Costituito il comitato promotore del referendum abrogativo della legge 107

Napoli, 7 febbraio 2016. È nato il Comitato promotore del referendum abrogativo di parti della legge 107/2015. Un impegno unitario, che si collocherà in una allargata stagione di referendum sociali, per ridare voce ai cittadini e ristabilire alcuni punti nodali della scuola della Costituzione, violata dalla riforma Renzi. Movimenti, associazioni e sindacati nazionali di docenti, studenti e genitori avranno – su delibera unanime – la titolarità delle decisioni e della gestione dei quesiti referendari, che verteranno su chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici, School Bonus, Comitato di valutazione, alternanza scuola-lavoro.
Auspichiamo che a questo progetto voglian concorrere altre realtà associative e sindacali di ispirazione democratica, aderendo entro l’inizio della raccolta delle firme al Comitato promotore.
Facciamo appello ai soggetti che si stanno attivando in analoghe iniziative nel campo della difesa dell’ambiente, dei diritti e della dignità del lavoro, contro le privatizzazioni e per la tutela dei beni comuni a organizzare tutti insieme entro la metà di marzo un’occasione di pubblico confronto per il lancio di una campagna condivisa.
Ricordiamo infine a tutti i cittadini italiani che la scuola pubblica è un organo costituzionale che merita – nella difesa dell’interesse generale – la massima tutela da provvedimenti di deriva autoritaria. E pertanto chiediamo a tutti la piena partecipazione: i referendum sociali si collocano in una vera e propria battaglia per la libertà e la democrazia nel Paese.

A quando la certificazione delle competenze dei nostri 19enni?

A quando la certificazione delle competenze dei nostri 19enni?
memoria per gli amici del Miur

di Maurizio Tiriticco

 

Nel clima degli anni Sessanta delle scorso secolo, determinato dal movimento studentesco del Sessantotto, si adottarono una serie di provvedimenti in favore dei giovani, tra cui la quinquennalizzazione degli istituti professionali e la possibilità dei loro studenti di accedere all’università, alla pari dei loro colleghi dei licei e degli istituti tecnici: un balzo in avanti di importanza notevole per quanto riguarda l’elevamento culturale dei nostri giovani e dell’intera popolazione. Nel 1969, con la legge 119 venne anche rinnovato l’esame di Stato conclusivo degli studi del secondo ciclo. La legge prevedeva tra l’altro che “l’esame di maturità ha come fine la valutazione globale della personalità del candidato” e che “a conclusione dell’esame di maturità viene formulato, per ciascun candidato, un motivato giudizio, sulla base delle risultanze tratte dall’esito dell’esame, dal curriculum degli studi e da ogni altro elemento posto a disposizione della commissione”.

Negli stessi anni, però, la ricerca educativa e quella docimologica sostenevano e dimostravano che la valutazione complessiva della personalità di un qualsiasi soggetto è impresa ardua, perché mancano indicatori oggettivi di riferimento; ne conseguiva che la formulazione di un giudizio di maturità è sempre vaga e generica, anche nonostante la professionalità degli esaminatori. Comunque, per molti anni quel tipo di esame non venne mai messo in discussione.

Solo nel 1997, con la legge 425 (ministro pro tempore Luigi Berlinguer), decidemmo di riordinare quell’esame, non solo come suggerito dalla ricerca pedagogica, ma anche – potremmo dire – come imposto dall’esigenza che i nostri titoli di studio circolassero nei Paesi di quell’Unione europea che con il Trattato di Maastricht del 1992 aveva cessato di essere una semplice Comunità economica.

Fu così che con la nuova legge si liquidò il concetto stesso di MATURITA’ per dare posto al concetto di COMPETENZA. Le commissioni, pertanto, non avrebbero più dovuto formulare una “valutazione globale della personalità del candidato”, ma certificare le concrete competenze da lui conseguite. L’articolo 6 della nuova legge prevedeva testualmente: “Certificazioni. Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle COMPETENZE, CONOSCENZE e CAPACITA’ acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Di qui le famose tre C che rivoluzionarono non solo un esame ma, per certi versi, lo stesso modo di “fare scuola”.

