#PianoScuolaDigitale in Basilicata

Siglato Protocollo Miur-Basilicata per l’attuazione

Nuove metodologie didattiche, modelli di valutazione delle competenze digitali, alternanza scuola-lavoro, collegamento con i servizi per l’impiego.

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, e il Presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, hanno siglato oggi a Roma il Protocollo di intesa per l’attuazione del Piano Nazionale della Scuola Digitale in Basilicata.
“Il Protocollo siglato oggi consente un allineamento delle azioni nazionali con quelle territoriali per ottimizzare i risultati e garantire un maggiore impatto del processo di digitalizzazione nelle scuole. Attraverso le azioni del Piano Nazionale Scuola Digitale, il Miur ha già investito in Basilicata circa 5 milioni di euro. A questi vanno aggiunti 7,2 milioni destinati alla realizzazione di due scuole innovative”, ha sottolineato il Ministro Giannini. “Gli interventi hanno raggiunto il 100% delle scuole per quanto riguarda il wi-fi, gli ambienti digitali per l’apprendimento e la formazione. Sul fronte degli strumenti, ci saranno 25 nuovi atelier creativi, per un investimento complessivo di 375.000 euro, e un laboratorio territoriale, realizzato con uno stanziamento di 750.000 euro”.
“Con l’accordo firmato oggi – ha dichiarato il Presidente Pittella – la scuola lucana si proietta verso il futuro per assicurare alle giovani generazioni le competenze necessarie perché diventino protagoniste del cambiamento. La Basilicata – ha continuato Pittella – è la seconda regione italiana a firmare un’intesa con il Ministero dell’Istruzione per promuovere e sostenere la più ampia e capillare diffusione dei processi di innovazione digitale in tutte le istituzioni scolastiche presenti sul territorio. Di questo siamo onorati e contiamo di mettere a disposizione di tutti le nostre esperienze. Tale azione – ha aggiunto Pittella – si aggancia al progetto ‘Distretto Scol@stico 2.0’ che stiamo realizzando di concerto con il nostro Ufficio scolastico regionale. Tale progetto è diretto alla costituzione di una rete di laboratori per l’innovazione e la ricerca”.
In particolare, il Miur si impegna a mettere a disposizione della Regione tutte le informazioni per la piena attuazione del Piano Nazionale della Scuola Digitale e a diffondere presso tutte le scuole informazioni su vantaggi e opportunità derivanti dal Protocollo. La Regione Basilicata si impegna – tra l’altro – a programmare, in collaborazione con il Miur e il proprio Ufficio Scolastico Regionale iniziative di formazione in linea con il Piano e a monitorare le risorse regionali già disponibili, curandone la diffusione dei relativi dati. Il Miur e la Regione, per massimizzare l’efficacia degli interventi, si impegnano a creare una sinergia tra le politiche nazionali e quelle regionali, anche attraverso l’utilizzo delle risorse stanziate nell’ambito delle Programmazioni, nazionale e regionale, legate ai fondi strutturali 2014-2020.

‘La Scuola al centro’: stanziati 10 milioni

‘La Scuola al centro’: stanziati 10 milioni per istituti aperti di pomeriggio e d’estate nelle periferie

La Scuola come un centro che si apre agli studenti e alle loro famiglie, per essere abitata dai ragazzi e dai genitori oltre i tempi canonici della didattica: il pomeriggio, il sabato, nei giorni di vacanza, a luglio come a settembre. Come misura di contrasto alla dispersione, ma anche come risposta tempestiva e concreta ai fenomeni di disagio sociale che caratterizzano alcune aree del Paese.

È questa la visione che ha generato il progetto ‘La Scuola al centro’: l’idea che la periferia non sia solo una categoria geografica, ma racchiuda in sé il dramma dell’esclusione, dell’emarginazione e che può radicarsi dentro le città o ai loro margini. Per questo il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha firmato un decreto che stanzia 10 milioni di euro immediatamente disponibili per iniziative che rendano la scuola un polo di aggregazione e attrazione in aree periferiche e in contesti a maggior rischio di dispersione di quattro città: Napoli, Roma, Palermo, Milano. A settembre, attraverso un ulteriore finanziamento, si allargherà la copertura a tutto il territorio nazionale. Le scuole avranno tempo fino al prossimo 20 giugno per candidarsi con i loro progetti e accedere ai finanziamenti.
“Le periferie sono i centri del futuro: sono ricche di umanità e di energie. Spetta a noi, alla scuola raccoglierle e farle emergere”, sottolinea il Ministro Stefania Giannini. “Con questo progetto vogliamo dare ai ragazzi di quelle aree del Paese dove l’istruzione costituisce una risposta importante ed essenziale per garantire un futuro alle nuove generazioni, una scuola aperta, che appartenga a tutta la comunità, dove famiglie e studenti possano sentirsi come in una seconda casa, da frequentare non solo quando ci sono le lezioni, ma anche in orario extra scolastico. Questo già accade in moltissime realtà. Ora stanziamo risorse specifiche affinché quella scuola aperta e viva che abbiamo immaginato con la Buona Scuola possa concretizzarsi sempre di più”.

Il decreto prevede aperture straordinarie delle scuole e iniziative dal 1° luglio. Saranno circa 700 le istituzioni coinvolte, ognuna avrà un budget di 15.000 euro. A settembre, attraverso finanziamenti del PON Scuola, saranno coinvolte altre 5.000 scuole di tutto il Paese. Le attività potranno essere svolte in collaborazione fra istituti scolastici, con enti locali, università, associazioni, cooperative. I fondi saranno utilizzati per pagare le attività, i materiali e il personale

I progetti dovranno riguardare uno o più dei seguenti ambiti tematici:

  • Autoimprenditorialità;
  • Avvicinamento alla musica;
  • Attività sportive pomeridiane;
  • Laboratori artistico-espressivi. Promozione dell’inserimento del cinema e del teatro a scuola;
  • Diffusione della lettura;
  • Attività per la conoscenza del territorio di appartenenza e di incentivazione alla cittadinanza attiva.

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ASSEMBLEA NAZIONALE A PERUGIA DAL 20 AL 22 MAGGIO

ASSEMBLEA NAZIONALE A PERUGIA DAL 20 AL 22 MAGGIO

Si svolgerà a Perugia dal 20 al 22 maggio il XIX congresso nazionale della Gilda degli Insegnanti. I delegati eletti nelle sezioni di tutta Italia si riuniranno in assemblea per eleggere il coordinatore nazionale, i componenti della direzionale nazionale e tutti gli organismi statutari.

Nel corso dell’assemblea nazionale saranno discussi i documenti congressuali che raccolgono le indicazioni provenienti dalle strutture provinciali e nazionali e, più in generale, gli stimoli e le osservazioni di tutti i docenti della Gilda degli Insegnanti.

I delegati si confronteranno, oltre che sugli obiettivi storici dell’associazione, primo fra tutti l’istituzione di un’area specifica per la docenza, anche sulle future battaglie tese a rimediare sia alle storture degli interventi legislativi sia a rivendicare un trattamento economico e normativo dignitoso per gli insegnanti italiani.

Inrim, il Prof. Diederik Sybolt Wiersma nuovo presidente

Inrim, il Ministro Giannini nomina
il Prof. Diederik Sybolt Wiersma nuovo presidente

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini ha nominato il Professor Diederik Sybolt Wiersma nuovo presidente dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM). Wiersma succede a Massimo Inguscio che lo scorso febbraio aveva lasciato l’incarico a seguito della nomina a presidente del Cnr.

Il neo presidente, nato a Utrecht (Paesi Bassi) nel 1967, dopo la laurea in Fisica presso l’Università di Amsterdam, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Fisica sperimentale presso l’Istituto di Fisica Atomica e Molecolare dello stesso Ateneo. Attualmente è professore ordinario presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Firenze.

E’ inoltre capo dell’area di ricerca in micro e nano fotonica dello European Laboratory for Nonlinear Spectroscopy (LENS). E’ autore del brevetto internazionale per la realizzazione di un sistema di nano-infiltrazione per la creazione di circuiti ottici ri-scrivibili.

Illegittimo non valutare il servizio militare nelle GaE

L’ANIEF vince anche a Catania: illegittimo non valutare il servizio militare nelle GaE

Il Tribunale del Lavoro di Caltagirone (CT) accoglie senza riserve le tesi patrocinate dal nostro sindacato e riconosce l’illegittimità dell’operato del Ministero dell’Istruzione che non riconosce alcun punteggio nelle GaE al servizio militare obbligatorio svolto non in costanza di rapporto di lavoro come docente. Gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli e Marco Di Pietro impartiscono un’ulteriore lezione al MIUR sul rispetto della normativa e della gerarchia delle fonti e ottengono piena ragione in favore di un nostro iscritto ottenendo in suo favore il pieno riconoscimento nelle Graduatorie a Esaurimento dell’anno di servizio svolto per leva obbligatoria.

