Le ferie coatte del Dirigente scolastico

Le ferie coatte del Dirigente scolastico

di Francesco G. Nuzzaci

da Scuola e Amministrazione, n. 4, Aprile 2016

Casualmente ci siamo imbattuti nella  nota prot. n. 5571 del 7 aprile 2016, a firma del direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale della Lombardia. E la nostra attenzione è stata catturata da un singolare passaggio, che impone ai dirigenti scolastici – nelle giornate di chiusura della scuola, deliberate dagli organi collegiali – di  mettersi in ferie, salvo impegni istituzionali, o già programmati, svolti in tali date.

La nota, così è scritto, è stata diramata a seguito di alcuni quesiti di diretti interessati e segna la conferma di un’Amministrazione adusa a sprigionare, con inesorabile regolarità, la sua incomprimibile fantasia di creatrice del diritto, anche in ambiti di non particolare rilevanza, ogniqualvolta venga sollecitata da coloro che, pur nella chiarezza della fonte normativa – al cui accesso diretto sono, evidentemente, refrattari e/o della quale non si fidano –, reclamano l’intervento, presunto salvifico, del Superiore Ufficio. Presunto, perché – posto che non sia pleonastico – spesso sortisce l’effetto opposto: di complicare, in luogo di facilitare, l’azione di chi, per legge, deve quotidianamente assumersi la responsabilità di ragionare e decidere con sorvegliata discrezionalità, anche per quel che concerne la sua presenza fisica in ufficio.

Era successo riguardo ai vincoli della legge di stabilità 190/14 in materia di supplenze di docenti e personale ATA, con il risultato di aggiungersene ulteriori in via interpretativa! Ed era successo subito dopo l’emanazione della legge 107/15, con Viale Trastevere impegnato a modificare per FAQ le disposizioni primarie del  T.U. 297/94, inopinatamente statuendo che il Collegio dei docenti e il Consiglio d’istituto potevano scegliere liberamente di sottrarsi all’obbligo giuridico di individuare i componenti di rispettiva pertinenza nel novellato Comitato di valutazione, per la successiva delibera dei criteri propedeutici all’erogazione del bonus premiale.

Ora sappiamo che – sia pure per la sola Lombardia, è da supporsi – è in vigore un nuovo istituto giuridico, quello delle ferie coatte, al di fuori e al di là della disciplina contrattuale e succedanee norme imperative, di cui alla legge 135/12, che l’hanno integrata: l’una e le altre peraltro richiamate dalla stessa Amministrazione a fondamento della propria decisione, adottata a dispetto dell’elementare principio di non contraddizione.

Difatti, l’art. 16 CCNL dell’Area quinta della dirigenza scolastica stabilisce che la programmazione e l’organizzazione delle ferie rientra nell’esclusiva competenza e responsabilità di ogni dirigente: ciò che, prima facie, sembra un privilegio, nel mentre trattasi di subordinazione all’obbligo di garantire comunque, in tali periodi, la continuità e la regolarità del servizio scolastico.

Il che è la conseguenza di quanto previsto nel precedente art. 15, primo comma, dove si legge che In relazione alla complessiva responsabilità dei risultati, il dirigente organizza autonomamente i tempi e i modi della propria attività, correlandola in modo flessibile alle esigenze della Istituzione cui è preposto e all’espletamento dell’incarico affidatogli.

Com’è giusto che sia. Se si è dirigenti.

Né può dirsi che, a sostegno del solerte e tracimante Ufficio scolastico regionale della Lombardia, sovvengono le disposizioni pubblicistiche introdotte dall’art. 5, comma 8, della legge 135/12, perché – coerentemente con la loro natura di norme finanziarie – si limitano a prescrivere che in nessun caso possono aver luogo trattamenti economici sostitutivi delle ferie contrattualmente regolate; che pertanto il dirigente dovrà programmare anche in previsione di cessazione del rapporto di lavoro, di mobilità, dimissioni, pensionamento e raggiungimento di limiti di età. La ratio è chiara: neutralizzare ogni possibilità che l’interessato si crei, più o meno artatamente, le condizioni per monetizzare ferie non godute.

E’ di palmare evidenza che si è di fronte a un abuso – non importa se consumato con o senza consapevolezza –,  che imporrebbe l’annullamento in parte qua della nota di cui si discorre. Ma al di là di quel che a noi sembra un atto dovuto, l’USR Lombardia dimostra di considerare i dirigenti scolastici alla stregua del loro dipendente personale ATA, obbligato per contratto (art. 51, comma 1, CCNL Scuola) ad un ordinario orario di lavoro di 36 ore settimanali, suddivise in sei ore continuative: che pertanto – nelle giornate di chiusura degli uffici deliberate dalle singole istituzioni scolastiche – deve  pro parte restituire, chiedendo ferie o recuperando con rientri pomeridiani e/o prolungamento d’orario in ragione delle esigenze funzionali della scuola.

Per contro, nel rispetto della disciplina contrattuale, ogni dirigente scolastico – anche se operante in Lombardia – potrà, legittimamente e liberamente, stimare l’opportunità o la convenienza di collocarsi in ferie nelle giornate di chiusura degli uffici, dandone comunicazione all’Amministrazione esclusivamente attraverso la piattaforma  dalla stessa predisposta. Oppure, determinandosi altrettanto liberamente e senza l’obbligo di comunicare alcunché, potrà:

  1. provare a mettere ordine – nella quiete degli uffici deserti, con i telefoni che finalmente non squillano e le porte che non si aprono in continuazione – nella congerie di adempimenti che quotidianamente lo sommergono e che, inevitabilmente, si sono accumulati;
  2. in alternativa, decidere di tirare un po’ il fiato – ai sensi dell’art. 15, comma 2, del CCNL 2006 Area V della dirigenza scolastica, richiamato dalla benevolenza dell’USR – e concedersi un adeguato recupero del tempo di riposo sacrificato alle necessità del servizio.

