Disabilità, è Milano la città più accessibile: l’Ue la proclama vincitrice

da Redattore sociale

Disabilità, è Milano la città più accessibile: l’Ue la proclama vincitrice

In occasione dello European Day for people with disabilities, la Commissione europea annuncia che Milano è la vincitrice del premio 2016, piazzandosi davanti a Wiesbaden, Toulouse, Vaasa e Kapsovár

MILANO – Il premio Access City Award 2016 per le città accessibili ai disabili va a Milano. In occasione dello European Day for People with Disabilities, la Commissione europea annuncia che Milano è la vincitrice del premio 2016. Wiesbaden, Toulouse, Vaasa e Kapsovár erano in lizza per i loro sfrorzi di migliorare l’accessibilità per disabili e anziani. Il commissario per gli Affari sociali, Marianne Thyssen, ha commentato:  ”Oggi, premio Milano per il suo impegno a lungo termine per l’accessibilità. Personalmente incoraggio le città a imparare dalla good practice di Milano e dagli altri vincitori nell’Ue per migliorare l’inclusione attiva”. La cerimonia si è svolta nella cornice della Giornata delle persone disabili 2015 e che quest’anno si è focalizzata su minori e giovani disabili. Con il titolo “Growing together in a barrierfree Europe”, l’evento ha incluso la presentazione e discussione sull’educazione, un modo per assicurare uguale partecipazione nel lavoro e nella società. L’intenzione è promuovere esempi di good practices. Milano, oltre al suo eccellente sforzo, ha anche promosso l’impiego di persone disabili e il supporto per la vita indipendente. Milano è vincitrice non solo per i passi compiuti in passato, ma anche per i suoi piani ambiziosi per il futuro. Wiesbaden, capitale dello stato federale dell’Hessen, conquista il secondo posto. Oltre 200 degli edifici pubblici sono totalmente accessibili e decorati con adesivi con lo slogan “Wir machen mit” – We’re joining in – all’ingresso di ciascuno”.
Toulouse ha ottenuto la menzione speciale per le “Smart City”. Vaasa, la città finlandese, ha vinto una menzione speciale per l’impegno nel migliorare l’ambiente. Infine, Kaposvár: situata nel suo-ovest dell’Ungheria, ha ottenuto una ulteriore menzione speciale.

Il ruolo del Personale Ata nella Buona e nella futura Scuola dell’informatica

NASCE FINALMENTE IL SINDACATO UNITARIO DEL PERSONALE ATA – Feder. A.T.A.

A seguito delle quasi 16.500 firme raccolte con la petizione per la costituzione di un Sindacato unitario di tutto il Personale Ata, il sogno è diventato realtà: È nato il sindacato del personale ATA !!! Grazie alle Vostre numerose adesioni siamo certi di avere il Vostro sostegno perché come “tutti i neonati” abbiamo bisogno di essere aiutati nel “cammino di questa nuova esperienza”.
La Feder. A.T.A. è un servizio che vogliamo rendere a tutti Voi del Personale Ata della Scuola, vogliamo esserVi vicini per contrastare il menefreghismo di tutti nei confronti degli Ata. La Feder. A.T.A. è nata grazie all’A.N.A.A.M., Associazione Nazionale Assistenti Amministrativi, da anni al fianco dei problemi degli Assistenti Amministrativi dove, con il Presidente Nazionale Giuseppe Mancuso, quale candidato al CSPI di giugno 2015 con la lista “CI SIAMO ANCHE NOI” è risultato il più votato in TRE province d’Italia, il secondo più votato in DIECI province d’Italia e il TERZO più votato in quindici con quasi 5.000 voti di preferenza.
La Federazione Ata – (Feder. A.T.A.) è nata dal Nostro/Vostro desiderio di essere liberi e protagonisti del nostro presente per diventare fautori del nostro futuro e dei Colleghi che verranno dopo di Noi. Ci batteremo affinchè al Personale ATA venga riconosciuto il valore del lavoro che quotidianamente svolge a servizio dell’intera comunità scolastica.
La Federazione Ata è stata registrata presso gli Organi competenti, è già operativa e ci stiamo organizzando per il sito.
La Feder. A.T.A. si propone come Organizzazione seria e concreta, che dice sempre la verità anche quando la verità è scomoda e non produce frutti immediati (…ma nel tempo), pertanto ha bisogno di risorse umane serie, portatrici di idee e problematiche della categoria di Personale Ata di riferimento; ha bisogno di persone capaci al dialogo, in grado di guidare un gruppo e di farlo crescere.
Chiunque del Personale Amministrativo Tecnico ed Ausiliario crede in questi valori e intende rappresentare i propri interessi per il raggiungimento del bene comune “si faccia avanti” e ci contatti….
Per questo motivo abbiamo organizzato a Roma il 19 Dicembre 2015 alle ore 15,00 il 1^ Convegno della Feder. A.T.A. dopo il seminario di formazione gratuito sul tema: “Il ruolo del Personale Ata nella Buona e nella futura Scuola dell’informatica ”e per conferire i vari incarichi a livello nazionale e provinciale;
La Feder. A.T.A. è la Vostra Federazione, e sarete Voi i veri protagonisti, non ci sono poltrone da spartirsi né incarichi di prestigio da conferire: c’è soltanto molto lavoro da fare per la realizzazione di un sogno per tutto il Personale Ata, tutto dipenderà da Voi, dalle Vostre forze e dalla Vostra disponibilità.
Per motivi organizzativi, abbiamo però bisogno di “sapere quanti saremo”, per poter decidere la location.
Potete dare la Vostra adesione rispedendo l’allegato modulo all’indirizzo di posta elettronica: segreteria@anaam.it.
Saluti e buon lavoro dallo
Staff di Federazione A.T.A.