Exposanità, ecco le tecnologie all’avanguardia per l’assistenza

da Redattore sociale

Exposanità, ecco le tecnologie all’avanguardia per l’assistenza

I numeri dell’edizione 2016, gemellata con l’Argentina: 630 espositori, 235 iniziative, oltre 660 ore di formazione professionale, 830 relatori e 54 partner. Sono i numeri della mostra internazionale che si apre domani a Bologna

BOLOGNA – 4.368 aziende attive sul territorio nazionale con un fatturato pari a 10 miliardi di euro e che produce 70 mila posti di lavoro (di cui l’8 per cento impiegato in ricerca e innovazione), 26 mila brevetti depositati e 291 start up. Sono i numeri del settore sanità in Italia (dati Assobiomedica 2015) che si presenta alla ventesima edizione di Exposanità. Dal 18 al 21 maggio alla Fiera di Bologna si potranno conoscere tutte le novità, la produzione più innovativa e le soluzioni tecnologiche all’avanguardia del settore.

Sono oltre 630 le aziende espositrici, 235 le iniziative tra workshop, convegni e incontri, oltre 600 le ore di formazione professionale rivolte agli operatori, da 830 relatori e 54 partner. L’edizione 2016 della manifiestazione è gemellata con l’Argentina, al taglio del nastro il 18 maggio alle 10, insieme al Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, ci saranno anche Carolina Inés Rocca, direttore generale Sanità per la Provincia di Buenos Aires, e Franco Condò, del ministero della Salute. L’Emilia-Romagna sarà presente a Exposanità con un centinaio di aziende che rappresentano un tessuto produttivo fondamentale per la regione in termini di produzione, innovazione tecnologica, competitività e occupazione. Seconda in Italia dopo la Lombardia, l’Emilia-Romagna esprime l’11,7 per cento delle imprese che operano nel settore dei dispositivi medici con una distribuzione di fatturato pari all’11,6 per cento.
A Exposanità si discuterà di politiche sanitarie e crescita del mercato, in Italia e all’estero. La quattro giorni bolognese terrà infatti a battesimo l’Osservatorio di economia sanitaria Italia-America Latina. Nato dalla collaborazione tra Regione Emilia-Romagna, assessorato regionale alla Sanità e ministero argentino della Salute, l’Osservatorio ha come obiettivo quello di identificare, partendo dall’analisi del mercato, dalla domanda e dall’aspettativa di salute delle persone, le opportunità di cooperazione produttiva tra le imprese dell’America Latina e d’Europa. Il comparto medicale ha registrato un incremento nella produzione e nelle vendite grazie alle attività di export che coinvolgono il 79 per cento delle imprese del settore: oltre all’Argentina, Exposanità ospita delegazioni della Federazione Russa, India, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Tunisia, Turchia per favorire l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese del settore.

Il convegno inaugurale della sedicesima edizione di Exposanità inizia alle 10.30 e tratta di “Innovazioni tecnologiche in sanità: tra spending review e necessità di garantire salute” (Sala Concerto, Centro servizi blocco D) ovvero come affrontare la neccessità di tagli e rigore senza mettere a rischio la qualità del nostro sistema sanitario e il difficile equilibrio tra prestazioni, efficienza e spending review, come colmare il divario tra regione e regione che ancora caratterizza il quadro nazionale, qual è l’apporto che aziende e nuove tecnologie possono offrire per mantenere e migliorare le prestazioni in sanità. Sono i temi su cui si confronteranno Mario Marazziti, presidente Commissione Affari sociali della Camera dei deputati, Stefano Bonaccini,  presidente della Regione Emilia-Romagna, Sergio Venturi, assessore alla Sanità dell’Emilia-Romagna, Antonino Saitta, assessore alla Sanità del Piemonte, Lorenzo Gubian, responsabile Ict Sanità Regione Veneto, Luigi Boggio, presidente di Assobiomedica. Porteranno il loro saluto Carolina Inés Rocca, direttore generale Sanità per la Provincia di Buenos Aires, Giuseppe Nardella, presidente Senaf, Franco Boni, presidente Bologna Fiere.


Banchi accessibili, posate orientabili, schienali ergonomici: al via Exposanità

Banchi per studenti disabili, posate per la terapia occupazionale, sedie a ruote basculanti pediatriche. Sono alcuni degli ausili che saranno presentati a Exposanità da oggi al 21 maggio. Nei padiglioni sarà presente L’altro Spazio, il bar di Bologna pensato per accogliere e far lavorare chi ha una disabilità

BOLOGNA – Ha le caratteristiche di un normale banco da scuola, di cui replica le caratteristiche antropometriche (regolabile in altezza e inclinazione) e integra un sistema per la didattica interattiva configurabile sulla base di specifiche esigenze. È Easy!Desk, il banco scolastico accessibile ai bambini con disabilità fisiche o cognitive che unisce l’utilizzo di materiale cartaceo convenzionale e l’esecuzione di attività didattiche multimediali attraverso il touchscreen incorporato che funziona anche in connessione con la lavagna interattiva multimediale (Lim) installata in classe. Il banco ha un’altezza regolabile elettricamente, si adatta ad allievi di età compresa tra i 6 e i 16 anni e può essere personalizzabile in base alle esigenze specifiche dello studente. Grazie al registro delle attività è possibile monitorare l’uso che ne viene fatto e verificare i miglioramenti dell’allievo. Adattabile alle diverse esigenze di allievi disabili, il banco progettato da Btree di Foligno (Perugia) è uno degli ausili che vengono presentati a Exposanità, la manifestazione che si tiene a Bologna dal 18 al 21 maggio.

Posate orientabili e appesantite, utili per il paziente e la terapia occupazionale. Le realizza AllMobility, azienda di Reggio Emilia. Hanno un’impugnatura grossa e morbida per facilitare la presa, sono orientabili per chi ha problemi a portare il cibo verso la bocca e si possono applicare loro dei pesi per rendere più facile il pasto a chi ha tremori. C’è poi Emys, il nuovo schienale ergonomico e flessibile adattabile a ogni tipo di sedia a ruote e personalizzabile nella stampa. Eyespeak invece è un ausilio che consente alle persone di comunicare utilizzando il movimento degli occhi grazie a un paio di occhiali che integrano i visori per produrre la scrittura che si trasforma in comunicazione sia il sistema di amplificazione per farsi sentire. L’ausilio sarà presentato il 19 maggio a Exposanità da Helpicare che porterà anche Grid 3 (presentato in un convegno il 20 maggio), un programma che permette alle persone disabili di comunicare, controllare l’ambiente che li circonda e il loro computer, rimanere in contatto con amici, colleghi, familiari usando e-mail, Skype o social netwok. L’azienda Guldmann di Sorbolo, in provincia di Parma, presenterà un modello di solleva-pazienti elettrico.

È rivolta ai più piccoli Flip, la sedia a ruote basculante pediatrica che ha un telaio pieghevole (estremamente compatto quando è richiuso) e utilizza la tecnologia Taperlok. Flip integra elementi strutturali tipici dei passeggini alla durevolezza di una carrozzina e grazie a un nuovo concetto di regolazione del telaio, il settaggio di altezza, larghezza e profondità della seduta avviene in maniera estremamente facile consentendo un perfetto adattamento all’utente. Flip viene portata a Exposanità da OSD, OrthoSanit Diffusion di La Spezia. Tgr, azienda attiva da più di 35 anni a Bologna e oltre 50 mila montascale venduti nel mondo, porterà a Exposanità Jolly Light, la nuova versione di montascale a cingoli alleggerita per facilitare la trasportabilità, e Smile, il montascale a cingoli con il sorriso per permetterne l’uso anche con le sedie a ruote dei bambini.

Sempre per quanto riguarda le sedie a ruote, l’azienda svizzera Genny Mobility (che ha la sua sede di riferimento a Savona) porta Genny™ che si muove con il solo spostamento del busto nata da un’intuizione di Paolo Badano, imprenditore che da 20 anni si muove in sedia a ruote. Dal 18 al 21 maggio a Exposanità sarà possibile partecipare a sessioni di prove con Genny Urban e Xroad (la versione equipaggiata di kit fuoristrada) e interagire con la comunità dei Genny Angels, utilizzatori del dispositivo e sostenitori della nuova filosofia di mobilità promossa da Badano. Rehateam, azienda trevigiana, porterà a Exposanità Progeo Carbomax, la sedia a ruote superleggera (poco più di 7 kg) con telaio in fibra di carbonio e design accattivante. A Exposanità sarà presente anche Olmedo Spa di Reggio Emilia, azienda che trasforma qualsiasi veicolo in un mezzo che può trasportare anche chi ha particolari esigenze: pianali ribassati o a scomparsa o la possibilità per i passeggeri disabili di viaggiare su veicoli di certe dimensioni, in prima fila accanto al conducente sono alcune delle novità che porterà a Bologna.