Liceo Classico in crisi? No, ma occorre cambiare

Liceo Classico in crisi? No, ma occorre cambiare

Diesse Lombardia porta il contributo di lavoro dei suoi docenti e dirigenti al Convegno di studi “Il Liceo classico del futuro. L’innovazione per l’identità del curricolo” che si svolgerà presso il
Politecnico di Milano il 28/29 aprile 2016.
Al termine delle iscrizioni per la scuola secondaria di II grado, si ripresenta il dibattito sulla sopravvivenza del Liceo Classico: ci si chiede se il Liceo Classico possa rispondere alle esigenze della società contemporanea e, se le materie caratterizzanti abbiano ancora qualche appeal per gli studenti del XXI secolo. Questo dibattito è però in larga misura fuorviante, se non parte da una
riflessione sul significato dell’esperienza liceale. Lo studio liceale non ha come obiettivo prioritario la formazione di una competenza professionale specifica; ha piuttosto un obiettivo critico e – per
così dire – “universale”; propone un confronto tra le culture e la loro capacità di trovare soluzioni inedite; propone chiavi di lettura del mondo e sollecita gli studenti a sapersi confrontare criticamente con tali letture.
Da questo punto di vista, il Liceo Classico si pone come percorso “principe”, perché trasmette conoscenze sulla storia della cultura, intesa come tentativo dell’uomo di comprendere il mondo, l’esistenza, la natura in cui è immerso. Non c’è quindi una separazione fra materie letterarie e scientifiche, fra lo studio della filosofia e della fisica: ogni materia concorre a un sapere unitario,
che è frutto di una ragione in continua ricerca del senso.
La prospettiva cronologica con cui vengono proposti i diversi ambiti di studio è un aiuto prezioso per comprendere un dialogo ininterrotto dalla grecità fino ai giorni nostri. Lo studio delle lingue
antiche diviene così elemento imprescindibile per poter cogliere in profondità lo spirito di coloro che le hanno utilizzate come veicolo di pensiero. La traduzione dei testi greci e latini non è finalizzata soltanto alla conoscenza dell’origine delle lingue moderne da noi parlate o a un esercizio stilistico più o meno stimolante dal punto di vista intellettuale; essa sviluppa la capacità di aprirsi al diverso, aiutando ad entrare con i propri “piedi” e la propria ragione in un mondo che merita di essere esplorato.
Ogni studente può fare l’esperienza di un dialogo sorprendente con gli uomini del passato, che illumina il presente, regalandogli una prospettiva di respiro inimmaginato.
E’ possibile anche valutare criticamente le competenze in uscita dello studente del Liceo Classico, a partire dalla competenza che ci sembra fondamentale: “saper imparare”.
Le competenze inoltre sono in qualche misura verificabili già durante il percorso, anche grazie all’alternanza scuola-lavoro, promossa dalla riforma. È ampiamente noto ai dirigenti scolastici che le aziende o i liberi professionisti che ospitano gli studenti provenienti da un Liceo Classico notano in loro una duttilità e un interesse conoscitivo più ampio rispetto a studenti provenienti da altri indirizzi. Da notare è il fatto che anche le Facoltà scientifiche ricevono studenti dal Liceo Classico e che tale percorso di studi non risulta svantaggioso dal momento che i “classicisti” non solo superano egregiamente i test di ingresso, ma hanno anche successo notevole nel percorso universitario.
Certo, occorre superare un nozionismo sterile ed esasperato talvolta presente nel liceo: soprattutto gli insegnanti sono chiamati a selezionare ciò che è essenziale e a rendere chiaro il nesso tra un passato apparentemente lontano e l’esperienza viva del presente. Ma è proprio la sfida del liceo classico.
Sono questi i punti su cui deve vertere, a nostro parere, una discussione sulla sopravvivenza degli studi classici nel nostro paese.

A cura di Paolo Lamagna, coordinatore del gruppo di lavoro di Diesse Lombardia su liceo classico.

Valorizzare tutte le professionalità, rinnovare il contratto di lavoro

Valorizzare tutte le professionalità, rinnovare il contratto di lavoro: domani 28 aprile FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e Snals Confsal manifestano a Roma in Piazza Montecitorio

Domani, 28 aprile, ancora una volta insieme FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e Snals Confsal scenderanno in piazza, insieme a docenti, ATA e dirigenti provenienti da tutta Italia, per raccontare la loro idea di scuola: una #scuolavera, fatta di partecipazione, collegialità, autonomia e contrattazione, una scuola che valorizza tutte le professionalità e ascolta i bisogni di tutto il personale che vi lavora ogni giorno. Nel corso del presidio interverranno i segretari generali delle quattro organizzazioni sindacali promotrici e alcuni rappresentanti eletti nelle RSU e delegati di istituto, la voce della scuola vera.
“E’ il nostro lavoro che fa la scuola”, così si apre la petizione con la quale i sindacati uniti hanno lanciato una nuova fase di mobilitazione; una petizione che nelle scorse settimane è stata sottoscritta in tutte le scuole da tantissime lavoratrici e tantissimi  lavoratori.
Contratto, stabilità del lavoro, qualità dell’apprendimento, partecipazione democratica: questi, e molti altri, i punti essenziali contenuti nella petizione con la quale i sindacati pongono al centro dell’attenzione il personale della scuola nella sua unitarietà e complessità, proponendolo come il vero protagonista attivo ed essenziale di processi di innovazione, chiedendo un riconoscimento adeguato dell’impegno e della professionalità spesi ogni giorno per assicurare a studenti e famiglie la migliore qualità dell’azione educativa.