SEMINARIO: Il ruolo del Personale Ata nella Buona e nella futura Scuola dell’informatica

PROGRAMMA DEL SEMINARIO

Ore 11,00/11,30
Accoglienza e registrazione partecipanti
Ore 11,30/12,30
Saluti del Presidente Nazionale Giuseppe Mancuso
Ore 12,30/13,30
Il ruolo del Personale ATA nella Buona Scuola
13,30/14,00
Pausa pranzo
14,00/14,30
Il ruolo del Personale ATA nella futura Scuola
14,30/15,00
Domande dei Corsisti/Risposte dei Relatori
L’iscrizione al seminario è gratuita, consente l’esonero dal servizio. Al termine del seminario, i partecipanti riceveranno l’attestato di partecipazione. (DM 177/2000).
Al termine del seminario inizierà il primo convegno del sindacato unitario del personale ATA- Feder. A.T.A.

Diritto allo studio: a gennaio parte il tavolo sui Lep, ma c’è l’incognita del nuovo titolo V

da Il Sole 24 Ore

Diritto allo studio: a gennaio parte il tavolo sui Lep, ma c’è l’incognita del nuovo titolo V

di Marzio Bartoloni

Si riapre il cantiere dei Lep. I grandi assenti del diritto allo studio di questi ultimi anni provano a tornare alla ribalta, dopo che tra cambi di governo e spaccature tra le regioni il decreto che doveva disegnarne l’identikit è rimasto nei cassetti per tre anni. Il ministero ha ufficialmente aperto il tavolo sui livelli essenziali delle prestazioni inviando nei giorni scorsi la richiesta di nominare un loro rappresentante a Regioni, studenti e aziende per il diritto allo studio. I lavori cominceranno a gennaio proprio quando è atteso il via libero definitivo alla riforma costituzionale: l’11 gennaio la Camera dovrebbe dare l’ultimo via libero al disegno di legge che rivede anche le competenze al diritto allo studio che in sostanza viene “ristatalizzato”. Per attendere però l’entrata in vigore della riforma bisognerà attendere il referendum confermativo che dovrebbe avvenire nell’autunno del 2016. In ogni caso il suo varo in qualche modo peserà sui lavori del tavolo, quasi come un convitato di pietra, e rischia di renderne inutile i lavori a meno che non si cambi anche il Dlgs 68/2012 che prevede il varo dei Lep . Intanto il ministro Giannini insiste: la gestione delle borse di studio passi direttamente agli atenei.

Verso la definzione dei Lep
L’obiettivo del tavolo convocato dal Miur è quello di scrivere i livelli essenziali per il diritto allo studio stabilendo a livello nazionale i criteri per accedere alle borse senza più disparità tra le regioni. E soprattutto con la promessa di dire addio per sempre alla vergogna nazionale di chi merita una borsa ma rimane puntualmente con un pugno di mosche per mancanza di fondi. Solo l’anno scorso sono stati più di 40mila gli “idonei” senza borsa. E quest’anno anche per effetto del nuovo Isee saranno probabilmente molti di più. Oltre alle borse il decreto dovrà fissare i criteri di accesso anche a tutti gli altri servizi: da quelli abitativi a quelli di ristorazione; dai servizi di orientamento e tutorato alle attività a tempo parziale; dai trasporti all’assistenza sanitaria al materiale didattico. Il lavoro probabilmente non partirà da zero visto che governo e regioni avevano già lavorato a una bozza di decreto, nato addirittura sotto l’ex ministro Profumo, che però aveva spaccato i governatori ed era stato bocciato dagli studenti. Nel mirino era finito in particolare l’innalzamento dell’asticella dei crediti necessari per conseguire la borsa (da 25 a 35) che rischiava di ridurre ancora la platea dei beneficiari. Una mossa che ora potrebbe essere riproposta (il recente documento sulle 20 proprità del Miur per il 2016 alla voce diritto allo studio parla non a caso di «valorizzazione del merito»). Ma gli studenti mettono subito le mani avanti: «Se l’intenzione del Governo è quella di utilizzare la definizione dei Lep soltanto per contrarre ulteriormente il diritto allo studio, ad esempio andando ad innalzare i criteri di merito per l’accesso alle borse, come già aveva tentato di fare l’allora ministro Profumo nel 2013, non ci stiamo e daremo battaglia», avverte Jacopo Dionisio dell’Udu. Che parla di operazione che assomiglia a semplice palliativo: «Nell’attuale situazione di sotto finanziamento, il rischio evidente è che il tavolo del Miur si trasformi nell’ennesimo gioco a ribasso».

Le altre variabili in campo
Ma a pesare sulla definizione dei nuovi Lep c’è anche la riforma costituzionale che sarà varata a inizio gennaio. Il diritto allo studio oggi è finanziato in parte dallo Stato tramite il fondo per il diritto allo studio (il Fis) che vale circa 150 milioni (in continuo calo rispetto al passato) e dalle regioni con fondi propri e soprattutto attraverso le tasse pagate degli studenti sempre in aumento (atri 250 milioni in tutto). Risorse a cui si dovrebbero aggiungere 50 milioni promessi dal premier Renzi nella nuova legge di stabilità. Ora con la riforma del Titolo V la gestione del diritto allo studio dovrebbe tornare a Roma, lasciando alle regioni solo le attività di “promozione”. Con le aziende per il diritto allo studio che dovrebbero mantenere il compito di erogare le borse. A questo scenario in continua evoluzione si aggiunge anche la “provocazione” del ministro Giannini che da settimane ripete come un mantra l’intenzione di voler togliere in ogni caso la gestione delle borse di studio alle Regioni per affidarle direttamente agli atenei (i rettori finora sono stati piuttosto freddi a parte qualche eccezione). «C’è una parte del diritto allo studio che è giusto che sia in carico alle Regioni, ossia quello che riguarda gli alloggi e le mense – ha spiegato nei giorni scorsi – ma l’erogazione delle borse di studio per definizione è uno strumento che ha l’ateneo per poter diventare più attrattivo e quindi questa potrebbe essere una svolta importante». «Come ministro propongo l’inizio di una possibile soluzione del problema – ha concluso – poi, se si arriva ad articolare nel dettaglio la proposta, approderà nella conferenza Stato-Regioni».