Alla legge, varata dal Parlamento, doveva seguire un provvedimento esecutivo, di competenza dell’allora Ministero della Pubblica Istruzione. Ed è qui che nacquero le difficoltà. Erano anni in cui sul concetto stesso di competenza non circolavano definizioni univoche. E non era neanche chiaro che cosa lo stesso legislatore intendesse per ciascuna della tre C. La stessa ricerca educativa ne dava letture e interpretazioni diverse. Comunque, la legge 425 era stata promulgata il 10 dicembre del ’97 e occorreva varare il regolamento attuativo in tempi brevi, se si voleva giungere al nuovo esame con la tornata del ’99. In effetti, in mancanza di indicazioni e di suggerimenti certi da parte della ricerca educativa, anche europea, in materia di competenze, non era affatto facile dare indicazioni certe alle scuole e alle commissioni. Passare dalle consuete prove tradizionali a prove fortemente innovative, dal regime consolidato di voti e giudizi verbali a quello innovativo dei punteggi, dalla valutazione di conoscenze alla certificazione di competenze non era cosa facile né per le commissioni, tanto meno – horribile dictu – per l’amministrazione che in materia, invece, era tenuta a dare indicazioni più che chiare.

Fu così che, dopo affannose discussioni in sede ministeriale, si giunse a dare alle scuole e alle commissioni le attese indicazioni, ma – almeno a mio vedere – più sibilline che certe. All’articolo 1 del Regolamento applicativo, dpr 323/1998, testualmente, tra l’altro, leggiamo: “L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le CONOSCENZE generali e specifiche, le COMPETENZE in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le CAPACITA’ elaborative, logiche e critiche acquisite”. Si trattava di definizioni assolutamente insufficienti e vaghe, data soprattutto l’assoluta assenza di un conforto teorico univoco.

Comunque, di qui ebbero inizio le famose Tre C che appassionarono e afflissero la scuola italiana di quegli anni. Di certo, occorreva anche varare per le commissioni un modello di certificazione che più nulla avrebbe avuto a che vedere con il vecchio diploma. Però, se era difficile definire che cosa è una competenza, era anche difficile certificarla, nonché adottare un adeguato modello. Di fatto, fu assunta una decisione pilatesca: con il dm 450/1998 venne varato un modello che, salvo qualche piccola modifica, è ancora vigente, in cui però non vennero indicate le competenze acquisite dal candidato, ma solo i punteggi ottenuti nel corso delle prove d’esame. E il medesimo dm così si concludeva: “I modelli delle certificazioni integrative del diploma hanno carattere sperimentale e si intendono adottati limitatamente agli anni scolastici 1998-99 e 1999-2000”. Il che lasciava intendere che l’amministrazione si concedeva due anni di tempo per “ragionare” sulle competenze e dare infine alle scuole un modello consono. Ma, i due anni sono trascorsi e, con il succedersi di ministri in altre faccende affaccendati, del modello e della certificazione stessa non se n’è più parlato… quanto meno scritto!

Al silenzio ministeriale supplì la ricerca di molti volenterosi al fine di offrire alle scuole un minimo di indicazioni concrete per operare, se non sul piano della certificazione formale su quello della operatività. Eccone un esempio di definizioni:

CONOSCENZA come acquisizione di contenuti, cioè di dati, informazioni, termini, regole, procedure, metodi, tecniche, concetti, principi…, come insiemi di date conoscenze afferenti ad una o più aree disciplinari;

COMPETENZA come utilizzazione delle conoscenze acquisite, necessarie per risolvere situazioni problematiche o produrre nuovi “oggetti”, in quanto applicazione concreta di una o più conoscenze teoriche;

CAPACITA’ come utilizzazione responsabile e significativa di determinate competenze in situazioni organizzate in cui interagiscono più fattori e/o più soggetti e si debba assumere una decisione.

