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29 aprile Performance PA in CdM

Il Consiglio dei ministri, nel corso della riunione del 29 aprile, ha approvato un decreto del Presidente della Repubblica recante il regolamento di disciplina delle funzioni del dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di misurazione e valutazione della performance delle pubbliche amministrazioni.

MISURAZIONE E VALUTAZIONE PERFORMANCE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Regolamento funzioni del dipartimento della funzione pubblica sulle misurazione e valutazione della performance delle pubbliche amministrazioni (decreto del Presidente della Repubblica – esame definitivo)

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Matteo Renzi e del ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia ha approvato, in esame definitivo, il decreto del Presidente della Repubblica recante il regolamento di disciplina delle funzioni del dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di misurazione e valutazione della performance delle pubbliche amministrazioni. Nello specifico il Regolamento disciplina le funzioni svolte dal Dipartimento della Funzione Pubblica (Dfp) rispetto al ciclo delle performance e all’operato degli Organismi indipendenti di valutazione (Oiv). Dispone che il Dfp si raccordi con il Ministero dell’economia e delle finanze-RGS, per allineare le indicazioni metodologiche sul ciclo della performance con quelle relative alla predisposizione dei documenti di programmazione e rendicontazione economico finanziaria. Le principali novità della nuova normativa consistono nella previsione di una operazione complessiva che consenta, da un lato, una semplificazione del quadro di regolazione con una riduzione degli oneri informativi posti a carico delle amministrazioni e, dall’altro, regimi differenziati in ragione della tipologia e delle dimensioni delle amministrazioni stesse. A tal fine, il Dfp dovrà inoltre predisporre le linee guida, che semplifichino gli aspetti procedurali e documentali del ciclo della performance, e promuovere interventi presso le amministrazioni, che consentano un progressivo rafforzamento della capacità amministrativa nonché la sperimentazione e il confronto tra buone pratiche. Per accrescere l’efficacia dell’attività degli Oiv e la trasparenza del processo di selezione dei suoi componenti, il Dfp tiene e aggiorna un elenco nazionale dei componenti degli Oiv e ne favorisce la razionalizzazione al fine di contenerne il numero ed accrescerne le funzionalità. E’ prevista una Commissione tecnica per la performance, strutturata come organo consultivo, e al Dfp è affidato il compito di promuovere la costituzione della Rete Nazionale per la valutazione delle amministrazioni pubbliche, al fine di valorizzare le esperienze di valutazione esterna delle pubbliche amministrazioni.

21 aprile DEF 2016 nelle 7e Commissioni

Il 19, 20 e 21 aprile le 7e Commissioni di Senato e Camera esaminano, in sede consultiva, il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2016

PARERE APPROVATO DALLA 7a COMMISSIONE CAMERA (21.4.16)

  La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
esaminate le parti di competenza del Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4 e Allegati), nelle sedute del 19, 20 e 21 aprile 2016, e udita la relatrice, on. Simona Flavia Malpezzi, alla cui illustrazione (della seduta del 19 aprile 2016) si rinvia integralmente;
considerato, in via preliminare, che il DEF (previsto dall’articolo 10 della legge di contabilità, n. 196 del 2009) è il documento con cui il Governo presenta al Parlamento le proprie priorità e strategie economiche a media e lunga scadenza. Esso si compone di tre sezioni, dedicate rispettivamente alla stabilità dell’Italia, all’analisi e alle tendenze della finanza pubblica e al programma nazionale di riforma;
tenuto conto che il DEF è, pertanto, il principale strumento di indirizzo sulla programmazione e sulla politica economica e che la Commissione Cultura intende contribuire alla definizione dei contenuti della risoluzione con cui esso verrà approvato dall’Assemblea della Camera;
ritenuto che, nella terza parte del DEF (quella di prospettiva), è contenuta una ricognizione dei risultati conseguiti dalla politica del Governo nei settori della scuola, dell’università e della ricerca, anche alla luce delle osservazioni svolte dalla Commissione europea nella sua Analisi annuale della crescita, pubblicata il 26 novembre 2015, cui è poi seguita la Relazione per Paese, relativa all’Italia, pubblicata il 26 febbraio 2016;
condiviso l’obiettivo per cui, per sostenere crescita e produttività nel medio e lungo termine, è necessario continuare a sviluppare il capitale umano, promuovendo il miglioramento dell’istruzione, lo sviluppo della ricerca tecnologica e l’avanzamento della scienza e della cultura;
considerato che solo la riforma dell’istruzione, approvata con la legge n. 107 del 2015, dovrebbe portare un aumento del PIL dello 0,3 per cento annuale entro il 2020;
preso atto che, in questo contesto, sono cruciali gli aspetti dell’inclusione, sia degli alunni con bisogni educativi speciali, sia di quelli stranieri (tanto che nel mese di settembre 2015 sono stati emanati bandi che mettono a disposizione 500 mila euro per il potenziamento dell’italiano come seconda lingua e ulteriori 500 mila euro per i progetti di accoglienza e sostegno linguistico e psicologico per i minori stranieri non accompagnati);
osservato, altresì, che nel medesimo contesto occorre proseguire sulla strada della messa in sicurezza degli edifici scolastici;
rilevato ancora che l’attuazione concreta del nuovo sistema di alternanza scuola-lavoro sarà essenziale per legare un’esperienza scolastica arricchita alle prospettive di inserimento lavorativo;
considerato, sul piano più generale, che il Governo appare positivamente orientato ad attribuire a tutto il mondo culturale un valore strategico ai fini della complessiva elevazione del Paese, poiché – per esempio – investire sulla scuola produce benefici sui beni culturali e viceversa, così come risollevare i livelli di lettura significa alzare una colmata che solleva anche i consumi culturali, quali cinema e teatro;
ritenuto che (come già ha sostenuto il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio VISCO, nel suo volume Investire in conoscenza, Mulino, 2009) occorre mettere in campo strategie multidimensionali per problemi a loro volta multidimensionali, cogliendo i nessi tra una cittadinanza più ricca, avvertita e dotata di competenze civiche complessive, da un lato, e il benessere economico, dall’altro;
valutato che, pertanto, occorre offrire un ventaglio di conoscenze e competenze in grado di dotare i cittadini degli strumenti per partecipare in modo sano e consapevole alla vita collettiva, anche puntando a innalzare almeno al 12,5 per cento la partecipazione degli adulti in età lavorativa (ossia tra i 25 e i 64 anni), tramite il ricorso all’apprendimento permanente (lifelong learning);
constatato che già la strategia «Europa 2020», presentata dalla Commissione Europea nel 2010, raccomandava l’adozione di misure volte promuovere una crescita intelligente, attraverso lo sviluppo delle conoscenze e dell’innovazione, sostenibile, grazie ad un’economia più verde, più competitiva ed efficiente nella gestione delle risorse, nonché inclusiva, per incentivare l’occupazione e la coesione sociale e territoriale;
osservato, altresì, che in questo quadro la scuola è interessata da compiti e linguaggi nuovi, per cui dalle didattiche disciplinari si sta passando a didattiche per competenze, nonché dalla definizione di titoli di studio superiori e dall’aggiornamento di pratiche e di contenuti, che rappresentano la vera sfida culturale, sociale e civile che il Paese si trova davanti,

esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
si provveda a:
1) potenziare gli interventi di orientamento formativo, a tutti i livelli di istruzione;
2) intensificare le politiche che rendano realmente esigibile il diritto allo studio universitario, con particolare riferimento alla contribuzione studentesca;
3) favorire l’incremento del numero di laureati, al fine di evitare che l’Italia continui ad occupare una posizione di coda negli obiettivi ufficiali del 2020;
4) favorire l’internazionalizzazione del sistema di ricerca e formazione terziaria;
5) persistere nell’impegno di ridurre la percentuale di abbandono scolastico e ad adottare misure di contrasto della dispersione e dell’insuccesso universitario;
6) accrescere le competenze degli adulti, anche in relazione alla precedente finalità di innalzare la quota dei giovani italiani che conseguono un titolo di istruzione terziaria;
7) incrementare le risorse destinate agli investimenti in ricerca e sviluppo, comprendendovi quelle destinate alla spesa per l’istruzione terziaria, che – in percentuale al PIL – è la più bassa d’Europa, e potenziare e dare stabilità agli interventi già attuati con l’ultima legge di stabilità per contrastare la sensibile diminuzione di professori e ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca;
8) collegare alla manovra di finanza pubblica i seguenti disegni di legge:
   a) A.C. 1504 e abbinata, sulla promozione della lettura, in via di approvazione dalla Camera;
   b) A.S. 2271, sull’editoria, già approvata dalla Camera;
   c) A.S. 2287, sul cinema e l’audiovisivo, attualmente all’esame del Senato. A tale riguardo, si raccomanda di precisare che il collegamento vale per tutto il provvedimento, a prescindere dall’eventuale diversificazione dei percorsi procedurali che dovesse intervenire;
9) accelerare l’emanazione dei provvedimenti attuativi della delega sullo 0-6 contenuta nella legge n. 107 del 2015.


