il Pil dei servizi e delle facilitazioni di vita all’interno di uno Stato che possono metter il cittadino anche in condizioni di lavorare di meno accettando un reddito più basso, ma potendo usufruire di efficienti servizi pubblici.

Per misurare questo, occorre il ricorso ad un altro strumento, l’ISU (Indice di Sviluppo Umano).

Ma senza addentrarci in questa dissertazione, di sicuro occorre tener d’occhio il PIL per verificare che la spesa pubblica non superi il livello del Pil.

L’intervento dello Stato nell’economia

Dopo la grande crisi economica del ’29 e il passaggio ad una finanza funzionale, l’intervento dello Stato nell’economia con finalità di redistribuzione del reddito, ha comportato un notevole aumento della spesa pubblica.

Un aumento che a partire già dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, nella maggior parte dei Paesi industrializzati, ha posto il problema della “sostenibilità dello Stato sociale, visti i bassi livelli di crescita economica.

 

Il PIL e la spesa pubblica

Ovvio che se il Pil rallenta o cresce dello 0,1%, lo Stato non ha le entrate sufficienti per le spese ormai considerate indispensabili per il cittadino, quelle appunto per il welfare state.

Le prime conseguenze ad una situazione in cui le spese sociali superano i livelli di crescita del Paese sono quelle di un deficit nei conti pubblici, laddove si voglia mantenere inalterate le prestazioni sociali, o al contrario una drastica riduzione delle spese stesse.

Il problema può essere risolto pure con un inasprimento fiscale o con l’indebitamento (emissioni di titoli pubblici). Si è fatto ricorso a queste modalità nel nostro Paese, facendo peraltro i conti con l’aumento dell’evasione fiscale (a fronte di un inasprimento delle imposte) o con un enorme disavanzo pubblico con gli strumenti di “finanza creativa”, come ebbe a dire l’allora Ministro delle Finanze, G. Tremonti.

Inevitabile quindi il ricorso a politiche restrittive, di stampo liberista, che negli anni ’80 hanno visto il trionfo della destra reaganiana negli USA e della politica di tagli alla spesa pubblica perpetrata dal primo Ministro M. Thatcher in Inghilterra.

Sicuramente gli anni ’80 hanno visto una inversione di tendenza rispetto alle scelte in favore di un welfare State, anche in considerazione dell’effetto spiazzamento degli investimenti privati (crowding out) delle spese stesse.

Gli obiettivi della finanza pubblica dunque non sono stati più volti ad assicurare livelli di benessere per tutti, ma a salvaguardare i conti pubblici.

I diktat dell’Europa

Nel ’92 il Trattato di Maastricht prima e il Patto di stabilità e di sviluppo hanno fissato obiettivi di contenimento della spesa pubblica con il vincolo del rispetto di precisi parametri con riguardo ai rapporti tra disavanzo e Pil (non superiiore al 60%), come pure tra deficit e Pil (non superiore al 3%), che hanno comportato per i paesi membri l’adozione di politiche di rigore in vista di un futuro sviluppo e di una ripresa possibile.

Di fatto, nonostante il rigore, il Pil da solo flebili segnali di ripresa, anche in questa prima metà del secondo decennio degli anni 2000, mentre crescono le sofferenze economiche e sociali delle popolazioni, soprattutto in alcuni Paesi europei.

Anche nel nostro Paese la riduzione del welfare state, avvertito soprattutto in materia pensionistica ma anche di insufficienti trasferimenti alle famiglie, in presenza di alti tassi di disoccupazione, è fonte di malessere da parte di larghi strati della popolazione.

 

  1. 3. Qual è il rapporto tra Pubblica Amministrazione e organizzazioni private nel Welfare mix?

 

Il Welfare State e l’uguaglianza

Lo Stato sociale o “Welfare State” si fonda sul principio di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.) e sull’idea della sicurezza sociale, in cui lo Stato garantisce a tutti i cittadini servizi ritenuti indispensabili, quali il diritto allo studio, ad una abitazione, all’assistenza in caso di malattia, alla previfdenza come lavoro differito, alla maternità e in generale ad un’esistenza “libera e dignitosa” (art. 36 Cost.).

Ma vista la difficoltà di mantenere alti livelli di welfare, considerata la politica di risanamento dei conti pubblici imposta anche dall’appartenenza all’UE, sono auspicabili forme di cooperazione tra il settore pubblico e quello no profit.

 

Il welfare mix

Con la legge quadro n. 328/2000 è venuto a delinearsi un nuovo sistema di protezione sociale (c.d. sistema integrato di interventi e servizi sociali), passando da un welfare state ad un welfare mix (o community).

In questo modo lo Stato non è il solo erogatore di servizi pubblici, ma lascia che siano anche altre organizzazioni di comunità (settore non profit o terzo settore) che, affiancandosi alle istituzioni locali, possano meglio rispondere, attraverso una rete di servizi, ai bisogni sociali e sanitari.

In questo modo, è maggiormente rispettato il dettato costituzionale che vuole sia la Repubblica (art. 3, secondo comma, Cost.), quindi non solo lo Stato, ma anche le altre “formazioni sociali” (art. 2 Cost.) ad affiancare e sostenere la comunità tutta nella risposta ai bisogni pubblici della popolazione.

 

I modelli organizzativi

D’altra parte, tra i modelli organizzativi dello Stato sociale, accanto a quello di tipo scandinavo , in cui lo Stato svolge direttamente ed esclusivamente le funzioni di programmazione, gestione, controllo, e al modello anglosassone, dove la gestione viene delegata ai privati, (c.d contracting-out dei servizi), applicato nel Regno Unito, in Olanda, in Belgio e in parte della Germania, vi è il terzo modello, quello di tipo misto nel quale esistono combinazioni tra pubblico e privato, con interventi del “terzo settore (organizzazioni non profit, cooperative sociali, volontariato e associazioni).

P.A. e organizzazioni private

Il rapporto tra Pubblica Amministrazione e organizzazioni private in questa nuova forma di Welfare mix è dunque di interfaccia e di collaborazione reciproca, avendo come obiettivo comune quello di innalzare i livelli di benessere dei cittadini.

Inoltre, in base al principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.), tutte le comunità, semplici o complesse, dall’individuo alle famiglie fino agli enti locali, che formano una società, devono svolgere un ruolo prioritario rispetto allo Stato e la Pubblica Amministrazione, in quanto articolazione centrale e periferica dello Stato, deve potersi disporre in posizione di ascolto e di accoglienza delle proposte di solidarietà espresse dalla comunità tutta. Giacché è proprio nell’aiuto e nel riconoscimento reciproco che si realizza la solidarietà di cui all’art. 2 della nostra Costituzione.

 

 

n.4

I processi di globalizzazione hanno portato ad una riduzione della disuguaglianza a livello globale, ma anche ad importanti aumenti della disuguaglianza tra paesi e all’interno di ciascuno di essi. Quali sono i principali meccanismi che possono spiegare queste dinamiche.

 

La globalizzazione e altro.

La globalizzazione che si è imposta grazie all’imponente sviluppo delle comunicazioni ha da un lato prodotto un notevole aumento degli scambi commerciali internazionali, dall’altro una sempre più marcata interdipendenza fra i Paesi.