Per alcuni anni indicazioni di questo tipo sono servite a qualcosa. Ma poi, finalmente è stata l’Europa stessa – o meglio l’Unione europea – la quale ha preso posizione su tale tematica. Alludiamo alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio europeo [1] del 23 aprile 2008, in cui leggiamo testualmente:

CONOSCENZE: risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative ad un settore di lavoro o di studio. Nel contesto del Quadro Europeo delle Qualifiche le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche;

ABILITA’: indicano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel contesto del Quadro Europeo delle Qualifiche le abilità sono descritte come cognitive (comprendenti l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) o pratiche (comprendenti l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti);

COMPETENZE: comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Nel contesto del Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.

Stando così le cose e, soprattutto, disponendo a monte di definizioni che hanno valore almeno per tutti i 28 Paesi dell’Unione europea, gli amici del Miur della Buona scuola non dovrebbero trovare molte difficoltà a dare indicazioni sia alle scuole che alle commissioni di esame. Le Linee guida degli istituti tecnici e degli istituti professionali danno già indicazioni chiare – anche se perfettibili, ovviamente – sulle competenze terminali da certificare in sede d’esame. Le Indicazioni nazionali per i licei sono ondivaghe in materia di competenze, ma ciò non significa che una loro rilettura e riscrittura non possa in breve tempo ovviare a tale carenza.

Del resto, è la stessa legge 107/2015 che al comma 180 prevede tra l’altro un provvedimento delegato che riguarda la “revisione delle modalità di svolgimento degli esami di Stato relativi ai percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado in coerenza con quanto previsto dai regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87, 88 e 89”.

Forse le scuole possono attendere! Anche le commissioni forse possono attendere! L’Europa stessa forse può attendere! Ma i nostri giovani no! Non possono attendere! Loro assolutamente no!


 

[1] Da non confondere con il Consiglio dell’Unione europea né con il Consiglio d’Europa, che sono altre istituzioni.

F.A. Amodio, La lunga notte del tempo

“La lunga notte del tempo” una fiaba di Francesca Antonella Amodio,
illustrazioni di Gabriella Bulfaro,
editrice Universosud, 2015

di Mario Coviello

 

amodio“Il tempo, la nostra vita, spenderlo stando insieme, un dono… Bimbi, genitori, nonni, tutti negli stessi spazi, ognuno con il suo.. Se qualcuno é davvero prezioso per te, gli donerai il tuo tempo senza un ritorno che non sia il solo piacere di stare con lui…..”

Qualche mese fa ho conosciuto Francesca Antonella Amodio, docente di educazione fisica del Liceo Scientifico Galilei di Potenza, psicoterapeuta ed esperta nei disturbi dell’apprendimento. Abbiamo viaggiato insieme da Potenza e Matera e ho sentito subito grande empatia verso di lei che mi raccontava la sua storia di dislessica, con una delle sue due figlie dislessica, la sua passione per l’insegnamento, il suo lavoro con Enrico Ghidoni e la sua equipe, il suo lavoro di ricerca sulla “Scuola come possibile fattore di rischio” (editrice Ermes, 2015).

Mi raccontava che aveva vinto una borsa di ricerca presso l’Università degli studi di Foggia e che aveva scritto una storia per bambini. Quando, con insistenza, le ho chiesto di dirmi di più non ha voluto.
Allora le ho detto a bruciapelo “ E perché non la pubblichi…?”. L’ho colta di sorpresa e mi ha guardata interdetta.

Venerdì scorso ci siamo rivisti nella Sala Inguscio a Potenza per la discussione di una proposta di legge regionale per introdurre lo psicologo a scuola e mi ha regalato un grande libro illustrato a colori “ La lunga notte del tempo”, editrice Universosud, 2015, con illustrazioni di Gabriella Bulfaro, con una calorosa dedica.