PARERE APPROVATO DALLA 7a COMMISSIONE SENATO (20.4.16)

La  7ª Commissione permanente, esaminato, per quanto di competenza, il Documento in titolo, e constatato che esso si compone di tre sezioni: il Programma di stabilità dell’Italia (sezione I), l’analisi e le tendenze di finanza pubblica (sezione II) e il Programma nazionale di riforma (sezione III) e ad esso sono allegati ulteriori sei documenti;

rilevato che nella sezione III sono delineate le strategie di riforma dell’Italia, aggiornando gli obiettivi del 2015, nella quale sono illustrate con maggiore dettaglio le parti di interesse, a cominciare dall’attuazione della “Buona scuola”;

considerato che, nel settore dell’istruzione, sono citate fra l’altro le seguenti azioni:

–        il perfezionamento del piano di assunzione dei docenti, il percorso di autovalutazione delle scuole, l’estensione ai licei dell’alternanza scuola/lavoro, l’avvio del Piano nazionale della scuola digitale;

–        l’istituzione del Registro delle imprese in alternanza e l’approvazione delle Linee guida per i percorsi di studio degli istituti tecnici-superiori (ITS);

–        lo stanziamento di risorse a favore dell’edilizia scolastica;

esaminato il cronoprogramma sui tempi di attuazione delle deleghe della “Buona scuola”, molte delle quali dovrebbero essere definite entro luglio 2016, mentre entro maggio 2016 dovrebbe essere elaborato il Piano nazionale della formazione in servizio, destinato ad applicarsi nel triennio 2016-2018 ed entro giugno 2016 sarà definito il decreto per la carta dei diritti e dei doveri dello studente in alternanza scuola/lavoro;

considerato altresì che, sul fronte università e ricerca, sono citate fra l’altro le seguenti misure:

–        il piano straordinario di assunzione di 861 ricercatori per far sì che nel 2016 i ricercatori di “tipo b” passino da 700 a 1500, cui si aggiungono le risorse per 500 cattedre del merito intitolate a Giulio Natta, consistente in un programma di reclutamento di professori di prima e seconda fascia;

–        l’assunzione di 215 ricercatori negli enti pubblici di ricerca;

–        il cambiamento nelle procedure per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale, che dura sei anni e per la quale è possibile presentare domanda in qualsiasi momento dell’anno, secondo un modello “a sportello”;

valutato il cronoprogramma delle riforme nel comparto culturale, nel quale è citata anzitutto l’approvazione del disegno di legge sul cinema, l’audiovisivo e lo spettacolo (Atto Senato n. 2287), attualmente all’esame della 7a Commissione;

apprezzati gli assi strategici per il settore cultura, quali la valorizzazione, anche attraverso il potenziamento dei musei, il riassetto degli istituti di tutela del patrimonio culturale nonchè l’interdipendenza tra cultura e turismo;

preso atto con favore di un miglioramento nel raggiungimento degli obiettivi nazionali per la Strategia Europa 2020, con particolare riguardo all’obiettivo n. 2, Ricerca e sviluppo, all’obiettivo n. 6, Abbandoni scolastici, e all’obiettivo n. 7, Istruzione universitaria;

tenuto infine conto degli allegati al DEF, tra i quali l’Allegato V (Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate);

esprime parere favorevole con le seguenti osservazioni:

1.     nell’ambito dell’attuazione del Piano nazionale della scuola digitale, si reputa necessario puntare non solo sulla digitalizzazione dei processi, ma anche sulla promozione della cittadinanza digitale, onde favorire l’uso consapevole di internet specialmente tra le giovani generazioni, purtroppo spesso vittime di episodi di cyberbullismo, fenomeno oggi alla ribalta delle cronache nazionali;

2.     rispetto al cronoprogramma riguardante l’attuazione della “Buona scuola”, si sollecitano stanziamenti adeguati per il potenziamento del diritto allo studio e alle arti, della scuola dell’infanzia e  per l’estensione dei servizi educativi per la prima infanzia;

3.     considerato il Piano straordinario di assunzioni di ricercatori di “tipo b”, si ritiene indispensabile consentire la stipula di contratti per tali tipologie di ricercatori anche a coloro che hanno ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia o che sono stati titolari di assegni di ricerca ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 240 del 2010, come peraltro previsto dal disegno di legge n. 1873, attualmente all’esame della 7a Commissione;

4.     considerato l’importante lavoro istruttorio relativo al disegno di legge n. 322 e connessi (statizzazione ex istituti musicali pareggiati) svolto dalla 7a Commissione, si sollecita un idoneo stanziamento volto a dare attuazione alla legge n. 508 del 1999 e al conseguente riordino dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM);

5.     tenuto conto che, nel settore culturale, si richiama esplicitamente il disegno di legge governativo n. 2287, in materia di cinema, audiovisivo e spettacolo, collegato alla manovra di finanza pubblica 2016 e attualmente all’esame della 7a Commissione, si fa anzitutto notare che sul settore cinematografico la 7a Commissione ha da tempo all’esame delle proposte legislative, su cui ha finora svolto un’ampia attività istruttoria. Pertanto, nella consapevolezza che la riforma del comparto cinematografico e audiovisivo risulta attesa da molti anni, si reputa prioritario proseguire nell’iter legislativo per quello specifico segmento, mentre per lo spettacolo occorre un approfondimento maggiore, anche eventualmente attraverso lo stralcio delle relative disposizioni dal citato disegno di legge n. 2287, purchè il Governo si impegni a confermare per tali norme la natura di collegato. Si segnala peraltro che la 7a Commissione, sul tema dello spettacolo dal vivo, con particolare riguardo alla musica, ha approvato una specifica risoluzione (Doc. XXIV, n. 47) i cui contenuti rappresentano una base per l’esame di una proposta legislativa sul tema.

15 aprile Nuovo Codice appalti e concessioni in CdM

appalti

Il Consiglio dei Ministri, nel corso della seduta del 15 aprile, approva in esame definitivo un decreto legislativo di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori speciali dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché sul riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.


ATTUAZIONE DI DIRETTIVE EUROPEE
NUOVO CODICE DEGLI APPALTI E DELLE CONCESSIONI
Attuazione di direttive europee sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto e per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (decreto legislativo – esame definitivo)

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Matteo Renzi e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio, ha approvato in esame definitivo un decreto legislativo di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori speciali dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché sul riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

Contratti pubblici, concessioni e servizi in un unico decreto

Il Codice, che conferma l’impianto del testo preliminare del 3 marzo scorso e la formulazione in base alla legge delega del 28 gennaio 2016, n. 11, approvata dalle Camere il 14 gennaio 2016, contiene recepimenti dei pareri del Consiglio di Stato, delle Commissioni parlamentari competenti e della Conferenza Unificata. Trattandosi di norma ordinamentale, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Prevede una disciplina transitoria, nel passaggio dal vecchio al nuovo Codice, per dare certezza di riferimento alle stazioni appaltanti e ai soggetti coinvolti.
Il Governo recepisce quindi in un unico decreto, passando dagli oltre 2.000 articoli del vecchio codice agli attuali poco superiori ai 200, le direttive appalti pubblici e concessioni e riordina la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e contratti di concessione, esercitando così la delega e recependo le direttive europee nei tempi previsti al passo con gli altri paesi europei.
Una sola legge, declinata da atti di indirizzo e linee guida ANAC e con Cabina di regìa
Il nuovo “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione” contiene criteri di semplificazione, snellimento, riduzione delle norme in materia, rispetto del divieto di gold plating.
È una disciplina autoapplicativa. Non prevede infatti, come in passato, un regolamento di esecuzione e di attuazione, ma l’emanazione di atti di indirizzo e di linee guida di carattere generale, da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti su proposta dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e previo parere delle competenti commissioni parlamentari. Le linee guida, quale strumento di soft law, contribuiranno ad assicurare la trasparenza, l’omogeneità e la speditezza delle procedure e fornire criteri unitari. Avranno valore di atto di indirizzo generale e consentiranno un aggiornamento costante e coerente con i mutamenti del sistema. Dove sono stati previsti decreti amministrativi attuativi, comunque non di natura regolamentare, è stata individuata, nel regime transitorio, la valenza temporanea di alcune norme del regolamento, relative a contabilità, verifiche e collaudi, per consentire l’immediata applicabilità della nuova normativa.
Viene poi regolata la Governance, con il rafforzamento dell’ANAC nel sostegno alla legalità, il ruolo del Consiglio Superiore del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e l’istituzione della Cabina di regìa presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, quale organo di coordinamento e monitoraggio.
Il Codice è articolato per processi, in sequenza dal momento in cui si decide una procedura di affidamento a quello finale dell’esecuzione.
Declina la pianificazione, programmazione e progettazione, fasi fondamentali per la stazione appaltante, le modalità di affidamento, individuando i principi comuni a tutti i tipi di affidamento: trasparenza, economicità, efficacia, correttezza, tempestività, libera concorrenza, non discriminazione, applicabilità dei contratti collettivi al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto dei contratti, applicabilità della legge 241/1990, il RUP, le fasi delle procedure, i controlli sugli atti di affidamento e i criteri di sostenibilità energetica e ambientale.
Sono quindi disciplinate le regole procedurali per ogni tipologia contrattuale: appalto, concessioni, altre tipologie quali quelle in house, contraente generale, strumenti di partenariato pubblico-privato, ricomprendendo in quest’ultimo il project financing, strumenti di sussidiarietà orizzontale, il baratto amministrativo. Vengono disciplinati i passaggi: verifica della soglia comunitaria e requisiti di qualificazione della stazione appaltante, modalità di affidamento e scelta del contraente, bandi, avvisi, selezione delle offerte, aggiudicazione, esecuzione, della verifica e collaudo.
Il Codice sviluppa il superamento della Legge Obiettivo attraverso strumenti di programmazione delle infrastrutture, insediamenti prioritari e l’espresso richiamo all’applicazione delle procedure ordinarie. E’ stata introdotta una forte limitazione forte all’appalto integrato, ammesso solo in casi eccezionali quali la finanza di progetto o il contraente generale. Sul contenzioso, introduce un nuovo rito abbreviato in camera di consiglio sull’impugnativa dei motivi di esclusione, nonché disciplina i rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale.