E non solo, ha anche prodotto l’aumento della disuguaglianza registratasi in molti paesi negli ultimi anni e che appare essere un fenomeno pervasivo, destinato a generalizzarsi a tutte le economie avanzate, sotto la spinta sia della “globalizzazione”, che della “rivoluzione informatica, come pure della cosiddetta “finanziarizzazione” dell’economia.

Tutti fenomeni che hanno influenzato la diseguaglianza tra paesi e all’interno di ciascuno di essi, in relazione alla collocazione del paese nell’economia internazionale.

Infatti il processo di integrazione internazionale ha finito infatti con lo stimolare, per il tramite delle esportazioni di beni, servizi e capitali, solo alcune zone/settori dei diversi paesi, accentuando i divari regionali nonché quelli tecnologici e occupazionali, e quindi, alla fine, anche le diseguaglianze distributive.

 

Le disuguaglianze.

 

Gli studiosi dell’economia hanno classificato in vario modo i diversi tipi di disuguaglianza.

Così si parla di “diseguaglianza tra paesi” Intercountry inequality, prescindendo dalla diversa numerosità della popolazione, oppure di “diseguaglianza internazionale” ( Intercountry inequality), come divario tra i redditi pro capite dei diversi paesi tenendo conto questa volta della numerosità della popolazione, ed infine di “diseguaglianza globale” (Global inequality), che misura la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi fra i cittadini (individui o famiglie) considerati come appartenenti tutti ad un unico territorio: il mondo.

Coloro che ritengono che gli effetti positivi della globalizzazione siano stati molto numerosi sottolineano come, i divari di reddito pesati per la popolazione, e dunque misurati con l’International inequality, siano diminuiti. Coloro che, invece, sono critici nei confronti della globalizzazione preferiscono considerare l’Intercountry inequality come misura della crescente divergenza nei redditi pro-capite dei diversi paesi.

 

Le disuguaglianze all’interno dei paesi.

 

Inoltre, alla disuguaglianza tra i paesi e all’interno di ciascuno di essi, contribuisce un aumento della disparità salariali dovuto anche ad una minore rappresentatività dei sindacati, ma soprattutto al diverso capitale umano in termini di knowledge.

Infatti la diffusione di tecnologie ha favorito il lavoro qualificato a scapito di quello meno qualificato.

Quale che sia la causa principale, queste tendenze trasferite poi ai redditi familiari complessivi, valgono a spiegare le differenze reddituali all’interno di un paese considerato che se non compensate da politiche di redistribuzione dei governi, potrebbero aumentare le disuguaglianze.

 

Conclusioni

Per concludere, se da una parte la globalizzazione “come impostazione economica generale è in grado, sulla carta, di garantire ai poveri una quantità di benefici superiori a qualsiasi altra strategia”, come afferma Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace 2006, dall’altra il libero mercato, sempre Yunus, “senza vincoli di sorta, così come è oggi concepito, non è pensato per affrontare i problemi sociali, anzi, può portare ad aggravare povertà, inquinamento e disuguaglianze e a diffondere corruzione e criminalità.”


 

[1] Cfr. Robinson, Joan Violet Economics of imperfect competition, 1933.

[2] Cfr. Artt. 38 Cost. e 35 Carta diritti UE.

Lettera al Ministro

associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola

On. Stefania Giannini
Ministro dell’Istruzione, Università, Ricerca
Dott. Alessandro Fusacchia
Capo di Gabinetto MIUR
Loro Sedi

oggetto: rinvio approvazione DdL AS 1934 / ricadute sul lavoro delle scuole

Apprendiamo, dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, l’intenzione di ritirare il DdL in oggetto e di avviare nel prossimo mese di luglio una nuova consultazione preliminare ad eventuali decisioni nel merito del provvedimento.
Tale intenzione, se confermata, avrà un impatto immediato su un adempimento al quale le scuole stanno lavorando in questi giorni, in vista della sua prossima scadenza: la compilazione del Rapporto di AutoValutazione di cui al DPR 80/2013, nel quale – come è noto – è prevista l’individuazione di priorità nell’ambito degli esiti di apprendimento degli studenti e l’adozione di obiettivi di processo idonei al loro miglioramento.
E’ del tutto evidente che questa fase del processo, da registrare nella Sezione V del fascicolo RAV, presuppone che siano noti gli strumenti disponibili, in particolare per le azioni di recupero e potenziamento degli apprendimenti. E’ ben diverso, anche per limitarsi solo a questo aspetto, poter contare su un organico dell’autonomia rinforzato o dover provvedere con gli strumenti tradizionali.
Non solo: disporre di premi per il merito, poter inserire opzioni nel curricolo, poter valutare le prestazioni individuali non sono affatto fattori slegati dal percorso di miglioramento che dovrebbe essere disegnato nel Rapporto. Come non è slegato dalla progettazione degli sviluppi futuri il fatto che il piano dell’offerta formativa sia annuale o triennale; né che il dirigente possa a sua volta contare su un orizzonte temporale di ampio respiro, ovvero sappia che il suo mandato sarà comunque limitato nel tempo, a prescindere dal suo impegno e dai risultati conseguiti.
In questo contesto, le sorti parlamentari del DdL AS 1934 influiscono in maniera determinante nell’orientare le scelte delle scuole e quindi la compilazione del fascicolo RAV. Qualunque strategia di intervento si voglia mettere in campo presuppone la conoscenza delle risorse umane disponibili, delle modalità della loro acquisizione, delle leve gestionali esistenti, delle condizioni di legge nel cui perimetro l’azione dirigenziale deve muoversi.
In mancanza di tali elementi, il RAV eventualmente predisposto perderebbe ogni carattere di ragionevolezza, smarrendosi in una prospettiva incerta e piena di incognite. Al più, un adempimento formale fine a se stesso, del tutto inidoneo a sostenere processi di miglioramento.
Anche a prescindere dalla questione RAV, questo è il momento dell’anno scolastico in cui tutti i dirigenti impostano il lavoro per il prossimo anno: dalla proposta di organico di fatto al piano annuale, dall’orario delle lezioni ai percorsi di recupero ed alle verifiche relative, dal piano dell’offerta formativa (annuale? triennale?) a quello della formazione in servizio (obbligatoria? facoltativa?). Hanno il diritto di conoscere con certezza quali sono gli ordinamenti, quali le risorse, quali le regole nel cui ambito devono muoversi. In difetto, non potranno che sospendere tutti gli adempimenti ed attendere le decisioni della politica: che, quando arriveranno, rischiano di risultare comunque irrilevanti, in quanto tardive.
Per tutte le considerazioni sopra esposte, questa associazione sindacale ritiene necessario il rinvio della imminente scadenza per il completamento e la pubblicazione del RAV, fino al momento in cui si avranno notizie certe circa il quadro normativo e le risorse disponibili per dare attuazione alle priorità individuate dalla scuola.
Fino a quel momento, i dirigenti delle scuole non potranno che sospendere ogni adempimento legato al RAV che non si limiti alla semplice compilazione delle prime quattro sezioni, relative alla registrazione dei dati di contesto, degli esiti e dei processi.
Più in generale, non potranno che provvedere agli adempimenti di loro competenza, preliminari all’avvio del prossimo anno scolastico, solo nella misura minima che risulti eventualmente compatibile con le informazioni in loro possesso quanto a norme, regole e risorse su cui contare. In qualche caso, tale misura potrebbe anche risultare pari a zero e tutto questo, indipendentemente dal loro impegno e dalla loro volontà, avrà ripercussioni inevitabili sulle scadenze di settembre.
Si vuole segnalare altresì che la legge di stabilità per il 2015 aveva introdotto una serie di misure di risparmio (abolizione degli esoneri, divieto di nominare supplenti sui primi giorni di assenza, riduzione nel numero degli amministrativi, per non citare che le più rilevanti) che avrebbero dovuto trovare compensazione nell’organico dell’autonomia previsto dal DdL AS 1934. Se quest’ultimo si ferma, ed in assenza di misure alternative, i dirigenti scolastici non potranno garantire il normale funzionamento e potrebbero vedersi costretti a sospendere selettivamente le lezioni per l’impossibilità di assicurare la vigilanza sui minori.
Tanto si è ritenuto di dover comunicare per debito di chiarezza nei rapporti istituzionali.