FLC CGIL
Domenico Pantaleo
CISL SCUOLA
Maddalena Gissi
UIL SCUOLA
Pino Turi
SNALS CONFSAL
Marco Paolo Nigi

Kalos e Agatos e il “bullo”

Kalos e Agatos e il “bullo”

di Adriana Rumbolo

Ero entrata nella scuola pubblica fra studenti di 12 /16 anni con il mio programma “conosci te stesso” ispirato alle neuroscienze.
Ne ero così convinta che mi sono avviata al primo appuntamento ,in una prima superiore,  con grande tranquillità.
Ero sicura che avrei potuto offrire ai ragazzi quelle informazioni che io e tanti miei amici  avevamo aspettato invano   nel nostro percorso scolastico.
E così è avvenuto
.Erano ansiosi di comunicare e io non ho perso tempo a fare delle emozioni  la prima tappa delle loro conoscenze  per comunicare meglio
Sono arrivate a raffica mille domande , osservazioni , riflessioni  per fortuna una diversa dalle altre .
Quindi gli studenti appena hanno cominciato a conoscere  le emozioni  iniziavano  subito a riflettere sul loro comportamento e su quello dei compagni con più attenzione e critica
,Il gruppo dei pari offre uno spaccato sociale insostituibile
Scoprivano così che il” bullo” non è un soggetto più forte ma come la vittima che subisce  non sa gestire bene le proprie emozioni  i propri meccanismi difensivi così il bullo aggredisce  perchè  non sa gestire bene  la propria rabbia distruttiva , e non gode di buona autostima .
Tante interpretazioni sono state dette e scritte alcune più interessanti , alcune meno , ma nessuna che io sappia sul rapporto del bullo con il bello, il buono.
Ha scritto Piero Barbanti «La  neuroestetica, una branca della ricerca sul bello e il cervello, rivela come peculiare il fatto che la bellezza abbia un valore finalizzato, che attivi cioè nel cervello le stesse vie che si attivano quando cerchiamo il cibo o quando vogliamo riprodurci. Quindi la bellezza è una parola chiave per la nostra sopravvivenza e per la nostra riproduzione».
«Essa», continua, «genera nel cervello un terremoto, che, per così dire, va prima avanti e poi indietro. Ad esempio se vedo un bellissimo paesaggio, si risveglia in me la parte della visione, che mi dice cosa sto osservando, quindi l’impulso prima va in avanti, poi però si tuffa in profondità nei centri della memoria pescando vecchi ricordi e nei centri dell’emotività dando gratificazione ma anche brivido: un brivido scuotente tra quello che vedo e quello che ricordo del mio passato».
Altro aspetto: il rapporto tra bellezza e bontà, che sussiste nel nostro stesso modo di essere e di pensare. «In questo caso avviene una bizzarria: se vedo qualcosa di molto bello la parte orbito-frontale del mio cervello si attiva, ma la stessa si attiva anche se penso, vedo, immagino o parlo con una persona di grande moralità: tendiamo cioè a considerare belli i buoni e viceversa. In tal senso la sovrapposizione tra “kalos e agatos”, tra bello e buono, ha una base neurofisiologica».
Allora il bullo potrebbe essere  nato con un deficit su base fisiologica al bello e al buono.
Non è difficile trovare bambini anche molto piccoli che non hanno una marcata predisposizione a monitorare il mondo intorno alla ricerca del bello e del buono,   che può suscitare in loro una risposta di forte e gioioso benessere  come succede per  la ricerca dell’amore o del cibo necessari alla sopravvivenza.
E qualora un educatore lo intuisse sarebbe possibile  migliorare almeno un po’ questa carenza?
E come?
Oppure è intermittente per fattori ambientali,  relazionali come lo sono il cibo (bulimia, anoressia) o come la ricerca del sesso che può essere debole o  divenire addirittura ossessiva per esperienze e fattori ambientali?
In questo momento ,come dicono,  di forte aumento del fenomeno bullismo potrebbe essere una società povera di bello e buono a indebolirlo  a favore della ricerca di valori materiali che possono esistere senza desiderio, parola sconosciuta dai miei studenti,  e quindi avviarsi a una dipendenza oggettistica tecnologica  dannosa al soggetto e alla società ?
Se il bullo è sempre esistito, basta ricordare il titolo del famosissimo film di Totò”Siamo uomini o caporali!” o tanti personaggi della politica peggiore che ha influenzato interi periodi storici è ora che , soprattutto nel percoso educativo,  alla luce della “neuroestetica” si osservi  meglio conoscendone le basi neurofisiologiche l’aspetto emotivo relazionale  e  quello importantissimo della società   attuale.

La scuola «dribbla» la legge Fornero: nei prossimi tre anni in pensione 79.698 prof

da Il Sole 24 Ore 

La scuola «dribbla» la legge Fornero: nei prossimi tre anni in pensione 79.698 prof

di Claudio Tucci

La scuola sembra essere l’unico comparto ad aver risentito per un periodo limitato dell’allungamento dei requisiti pensionistici operato nel 2012 dalla legge Fornero. Almeno stando alle stime sulle uscite del personale docente fatte dal Miur, e depositate qualche giorno fa in commissione Cultura della Camera. Che evidenziano come nel triennio 2016-2018 verranno collocati in quiescienza, tra posti comuni e sostegno, 79.698 insegnanti (76.966 docenti su posto comune e 2.732 relativi al sostegno).

Le uscite stimate
Secondo la documentazione fornita dal ministero, al 1° settembre 2016 lasceranno il servizio 25.630 insegnanti, di cui, la fetta maggiore, alla scuola primaria (10.770 pensionamenti). Al 1° settembre 2017 andranno in pensione 23.791 prof, anche qui in quota prevalente maestri (11.229). Al 1° settembre 2018 usciranno dalle classi 30.277 insegnanti (11.837 della primaria). Complessivamente, nel triennio 2016-2018, lasceranno il lavoro oltre 32mila maestri, 18mila professori delle superiori, 15mila delle medie. All’infanzia in quiescienza quasi 14mila insegnanti. In media, quindi, si registreranno 25mila uscite annue, numeri più elevati dopo la caduta del 2014 (meno di 15mila pensionamenti) e del 2015 (19mila prof in pensione).