Qualità del progetto, della stazione appaltante e degli operatori

Il nuovo sistema è incentrato sulla qualità e consente di eliminare la causa principale del lievitare dei costi delle opere pubbliche, rappresentata da gare su progettazioni preliminari.
Sono previsti tre livelli di progettazione: il nuovo progetto di fattibilità tecnica ed economica, il progetto definitivo ed il progetto esecutivo, che viene posto a base di gara.
La nuova forma di progetto di fattibilità rafforza la qualità tecnica ed economica del progetto. La progettazione deve assicurare il soddisfacimento dei fabbisogni della collettività, la qualità architettonica e tecnico-funzionale dell’opera, un limitato consumo del suolo, il rispetto dei vincoli idrogeologici sismici e forestali e l’efficientamento energetico. Il nuovo progetto di fattibilità sarà redatto sulla base di indagini geologiche e geognostiche, di verifiche preventive dell’assetto archeologico, fermo restando che deve individuare il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività. È stata prevista la progressiva introduzione di strumenti di modellazione elettronica che potranno essere utilizzate nelle gare bandite dalle stazioni appaltanti più qualificate.
Il subappalto sarà possibile entro la soglia massima del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
Quanto alla scelta del contraente, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa basata sul miglior rapporto qualità/prezzo (che coniuga offerta economica prevista e offerta tecnica), che in precedenza rappresentava solo una delle alternative a disposizione delle stazioni appaltanti, diviene il criterio di aggiudicazione preferenziale, nonché obbligatorio per i servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica e per quei servizi in cui è fondamentale l’apporto di manodopera nei settori in cui prevale l’esigenza di qualità o di tutela dei lavoratori.
È richiesta la qualificazione sia agli operatori economici, per i quali è prevista una specifica disciplina nella quale rientra anche il rating di legalità, sia alle stazioni appaltanti, secondo standard predefiniti e sistemi premianti che consentono, progressivamente, di appaltare opere, lavori e servizi più costosi e complessi. Si rafforza quindi il cammino già intrapreso nella spending review, poche stazioni appaltanti e qualificate.

Misure a sostegno della legalità, rafforzamento del ruolo di ANAC

Numerose le disposizioni a sostegno della legalità, partendo dal rafforzamento e potenziamento del ruolo dell’ANAC nel quadro delle sue funzioni di vigilanza, di promozione e sostegno delle migliori pratiche e di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti. L’ANAC è chiamato ad adottare atti di indirizzo quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, fornendo costante supporto nell’interpretazione e nell’applicazione del Codice. Viene favorita l’indipendenza delle commissioni giudicatrici, con la scelta dei componenti delle commissioni da un albo detenuto dall’ANAC. È prevista una specifica disciplina per i contratti secretati o che esigono particolari misure di sicurezza, per i quali viene potenziata l’attività di controllo della Corte dei conti.

Disciplinate le concessioni, superata la garanzia globale, arriva il documento di gara europeo

Per la prima volta il nuovo Codice, come richiesto dal legislatore europeo, affronta l’istituto della concessione in modo organico. Viene prevista una disciplina unitaria per le concessioni di lavori, servizi e forniture, chiarendo che le concessioni sono contratti di durata, caratterizzati dal rischio operativo in capo al concessionario in caso di mancato ritorno economico dell’investimento effettuato. Si prevede inoltre, che i soggetti privati, titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici, già in essere alla data di entrata in vigore del codice, non affidate con la formula della finanza di progetto o con procedure di gara ad evidenza pubblica, siano obbligati ad affidare una quota pari all’80% dei contratti di importo superiore a 150.000 euro mediante le procedure ad evidenza pubblica. Le concessioni già in essere si adeguano entro 24 mesi dall’entrata in vigore del Codice. La verifica è effettuata dall’ANAC e dai soggetti preposti, secondo le indicazioni delle linee guida ANAC.
Sono stati precisati gli effetti dell’annullamento delle concessioni in caso di revoca e le prestazioni economiche e finanziarie a carico delle parti in caso di revoca. E’ stata introdotta l’ipotesi di revoca per motivi di pubblica utilità.
Il Codice prevede una nuova disciplina del sistema delle garanzie. La vecchia garanzia globale è eliminata e sostituita da due diverse garanzie, rilasciate contestualmente: la garanzia di buon adempimento, senza possibilità di svincolo, che permane fino alla conclusione dell’opera e la garanzia per la risoluzione che copre il costo del nuovo affidamento in tutti i casi in cui l’affidatario viene meno e il maggior costo che viene praticato dal subentrante.
Tra le disposizioni volte a favorire la concorrenza, viene introdotto il Documento di gara unico europeo, che consentirà un’immediata apertura della concorrenza europea e semplificazioni per gli operatori economici che utilizzeranno un unico documento per autocertificare l’assenza di tutti motivi di esclusione che la stazione appaltante verificherà.

Trasparenza e dematerializzazione con le gare elettroniche, banche dati

È previsto il graduale passaggio a procedure interamente gestite in maniera digitale, con conseguente riduzione degli oneri amministrativi.
Nell’ambito delle misure di trasparenza si prevede infatti il ricorso generalizzato ai mezzi elettronici di comunicazione ed informazione, la pubblicità di tutte le fasi prodromiche e successive della gara, che si affianca alla pubblicità degli avvisi e dei bandi di gara. Misure volte alla razionalizzazione delle banche dati, ridotte a due, quella presso l’ANAC per l’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo e quella presso il MIT sui requisiti generali di qualificazione degli operatori economici.
Norme per il Partenariato pubblico privato
Viene disciplinato nel Codice per la prima volta l’istituto del “Partenariato pubblico privato” (PPP) come disciplina generale autonoma e a sé stante, quale forma di sinergia tra i poteri pubblici e i privati per il finanziamento, la realizzazione o la gestione delle infrastrutture o dei servizi pubblici, affinché l’amministrazione possa disporre di maggiori risorse e acquisire soluzioni innovative. Si prevede che i ricavi di gestione dell’operatore economico possano provenire dal canone riconosciuto dall’ente concedente, ma anche da altre forme di contropartita economica, come l’introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna. Nell’ambito del PPP rientrano gli “interventi di sussidiarietà orizzontale”, ossia la partecipazione della società civile alla cura di aree pubbliche o alla valorizzazione di aree e beni immobili inutilizzati mediante iniziative culturali, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale. È disciplinato anche il “baratto amministrativo” per la realizzazione di opere di interesse della cittadinanza, con finalità sociali e culturali, a cura di gruppi di cittadini organizzati, senza oneri per l’ente.

Programmazione delle opere e superamento della Legge Obiettivo

Il Codice non prevede deroghe all’applicazione delle ordinarie procedure di evidenza pubblica, ad eccezione dei settori esclusi esplicitamente dalla direttiva e dei casi di somma urgenza e di protezione civile, nei quali si prevede che si possa disporre l’immediata esecuzione dei lavori o dei servizi necessari euro per rimuovere il pregiudizio alla pubblica incolumità entro limiti stabiliti. I limiti specificati nel nuovo codice sono di 200.000 o di quanto necessario per rimuovere il pregiudizio, per i beni culturali fino 300.000 euro e per protezione civile nei casi di dichiarazione di stato di emergenza fino alla soglia dei lavori.
Con l’eliminazione del ricorso a procedure straordinarie, si prevede il superamento della Legge Obiettivo riconducendo la pianificazione e la programmazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari allo sviluppo del Paese, agli strumenti ordinari quali il Piano generale dei trasporti e della logistica triennale e il Documento pluriennale di pianificazione (DPP), di cui al decreto legislativo n. 228 del 2011. Per la redazione del primo DPP, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti effettua una ricognizione di tutti gli interventi già compresi negli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti e ne attua una revisione (project review). Per migliorare la capacità di programmazione e riprogrammazione della spesa per le infrastrutture di preminente interesse nazionale è prevista l’istituzione, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di specifici Fondi.
Dibattito pubblico
Per le grandi opere pubbliche che possono avere impatto ambientale e sociale sui territori è obbligatorio il ricorso alla procedura del dibattito pubblico. I criteri per l’individuazione delle opere interessate e i termini di svolgimento e conclusione dell’iter, verranno fissati da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

Rivisitazione del general contractor e albi per direttori lavori e collaudatori

L’istituto del contraente generale subisce una profonda rivisitazione. Per farvi ricorso la stazione appaltante dovrà fornire un’adeguata motivazione, in base a complessità, qualità, sicurezza ed economicità dell’opera. È vietato per il general contractor esercitare il ruolo di direttore dei lavori. È eliminata la possibilità di ricorrere alla procedura ristretta e a base di gara sarà posto il progetto definitivo e non più il preliminare.
Cambia anche il sistema di qualificazione che ora viene attribuito all’ANAC. Viene creato presso il MIT un apposito albo nazionale cui devono essere obbligatoriamente iscritti i soggetti che possono ricoprire gli incarichi di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici aggiudicati con la formula del contraente generale. La loro nomina nelle procedure di appalto avviene mediante pubblico sorteggio da una lista di candidati indicati alle stazioni appaltanti in numero almeno triplo per ciascun ruolo. Il MIT disciplinerà le modalità di iscrizione all’albo e di nomina. Sono escluse da incarichi di collaudo varie figure, tra cui coloro che hanno svolto o svolgono attività di controllo, verifica, vigilanza e altri compiti relativi al contratto da collaudare.