La scuola italiana allo specchio: meno ritardi con l’Ue, ma il Sud è sempre indietro

da Il Sole 24 Ore

La scuola italiana allo specchio: meno ritardi con l’Ue, ma il Sud è sempre indietro

di Claudio Tucci

La scuola italiana fa qualche passo in avanti, recupera un pò di svantaggio rispetto all’Europa, ma resta fortemente “a macchia di leopardo”, con il Sud che continua ad arrancare. L’anno di riferimento è il 2014, che viene fotografato dall’Istat, nel suo ultimo rapporto annuale «Bes» («Il benessere equo e sostenibile in Italia») mostrando segnali in chiaro scuro sul fronte istruzione e formazione.

Cresce il numero di diplomati
Una prima nota positiva, rispetto al 2013, è l’incremento della fetta di popolazione (25-64 anni) con almeno il diploma superiore: l’aumento è 10 punti percentuali, raggiungendo nel 2014 il 59,3%. Cresce pure la percentuale di 30-34enni che hanno conseguito un titolo universitario e quella delle persone che hanno svolto formazione continua. Si riduce poi significativamente l’abbandono scolastico: la percentuale di giovani che esce prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito il titolo di scuola media inferiore (secondaria di primo grado) raggiunge il 15%, dato in calo rispetto al 16,8% del 2013.

Meno bambini alla scuola dell’infanzia
Ma le belle notizie sembrano finire qui. Nel 2013-14, la quasi totalità dei bambini di 4-5 anni partecipano alla scuola dell’infanzia (92,1%), ma il dato sconta un calo per due anni consecutivi con una diminuzione di 3 punti percentuali rispetto all’anno 2011/12. Piccolo segnale positivo sul fronte Neet – i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano – che era aumentata in misura considerevole per effetto della crisi economica raggiungendo il 26% nel 2013, si mantiene stabile nel 2014.

Il Sud sempre in ritardo
Continuano poi a essere particolarmente accentuate le differenze territoriali in termini
di istruzione e formazione (quote di diplomati e laureati) a svantaggio del Sud. Il tasso di uscita precoce dagli studi si attesta al 12% nel Centro-Nord e al 19,3% nel Mezzogiorno, con punte superiori al 23% in Sicilia e Sardegna. Le differenze territoriali sono però aumentate nel 2014: infatti mentre cresce la percentuale dei diplomati nel Centro-Nord non migliora il dato del Mezzogiorno così come l’aumento dei laureati di 30-34 anni nel Sud (dal 17,9% del 2013 al 23,3% del 2014) non è tale da ridurre il divario con altre zone del Paese. Inoltre, è rimasto pressoché costante il divario tra il Mezzogiorno e il Centro rispetto al tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione. In controtendenza la Calabria, dove la quota di 30-34enni laureati registra un incremento superiore alla media nazionale (dal 17,9% del 2013 al 23,3% del 2014) portandosi al di sopra anche di alcune regioni del Nord.

Il ritardo del Mezzogiorno si esprime anche in termini di competenze acquisite, misurate attraverso i punteggi medi al test Invalsi. Gli studenti della classe seconda della scuola superiore hanno livelli di competenza alfabetica funzionale e di competenza matematica molto più elevati al Nord (rispettivamente 209,9 e 212 punti) che nel Mezzogiorno (rispettivamente 191,3 e 188,6). In particolare, in Basilicata e Sardegna il livello di competenza alfabetica funzionale è inferiore a 190 punti, laddove nella provincia autonoma di Trento, Lombardia e Veneto supera i 212 punti.

La scuola non sa più essere un ascensore sociale
Lo studio dell’Istat conferma infine un dato allarmante. Il contesto socio-economico di provenienza e il titolo di studio dei genitori continuano a condizionare fortemente la riuscita dei percorsi scolastici e formativi dei ragazzi. I figli di genitori con titoli di studio elevati o professioni qualificate abbandonano molto meno gli studi, hanno minori probabilità di diventare Neet e presentano livelli di competenza informatica maggiori dei figli di genitori con la scuola dell’obbligo o con bassi profili professionali. Si tratta di uno svantaggio marcato che non mostra nessun segnale di miglioramento.

Neoassunti, il posto non è fisso

da ItaliaOggi

Neoassunti, il posto non è fisso

Sia per chi entra in fase B che C, l’assegnazione della sede definitiva avverrà sugli ambiti

Carlo Forte

I docenti assunti nella fase B e nella fase C assumeranno la titolarità sugli ambiti territoriali e saranno assoggettati alla mobilità su tutto il territorio nazionale.

È questa la novità più importante emersa nel corso dell’ultimo incontro di contrattazione sulla mobilità che si è tenuto a Roma, presso il ministero dell’istruzione.

Va detto subito che non si tratta di una proposta al vaglio del tavolo negoziale: la novità è frutto di un’interpretazione della legge 107/2015 adottata unilateralmente dal ministero dell’istruzione.

Che non piace ai sindacati, ma dalla quale, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il dicastero di viale Trastevere non intende spostarsi di un centimetro.

In buona sostanza, dunque, la deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia di prima assunzione sarebbe finalizzata ad una sorta di rimescolamento generale dei docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C. Che dovrebbe avvenire a prescindere dal fatto che nella fase B siano state assegnate cattedre dell’organico di diritto e nella fase C cattedre dell’organico di potenziamento.

L’effetto potrebbe essere quello di prevenire l’insorgenza del contenzioso che potrebbe nascere dalla mancata valorizzazione del criterio del merito in sede di assegnazione delle sedi nelle varie fasi. Nella fase B, infatti, sono stati collocati docenti ai vertici delle graduatorie, costretti ad accettare sedi anche a 1000 chilometri da casa.