I picchi del 2007 e 2009
Tranne i picchi del 2007 e 2009 quando uscirono, rispettivamente, 54.832 prof e 41.962 insegnanti, per timore di giri di vite sulle normative prospettate dagli allori ministri del Lavoro, Cesare Damiano (governo Prodi) e Maurizio Sacconi (governo Berlusconi), i dati dei pensionamenti nella scuola sono più o meno sempre oscillati tra le 25-30mila unità annue. La legge Fornero, del 2012, quindi, non sembrerebbe aver inciso più di tanto nel comparto se non negli anni immediatamente successivi; anche perchè, spiegano dai piani alti del Miur, l’età in ingresso nella scuola progressivamente sta avanzando.

Le stime dei pensionamenti dei prof 2016-2018 sono però inferiori al turn-over conteggiato dallo stesso Miur tra concorsone e immissioni in ruolo da Gae (nel rispetto al criterio, 50-50) da effettuare nel medesimo periodo. Come si saprà, il concorsone è da 63.712 posti e il ministero dell’Istruzione ha sempre dichiarato di voler assumere, anche, circa 30mila docenti dalle Gae, per un totale, complessivo, di oltre 90mila posizioni nei tre anni. Un numero, però, più elevato dei pensionamenti stimati.

Soldi ai prof più anziani anzi no, ai più tecno il caos nelle scuole per i premi al merito

da la Repubblica

Soldi ai prof più anziani anzi no, ai più tecno il caos nelle scuole per i premi al merito

Duecento milioni, ventitremila euro per istituto: è il tesoretto messo in palio dal governo per gratificare chi si è maggiormente distinto. Tra le polemiche

Laura Montanari Valeria Strambi

OGNI SCUOLA a modo suo, in piena autonomia e in ordine sparso, fra mugugni e polemiche. Il bonus che premia il merito degli insegnanti è una novità introdotta dalla Buona Scuola, «una riforma culturale » l’ha definita il ministro Giannini. Ora ci siamo. Fra proteste e ritardi, dall’infanzia alle superiori, gli istituti si mettono in moto e cominciano a definire i criteri. Chi vorrebbe premiare il professore di lungo corso, quello che sta per andare in pensione. Chi gli innovatori: quelli che portano i ragazzi a teatro la domenica, che insegnano con le lavagne digitali o fanno partecipare gli studenti a progetti internazionali. Chi preferirebbe assegnare il bonus a quelli che fanno lezioni supplementari di lingua italiana agli stranieri, o organizzano iniziative per i ragazzi svantaggiati o, genericamente, «danno un contributo al miglioramento della vita scolastica».
Da Nord a Sud il puzzle è variegato. Ci sono scuole che preparano griglie a punti con un ricco menù, di voci e incroci, per dare i voti alle cattedre: a fine anno, vincerà chi otterrà la somma più alta, una specie di campionato dell’impegno didattico. Esempio, in una scuola fiorentina daranno fra 12 e 24 punti a chi porterà i ragazzi a una mostra di sabato o domenica, agli animatori digitali, a chi trascriverà i verbali dei consigli di classe, a chi si occuperà di stendere i «curricoli verticali» (cioè i programmi). Altre all’opposto sono meno rigide e tracciano soltanto una cornice di principi ispiratori lasciando che siano i presidi a decidere la “pagella” del buon docente. Insomma ciascuna scuola declina come meglio crede il bonus in arrivo nei prossimi mesi. Il mondo della scuola però è diviso fra il partito del “finalmente”, “era ora” e chi come la Cgil si oppone: «Stiamo raccogliendo le firme per un referendum, fra i quattro punti, uno è proprio sui premi ai docenti. Gli incentivi vanno distribuiti a un tavolo con le Rsu, non certo a discrezione dei dirigenti di istituto» spiega Annamaria Santoro.
Fra i corridoi e le aule cresce la preoccupazione in vista della scadenza del 31 agosto quando i dirigenti scolastici dovranno consegnare al Miur la lista dei premiati. Così le scuole corrono ai ripari, molte sono in ritardo e contano di riunire la commissione nei prossimi giorni. Da oggi il ministero comincerà un monitoraggio per avere la fotografia di quello che sta succedendo e capire eventuali difficoltà. Per venire incontro a queste ultime, sul sito del Miur e anche su quello dell’Indire (Istituto di ricerca e innovazione per la didattica) sarà possibile contattare, tramite una piattaforma web, gli esperti per sciogliere i dubbi o ricevere informazioni sul bonus. Questa sperimentazione andrà avanti per tre anni lasciando piena autonomia agli istituti, poi il ministero «selezionerà i criteri più significativi e stenderà una lista unica uguale per tutti» a cui tutti si dovranno adeguare. «La scuola non può più sottrarsi alla valutazione — sostiene Giovanni Biondi, presidente dell’Indire — è importante valorizzare il lavoro di quegli insegnanti che riescono a fare una didattica innovativa contagiando i colleghi e stimolando gli studenti». Secondo Biondi l’Italia arriva in ritardo, dal momento che negli altri Paesi europei la valutazione esiste da anni: «Per noi è una novità, ma in Francia e in Inghilterra il sistema è rodato. Con la differenza che lì mandano un ispettore esterno ad assistere a una lezione e a giudicare. Qui invece, in maniera molto più trasparente, abbiamo affidato il giudizio all’intera comunità scolastica». Nel comitato che si occupa di valutazione ci sono insegnanti, genitori e, per le superiori, anche un rappresentante degli studenti. Il ministero ha stanziato un fondo di 200 milioni di euro per tutte le scuole italiane: di media 23mila euro lordi a istituto. Quanto riceverà il «buon insegnante», dipenderà dai criteri: si può pensare a una base minima che parte da 500 euro e sale. Voci dalle aule: «Il lavoro docente va valorizzato anche economicamente — spiega un preside di Piacenza, Mario Magnelli del Comprensivo di Fiorenzuola — ma il riconoscimento deve essere condiviso e sereno ». Il rischio è quello di avvelenare il clima. Fra le ipotesi in considerazione, quella di premiare i docenti che hanno fatto da tutor ai neoimmessi in ruolo. «Si può discutere come assegnarle — dice Floriana Buonocore, dell’istituto Tozzi di Siena — ma sono risorse aggiuntive per le scuole. Vanno a premiare chi aiuta i ragazzi a crescere, dipende da noi usarle bene».

