Gasparri Day, contro le persone con disabilità

Gasparri Day, contro le persone con disabilità

“Questo è il Family Day, non l’Handicappato Day.” Una frase spregiativa già di per sé discriminatoria e carica di disprezzo da chiunque sia pronunciata. Ma se è proferita dal Vicepresidente del Senato della Repubblica e a margine di una manifestazione che intende rivendicare elementi – condivisibili o meno – comunque etici, quella frase diviene quantomeno grottesca, ma prima ancora rafforza il pregiudizio.

Eppure il Senatore Maurizio Gasparri, sabato scorso, non ha avuto esitazioni nel ricorrere a lemmi beceri caricandoli altresì di quello stigma devastante che da anni – cittadini, istituzioni, organizzazioni – tentiamo faticosamente si scalzare. E non è una “banale” questione di linguaggio “politicamente corretto”: quell’uscita tradisce una convinzione profonda che sospinge le persone con disabilità ad essere cittadini di serie C.

Resta la curiosità, che verosimilmente rimarrà senza risposta, di immaginare come Renato Grasso, Presidente del Senato e seconda carica della Repubblica, consideri le esternazioni del suo vice e di come le giudichino i suoi colleghi senatori che a quella carica l’hanno eletto.

Vincenzo Falabella
Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap

Il filmato della trasmissione Le Iene contenente le dichiarazioni di Maurizio Gasparri è disponibile al seguente indirizzo: http://www.iene.mediaset.it/puntate/2016/01/31/lucci-il-beneficio-del-dubbio_9910.shtml

Statue Coperte

Statue Coperte

di Adriana Rumbolo

 

Da un fatto di cronaca: una statua di marmo bianco che raffigura un casto nudo femminile, può disturbare la sensibilità di alcuni uomini, forse di troppi uomini.

Al nudo di donna da coprire è stata associata l’idea che anche le statue che rappresentano cavalli con esuberanti organi sessuali bene in vista andavano in qualche modo coperte , forse da una gualdrappa.Strano accostare il nudo femminile al cavallo esibizionista,

Le città italiane sono piene di statue o dipinti di nudi maschili dove l’organo sessuale è sempre in bella mostra e spesso esaltato nelle sue proporzioni, ma mai nessuno ha pensato di nasconderli agli sguardi altrui.

Giorni fa ho seguito in televisione un bel documentario sugli scavi archeologici di Ercolano.Il giornalista che commentava, sottolineava che in questi scavi si sono ritrovati molti falli che a quei tempi , come retaggio della cultura ellenica, erano usati per ornare , rifinire insomma una casa per essere importante e potente più ne possedeva meglio era rappresentata.

Ho pensato che a Pompei ci sono molti dipinti di donne nude e operative, ma solo nei famosi “lupanari”.

Una giornalista qualche anno fa sollevò il problema della donna   rappresentata a pezzi per la pubblicità, per la moda per essere valutata e molte di noi fummo d’accordo , ma non aggiungemmo che anche l’uomo è stato fatto a pezzi :è importante la” tartaruga”, il sedere, se è bene peloso o no , le dimensioni dell’organo sessuale che portò molti maschi a imbottire i loro slip come le donne imbottivano i reggiseni.Sempre sento medici che parlano di problemi femminili e mi chiedo:ma come fanno a parlare di aspetti femminili se nemmeno noi donne li conosciamo?.

Come fanno a parlare di gravidanza quando noi stesse quando siamo in attesa viviamo in una dimensione come teleguidate e più lasciamo fare alla natura e meglio vanno le cose.

Se fossimo un po’ più umili e pensassimo solo che mentre il mondo ci concede qualche conoscenza mantiene tanti segreti.

Un uomo e una donna sono fortemente attratti come strumenti per fare continuare la vita e solo per un incontro d’amore sette sostanze si attivano , la famosa chimica dell’amore!

E pensare che noi liquidiamo tutto in un mare d’ignoranza e un carico di pregiudizi!

Un giorno in una prima superiore una studentessa chiese la parola e disse rivolta ai compagni :Perchè non parliamo di noi, dei nostri sentimenti; noi siamo con voi gentili , carine e voi ci infamate?

Pensai che solo una di Firenze o di Siena si può usare vocaboli così precisi.

Invitai un ragazzo a rispondere.Si alzò uno studente che nonostante fosse seduto accanto a un termosifone bollente indossava un giubbotto per apparire più grosso ,più ” macio” e rispose:voi femmine ve la tirate troppo.Allora io intervenni spiegando che le femmine devono tirarsela perchè appartiene alla loro femminilità lanciare messaggi , mostrarsi senza esagerare e che i maschi devono solo aspettare perchè dopo la loro esibizione nei corridoi della scuola o nelle vasche del passeggio in città aspettano che il maschio risponda ai loro segnali con altri segnali di apprezzamento o anche di indifferenza.

Giorni dopo uno studente mi disse davanti ai compagni che le aspettative , sulla loro virilità , da parte degli adulti che appena gli adolescenti crescevano gli si rivolgevano con sguardi allusivi e maliziosi;”come sei cresciuto , chissà quante ragazzine hai?”creavano in loro ansia.

Gli consigliai di rispondere a questi “adulti”;A lei come va con i ragazzi o con le ragazze , a seconda se l’interlocutore era maschio o femmina”

Spesso quando si incontra una persona ingenua ci piace fare i grossi.

Quindi se la natura un giorno risveglia il nostro corpo , la nostra mente perchè un uomo e una donna si incontrino per la procreazione coccoliamo il desiderio, cacciamo l’ansia da prestazione, liberiamo il corpo dai pregiudizi sociali e la natura farà in modo che tutto vada bene.

In un buon incontro duo o tre cose vanno bandite :la violenza, la banalità l’inganno e la dimenticanza di una buona protezione quando l’incontro del momento non deve essere riproduttivo.Concludo con la frase che quando mi capitava l’occasione ripetevo ai ragazzi ;”Come è il corpo?”

La risposta unanime:pulito!Mi dispiace che a chi ha coperto le statue nessuno glielo ha mai insegnato.