Distinti saluti.
Giorgio Rembado
Presidente nazionale Anp

Falsi invalidi, la Fish attacca: “Il solito ritornello di sempre”

da Superabile

Falsi invalidi, la Fish attacca: “Il solito ritornello di sempre”

Sul Corriere della Sera e su Rai3 trova nuovamente spazio il presunto boom della spesa per le indennità di accompagnamento e la necessità di razionalizzare la spesa. Dalla Fish le controdeduzioni: “Ecco i veri dati che fotografano la realtà”. Dal 2009 al 2015 i controlli sono stati 1.250.000

ROMA – Invalidità civili nuovamente sul banco degli imputati, ma è l’ennesima puntata di un ciclico ritornello basato su dati approssimativi: è ancora una volta la Fish a intervenire sul tema e a offrire altri spunti di riflessione che disegnano una realtà ben diversa da quella che ancora una volta è passata sia sul più autorevole quotidiano italiano sia in un importante talk show informativo della televisione pubblica. In questi giorni – recita una nota della Fish – si assiste all’ormai ciclico refrain scandalistico sulla spesa per le invalidità civili. Il copione è il solito: cronaca che evidenzia casi isolati come se rappresentassero la generalità, articoli o interventi di giornalisti ammantati di oggettività e con uso approssimativo di dati estrapolati ben poco scientificamente e a seguire commenti “politici” di stampo “giustizialista” o con improbabili ricette risolutive.

Il presunto polverone – spiega la Fish – questa volta è sollevato dal Corriere della Sera di domenica 14 e lestamente rilanciato da altre testate minori ghiotte di scandalismo. Fino a finire in TV (Ballarò) del 16 giugno che intervista Federico Fubini, articolista del Corriere. Secondo la tesi del Fubini gli assegni (così li chiama) di invalidità starebbero aumentando negli ultimi due anni in modo eccessivo: 50.000 in più nel 2012 e altrettanti nel 2013. In realtà l’aumento è lo stesso degli ultimi 15 anni, con l’eccezione del 2011, anno in cui tale progressione è diminuita, verosimilmente per le ricadute operative e i rallentamenti derivanti dalla informatizzazione del sistema di accertamento. Sempre secondo Fubini, dopo il 2012, dopo che “il governo di Mario Monti aveva lanciato 150 mila ‘verifiche straordinarie’ dell’INPS contro i falsi invalidi”, i controlli si sarebbero allentati. L’articolista ha perso qualche puntata e incorre in qualche grossolano errore. In realtà il Governo Monti ha stabilito sì 150mila controlli, ma per ciascuno degli anni 2013, 2014, 2015: quindi 450mila. Questi controlli, sommati ai precedenti 800mila (dal 2009 a 2012), portano a 1.250.000 persone controllate e verificate. Un’operazione titanica, con costi elevatissimi (su cui Fubini potrebbe trarre una buona indagine giornalistica), dagli esiti di una consistenza ridicola e foriera di un contenzioso straordinario (peraltro INPS soccombe in giudizio nel 50% dei casi). Negli stessi anni, per inciso, i fondi sociali hanno subito una riduzione che è arrivata al 90% e i Comuni, complice il Patto di stabilità, hanno fortemente ridotto i servizi sociali ai Cittadini. Pertanto non è stata propriamente l’era rosea che qualcuno rimpiange.

Dopodiché Fubini chiama a “sponsor” Cottarelli e il suo noto quanto inapplicato dossier sulla spending review: l’aumento delle indennità di accompagnamento non sarebbe proporzionale alla crescita dell’età media. La FISH aveva già replicato a Cottarelli evidenziando come la spesa per indennità di accompagnamento sia inversamente proporzionale alla spesa sociale dei Comuni per gli anziani. Meno i Comuni spendono per gli anziani, più aumenta la richiesta, e quindi la concessione, delle indennità di accompagnamento. Il 50% circa di tali indennità, infatti, è concessa a Cittadini ultra80enni.

Il Italia sono prudenzialmente stimati 500mila casi di Alzheimer che si aggiungono alle patologie ingravescenti tipiche della terza età. Il costo e l’impatto sociale della non autosufficienza sono estremamente gravi e severi. A fronte di un limitato impegno dello Stato “sociale” su questo versante, la spesa a carico delle famiglie (badanti, pagamento di rette, assistenza diretta) è causa di impoverimento progressivo. A questo si aggiunga che la spesa sociale per disabilità dell’Italia è una delle più basse d’Europa. Che le famiglie e le persone ricorrano alle uniche e limitate opportunità che il Paese offre non deve quindi stupire ma far riflettere.

Quanto alla correttezza degli accertamenti, quelli che riguardano le minorazioni civili sono gli unici, nella pur ridondante organizzazione burocratica italiana, in cui la pubblica amministrazione controlla preventivamente se stessa: ogni verbale emesso dalle ASL (sei medici e operatori) viene verificato, prima di essere emesso, dall’INPS (altri sei medici). Difficile sostenere che a questa occhiuta vigilanza ancora sfugga un numero di “profittatori” che sia in qualche misura rilevante.

“Sarebbe necessario discutere seriamente sulla politiche per la disabilità e sulle relative risorse per favorirne l’inclusione – commenta Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – Gli interventi dai toni eclatanti e scandalistici sono assolutamente inutili a tutti. Siamo disponibili a confrontarci con chiunque sulla base di dati reali e non certo parziali che disegnano una situazione per molti versi drammatica per le persone e per le famiglie italiane. Nel frattempo, però, la diffusione di informazioni distorte e parziali contribuisce a diffondere luoghi comuni e pregiudizio nei confronti delle persone con disabilità, dipingendole come parassiti e profittatori. Il che è inaccettabile.”

Sex & disabled people: le lezioni della Garlaschelli diventano un reading

Sex & disabled people: le lezioni della Garlaschelli diventano un reading

L’idea alla conclusione di una serie di ironiche lezioni postate su facebook su sesso e disabilità: grande il successo di lettori per un tema trattato spesso come un tabù, che la scrittrice tocca con ironia e intelligenza. Stasera la prima a Piacenza, il testo dello spettacolo diventerà un libro

da Redattore sociale
18 giugno 2015

ROMA – Le lezioni di sesso della scrittrice milanese Barbara Garlaschelli diventano un reading musicale sul sesso e la disabilità, che stasera debutta a Piacenza, alle 21, al Cantiere Simone Weil. “Un argomento importante che coinvolge non solo i disabili ma tutta la collettività. – scrivono gli autori. – Trattato spesso come un tabù, affrontato o da un punto di vista “tecnico” e medico, oppure come un “problema” che coinvolge anche la morale, in Sex & disabled people il punto di vista è invece quello comico, ironico e dissacrante di una disabile, mentre come “controcanto” ci sono le riflessioni poetiche e profonde di un’altra disabile. Perché si può e si deve parlare di sesso e disabilità anche con il sorriso sulle labbra e la gioia nel cuore”.