Chiamata diretta, ora si tratta

da ItaliaOggi

Chiamata diretta, ora si tratta

Domani riparte il confronto ministero-sindacati anche su nuovi organici e mobilità

Carlo Forte

Chiamata diretta, organici, mobilità nei licei musicali. Sono queste le materie che saranno affrontate al tavolo negoziale domani, mercoledì 26 aprile, a viale Trastevere. Il ministero ha convocato i sindacati per fare il punto della situazione dopo 11 giorni di stand by. Oltre ai tempi tecnici per studiare le varie questioni, a rallentare la trattativa è intervenuta anche l’esclusione della Gilda-Unams dal tavolo delle trattative dopo che l’organizzazione aveva rifiutato di firmare il contratto sulla mobilità. Ne è nato un contenzioso, che si è risolto con la riammissione del sindacato alle trattative a seguito di un parere dell’Aran.

Chiamata diretta. Domani si parte con la sequenza contrattuale sulla chiamata diretta dei docenti. L’ipotesi di contrattualizzare parte della disciplina ha incontrato molti ostacoli. Che hanno rallentato anche il placet degli organi di controllo in riferimento all’ipotesi di contratto sulla mobilità. Adesso la questione sembrerebbe superata, ma la strada è tutta in salita. Nella legge 107, infatti, non vi è alcun accenno alla possibilità di contrattualizzare la normativa di dettaglio sulla chiamata diretta. E dunque, non è ancora chiaro quali siano i margini di manovra della contrattazione collettiva in una materia, la chiamata diretta, che risulta riservata alla legge. Probabilmente, dunque, più che sugli aspetti sostanziali, la sequenza interverrà su quelli procedurali, con particolare riferimento alle procedure negoziali di proposta e accettazione degli incarichi preside-docenti (che avranno durata triennale). Dopo l’avvento della legge 15/2009, infatti, la contrattazione collettiva non può derogare le norme di legge. E tale preclusione è espressamente ribadita anche nella legge 107.

Organici. Quest’anno è la prima volta che negli organici, oltre ai posti e alle cattedre destinate ad insegnamenti cosiddetti frontali, faranno il loro ingresso i posti di potenziamento. Dal punto di vista sostanziale non vi è alcuna differenza tra le cattedre di diritto e i posti di potenziamento. La legge 107, infatti, prevede espressamente che queste tipologie di cattedra si fondano nell’organico delle singole scuole. Oltre tutto, il ministero avrebbe lasciato intendere che i dirigenti scolastici avrebbero titolo ad annullare la distinzione tra diritto e potenziamento, distribuendo le ore di potenziamento tra tutti i docenti della stessa disciplina. Sulla falsa riga di quanto avveniva con le cosiddette ore a disposizione. Resta da vedere, però, quali saranno i criteri per coniugare le richieste delle scuole in base al piano triennale dell’offerta formativa e la necessità di non creare esuberi. Quest’anno, infatti, nella fase C l’amministrazione ha distribuito i docenti neoimmessi in ruolo non sulla base delle richieste della scuole, tenendo conto solo del numero degli aspiranti docenti presenti nelle varie discipline. E dunque, non sono rari i casi in cui, pur avendo chiesto un docente di matematica, nella scuola interessata sia giunto un prof di diritto.

Licei musicali. Per quanto riguarda la mobilità nei licei musicali, già nelle riunioni precedenti le parti avevano raggiunto un accordo per precludere l’accesso alla mobilità professionale a nuovi ingressi, attribuendo la precedenza assoluta a chi già insegna in queste istituzioni scolastiche. Precedenza che avrà valore solo nel liceo dove si è già stati utilizzati. Per il resto è prevista una maggiorazione di punteggio per il servizio specifico. La questione è venuta fuori dopo che anche i docenti di educazione musicale in possesso del diploma dello strumento specifico possono accedere alla mobilità professionale. Accesso che, però, è destinato a rimanere solo sulla carta. Va detto subito, peraltro, che alla mobilità professionale verso i licei sarà destinato solo il 50% dei posti. Il restante 50% andrà ad utilizzazione. E ciò consentirà di congelare parte dei posti dei docenti neoimmessi in ruolo che hanno differito la presa di servizio grazie a supplenze in corso di svolgimento nei licei. Questi docenti, infatti, attualmente non possono accedere alla mobilità professionale perché non in possesso della conferma in ruolo. L’anno prossimo, però, ne avranno titolo e potranno accedere al passaggio nei licei musicali giovandosi della precedenza.

Concorso docenti, al via gli scritti tra polemiche e speranze: tutto quel che c’è da sapere

da La Tecnica della Scuola

Concorso docenti, al via gli scritti tra polemiche e speranze: tutto quel che c’è da sapere

Mancano poche ore al via alle prove scritte del concorso docenti 2016: tra il 28 aprile e la fine di maggio saranno 93 le verifiche da svolgere.