Anche L’Altro Spazio, il locale di Bologna pensato per accogliere e far lavorare chi in altri luoghi trova barriere sarà presente nei padiglioni della Fiera in occasione di Exposanità. Nel bar di via Nazario Sauro alle persone cieche viene consegnata una mappa tattile del locale in modo che possano orientarsi tra i tavoli e una volta seduti ricevuto un menù scritto in Braille, il bancone permette anche a chi è in sedia a ruote di spillare e servire birre, tutto l’arredamento è stato studiato per rendere fluido e scorrevole il passaggio di chiunque, lo staff è preparato per tradurre le informazioni visive per le persone cieche e a utilizzare la lingua dei segni. Nato da un’idea di Nunzia Vannuccini il bar per i 4 giorni di Exposanità si sdoppierà e preparerà cocktail e aperitivi sia in centro che in fiera.

Disagio e devianza: il ruolo della scuola e della famiglia

Disagio e devianza: il ruolo della scuola e della famiglia

di Davide A. Leccese

 

La mia riflessione ha, come focus, il disagio; disagio che è causato anche da fenomeni di bullismo e, in alcuni casi, è origine di bullismo.

La condizione di “disagio” richiama immediatamente uno stato che è l’opposto di “agio”, di condizione positiva del proprio “stare nella vita”.

Ma non riusciremo a definire il disagio se prima non stabiliamo i parametri dell’agio.

Attenti, quindi, a non considerare l’agio come lo star bene secondo parametri di felicità voluttuaria e non di un campo di valori.

L’infelicità giovanile può anche essere uno stato d’insoddisfazione per la richiesta di soddisfacimento di disvalori, assunti a bisogni.

Non è detto che ogni condizione di “sofferenza” sia negativa se produce la consapevolezza di cosa sia giusto pretendere e cosa non sia giusto volere a tutti i costi.

Alcune premesse sono necessarie, per chiarire la riflessione che mi è stata proposta come tema in questo convegno.

È saggio parlare con cautela e prudenza delle nuove generazioni che, nell’accelerazione dei tempi del vissuto, ci sfuggono di mano con un ritmo talmente vorticoso che, paradossalmente, si vuole restare più giovani a lungo con una voglia pazza di tutti – non solo dei giovani anagraficamente definiti – di essere considerati tali.

Eppure noi, che giovani non siamo più, ci trinceriamo nel gruppo dei “laudatores temporis acti”, celebratori del passato, spesso fittizio e bugiardo, per distinguerci da un presente di cui siamo parte in causa, sia nel bene che nel male.

Fatta questa premessa, trattare di disagio e bullismo e del ruolo della scuola e della famiglia, significa andare alla radice del ruolo formativo, educativo e istruttivo delle due comunità educanti principali.

Ruolo che chiama in causa il rapporto stretto non solo tra scuola e famiglia ma anche il contesto sociale.

È sempre più vero che la scuola ha la società che si merita come la società ha la scuola che si merita.

È sempre più vero che o scuola e famiglia stabiliscono un patto leale per la “cura” delle nuove generazioni o il rimpallo delle responsabilità finirà per incancrenire non solo le identità dei singoli giovani ma anche, pericolosamente, l’identità sociale nella quale esercitiamo la nostra condizione umana e politica.

È anche vero e doloroso che la scuola registra disagio e fenomeni di bullismo, com’è vero, purtroppo, che la scuola alcune volte genera disagio.

Solo se accettiamo, con onestà intellettuale, questo circuito di responsabilità – tra scuola/famiglia/società – è possibile mettere in atto una terapia di recupero dei propri limiti a tutto vantaggio di un’azione serena e seria della condizione di disagio di tanti giovani; condizione di disagio che può sfociare o nell’essere vittime del bullismo o nell’essere attori del bullismo.

Altra premessa, proprio per evitare lo scadimento in un comodo alibi del “fuori mi tiro dal peggio”: la gran parte, la maggior parte dei nostri giovani sono giovani per bene, sono soggetti positivi. E lo affermiamo contro i catastrofismi delle “notizie del giorno” che si nutrono prevalentemente di cronaca nera e tacciono il vissuto valoriale di tanti ragazzi e tante ragazze che sono la testimonianza di quel volere il mondo migliore, nonostante i guasti, le tragedie, le ingiustizie, le nefandezze di una società disvaloriata nella quale noi adulti viviamo e facciamo vivere le nuove generazioni.

Le condizioni del disagio esistenziale dei nostri giovani?

Si alzano al mattino, i nostri giovani, e si trovano davanti orizzonti inquinati da guerre, da violenze, da egoismi, da furbizie; eppure continueremo a dire loro che val la pena vivere onesti perché l’unico peso che fa volare è il peso delle idee buone che emozionano la mente e il cuore.

Ma come si fa a dire ai giovani di puntare sui valori, sugli ideali quando la logica corrente, predicata a gran voce o sussurrata all’orecchio dei figli è “fatti furbo, fatti valere, vedi di cavartela comunque, occhio per occhio dente per dente”?

Alcuni di questi ragazzi prendono alla lettera questi messaggi e si esercitano nell’arroganza, nel farsi valere sui più deboli; credono di cavarsela nella vita affermandosi come piccoli boss di quartiere, piccoli ras di strada.

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Tra le condizioni che generano disagio in testa poniamo la paura di essere perdenti.

In un lungo percorso si può anche cadere ma bisogna insegnare a rialzarsi, a mirare al traguardo senza aspettarsi che qualcuno faccia per te il cammino, senza nemmeno pretendere che ci sia chi ti porta lo zaino per alleggerire le responsabilità del necessario bagaglio, anche pesante, da consegnare alla meta.

Ci sono genitori, invece, che hanno più paura dei figli delle sconfitte di percorso e mettono in atto un iperprotezionismo che gioca a togliere gli ostacoli davanti ai loro passi, preoccupati che cadano e non sappiano più rialzarsi.

Machiavelli diceva che “Dove c’è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà”.

Alcuni educatori – soprattutto alcuni genitori – sono incapaci di vivere assieme ai giovani e ai figli le condizioni di dolore e di gioia; avvertono una sorta di blocco psicologico che in fondo è la consapevolezza – a posteriori – che la fonte di questi stati d’animo è diversa dalle fonti generatrici degli stati d’animo degli adulti perché profondamente diverso è il vissuto delle diverse generazioni.

Ci sono alcuni genitori che fanno della riuscita scolastica dei figli uno status symbol di cui vantarsi nelle riunioni di amici o sui social network.

Con i giovani bisogna essere prudenti e coraggiosi, esigenti e comprensivi.

Quando ero docente insegnavo ai miei studenti quel passo straordinario dei “Sepolcri” di Ugo Foscolo, che chiude quell’intramontabile ode all’umanità.

Si vince e si perde nella vita ma bisogna saper perdere con dignità; il che è una magnifica vittoria. Foscolo ci parla di Ettore, l’eroe troiano che, pur consapevole che gli Dei avessero deciso la caduta della città di Troia, non rinunciò a combattere fino alla fine, fino alla morte, per affermare il principio che il pericolo lo si guarda in faccia, nonostante la paura. “E tu onore di pianti, Ettore, avrai, ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finché il Sole risplenderà su le sciagure umane”.

La paura di non riuscire: Una delle condizioni che genera disagio che permane come stato di ansia o, peggio ancora, di blocco psicologico nei giovani, è l’avvertire di avere dei limiti (niente di più normale nella vita); limiti che – sentiti come insormontabili – creano l’errato convincimento di non poter assumere alcun posizionamento nella vita. Il “che farò un domani?” rischia di diventare un blocco nefasto e una patologia dai pericolosi risvolti esistenziali.

Altro pericolo è nel non trovare adeguate risposte alla domanda di accettazione, nella famiglia, nella scuola, nel gruppo di amici.

Latente, allora, è il rischio di cercare rifugio nel “branco”, quello stare insieme spesso dei “rifiutati”, dei “non compresi”, degli “emarginati” che si fanno forti nell’esasperato affermarsi anche contro la legalità dei comportamenti.

Attenti, però, a non giocare con la pelle dei giovani. Se vanno avanti solo i “figli di…” e tutti gli altri saranno trattati come “figli di nessuno”, il disagio può esplodere in definitiva sfiducia verso il sistema sociale e, perché no, in rabbia e protesta.

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Un invito ancora a noi adulti, educatori: meditare sull’assenza. Molti credono che l’assenza sia la lontananza fisica; sì, anche quella. Ma la vera lontananza che crea disagio, angoscia, tristezza, rigurgito verso il rifiuto di ogni idea di serenità, è l’abbandono fatto di presenza fisica e di assenza psicologica e affettiva. Genitori e docenti che pensano ai loro problemi che talvolta scaricano come pressione relazionale sui figli e sugli alunni.

Un altro invito ad alcuni genitori: non illudetevi che sia facile e comodo, oltre che costituisca sanatoria delle proprie responsabilità, sostituire la propria presenza, nella vita dei figli, con le “cose” che assicuriamo: vestiti alla moda, cellulari di ultima generazione. Non dite “non ti faccio mancare niente”, se fate mancare voi stessi.