Scuola, arriva il mobility manager. Legambiente e Cittadinanzattiva: “Bella idea ma resterà sulla carta”

da Il Fatto Quotidiano

Scuola, arriva il mobility manager. Legambiente e Cittadinanzattiva: “Bella idea ma resterà sulla carta”

Secondo le associazioni, che ogni anno preparano un rapporto sulla qualità della vita e dei servizi negli istituti scolastici, la legge dello scorso dicembre che prevede questa nuova figura è spuntata: “Non ci sono risorse economiche né percorsi formativi specifici. Solo un annuncio senza concretezza”. “Servono investimenti delle amministrazioni: usino i dati raccolti”

Il prof copia ma non perde il concorso

da Corriere della sera

Il prof copia ma non perde il concorso

Prove di plagio contro un docente a Messina. La Commissione: il giudizio non si cambia

Gian Antonio Stella

«Aguzzate la vista», invita la Settimana Enigmistica su vignette identiche dove occorre scoprire dettagli diversi. Qui non occorre manco aguzzarla. Per andare in cattedra un docente messinese ha portato al concorso per l’abilitazione in Letteratura italiana contemporanea testi qua e là platealmente copiati di sana pianta. Fin qui, capita. Non è la prima volta, difficile sia l’ultima. Molto più grave è risposta del ministero. Dove si spiega che la commissione, messa davanti alle prove del plagio, ha deciso di non «modificare il giudizio». Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto…
I protagonisti della storia sono due. Di qua Dario Tomasello, dal 2006 «associato» di letteratura italiana contemporanea all’Università di Messina dove il padre Francesco era allora il potentissimo rettore, destinato a rimanere in carica tra mille polemiche fino al 2013. Di là Giuseppe Fontanelli, lui pure associato nello stesso Ateneo. Punti in comune: l’essere stati entrambi allievi di Giuseppe Amoroso, storico luminare della materia. Destini diversi: al concorsone del 2013 il giovane Tomasello passa, il più anziano Fontanelli no.
«Possibile?», mastica amaro il bocciato. Non si dà pace. Finché, come racconterà alla rivista «centonove», viene «colto da una folgorazione, una chiaroveggenza del caso, uno strappo nel cielo di carta». In pratica, spiega oggi, «ho riconosciuto qua e là nei lavori del Tomasello non solo i pensieri ma le parole stesse di Amoroso e sono andato a controllare: c’erano pagine e pagine non ispirate ma riprese da questo o quel libro con il “copia incolla”. Senza virgolette e citazione dei testi originali».
Un esempio? Primo testo: «La vitalità di osservatore accanito del ciclo della natura spinge Pascoli a cogliere il flusso di un divenire sempre diverso, una trama di suggestioni che si allacciano alla natura umana, facendosi, nell’istante in cui sono isolate, parafrasi della vita quotidiana ed eroica, brulicante di apparizioni, di tentazioni e allegorie…». Secondo testo: «La vitalità di osservatore accanito dell’esistenza spinge Quasimodo a cogliere il flusso di un divenire sempre diverso, una trama di suggestioni che si allacciano alla natura umana, facendosi, nell’istante in cui sono isolate, parafrasi della vita quotidiana ed eroica, brulicante di apparizioni, di tentazioni e allegorie…»
Uguali. Virgola per virgola, tranne due parole (di qua «ciclo della natura», di là «esistenza») ma soprattutto il poeta di cui si parla. Nel primo caso Pascoli nel libro La realtà per il suo verso e altri studi su Pascoli prosatore di Tomasello, nel secondo Quasimodo nel lavoro di Amoroso nel libro collettivo Salvatore Quasimodo, la poesia nel mito e oltre a cura di Finzi.
Cocciutamente deciso a smascherare il plagio, Fontanelli dice di avere per cinque mesi «letto tutto, confrontato tutto, scoperto tutto. O almeno quasi tutto». Messe insieme delle cartelle, mostra pagine e pagine a confronto. Saggio sul futurismo ( Bisogno furioso di liberare le parole ) di Tomasello: «Il chiuso di un laboratorio talora finisce per avere più brio della felicità plausibile e appagante dell’avventura in pieno sole». Saggio sulla narrativa italiana ( Forse un assedio ) di Amoroso: «Il chiuso di un laboratorio talora finisce per avere più brio della felicità plausibile e appagante dell’avventura in pieno sole». Ancora Tomasello: «Fra segmentazioni dialogiche, mimesi del parlato, spazi di pura narrazione, l’aggancio ai nodi del reale dispone frattanto i testi nella misura di una cronaca ricca e criticamente più centrata nel cardine dei fatti, nella mostra vitale del tempo». Amoroso: «Fra segmentazioni dialogiche, mimesi del parlato, spazi di pura narrazione, l’aggancio ai nodi del reale dispone frattanto le pagine sulla regola di una cronaca ricca e criticamente più centrata nel cardine dei fatti, nella mostra vitale del tempo».
Ancora Tomasello in L’isola oscena : «L’inventario di questo universo appare un catalogo di sbigottimenti grazie alla posizione inconsueta delle tessere nel quadro, allo sbandato riflesso delle tinte, all’atmosfera di incantamento suggerita dalle angolature, dai coefficienti instabili dell’impianto, dal nervoso punto di vista». Amoroso in Raccontare l’assenza : «L’inventario di questo universo appare un catalogo di sbigottimenti grazie alla posizione inconsueta delle tessere nel quadro, allo sbandato riflesso delle tinte, all’atmosfera di incantamento suggerita dalle angolature, dai coefficienti instabili dell’impianto, dal nervoso punto di vista». E potremmo andare avanti…
«Ho una produzione sterminata e, confesso, non mi ero proprio accorto del presunto “saccheggio”», disse dopo la denuncia Amoroso, «Ad aprirmi gli occhi è stato Fontanelli». Di più: «Non sono Proust, non pretendo che venissero riconosciuti la mia mano, il mio tratto. Questo mai. Non mi permetterei. Ma…». «Ho sempre agito con correttezza e professionalità», rispose Tomasello, minacciando sventagliate di querele.
Fatto sta che, davanti allo scandalo, la «chiamata» dell’accusato come ordinario a Messina fu sospesa e il nuovo rettore Pietro Navarra girò i documenti al Ministero e alla procura di Milano, competente perché lì si era riunita la commissione. Mesi e mesi di attesa, dubbi, polemiche e infine, giorni fa, al rettore messinese è arrivata una lettera del direttore generale del Miur Daniele Livon. La frase che conta è questa: «Visionata la documentazione» la commissione (che lodava il vincitore anche per i «contributi originali») ritiene di «non dover modificare il giudizio di abilitazione già reso nei riguardi del prof. Tomasello». Proprio educativo, per insegnare agli studenti a non copiare…

Se il prof diventa mobility manager (volontario) e dirige il traffico

da Corriere della sera

Se il prof diventa mobility manager (volontario) e dirige il traffico

Tutte le riforme possibili, sull’impegno “volontario” degli insegnanti, con compensi pari a zero o inadeguati

Giuseppe Tesorio

In quest’anno scolastico hanno debuttato gli animatori digitali e i consiglieri del merito (i docenti del neo comitato di valutazione, che dovranno appunto suggerire al preside i criteri per assegnare il bonus agli insegnanti migliori), ovviamente su base volontaria e senza maggiori oneri per l’amministrazione. Non basta, adesso è in arrivo il prof mobility manager, come previsto dalla Legge 221, del 28 dicembre 2015 (“Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”). Ovviamente scelto trai docenti, su base volontaria e senza maggiori oneri per l’amministrazione.