L’idea è nata a conclusione di una serie di lezioni postate su facebook che hanno avuto un grande successo di lettori, grazie anche allo stile divertente e ironico della scrittrice. Ispirate alla serie a Sex & the City, le lezioni nascono da esperienze vissute in prima persona  e spunti diversi e riaffermano una grande e semplice verità per “disabiliti” e non: “chi non si sente libero, non si lascerà mai andare”.

“La mia vita è stata molto ricca, in proposito. – raccontava a Redattore sociale all’inizio di questa avventura Barbara Garlaschelli – Mi sono capitate tante cose incredibili, ho sentito tante domande assurde, tipo: ‘E le gambe dove le metto?’ Ma che domanda è? Non so, vuoi provare a smontarle? (…) Troppo spesso le persone disabili vengono immaginate senza pulsioni né desideri: e perché mai?”.

Il testo è stato scritto insieme ad Alessandra Sarchi; fanno parte dello spettacolo  i video di Raffaele Rutigliano, i disegni di Sabrina Lupacchini, la voce narrante di Viviana Gabrini e la musica i Luca Garlaschelli. L’iniziativa è promossa e organizzata dall’associazione Culturale Tessere Trame, in collaborazione con ASP di Piacenza e Comune di Piacenza. Il testo di “Sex & disabled people” diventerà anche un libro (casa editrice per ora non svelata dall’autrice che perrà commenta: “Spesso, cose nate casualmente su fb, mi hanno portato soprese belle e appaganti”.

Lazio, per 3.500 studenti disabili il prossimo anno è “a rischio”

da Superabile

Lazio, per 3.500 studenti disabili il prossimo anno è “a rischio”

Tagliate le province, non si sa chi gestirà l’assistenza specialistica. Una mamma: “Senza assistente, mio figlio passa il tempo a leccare le matite”. De Crescenzo (Agci): “In 15 anni, da 300 a 3.500 studenti disabili alle superiori, grazie a questo servizio”

ROMA – L’anno scolastico è da poco finito e già iniziano i problemi per il prossimo: a Roma, o meglio nel Lazio, pare che nessuno sappia cosa sarà dell’assistenza specialistica per gli studenti con disabilità degli istituti superiori. E non è un problema da poco, né di pochi: non da poco, perché si tratta di “un’esperienza ricchissima, che ha prodotto grandi miglioramenti nel livello di inclusione. E che ora rischia di essere annullata, con l’abolizione delle province”, spiega Eugenio De Crescenzo, presidente di Agci Lazio (Associazione generale cooperative italiane). E non di pochi, “perché in 15 anni circa di servizio, il numero di studenti disabili che frequentano gli istituti superiori è passato da circa 300 a 3.500”. E tanti sono gli studenti – e le famiglie – che il prossimo anno rischiano di veder scomparire quelle figure professionali specializzate che, fino ad oggi, hanno favorito e sostenuto la loro piena partecipazione alla vita scolastica. Il motivo: la provincia, che gestiva il servizio, non esiste più, la Città metropolitana non funziona ancora, i fondi non ci sono né si sa se ci saranno. Così, De Crescenzo ha lanciato l’allarme, inviando una lettera alle famiglie, alle scuole e ai vari referenti istituzionali: il presidente della regione Lazio Zingaretti, il responsabile della Città metropolitana e sindaco Marino, gli assessori regionale e comunale alle Politiche sociali, rispettivamente Visini e Danese e la delegata alle Politiche sociali per la Città metropolitana Gemma Azuni.

“Apprendiamo con stupore che la ex Provincia di Roma, non intende dare seguito allo stanziamento annuale per l’assistenza specialistica – integrazione disabilità scolastica – si legge – Tale scelta, quale ne siano le motivazioni (di bilancio, o per la fase di riorganizzazione dell’ente in Città Metropolitana di Roma, o per l’incertezza della competenza), qualora si verificasse, metterebbe in angoscia circa 3.500 famiglie e chiuderebbe una delle esperienze più significative presenti in Italia di integrazione e socializzazione della disabilità”. De Crescenzo chiede quindi “un immediato ripensamento”, sollecitando “‘attivazione di un tavolo di condivisione con le scuole, le famiglie, gli operatori sociali per la verifica delle difficoltà e la ricerca di soluzioni, la stabilizzazione delle regole del servizio e una pianificazione certa dello stesso”.

Una lettera accolta con preoccupazione da tanti genitori, come Maria, mamma di un ragazzo con disabilità che deve frequentare il quinto anno di superiori: “La lettera ha confermato le mie preoccupazioni – ci spiega – Già a marco mi ero allarmata, perché non era uscita la domanda di assistenti che sempre la scuola presenta alla provincia in quel periodo dell’anno. Allora avevo chiamato Ilaria Marchetti della provincia (dipartimento Sviluppo sociale e Politiche per l’integrazione, ndr), per avere spiegazioni: mi ha risposto che la domanda sarebbe uscita, ma che, essendo decadute le province, non si sapeva chi avrebbe portato avanti questo servizio. E mi ha suggerito di attivarmi, presso sindaco e Città metropolitana. Ora, dopo aver ricevuto la lettera di De Crescenzo, ho chiamato Gemma Azuni, che per Città metropolitana si occupa di Politiche sociali: le ho riferito di quanto siamo agitate noi famiglie, per la sorte di un servizio così fondamentale. Azuni mi ha promesso che si sarebbe interessata alla questione, ma finora risposte certe non ce ne sono”.

L’ultimo aggiornamento, che risale a qualche giorno fa, riguarda “un’indiscrezione della regione – ci riferisce De Crescenzo – che avrebbe assicurato i fondi fino a dicembre. Parliamo dei primi tre mesi di scuola! – commenta De Crescenzo – E dopo, cosa accadrà? Per ora, nessuno sa dircelo”. Certo che i fondi, in tutta questa storia, rappresentano un elemento fondamentale, seppur non sufficiente: “Il servizio era in parte a carico della provincia, in parte della regione – ci spiega De Crescenzo – Ora, i fondi delle province sono stati tagliati: teoricamente, questo taglio di fondi doveva andare di pari passo con il riassorbimento del personale, che però non c’è stato: i dipendenti della provincia, di fatto, sono tutti al loro posto. Così, il direttore generale ha dovuto tagliare i servizi: tra cui questo, fondamentale per 3.500 famiglie”. Come conferma Maria, la mamma di Luca: “Mio figlio, per esempio, benefica del servizio ‘Comunicazione alla voce’, una metodologia d’istruzione che ha bisogno di personale specializzato e senza cui non sarebbe in grado di seguire le lezioni. Prima che fosse affiancato da questi operatori specializzati, mio figlio passava il tempo in classe leccando le matite. Il solo pensiero che questa possibilità venga meno mi riempie di angoscia – continua – Chiedo quindi che qualcuno prenda in mano la situazione, nell’interesse di migliaia di famiglie come la mia. Non è possibile che, per ogni nostro diritto, dobbiamo puntare i piedi, salire sule barricate, attaccarsi al telefono e fare il lavoro che dovrebbe fare chi, invece, evidentemente se la sta prendendo comoda”. (cl)

PRECARI: “CONSULTA RINVIA SENTENZA DOPO RICATTO RENZI SU RIFORMA SCUOLA?”