Una riflessione di Don Milani da riferire ai nostri giovani, a proposito della ricerca spasmodica delle “cose”, merce al posto delle persone, feticci al posto dei valori: “Le cose meno belle, purtroppo, vengono da sé, invece le cose belle bisogna imporsele con la volontà, perché c’è stato chi ha pensato a fare in modo che la società vi offrisse tutto quello che occorre perché alle cose belle e utili non ci pensaste e teneste la vostra vita a un basso livello”.

Stiamo passando dal disagio del non avere al disagio del volere sempre di più.

I nostri giovani hanno bisogno, hanno diritto di credere nella vita e la vita si nutre di entusiasmo.

Bruce Barton ha detto: “Se non puoi dare a tuo figlio nient’altro che una sola cosa, lascia allora che sia l’entusiasmo”.

Per questo io mi ostino a guardare il positivo. Nella mia lunga esperienza nel mondo della scuola ho potuto bearmi degli sguardi limpidi di tantissimi giovani, dediti al volontariato, abituati al sacrificio, disponibili agli altri, generosi senza attendere ricompensa, desiderosi di un avvenire fatto di orizzonti non posticci.

Ma siamo proprio sicuri, noi adulti, di essere approdati all’oasi tranquilla dell’equilibrio, della saggezza permanente che possa fungere da parametro incontrovertibile di fronte all’inquietudine giovanile?

Citerò, a questo punto, quel che dice Alfredo Carlo Moro: “La condizione giovanile di oggi non è il “buco nero” della nostra società ma piuttosto “la finestra spalancata” su una realtà sociale spesso camuffata sotto valori solo declamati: per superare la “devianza” giovanile e il disagio dei giovani è indispensabile prima di tutto eliminare la “devianza” adulta e la situazione di profondo disagio, anche se non avvertito, che attanaglia il mondo degli adulti oggi”.

Per cogliere il senso profondo di questa delicata condizione di disagio, sia degli adulti sia dei giovani, non è sufficiente affidarsi alle buone intenzioni; occorre avere l’umiltà di chiedere lumi agli esperti, affidarsi a chi, professionalmente, studia il fenomeno, per evitare paccottiglie d’interventi che rischiano di essere pseudo-cure peggiori del male.

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Un inciso di riflessione o – se volete – di denuncia – su disagio, devianza, bullismo e società.

Vogliamo togliere il terreno di coltura a questi bulli-vigliacchi? Puntiamo su una Città educativa, un contesto urbano severamente controllato e testimonianza del lecito e del consentito praticato.

Una città è educativa se è viva, vissuta e vivibile. Il problema allora è politico nel senso etimologico del termine: polis, politikòs che ha nel suo seme il “tutto ciò che appartiene al cittadino nell’alveo dei suoi diritti e dei suoi doveri”.

Se un quartiere è degradato, genera degrado e il degrado genera disagio e il disagio genera inappartenenza. E ciò che non è di nessuno fa sì che qualcuno se ne appropri come spazio della violenza, dove tutto è permesso ai violenti contro i deboli.

Puntiamo su una città che chiarisca definitivamente a se stessa come possano convivere – nella patologia sociale diffusa – l’intolleranza e il permissivismo; esasperati contro, possibilisti quando conviene.

Come possiamo dire a questi teppistelli: “Stai agendo male, stai sporcando i muri, rompendo le panchine”, se la nostra è una comunità dove vale ciò che disse Dante: ”Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”.

I bambini non nascono bulli, ma viene insegnato loro a esserlo” (Matt Bomer).

Nessun giovane nasce bullo, vigliacco contro se stesso e verso gli altri, specie se più deboli o più sensibili.

Alcuni di questi diventati bulli sono ex soggetti disagiati che hanno costruito un identikit aggressivo perché hanno subito aggressione, si sono convinti che ci si afferma come “personaggi” solo se gli altri diventano sgabelli della loro presunta superiorità.

Altri sono diventati bulli per affermarsi in un branco solo se dimostri di essere capace di “dominare” e non vivere da gregario.

Altri sono diventati bulli perché, nel confrontarsi con il proprio io privato, si sono sentiti falliti, deboli, non considerati.

Ecco, allora, il ruolo della scuola e il compito della famiglia: dare ai giovani il coraggio e la consapevolezza della loro dignità di persona, il saper inculcare il coraggio dell’altruismo e la voglia del positivo, il creare il convincimento che – come ha detto Eleonor Roosvelt – “nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso”.

Soprattutto dobbiamo dimostrare ai giovani – noi educatori – che sentiamo la loro storia come la nostra storia, che la loro riuscita ci interessa come se fosse la nostra riuscita.

Ascoltare i giovani, parlare ai giovani, essere credibili nei propri messaggi, dimostrando che, se chiediamo loro la lealtà e il rispetto degli altri, noi adulti siamo rispettosi e leali con gli altri e soprattutto con loro.

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Solo per inciso accenno al cyber bullismo e al bullismo telefonico; le forme sicuramente più aggressive in questi tempi.

Questi benedetti-maledetti cellulari che allontanano dalle persone fisiche e avvicinano a fantasmi colloquiali tra un io isterico che digita e altri, altrettanto isterici, che coltivano il brodo delle relazioni falsate.

La cronaca recente sta registrando uno spaventoso esito nefasto di questo male, con suicidi, patologie relazionali che sicuramente richiedono un intervento drastico, da parte delle comunità educanti, famiglia e scuola in testa.

Gli esperti di psicologia dell’età evolutiva ci avvertono che i giovani di oggi sono più “liberi” e meno “autonomi”, schiavi delle mode, incatenati all’apparire, privati – a volte – della capacità di decidere perché “così si usa”, “così si è accettati dal gruppo o, peggio ancora, dal branco”.

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Un ruolo fondamentale la scuola lo svolge con le armi a sua disposizione; prima fra tutte la cultura.

La cultura che noi chiamiamo all’appello per la maturazione della coscienza individuale e la consapevolezza delle nostre responsabilità sociali è una cultura graffiante le croste delle bugie e dei perbenismi, è una cultura che fa dire, in ogni attimo della vita, “che ci sto a fare io, qui?”

Sembra invece che la cultura stia diventando una parola usurata, fuori moda nell’annaspare nel mare magnum delle improvvisazioni di questi tempi, distruttrici d’idee, di sentimenti, di azioni significative e ingolfati di luoghi comuni, di emozioni provvisorie e di gesti eclatanti.

La cultura come riflessione, come nutrimento selezionato contro l’abbuffata delle appariscenze verbali e visive.

La cultura nostra e della scuola deve essere a tutti i costi pensiero forte che attinge a messaggi da scolpire nell’anima, non da tatuare in un’estetica dell’apparire secondo l’idea che tutto passa, ogni idea è fantasma dell’identità.

Non ho mai dimenticato una lezione del mio professore di filosofia che un giorno ci disse: “Non siate mai estranei a voi stessi nel tentativo di piacere agli altri”.

La nostra presenza: quando i nostri ragazzi e le nostre ragazze sono in fase di piena crescita ci trovano ingombranti, anche quando cerchiamo di non occupare gli spazi dei loro pensieri e delle loro emozioni.

Chi sono gli educatori ingombranti? Quelli che trasferiscono i loro dubbi o, all’opposto, le loro certezze come se fossero l’interpretazione assoluta e incontrovertibile dell’esistenza del genere umano.

Chiudo questa mia riflessione con un invito a noi adulti a non essere distratti, a guardare il mondo dalla porta del cuore dei nostri giovani e dalla finestra della loro menti.

E un invito ai giovani da Alice, quattordici anni, che ha scritto questa lettera a un giornale: “È inutile nascondersi perché nel bene e nel male le cose si vengono a sapere lo stesso! Bisogna parlare soprattutto se è una situazione come la mia o come quella di tante altre persone, ma alle vittime dico: è bene farvi aiutare perché mi sembra inutile che gli altri vi rovinino la vita per niente, sono persone che non si meritano né la vostra attenzione né la vostra fiducia, ma soprattutto non si meritano il vostro rispetto e la vostra amicizia”.

Un invito, in conclusione, ai nostri giovani: siate coraggiosi, siate leali, siate solidali. Io, per parte mia, vi auguro una buona sorte.

A Scuola di Scuola

A Scuola di Scuola

di Davide Leccese

 

Questa riflessione vuole offrire un contributo per un’analisi approfondita sulla condizione della scuola italiana nell’ottica dell’identità della funzione docente e nella prospettiva della migliore relazione possibile tra docente e alunni.

La prima considerazione che proponiamo prende a prestito una logica del gioco d’azzardo secondo la quale non abbiamo a disposizione che due condizioni contrapposte: o il banco vince o perde. In effetti anche per la scuola dobbiamo cominciare a riflettere senza comode mediazioni di giudizio: l’educazione, la formazione e l’istruzione o vincono o perdono; o mettiamo in atto sistemi coraggiosi di recupero delle migliori condizioni strutturali, ambientali, personali e professionali o la sconfitta dei fini e degli obiettivi diventa pericolosa possibilità.