Il Ministero dell’istruzione ha tempo due mesi, dal 2 febbraio,  per scegliere le modalità più efficaci per introdurre anche nella scuola la nuova figura del mobility manager, che dovrà occuparsi di tutte le eventuali criticità che si evidenziano sui percorsi casa-scuola-casa. E di problemi inerenti agli spostamenti di alunni, insegnanti, genitori, ce ne sono in abbondanza. Il tutto per il sacrosanto obiettivo di ridurre l’uso di mezzi privati, favorire biciclette, car sharing e sensibilizzare prof e studenti sul mezzo alternativi di trasporto per ridurre polveri sottili e stress urbano.

Insomma, un ottimizzatore della circolazione “fisica” degli alunni, oltre che della circolazione “mentale” (ovvero del pensiero e delle curiosità).

Ben venga anche il mobility manager, dunque, peccato solo il fatto che sempre “senza maggiori oneri per l’amministrazione”. Tutte le riforme possibili, sull’impegno “volontario” degli insegnanti, con compensi pari a zero o inadeguati. Sul tavolo del Ministero c’è il nuovo profilo professionale del docente che aspetta di essere scritto (uscirà dalle deleghe alla legge 107/2015), e il rischio che tutte le prestazione professionali del decente siano “su base volontaria e senza maggiori oneri per l’amministrazione”, è preoccupante. Comunque ben venga il prof mobility manager.

L’importanza di studiare in gruppo: così si diventa bravi anche a decidere

da Corriere della sera

L’importanza di studiare in gruppo: così si diventa bravi anche a decidere

Un esperimento condotto su 760 bambini ha dimostrato l’utilità dell’apprendimento collaborativo. Lo sviluppo del pensiero critico, poi, aiuta i ragazzi anche nella vita

Eva Perasso

Lavorare a gruppi fa imparare meglio a prendere la decisione giusta. La tecnica dell’apprendimento collaborativo sarebbe infatti un toccasana per i ragazzi e li aiuterebbe a scegliere in modo strutturato davanti a temi diversi, con risultati migliori rispetto a quelli raggiunti con l’insegnamento frontale in cui lo studente ascolta passivamente la lezione. Lo sostiene uno studiosvolto dagli psicologi ricercatori del Center for the Study of Reading dell’ateneo dell’Illinois che hanno voluto analizzare come la collaborazione all’interno di un gruppo di allievi influisca sul loro processo decisionale. Per farlo hanno messo alla prova un totale di 760 studenti americani di quinta elementare, sottoponendoli a un ciclo di seminari durato sei settimane su di un argomento specifico. Una parte del campione lavorava a gruppi, una parte invece lavorava ascoltando le spiegazioni dell’insegnante.

Caccia ai lupi

Caccia ai lupi: questo il tema affrontato dai bambini di quinta elementare: una comunità locale doveva decidere se assoldare un gruppo di cacciatori professionisti per dare la caccia a un branco di lupi che stavano spaventando la popolazione e causando loro danni. I piccoli studenti hanno potuto analizzare, o con l’insegnante o in gruppo, i diversi fattori che portavano alla risoluzione del problema e hanno dunque parlato di ecosistema, di protezione degli animali, di sicurezza, ma anche di economia locale e di legislazione. Il fine di tale lavoro non era né trovare la soluzione più etica, né sensibilizzare i piccoli sul rispetto delle regole, ma sviluppare in loro la capacità di prendere decisioni responsabili e ragionate. A fine lavoro ogni singolo bambino doveva scrivere un piccolo tema in cui spiegava quale fosse la decisione corretta e perché.

Il dilemma etico

La seconda prova era invece totalmente individuale: gli studenti dovevano leggere la storia di un episodio tra due amici, Jack e Thomas. La trama è questa: Thomas, bambino non amato dal resto della scuola, confessa all’amico Jack di aver vinto una gara di modellini di macchinine con un sotterfugio, ovvero grazie all’aiuto del fratello maggiore. La domanda a cui i bambini dovevano rispondere per iscritto era questa: Jack deve svelare l’imbroglio al resto dei compagni?

I risultati

I ricercatori hanno potuto notare come i piccoli che avevano lavorato in gruppo nelle settimane dedicate alla «cattura del lupo» erano più preparati nel prendere rapidamente e razionalmente la decisione giusta rispetto alla storia dell’amicizia tra Jack e Thomas. Questo perché il gruppo dell’apprendimento collaborativo era ora in grado di analizzare il tema sotto tre aspetti differenti del processo decisionale: riconoscere più di un elemento del problema; individuare più argomenti a supporto dell’una o dell’altra scelta; soppesare costi e benefici legati a entrambe le soluzioni. L’insieme di elementi non comparivano invece nella decisione e nel tema preparato dai ragazzini che avevano lavorato sul lupo solo con l’insegnante, senza potersi confrontare con i loro pari.

Meno passivi e più forti

In questo modo, la ricerca americana ha dimostrato come davanti a un argomento specifico, lo studio collaborativo metta lo studente in un ruolo meno passivo e gli permetta di sviluppare maggiormente capacità decisionali autonome e strutturate. Il consiglio, ripreso dall’American Educational Research Journal, è particolarmente prezioso poiché lo studio si è svolto all’interno di scuole pubbliche americane i cui iscritti provenivano da fasce di popolazione meno abbienti e di livello culturale basso. Ha infatti dimostrato che lo sviluppo del pensiero critico e costruttivo aiuta i ragazzi non solo nel successo scolastico, ma anche nella vita. E lo studio di gruppo si mostra un ottimo strumento per arrivarvi, anche laddove le famiglie non hanno la possibilità culturale di educare i loro figli in questo settore.

Cari prof, basta con i compiti a casa: sono dannosi, impropri e stressanti

da La Tecnica della Scuola

Cari prof, basta con i compiti a casa: sono dannosi, impropri e stressanti

Sul web c’è un dirigente scolastico che combatte il fenomeno dei troppi compiti a casa: ha creato il ‘regolacompiti’ on line, un decalogo rivolto ai docenti.

Il preside si chiama Maurizio Parodi, e non è nuovo a “crociate” su questo tema: ha infatti scritto ”Basta compiti! Non è così che si impara” e ”Gli adulti sono bambini andati a male”.

Da qualche settimana ha ‘postato’ una serie di contenuti nella pagina internet “Basta compiti“, con annessa Campagna on line di raccolta firme che ha già registrato quasi 6.500 firme.