PRECARI, GILDA: “CONSULTA RINVIA SENTENZA DOPO RICATTO RENZI SU RIFORMA SCUOLA?”

“Oggi apprendiamo che la Corte Costituzionale ha rinviato la discussione riguardante il ricorso sul precariato dal 23 giugno a data da destinarsi. A quasi un anno di distanza dalla sentenza della Corte di giustizia europea, che il 26 novembre scorso si è espressa a favore della stabilizzazione dei precari della scuola pubblica italiana, l’Italia tarda ancora, dunque, nel rispettare le disposizioni dei giudici comunitari”. A darne notizia è la Gilda degli Insegnanti che è stata attrice del ricorso presentato alla Corte di Lussemburgo.

“Il sospetto – commenta il coordinatore nazionale Rino Di Meglio – è che ci sia un nesso tra il rinvio deciso dalla Consulta e il ricatto di Renzi sulla riforma della scuola e il destino dei docenti precari. Questo slittamento, peraltro senza fissare un’altra data, avrà gravi ripercussioni sulle decine di migliaia di ricorsi che giacciono in sospeso nei tribunali in attesa della sentenza della Corte Costituzionale. A questo punto – conclude Di Meglio – siamo sempre più convinti di rivolgerci al Parlamento europeo per chiedere la riapertura della procedura di infrazione contro lo Stato italiano”.

DDL scuola: Pantaleo, è da irresponsabili far passare il provvedimento con il ricatto delle stabilizzazioni

Renzi e il suo Governo devono prendere atto che il disegno di legge sulla brutta scuola è stato sonoramente bocciato nelle piazze, nelle scuole, nelle urne e nel parlamento. Tentare forzature o prendere in ostaggio i precari per far passare quei provvedimenti, che cancellano diritti costituzionali fondamentali e riportano indietro la scuola pubblica, sarebbe da irresponsabili. È tempo di aprire un reale confronto per stabilizzare i precari attraverso un piano pluriennale e definire un progetto condiviso di cambiamento del nostro sistema di istruzione nell’interesse generale del Paese.

I posti realmente disponibili sono almeno 134.000 e potrebbero essere ancora di più se si decidesse di stabilizzare anche sugli spezzoni. Quindi le 100 mila immissioni in ruolo non sono un favore del Governo ma una necessità per far funzionare meglio le scuole. La propaganda del Governo non regge alla prova dei fatti perchè in realtà i posti per le stabilizzazioni ci sono già anche senza ricorrere all’organico potenziato (leggi la nostra elaborazione). Se invece Renzi sceglierà la via dei voti di fiducia non ci fermeremo e oltre a continuare le mobilitazioni con l’inizio del nuovo anno scolastico siamo pronti a mettere in campo tutte le iniziative per contrastare l’attuazione di una legge inaccettabile, incostituzionale e che non stabilizza i precari.

I nostri uffici legali sono pronti ad attivare le vertenze per le stabilizzazione  sulla base della sentenza della Corte di Giustizia Europea e del pronunciamento della Corte Costituzionale previsto il 23 giugno 2015.

Valutazione e nuovo modello organizzativo, gli obiettivi da centrare

da Il Sole 24 Ore

Valutazione e nuovo modello organizzativo, gli obiettivi da centrare

di Attilio Oliva*
Il Disegno di legge sulla “Buona scuola” prevede un ingente sforzo finanziario per migliorare il nostro sistema di istruzione: centomila unità di personale docente e quattro miliardi di euro di spesa in più. E’ apprezzabile, ma non è questo il punto. Come dimostrano tutte le ricerche internazionali, la qualità della scuola dipende molto più dal modello organizzativo, cioè da come si utilizzano le risorse, che dalla quantità delle stesse.
La scuola italiana è stata fino ad oggi un esempio poco virtuoso, con una spesa per alunno nettamente superiore a quella di molti altri paesi e risultati nettamente al di sotto. Segno appunto che le risorse investite non erano, e non sono, allocate nel modo corretto.
In realtà, il nostro sistema è stato efficace – se non efficiente – fino a quando è stato una scuola per pochi e si è potuto permettere di allontanare, anche precocemente, coloro che non erano in grado di rendere secondo le aspettative. Ma, con la scuola di massa, mentre i bisogni di formazione mutavano velocemente (e non solo in senso quantitativo), la risposta non è cambiata: curricolo unico, organizzazione centralistica, finanziamenti decisi dal centro, edifici di proprietà degli enti locali, personale assunto e gestito dall’Amministrazione. In sostanza, una scuola gestita tutta da soggetti lontani, incapaci di leggerne i bisogni specifici e di dare in tempi rapidi risposte adeguate.
La strategia che sarebbe stato corretto adottare è pur essa nota ed è quella che ha dato risultati in tutti i paesi progrediti: una reale autonomia delle singole scuole, che le mettesse in condizione di diagnosticare tempestivamente le necessità dei propri studenti e di adattare le strategie didattiche in modo flessibile. E, naturalmente, che avesse il controllo pieno delle leve da utilizzare: dalla scelta dei docenti alla loro formazione, all’incentivazione, all’attribuzione di incarichi ed in genere quello che si chiama in tutto il mondo “gestione delle risorse umane”. Da noi le risorse umane non vengono gestite, ma amministrate: il che comporta il prevalere del principio di uniformità rispetto a quello di differenziazione ed il divieto di ogni scelta discrezionale. Ovvero, come diceva già Don Milani, il fare parti uguali fra persone che uguali non sono.
Con l’aggravante che le “risorse umane” sono ormai costituite, in misura crescente, di “precari”, cioè di soggetti tenuti artificiosamente in una condizione di instabilità permanente ed impossibilitati a progettare e portare avanti un percorso di sviluppo professionale. Un vero e proprio scandalo, finora invano censurato dalla Corte di Strasburgo.
Un’autonomia piena richiede piena assunzione di responsabilità per le scelte che si compiono e quindi un sistema di valutazione: l’altro grande assente, finora, del nostro sistema. Si è avviato con fatica il percorso di valutazione degli apprendimenti degli studenti, boicottato troppo spesso, specialmente al Sud, dagli stessi insegnanti, che dovrebbero essere i primi interessati a conoscere quale sia il reale livello di preparazione dei propri allievi. Parte quest’anno – ancor più faticosamente – la valutazione delle scuole e dei loro dirigenti, attraverso il Sistema nazionale di valutazione. Mancava all’appello la valutazione dei docenti, che sono la singola variabile più influente per la qualità del sistema.
Seppure in modo parziale ed embrionale, basato sulla volontarietà, la “Buona Scuola” cerca di colmare questa lacuna, prevedendo premi legati al riconoscimento dell’apporto individuale al miglior andamento della scuola. Ma soprattutto – ed è qui il punto qualificante dell’intero progetto, quello per il quale meriterebbe di essere sostenuto anche al di là di alcuni limiti oggettivi – è la prima volta che una legge di riforma della scuola si propone di modificare il modello organizzativo, cioè le regole di funzionamento interno: esattamente quello che è stato finora il punto più debole del nostro sistema. E’ su questa strada che si deve proseguire con decisione.