La prima condizione di analisi della situazione è assicurata dall’accettazione della CRISI DELLA SCUOLA. Solo il riconoscere che la scuola è in crisi possiamo pensare che tale consapevolezza:

  • Genera il bisogno d’interrogarsi sulla natura della crisi
  • Genera il bisogno d’interrogarsi sulle cause della crisi
  • Genera il bisogno d’individuare i colpevoli
  • Genera soprattutto il bisogno d’individuare le vittime
  • Deve generare il bisogno d’individuare le soluzioni

A titolo di provocazione, per sollecitare l’attenzione dei docenti, poniamo una domanda sul filo dell’impossibile: Se avessimo in classe – come alunni – un Leopardi o un Einstein, sarebbe più facile fare scuola?

Capovolgiamo la provocazione, a favore degli alunni: Se avessero in classe – come docenti – un Leopardi, un Einstein, sarebbe per loro più facile e più attraente vivere l’esperienza scolastica?

Ultima domanda provocatoria: Se tutti gli alunni fossero come il migliore dei nostri alunni o, all’opposto, se fossero come il peggiore dei nostri alunni, come si determinerebbe realmente la relazione formativa?

Sic stantibus rebus, con questi docenti e con questi alunni la scuola è in crisi. A voler dar fiato alle critiche dovremmo dire che docenti e alunni sono protagonisti diretti della crisi. Ma abbiamo anche il dovere di dar fiato ad altre valutazioni: docenti e alunni vivono una crisi che viene da lontano e di cui risultano più vittime che artefici.

Sarà necessario, allora, affermare – per evitare interpretazioni lontane dalla concretezza – che chi vuole cambiare la scuola senza tener conto della crisi dei docenti e dei giovani, non ha capito niente della scuola.

Ma affrontare la crisi non ci consente solo l’accertamento della stessa, senza ipotizzare subito le soluzioni; e le soluzioni sono il risultato solo della ricerca rigorosa e delle scelte coraggiose.

Dobbiamo subito sconfiggere due nemici che, se pur contrapposti, combattono per lo stesso risultato dell’inefficacia delle soluzioni: i propugnatori della tesi che in fondo tutto va bene e quello che sostengono che, invece, tutto va male.

***

Entriamo nella questione individuando i PROTAGONISTI della vita scolastica:

  • Gli alunni
  • I docenti
  • Le famiglie
  • Il contesto scolastico
  • Il contesto sociale

Alcune di queste voci sono necessariamente sintetiche e racchiudono più sottosistemi che successivamente analizzeremo dettagliatamente.

Gli alunni e i docenti sono facilmente individuabili come i protagonisti principali; solo che si contrappongono, nell’analisi del rapporto formativo – due scuole di pensiero.

La prima propende per una scuola alunno-centrica, cioè con il focus centrato sulla figura di chi apprende e con attorno un sistema satellitare che dipende da questa identità principale.

La seconda propende, invece, per una scuola che pone il focus sulla figura del docente che insegna – la scuola docento-centrica – e gli alunni incardinati, in diretta dipendenza, alla funzione docente.

Sarà facile concludere che senza alunni e senza docenti non c’è scuola; ma non trattasi di presenza meramente fisica quanto di funzione in relazione al rapporto formativo. Senza alunni disposti ad apprendere e senza docenti, capaci e disposti ad insegnare, la scuola rimane un mero artificio istituzionale, privo di quell’anima che caratterizza il rapporto generazionale.

Tale rapporto, in ogni caso, presuppone comunque una imprescindibile “divaricazione” di vedute e di esperienze. Guai ad impostarlo pigramente sulla “collusione” perché questa finirà inevitabilmente in collisione, in contrasto e in conflitto insanabile tra due che si rinfacceranno gli esiti negativi di un’azione didattica perdente.

Perché invece l’azione didattica sia vincente è necessario impostarla sulla MOTIVAZIONE. Le ragioni dell’insegnare e dell’apprendere costituiscono lo sfondo necessario dei contenuti.

I contenuti, a loro volta, devono molto ai “modi” di insegnare e di apprendere.

Insegnamento e apprendimento si giustificano a vicenda in un rapporto di rafforzamento reciproco di partecipazione convinta e consapevole.

E’ la motivazione che, inoltre, ci salva dall’affidare ai “contenuti” il ruolo dominante nell’azione formativa: Il pericolo di fraintendere i CONTENUTI (= programma da svolgere) diventa l’alibi – in alcuni casi – per sottomettere le motivazioni di studio alla quantità delle “cose” da fare.

I contenuti – è bene chiarirlo – sono quantità inderogabile e necessaria per la trasmissione di conoscenze, competenze, abilità destinate a costituire una persona colta e capace di interagire, nella società, con le attese della stessa, grazie ad una personalità completa e consapevole che destina se stessa alla sua crescita e al “vantaggio” degli altri.

E, sempre nell’ottica della motivazione, una forte reciprocità è affidata ai docenti e agli alunni: agli alunni si chiede di realizzare il senso dell’insegnamento dei docenti con la loro partecipazione attiva e responsabile; ai docenti si chiede di esaltare il senso dell’apprendimento con la stessa partecipazione attiva e responsabile.

Che questo partenariato motivazionale e di azione educativa non sia così semplice, come lo si descrive, è dato da differenze forti di valutazione del tempo e dello spazio e del sistema relazionale, legate proprio alle specificità generazionali.

Il tempo, espresso da presente – passato – futuro – tempo interiore; lo spazio, espresso da qui – attorno – altrove – utopia – il mio corpo; la relazione, espressa dall’idea dei vicini – dei lontani – dei pro e dei contro – degli indifferenti e degli sconosciuti. Queste dimensioni esistenziali ci danno la netta visione di come sia arduo dare per scontata, e non ragionata, la relazione tra l’insegnamento e l’apprendimento, tra il mondo degli adulti e quelli delle nuove generazioni, tra gli orizzonti diversi.

Analizziamo, in maniera dettagliata, la dimensione temporale, lì dove si consumano le più significative contraddizioni tra la generazione degli adulti e quella dei giovani.

Se il passato appartiene di più agli adulti, va detto che sovente vuole essere parametro assoluto – non solo di riferimento – del presente e del futuro. Il presente, a sua volta, non vuole condizionamenti dal passato e giudica il futuro aleatorio e imprevedibile. Il futuro, di contro, vuole fare a meno dell’esperienza del passato e della responsabilità del presente.

Ma quel che deve preoccupare gli educatori è il relativismo morale che inquina tutti gli approcci temporali: ogni epoca vuole giustificare o mistificare i suoi errori, non ha il coraggio di confrontarsi con la responsabilità di essere giudicata, non tanto per condanne, quanto per lealtà relazionale.

Ma i giovani, nello specifico, dove rischiano di non captare la positività del tempo:

  • quando giudicano il passato come non esistente, senza senso, non interessante;
  • quando accentuano l’incertezza del futuro, se lo trovano angosciante, pericoloso e lontano dall’ipotesi di appartenenza;
  • quando persino il presente – il più prossimo all’identità giovanile – è colto solo nella sua angoscia oppure nella ristrettezza del viverlo in esclusiva, in fretta e così come capita.

Nel rapporto adulti-giovani – nell’ottica relazionale e temporale – vede gli adulti preoccupati del diritto o del desiderio delle nuove generazioni di ancorarsi al futuro, avvertiti come non disponibilità a rispettare il bisogno degli adulti di tenersi stretti il passato, pur nell’esigenza di incontrarsi nel presente.

Lo spazio: anche lo spazio è potenzialmente conflittuale:

  • Il mio corpo – prima ed essenziale dimensione spaziale – sembrano dirci i giovani, è l’unico luogo della nostra esistenza;
  • Lo spazio che viviamo è solo quello che sentiamo;
  • Ogni altro spazio lo sentiamo come estraneo
  • Eppure non rinunciamo alla fantasia o alla eventuale “fuga”, a vivere sempre “altrove”.

Quali le accuse agli spazi avvertiti come “non propri”?

  • La scuola, in primis, non avvertita come un luogo proprio;
  • Ma dovunque i giovani avvertono una sorta di “esclusione” o il bisogno di “autoesclusione” perché a tratti sono costretti a scegliere tra la propria identità e lo spazio in cui necessariamente o occasionalmente si situano.
  • Ma, tornando alla scuola, tante le frecce nell’arco dei giovani; la più avvelenata è motivata dal convincimento – forse un po’ ingeneroso – che a scuola non serve portare tutto il “me stesso” perché alla scuola interessa solo la parte cerebrale.

E’ inutile nasconderlo: i giovani hanno bisogno di personalizzare lo spazio e persino la casa a volte viene avvertita più come luogo di altri che come luogo proprio. Questo capita quando manca un vero clima di vissuto famigliare.