Il titolo, suggerito da una collega, “pensavo fosse ‘inelegante’ – spiega Parodi – dato che riprende quello di un mio libro, ma un amico mi ha fatto notare che eventuali (stupide e maligne) insinuazioni si potrebbero dare comunque, a prescindere dal nome; perciò: ‘Basta compiti!’ sia. Confido nella collaborazione di tutti coloro che si sono già ‘espressi’, i cui nomi riporterò trai componenti-fondatori”.

L’iniziativa, che si rivolge principalmente ai corsi di studi della scuola dell’obbligo, è stata rilanciata il 31 gennaio dall’Adnkronos. Che ha intervestato il ds: “Tutti i docenti e molti dei genitori – spiega Parodi – obiettano: ‘I compiti sono necessari: l’importante è non darne troppi’, non ho mai incontrato un docente che dichiarasse di assegnare, volutamente ”troppi compiti” (eppure gli studenti ne sono sommersi). Ho pensato di elaborare la seguente proposta di ”regolamentazione” (che potrebbe integrare il PTOF, il ”Regolamento di istituto” o il ”Patto di corresponsabilità”) da sottoporre a docenti, dirigenti, rappresentanti dei genitori, presidenti dei Consigli di istituto…, proprio per ‘aiutare’ le scuole a non darne ‘troppi'”.

Parodi ricorda che”nessuna norma impone l’assegnazione dei compiti a casa (in altri Paesi è addirittura vietato), e le sole occasioni nelle quali il Ministero si è occupato dei compiti è stato per raccomandare di non assegnarli nel fine settimana e durante le vacanze”.

Detto questo, il ds sostiene “che i compiti a casa vanno aboliti, nella ‘scuola dell’obbligo’, perché:

  • sono inutili: le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando (interrogazioni, verifiche…) hanno durata brevissima: non “insegnano”, non lasciano il “segno”; dopo pochi mesi restano solo labili tracce della faticosa applicazione;
  • sono dannosi: procurano disagi, sofferenze soprattutto agli studenti già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura, oltre alla certezza, per molti studenti “diversamente dotati”, della propria «naturale» inabilità allo studio;
  • sono discriminanti: avvantaggiano gli studenti avvantaggiati, quelli che hanno genitori premurosi e istruiti, e penalizzano chi vive in ambienti deprivati, aggravando, anziché “compensare”, l’ingiustizia già sofferta;
  • sono prevaricanti: ledono il “diritto al riposo e allo svago” (sancito dall’Articolo 24 della dichiarazione dei diritti dell’uomo) riconosciuto a tutti i lavoratori – e quello scolastico è un lavoro oneroso e spesso alienante: si danno anche nelle classi a tempo pieno, dopo 8 ore di scuola, persino nei week end e “per le vacanze”;
  • sono impropri: costringono i genitori a sostituire i docenti; senza averne le competenze professionali, nel compito più importante, quello di insegnare a imparare (spesso devono sostituire anche i figli, facendo loro i compiti a casa);
  • sono limitanti: lo svolgimento di fondamentali attività formative (che la scuola non offre: musica, sport…), oltre gli orari delle lezioni, che richiedono tempo, energie, impegno, esercizio, sono limitate o impedite dai compiti a casa;
  • sono stressanti: molta parte dei conflitti, dei litigi (le urla, i pianti, le punizioni…) che avvengono tra genitori e figli riguardano lo svolgimento, meglio il tardivo o il mancato svolgimento dei compiti; quando sarebbe invece essenziale disporre di tempo libero da trascorrere insieme, serenamente;
  • sono malsani: portare ogni giorno zaini pesantissimi, colmi di quadernoni e libri di testo, è nocivo per la salute, per l’integrità fisica soprattutto dei più piccoli, come dimostrato da numerose ricerche mediche.

Dalla Carta internazionale dei diritti dell’infanzia, art 31: “Gli Stati membri riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…”.

In pensione a 63 anni: come fare

da La Tecnica della Scuola

In pensione a 63 anni: come fare

A spiegarlo come andare in pensione a 63 anni è Noemi Secci, consulente del lavoro, in un articolo pubblicato sul portale di informazione e consulenza legale ‘La legge per tutti’.

I requisiti per ottenere la pensione, com’è noto – spiega l’esperta – sono stati molto inaspriti dalla legge Fornero: per uscire dal lavoro nel 2016, nella generalità dei casi, sono necessari 66 anni e 7 mesi per la pensione di vecchiaia (per le donne ‘bastano’ 65 anni e 7 mesi, ma il requisito sarà pari a quello degli uomini nel 2018), e 42 anni e 10 mesi per gli uomini per la pensione anticipata (41 anni e 10 mesi per le donne). Requisiti certamente non semplici da raggiungere. Quello che molti non sanno è che esiste una ‘terza via’ per ottenere la pensione: si tratta della pensione anticipata contributiva, che può essere raggiunta a 63 anni di età (con l’aggiunta di 7 mesi, dovuta agli adeguamenti alla speranza di vita).

Oltre all’età, per raggiungere la pensione anticipata contributiva, i requisiti sono:

– il possesso di almeno 20 anni di contributi;

– l’ammontare dell’assegno ottenibile, che deve essere superiore a 2,8 volte l’assegno sociale (in pratica, la pensione deve risultare pari ad almeno 1255 euro).

La pensione anticipata contributiva – spiega l’esperta – non ha destato molto interesse, sinora, poiché si riteneva che fosse riservata soltanto ai lavoratori con diritto al calcolo della pensione interamente contributivo: in pratica, si pensava che questo tipo di pensione fosse riservata a chi fosse privo di contributi versati prima del 1996.

Una recente circolare dell’Inps, tuttavia, ha chiarito che la pensione anticipata contributiva può essere richiesta anche da chi possiede contributi versati precedentemente al 1996 , qualora sia iscritto alla Gestione separata e opti per il computo nella gestione stessa della contribuzione posseduta in altre gestioni. In pratica, è data, agli iscritti alla Gestione separata (liberi professionisti e lavoratori autonomi, parasubordinati- co.co.co., o soggetti che hanno fruito dei voucher per lavoro accessorio), la possibilità di cumulare i contributi appartenenti a casse diverse in tale gestione, in modo da ottenere un’unica pensione, anche se la contribuzione da computare è stata versata anteriormente al 1° gennaio 1996. Poiché tutta la contribuzione versata o cumulata nella Gestione separata deve essere calcolata col metodo contributivo, in quanto la gestione può dare unicamente luogo ad un trattamento soggetto a tale sistema di calcolo, la pensione anticipata contributiva può dunque essere domandata anche da chi, al 31 dicembre 1995, risulta avere dei contributi già versati (che quindi sarebbero dovuti essere calcolati col metodo retributivo).