Mentre nella fase C sono stati assunti docenti collocati, nelle stesse graduatorie, in posizione successiva rispetto ai colleghi della fase B.

Il paradosso, dunque, è che i docenti con più punti, nella maggior parte dei casi, hanno ottenuto sedi più svantaggiose rispetto ai loro colleghi con meno punti.

Si tratterebbe, quindi, di una sorta di sanatoria preventiva, che però andrebbe a ledere le aspettative dei docenti immessi in ruolo nella fase C nella provincia di residenza.

Aspettative che, per certi versi, potrebbero integrare veri e propri diritti. Specie se si considera il cosiddetto principio di legittimo affidamento, al quale si appellano spesso i ricorrenti quando intentano azioni contro l’amministrazione. E sul quale si fondano molte pronunce che vedono l’amministrazione soccombente. Si pensi, per esempio, al contenzioso seriale sulle pensioni statali tardivamente rimodulate.

E poi bisogna fare i conti con in numeri. Nel qual caso la bilancia pende nettamente in favore dei docenti della fase C, che sono 47.475 (rispetto ai 55.258 previsti) contro gli 8532 posti assegnati nella fase B (rispetto agli oltre 16muila previsti).

Infine bisogna considerare anche che la legge 107/2015 non prevede espressamente la mobilità coatta su tutto il territorio nazionale, quanto, invece, una mera deroga al vincolo di permanenza triennale per i neoassunti. Deroga che, unita al diritto al differimento della presa di servizio per un anno per i neoassunti impegnati in supplenze non brevi a saltuarie, indurrebbe a ritenere che l’intenzione del legislatore fosse stata proprio quella di evitarla.

Ambiti territoriali come province

da ItaliaOggi

Ambiti territoriali come province

Sono stati ridefiniti dal Miur: saranno estesi più del doppio degli attuali distretti

Gli ambiti territoriali, dai quali i presidi sceglieranno i docenti, saranno estesi più del doppio dei distretti. A fronte di circa 800 distretti, gli ambiti territoriali saranno appena 380.

Lo ha fatto sapere il ministero dell’istruzione in un incontro con i sindacati che si è tenuto a viale Trastevere giovedì scorso.

Gli ambiti non potranno estendersi su territori di province o regioni diverse edovranno comprendere scuole del primo e del secondo ciclo. In ogni caso, le istituzioni scolastiche che comprendono plessi e sezioni staccate dovranno essere comprese, per intero, nel medesimo ambito. L’amministrazione ha spiegato, inoltre, che dovranno comprendere al loro interno un numero non superiore a 40mila alunni. Che potranno arrivare fino a 60mila nelle città metropolitane.

Ogni ambito non potrà avere una popolazione scolastica inferiore a 22mila alunni. Ma nelle province che non raggiungono i 22mila alunni (Gorizia, Isernia, Verbania Cusio Ossola e Oristano) saranno introdotte delle deroghe.

La definizione degli ambiti in concreto spetterà agli uffici scolastici regionali. La costituzione degli ambiti è il presupposto delle nuove regole sulla mobilità dei docenti, sulla quale si sta trattando in questi giorni a viale Trastevere.

A questo proposito i rappresentanti del ministero hanno informato i sindacati dell’intenzione del ministero dell’istruzione di costituire organici regionali. La misura è finalizzata a dare tempo al governo di coordinare le disposizioni contenute nella legge 107/2015 con quelle del decreto legislativo 297/94, sempre in materia di mobilità.

In ogni caso, la contrattazione integrativa sulla mobilità continuerà ad avvenire con frequenza annuale.

Per il prossimo anno la mobilità dovrebbe svolgersi in tre fasi.

Nella prima fase dovrebbero essere disposte le assegnazioni delle sedi definitive delle fasi 0 e A con titolarità sulla scuola e non su ambito. In entrambe le fasi assunzionali sono state disposte immissioni in ruolo nell’ambito della stessa provincia delle graduatorie di riferimento.

In particolare, nella fase 0 sono state effettuate le assunzioni a tempo indeterminato ordinarie, disposte applicando la vecchia disciplina. E nella fase A sono state disposte immissioni in ruolo sui posti residuati nella fase 0.

Nella seconda fase dei movimenti dovrebbe avere luogo la mobilità straordinaria di tutti di docenti assunti entro il 2014/15 su tutti gli ambiti territoriali nazionali. Questa fase sarà attivata concedendo l’accesso anche i docenti che, secondo la previgente disciplina, sarebbero rimasti assoggettati al vincolo di permanenza nelle provincia di immissione in ruolo, non essendo ancora decorso il triennio di permanenza ordinariamente previsto.

È una deroga espressamente prevista dalla legge 107/2015, che consentirà a questi docenti di muoversi con precedenza rispetto ai neoimmessi in ruolo dopo il 31 agosto scorso.

Infine, nella terza fase, dovrebbero essere disposte le assegnazioni delle sedi definitive ai docenti assunti nelle fasi delle fasi B e C tratti dalle graduatorie a esaurimento, ai quali sarà assegnata la titolarità sugli ambiti.

Ai docenti assunti in quanto tratti dalle graduatorie dei concorsi ordinari sarà assegnata la titolarità entro la regione. I docenti assunti nella fase B sono stati immessi in ruolo con priorità rispetto a quelli della fase C. Ed hanno ottenuto la sede su cattedre vacanti e disponibili nell’organico di diritto, ma spesso in altre province, anche molto lontane dalle loro sedi di residenza.

I docenti assunti nella fase C, invece, sono stati immessi in ruolo su posti costituti, ex novo, sull’organico di potenziamento. E dunque non sono assegnatari di vere e proprie cattedre, ma di posti immessi nella disponibilità delle scuole per provvedere alle supplenze brevi, al recupero, al potenziamento e, in generale, al miglioramento dell’offerta formativa.