Ecco che allora si accentua il bisogno di privacy, non tanto di segretezza quanto di accentuazione di appartenenza del proprio sé; insieme – se i luoghi istituzionali – sono avvertiti come estranei, esplode il bisogno di “fuga” verso il dove si respira la vera o presunta libertà.

La famiglia: sfatiamo l’idea che sia sufficiente considerare fondante un rapporto biologico-affettivo per garantire i rapporti genitori-figli: La famiglia, i genitori devono avvertire nuove o rinnovate consapevolezze:

  • La famiglia – la casa non possono essere il luogo in cui il giovane “abita” ma “vive”.
  • I genitori non devono sentirsi solo padre e madre ma anche educatori del figlio.
  • Non si deve comodamente affidare alla scuola una delega in bianco e totale dell’educazione del figlio.
  • La famiglia non può preoccuparsi prevalentemente della riuscita formale degli studi (promozione – titolo di studio).

Poniamo, a questo punto della nostra riflessione sulla condizione giovanile, di cui la scuola e la famiglia deve tener conto, la condizione che definiamo di “slittamento”, quasi uno scivolamento pericoloso verso una condizione di patologia emotiva che condiziona la relazione formativa:

Citiamo lo slittamento:

  • Verso l’INAPPARTENENZA
  • Verso lo SRADICAMENTO
  • Verso l’OMOLOGAZIONE
  • Verso il desiderio di fuga verso il TUTTO e il NIENTE
  • Verso un tempo frammentato e non misurato
  • Verso la PROVVISORIETA’
  • Verso l’ASSOLUTO che diventa RELATIVO e il RELATIVO che diventa ASSOLUTO
  • Verso un EGOISMO che spinge a NON AMARSI

La scuola, che attraverso l’istruzione dovrebbe innanzitutto puntare alla formazione e all’educazione, come risponde al bisogno intenso dei giovani ad “appartenersi”, a sentirsi soggetti di un’identità matura e forte, oltre che positivamente “vissuta”?

  1. La scuola attuale è dai giovani vissuta, a volte, come estranea alla condivisione intima della propria identità di persona e di cittadino.
  2. La fissità del sistema risulta comoda per chi voglia essere ripetitivo e scontato.
  3. Ogni appello al cambiamento viene visto come un attentato alla stabilità del proprio ruolo e della propria condizione.

Si fa sempre più strada la voglia di SRADICAMENTO da parte dei giovani perché le radici sono viste non tanto come nutrimento della pianta di appartenenza quanto come legame eccessivamente vincolante ad un terreno che njon consente altri e personali approdi.

Allora, se radici si devono mettere, le si colloca altrove, in un proprio terreno privato e protetto, contro chiunque voglia invaderlo, attaccandone l’identità.

Questa condizione porta a temere il confronto fino a non accettare l’idea della diversità, pur volendo per sé la specificità, e si finisce nel gorgo dell’omologazione generazionale per cui si creano solidarietà passive con tutti quelli che vivono la stessa esperienza “esclusiva”.

Siamo in pieno terreno del DISAGIO GIOVANILE e, per quel che ci riguarda, abbiamo un compito esclusivo: affrontarlo sul piano dell’insegnamento e dell’apprendimento nell’alveo significativo e forte della RELAZIONE FORMATIVA.

Per prendere coscienza del nostro ruolo – nel contesto della relazione formativa – dobbiamo coraggiosamente e lealmente analizzare le condizioni di DISAGIO e di AGIO che possono connaturarsi alla stessa relazione:

  1. La scuola crea disagio quando propone regole e modelli non coincidenti con i comportamenti dei proponenti;
  2. La scuola crea disagio quando gli adulti non si accorgono di essere costantemente “indagati” dai giovani;
  3. La scuola crea disagio quando si preoccupa di agire sul “cervello” e non sulla “persona” degli alunni;
  4. La scuola crea disagio quando è statica e ripetitiva in una società dinamica e costruttiva;
  5. La scuola crea disagio quando esclude dalla sua azione educativa il “vissuto” dei giovani;
  6. La scuola crea disagio quando esclude dalla sua azione educativa la soddisfazione della riuscita;
  7. La scuola crea disagio quando mette l’asticella del salto in alto solo in relazione al cielo e non alla terra;

 

Quando, invece, la scuola crea agio?

  1. La scuola crea agio quando chi insegna ad imparare, impara continuamente ad insegnare;
  2. La scuola crea agio quando alunni e docenti non si fanno reciprocamente male.

***

C’è un disagio di fondo, nella scuola italiana, di cui sono vittime i protagonisti; disagio derivante dalla vera mancata RIFORMA.

La riforma, di cui parliamo, non è il riassetto organizzativo del sistema scolastico ma l’entrare coraggiosamente nel nucleo vitale e culturale dello stesso.

La mancata riforma dipende:

  1. Dalla mancanza di volontà politica
  2. Dalla mancanza di un serio progetto culturale sulla scuola da parte della società in genere
  3. Dalla mancanza di definizione di un ruolo significativo dell’educazione e della formazione
  4. Dalla paura di un ruolo “rivoluzionario” dell’istruzione e della conseguente capacità di decidere in proprio
  5. Dai residui della contrapposizione ideologica

Non è detto che “qualcosa” non sia cambiato ma i cambiamenti non sembrano incidere nella sostanza dell’identità della scuola.

  1. Cambiano forse i programmi ma non l’impianto sostanziale dell’insegnamento/apprendimento
  2. Non ci si preoccupa seriamente della formazione e della ri-formazione del personale scolastico
  3. Non si adegua la scuola alla vera innovazione tecnologico-didattico-scientifica
  4. E’ancora dominante la rigidità del sistema
  5. Si avverte un appiattimento verso il basso delle identità, sia degli alunni che dei docenti
  6. E’ forte la rinuncia alla vera meritocrazia e alla verifica delle prestazioni
  7. E’ forte la tentazione a uno stile routinario della vita scolastica.

 

La scuola può cambiare ma dobbiamo essere convinti che:

  1. La scuola non è l’azienda della trasmissione della conoscenza con il sistema della catena di montaggio;
  2. La scuola non è l’impresa del risultato e non della riuscita della persona;
  3. La scuola non è l’esecuzione di procedure per progetti senza processo e senza progresso della persona
  4. La scuola non è il luogo di tanti posti disposti, giustapposti e spesso “contrapposti”
  5. La scuola non è il tempo del mio tempo contro il tuo tempo, in una scuola fuori del tempo e senza tempo
  6. Soprattutto la scuola non è il tempo e il luogo dove – se potessero – non andrebbero a scuola né i docenti né gli alunni.

Ma non è giusto parlare dei limiti e delle difficoltà della scuola se non mandiamo segnali convinti sulla possibilità di cambiamento.

La scuola coincide con la VITA – quindi è vitale – solo se assieme alla famiglia e alla società manifesta la volontà e la capacità di credere al cambiamento.

E il bagaglio del cambiamento passa innanzitutto nell’onestà di ricredersi, mettendo in discussione le troppe e vacue certezze di un tempo che cristallizzano ogni decisione nell’illusione che tutto sia sempre uguale a se stesso.

Ogni progetto di cambiamento della scuola deve riscoprire le sue radici nei VALORI, ossia nelle idee forti della cultura che la civiltà ci ha tramandato come ricchezza e come impegno.

Ancora, determinante per il cambiamento è il leale atteggiamento nella relazione con i giovani, rischiando fino in fondo con le loro attese, le loto potenzialità e persino con i loro limiti.

Sicuramente c’imbatteremo, allora, con il primo dilemma: puntare tutto sul pensiero “convergente”, sul modo comodo e facile del pensare consolidato, o non puntare anche sul pensiero “divergente”, fatto del rischio del nuovo, del confronto, della ricerca alternativa e faticosa, rispondente ad orizzonti più ampi rispetto alle visuali abitudinarie del nostro modo di leggere il mondo?

 

Accettare il pensiero divergente comporterà:

  1. Introdurre anche il principio di casualità nel processo di creazione;
  2. Incoraggiare la curiosità e mettere in opera il principio dell’imparare sperimentando;
  3. Utilizzare molteplici prospettive per facilitare il passaggio da una posizione all’altra all’interno della molteplicità del reale;
  4. Percepire l’errore come feedback naturale e necessario nel processo di costruzione della conoscenza.

Non è facile entrare in quest’ottica, così come non è agevole mettere d’accordo, per concretizzare stili nuovi di apprendimento, elementi come:

  1. Processi cognitivi
  2. Percezione
  3. Condizioni di personalità
  4. Atteggiamento socio-relazionale
  5. Rapporto con il Sapere

***

Gli stili di apprendimento richiamano direttamente gli stili d’insegnamento; tale correlazione non è occasionale, tantomeno superflua. L’insegnamento ha, quindi, l’obbligo di rispondere ad alcune caratteristiche che ne qualificano l’identità:

Sicuramente si chiede dal docente la competenza professionale, la completezza dell’informazione, la consapevolezza di ruolo, la comprensione delle dinamiche psicologiche e umane, in genere, degli alunni, e, infine, la compitezza, intesa come il sapersi porgere con stile personale e professionale adeguato al compito.