Per ottenere la pensione anticipata contributiva col cumulo – si legge – deve essere esercitata la facoltà di computo al momento della presentazione della domanda di pensione: in pratica, è necessario richiedere la pensione nella Gestione Separata ed optare esplicitamente, nella stessa istanza di pensione, per il computo dei contributi accumulati nelle altre gestioni. Questo, invece, non è necessario per i ‘contributivi puri’, cioè per chi non possiede contributi versati prima del 1996, laddove possiedano almeno 20 anni di contributi, perché possono accedere comunque alla pensione anticipata a 63 anni, anche senza computo.

La facoltà di andare in pensione anticipatamente a 63 anni – raccomanda l’esperta – deve essere ponderata attentamente, in quanto il calcolo col metodo contributivo può comportare, a seconda dei casi, forti penalizzazioni. Il sistema contributivo, infatti, non si basa sugli ultimi stipendi, ma sulla somma dei contributi accantonati e rivalutati (montante contributivo) e sul coefficiente di trasformazione, che converte i contributi in pensione, in modo tanto più favorevole, quanto più è alta l’età pensionabile. La penalizzazione – si legge – è dunque minore per quei soggetti che possedevano già, prima del computo, contributi non utili al calcolo retributivo, o che comunque sarebbero dovuti essere assoggettati alla totalizzazione, per ottenere una pensione (ugualmente calcolata col contributivo).

Le classi di livello: forse che sì, o no?

da La Tecnica della Scuola

Le classi di livello: forse che sì, o no?

Una circolare ministeriale invitava i presidi a utilizzare schemi didattici flessibili e a considerare la possibilità di organizzare il lavoro per “gruppi di livello”. Ebbene su questa precisa questione, anche da noi riportata, è nato un dibattito al quale ha preso parte anche La Voce.info con un articolo che cerchiamo di sintetizzare.

Intanto viene spiegato l’obiettivo non era quello di rivoluzionare il sistema di formazione delle classi, la polemica che ne è nata pone l’accento su una questione importante: quella degli effetti prodotti sui risultati scolastici dalla differenziazione delle attività formative per competenze raggiunte o per curricula.

Negli Usa, ma anche in Inghilterra, a un certo punto della loro carriera, gli studenti vengono incanalati in percorsi diversi e la suddivisione avviene soprattutto rispetto all’abilità degli studenti; vi sono così classi frequentate dai più bravi e classi frequentate dai meno bravi. In altri paesi, tra cui la maggioranza di quelli europei, la suddivisone è tra scuole che adottano diversi curricula: quelli generalisti, che preparano all’università, e altri professionalizzanti. In alcuni paesi, ad esempio in Germania, gli studenti vengono selezionati in base ai loro risultati, mentre in Italia il suggerimento degli insegnanti non è vincolante e la scelta è lasciata agli studenti e alle famiglie.

La suddivisione per livelli di abilità, pe la Voce.info, presenta sia vantaggi che svantaggi. Predisporre classi più omogenee permette di utilizzare tecniche pedagogiche più appropriate, in grado di rispondere ai bisogni di gruppi omogenei di studenti e di sviluppare i contenuti più adeguati. Permette anche di utilizzare classi di dimensioni differenti in base alle esigenze degli studenti. D’altra parte, però, impedisce l’interazione sociale tra individui con caratteristiche diverse e ciò può produrre effetti negativi non solo dal punto di vista dell’integrazione sociale, ma anche in termini di apprendimento perché gli studenti ricevono importanti input dagli insegnanti, ma anche dai propri compagni, scambiando informazioni e fornendo (o ricevendo) supporto nelle attività di apprendimento. Rilevante è anche l’età in cui avviene la divisione in gruppi. Se è troppo precoce, è facile che l’assegnazione venga influenzata da variabili di contesto e non rispecchi le effettive capacità degli studenti.

Significativo è però tenere conto che i bambini con background socio-economico più povero sono sovra-rappresentati nei gruppi di bassa abilità, e siccome l’età di ingresso a scuola influenza il rendimento, è facile che nei gruppi a elevata abilità vi siano soprattutto bambini più maturi e ciò può avere effetti persistenti sui processi di apprendimento e sulle scelte formative e impedire che ciascuno sviluppi le proprie potenzialità.

Ma ci possono essere anche effetti negativi sulla mobilità sociale: nei paesi in cui gli studenti vengono precocemente suddivisi in percorsi diversi si osserva un maggior impatto del background socio-economico della famiglia di origine sui risultati degli studenti, ad esempio in termini abbandono o di conseguire meglio una laurea.

L’Italia, pur adottando un sistema in cui gli studenti non sono suddivisi per abilità e che introduce la divisione per curricula più tardi che in Germania o in Olanda, non sembra avere risultati confortanti né per efficienza né per equità.

Siamo tra i paesi con i peggiori risultati e nei test standardizzati presentiamo una percentuale di studenti eccellenti inferiore del 50 per cento alla media Ocse e la probabilità di frequentare un liceo e in seguito l’università è fortemente influenzata dal titolo di studio dei genitori.

Secondo alcuni studi poi, le nostre scuole praticano informalmente una segregazione per classi in base al background socio-economico (soprattutto nel Sud), per cui introdurre un certo grado di flessibilità nei curricula (consentendo agli studenti di aggiungere materie a scelta, ad esempio matematica avanzata), soprattutto nelle scuole medie e superiori, potrebbe essere perciò una buona scelta per valorizzare le eccellenze.

Più complesso è invece stabilire se l’organizzazione della didattica per livelli di abilità possa produrre benefici, anche perché le famiglie e gli studenti selezionano la scuola in base alle sue caratteristiche e al metodo che utilizza per assegnare gli studenti alle classi. Ciò complica l’individuazione di effetti causali. Ad esempio, se gli studenti più abili scelgono la scuola che organizza l’attività didattica per livelli e quelli meno abili la scuola che utilizza classi miste, la differenza osservata nei risultati scolastici può dipendere sia dall’efficacia dei due sistemi didattici che dalla selezione degli studenti in base alle abilità.

Un modo per affrontare il problema è di condurre un esperimento in cui l’allocazione degli studenti alle scuole che utilizzano i due sistemi è artificialmente frutto del caso, mentre in Kenia la suddivisione per livelli di abilità ha prodotto un effetto benefico sui risultati scolastici, anche degli studenti meno bravi.

Esiti opposti sono stati riscontrati in un esperimento condotto in California dove la suddivisione per abilità ha un effetto negativo sui risultati medi degli studenti, ma ha un beneficio per quelli più bravi, che però viene più che compensato dal costo subito da quelli meno bravi. I risultati divergenti possono dipendere anche da differenze nel contesto economico e sociale: un esperimento è stato realizzato in Kenia e l’altro negli Stati Uniti.