* Presidente Associazione TreeLLLe

“Decisi a rivedere tutti i punti del testo in estate sarà legge”

da la Repubblica

“Decisi a rivedere tutti i punti del testo in estate sarà legge”

Il sottosegretario Faraone: “Faccio autocritica pensavamo che bastasse mettere solo i soldi”

 Sottosegretario Davide Faraone, parlate di Buona scuola da dieci mesi ma non riuscite a portarla a casa. Rischiate di registrare la prima sconfitta del governo Renzi?
«Entro l’estate il disegno sarà legge. Fallire sulla scuola vorrebbe dire veder fallire l’anima del governo, non accadrà».
Fatto sta che inizia un’altra estate e voi convocate gli stati generali: tornate a discutere con tutti.
«Pensavamo bastasse mettere soldi sulla scuola, invertire una traiettoria storica al ribasso, per avere la fiducia della classe docente e ricomporre quello specchio rotto che oggi è l’istruzione italiana. I fatti ci hanno smentito e ora, fermandoci, facendo autocritica, dimostriamo di saper tornare ad ascoltare professori, presidi, studenti, genitori, sindacati».
Per andare dove?
«Se apriamo una giornata di discussione lo facciamo senza preconcetti. Ai primi di luglio il tema dello stralcio delle assunzioni dall’intero progetto non si porrà più, non ci sarà tempo per mandare in cattedra i precari dal prossimo settembre. Così, senza fretta, entreremo nel merito delle cose».
Ridiscuterete anche le categorie dei precari che saranno assunti? Oggi tocca solo agli iscritti nelle Graduatorie di prima fascia.
«Si riapre tutto. Se fin qui si è registrata un’ostilità generale, vuol dire che il piano va rivisto. Ridiscuteremo anche i numeri, meglio, la loro tempistica, senza pregiudizi. I tre miliardi di euro in legge di stabilità non li tocca nessuno. Ci sono quattro grandi categorie di precari, nella scuola: graduatorie a esaurimento, graduatorie d’istituto, i tirocinanti universitari, gli idonei da concorso. Dobbiamo trovare un equilibrio migliore».
Il provvedimento da settembre a oggi è cambiato.
«Cambierà ancora. L’importante è che si chiuda la stagione del precariato, s’introduca il merito, si faccia crescere la qualità e nella scuola italiana entri davvero l’autonomia dei singoli istituti ».
Con questa nuova sosta, all’ansia dei 450 mila precari che si sentivano sbattuti fuori, ora si aggiunge l’ansia dei centomila che credevano in una cattedra sicura tra due mesi e mezzo.
«Il governo non può procedere ispirato dell’ansia. Entro l’estate chiudiamo».
In Senato che succede? Sugli articoli importanti siete due voti sotto.
«Chiediamo che le opposizioni ritirino molti emendamenti. Sono cento quelli seri, duemilacinquecento quelli messi per fare ostruzionismo. Non stanno togliendo neppure quelli».
Si parla di opposizione comprendendo, naturalmente, i democratici Tocci e Mineo.
«Il Pd al Senato ha la maggioranza, deve poterla esprimere».
Sostituirete Tocci e Mineo?
«Ci concentriamo, sgombrato il campo dai centomila in cattedra subito, a discutere con loro».
Salterete la commissione per andare direttamente al Senato e imporre la fiducia?
«E’ l’ultima opzione. Prima proviamo a ragionare in commissione, poi andiamo a ragionare con il paese, poi rivedremo il provvedimento e torneremo tutti più sereni in Senato per portare in fondo una legge che serve straordinariamente al paese».
(c.z.)

Scuola, ipotesi fiducia Renzi: “Nessun ricatto si discuta ma poi si voti”

da la Repubblica

Scuola, ipotesi fiducia Renzi: “Nessun ricatto si discuta ma poi si voti”

Giannini: “Tempi già saltati per le assunzioni” Trattativa al Senato sul ritiro degli emendamenti

ROMA. Dice la mattina Matteo Renzi su Facebook: «Discutiamo, ma poi votiamo la riforma della scuola, altrimenti saltano gli investimenti ». Dice anche: «Il disegno di legge prevede centomila professori in più, soldi per la formazione e finalmente il merito nella valutazione». Replica con durezza: «Qualcuno parla di ricatto, ma la verità è molto semplice: dare più professori impone una diversa organizzazione. La scuola non è un ammortizzatore sociale. I precari sono tre volte tanto e vorrebbero essere assunti tutti, ovviamente non è possibile ». La convention sulla scuola a luglio è confermata (e sarà la quinta discussione generale da settembre sulla riforma scolastica). Il Senato si prende una pausa di riflessione sulla legge, dettata da due motivi: il rischio che in commissione Istruzione non ci siano i numeri per la maggioranza, la volontà del premier di recuperare un consenso che scioperi e manifestazioni gli negano. Così la commissione — contro la volontà delle opposizioni — ripartirà solo martedì prossimo, nel frattempo i relatori Puglisi e Conte cercheranno di far ridurre i 2.158 emendamenti e i 500 subemendamenti: «Il 90 per cento sono puro ostruzionismo». Il presidente Andrea Marcucci insiste: «Se si chiude bene martedì, approviamo la legge in tempi record». È lo stesso ministro Giannini però a far notare che «i tempi per le centomila assunzioni al primo settembre non ci sono più ». Se i relatori non riusciranno nell’operazione di “taglio”, recuperando almeno Walter Tocci (sinistra pd) nell’alveo della maggioranza, le sedute in Senato saranno sospese per far spazio a riforma Rai e Titolo V. Il voto sulla scuola potrebbe riprendere nella seconda metà di luglio, dopo aver rivisto in profondità il provvedimento. Si rafforza però nelle ultime ore l’ipotesi di andare subito in aula, al Senato, per mettere la fiducia. «Ma la consideriamo l’ultima ratio», dicono uomini del governo.
Ma se già ora, o comunque a luglio, non saranno più possibili le centomila assunzioni, potrebbero però ampliarsi. Confermando 160 mila in cattedra nel settembre 2016 e posticipando all’anno successivo il concorso pubblico. E con i precari delle Gae (prima fascia) potrebbero essere recuperati, a quella data, anche abilitati di seconda fascia che hanno compiuto tirocini universitari. In piazza, i docenti convocati ieri al Pantheon, a Roma, giuravano: «O ritirano il disegno di legge o sarà guerra».