Nel primo giorno, risultano 1.922 candidati ammessi alle prove per spartirsi in tutto 770 posti. Complessivamente, invece, sono 63.712 i posti in palio.

In media, ogni tre candidati uno si aggiudicherà il posto: sono 165.578, infatti, le domande presentate. La regione con più candidati ammessi è risultata la Campania (24.125), seguita da Lombardia (22.630), Sicilia (17.725) e Lazio (16.191).

Per arrivare al colloquio orale estivo, i candidati dovranno rispondere ad otto questi al computer entro 150 minuti: verteranno sulla materia di insegnamento e due saranno in lingua straniera (inglese, francese, tedesco o spagnolo, obbligatoriamente l’inglese per la primaria).

I primi sei quesiti saranno a risposta aperta (di carattere metodologico e non nozionistico), mentre i due in lingua prevedono la cosiddetta risposta “chiusa”, con il candidato dovrà dimostrare di avere un livello di competenza pari almeno al livello B2.

A parità di classe di concorso/tipo di posto tutte le prove avverranno in contemporanea su tutto il territorio nazionale. E in una stessa giornata, nella stessa aula, si potrebbero svolgere due differenti prove (per classi di concorso/tipo posto diversi), una nella mattinata e una nel pomeriggio.

Con una nota inviata agli Usr, il Miur ha fatto sapere che giorno della prova i candidati dovranno essere muniti di documento di riconoscimento, codice fiscale e copia della ricevuta di versamento dei diritti di segreteria (anche se è prevista la possibilità di regolarizzare il pagamento anche nei giorni immediatamente precedenti alla prima prova).

I responsabili delle commissioni (anche se un alto numero non sono ancora al completo, sia per l’esiguo compenso, che tale rimarrà anche se raddoppiato, sia per il pericolo di passare l’estate ad esaminare candidati) è bene che sappiano che dovranno ammettere a sostenere la prova anche i candidati eventualmente muniti di ordinanze o di decreti cautelari dei giudici amministrativi loro favorevoli: al momento, tuttavia, risultano pochi i ricorrenti ammessi.

Mentre, la maggior parte (soprattutto i laureati non abilitati) rimangono appesi alla decisione del Tar del Lazio di fissare per il 19 maggio l’udienza in cui si pronuncerà sulle richieste di ammissione in via cautelare alle prove d’esame del concorso docenti 2016 poste da molti ricorrenti (in prevalenza laureati non abilitati) che hanno impugnato la loro esclusione. E anche se il ricorso dovesse essere accolto, corrisponderebbe ad una vittoria cosiddetta di Pirro.

Perché la maggior parte delle prove scritte per quella data saranno già state svolte: “con danno irreparabile per i diretti interessati”, ha fatto notare la leader della Cisl Scuola, Lena Gissi, perché un decreto monocratico non ha il potere di far ripetere le prove. Anche se c’è chi sostiene che “in caso di accoglimento, lo stesso Tar Lazio dovrà mutare il precedente orientamento negativo e ordinare all’Amministrazione la partecipazione di tutti gli esclusi”.

Detto, quindi, che la “partita” dei ricorsi rimane ancora aperta, il Miur ha poi fatto sapere che sono previste procedure (codici di controllo, buste cartacee internografate) per assicurare l’anonimato nella correzione dei compiti realizzati dai candidati.

In sede di prova scritta, i candidati non potranno portare con loro telefoni, smartphone, tablet o qualsiasi altro strumento idoneo alla trasmissione o conservazione di dati.

Compensi commissari: ancora nulla di fatto

da La Tecnica della Scuola

Compensi commissari: ancora nulla di fatto

La seduta di oggi 26 aprile della Commissione Cultura del Senato si è conclusa con un nulla di fatto.
La questione dei compensi dei componenti delle commissioni di concorso non è stata discussa, probabilmente perchè l’emendamento del Governo di cui si parla da giorni non è ancora stato messo a punto.
Oggi è stato spostato ancora una volta il termine per la presentazione di ulteriori emendamenti, la seduta in programma per le 20,30 è stata annullata e quindi tutto è rinviato alla giornata del 27 aprile con il rischio che il provvedimento arrivi in aula in ritardo rispetto alle previsioni.
La giornata di domani 27 sarà decisiva anche perchè in settimana non sono previste altre sedute della Commissione.
Seguiremo con attenzione gli sviluppi del provvedimento, perchè dalla sorte di esso e dell’emendamento sui compensi per le commissioni esaminatrici potrebbe dipendere anche lo stesso regolare proseguimento dell’intera procedura concorsuale.

Merito docenti, monitoraggio dal 26 aprile al 6 maggio

da La Tecnica della Scuola

Merito docenti, monitoraggio dal 26 aprile al 6 maggio

È partito oggi, 26 aprile 2016, un primo monitoraggio intorno ad alcuni passaggi essenziali del percorso relativo alla valorizzazione del merito del personale docente.

Ne ha dato notizia il Miur, con la nota 4370 del 20 aprile 2016, con la quale ha illustrato le fasi della rilevazione.

In particolare, entro il 6 maggio dovranno essere compilate le seguenti schede:

  • La composizione del Comitato di valutazione
  • La definizione dei criteri per la valorizzazione del merito

Dal 20 giugno al 31 agosto si dovrà invece procedere alla compilazione della terza scheda:

  • L’utilizzo del bonus

Al termine della compilazione della scheda di monitoraggio n. 3 sull’utilizzo del bonus, i Dirigenti scolastici interessati, in accordo con i Comitati di valutazione, potranno dare la loro adesione per la documentazione della propria esperienza all’interno delle “buone pratiche” per la valorizzazione del merito del personale docente promossa da INDIRE. L’adesione, ad un prima raccolta d: buone pratiche da mettere a disposizione delle scuole sul sito dell’INDIRE, è volontaria.