Nel nostro paese manca evidenza di questo tipo e perciò la discussione tende a diventare ideologica. Si potrebbe tentare con progetti pilota al fine di avere un quadro informativo adeguato a valutare costi e benefici della scelta.

Omofobia a scuola: come contrastarla?

da La Tecnica della Scuola

Omofobia a scuola: come contrastarla?

L’importanza della fase adolescenziale nel percorso di scoperta ed esplorazione della sessualità è nota da tempo: a fronte di un 64% di giovani che dichiarano di avere i primi rapporti sessuali tra i 13 e i 15 anni, il 59% dichiara di provare attrazioni per persone dello stesso sesso prima dei 14 anni e addirittura il 92% entro i 19 anni.

Sulla pagina del “Giornale delle scienze psicologiche” (dove è pure presente una buona presenza bibliografica per approfondire gli argomenti), un interessante articolo sull’importanza della scuola come supporto alla costruzione dell’identità sessuale e personale, così importante, viene spiegato, che i coetanei vanno a sostituire la famiglia nelle esigenze di sostegno e sicurezza.

Uno dei più grossi limiti  è l’adesione incondizionata a modelli eterosessisti, dati per scontato, quale norma, con atteggiamenti omofobici di condanna, generando messaggi del tipo: ‘Puoi appartenere al gruppo solo se ti comporti o fai finta di essere eterosessuale’.

Ecco che il bisogno di accettazione porta gay e lesbiche a nascondere la propria sessualità per paura del rifiuto in cambio dei benefici che l’appartenenza a un gruppo apporta: sostegno emotivo, sviluppo delle abilità sociali, indipendenza dai valori familiari.

In una cornice omofobica di questa natura, l’omosessualità diviene da denigrare, attraverso varie forme di violenza perpetrate nei confronti delle persone omosessuali con  tipi di comportamento che variano dalle aggressioni fisiche (spinte, calci, mozziconi di sigarette spenti sul corpo) fino all’esclusione sociale.

Come individuare le caratteristiche distintive del bullismo omofobico:

  • Le prepotenze chiamano in causa una dimensione specificatamente sessuale, perché l’attacco è rivolto più alla sessualità che alla persona in sé;
  • Una maggiore difficoltà a chiedere aiuto per la propria omosessualità, perché essa richiama intensi vissuti di ansia e vergogna;
  • Il bambino vittima trova con difficoltà figure protettive: infatti “difendere un finocchio comporta il rischio di essere considerati omosessuali

Rispetto alla frequenza degli atti discriminatori, si legge ancora sul giornale degli psicologi, in una ricerca condotta su 7000 bambini di scuola primaria e secondaria in Gran Bretagna, si è rilevato che rispettivamente il 27% e il 10% erano state vittime di bullismo talvolta o più spesso; rispettivamente il 10% e il 4% una volta a settimana o più.

Sembra esservi una differenziazione della discriminazione a seconda degli indirizzi di studio: mentre si evidenziano attitudini più positive nei confronti delle differenze negli indirizzi artistici, gli studenti omosessuali degli istituti tecnici o professionali sarebbero i più discriminati.

La discriminazione può portare a vivere la scuola con disagio, aumentando l’insicurezza personale e relazionale, con mancato proseguimento degli studi e maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro.

La discriminazione omofobica portata avanti da scuola e società espone gli omosessuali a un maggior rischio di disturbi dell’umore e consumo di sostanze quali nicotina, alcool e marijuana: ammonta a un terzo il numero dei giovani omosessuali che si tolgono la vita ogni anno, con una frequenza dei tentati suicidi doppia, e la causa è spesso da attribuirsi alla stigmatizzazione sociale.

È dunque necessario incoraggiare il bambino a sentirsi bene con se stesso, resistendo alla tentazione di denigrarsi a sua volta (omofobia interiorizzata), valutando negativamente i propri pensieri e sentimenti, solo perché diversi da quelli della maggioranza.

In questo senso, spiega ancora il Giornale degli psicologi,  la scuola dovrebbe essere un luogo privilegiato nel percorso di accettazione della propria sessualità e di socializzazione dei propri vissuti, visto che l’esposizione a omosessuali dichiarati può aiutare gli altri studenti a comprendere la realtà di gay e lesbiche.

Lo dimostra una ricerca su 260 studenti di college americani: la percezione degli omosessuali da parte degli altri studenti cambia dopo la frequenza di un dibattito informativo tenuto da gay e lesbiche.

Insieme alle esperienze dirette, poi, il ruolo degli insegnanti è indispensabile per aiutare gli allievi nella ricerca, definizione e accettazione della propria identità: a tal fine sarebbe importante offrire un’educazione sessuale ad ampio spettro e comprensiva di tutti gli orientamenti, già a partire dalla scuola elementare e media.

Studenti e atleti

StudentiEAtleti

Studenti e atleti? Con #LaBuonaScuola si può!
Lezioni on line e docenti tutor, al via il Programma sperimentale
L’iniziativa presentata al Miur dal Ministro Giannini,
dal Sottosegretario Toccafondi, dal Presidente del Coni Malagò
e dal Presidente della Lega Serie A Beretta

Conciliare la vita da studenti con quella da atleti diventa finalmente possibile. È stato infatti presentato al Miur un Programma rivolto ai ragazzi delle scuole secondarie di II grado che praticano attività sportiva di alto livello. Obiettivo: consentire a questi giovani di inseguire il loro sogno senza dover rinunciare allo studio. Si parte con 1.342 studenti appartenenti alle categorie giovanili Allievi e Primavera della Lega Serie A, di cui 326 con contratto professionistico e 13 già esordienti nel massimo campionato. Per loro niente più lezioni perse a causa di gare e allenamenti. Grazie a soluzioni didattiche ad hoc e all’uso della tecnologia, potranno stare al passo con la loro classe.