Secondo quello che risulta a ItaliaOggi, però, le operazioni di assegnazione delle sedi (fermo restando l’assunzione di titolarità negli ambiti) avverrà in modo fungibile. E cioè, senza tenere conto della fase di provenienza. Pertanto, i docenti che insegnano attualmente su cattedra potrebbero vedersi assegnare un posto di potenziamento e viceversa.

L’assunzione di titolarità negli ambiti comporterà la preclusione definitiva del diritto alla titolarità delle sede. E ciò comporterà a sua volta l’assoggettamento al sistema della cosiddetta chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici.

I docenti interessati potranno proporsi direttamente ai dirigenti scolastici con istanze motivate e corredate di curriculum. E qualora dovessero ricevere più proposte di incarico (triennale) da parte di altrettanti dirigenti scolastici, avranno facoltà di scelta tra le varie proposte. Se riceveranno una sola proposta saranno obbligati ad accettarla.

I docenti che non riceveranno alcuna proposta saranno assegnati d’ufficio ad una scuola dove risulti una disponibilità utile a ricollocare il docente interessato. Sempre nello stesso ambito di titolarità del docente.

Lotta del Miur contro i diplomifici, ispezioni in 673 scuole paritarie

da La Stampa

Lotta del Miur contro i diplomifici, ispezioni in 673 scuole paritarie

Al via il Piano straordinario per verificare il mantenimento dei requisiti per il riconoscimento della parità

Al via il Piano straordinario di ispezioni nelle scuole paritarie previsto dalla legge Buona Scuola: sono 673 le istituzioni scolastiche di cui quest’anno sarà verificato il mantenimento dei requisiti per il riconoscimento della parità. Di queste, 532 sono scuole superiori.

 

Particolare attenzione sarà posta – spiega il dicastero di viale Trastevere – agli istituti secondari di II grado dove viene rilevata una forte differenza fra il numero di ragazzi iscritti al primo anno e quello di iscritti all’Esame di Stato.

 

La prima tornata di ispezioni coprirà oltre il 30% delle 1.526 scuole paritarie di II grado.

 

Il Piano è già partito nelle Marche e in Abruzzo ed è stato disposto dopo il seminario «La Buona Scuola e il sistema delle scuole paritarie» che si è svolto al Miur il 30 settembre scorso, alla presenza del Ministro Stefania Giannini e del Sottosegretario Gabriele Toccafondi.

 

«Siamo per la parità scolastica, ma diciamo no con forza ai diplomifici», hanno ricordato in quell’occasione il Ministro e il Sottosegretario. Al seminario sono seguite alcune riunioni tecniche a valle delle quali è stato elaborato il Piano di interventi. Un apposito gruppo di lavoro ha prodotto una scheda di rilevazione tipo da adoperare su tutto il territorio nazionale, con gli elementi fondamentali per lo svolgimento delle attività ispettive. Gli Uffici Scolastici Regionali hanno indicato, oltre alle istituzioni scolastiche, le modalità di svolgimento dell’attività ispettiva per gli anni scolastici 2015-16, 2016-17 e 2017-18. Fatta eccezione per le Province e Regioni autonome o a statuto speciale.

 

Durante le ispezioni saranno verificati, fra l’altro, l’elaborazione e la pubblicazione del Piano triennale dell’Offerta formativa come previsto dalla normativa vigente; l’elaborazione e la pubblicazione del rapporto di Autovalutazione; il rispetto della legislazione in materia di contratti di lavoro e del principio di pubblicità dei bilanci; l’adeguamento alle modifiche ordinamentali degli ultimi anni.

 

Nell’anno scolastico in corso saranno visitate 91 scuole paritarie in Lombardia, 16 in Piemonte, 14 in Liguria, 29 in Friuli, 13 in Veneto, 24 in Emilia Romagna, 45 in Toscana, 55 nel Lazio, 23 nelle Marche, 17 in Umbria, 28 in Abruzzo, 1 in Molise, 110 in Campania, 33 in Puglia, 9 in Basilicata, 150 in Calabria, 15 in Sardegna. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di istituti Superiori.

Occupazione, l’Italia chiede all’UE di confermare ‘Garanzia Giovani’

da La Tecnica della Scuola

Occupazione, l’Italia chiede all’UE di confermare ‘Garanzia Giovani’

L’Italia ha ribadito “la richiesta di confermare e stabilizzare il programma ‘Garanzia Giovani’ che da noi ha ottenuto risultati positivi e importanti”.

A dirlo è stato il ministro del lavoro Giuliano Poletti al termine della riunione tenuta il 7 dicembre, nell’ambito del Consiglio occupazione dell’Unione Europea. Con l’Italia hanno chiesto di replicare il progetto per il 2016 anche Francia, Austria e Lussemburgo.

“Arriveremo a chiudere l’anno con quasi un milione di giovani che si sono registrati a questo programma e pensiamo che sia l’infrastruttura che vogliamo utilizzare in futuro per le politiche attive nel nostro Paese”, ha spiegato. Per il ministro è “molto importante” che ci sia continuità fra un programma appena sviluppato e il prossimo, perché “vorremmo che entrasse nelle politiche quando si farà la discussione della rideterminazione del bilancio 2016”.

Ricordiamo che ‘Garanzia Giovani’ un progetto europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, attraverso precipui finanziamenti per gli Stati con tassi di disoccupazione superiori al 25%. A beneficiarne è, ovviamente, anche l’Italia.

I finanziamenti ricevuti dall’UE devono poi essere investiti da ogni Paese con attività di formazione, politiche attive di orientamento, sostegno e aiuti per l’occupazione lavorativa. Lo scopo è far sì che i giovani possano trovare un posto di lavoro o un percorso formativo nel volgere del minor tempo possibile dal conseguimento del titolo di studio.

Cyberbullismo, la scuola è un luogo sicuro ma la metà dei presidi ha il suo da fare

da La Tecnica della Scuola

Cyberbullismo, la scuola è un luogo sicuro ma la metà dei presidi ha il suo da fare

Più della metà dei presidi delle scuole ha dovuto gestire negli anni casi di cyberbullismo: lo rivela un’indagine svolta dal Censis in collaborazione con la Polizia postale.

