C’era una volta l’Italia

C’era una volta l’Italia

di Maurizio Tiriticco

 

In effetti, l’Italia ha avuto una breve esistenza. Vagheggiata da sempre, da Dante a Machiavelli e ai profeti del Romanticismo, costruita dal concorso di più forze politiche e militari, costituita come Regno nel 1861, oggi, dopo più di un secolo e mezzo, sembra che torni ad essere quella espressione geografica che per un certo Metternich è sempre stata.

Le difficoltà di comunicazione tra un lombardo e un siciliano nel 1861 erano enormi. Due mondi, due storie, due culture, due lingue, anche se negli stessi anni un certo Manzoni, sciacquando i panni in Arno, definiva il lessico e la grammatica di una lingua che ci avrebbe accomunato dalle Alpi al Lilibeo. Quante lotte e quanto sangue! Dalle Guerre di indipendenza del Risorgimento alla Liberazione di Trento e Trieste e all’annessione (sic!) del Südtirol e di Rijeka. E poi la Libia e l’Etiopia, l’imperialismo straccione, comunque, per non essere da meno di altri Stati europei imperialisti a tutto tondo da tempi più lontani. Insomma, ce l’abbiamo messa tutta – soprattutto con il fascismo – per ricostruire gli antichi splendori, addirittura di una Roma imperiale: la massima espansione ai tempi di Traiano!

E poi con la Resistenza finalmente ci siamo affrancati da un passato equivoco, illusorio e guerrafondaio e, sulla scorta del pensiero dei nostri Mazzini, Cattaneo e Pisacane, abbiamo contribuito – con il manifesto di Ventotene, con l’europeismo di un De Gasperi, di un Silone, di uno Jemolo – alla costruzione di quel primo nucleo di Europa dei sei Paesi della CEE, una semplice comunità economica, ma avviata – pensavamo – a destini ben più alti. Era il lontano 1957 e proprio in Roma, caput mundi, venne firmato il Trattato che metteva insieme, dopo dodici anni dalla fine della guerra, vincitori e vinti! Allora erano solo sei Paesi! E gli interrogativi per il futuro erano tanti.

Oggi i Paesi membri sono ventotto, dall’Atlantico al Mar Baltico, e gli interrogativi non sono affatto da meno. Anche e soprattutto perché, dopo avere firmato in Campidoglio a Roma nel 2004 una Costituzione, solo tre anni dopo, a Lisbona abbiamo dovuto ripiegare su un semplice Trattato. Una Europa nuova che cresce per cinquant’anni e che, dal 2007 in poi rischia, invece di perdere la sua stessa identità! E’ forse un colosso d’argilla? Manca una politica estera. Le politiche economiche sono restrittive più che espansive; alla moneta comune non corrisponde un vero mercato comune. Anzi, aumentano i vincoli e diminuiscono le opportunità. E soprattutto l’Unione non è in grado di dare risposte ai sommovimenti di popolazione che ormai caratterizzeranno, e in forme sempre più massicce, l’intero Terzo millennio. Per non dire poi di quella guerra senza confini che ci hanno dichiarato e mosso gli uomini dell’Isis.

Migrazioni epocali si faranno sempre più massicce e non saranno né leggi né filo spinato a fermarle. E confrontarsi con chi si suicida per uccidere è ancora più difficile. E’ l’assetto stesso di Popoli, Nazioni, Patrie che con tante fatiche e centinaia di anni abbiamo costruito qui in Europa che si sta sgretolando. E’ finita l’epoca in cui un Mazzini poteva affermare: “La Patria è una comunione di liberi e d’eguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine… La Patria non è un aggregato, è una associazione”. I sommovimenti di oggi e di domani – dall’esterno e al nostro interno – liquidano giorno dopo giorno fatti e concetti a cui abbiamo creduto e su cui abbiamo costruito. C’erano una volta le Nazioni, e qui in Europa soprattutto, da costruire o già costruite. Oggi sono solo piccoli castelli di sabbia che onde impetuose stanno dissolvendo giorno dopo giorno e con forza sempre maggiore.