Riduzione del contenzioso amministrativo

Al fine di garantire l’efficacia e la celerità delle procedure di aggiudicazione e tempi certi nella esecuzione dei contratti viene introdotto un rito speciale in camera di consiglio del Tar. In particolare si prevede che i vizi relativi alla composizione della commissione di gara, all’esclusione dalla gara per carenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico professionali sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili innanzi al TAR entro trenta giorni dalla pubblicazione della composizione della commissione o dell’elenco degli esclusi e degli ammessi. L’omessa impugnazione di tali provvedimenti preclude la facoltà di far valere l’illegittimità nei successivi atti della procedura di gara anche con ricorso incidentale.
Sono poi previsti rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale quali l’accordo bonario, (esteso anche alle contestazioni per appalti di servizi e forniture, eliminando il ricorso alla Commissione e prevedendo la conclusione entro 45 giorni), l’arbitrato (prevedendo il solo ricorso all’arbitrato amministrato nonché l’istituzione di una Camera arbitrale che cura la formazione della tenuta dell’albo degli arbitri e dei segretari e redige il codice deontologico degli arbitri camerali), la transazione (nell’impossibilità di ricorrere ad altre soluzioni). Sono poi inseriti altri rimedi quali il collegio tecnico consultivo (con funzioni di assistenza e non vincolante, al fine di giungere, nella fase dell’esecuzione, ad una rapida definizione delle controversie) e i pareri di precontenzioso dell’ANAC (dove l’ANAC esprime parere su iniziativa della stazione appaltante o di una delle parti su questioni insorte durante la procedura di gara). Il parere è vincolante e il mancato adeguamento della stazione appaltante determina la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 euro a 25.000 euro a carico del dirigente responsabile.

12 aprile Revisione parte seconda Costituzione alla Camera

Il 12 aprile l’Aula della Camera approva in via definitiva in seconda deliberazione il disegno di legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione” (Approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, modificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato).

Il 20 gennaio l’Aula del Senato approva in seconda deliberazione con 180 voti favorevoli, 112 contrari e 1 astenuto il disegno di legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”.

L’11 gennaio 2016 l’Aula della Camera approva il disegno di legge costituzionale Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione. Il provvedimento è stato approvato in via definitiva in prima deliberazione e passa ora al Senato per la seconda deliberazione.

Il 13 ottobre il Senato, con 178 sì, 17 no e 7 astensioni, approva con modifiche, in terza lettura, il disegno di legge di revisione della Parte II della Costituzione. Il provvedimento torna alla Camera.

Il 10 marzo la Camera dei Deputati approva il disegno di legge sulle riforme costituzionali, con 357 voti a favore, 125 contrari e 7 astenuti. Il provvedimento torna ora al Senato.

Il 16, 17 e 18 dicembre 2014, 8, 12, 13, 14, 15, 19, 20, 21, 22, 23, 26 e 27 gennaio 2015, 10, 11, 12, 13 e 14 febbraio, 9 marzo l’Aula della Camera esamina il disegno di legge costituzionale (C. 2613 e abb.) Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione,  già approvato, in prima deliberazione, dal Senato.

TESTO A FRONTE TRA IL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE VIGENTE ED I TESTI DEI DUE PROGETTI DI RIFORMA A.S. 3520 (XVI legislatura) e A.S. 2544-D (XIV legislatura)

L’11 dicembre la 7a Commissione della Camera approva il parere favorevole con osservazioni del relatore sul DdL di Revisione della parte seconda della Costituzione, approvato, in prima deliberazione, dal Senato

PARERE DEL RELATORE

  La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
esaminato il disegno di legge C. 2613 Governo, approvato, in prima deliberazione, dal Senato, e abbinate, recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione;
valutato positivamente l’impianto del provvedimento, il quale persegue l’obiettivo della modernizzazione complessiva della nostra architettura istituzionale, la quale dopo quasi 70 anni dall’approvazione della Costituzione richiede un’attenta opera di aggiornamento per rendere l’Italia in grado di affrontare le sfide complesse dell’attuale fase storica;
ritenuto importante in questa prospettiva il superamento del bicameralismo paritario, il quale oltre a rappresentare un unicum nel panorama del costituzionalismo contemporaneo, costituisce un decisivo fattore di inefficienza, lentezza e scarsa trasparenza del nostro sistema parlamentare;
valutata, altresì, favorevolmente la riforma del procedimento legislativo che dovrebbe essere in grado di garantire l’adozione di decisioni legislative più efficaci e tempestive;
considerata la necessità di una profonda manutenzione delle disposizioni del Titolo V della II Parte della Costituzione, che nei tredici anni di applicazione della riforma del 2001 hanno determinato fenomeni di incertezza e confusione nella ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni ed hanno conseguentemente prodotto un elevato contenzioso costituzionale;
sottolineata la necessità di definire meccanismi legislativi che consentano, in relazione alla soppressione del riferimento costituzionale alle Province, il trasferimento allo Stato dei beni inclusi nel demanio e nel patrimonio di queste ultime, con particolare riferimento ai beni storico-artistici;
ritenuto che l’inclusione della istruzione e formazione professionale tra le materie di competenza legislativa esclusiva delle Regioni non comporta conseguenze sull’ordinamento degli istituti professionali, i quali fanno parte del sistema statale di istruzione,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti osservazioni:
   a) all’articolo 29, valuti la Commissione di merito l’opportunità di espungere, tra le materie che con legge dello Stato possono essere attribuite ad alcune Regioni, l’istruzione, l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica, di cui alla lettera n) del primo comma del nuovo articolo 117, in considerazione del fatto che si tratta di settori dell’ordinamento di primario interesse nazionale, Pag. 142connessi ai diritti di cittadinanza e per i quali, quindi, appare opportuno garantire la massima omogeneità su tutto il territorio nazionale;
   b) con riferimento all’articolo 30, terzo capoverso, valuti la Commissione di merito l’opportunità di chiarire che l’attribuzione alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni della materia della promozione del diritto allo studio non esclude la possibilità per lo Stato di adottare disposizioni generali in materia, in considerazione del fatto che gli interventi pubblici in tale direzione sono essenzialmente finalizzati alla rimozione degli ostacoli e delle disparità che incontrano i ragazzi nell’esercizio di tale diritto, e che tali ostacoli sono anche legati alle differenze, di risorse e di capacità organizzative, che si registrano nelle diverse aree del Paese;
   c) con riferimento alla materia dei beni culturali, valuti la Commissione di merito l’opportunità di chiarire il rapporto tra l’attribuzione allo Stato della competenza legislativa in materia di tutela e valorizzazione e l’attribuzione alle Regioni della competenza legislativa in materia di promozione dei medesimi beni.

Il 10 dicembre la 7a Commissione della Camera esamina il DdL di Revisione della parte seconda della Costituzione, approvato, in prima deliberazione, dal Senato, e abbinate.