Dal sondaggio, pubblicato in questi giorni, risulta che il 54,9% dei dirigenti scolastici interpellati ritiene che, percentuale che sale ulteriormente tra i presidi degli istituti superiori (59,3%).

E sempre per la maggior parte dei dirigenti scolastici che hanno dovuto gestire episodi di cyberbullismo (58,5%), la principale difficoltà è stata quella di rendere i genitori consapevoli della gravità dell’accaduto.

Inoltre, alla domanda se è troppo alta l’esposizione a un uso improprio di internet, il 90,2% dei dirigenti scolastici ha detto sì.

La scuola, viceversa, è da loro considerata un luogo sicuro e controllato: solo lo 0,2% del totale segnala il possibile rischio. Tra i pericoli del web, i capi d’Istituto indicano in primo luogo il bullismo cosiddetto on line che, prolungato nel tempo, darebbe luogo a vere e proprie forme di cyberbullismo (7,0).

Sempre i presidi, segnalano anche le insidie che possono nascondersi nella diffusione dei giochi online (6,4). Più bassi sono i pericoli derivanti dalla possibilità di essere adescati online (5,4), di essere spinti verso qualche forma di disturbo alimentare (3,9) oppure di essere vittima di siti web che svolgono proselitismo religioso o terroristico (3,2).

Diplomati Magistrale inseriti in graduatoria ad esaurimento. Sì del Consiglio di Stato

da La Tecnica della Scuola

Diplomati Magistrale inseriti in graduatoria ad esaurimento. Sì del Consiglio di Stato

È arrivato l’atteso giudizio definitivo dei giudici competenti del Consiglio di Stato che lo scorso 2 dicembre hanno emesso sentenza in favore dei ricorrenti UIL Scuola Cremona, Mantova e Reggio Emilia, rappresentati e difesi dai legali Domenico Naso e Cinzia Ganzerli.

I diplomati magistrale ricorrenti, con sentenza 5439/2015, sono dunque stati inseriti, a pieno titolo e senza alcuna riserva, nelle graduatorie ad esaurimento della scuola dell’infanzia e primaria delle rispettive province. L’immissione in ruolo per un centinaio di diplomati magistrale, dunque, non è più un miraggio.

“La sentenza conferma così il diritto sacrosanto dell’immissione in graduatoria – sottolinea il segretario generale UIL Scuola Cremona-Lodi Mauro Colafato; un diritto che spetta a questi docenti, che non possono continuare ad essere ignorati dai nostri governanti. Gli insegnanti e i nostri avvocati danno oggi una nuova lezione al MIUR nei tribunali, confermando che la linea di chiusura assunta dall’amministrazione negli ultimi tredici anni sui docenti abilitati con diploma magistrale, conseguito fino al 2002, è stata lesiva del loro diritto ad insegnare. Era dunque inevitabile che in tanti si sarebbero rivolti alle aule dei tribunali per ottenere giustizia”.

Già centinaia di docenti hanno ottenuto l’inserimento in quelle graduatorie ad esaurimento che il MIUR continua a tenere ottusamente blindate: stavolta a dare ragione alla UIL Scuola Cremona-Lodi, Mantova e Reggio Emilia è stato direttamente il Consiglio di Stato, che inserisce nelle GaE i docenti precari. “Non sembra esservi dubbio alcuno – si legge nella sentenza – che i diplomati magistrali con il titolo conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, al momento della trasformazione delle graduatorie da permanenti ad esaurimento, fossero da considerare in possesso del titolo abilitante. Il fatto che tale idoneità del titolo posseduto sia stata riconosciuta soltanto nel 2014, a seguito del richiamato parere del Consiglio di Stato, non può impedire che tale riconoscimento abbia effetti ai fini dell’inserimento nelle citate graduatorie riservate ai docenti abilitati. In conclusione, l’appello è fondato e va accolto e gli appellanti vanno inseriti nella terza fascia delle citate graduatorie permanenti, ora ad esaurimento”.

Una vittoria su tutta la linea. “Il nostro sindacato – conclude Colafato – aveva ragione. E adesso è il Consiglio di Stato che si pronuncia sul ricorso accogliendolo in pieno. E i ricorsi saranno solo una delle forme di protesta avviate anche contro la legge 107 del 15 luglio 2015, dato che riteniamo ci sia anche un vulnus di costituzionalità che contiamo unitariamente di portare davanti alla Consulta. Senza abbandonare, tuttavia, gli strumenti classici della mobilitazione”.

Giannini: scuola e lavoro, è sistema duale

da La Tecnica della Scuola

Giannini: scuola e lavoro, è sistema duale

La ministra Stefania Giannini, al Forum economico italo-tedesco, sul modello duale di alternanza scuola-lavoro organizzato a Firenze, ha detto che a partire da quest’anno “possiamo presentare con concretezza di numeri, progetti e di strumenti il modello italiano di alternanza”.

“Credo che questo sia un grande risultato frutto dell’ accelerazione degli ultimi anni”, ha aggiunto Giannini,  sottolineando che la riforma della Buona Scuola “ha messo su un binario di velocità” tali azioni.

“Due anni fa quando ci siamo trovati con la Camera di Commercio italiana e tedesca su questo tema c’era una relazione asimmetrica – ha ammesso – perché la Germania ha da molti anni un collaudato modello duale”.

Il monte ore scuola-lavoro, ha spiegato Giannini ai cronisti, “per i ragazzi del triennio entrerà in vigore da quest’anno. Deve essere calcolato, però, nel triennio. E’ chiaro che sarà progressivo: ragionevolmente, in questo anno di avvio, come primo anno avrà un’applicazione ridotta rispetto ad una distribuzione equiparata delle 400 o delle 200 nel corso del triennio. Poi, quello è il modello a regime”.