Scuola, ipotesi maxiemendamento e fiducia

da Corriere della sera

Scuola, ipotesi maxiemendamento e fiducia

Sei giorni per trattare. Il premier esclude lo stralcio per i precari: assunzioni solo se si cambia il modello

Stop. Tremila tra emendamenti, subemendamenti e ordini del giorno da esaminare. Il tempo che stringe. Centomila precari da assumere. La scuola da riformare dal primo settembre 2015. Ma la commissione Istruzione del Senato si ferma. Sconvocate tutte le riunioni per discutere le modifiche della «Buona scuola». Se ne riparla martedì 23 giugno. I relatori del disegno di legge lavoreranno alla riduzione del numero di emendamenti e per cercare un punto d’incontro con la minoranza pd. E il presidente della Commissione Andrea Marcucci (Pd) twitta: «Con senso di responsabilità di tutti i gruppi possiamo approvare #labuonascuola».
Ma martedì il governo potrebbe presentare un maxiemendamento, portare il testo direttamente in Aula e chiedere la fiducia. Ipotesi sempre più vicina visti i tempi strettissimi e l’impasse in Commissione con la minoranza pd pronta a votare con l’opposizione se non ottiene modifiche sostanziali. «Ma saltare la Commissione significherebbe esautorare il Parlamento, bypassarlo sarebbe gravissimo, non possiamo essere ostaggio di una divisione all’interno della maggioranza pd», sottolinea Corradino Mineo della minoranza dem che con Walter Tocci chiede di assumere subito i centomila precari. I tempi si sono allungati. Troppo per il premier Matteo Renzi che due giorni fa ha minacciato di far slittare le assunzioni al 2016, ma poi ieri ha riaperto: «Discutiamo, facciamo modifiche ma poi votiamo, altrimenti saltano gli investimenti».
Ieri mattina i relatori del ddl Francesca Puglisi (Pd) e Franco Conte (Ap) hanno chiesto ai colleghi di «ridurre drasticamente» il numero delle modifiche: no, la risposta. Da qui la richiesta di due giorni per «sfrondare i tremila emendamenti». I giorni sono diventati sei. «Assurdo, se si volesse lavorare solo sulle assunzioni — dice Manuela Serra dei 5 Stelle —, c’è la disponibilità di tutti, perché le assunzioni si possono fare oggi stesso con lo stralcio senza addossarci lo slittamento». Sel parla di «ricatto del Pd assolutamente vergognoso» e la Lega promette: «Mai la fiducia ad un governo di incapaci che fa una finta riforma della scuola».
Ma sullo stralcio Renzi non cede: «Nessun ricatto, puoi assumere solo se cambi il modello organizzativo della scuola che non può diventare ammortizzatore sociale per i precari: li assumiamo per metterli a lavorare in un sistema organizzativo diverso». Ieri però anche il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini avvertiva: «Assumere centomila persone è un’operazione straordinaria, i tempi necessari per noi sono e restano quei due mesi abbondanti che a questo punto temo per quest’anno non saranno più possibili».
Il mondo della scuola, in attesa della conferenza dei primi di luglio annunciata dal premier, continua a protestare. Ieri Flc-Cgil, Cisl, Uil scuola, Gilda, Snals e Cobas erano al Pantheon a Roma per chiedere il ritiro del ddl: «Basta ricatti, non ci fidiamo più — diceva un’insegnante —, ora i precari sono diventati merce di scambio, la riforma della scuola la deve fare chi la scuola la vive».
Claudia Voltattorni

DdL Scuola, il governo prova a forzare i tempi. Si va verso il voto di fiducia?

da La Tecnica della Scuola

DdL Scuola, il governo prova a forzare i tempi. Si va verso il voto di fiducia?

Saranno cinque giorni densi di trattative quelli che separano la maggioranza dalla ripresa dei lavori in Commissione Istruzione al Senato.

Oggi è stata un’altra giornata frenetica con botta e risposta tra esponenti della maggioranza e quelli dell’opposizione.

Alla fine, poco prima delle 19, il presidente della commissione Istruzione, Andrea Marcucci, senatore renziano, accoglie la richiesta che i relatori del provvedimento avanzano nell’ufficio di presidenza: più tempo per tentare di sfrondare i circa 3 mila emendamenti alla “Buona scuola”. Così la seduta della settima commissione di Palazzo Madama, dove i numeri per la maggioranza sono in bilico – 15 senatori, compresi i due critici della minoranza Pd, Walter Tocci e Corradino Mineo, contro 12 dell’opposizione – viene rinviata a martedì 23 giugno alle 10.

Si accoglie, pertanto, la richiesta del premier Renzi: se diminuiscono gli emendamenti si fa ancora in tempo a mettere in pista la riforma e a portare in cattedra a settembre i 100 mila insegnanti a cui il disegno di legge ha promesso l’immissione in ruolo. Altrimenti le assunzioni saltano. Fervono dunque le trattative, ma le opposizioni non ci stanno e gridano al “vergognoso ricatto” (come detto da Loredana De Petris e Alessia Petraglia di Sel).

La minoranza Pd chiede, per ‘non entrare in guerra’, la possibilità di scorporare le assunzioni dal resto della riforma. Walter Tocci, uno delle voci più critiche in Commissione Senato, in un post sul suo blog, si dice “pronto a “ritirare” subito i suoi emendamenti a patto che le assunzioni dei precari vengano messe nella strada sicura e veloce del decreto legge. Poi “a luglio”, dopo la conferenza annunciata dallo stesso Renzi, si discuterà della riforma.

Le cose, però, non sono così semplici. Il governo, spiega una fonte di maggioranza, riportata da askanews, farà ‘il tutto per tutto’ per riuscire ad arrivare in commissione martedì con un numero ridotto di emendamenti che consenta di approvare “nel giro di uno-due giorni” il testo in Commissione. Sono 334 gli emendamenti del Pd, 152 quelli di Area Popolare (per rimanere nella maggioranza), 620 quelli del M5S, 529 quelli di Sel (quelli dell’opposizione) solo per citare la parte piu consistente.

Se la strategia del PD sortirà gli esiti sperati, con i tempi strettissimi che restano, la strada può essere solo una, come già prospettato da “La Tecnica della Scuola” nei giorni scorsi: mettere la fiducia in aula (con un maxi emendamento) e incassare il via libera al SenatoPoi un passaggio lampo con testo super blindato alla Camera e il varo della riforma entro il 30 giugno. Termine massimo, si spiega, perché la riforma sia a regime a settembre.

Una strategia rischiosa, ma che metterebbe, allo stesso tempo, all’angolo la minoranza dem (con Renzi che potrebbe scaricare la colpa delle mancate assunzioni ai senatori ‘ribelli’ e alle opposizioni). Intanto, in serata, incontro a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi e Denis Verdini nel tentativo di riavvicinare le loro posizioni sul futuro di Forza Italia e le posizioni da assumere in merito alle riforme del governo. Dall’incontro potrebbe dipendere l’eventualità che Verdini lasci il partito ed entri nel Gruppo Misto con un drappello di ‘fedelissimi’ (una dozzina) pronti ad aiutare la maggioranza, fin dal caso spinoso del DdL Scuola, nel proseguimento della legislatura.

Sarà così? Nuovi colpi di scena sono previsti nei prossimi giorni.

Giannini come Renzi: assunzioni non più possibili, tempi stretti. La fiducia? Servono i numeri…

da La Tecnica della Scuola

Giannini come Renzi: assunzioni non più possibili, tempi stretti. La fiducia? Servono i numeri…

Il ministro: assumere 100mila persone è un’operazione straordinaria. I tempi necessari per noi sono e restano quei due mesi abbondanti che a questo punto temo per quest’anno non saranno più possibili. La fiducia non è uno strumento che presuppone la mancanza del sostegno della maggioranza. E’ solo uno strumento più diretto. Vediamo i prossimi passaggi della commissione del Senato.

Sulle assunzioni rimandate di un anno, il premier Renzi ha tracciato la strada. Ora, tocca agli altri rappresentanti del Governo puntellarla. La fa benissimo il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini., intervistata a ‘Uno mattina’, su Rai Uno, il giorno dopo la discussa intervista del presidente del Consiglio nel salotto di Bruno Vespa a ‘Porta a Porta’.