Resistere od opporsi alle ondate migratorie di oggi e di domani è impossibile, non serve e non ha senso. Occorre prenderne atto e ricercare assetti sociali diversi da quelli che abbiamo costruito. Ed è qui la difficile scommessa! La storia è un continuo divenire di eventi e nessuno può mai considerarsi definitivo. L’Europa delle Patrie è al collasso e l’Unione dei ventotto Stati membri non può unire Patrie che si stanno dissolvendo. Il fenomeno è epocale e non si conclude né in tempi brevi né con soluzioni che si suppongono miracoliste. Purtroppo la storia non la capisce mai che la fa, ma solo chi la studia dopo anni. E almeno tentare di studiare i fenomeni che oggi ci attanagliano è la prima cosa da fare. Se vogliamo ricercare e adottare le opportune possibili strategie.

C’erano una volta gli Stati nazione. C’era una volta l’Italia.

La buona scuola e l’azione sindacale

La buona scuola e l’azione sindacale

di Enrico Maranzana

 

La protesta sindacale avverso “La buona scuola” riguarda aspetti marginali: gerarchie; scuola azienda; la titolarità e responsabilità dei docenti nei confronti degli alunni; la chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici; metodi di valutazione degli insegnanti; disparità di trattamento tra gli assunti; forme di finanziamento; potere del dirigente scolastico; forme di incentivazione ..

Scioperi che, per l’assenza di una visione sistemica, per la parzialità e la frammentarietà dell’oggetto di critica, sono di supporto al cambiamento indotto dalla legge 107.

Ben diversa sarebbe l’incisività della protesta se l’analisi del mutamento normativo fosse stata condotta a partire della qualità del servizio formativo-educativo-dell’istruzione-dell’insegnamento, all’interno del rapporto mondo contemporaneo-scuola.

Ben diversa sarebbe l’incisività della protesta se il testo della legge 107 fosse stato comparato a un modello di scuola desunto dalla dottrina scientifica e dalla normativa.

Ben diversa sarebbe l’incisività della protesta se fossero stati razionalmente e scientemente confezionati e diffusi messaggi atti a coinvolgere la popolazione intera.

 

La ratio legis è scolpita nell’art. 1, comma 1 della legge 107/2015: “Per affermare il ruolo centrale della scuola .. e per .. (elenco finalità) … la presente legge dà piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni

La via maestra per conseguire i traguardi elencati è “la piena attuazione della legge 59/97”,

via imboccata in spregio al sistema normativo repubblicano: la legge 59/97 è una legge delega e, come tale, priva d’efficacia.

 

Dare piena attuazione alla legge 59/97”,

che decodificato significa: il governo D’Alema – Berlinguer, che ha elaborato il DPR 275/99, ha lavorato in modo lacunoso e superficiale.

Si devono correggere e cestinare parti della disposizione.

 

Il riferimento alla legge delega e non al DPR implica l’esistenza di due filosofie contrapposte:

L’autonomia delle istituzioni scolastica .. si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana” [DPR 275 – art. 1 – comma 2].

Gli estensori della legge 107 non possiedono le necessarie competenze progettuali per cogliere il senso della disposizione.

Un progetto prende avvio dall’esatta e scrupolosa specificazione dei traguardi.

Il paragrafo 7 della legge 107 non distingue, unificando, modalità operative e “obiettivi formativi individuati come prioritari”.

Il Piano dell’offerta formativa è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi generali per le attività della scuola e delle scelte generali di gestione e di amministrazione definiti dal consiglio di circolo o di istituto” [DPR 275 – art. 3 – comma 3].

La struttura decisionale introdotta dalla legge 107 è concepita in spregio alla dottrina scientifica dell’organizzazione, fondamento del TU 297/94, e all’art. 37 del Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 che regola la Dirigenza pubblica.

 

Legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni”:

la modifica di una legge delega é ipotizzabile solo all’interno d’una cultura giuridica raffazzonata.

C. Dotto Viglino, Maremadre

Una vita a due

di Antonio Stanca

viglinoA Giugno del 2015 presso la casa editrice E/O di Roma è comparso un altro romanzo, il quarto, Maremadre, della poetessa e scrittrice genovese Cristina Dotto Viglino.