Il Programma, presentato oggi, attua quanto previsto dalla legge ‘Buona Scuola’ (articolo1, comma 7) in materia di diritto allo studio degli studenti-atleti. È realizzato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in collaborazione con il Coni, il Cip (Comitato italiano paralimpico) e con la Lega Serie A. L’iniziativa è stata presentata dal Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, dal Sottosegretario Gabriele Toccafondi, dal Presidente della Lega Serie A Maurizio Beretta e dal Presidente del Coni Giovanni Malagò. Hanno portato la loro testimonianza alcuni giovani atleti: il portiere della Juventus, Emil Audero, che frequenta l’ultimo anno di Liceo scientifico (“Le lunghe assenze mi penalizzano più di ogni altra cosa”, ha raccontato, riferendosi alle continue trasferte con la squadra); il centrocampista della Lazio e della nazionale italiana under 21, Danilo Cataldi, che ha lasciato la scuola al terzo anno del Liceo scientifico (“Nell’affrontare i due impegni, sport e scuola, le problematiche erano tante. Ora spero di riprendere e finire gli studi grazie a questo Programma”); la campionessa di nuoto Simona Quadarella, al IV anno del Liceo scientifico (“Difficile rimanere concentrati in classe e poi fare gli allenamenti, magari in vista di una gara”). Tra i testimonial d’eccezione anche Andrea Lucchetta, il campione mondiale di pallavolo, che è riuscito a diplomarsi, ma, ha raccontato, “non sono riuscito a laurearmi in Ingegneria elettronica come avrei voluto. A tutti dico di non arrendersi mai. Bisogna trovare sempre gli spazi. La scuola ti forma”.

“La nostra volontà – ha spiegato il Ministro Stefania Giannini – è di far sì che lo sport diventi una componente fondamentale, strutturale, della nostra formazione e della formazione che la scuola dà ai nostri studenti. Con questa iniziativa abbiamo messo un primo mattoncino per costruire un edificio che sono convinta porterà un grande risultato. Un cambiamento culturale che era necessario e che ci riconsegnerà una competitività sul piano internazionale, anche in questo settore”.

“Scuola e sport agonistico possono non essere in contrasto. Chi ha una dote e tanta volontà deve poter fare scuola fino in fondo. Nel 90% dei casi lo sport che si pratica anche a livello agonistico da giovani non diventerà l’attività principale nella vita, è bene quindi che l’istruzione non sia abbandonata dai ragazzi. Con questa sperimentazione – ha spiegato il Sottosegretario Gabriele Toccafondi – vogliamo offrire la possibilità agli studenti-atleti di portare avanti una carriera da professionisti ed allo stesso tempo vogliamo abbattere l’alto tasso di dispersione scolastica che colpisce gli studenti che praticano sport ad alto livello. Per la prima volta il sistema nazionale d’istruzione si occupa, con un’azione concreta ed innovativa, di sostenere il percorso scolastico di questi ragazzi, un obiettivo importante che compariva come uno degli aspetti qualificanti della ‘Buona Scuola'”.

“Dare a questi giovani la possibilità di proseguire e completare gli studi è molto importante – ha dichiarato il Presidente del Coni, Giovanni Malagò -anche per garantire loro un futuro quando interromperanno l’attività agonistica, perché sappiamo che anche dopo aver ottenuto la massima consacrazione sportiva, questi atleti non sempre hanno la certezza di avere una tranquillità lavorativa ed economica. Ecco dunque che questo programma diventa fondamentale e dobbiamo già immaginare di ampliarlo a livello universitario. Questo anche perché al giorno d’oggi si creano nuove opportunità lavorative all’interno dell’ordinamento sportivo. Con questo progetto ci mettiamo al passo coi tempi, è un segnale di civiltà che prepara una categoria fino a poco tempo fa totalmente spiazzata di fronte alle difficoltà lavorative che gli sportivi devono affrontare nel momento in cui interrompono l’attività sportiva”.

“La Lega Serie A è orgogliosa di intraprendere, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con il Coni e con il Cip, questo ambizioso progetto dal forte impatto sociale, volto alla sperimentazione di percorsi didattici innovativi – ha dichiarato il Presidente della Lega Serie A Maurizio Beretta -. L’obiettivo è quello di aiutare i giovani atleti delle nostre Società a conciliare gli impegni scolastici con quelli sportivi ottimizzando i tempi, sfruttando appieno tutte le loro potenzialità, intellettuali e calcistiche, e riducendo il più possibile il loro abbandono scolastico”.

La sperimentazione ha una durata triennale. In questa prima fase coinvolgerà gli studenti coinvolti nelle attività della Lega Serie A. Dal prossimo anno scolastico sarà estesa agli studenti-atleti di tutte le discipline sportive. Si tratta di ragazzi che per il loro impegno sportivo-agonistico si vedono spesso costretti ad uscire dal sistema di istruzione e che, ora, invece, potranno scegliere di usufruire di percorsi personalizzati e completare il ciclo di studi.

Nel concreto: gli studenti-atleti non avranno “sconti” sui programmi di studio, che saranno uguali a quelli dei loro compagni, ma potranno seguire le lezioni tramite una piattaforma web conciliandole con gli impegni sportivi; sempre attraverso questa piattaforma potranno dialogare e interagire con i docenti o con i compagni e avranno a disposizione tutti i materiali didattici.

Ad affiancare ciascuno studente ci saranno due tutor: uno scolastico e uno sportivo. Le attività di e-learning (documentate e certificate dal Consiglio di classe) potranno essere equiparate ai fini della valutazione a quelle svolte in presenza, per una quota massima del 25% del monte orario annuale. Le verifiche, sia orali che scritte, valide anche ai fini della ammissione alla classe successiva, non potranno essere effettuate tramite la piattaforma digitale.

La pagella della Buona Scuola

LA PAGELLA DEL PRIMO QUADRIMESTRE DELLA BUONA SCUOLA
Opportunità, fragilità e la strada in discesa del consenso a tutti i costi

di Alessandro Basso

 

Terminato il primo quadrimestre, è possibile tentare di abbozzare un primo bilancio della buona scuola, scoprendo purtroppo che la grande rivoluzione non c’è stata e che con buona pace di tutti i sindacati gli sceriffi hanno potuto lavorare, tutto sommato, senza armi così pericolose.
Questo non significa che come cittadini e contribuenti dobbiamo buttare in mare tutto ciò che è accaduto, anzi dovremmo avere uno scatto di reni in modo che gli investimenti che la buona scuola immette possano essere portati a vantaggio della collettività.

Quale beneficio ci sarebbe per tutti noi nel rendere inefficace un cambiamento sentito così importante all’interno delle scuole, anche se non pienamente condiviso da parte del personale e dalle organizzazioni che lo rappresentano?
La campagna mediatica che ha accompagnato la buona scuola, purtroppo, è stata affrontata sui principi non certo sulla concretezza di quello che poi si sarebbe realizzato.

Non resta altro che costatare che la fretta è, da sempre, una cattiva consigliera: aver affrontato percorsi così notevoli con maggior calma avrebbe permesso, probabilmente, di metabolizzare alcune situazioni scottanti e, soprattutto, di trovare le formule giuridiche per poterle realizzare concretamente.