Con calma a casa ho letto il racconto e la storia mi ha preso fino alla fine. L’autrice confessa che la storia del principe Assan gli è stata raccontata dalla nonna, “ nelle lunghe notti d’inverno passate attorno al camino” e continua raccomandando che “ adesso che ci sono i termosifoni ..la fiamma, il suo calore (devono essere serbati gelosamente) sono un luogo del cuore, un luogo che nessun cuore deve perdere mai….”

Assan crebbe felice nel regno di suo padre fino a quando un giovane mago..” bello della bellezza dei giovani anni, dell’intrigo del mistero e della magia…” divenne il suo confidente, amico,…” l’unico con il quale spendeva il suo tempo..”. Assan non aveva più tempo per gli amici, per la natura, per la musica, per la bellezza.

Nemmeno la principessa Chirion, amica d’infanzia riesce a farlo tornare in sé e riceve come unica risposta…” non posso, devo….”. Chirion ricorda al giovane Assan i loro giochi da bambini, le avventure da ragazzi, i suoi affetti..

Assan si chiede allora chi ha rubato il suo tempo, le sue emozioni, il suo piacere e parte alla ricerca del colpevole…. Solo alla fine   Assan capirà che il mago gli aveva rubato con il tempo il gusto della vita.

Presentando la fiaba l’autrice ha scritto “La lunga notte del tempo è una fiaba che si è scritta da sola, uno di quei racconti che voleva essere raccontato ed ha incontrato me, Antonella Amodio. Nata per un gioco letterario, mi ha preso la mano ed è diventata molto di più, la prima a rimanerne incantata sono stata io.. Poi ha incontrato la mano di Gabriella Bulfaro, anch’ella ne è rimasta affascinata e l’ha tradotta in undici splendidi quadri, poi ancora ha incontrato Tonia Bruno che se ne è innamorata e l’ha riempita col suono caldo della sua voce, quindi ha incontrato Antonio Candela che le ha fatto una preziosa veste di mille colori, in ultimo ha incontrato la Regione Basilicata che ne ha voluto far dono alle scuole lucane ed ora spero incontrerà voi e i vostri bambini. “

Raccomando ai genitori, ai nonni, ai docenti questa fiaba avvincente e di immediata lettura. “ La lunga notte del tempo” di Francesca Antonella Amodio si presta a diversi piani di lettura. Il racconto parla ai giovanissimi di quanto sia prezioso il tempo, di quanto il tempo sia la nostra vita e non deve essere sprecato. Il mago che affascina e rapisce il giovane Assan può essere identificato in una delle dipendenze che affliggono attualmente gli adulti e, purtroppo anche le giovani generazioni a partire dalla ludopatia. Essa miete vittime fin dall’adolescenza e il cui focus non è l’utilizzo di sostanze ma appunto il comportamento disfunzionale e il tempo che si dedica a tale attività.

La fiaba si rivolge ai ragazzi degli ultimi anni della scuola primaria e a quelli della scuola media ma la sua lettura non ha età. E’ un invito ai giovani e agli adulti perché siano esempio positivo per loro. I nostri ragazzi non hanno bisogno di “prediche” ma di esempi per sperimentare con adulti consapevoli, genitori e insegnanti, esperienze di buon tempo vissuto.

67° Convegno nazionale

andis67

PROGRAMMA

 

12 febbraio 2016

 

ore 09.00                  Accoglienza e registrazione dei partecipanti

ore 09.30                  Interventi di saluto

Giancarla Marin                Presidente ANDIS-Veneto

Valerio Zoggia                   Sindaco di Jesolo

Daniela Beltrame             Direttore generale USR Veneto

Ilario Ierace                        Dirigente scolastico IPSSEOA “Cornaro”

Paolino Marotta                Presidente nazionale ANDIS

 

ore 10.00                  Introduzione al seminario

Gregorio Iannaccone        Direttivo nazionale ANDIS

 

1.a sessione           coordina Carmen Sperandeo Responsabile Formazione Sezione ANDIS Veneto

Piano triennale dell’offerta formativa: le ragioni dell’amministrazione, la progettualità delle scuole

  Testimonianze:

Maria Catena Trovato

 

dirigente scolastico Catania

Angela Paletta

Francesca Di Liberti

dirigente scolastico Terni

dirigente scolastico Seregno (MB)

Intervengono:  
Franca Da Re

Rosa De Pasquale

dirigente tecnico MIUR

Capo Dipartimento per il sistema educativo istr. e form. MIUR

Dibattito  
Conclude  
On. Simona Malpezzi VII Commissione Camera dei Deputati
ore 13.30 Lunch  
ore15.30 Ripresa lavori  
2.a sessione coordina Luciano Berti direttivo nazionale Andis

 

 

Valutazione del merito:

i criteri, le ragioni dei docenti, le prospettive per la qualità del sistema

 

Intervengono:

Loredana Ferrero              dirigente scolastico Torino

Stefano Stefanel               dirigente scolastico Udine

Maurizio Tiriticco             dirigente tecnico MIUR

Franco De Anna                 dirigente tecnico MIUR Dibattito

13 febbraio 2016

Seminario di studio

 

ore 09.00                 coordina

Nicola Puttilli               Resp. Dipartimento ANDIS Autonomia e Dirigenza

ne discutono:

Elena Centemero       I Commissione Affari Costituzionali Camera dei Deputati

Umberto D’Ottavio   VII Commissione Cultura Camera dei Deputati

Paolino Marotta         Presidente nazionale ANDIS

Francesco Nuzzaci     Dirigentiscuola-CONFEDIR

Giorgio Rembado       Presidente Associazione Nazionale Presidi (A.N.P.)

E’ stato invitato Marco Campione       Capo Segreteria Sottosegretario Faraone

ore 11.00                 Dibattito

ore 12.30                Conclusioni

Paolino Marotta         Presidente nazionale ANDIS

 

Per l’iscrizione al Convegno compilare il form sul sito www.andis.it

L’A.N.DI.S. è soggetto qualificato per l’aggiornamento del personale della scuola (DM 8.06.2005) per cui l’iniziativa è automaticamente autorizzata ai sensi degli artt. 64 e 67 CCNL 2006/2009 Comparto Scuola, con diritto ad esonero dal servizio e sostituzione ai sensi della normativa sulle supplenze brevi e come formazione e aggiornamento dei Dirigenti Scolastici ai sensi dell’art. 21 CCNL 11/4/2006 Area V. Ai partecipanti sarà rilasciato regolare attestato.

C. McCarthy, Il guardiano del frutteto

Di quell’altra America…

di Antonio Stanca

McCarthyL’ “invisibile” Cormac McCarthy è ancora vivo. Ha ottantatré anni e si trova nel Nuovo Messico, a Tesuque, con Jennifer Winkley, sua terza moglie e il figlio John. Non appare in pubblico, non prende parte a cerimonie o manifestazioni ufficiali nemmeno a quelle di carattere culturale o specificamente letterario, non scrive più da quando nel 2006, a settantatré anni, pubblicò l’ultimo romanzo, La strada, col quale vinse il Premio Pulitzer per la Narrativa e mostrò di riprendere i modi dei primi romanzi, quelli degli anni Novanta anche se con un accentuato senso del fantastico e del disastroso. “Invisibile” è stato definito perché sempre e ovunque assente è ormai McCarthy.

E’ nato a Providence, Tennessee, nel 1933, ha studiato in scuole cattoliche, ha più volte frequentato l’Università senza mai completare gli studi, è stato per quattro anni nell’esercito, ha lavorato per la radio e a ventiquattro anni, nel 1957, ha scritto i primi due racconti. Questi furono premiati e seguiti, nel 1965, dal primo romanzo Il guardiano del frutteto, che l’editore Albert Erskine avrebbe pubblicato per venti anni consecutivi e che recentemente è stato ristampato dalla Einaudi di Torino nella serie “ET Scrittori” con la traduzione di Silvia Pareschi.