Maria COSCIA, relatore, rileva che il disegno di legge del Governo di riforma costituzionale, approvato in prima lettura al Senato nella seduta dell’8 agosto 2014 e attualmente all’esame della I Commissione della Camera dei deputati, rappresenta un importante tentativo di riforma organica dell’architettura istituzionale del nostro Paese. Il provvedimento contiene, tra l’altro, disposizioni volte al superamento del bicameralismo paritario, alla riduzione del numero dei parlamentari, al contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, alla revisione del titolo V della parte II della Costituzione, nonché alla soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
Osserva, in particolare, che l’articolo 1 del disegno di legge costituzionale, come modificato nel corso dell’esame al Senato, dispone la fine del bicameralismo paritario e perfetto, configurando un diverso assetto costituzionale, caratterizzato, in primo luogo, da un bicameralismo differenziato, in cui il Parlamento continua ad articolarsi in Camera e Senato, ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti. Segnala, quindi, che la Camera dei deputati «esercita la funzione legislativa», mentre il Senato «concorre, nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa». Dunque, la funzione legislativa che finora era esercitata collettivamente dalle due Camere sarà prerogativa della sola Camera dei deputati, salvo alcune materie su cui dovrà intervenire anche il Senato. Rileva quindi che alla Camera dei deputati spetta poi la funzione di «controllo dell’operato del Governo» e che il Senato della Repubblica «rappresenta le istituzioni territoriali» e concorre, nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa. Aggiunge che al Senato è espressamente attribuita la funzione di raccordo tra l’Unione europea, lo Stato e gli (altri) enti costitutivi della Repubblica e che, sulla legge di bilancio, la Camera potrà decidere, a maggioranza semplice, di non conformarsi ai rilievi posti dal Senato, al quale, tra l’altro, è precluso il potere di concedere amnistia e indulto.
Rileva poi che l’articolo 2 interviene in materia di composizione del Senato della Repubblica, sancendo la fine del Senato cosiddetto elettivo. Precisa che la riforma, oltre a ridurne in maniera rilevante il numero dei componenti – disegnando un Senato composto da 95 membri rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 di nomina presidenziale –, sostituisce l’elezione popolare diretta con un’elezione di secondo grado: i Consigli regionali e i Consigli delle province autonome di Trento e Bolzano dovranno scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre, ciascuna regione eleggerà un senatore tra i sindaci dei rispettivi territori. La ripartizione dei seggi tra le varie regioni avverrà «in proporzione alla loro popolazione», ma nessuna regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato dei senatori coincide con quella dell’organo dell’istituzione territoriale in cui sono stati eletti.
Evidenzia quindi che l’articolo 10 del testo costituzionale prevede il superamento del bicameralismo perfetto, differenziando i poteri che ciascuna delle due Camere esercita nella formazione delle leggi. Aggiunge che il procedimento legislativo rimane bicamerale – con un ruolo, quindi, perfettamente paritario delle due Camere – per le leggi di revisione costituzionale, le altre leggi costituzionali, le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche e di referendum popolare, le leggi in materia di ordinamento, elezioni, organi di governo e funzioni fondamentali dei comuni e delle città metropolitane e disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni; per le leggi recanti principi fondamentali sul sistema di elezione e sui casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, leggi che stabiliscono altresì la durata degli organi elettivi regionali e i relativi emolumenti. Segnala quindi che una norma di chiusura aggiunge a tali ipotesi anche «gli altri casi previsti dalla Costituzione». Si tratta, in particolare, delle leggi relative a: famiglia e matrimonio nonché sottoposizione a trattamenti sanitari obbligatori (articolo 55 della Costituzione); definizione del sistema elettorale (di secondo grado) del Senato (articolo 57 della Costituzione); referendum propositivo e di indirizzo ed eventuali altre forme di consultazione (articolo 71 Della Costituzione); autorizzazione alla ratifica dei trattati UE (articolo 80 Della Costituzione); attribuzione alle regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, sulla base di intesa tra lo Stato e la regione (articolo 116 della Costituzione). Precisa che tutte le altre leggi sono approvate dalla sola Camera dei deputati, con un procedimento legislativo, quindi, monocamerale; il Senato, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminare i progetti di legge approvati dall’altro ramo del Parlamento: le proposte di modifica, deliberate dal Senato entro i successivi trenta giorni, sono sottoposte all’esame della Camera dei deputati che si pronuncia in via definitiva.
Segnala quindi che viene previsto un procedimento legislativo monocamerale con ruolo rinforzato del Senato, secondo il quale, in deroga rispetto al procedimento ordinario, la Camera può non conformarsi alle modifiche proposte dal Senato solamente a maggioranza assoluta. In particolare, per alcune categorie di leggi, la Camera, se non intende adeguarsi al parere del Senato, deve pronunciarsi «nella votazione finale» a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Rileva poi che l’articolo 12 detta nuove norme in tema di procedimento di approvazione dei progetti di legge, prevedendo, tra l’altro, una corsia preferenziale per i disegni di legge del Governo (che può chiedere che la Camera esamini il testo da esso presentato entro 60 giorni), al fine di scoraggiare il ricorso dell’Esecutivo alla decretazione d’urgenza. Sono in ogni caso esclusi da tale possibilità i disegni di legge per i quali sia previsto il procedimento bicamerale, quelli in materia elettorale, quelli di ratifica dei trattati internazionali e quelli per i quali è prevista una maggioranza speciale.
Evidenzia quindi che, a fronte della razionalizzazione del procedimento legislativo e del riconoscimento al Governo di alcune facoltà dirette a garantire tempi certi di approvazione dei suoi disegni di legge, l’articolo 6 prevede che i regolamenti parlamentari introducano meccanismi diretti a garantire i diritti e le prerogative delle minoranze parlamentari.
Rileva poi che l’articolo 15 del testo modifica l’articolo 75 della Costituzione sul referendum abrogativo, introducendo un diverso quorum per la validità dello stesso, ossia la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera, nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata da 800.000 elettori. Resta fermo il quorum di validità attualmente previsto, ossia la maggioranza degli aventi diritto al voto, nel caso in cui la richiesta provenga da un numero di elettori compreso tra 500.000 e 800.000. Sono, altresì, introdotti nell’ordinamento i referendum propositivi e di indirizzo e viene disposto l’aumento del numero delle firme necessarie per proporre le leggi di iniziativa popolare, da 50.000 a 150.000.
Fa presente che l’articolo 16 introduce nuove norme in materia di decretazione d’urgenza, prevedendo, in primo luogo, la «costituzionalizzazione» di una serie di elementi – già previsti dalla legge n. 400 del 1988 – relativi alla decretazione di urgenza, quali il divieto di disciplinare con tale atto le materie di cui all’articolo 72 della Costituzione, quarto comma, per le quali è prevista la cosiddetta riserva di Assemblea, nonché di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti e di ripristinare l’efficacia di norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale. Viene inoltre espressamente previsto che i decreti-legge devono recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo e che nel corso dell’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto.
Segnala che l’articolo 21 prevede nuovi quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica. Dal primo al quarto scrutinio sono sempre necessari i voti di due terzi dei componenti dell’Assemblea, composta da deputati e senatori ma non più dai delegati delle regioni. Dal quinto scrutinio sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti, mentre dal nono scrutinio basterà la maggioranza assoluta.
Osserva quindi che l’articolo 26 interviene poi in materia di reati ministeriali, limitando alla sola Camera dei deputati il potere di autorizzare la sottoposizione del Presidente del Consiglio e dei Ministri, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria.
Evidenzia poi che l’articolo 27 del disegno di legge abroga integralmente l’articolo 99 della Costituzione, abolendo il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL): è prevista la nomina, entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge, di un commissario straordinario, a cui affidare la gestione per la liquidazione e la riallocazione del personale presso la Corte dei Conti.
Prima di entrare nel merito delle materie relative alle specifiche competenze della VII Commissione, ritiene utile ricordare che la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, ha profondamente rivisto il complessivo sistema dei rapporti fra Stato, regioni ed enti locali. In particolare, ricorda che l’articolo 117, secondo comma, della Costituzione vigente ha affidato alla legislazione esclusiva dello Stato alcune materie, mentre altre, in base al terzo comma, sono state affidate alla legislazione concorrente: si tratta degli ambiti nei quali lo Stato determina i principi fondamentali e, sulla base di questi, le regioni legiferano. Ricorda altresì che, in base al quarto comma del medesimo articolo, la potestà legislativa su ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato spetta alle regioni. Si tratta della competenza generale «residuale». Rammenta inoltre che, per quanto concerne la potestà regolamentare, il sesto comma dello stesso articolo prevede che allo Stato spetta emanare i regolamenti nelle materie di competenza esclusiva, salva la possibilità di delega alle regioni, mentre alle regioni è attribuita la potestà regolamentare in ogni altra materia. I comuni, le province, le città metropolitane hanno potestà regolamentare per la disciplina riguardante l’organizzazione e il funzionamento delle competenze loro attribuite.
Ricorda quindi che l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione nella formulazione vigente, ferme restando le particolari forme di autonomia delle regioni a statuto speciale, ha altresì previsto la possibilità di attribuire alle regioni a statuto ordinario ulteriori forme e condizioni di autonomia relative a tutte le materie attribuite alla competenza concorrente, nonché ad alcune materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato. Si tratta del così detto «regionalismo differenziato». Segnala che, peraltro, tale previsione non ha avuto alcuna attuazione.
Rileva che il problema principale posto dalla ripartizione di competenze è stato quello della mancanza di una chiara individuazione del contenuto delle materie, che determinasse una netta linea di demarcazione fra competenza statale e competenza regionale. Precisa che un primo elemento di difficoltà è derivato dal fatto che alcune delle materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato fanno riferimento non ad oggetti precisi, ma a finalità che devono essere perseguite e che, pertanto, si intrecciano con una pluralità di altri interessi, incidendo in tal modo su ambiti di competenza concorrente o residuale delle regioni. Un esempio di ciò è costituito dalle materie «tutela della concorrenza» e «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Anche alcune materie attribuite alla competenza concorrente presentano un carattere «trasversale» e, fra queste, la ricerca scientifica. Inoltre, la complessità dei fenomeni sociali oggetto di disciplina legislativa rende molto spesso difficile la riconduzione ad un’unica materia. Si determina, in tali casi, la così detta «concorrenza di competenze», per la cui composizione la Corte costituzionale ha enucleato i principi di prevalenza e di leale collaborazione, in particolare attraverso il sistema delle Conferenze Stato-regioni e autonomie locali. Evidenzia altresì che sono insorti problemi interpretativi relativi alla distinzione tra principi fondamentali e norme di dettaglio, che costituisce il discrimine fra competenze statali e competenze regionali nelle materie di legislazione concorrente.
Osserva, quindi, che, nel quadro della revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, l’articolo 30 del testo ora al nostro esame elimina la competenza concorrente, attribuendo alcune materie alla legislazione esclusiva dello Stato e altre alla potestà legislativa regionale. Aggiunge che costituisce norma di chiusura la previsione in base alla quale la legge dello Stato può intervenire, su proposta del Governo, in materie non riservate alla competenza statale, quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale. Precisa che, al contempo, l’articolo 29 prevede che forme e condizioni particolari di autonomia concernenti alcune delle materie affidate alla competenza esclusiva dello Stato possono essere attribuite dallo Stato alle regioni anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119 Costituzione e purché la regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. A tal fine, la legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata. Rileva, infine, che il medesimo articolo 30 prevede che, fermo restando che la potestà regolamentare spetta allo Stato o alle regioni secondo le rispettive competenze legislative, è fatta salva la facoltà dello Stato di delegare alle regioni l’esercizio di tale potestà nelle materie e nelle funzioni di competenza legislativa esclusiva.