Aggiungiamo altre caratteristiche del docente che ci convince nell’esercizio del suo compito: un docente disponibile, costante, con spirito di condivisione, con continua curiosità.

Da questo quadro d’identità – che ci auguriamo non sia ideale e astratto – scaturisce un apprendimento con le identiche caratteristiche dell’insegnamento: caratterizzato, quindi da

  1. Disponibilità
  2. Costanza
  3. Consapevolezza
  4. Condivisione
  5. Compitezza e
  6. Curiosità.

Ci avviamo alla conclusione della nostra analisi, convinti di aver solo accennato a una molteplicità e delicatezze delle questioni di una scuola che ci sta a cuore.

Concludiamo con delle domande, lasciando a ciascuno dei docenti le risposte?

  1. E’ possibile un domani senza scuola?
  2. E’ auspicabile un domani senza “questa” scuola?
  3. E’ possibile una scuola senza scuola?
  4. La “mia” scuola – quella del docente o quella degli alunni – è anche la “tua” scuola?
  5. La “tua” scuola fino a che punto è anche la “mia” scuola?
  6. La mia scuola e la tua scuola fino a che punto sono la “nostra” scuola?

Questi urgenti interrogativi sono posti sul terreno della precisa volontà di salvare la scuola dal declino in cui rischia di perdersi senza la consapevolezza delle proprie responsabilità.

La scuola si salva non con la “materia” – sia essa caratterizzata dall’intelligenza astratta, dalle azioni non motivate e dalle emozioni non controllate; quella materia separata dalla sua forza educativa che dà senso e vigore all’intelligenza, alle azioni e alle emozioni.

La scuola si danna

  • credendo troppo a quel che si dice – di bene e/o di male – della scuola
  • non avendo alcuna curiosità su cosa debba/possa essere la scuola
  • quando la scuola non crede ai “grandi” che hanno candidamente dichiarato che a volte hanno trovato la scuola o inutile o noiosa.

Se parliamo di scuola, parliamo di passato, di presente e soprattutto del futuro. Di chi parlerà il futuro: più dei primi uomini o solo degli ultimi, dimenticando il lungo e faticosa percorso di tutta l’umanità?

La scuola sarà solo la narrazione delle “cose” o non anche l’ingenua, straordinaria fantasia – ad esempio – di un bambino che colora il mondo. Vale, in conclusione, questa idea: Chi non abita almeno una volta nel castello di sabbia di un bambino, non sarà mai RE (di se stesso).

Aumentano le scuole che utilizzano le prove Invalsi: solo il 6% degli istituti non scarica i dati

da Il Sole 24 Ore

Aumentano le scuole che utilizzano le prove Invalsi: solo il 6% degli istituti non scarica i dati

di Claudio Tucci

C’è ancora uno zoccolo duro di istituti che continua a “snobbare” i dati Invalsi: a settembre 2015 il 6% delle scuole non ha scaricato gli esiti delle rilevazioni degli apprendimenti fatte a maggio. Un dato significativo; ma negli anni in continua diminuzione, ha spiegato il direttore dell’Invalsi, Paolo Mazzoli intervenendo ieri a Roma alla presentazione del progetto «Valutazione in progress», organizzato da una rete di scuole di Lazio, Toscana, Emilia Romagna, per illustrare i criteri per giudicare i docenti. Mazzoli ha evidenziato come l’anno precedente, settembre 2014, il “boicottaggio” dei dati da parte delle scuole era più elevato, si aggirava intorno al 20%.

Il progetto «Valutazione in progress»
L’Invalsi resta uno strumento fondamentale per “testare” le competenze degli alunni, e aiutare le scuole a migliorare. Anche quest’anno i test di maggio si sono svolti regolarmente (in oltre il 90% delle scuole). Quest’anno scatta anche la valutazione degli insegnanti, prevista dalla legge 107. E per questo un campione di istituti di tre regioni italiane, Lazio, Toscana, Emilia Romagna, hanno fatto da apripista predisponendo dei modelli di valorizzazione dei prof, secondo le specificità dei territori, realizzati con la partecipazione attiva degli stessi professori. Le rappresentanti del Lazio, per esempio, hanno dato più enfasi, nella loro proposta, a un percorso partecipato, partendo dall’autovalutazione dei docenti. In Emilia Romagna si guarda, invece, maggiormente agli esiti dell’attività didattica, in termini di miglioramento delle competenze e degli apprendimenti degli studenti (premiando i prof che ottengono i risultati migliori). In Toscana i criteri illustrati sono sia di tipo qualitativo che quantitativo.

«Valutazione in progress», hanno spiegato le dirigenti delle scuole capofila dell’iniziativa è stato messo in campo con la collaborazione dei relativi Usr, e vuole offrire «un concreto supporto ai comitati di valutazione in termini di oggettività, omogeneità e trasparenza». In base alla legge 107, infatti, toccherà ai comitati indicare i criteri per valutare i professori, e spetterà poi al preside assegnare il bonus. Allo scopo sono stati stanziati 200 milioni di euro l’anno, che però ancora non sono stati distribuiti agli istituti.

Nasce il fondo per contrastare la povertà educativa: in 3 anni attivabili 400 milioni

da Il Sole 24 Ore

Nasce il fondo per contrastare la povertà educativa: in 3 anni attivabili 400 milioni 

Un Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Un fondo che potrebbe attivare 400 milioni in tre anni grazie al credito di imposta. Lo hanno presentato ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, e il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, nella periferia est di Roma.

Il fondo è alimentato dalle fondazioni di origine bancaria, che riceveranno un credito di imposta del 75%- riconosciuto in legge di stabilità – per i contributi destinati a finanziare progetti in grado di rimuovere gli ostacoli ai processi educativi dei minori. In Italia infatti un milione di minori vive in condizioni di povertà assoluta che viene alimentata da quella educativa: quasi la metà dei minori non ha mai letto un libro oltre a quelli di studio, il 70% non ha mai visitato un sito archeologico , il 35% un museo e il 45% non ha mai fatto attività sportiva. I progetti da finanziare saranno selezionati dal governo, l’Acri e il Forum nazionale del terzo settore. «Si tratta di una misura sperimentale che, se dovesse funzionare ci darà le indicazioni per creare una misura strutturale – ha spiegato Nannicini – gli interventi saranno pochi ma guidati da una visione di insieme e dovranno creare un effetto leva per aumentare i fondi». Sui progetti si valuterà nei prossimi mesi ma saranno su due filoni: da un lato interventi territoriali per creare luoghi educativi come scuole fuori orario e biblioteche e dall’altro progetti personalizzati di tutoraggio per i minori in difficoltà. «È un fenomeno sociale drammatico che un paese civile non può consentire – ha spiegato Guzzetti -, ci siamo dichiarati subito orgogliosi e pronti ad aderire, impegnandoci a finanziarla con circa 120 milioni di euro all’anno secondo un protocollo definito e concordato con il Governo».

La chiamata diretta non si tocca

da ItaliaOggi

La chiamata diretta non si tocca

Alessandra Ricciardi e Mario Nobilio

La sequenza contrattuale che regolerà le procedure, le modalità e i criteri attuativi per l’assegnazione alle scuole dei docenti titolari di ambito non potrà derogare la riforma Renzi. Dunque, la chiamata diretta non si tocca. Il ministero dell’istruzione ha di fatto affermato di avere le mani legate sul tema, nel vertice che si è tenuto con i sindacati nei giorni scorsi, negando la possibilità di modificare anche di una sola virgola quanto previsto dalla riforma della Buona scuola, legge n. 107/2015.

Una posizione che ha posto i sindacati di fronte a un prendere o lasciare. E Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals-Conflsal e Gilda, a queste condizioni, hanno lasciato.

Interrotte le trattative, le sigle hanno chiesto che su questa partita, come già avvenuto per il contratto sulla mobilità, il confronto sia con il livello politico e non più con la burocrazia. Insomma, che al tavolo, chiamato a decidere come si assumeranno i nuovi docenti che saliranno in cattedra il prossimo settembre, siedano il ministro, Stefania Giannini, o il sottosegretario, Davide Faraone (quest’ultimo già al tavolo sulla mobilità).

Al momento nessuna risposta è arrivata dai piani alti di viale Trastevere, dove tutti sono in attesa di verificare quale sarà l’esito dello sciopero di venerdì. Così da soppesare la forza delle sigle e decidere il da farsi. Non dimenticando che la protesta generale del settore si svolge in piena campagna elettorale, a pochi giorni dal voto della amministrative.