Ha anche viaggiato McCarthy, è stato in Alaska, in Irlanda, nell’Europa meridionale, in Jugoslavia e sia in questi luoghi sia nel suo Tennessee ha scritto. Molto ha scritto e i suoi romanzi gli hanno procurato importanti riconoscimenti. E’ compreso tra i maggiori scrittori della letteratura americana contemporanea insieme a Thomas Pynchon, Don Delillo e Philip Roth. Si è pure dedicato al teatro come autore e sceneggiatore e da alcuni suoi romanzi sono stati tratti film di successo. Noto, famoso è diventato McCarthy anche se la sua fama non ha superato i confini dell’America. E in America sono ambientate le sue narrazioni, in quell’America rimasta lontana, esclusa dai grossi sviluppi industriali, dall’inarrestabile avanzata del progresso, dalla rapida formazione della ricchezza e della forza proprie di una potenza economica e militare a tutte le altre superiore. L’America del McCarthy scrittore è quella che non ha partecipato di tali movimenti, quella ancora primitiva, ancora immersa tra boschi, fiumi, monti, praterie, abitata da comunità rurali, da animali selvaggi, capace di meravigliare, affascinare perché antica nelle sue luci, nei suoi colori, nei suoi suoni, nella sua vita. Di questi luoghi, di questa vita scrive McCarthy, di una vita che ha accettato di rimanere invariata, che è fatta di espedienti di ogni genere, che è determinata dall’ambiente, dalle sue condizioni e perciò priva di regole, affidata al caso, imprevedibile. Così ne Il guardiano del frutteto e così in tanti altri romanzi dello scrittore. Il suo primo sembra abbia stabilito quello che sarebbe stato l’intero percorso della sua produzione narrativa. In quel romanzo difficile riesce distinguere quanto effettivamente accade tra le persone che vi prendono parte. La vicenda, il suo senso, il suo svolgimento, i suoi protagonisti non seguono un ordine completamente chiaro, sono sempre nuovi nelle loro parole, nelle loro azioni, sempre da scoprire nelle loro intenzioni. Senza alcun riferimento preciso, senza alcuna certezza si svolge la vita in quel Nord America dei primi anni del Novecento, in quel Tennessee dove è ambientata l’opera. Un Tennessee ricco di piante, di acque, di animali ma selvaggio, senza ordine, senza regole.

Un vecchio che vive in una capanna da lui costruita tra gli alberi di una collina e che si mantiene con il misero guadagno ricavato barattando radici di piante, un ragazzo che non ha dimora fissa e baratta pelli di animali catturati con trappole, un giovane che contrabbanda whisky, il cadavere di una persona uccisa scoperto dopo molto tempo in una vasca d’acqua, una legge che interviene senza molta decisione e si arrende alle prime difficoltà, un paesaggio che tutto contiene e tutto sembra spiegare: questi sono i personaggi, gli ambienti, i temi di una narrazione che li fa comparire e scomparire, che procede a intervalli, che si sposta tra luoghi, momenti, eventi diversi protraendosi per molte pagine, diventando interminabile poiché bisogno ha McCarthy di dire dei tanti aspetti di un’America poco nota, di come si vive, di cosa avviene in quell’America, tra le campagne, le foreste che la compongono. E lo fa con una scrittura così ampia da raggiungere e mostrare ogni cosa, con un linguaggio così esteso da saper dire di tutti quei posti, da diventare come essi, mai definitivo, mai ultimo, sempre disposto ad accogliere, aggiungere altro, ad essere altro, a stare tra la terra e il cielo, il giorno e la notte, la fine e l’inizio, la vita e la morte, la storia e la leggenda, la realtà e l’immaginazione, la verità e il mistero, la fede e la credenza, la rassegnazione e la speranza, la volontà e il destino, tra tutto ciò che può appartenere ad un’umanità che vive di risorse proprie, di un patrimonio proprio e che ad esso non vuole rinunciare.

Eccezionale è questo processo d’identificazione tra l’uomo e la natura che lo scrittore riesce a compiere tramite infinite, raffinate metafore. Con McCarthy non sembra di leggere ma di vedere.