Osserva poi che, in base all’articolo 38, comma 10, le leggi delle regioni adottate sulla base dell’attuale Titolo V, continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle leggi adottate ai sensi del nuovo Titolo V. Al riguardo segnala che, nel parere reso il 4 dicembre 2014, il Comitato per la legislazione ha richiamato l’attenzione della Commissione di merito su tale formulazione, evidenziando che essa si presta ad ingenerare dubbi applicativi nelle circostanze in cui le «nuove» leggi non provvedano ad abrogazioni espresse, ad esempio perché l’oggetto della «nuova» legge non coincide perfettamente con quello della «attuale» legge regionale (si pensi a leggi omnibus o a disposizioni inserite in contesti normativi peculiari quali leggi regionali finanziarie o di bilancio). Conseguentemente, ha suggerito alla Commissione di merito di valutare se sia opportuno sostituire il termine «leggi» (riferito a un intero atto normativo) con il termine «disposizioni» o individuare diversi metodi per ridurre l’incertezza nell’individuazione della vigenza e dell’applicabilità della «attuale» legge regionale.
Segnala, inoltre, che l’articolo 38, comma 11, prevede che le disposizioni sul nuovo riparto di competenze non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano fino all’adeguamento dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome. Su tale previsione, il Comitato per la legislazione ha sottolineato, fra l’altro, che la riforma costituzionale non prevede un termine per l’adeguamento, né le conseguenze in caso di mancato, parziale o tardivo adeguamento degli statuti, talché il regime transitorio è suscettibile di protrarsi per tempi indefiniti.
Tenuto conto di questo quadro generale, si sofferma quindi sugli ambiti di competenza della Commissione, ricordando l’assetto delle competenze vigente, le principali questioni evidenziate dalla Corte costituzionale e il nuovo assetto proposto dal testo in esame.
Ricorda quindi che l’articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione vigente annovera le norme generali sull’istruzione tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, mentre l’articolo 117, terzo comma, include l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale – che rientra, dunque, nella competenza residuale delle regioni – tra le materie di legislazione concorrente. Quanto al diritto allo studio, segnala che esso non è espressamente citato nel vigente articolo 117 della Costituzione, ma trova fondamento nell’articolo 34, i cui commi terzo e quarto dispongono che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. Ricorda che nella sentenza n. 279 del 2005 la Corte costituzionale ha dovuto tracciare un quadro generale di riferimento per l’interpretazione del sistema delle competenze delineato dall’articolo 117 della Costituzione, chiarendo che «le norme generali sono quelle sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie e, quindi, applicabili indistintamente al di là dell’ambito propriamente regionale». In tal senso, le norme generali si differenziano dai «principi fondamentali», i quali, «pur sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in se stessi la loro operatività ma informano, diversamente dalle prime, altre norme». Aggiunge quindi che, con la successiva sentenza n. 200 del 2009, la Corte ha precisato che appartengono alla categoria delle disposizioni espressive di principi fondamentali quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, discipline, pur tese ad assicurare l’esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio, da un lato non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema di istruzione che caratterizza le norme generali, dall’altro necessitano «per la loro attuazione (e non già per la semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale». In particolare, «lo svolgimento attuativo dei predetti principi è necessario quando si tratta di disciplinare situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle regioni, anche sotto il profilo socio-economico». Osserva che in questa cornice si inquadrano, in particolare, le pronunce della Corte in materia di programmazione della rete scolastica, che pertiene alla competenza del legislatore regionale (sentenze n. 92 del 2011 e n. 147 del 2012).
Rileva quindi che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva nelle materie «disposizioni generali e comuni sull’istruzione» e «ordinamento scolastico». In particolare, modifica l’attuale riferimento alle «norme generali» con quello alle «disposizioni generali e comuni» e attribuisce esplicitamente allo Stato anche l’ambito afferente all’«ordinamento scolastico» (peraltro, già riconducibile, in base alla legislazione vigente e all’interpretazione giurisprudenziale, alle «norme generali sull’istruzione»). Al contempo, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, attribuisce alle regioni la competenza legislativa in materia di «servizi scolastici,» di «istruzione e formazione professionale» e di «promozione del diritto allo studio».
Ricorda altresì che la materia «università» non è espressamente citata nell’articolo 117 della Costituzione, nella formulazione vigente. Soccorre, tuttavia, l’articolo 33, sesto comma, che stabilisce che le istituzioni di alta cultura, università ed accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Segnala che già prima del 2001, la Corte costituzionale ha chiarito, con la sentenza n. 383 del 1998, che al sesto comma dell’articolo 33 della Costituzione è conferita una funzione di cerniera, attribuendosi alla responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti legislativi all’autonomia universitaria relativi tanto all’organizzazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all’istruzione universitaria. Evidenzia quindi che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «istruzione universitaria», e alle regioni la competenza legislativa in materia di «promozione del diritto allo studio, anche universitario». Su questo punto ritiene utile un’attenta riflessione sull’opportunità di prevedere che lo Stato possa, comunque, intervenire definendo una cornice legislativa unitaria per tutto il territorio nazionale. Segnala che occorre coordinare la previsione, recata dall’articolo 29 del testo in esame, in base al quale forme e condizioni particolari di autonomia potranno essere attribuite alle regioni anche nella materia relativa all’istruzione universitaria, con l’articolo 33 della Costituzione che, come abbiamo visto, prevede che limiti all’autonomia universitaria possono essere stabiliti solo da leggi dello Stato. Ciò posto, ritiene opportuno svolgere una attenta riflessione sull’opportunità che sia inclusa tra le materie che possono essere incluse nel cosiddetto «regionalismo differenziato», anche la lettera n), dell’articolo 117 della Costituzione, primo comma relativo all’istruzione, all’università e alla ricerca.
Ricorda quindi che, attualmente, è altresì inclusa nell’ambito della legislazione concorrente la ricerca scientifica e tecnologica. Ricorda, peraltro, che l’articolo 9 della Costituzione affida alla Repubblica e, dunque, a tutti i soggetti che la costituiscono, il compito di promozione della ricerca scientifica e tecnica. Rammenta che, al riguardo, la Corte, con le sentenze n. 423 del 2004 e n. 31 del 2005, ha evidenziato che «la ricerca scientifica deve essere considerata non solo una “materia”, ma anche un “valore” costituzionalmente protetto (articoli 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati». Successivamente, con la sentenza n. 133 del 2006, la Corte ha evidenziato che, qualora la ricerca verta su materie di competenza esclusiva statale, a queste occorre riferirsi per stabilire la competenza legislativa. In buona sostanza, la ricerca scientifica, qualora si delimiti l’area su cui si verte e si individuino le finalità perseguite, riceve da queste la propria connotazione.
Rileva che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva relativa alla «programmazione strategica» della ricerca scientifica e tecnologica e che si intuirebbe, dunque, che le regioni potranno legiferare per ciò che riguarda aspetti diversi dalla programmazione strategica.
Ricorda quindi che l’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione vigente annovera la tutela dei beni culturali tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, mentre, in base al terzo comma, la valorizzazione dei beni culturali rientra tra le materie di legislazione concorrente. Segnala che, in tale quadro, la Corte, nelle sentenze n. 478 del 2002 e n. 307 del 2004, ha evidenziato che la tutela dei beni culturali e, in generale, lo sviluppo della cultura, corrispondono a finalità di interesse generale, «il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (articolo 9 della Costituzione), anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e regioni». In particolare, nelle sentenze n. 401 del 2007 e n. 194 del 2013, la Corte ha evidenziato la possibilità per le regioni di integrare la normativa in materia di tutela, con misure diverse ed aggiuntive rispetto a quelle previste a livello statale.
Osserva che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva nella materia relativa alla «tutela e valorizzazione» dei beni culturali e alle regioni la competenza legislativa per la «disciplina, per quanto di interesse regionale, della promozione dei beni culturali». Precisa che si introduce così, accanto alle materie «tutela» e «valorizzazione» dei beni culturali», la materia «promozione» degli stessi beni culturali che, tuttavia, sembrerebbe già compresa nel concetto di valorizzazione (in particolare, in base all’articolo 6 del Codice dei beni culturali, la valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica dello stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura). Ipotizza quindi che tale differenziazione abbia lo scopo di favorire un coinvolgimento delle regioni nell’attività di promozione dei beni culturali.
Osserva poi che l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione vigente include la «promozione e organizzazione di attività culturali» tra le materie di legislazione concorrente e che, pertanto, nell’assetto attuale lo Stato può emanare i «principi fondamentali» concernenti i due contenuti indicati (promozione e organizzazione), spettando poi alle regioni la disciplina di dettaglio sugli stessi aspetti. Ricorda che la Corte ha chiarito che le attività culturali riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura e, dunque, anche le attività di sostegno degli spettacoli (sentenza n. 255 del 2004) e quelle di sostegno delle attività cinematografiche (sentenza n. 285 del 2005).
Rileva che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva per la definizione delle «disposizioni generali e comuni» sulle attività culturali e alle regioni la competenza legislativa per la «disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali».
Osserva quindi che anche l’ordinamento sportivo è attualmente incluso tra gli ambiti di legislazione concorrente e che nella sentenza n. 424 del 2004 la Corte ha chiarito che in tale ambito rientra senza dubbio la disciplina degli impianti e delle attrezzature sportive. In virtù della competenza concorrente, lo Stato deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, spettando invece alle regioni la regolamentazione di dettaglio, salvo una diversa allocazione, a livello nazionale, delle funzioni amministrative, per assicurarne l’esercizio unitario. In particolare, la Corte ha qualificato principi fondamentali della materia la possibilità di utilizzo degli impianti sportivi da parte di tutti i cittadini, la garanzia che la gestione degli impianti sportivi comunali, quando i Comuni non vi provvedano direttamente, avvenga di preferenza mediante l’attribuzione a determinati organismi sportivi, la possibilità di utilizzo, da parte delle associazioni sportive dilettantistiche, degli impianti sportivi scolastici, compatibilmente con le esigenze dell’attività della scuola. Ricorda che, sulla base della competenza concorrente, inoltre, la Corte, con sentenza n. 254 del 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione di istituzione di un Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva, finalizzato alla realizzazione di nuovi impianti o alla ristrutturazione di quelli già esistenti.
Rileva che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce la materia ordinamento sportivo alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Evidenzia, infine, che è attualmente incluso nell’ambito della legislazione concorrente l’ordinamento della comunicazione e che lo stesso è stato ricondotto dalla giurisprudenza costituzionale tra le materie per le quali è prevista «l’attrazione in sussidiarietà»: si è registrata, infatti, la tendenza a tutelare, sia pure in una materia di legislazione concorrente, l’esercizio delle funzioni unitarie da parte dello Stato, contemperata dall’individuazione di procedure concertative e di coordinamento orizzontale con le regioni (le intese; si veda ad esempio la sentenza n. 163 del 2012). Inoltre, nella sentenza n. 336 del 2005 la Corte ha rilevato come la materia «ordinamento della comunicazione» possa «intersecarsi» con le materie di competenza esclusiva statale della «tutela della concorrenza» e del «coordinamento informativo statistico e informatico». Ciò in un contesto in cui, già precedentemente alla riforma costituzionale del 2001, era stato sottolineato il legame tra ordinamento della comunicazione e tutela della libertà d’informazione, e quindi, del valore costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione; sentenza n. 348 del 1990). Ricorda che l’articolo 30 del testo in esame attribuisce la materia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Per ulteriori approfondimenti, rimanda alla documentazione predisposta dagli uffici.