Nata a Genova nel 1966, la Viglino già a ventotto anni, nel 1994, si è fatta conoscere con la prima raccolta di poesie Inutile phare de la nuit, che le ha procurato il Premio Marguerite Yourcenar per la poesia. L’anno successivo con il primo racconto, Il porto, vinse il Premio di Narrativa Città di Novara. I primi due romanzi sono del 2006 e sono stati pubblicati insieme, in un volume unico dal titolo Di due dolori ed altro.

Altre raccolte poetiche ed altri romanzi avrebbe scritto la Viglino fino a quest’ultimo dove narra di una situazione particolare verificatasi nella prima metà del secolo scorso e vissuta da una madre ed una figlia legate, unite in maniera morbosa, inalterabile, indissolubile.

Non è un romanzo autobiografico come alcuni hanno inteso anche perché ambientato in una Genova precedente a quella vissuta dalla scrittrice nei suoi anni da bambina ad oggi. Probabilmente nella vita della Viglino ci saranno stati degli elementi, degli aspetti dai quali le è provenuta ispirazione, è stata mossa a scrivere l’opera ma altro è questa dalla sua vita.

Il romanzo si presenta scorrevole, facile nell’esposizione, chiaro nei contenuti. Questi passano tra tempi, eventi, ambienti diversi senza, però, perdere di vista il motivo che li tiene uniti dall’inizio alla fine e che è costituito dall’affetto, dall’amore che uniscono una madre ed una figlia in una Genova che delle loro vicende sembra partecipare, dai loro pensieri sembra essere percorsa nelle sue strade, nelle sue case, nelle sue piazze, nel suo mare, nel suo porto, nei suoi abitanti, nelle sue luci, nei suoi colori. Sempre presente è la città nel romanzo, sempre nominata pur nelle sue parti più segrete, nei suoi vicoli più remoti. Vivere sembra Genova in quest’opera della vita delle due donne. E’ una vita particolare questa, un “caso” eccezionale è il loro dal momento che tutto ciò che è dell’una appartiene pure all’altra. Tra le due non ci sono segreti, esse vivono più come amiche che come familiari. Nella famiglia il padre aveva proceduto per conto proprio senza pensarle molto e questo aveva mosso la madre a rimanere vicina alla figlia da quando era piccola a quando era diventata una donna matura che aveva compiuto i suoi studi universitari e si era più volte sposata. Sempre pronta era stata la madre a capire i pensieri, i bisogni della figlia, ad aiutarla nei suoi problemi, a risolvere i suoi dubbi, a placare le sue angosce, ad insegnarle a vivere nel migliore dei modi. La vita aveva fatto imparare alla figlia, la sua vita le aveva trasmesso convinta che fosse stata la migliore perché fatta di equilibrio, compostezza, cultura, eleganza ed anche libertà di pensiero ed azione, scambi, rapporti compresi quelli sessuali che, secondo lei, arricchivano, facevano acquisire quanto agli altri apparteneva, aggiungevano alla propria altre vite. Due donne unite anche nelle loro passioni amorose erano diventate quella madre e quella figlia: come era stato per una era adesso per l’altra.

Un movimento continuo, incessante, un processo interminabile viene avviato nel romanzo fin dalle prime pagine. La voce che parla è quella della figlia e mai si ferma, mai conclude, mai finisce di dire di una situazione poiché sempre ha da aggiungere a quel che ha detto, ha visto, ha fatto, sempre ha da riferirsi alla figura, alla persona della madre che anche quando non è presente vive, opera nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, nei suoi sogni. Hanno cominciato insieme e finiranno insieme. Ancora più unite, ancora più strette le mostrerà la Viglino al momento della notizia della grave malattia che ha colpito la madre. Allora sarà la figlia la protettrice, la consolatrice ma niente cambierà ché uguali saranno le parole, le intimità che tra loro correranno, uguali i modi, gli sguardi. E neanche dopo, si ripromette la figlia, sarebbe cambiato qualcosa, neanche dopo la morte della madre lei avrebbe smesso di sentirla vicina.