“Una dose di realismo e di richiamo alla responsabilità concreta del Parlamento credo che sia necessario a un certo punto farla. L’ha fatta autorevolmente il presidente del consiglio, l’avevo fatta in varie fasi io stessa davanti alle Camere. E’ evidente che assumere 100 mila persone è un’operazione straordinaria. I tempi necessari per noi sono e restano quei due mesi abbondanti che a questo punto temo per quest’anno non saranno più possibili”, ha detto Giannini.

“Ma questo non significa – ha aggiunto – interrompere il percorso. Significa andare avanti con molta rapidità arrivando a una sintesi ai primi di luglio con la Conferenza nazionale”.

E pure l’ipotesi del voto di fiducia, al Senato, sembra ormai tramontata. Giannini ricorda che “anche per la fiducia servono i numeri. La fiducia non è uno strumento che presuppone la mancanza del sostegno della maggioranza. E’ solo uno strumento più diretto. Vediamo i prossimi passaggi della commissione del Senato”.

Sempre sui numeri della maggioranza in Senato, il ministro ha osservato che “sono quelli che hanno sostenuto finora, senza particolari incertezze questa maggioranza. Come si sono dimostrati compatti su altri provvedimenti, così avverrà per il provvedimento su scuola”. “Credo che la scuola – ha aggiunto – sia un tema che merita un’attenzione in più e innegabilmente gliela abbiamo data, sia nei tempi sia nei metodi”.

Rispondendo infine alla domanda ‘La Buona scuola é la riforma che voleva?’, il ministro ha sottolineato: “il meglio è nemico del bene in tutti i settori. Non si può rimandare sempre la palla a un altro tempo della partita perché forse si potrebbe fare qualcosa di più o di meglio”.

Per poi concludere: “un sistema scolastico che accentra tutto nel ministero non è più adeguato alle esigenze della società. La responsabilità educativa di chi dirige le scuole, la valutazione e la formazione degli insegnanti sono pilastri da cui non si può prescindere”.

Così importanti, imprescindibili, al punto da far saltare le 100mila assunzioni dei precari.

ANP: “Ritornano le vecchie logiche”

da La Tecnica della Scuola

ANP: “Ritornano le vecchie logiche”

La decisione di Renzi di rallentare viene criticata aspramente dal sindacato di Rembado che non usa mezzi termini: “Si ritorna alle logiche più viete e consunte della politica parolaia ed inconcludente, capace solo di estenuarsi in discussioni senza fine, che non producono altro che la stagnazione ed il conflitto fine a se stesso”.

Siamo tornati alle vecchie logiche politiche: decidere di non decidere
E’ questo in sintesi il commento dell’Anp di Giorgio Rembado sulla scelta di Matteo Renzi di rallentare il dibattito sul ddl e di organizzare una Conferenza nazionale della scuola per i primi giorni di luglio.
“Di fronte alla valanga di emendamenti presentati in Senato, e soprattutto di fronte agli scricchiolii della sua stessa maggioranza ed ai deludenti risultati elettorali, il decisore politico – ironizza l’Anp – sembra aver preso una posizione forte, originale ed innovativa: fermi tutti, apriamo un’altra consultazione”.
In questo modo, secondo l’Anp, si ritorna alle “logiche più viete e consunte della politica parolaia ed inconcludente, capace solo di estenuarsi in discussioni senza fine, che non producono altro che la stagnazione ed il conflitto fine a se stesso”.
Secondo l’Anp a settembre si era partiti bene: il documento programmatico era “molto promettente”, ma dopo la mega-consultazione autunnale si è arrivati ad “un disegno di legge, già meno coraggioso ed innovativo, ma comunque apprezzabile”.
“Il DdL
– così prosegue l’Anp nella ricostruzione dei fatti – è stato fatto oggetto, in sede di esame in Commissione alla Camera, di decine di audizioni con una pletora di sigle, portatrici dei più svariati interessi. Il risultato approdato in Aula era pressoché irriconoscibile, amputato di buona parte dei passaggi più positivi e reso illeggibile nella forma: ma neppur questo è bastato, perché l’Assemblea lo ha ulteriormente modificato e peggiorato”.
“Ora
– conclude l’Anp – siamo al Senato ed a tremila emendamenti di fronte ai quali il “decisore” politico (quanta ironia in quel nome!) ha deciso di non decidere. Si va alla Leopolda e ad una consultazione con tutti quelli che riterranno di avere qualcosa da dire”.
“Ma cosa mai si potrà dire ancora (e in un solo giorno!) che non sia stato già detto e ridetto in quasi dieci mesi ed in tutte le sedi possibili?”
osserva ancora l’Anp.
Quanto poi alle assunzioni l’Anp mostra di condividere la posizione del Governo: “La Buona Scuola non può ridursi all’assunzione di centomila insegnanti, senza un progetto per il loro utilizzo e senza le leve per gestirli. E, soprattutto, senza che alla guida di questo nuovo disegno complessivo vi siano dei dirigenti in possesso degli strumenti necessari e pienamente legittimati anche dalla loro appartenenza al ruolo unico della dirigenza statale”.
In altri momenti una presa di posizione analoga avrebbe potuto forse sortire qualche effetto sul Governo, ma ormai la situazione sembra irrimediabilmente compromessa e fare previsioni sta diventando un vero e proprio gioco d’azzardo.

Online il calendario per la rilevazione degli esiti finali per il I e II ciclo di istruzione

da La Tecnica della Scuola

Online il calendario per la rilevazione degli esiti finali per il I e II ciclo di istruzione

L.L.

Il Miur fornisce indicazioni sulle operazioni da effettuare e le tempistiche da rispettare per la rilevazione degli scrutini analitici e degli esami di Stato

Il Miur ha pubblicato, con nota del 16 giugno, il calendario e le modalità con cui le scuole dovranno effettuare la comunicazione in Anagrafe alunni degli esiti degli scrutini e degli esami di Stato per il primo e per il secondo ciclo di istruzione.

Queste le tempistiche indicate per le varie operazioni:

Rilevazione scrutini analitici
Cosa Quando
Scuole primarie comunicazione dell’ammissione all’anno scolastico successivo dal 16 giugno al 3 luglio
Scuole secondarie di I grado comunicazione delle votazioni per disciplina conseguite allo scrutinio finale dal 22 giugno al 24 luglio
Scuole secondarie di II grado

Classi I, II, III e IV anno

comunicazione delle votazioni per disciplina conseguite allo scrutinio finale dal 22 giugno al 24 luglio
Scuole secondarie di II grado Classi I, II, III e IV anno comunicazione dei risultati relativi allo scrutinio integrativo per gli studenti con giudizio finale sospeso dal 25 agosto al 4 settembre
Esami di Stato
Cosa Quando
Scuole secondarie di I grado comunicazione degli alunni ammessi e non ammessi all’esame e dei risultati delle prove d’esame dal 16 giugno al 24 luglio
Scuole secondarie di II grado abbinamento dei candidati alla commissione, comunicazione del credito scolastico (III, IV e V) e degli studenti ammessi e non ammessi all’esame dal 5 giugno all’insediamento della commissione
Scuole secondarie di II grado comunicazione dei punteggi in ogni prova d’esame dal 1° al 22 luglio