8 aprile Documento di Economia e Finanza 2016 in CdM

Il Consiglio dei Ministri, nel corso della seduta dell’8 aprile, approva il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2016

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA

Documento di economia e finanza 2016 – DEF, a norma dell’articolo 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del Ministro dell’economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2016, previsto dalla legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009. Il DEF si compone di tre sezioni:
– Sezione I: Programma di Stabilità dell’Italia
– Sezione II: Analisi e tendenze di finanza pubblica
– Sezione III: Programma Nazionale di Riforma (PNR)
A queste sezioni si aggiungono alcuni allegati.
Il DEF viene trasmesso alle Camere affinché si esprimano sugli obiettivi programmatici e sulle strategie di politica economica in esso contenute. Dopo il passaggio parlamentare, il Programma di Stabilità e il PNR saranno inviati al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea entro il 30 aprile.
Nel 2015, dopo tre anni consecutivi di contrazione, l’economia italiana è tornata a crescere (+0,8%) e nel 2016 questa crescita prosegue e si rafforza (+1,2%). L’occupazione cresce, la disoccupazione cala, i conti migliorano, le tasse diminuiscono. Il Governo mantiene una politica rigorosa ma, nello stesso tempo, ha avviato una stagione di misure di sostegno all’economia che permettono finalmente di far ripartire il Paese. Ciò accade anche se, negli ultimi mesi del 2015, il quadro internazionale ha mostrato evidenti segnali di peggioramento, dovuti alla fase di difficoltà dell’Eurozona, al progressivo rallentamento delle economie emergenti e alla minaccia terroristica.
Il DEF 2016, il terzo presentato da questo governo, si inserisce nella strategia perseguita fin dal 2014, che ha come obiettivi prioritari il rilancio della crescita e dell’occupazione. Sono parte integrante di questa strategia il piano di riforme strutturali, misure di stimolo agli investimenti pubblici e privati e il consolidamento della finanza pubblica. Per favorire e accelerare la crescita il governo mette in campo azioni volte alla riduzione della pressione fiscale e all’aumento degli investimenti pubblici.
Dopo l’inversione di tendenza registrata dal prodotto interno lordo nel 2015, anno in cui la crescita è tornata di segno positivo facendo registrare un aumento dello 0,8%, nello scenario programmatico il 2016 vedrà un’ulteriore accelerazione del PIL, previsto aumentare dell’1,2%. La tendenza proseguirà nel 2017 (+ 1,4%) e nel 2018 (+1,5%).
La crescita del PIL, nonostante una congiuntura internazionale non favorevole, sarà trainata dall’aumento degli investimenti pubblici e dall’ulteriore riduzione del carico fiscale sulle famiglie e sulle imprese programmato dal governo. Nel 2016 la pressione fiscale è prevista scendere di 0,7 punti percentuali collocandosi al 42,8% del PIL (classificando il “bonus 80€” per gli effetti sul reddito netto dei lavoratori, la pressione fiscale scende al 42,2%). Gli investimenti fissi lordi aumentano del 2,2%.
Proseguirà il processo di consolidamento della finanza pubblica. Nel 2016 l’indebitamento netto della P.A. (deficit) è previsto collocarsi nel quadro programmatico al 2,3% del PIL, in calo rispetto al 2,6% registrato lo scorso anno e al 3,0% del 2014. Il miglioramento continuerà nel 2017, quando il disavanzo è previsto collocarsi all’1,8% del PIL, e negli anni successivi. Si tratta di una delle migliori performance nell’ambito dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Si conferma l’avvio della discesa del debito pubblico che dal 132,7% del PIL dello scorso anno calerà al 132,4% nel 2016 e al 130,9% nel 2017. A questo andamento contribuiranno le privatizzazioni i cui proventi sono previsti in misura pari allo 0,5% del PIL l’anno per il periodo considerato.

INDICATORI DI FINANZA PUBBLICA (in percentuale del PIL)
QUADRO PROGRAMMATICO
2014 2015 2016 2017 2018 2019
Indebitamento netto -3,0 -2,6 -2,3 -1,8 -0,9 0,1
Saldo primario 1,6 1,6 1,7 2,0 2,7 3,6
Interessi 4,6 4,2 4,0 3,8 3,6 3,5
Debito pubblico 132,5 132,7 132,4 130,9 128,0 123,8

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MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA
SEZ. III PROGRAMMA NAZIONALE DI RIFORMA

PREMESSA

Il Documento di Economia e Finanza 2016 (DEF) è il terzo predisposto da questo Governo. Si iscrive pertanto in una strategia di programmazione economica di natura pluriennale, che abbiamo cominciato ad implementare con le prime misure nel 2014. I principali obiettivi di questa strategia sono ben noti: il rilancio della crescita e dell’occupazione. Gli strumenti operativi si possono riassumere in quattro punti:
i) una costante azione di riforma strutturale del Paese e di stimolo agli investimenti, privati e pubblici;
ii) una impostazione della politica di bilancio al tempo stesso favorevole alla crescita e volta ad assicurare un graduale ma robusto consolidamento delle finanze pubbliche, tale da ridurre in misura via via crescente il rapporto tra debito e PIL;
iii) la riduzione del carico fiscale, che si associa a una maggiore efficienza della spesa e dell’azione delle pubbliche amministrazioni;
iv) il miglioramento del business environment e della capacità competitiva del sistema Italia.
Lo sforzo profuso dal Governo è stato in questi anni ampio e incisivo, e ha prodotto risultati assai significativi in un lasso di tempo relativamente breve: il ritorno alla crescita e l’incremento dell’occupazione nel 2015 ne costituiscono una evidenza incontrovertibile. In prospettiva l’azione di riforma è rivolta a migliorare anche il contesto alla base delle decisioni di investimento, favorite da una maggiore efficienza della giustizia civile e della macchina amministrativa, dalla progressiva riduzione della pressione fiscale, dalla crescente disponibilità di finanziamenti, dalle misure di sostegno alla domanda. A nuove misure da adottare nel breve termine si affiancherà una particolare enfasi sulla concreta attuazione delle riforme già avviate.
Accanto all’intenso sforzo di riforma, il Governo avvia nuove azioni di stimolo, tra cui l’ulteriore riduzione della pressione fiscale e l’aumento progressivo degli investimenti pubblici, che permetteranno di sostenere il rafforzamento della ripresa in una fase di notevole incertezza economica a livello internazionale.

Contesto esterno e risultati raggiunti

L’azione di politica economica del Governo si è misurata negli ultimi mesi con un contesto esterno via via più problematico. Nel corso del 2015 il progressivo rallentamento delle grandi economie emergenti e la protratta fase di debolezza dell’Eurozona hanno negativamente influenzato l’andamento della domanda esterna; sull’evoluzione dell’economia internazionale hanno inoltre pesato l’accresciuta volatilità sui mercati finanziari e la minaccia terroristica.
Nell’area dell’euro il permanere di spinte deflazionistiche – in parte dovute alle continue cadute delle quotazioni delle materie prime, ma anche alla debolezza della domanda interna – ostacola la trasmissione all’economia reale delle misure eccezionalmente espansive di politica monetaria adottate dalla Banca Centrale Europea; ne risultano frenati gli investimenti, accresciuto l’onere dei debiti pubblici e privati.
L’Eurozona resta inoltre caratterizzata da un’ineguale distribuzione della crescita e dell’occupazione che la espone periodicamente a shock, con seri rischi per la sostenibilità del progetto europeo; l’insoddisfacente processo di convergenza – anche nei comparti in cui l’integrazione sta procedendo con maggiore decisione, ad esempio nel settore bancario e della finanza – perpetua la segmentazione dell’area, ostacolando il necessario percorso di riforma strutturale delle diverse economie.
L’afflusso di migranti e richiedenti asilo costituisce solo una delle nuove sfide sistemiche, di natura eccezionale, che rivelano in modo drammatico i punti di debolezza del progetto europeo, incapace di adottare una politica coordinata e di elaborare iniziative comuni. Crescono in quasi tutti gli Stati membri il consenso verso proposte populiste e l’euroscetticismo. A fronte del rischio concreto che gli interessi nazionali prevalgano sul bene comune il Governo italiano ha proposto una articolata strategia europea per la crescita, il lavoro e la stabilità, affinché l’Europa sia parte della soluzione ai problemi che abbiamo di fronte e venga ricostituita la fiducia tra i cittadini e tra gli Stati membri.
Nonostante la fragilità del contesto di riferimento, dopo tre anni consecutivi di contrazione l’economia italiana è tornata a crescere nel 2015 – dello 0,8 per cento in termini reali, 1,5 nominali. Ne hanno beneficiato l’occupazione – in sensibile incremento – e il tasso di disoccupazione, che si è ridotto in misura rilevante; il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro si è associato al buon andamento dei consumi delle famiglie.
I dati positivi di produzione industriale registrati nei primi mesi del 2016 lasciano prefigurare una nuova accelerazione del prodotto nei prossimi trimestri.
In linea con tali andamenti il DEF prevede per il 2016 un incremento del PIL pari all’1,2 per cento; nello scenario programmatico l’accelerazione della crescita proseguirebbe nel 2017 e nel 2018, anche beneficiando di una politica di bilancio orientata al sostegno dell’attività economica e dell’occupazione.