Meraviglia, affascina questa lunga, interminabile ricostruzione che una donna fa della sua vita senza mai mostrare di ricredersi su qualche momento, aspetto di essa, senza mai dubitare se le è valso vivere come la madre, insieme alla madre, per la madre.

Ultimo banco

ULTIMO BANCO di Umberto Tenuta

CANTO 582 Ai miei tempi c’era l’ultimo banco.

Ora ci sono i meritevoli e i non meritevoli.

Come voleva il Ministro Gentile.

E come vuole la sua fedele seguace Stefania.

All’insaputa (?) del buon Matteo.

 

La Malascuola non è un problema dei docenti, operai malpagati, come riconosce finanche un Papa.

La Malascuola è il problema più grande di un glorioso paese.

La Malascuola è un problema che non si risolve con un BONUS ai giovani delle periferie.

Perché le periferie stanno nelle aule della BUONASCUOLA.

Le periferie stanno negli alunni meritevoli e non meritevoli.

Le periferie stanno nei docenti meritevoli e non meritevoli.

Le periferie stanno nei dirigenti meritevoli e non meritevoli.

Le periferie stanno in una scuola che privilegia ancora la lezione, la ripetizione e l’interrogazione.

Le periferie stanno in una scuola che privilegia ancora le lavagne e non i tablet.

Le periferie stanno in una scuola che privilegia ancora i tests e non la conoscenza delle difficoltà che gli alunni incontrano.

Le periferie stanno in una scuola che privilegia il lavoro individuale dei docenti e non il Team Teaching: l’insegnante giusto al momento giusto, per l’alunno giusto.

Le periferie stanno in una scuola che privilegia il lavoro individuale degli alunni e non il Cooperative learning.

Le periferie stanno in una scuola che privilegia le aule e non i laboratori attrezzati con tutte le tecnologie, antiche e moderne.

Le periferie stanno in una scuola che impiega il suo tempo a verificare chi è meritevole e non a garantire il successo formativo a tutti i suoi alunni, come legge sancisce.

POST SCRIPTUM

Umberto, ma non ti accorgi di quanto sei noioso?

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

Altri saggi sono pubblicati in

www.rivistadidattica.com

E chi volesse approfondire questa o altra tematica

basta che ricerchi su Internet:

“Umberto Tenuta” − “voce da cercare”

 

Grembo materno

GREMBO MATERNO è LA SCUOLA di Umberto Tenuta

CANTO 581 La Scuola è il secondo grembo materno, non meno importante del primo per la nascita di un uomo.

Schola materni gremii (Comenio).

 

La Scuola è il grembo culturale nel quale il figlio di donna si appropria della cultura che lo fa uomo.

Cultura che non è solo sapere (conoscenze), ma anche e soprattutto saper fare (capacità, competenze, abilità) e saper essere (atteggiamenti, amori, interessi).

Conoscenze, capacità e atteggiamenti, e non solo conoscenze.

Non bastano i sussidiari e i libri di testo di Storia, Geografia, Geometria, Botanica, Zoologia…

Non basta riempire la testa, occorre che essa si formi (E.MORIN)).

E soprattutto occorre che si formi il cuore.

Un cuore grande.

Un cuore per amarsi e per amare.

Docenti, professori, maestri, voi siete le socratiche ostetriche!

Fenarete è la vostra collega.

Nelle vostre mani è il destino del figlio di donna.

Sarà uno scienziato, dipende da voi.

Sarà un imprenditore, dipende da voi.

Sarà un farmacista, dipende da voi.

Sarà un tecnico, dipende da voi.

Sarò un operaio, dipende da voi.

E, soprattutto, sarà uno uomo, dipende da voi!

Docenti tutti, nessun’altra professione è importante quanto la vostra.

Sappiatelo voi, prima di ogni altro!

Ma, soprattutto, lo sappia chi è responsabile della formazione dei cittadini, dei lavoratori, degli uomini di domani!

 

POST SCRIPTUM

È veramente strano che un secolo fa questo si sapesse, e si curasse con grande attenzione, e che in una società democratica si fa fatica a riconoscerlo!

 

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