Le schede di monitoraggio si trovano nel Portale della valutazione nell’area “docenti” (http://www.istruzione.it/snv/docenti.shtml).

Con la Fornero in pensione a 67 anni perché si doveva vivere di più: invece si muore prima

da La Tecnica della Scuola

Con la Fornero in pensione a 67 anni perché si doveva vivere di più: invece si muore prima

Con la riforma Fornero, gli anni di contributi per andare in pensione sono aumentati per via del sicuro innalzamento dell’aspettativa di vita degli italiani.

Dal primo gennaio scorso, proprio per l’adeguamento alle speranze di vita, l’età pensionabile si è elevata di ulteriori quattro mesi: in virtù del decreto ministeriale del 16 dicembre 2014, per accedere alla pensione anticipata bisogna oggi infatti aver conseguito ben 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per donne.  Per l’accesso alla pensione di “vecchiaia”, la soglia è di 66 anni e 7 mesi di età per entrambi i sessi.

E tra meno di tre anni il “tetto” per accedere all’agognato assegno pensionistico si eleverà di ulteriori 4-5 mesi, sempre per l’innalzamento degli anni di vita media che secondo l’Istat l’Italia è destinata a fare propri.

Le premesse però non hanno fatto i conti con il sistema sanitario nazionale. Che garantisce sempre meno visite mediche preventive. E siccome la salute è legata a doppio filo proprio alla prevenzione, i risultati si sono subito visti: per la prima volta nella storia d’Italia l’aspettativa di vita degli italiani è risultata in calo.

Ad affermarlo è stato il rapporto Osservasalute, presentato il 26 aprile. Ebbene, nel 2015 la speranza di vita per gli uomini è stata 80,1 anni e di 84,7 anni per le donne, spiega Walter Ricciardi, direttore dell’osservatorio sulla Salute delle Regioni. Nel 2014, invece la speranza di vita alla nascita era maggiore e pari a 80,3 anni per gli uomini e 85,0 anni per le donne.

Nella PA di Trento si riscontra, sia per gli uomini sia per le donne, la maggiore longevità (rispettivamente, 81,3 anni e 86,1 anni). La Campania, invece, è la regione dove la speranza di vita alla nascita è più bassa, 78,5 anni per gli uomini e 83,3 anni per le donne.

L’andamento in calo, tuttavia, è comune a tutte le zone d’Italia. “Il calo è generalizzato per tutte le regioni – ha spiegato Ricciardi -. Normalmente un anno ogni quattro anni, è un segnale d’allarme, anche se dovremo aspettare l’anno prossimo per vedere se è un trend. Siamo il fanalino di coda nella prevenzione nel mondo, e questo ha un peso”.

Allora, viene da chiedersi: se le cose stanno così, se gli italiani vivono meno anni, perché i requisiti pensionistici sono stati alzati ulteriormente? Perché nel 2030 la pensione vecchiaia sarà fruibile solo dopo i 68 anni di età? Perché nel dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi?

Con 8 domande si stabilisce il futuro: parla una candidata al concorsone

da La Tecnica della Scuola

Con 8 domande si stabilisce il futuro: parla una candidata al concorsone

«Uno su tre sarà assunto? La verità è che due su tre resteranno fuori. Ci hanno già valutati, per lo Stato siamo abili all’insegnamento. Perché dobbiamo sottoporci a una nuova prova?»

La Stampa dà voce a una docente, una degli oltre 150 mila candidati al concorso del 28 aprile: 46 anni, docente precaria da 13.

«Ho una laurea in architettura, per alcuni anni ho lavorato a Napoli, la mia città d’origine, come libera professionista. Poi l’amore mi ha portata a Torino, dove mi sono avvicinata per la prima volta all’insegnamento».

«C’era sempre molta richiesta di insegnanti di tecnologia, così ho potuto concedermi il lusso di scegliere in quale scuola andare. Da sei anni sono all’istituto comprensivo Chieri 1, ho concluso due cicli interi, porto avanti progetti lunghi, vedo crescere i ragazzi».

Il periodo più difficile lo vive nel 2014, quando si iscrive ai corsi per conseguire il Pas, il percorso abilitativo speciale riservato ai docenti con 360 giorni di esperienza. «Al mattino insegnavo a scuola, nel pomeriggio seguivo le lezioni al Politecnico e la notte studiavo».

Finché a un certo punto crolla: «Mentre preparavo uno degli ultimi esami sono finita in pronto soccorso per un malore da sfinimento. Soltanto la passione per questo lavoro mi ha dato la forza di non mollare».

I precari abilitati intanto insistono sull’iniquità di questo concorso e alcuni arrivano a minacciare il boicottaggio.

«La mia storia – continua la docente – è uguale a quella di migliaia di insegnanti: siamo nella scuola da anni, abbiamo investito moltissimo, in termine di tempo e denaro. La paura adesso è di aver faticato invano».

La spada di Damocle è un comma della legge sulla Buona Scuola che vieta di rinnovare i contratti a termine oltre i 36 mesi. «Se non dovessi superare questo concorso ho la prospettiva di altri tre anni da precaria per poi dover ricominciare ancora una volta da zero, alla soglia dei 50 anni». Luciana ha gli occhi pieni di rabbia e fatica a trattenere le lacrime: «Il mio futuro è appeso a quelle 8 domande».

Prove Invalsi: scuole preoccupate di “stare nella media”

da La Tecnica della Scuola

Prove Invalsi: scuole preoccupate di “stare nella media”

Come ogni anno, la rilevazione degli apprendimenti degli alunni mediante le prove predisposte dall’Invalsi si accompagna a polemiche, proteste e, forse anche, a comportamenti non del tutto legittimi di qualche scuola.

Un paio di lettori, per esempio, ci hanno scritto per segnalare che nelle loro scuole si sta consolidando la prassi di “suggerire” ai genitori di alunni che si teme possano ottenere risultati scarsi di non farli frequentare nei giorni delle prove.
Gli stessi lettori ci chiedono se questa scelta sia legittima o meno.