“Penso che il modello di alternanza scuola-lavoro darà un grande risultato a partire dai prossimi cinque anni” contro la disoccupazione giovanile, ha anche detto la ministra.

“La nostra prima aspettativa – ha spiegato – è che in un ragionevole lasso di tempo, 3-5 anni, si abbiano politiche nazionali estese dell’alternanza che coprano tutto il sistema, dal modello sperimentale che pure ha dato frutti importanti, alla messa a regime sul territorio nazionale, con un milione e mezzo di studenti coinvolti”.

Al secondo punto, secondo Giannini, c’è “la valorizzazione delle specificità locali, delle vocazioni territoriali”, con “l’autonomia scolastica che è la base della Buona Scuola”. Infine, ha concluso la ministra, “vedremo risultati fra pochi anni sull’occupazione giovanile. Se dovessimo dire qual è il nemico e lo spauracchio più drammatico per l’Europa è la disoccupazione dei nostri giovani”.

Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione, introducendo il Forum ha a sua volta affermato: “Stiamo costruendo la via italiana al sistema duale tedesco. Abbiamo appreso molto – ha detto – e abbiamo cercato di fare bene i compiti a casa, senza copiare. Con la riforma della Buona Scuola, e la sua attuazione in dirittura d’arrivo, penso che dobbiamo essere fieri della nostra via italiana”.

Secondo Toccafondi “manca ancora da fare molto sull’orientamento, dove il sistema tedesco su questo ha molto da insegnarci, e sulla certificazione delle competenze”, ma fra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro “il muro sta cadendo”, e quindi “sta a noi ora costruire le strade di collegamento fra due mondi che devono assolutamente averle”.

Anche Ivanhoe Lo Bello, presidente nazionale di Unioncamere, intervenendo al Forum, ha detto la sua, interpretando il pensiero di Confindustria: “Il duale all’italiana ha bisogno di garantire in maniera molto forte ai giovani percorsi che possano poi accompagnarli nel mercato del lavoro, dando loro una possibilità per starci dentro”.

“Veniamo da una cultura nazionale – ha affermato – che vede nel lavoro il luogo dello sfruttamento, e chiede che il percorso educativo non venga collegato al meccanismo di lavoro. Questo ragionamento ha fatto danni al paese e ai ragazzi, basta guardare la disoccupazione giovanile, che non dipende dalla nostra struttura produttiva, che oggi può fare un sforzo importante per limitarla: il problema è un sistema scolastico concentrato su modelli tradizionali, con una bassa presenza della cultura scientifica”.

Festività, croci e crocifissi

Festività, croci e crocifissi

di Maurizio Tiriticco

 

Sono polemiche sterili, a mio avviso, quelle di questi giorni: festeggiare o no il Natale nelle nostre scuole? Mah! Se si va un po’ indietro nel tempo, rileviamo che la nostra scuola pubblica, statale e comunale, nacque più di cento anni fa con l’avvio dell’Unità nazionale e all’insegna, appunto, di un’assoluta laicità. Erano gli anni in cui i Savoia requisivano conventi e collegi cattolici per farne ginnasi e licei che nel tempo divennero anche prestigiosi istituti statali di studio. E si avviava anche quella scuola obbligatoria pubblica con la quale si apriva una decisa concorrenza con quelle parrocchie che da sempre, insieme al Vangelo, di fatto insegnavano anche i primi rudimenti di lettura. Come del resto avviene oggi nelle scuole coraniche, dove la lettura del Corano diviene anche lettura di altri testi. E, quando si dice che gli atei più agguerriti sono usciti dalle scuole cattoliche, si dice in effetti una banalità. Quali altre scuole esistevano nei nostri numerosi staterelli nei secoli precedenti all’Unità? E neanche l’età dei Lumi aveva portato buoni consigli ai nostri altrettanto numerosi governanti. Qualche eccezione ci fu, ma non fu la regola.

Ed è anche noto quanto si preoccupassero i Papi di una lenta ma progressiva estensione dell’obbligo di istruzione. Come avremmo potuto costruire un’Italia in grado di reggere la concorrenza con una Francia o una Germania o una Gran Bretagna, da decenni Paesi industriali? E colonialisti per giunta! E’ nota la lettera di Pio IX del 3 gennaio 1870 a Vittorio Emanuele II! Maestà, La prego di fare tutto ciò che è in suo potere per “allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata, per quanto si dice, relativa alla istruzione obbligatoria. Questa legge parmi ordinata ad abbattere totalmente le scuole cattoliche, soprattutto i Seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla religione di Gesù Cristo!”

Il fatto è che la nostra scuola statale non nacque contro le scuole cattoliche, ma all’insegna della neutralità in materia religiosa. In seguito le cose cominciarono a cambiare, quando il regime fascista pensò di rafforzare il suo potere ingraziandosi proprio quel mondo ecclesiastico che i Savoia avevano sempre “snobbato”. E nel Trattato firmato l’11 febbraio 1929 non solo leggiamo che “la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato” (art. 1), ma anche che “l’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica” (art. 36). Le cose non sono cambiate di molto né con la caduta del fascismo né con il varo della Costituzione repubblicana (si veda l’articolo 7) né con il “nuovo” Concordato sottoscritto da Bettino Craxi e il cardinale Casaroli il 18 febbraio del 1984. In effetti, presepi e canti natalizi nelle nostre scuole sono cose abbastanza recenti. Con il fascismo non si allestivano presepi nelle scuole, tanto meno alberi di Natale, roba nordica… nulla a che vedere con il nostro presepe francescano di Greccio. Si festeggiavano le ricorrenze laiche, ovviamente fasciste: il 23 marzo, nascita dei fasci di combattimento, il 28 ottobre, la Marcia su Roma, e così via. E anche il genetliaco del Re!