Gli investimenti: politiche di sostegno e di contesto

Se nel 2015 la ripresa dell’economia italiana è stata in prevalenza sospinta dalle esportazioni e dai consumi, nel 2016 sarà necessario tenere conto dell’insoddisfacente crescita del commercio mondiale; anche per sostenere la crescita del prodotto si rendono necessari ulteriori miglioramenti di competitività e l’accelerazione degli investimenti, la componente della domanda che maggiormente ha subito l’impatto della grande crisi.
Nel 2015 gli investimenti fissi hanno ripreso ad aumentare, anche nella componente degli investimenti pubblici. Si tratta di un altro importante segnale di inversione di tendenza dopo anni di contrazione, durante i quali è risultato evidente quanto sia stato relativamente facile ridurre gli investimenti pubblici e quanto sia difficile riavviarli in tempi brevi.
Per stimolare un’accelerazione degli investimenti privati e pubblici la legge di stabilità 2016 ha messo in campo risorse significative, cui si associa la richiesta di utilizzo della clausola per gli investimenti pubblici prevista dalle regole di bilancio dell’Unione Europea. Particolare rilevanza hanno l’intervento sugli ammortamenti a fronte di investimenti effettuati nel 2016 e il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno nel quadriennio 2016-19. A queste risorse il Governo affianca misure in grado di migliorare ulteriormente il ‘clima d’investimento’ in Italia, segnatamente nelle aree degli strumenti di finanziamento, dell’efficienza della P.A. e della giustizia civile, della coesione territoriale.
A fronte delle difficoltà di finanziamento delle piccole e medie imprese e delle start-up il Governo ha messo in campo una molteplicità di strumenti, rivolti anche al supporto dell’innovazione tecnologica, della spesa in ricerca e sviluppo e della crescita dimensionale delle aziende. Nuove misure sono state introdotte per semplificare l’accesso al credito, incoraggiare la capitalizzazione e la quotazione in borsa delle imprese, la valorizzazione dei brevetti e delle altre opere dell’ingegno.
Numerosi interventi normativi, in fase di attuazione, hanno inoltre reso l’assetto del sistema bancario italiano più moderno e competitivo: la riforma delle banche popolari, del credito cooperativo e delle fondazioni bancarie, la riforma delle procedure di insolvenza e di recupero dei crediti, l’introduzione di un sistema di garanzie pubbliche per la dismissione e cartolarizzazione dei crediti in sofferenza delle banche, l’accelerazione dei tempi di deducibilità fiscale delle perdite su crediti. Si tratta di un sistema bancario che resta solido, benché l’elevata consistenza delle sofferenze renda necessario accrescerne la resilienza.
Il Governo ritiene che la strategia di rafforzamento del sistema creditizio debba basarsi anche su ulteriori interventi in materia di giustizia civile, che favoriscano la dismissione dei crediti in sofferenza da parte delle banche.
Per agevolare le decisioni di investimento delle imprese la giustizia italiana deve divenire più equa ed efficiente, uniformandosi agli standard europei. A tal fine negli ultimi due anni si è proceduto alla introduzione del processo telematico e di incentivi fiscali alla negoziazione assistita e all’arbitrato, alla ridefinizione e razionalizzazione della geografia dei tribunali, all’allargamento della sfera di applicazione degli accordi stragiudiziali. Sono state inoltre avviate le riforme del processo civile e della disciplina delle crisi di impresa e dell’insolvenza – con l’obiettivo di aumentare le opportunità di risanamento delle crisi aziendali, limitandone i danni al tessuto economico circostante. Si perseguono obiettivi di snellimento e semplificazione della macchina giudiziaria, la cui transizione mira a una gestione manageriale dei procedimenti.
Perché il ‘clima d’investimento’ in Italia migliori sensibilmente è anche indispensabile conseguire una maggiore efficienza della Pubblica Amministrazione, che deve essere in grado di rendere servizi di qualità a cittadini e imprese; sono state in tal senso approvate le norme riguardanti la semplificazione e l’accelerazione dei provvedimenti amministrativi, il codice dell’amministrazione digitale, la trasparenza negli appalti pubblici, la riorganizzazione delle forze di polizia e delle autorità portuali, dei servizi pubblici locali, delle società partecipate da parte delle amministrazioni centrali e locali, delle Camere di Commercio. Ulteriori interventi riguarderanno la lotta alla corruzione, la riforma della dirigenza pubblica, la disciplina del lavoro dipendente nella P.A., la riorganizzazione della Presidenza del Consiglio e degli enti pubblici non economici. Il programma di riforma della P.A. si affiancherà all’attuazione dell’Agenda per la Semplificazione.
Le politiche nazionali – comuni a tutte le regioni – vanno rafforzate laddove persistano ritardi nella formazione del capitale umano, nella produttività e nelle infrastrutture, supportandole anche con opportuni stimoli macroeconomici, quali quelli contenuti nella legge di stabilità 2016. Con l’obiettivo di contribuire alla riduzione degli squilibri territoriali il Masterplan per il Mezzogiorno mira a sviluppare filiere produttive muovendo dai centri di maggiore vitalità del tessuto economico meridionale, accrescendone la dotazione di capacità imprenditoriali e di competenze lavorative.
La realizzazione dei progetti promossi dal Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (FEIS, al cuore del cosiddetto “Piano Juncker”) sta già offrendo un contributo al rilancio degli investimenti privati: in base agli ultimi dati si registrano ventinove iniziative tra accordi di finanziamento e progetti infrastrutturali, per 1,7 miliardi di risorse. Considerando l’effetto della leva finanziaria potranno essere attivati investimenti pari a circa 12 miliardi.

Una politica di bilancio attenta alla crescita e alla sostenibilità delle finanze pubbliche

L’andamento della finanza pubblica è soggetto ad alcuni vincoli, primo fra tutti l’esigenza di ridurre il debito pubblico in percentuale del PIL.
Nel 2015 il rapporto debito/PIL si è sostanzialmente stabilizzato; per il 2016 si prevede una discesa dal 132,7 al 132,4 per cento; per il 2019 si prevede un valore pari al 124,3 per cento. L’inversione della dinamica del debito è un obiettivo strategico del Governo. Dopo aver raggiunto nel 2015 l’obiettivo prefissato di riduzione dell’indebitamento netto al 2,6 per cento del PIL, nel 2016 il disavanzo scenderà ulteriormente al 2,3 per cento. Negli anni successivi spazio di bilancio addizionale verrà generato da maggiori entrate e risparmi di spesa – realizzati mediante un ampliamento del processo di revisione della spesa.
L’effetto congiunto di queste misure assicurerà la riduzione dell’indebitamento netto all’1,8 per cento del PIL nel 2017.
L’azione di consolidamento delle finanze pubbliche beneficia dell’attuazione del programma di privatizzazioni di aziende e proprietà immobiliari dello Stato, uno strumento fondamentale per modernizzare le società partecipate e contribuire alla revisione della spesa.
È una politica di bilancio in linea con quella adottata negli ultimi due anni, che incide sulla composizione delle entrate e delle spese in maniera favorevole alla crescita, al tempo stesso attenta alla disciplina di bilancio e al rispetto delle regole europee. Basti ricordare che negli anni della crisi finanziaria l’Italia risulta il paese che ha mantenuto l’avanzo primario corretto per il ciclo sui valori in media più elevati dell’area dell’euro; è stata tra i pochi paesi ad aver conseguito un saldo primario positivo, a fronte della gran parte dei paesi membri dell’Eurozona che hanno visto deteriorare la loro posizione nel periodo considerato.
Il Governo ritiene inopportuno e controproducente adottare una intonazione più restrittiva di politica di bilancio in considerazione di diversi fattori:
i) i concreti rischi di deflazione e stagnazione, riconducibili al contesto internazionale;
ii) l’insufficiente coordinamento delle politiche fiscali nell’Eurozona, che complessivamente esprime una politica di bilancio inadeguata se tenuto conto della evidente carenza di domanda aggregata;
iii) gli effetti perversi di manovre eccessivamente restrittive, che potrebbero finire per peggiorare, anziché migliorare, il percorso di aggiustamento del rapporto debito/PIL.

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L’Italia ha accumulato negli anni un debito elevato, la cui gestione è divenuta più difficile con la perdita di prodotto causata dalla recessione e per via delle spinte deflazionistiche. Ciò malgrado la politica di bilancio può favorire la crescita ancorando le aspettative di imprese e famiglie a una prospettiva credibile di riduzione del rapporto debito/PIL e migliorando la composizione dell’intervento pubblico. In merito al primo obiettivo, va ricordato che nel corso dell’ultimo biennio la politica di bilancio ha conseguito gli obiettivi indicati senza interventi correttivi in corso d’anno e senza aumenti del prelievo sul lavoro, sulle imprese e sui consumi, bensì conseguendo nel periodo una diminuzione della pressione fiscale di 0,8 punti percentuali. In merito al secondo obiettivo, il processo di revisione della spesa verrà reso più efficace dalla riforma del processo di formazione del bilancio dello Stato. Tale innovazione contribuirà al superamento della logica emergenziale che ha contraddistinto la politica di bilancio e la politica economica tutta negli ultimi anni; accrescerà la responsabilizzazione dei titolari delle decisioni di spesa, al tempo stesso agevolando un esame dell’intera struttura del bilancio, anziché dei soli cambiamenti attuati con la legge di stabilità.
Anche le riforme istituzionali che il Parlamento ha approvato sono funzionali a una politica economica orientata al medio e lungo termine. La riforma della legge elettorale, il superamento del bicameralismo e la revisione dell’allocazione delle competenze tra centro e periferia assicureranno una governance politica più stabile ed efficace. Si tratta di un insieme di riforme cruciali, che permetterà di superare alcuni limiti storici del nostro Paese e che è reso ancor più rilevante dalla crescente fragilità che la lunga crisi economica sta immettendo nei sistemi politico-istituzionali di diversi paesi europei. Davanti a una prospettiva di incertezza e debolezza che si va diffondendo nel panorama globale, queste riforme restituiranno all’Italia la capacità di competere e confrontarsi con le principali economie del mondo.

Pier Carlo Padoan
Ministro dell’Economia e delle Finanze