In proposito va detto che l’Invalsi ha predisposto una accurata tabella  nella quale vengono riportati tutti i casi relativi ad alunni con disabilità o con bisogni educativi speciali.
Per ciascun caso viene anche specificato se e come l’alunno debba partecipare alle prove e se i risultati delle stesse debbano essere “conteggiati” con quelli gli altri alunni.
Per gli alunni con disabilità intellettiva certifcata ai sensi della legge 104, per esempio, è la scuola a decidere in merito alla partecipazione alle prove i cui esiti, però, non vanno conteggiati con tutti gli altri.
Più articolato è il comportamento che la scuola deve mantenere nei casi di alunni con DSA e o con altri disturbi certificati (per esempio ADHD).
Per quanto riguarda gli alunni in situazione di svantaggio socio-economico, linguistico o culturale non è previsto invece nessun “trattamento” differenziato rispetto agli altri alunni.
Per venire infine al quesito dei lettori, appare del tutto evidente – per lo meno a parere di chi scrive – che “suggerire” a uno o più alunni di non presentarsi neppure a scuola non è assolutamente consentito.  Sicuramente un comportamento di questo genere risulta discriminatorio, ma non solo.  C’è infatti il rischio che una simile decisione della scuola possa persino integrare l’ipotesi della interruzione di pubblico servizio.  Non è davvero il caso che gli insegnanti si assumano una responsabilità del genere al solo scopo di “stare nella media”: le prove Invalsi non possono e non devono essere considerate come una partita di campionato in cui bisogna segnare per forza due goal per non scendere in classifica.

Una scelta di sinistra bocciata dalla sinistra

da tuttoscuola.com

Una scelta di sinistra bocciata dalla sinistra

Prepariamoci, dunque, ad affrontare un altro referendum abrogativo. Questa volta sulla scuola.

E’ partita la raccolta, infatti, delle firme per proporre alcuni quesiti referendari relativi a singole disposizioni contenute nella legge 107/15 sulla Buona Scuola.

In particolare i promotori del referendum-scuola chiedono che siano cancellati i poteri concessi ai dirigenti scolastici, il bonus scuola per le private, l’istituzione dei nuovi Comitati di valutazione e l’obbligatorietà delle ore di Alternanza scuola-lavoro.

Proprio su questa ultima questione, l’alternanza scuola-lavoro, che i promotori non vorrebbero obbligatoria, e sulle sue finalità, ci sia consentito esprimere alcune perplessità.

Una prima considerazione: da anni, soprattutto negli ambienti della sinistra e del mondo sindacale, si chiedeva di creare un rapporto strutturale tra scuola e lavoro per una formazione completa dei giovani. Dopo una timida fase sperimentale circoscritta, era stato però un governo di centro-destra a tradurre l’alternanza in norma (d.lgs 77/2005), con una accentuata caratterizzazione aziendalistica.

Ora la legge 107/15 interviene con accentuate modifiche strutturali: potenzia l’orario dell’alternanza, la rafforza nei licei (forse un governo di destra non l’avrebbe fatto), la rende obbligatoria e apre gli accessi ad ogni forma lavorativa, ben oltre i consueti limiti delle aziende tradizionali.

L’impostazione complessiva sembra avere tutte le caratteristiche di un’operazione di sinistra (anche se occorrerà vigilare affinché nella sua applicazione l’alternanza non diventi uno strumento del “mercato del lavoro”), ma proprio da sinistra viene l’attacco più forte contro l’obbligo e contro le finalità di questa forma di alternanza, tanto da proporre un referendum abrogativo.

L. Attanasio, Il bagaglio

IL BAGAGLIO
Migranti minori non accompagnati: il fenomeno in Italia, i numeri, le storie
di Luca Attanasio
con contributi di Giusi Nicolini e Stefano Trasatti
Edizioni Albeggi

attanasio

Il giornalista e scrittore Luca Attanasio racconta uno degli aspetti meno sondati dai reportage e dalle inchieste che narrano dei viaggi della speranza intrapresi dai profughi in fuga dalle guerre e dai migranti, quello dei minori non accompagnati.

“Mentre facevo queste indagini mi rendevo sempre più conto della presenza all’interno di questo fenomeno di ragazzini sempre più piccoli e all’inizio magari era più presente il fenomeno dei ragazzini accompagnati da qualche adulto, familiare, purtroppo negli ultimi tempi è esploso letteralmente il fenomeno dei migranti minorenni da soli”.

I bambini vengono considerati alla stregua di un Bagaglio…

Fra il 2013 e il 2015 gli arrivi di stranieri minori non accompagnati sono aumentati del 10%.

“Si tratta di ragazzi “costretti a venire a contatto con la mafia, ad essere gestiti in toto dalla mafia, ad assistere a scene di estrema violenza, a venire loro stessi torturati, picchiati, più e più volte, a vedere compagni morire lungo il viaggio”.

L’inchiesta di Attanasio cita numeri e storie vere: la rete che traghetta questi minori verso l’Europa è molto organizzata e, come spiega Attanasio, approfitta dei momenti di debolezza di questi ragazzi e della loro fragilità. Una volta che viene loro negata ogni possibilità, il passo per diventare spacciatori e per essere costretti a prostituirsi è breve e, infatti, la cosa avviene con grande frequenza.


Giovedì 5 Maggio ore 16.30

 

Biblioteca Vallicelliana

Piazza della Chiesa Nuova, 18 – 00186 Roma

Saluto di

Paola Paesano, direttrice Biblioteca Vallicelliana

Presentazione di

Luca Attanasio, giornalista e scrittore

Testimonianza di

Mohammed Keita, fotografo e protagonista di una delle storie