Insomma, con il passar del tempo, abbiamo lasciato che a poco a poco il Natale entrasse di peso anche nelle nostre scuole pubbliche. Del resto, se lo Stato chiude le sue scuole per una ventina di giorni e più perché la maggioranza dei suoi iscritti possa festeggiare al meglio le sue convinzioni religiose, perché stupirci se anche nell’orario normale delle lezioni, da qualche anno a questa parte, si allestiscono presepi, spettacoli e festeggiamenti natalizi? E ora di che cosa ci lamentiamo? Abbiamo voluto aprire le nostre scuole pubbliche – non religiose di norma – ad avvenimenti religiosi di un certo tipo; poi abbiamo aperto le nostre scuole anche ad alunni di altre fedi. E ora dobbiamo pagare il conto. Festeggiare tutti? O non festeggiare nessuno? Che dilemma! Che fare? Semplicemente ci siamo infilati in un vicolo cieco dal quale non sappiamo come uscire. Il che è molto triste. Anche e soprattutto perché il valore, l’importanza e il peso delle nostre scuole pubbliche, laiche per nascita, ce li siamo perduti, con le nostre stesse mani. Non vedo via di uscita! Se ne uscirà, apparentemente, solo dopo il 6 gennaio del 2016… per ricominciare il 20 dicembre dello stesso anno… se non a Pasqua!

E a tutto questo bailamme si lega anche la presenza o meno del crocifisso nelle nostre aule. A miei tempi – o tempora o mores – c’era poco da discutere! Nelle tante aule da me frequentate sulla parete dietro la cattedra figuravano il Crocifisso al centro e ai due lati la foto di Vittorio Emanuele III, Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia, e di Benito Mussolini, Duce del Fascismo e Capo del Governo! E tutto con tanto di maiuscole! La statuetta di un uomo inchiodato su di una croce, in effetti, non ci stupiva più di tanto: ciascuno di noi la conosceva bene a l’aveva vista fin dalla nascita. Però mi sono sempre chiesto quale impressione ne potesse avere un bambino di un’altra cultura esposto per la prima volta a un’immagine del genere. E capivo e capisco perché per certe religioni la rappresentazione grafica di un dio, anzi di Dio con tanto di maiuscola, bella o brutta che sia, con o senza la barba, è semplicemente impossibile.

Occorre anche dire che la croce è cosa molto antica. E la si ritrova in quasi tutte le rappresentazioni religiose precedenti a quelle cristiane. E’ un simbolo di una grande efficacia. Rappresenta la creazione (ovviamente, ammesso che vi sia stato un atto creativo) e lo sviluppo dell’intero universo. La retta verticale è l’eternità di un tempo che si materializza all’incrocio con una retta perpendicolare orizzontale, che è l’eternità dello spazio e degli oggetti materiali che lo sostanziano. Il punto di incontro tra le due rette, quella immateriale del tempo e quella materiale dell’infinito mondo degli oggetti, costituisce la fonte di una creazione che non si sa quando ha avuto inizio né si sa se avrà una fine. In effetti, l’atto creativo è sempre… in atto! E la sua rappresentazione è efficace. Se poi la “cosa” graficamente rappresentata con una croce la vogliamo risolvere in una formula, possiamo felicemente ricorrere, mutatis mutandis, ma solo fino a un certo punto, a quell’E = mc2, che il genio di Einstein ci ha voluto regalare. Tempo, spazio, luce, massa, energia, velocità: sono i modi nominali e numerici con cui tentiamo di accedere ai segreti dell’universo. Insomma, le intuizioni religiose che affondano nella notte dei tempi vengono a mano a mano disvelate dalla nostra umana capacità di pensare, cercare, intuire, scoprire. E’ così? Non so!

La croce è anche un simbolo antichissimo e universale. E ci sono tanti tipi di croce, C’è la croce uncinata, o meglio la croce rotante, cioè il tentativo di simboleggiare un atto creativo che non ha mai fine. La croce rotante normalmente gira in senso destrorso – orario, diremmo oggi – e le fiamme sulle quattro sommità vanno all’incontrario, da destra a sinistra. Ma c’è anche la croce che gira in senso antiorario: è quella della magia nera, quella adottata da Hitler e dalla ideologia nazista. Fu una scelta? O una casualità? Stando alle credenze naziste, opterei per una scelta: si trattava di rovesciare un mondo, quello governato dalle religioni positive e, tra queste, dalle religioni cristiane (cattolici, protestanti, anglicani, ortodossi, copti e così via), per crearne uno del tutto nuovo, governato da un’unica razza, quella ariana che aveva la sua tradizione religiosa ben più antica di quella del cristianesimo e dei suoi derivati.

Le varianti della croce sono moltissime. La più nota presso di noi è la croce latina, con il braccio verticale più lungo di quello orizzontale. Fu adottata in quanto la tradizione vuole che Cristo fosse stato crocifisso su quel tipo di croce. Secondo altri, sarebbe stato crocifisso sulla croce cosiddetta di sant’Andrea, a forma di X, con i bracci della stessa lunghezza, in quanto – come sembra – in quel periodo in Palestina i condannati si crocifiggevano in quel modo. C’è anche la croce greca, con i bracci eguali, adottata dai cavalieri templari.

Tornando a noi, è molto difficile che una scuola oggi, in un mondo che si fa sempre più plurale quanto a culture e a credi religiosi, possa e debba rispondere ai credi di tutti i suoi alunni. Ed è anche improduttivo proporre o imporre, come cancellare o abolire, ricorrenze di sorta. Se la scuola tornasse al suo compito primigenio di insegnare a leggere, scrivere e far di conto, sarebbe la soluzione migliore. Ma non sarà una facile impresa! Infatti, ormai da qualche decennio ci siamo avviati per il vicolo cieco dei festeggiamenti religiosi a senso unico. Tornare alle origini della nostra scuola veramente laica, quella di Casati, di Coppino, e anche di un Vittorio Emanuele II, galantuomo “dalla cintola in su”, scomunicato da Pio IX dopo la Breccia e notoriamente mangiapreti, forse sarebbe la cosa migliore. Si gioca con i fanti e i santi è meglio lasciarli perdere.