Dietro questa operazione di bilancio, sicuramente non esaustiva né tantomeno scientifica, sussiste, purtroppo, un aspetto patologico del nostro sistema pubblica amministrazione, se non addirittura Paese: principi forti, solidi, condivisibili oppure non condivisibili e fortemente criticati, agiti attraverso strumenti organizzativi deboli e inefficaci per la loro stessa realizzazione.

Di principi non realizzati perché carenti negli strumenti è ricco il sentiero di tutta la nostra pubblica amministrazione: possiamo citare la privatizzazione del rapporto di impiego, che fondamentalmente non ha scalfito minimamente alcuni privilegi tipici del dipendente pubblico, la valutazione delle performance è soltanto una chiosa per chi scrive articoli e libri sull’argomento, anche se qualcosa si sta muovendo in questo campo e via dicendo.
Prima di poter rintracciare un risultato definitivo, è bene essere prudenti, è necessario attendere ancora del tempo e chi scrive non vuole essere sicuramente catastrofista nel determinare una sconfitta aprioristica.

La corsa contro il tempo per approvare il piano triennale dell’offerta formativa ha messo in evidenza il grande dinamismo delle istituzioni scolastiche che si sono adoperate in pochi mesi, di fatto, a ristrutturare il proprio pacchetto formativo dopo aver compreso che il piano triennale non si traduceva nella trasposizione del POF verso un contesto di più ampio orizzonte temporale. È stata dunque un’occasione notevole per riflettere sulla vita formativa, sulle opzioni pedagogiche interne all’Istituto e anche sulle modalità organizzative che la buona scuola potrà dare quando a regime, se si avrà il coraggio di portarla a regime in un certo modo.

E’ stata altresì l’occasione per il ri-editing del documento fondamentale della scuola, ponendolo al riparo dalla tentazione di ripetizione pluriennale.

Allo stesso tempo, si ritiene fortemente positivo aver dato una tempistica maggiormente legata all’anno scolastico ai fondi per il funzionamento: mai come quest’anno si è potuto procedere ad una contrattazione di secondo livello e ad una programmazione dei fondi più ordinata e rispettosa dei tempi stabiliti dalle norme.

L’introduzione obbligatoria dell’alternanza scuola lavoro sta prendendo piede, soprattutto nei rapporti con il territorio, specie per i tecnici e professionali; il mondo dell’impresa sta particolarmente apprezzando un avvicinamento del nostro paese ai sistemi europei nella formazione degli studenti nel campo delle competenze lavorative.

L’organico potenziato com’è stato scritto alcuni mesi orsono, è sicuramente l’aspetto più interessante è positivo di questa legge perché potrà permettere di lavorare verso un’offerta formativa davvero diversificata e flessibile.

Si riscontra un grande rammarico, però, per come è stato introdotto in accompagnamento ai piani straordinari di assunzione:le scuole hanno avuto tipologie di personale non richieste, alcune delle quali allocate con il sistema delle supplenze brevi, permettendo, di fatto, a tutte le categorie di personale delle fasi ABCD di poter fare ciò che meglio aderiva alle loro esigenze e non a quelle della scuola : chi ha voluto rimanere al proprio posto, ha potuto farlo, così come chi ha differito, differito solo una parte, differito ma facendo l’anno di prova …

Ciò sta generando una forte confusione nelle scuole che, contemporaneamente, devono affrontare la sfida per far comprendere all’utenza e al personale interno gli sviluppi positivi di questa innovazione.
E tutte queste categorie di personale sono arrivate a scuola con le vecchie regole, sono state nominate da graduatorie e i loro sostituti pure, con buona pace delle segreterie che, a gennaio, stanno ancora cercando personale.

Cosa è rimasto, dunque, degli sceriffi? Per il momento non hanno potuto scegliere nemmeno una singola unità di personale e quanto pare non lo potranno fare nemmeno nei mesi futuri, perché l’accordo che si sta suggellando a livello centrale sulla mobilità, tutto comprenderebbe, è bene usare il condizionale, meno che chiamata diretta e ambiti: i sindacati non sono d’accordo, ergo “non s’ha da fare”.

 

Peccato per chi si è sbilanciato a garantire agli studenti e alle loro famiglie che qualcosa sarebbe cambiato e magari ci ha messo anche la faccia.
L’organico funzionale sembra essere eclissato completamente, aggettivo della buona scuola utilizzato quale complemento linguistico: pare non ci sia nessuna intenzione di far diventare l’organico dell’autonomia un organico funzionale vero e proprio. Quindi in un istituto superiore un docente titolare presso un indirizzo, non potrà essere utilizzato nella classe accanto, alla faccia dell’autonomia e dei grandi poteri dei presidi.
Resta da parlare del bonus, grande chance di litigio, tormento per i dirigenti scolastici che sapientemente hanno dovuto destreggiarsi tra contrapposizioni interne, contrasti sindacali e tentativi di disarcionamento all’interno degli organi collegiali. Alla data odierna, la quantificazione del bonus non è ancora pervenuta, alcuni giuristi sostengono che la determinazione dei criteri è tardiva e genererà contenzioso perché i docenti non hanno potuto conoscere preliminarmente i criteri per poter esplicitare il loro merito. Nessuna novità: le alte rappresentanze continuano a ritenere che i valutatori per eccellenza non debbano essere valutati.

 

Non si tratta assolutamente di disfattismo: chi scrive crede ancora che qualcosa di buono possa saltare fuori, a condizione che il legislatore, modesto parere, intervenga nella lotta quotidiana tra i principi e gli strumenti dati agli organi gestionali per poterli concretizzare e trasformarli in risultati.

Non ci possiamo permettere un fallimento, che non sarà il fallimento del partito che ha proposto la riforma, ma il fallimento di un sistema Paese che potrebbe essere imputato di non essere in grado di dotarsi di un sistema scolastico efficiente ed efficace, a fronte di investimenti importanti ,anche a costo di non seguire la linea del consenso a tutti i costi.

M. Piccinno, Imparare a conoscere per imparare a pensare

Università del Salento
Facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Beni Culturali
Insegnamento di Didattica Generale

8 febbraio 2016 -ore 17.
Sala Conferenze del Rettorato.
Piazzetta Tancredi –Lecce.

Il prof. Salvatore Colazzo,
Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, Scienze Politiche e Sociali
presenterà il libro di

M. Piccinno, Imparare a conoscere per imparare a pensare
Pensa, 2016.

Moderatore:
Prof. Luigino Binanti,
Ordinario di Pedagogia Generale.

Intervengono:
Prof. Giovanni Tateo,
Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici.
Prof. Giovanni Laudizi,
Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Beni Culturali.
Prof. HervéA. Cavallera,
Ordinario di Storia della Pedagogia.

Sarà presente l’autore.

Nel corso dell’incontro sarà presentata la rivista Mizar. Costellazione di Pensieri.