La bozza di accordo proposta dal Miur elenca le disposizioni di attuazione della chiamata diretta in stretta osservanza della 107. Più che un accordo, dunque, un regolamento ministeriale che i sindacati dovrebbero controfirmare. Lo schema è articolato in 10 punti. Il primo articolo indica le caratteristiche dei docenti destinatari degli incarichi, il secondo le sedi disponibili, il terzo le modalità di pubblicità delle procedure di conferimento degli incarichi. Il quarto articolo regola la presentazione delle candidature e il quinto i criteri di valutazione.

Il dirigente scolastico farà la scelta in base al piano dell’offerta formativa della scuola, l’incarico avrà durata triennale e sarà rinnovato se ancora coerente con il Poft. Dovrà tenere conto, nella scelta, del curriculum, delle esperienze e delle competenze professionali, potrà svolgere anche dei colloqui, ma non sono obbligatori. Il contratto si perfeziona con l’accettazione da parte del docente

Un sesto articolo recepisce le disposizioni sulle precedenze previste dalla legge 104 del 1992, legge che dispone la inamovibilità d’ufficio per i docenti portatori di handicap e per coloro che assistono un parente portatore di handicap grave. La bozza di articolato, peraltro, non fa alcuna menzione delle precedenze previste da altre leggi. Che però non sono state abrogate espressamente dalla legge 107. E siccome tali precedenze derivano da leggi speciali, dovrebbero necessariamente essere recepite nell’articolato.

È il caso delle precedenze previste per i coniugi di militari trasferiti d’ufficio, oppure di quelle previste per gli amministratori locali. La bozza disciplina anche le procedure di conferimento degli incarichi. L’articolo 8 indicherà le modalità di intervento degli uffici scolastici regionali in caso di inerzia da parte dei dirigenti scolastici nel conferimento degli incarichi, disciplinando le procedure da adottare nel caso in cui un docente o più docenti non dovessero essere stati scelti da alcun dirigente scolastico ai fini del trattamento d’ufficio. L’articolo 9 della sequenza regolerà la mobilità dei docenti titolari di incarico.

L’amministrazione non ha spiegato in che cosa dovrebbe consistere il diritto alla mobilità in capo al docente titolare di un mero incarico triennale e, ormai, definitivamente privo del diritto alla titolarità della sede. In ogni caso, la legge 107 fa menzione di tale diritto solo in riferimento agli ambiti. Non si tratta, dunque, del diritto di diventare titolare di un’altra sede di lavoro, quanto, invece, della mera possibilità di spostare la propria titolarità del diritto di lavorare da un ambito geografico ad un altro. Ambito il cui territorio è pari a circa il doppio di quello di un distretto scolastico: i distretti sono circa 800 e gli ambiti 380.

Utilizzazioni e assegnazioni, gli ambiti si mettono di traverso

da ItaliaOggi

Utilizzazioni e assegnazioni, gli ambiti si mettono di traverso

Carlo Forte

Al via la trattativa per il rinnovo del contratto integrativo sulle assegnazioni provvisorie e sulle utilizzazioni. Giovedì scorso si è tenuto a Roma il primo incontro tra amministrazione e sindacati presso il ministero dell’istruzione. Ma le parti hanno convenuto di aggiornare la discussione ad altra seduta. Quest’anno, infatti, a complicare la situazione c’è l’ostacolo degli ambiti territoriali. Che secondo l’amministrazione dovrebbero essere considerati in qualche modo anche nel contratto sulla mobilità annuale. Ma se così fosse verrebbe posta nel nulla la funzione stessa dell’assegnazione provvisoria: il riavvicinamento alla famiglia. Idem per le utilizzazioni, che servono a ricollocare il personale in esubero e, al tempo stesso, a consentire ai docenti in esubero di ottenere una sede che sia il meno svantaggiosa possibile.

Il problema potrebbe essere agevolmente risolto facendo riferimento alla cosiddetta gerarchia delle fonti. Il codice civile dispone, infatti, che le norme generali siano suscettibili di deroga da parte delle cosiddette norme speciali. Questa disposizione non vale più per la contrattazione collettiva. Che ormai non può più derogare le norme di legge. Ma resta in vigore per le leggi. E siccome le assegnazioni provinciali e le utilizzazioni sono previste da norme di legge, queste si collocano in rapporto di specialità rispetto alle norme generali contenute nella legge 107 in materia di mobilità e le derogano. L’unica eccezione a questa regola è che la norma speciale sia stata espressamente abrogata dalla norma generale. Non è questo il caso, perché la legge 107 fa espresso riferimento alle utilizzazioni.

E a breve conterrà anche un rinvio espresso all’istituto delle assegnazioni provvisorie, non appena sarà approvata la modifica prevista dal disegno di legge di conversione del decreto legge in materia di funzionalità del sistema scolastico. Che è stato appena licenziato dal senato e per il quale è iniziata oggi la discussione in VII commissione alla camera (AC 3822). In tema di prevalenza delle norme speciali sulle norme generali, peraltro, la Corte di cassazione, con la sentenza 15 dicembre 2011, n. 27041, ha spiegato che «la regola dell’abrogazione non si applica quando la legge anteriore sia speciale od eccezionale e quella successiva, invece, generale, ritenendosi che la disciplina generale, salvo espressa volontà contraria del legislatore, non abbia ragione di mutare quella dettata, per singole o particolari fattispecie, dal legislatore precedente». Ciò perché: «Le norme speciali» si legge nella sentenza della Suprema corte «sono norme dettate per specifici settori o per specifiche materie, che derogano alla normativa generale per esigenze legate alla natura stessa dell’ambito disciplinato ed obbediscono all’esigenza legislativa di trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse».

In altre parole, mentre per la mobilità a domanda il legislatore ha inteso cancellare espressamente il vecchio sistema che garantiva il diritto alla titolarità della sede, prevedendo un nuovo meccanismo caratterizzato dalla chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti, nulla è stato innovato per quanto riguarda le assegnazioni provvisorie e le utilizzazioni. Tanto più che se il legislatore avesse voluto modificare anche la disciplina delle utilizzazioni e delle assegnazioni provvisorie avrebbe potuto farlo agevolmente abrogando esplicitamente tali istituti. E invece ha fatto esattamente il contrario, ribadendone la vigenza con espressi riferimenti a tali istituti nella legge 107 per le utilizzazioni e nel disegno di legge AC3822, che è in procinto di innovare la legge 107 agevolando l’accesso alle assegnazioni provvisorie, anche in deroga la vincolo di permanenza triennale nella stessa provincia per i neoimmessi in ruolo. Oltre tutto bisogna anche considerare il fatto che sia le utilizzazioni che le assegnazioni provvisorie sono provvedimenti di durata annuale e non comportano l’assunzione della titolarità della sede da parte dei destinatari.

Sindacati-Giannini ai ferri corti

da ItaliaOggi

Sindacati-Giannini ai ferri corti

Emanuela Micucci

Una diffida al ministro dell’istruzione Stefania Giannini per inadempienza degli obblighi sindacali. Lo stanno valutando Fcl-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola e Snals-Confsal che venerdì daranno vita allo sciopero generale unitario di tutto il personale della scuola. Più che una protesta, sottolineano spiegando le ragioni dell’agitazione del 20 maggio, «un grido d’allarme per un’istituzione importante quale la scuola in una situazione di silenzio assordante».

Il clima nelle scuole «è diventato irrespirabile», sottolinea Domenico Pantaleo, segretario generale Fcl-Cgil. «Non pensiamo a una scuola guerrigliera, siamo più vicini a Gandhi», aggiunge Pino Turi segretario generale Uil Scuola. Al centro dello sciopero, dal quale sono esonerati i docenti impegnati nel concorso a cattedre, il rinnovo del contratto, «scaduto da 7 anni», ricorda Pantaleo, ma anche «il ripristino di corrette relazioni sindacali, le modifiche della legge 107 della Buona Scuola, la libertà di insegnamento, il riconoscimento del ruolo del personale Ata, la risoluzione del precariato, la valutazione di docenti e dirigenti scolastici», aggiunge Turi.

I sindacati lamentano la mancanza di relazioni con il governo. «L’ultima volta che la ministra Giannini ci ricevuto», nota Turi, «è stato il 23 settembre, da allora più nulla, nonostante le nostre reiterate richieste». «In un Paese serio questo non è possibile», aggiunge Maddalena Gissi, segretario generale Cisl Scuola. Per questo motivo i 4 sindacati stanno pensando a una denuncia legale per il ministro Giannini per inadempienze sindacali. «La legge n. 300, che prevede che dopo la richiesta di incontri sindacali ci sia una risposta, va rispettata», ricorda Gissi. «Il governo fa una scelta strana», insiste Achille Massenti segretario generale vicario Snals-Confsal, «quella di decidere senza ascoltare o perché ha già deciso a priori o perché non ha la competenza per sostenere il confronto (forse ora questo è quello che sta accadendo al ministero). L’errore di fondo è aver voluto voltare pagina di colpo, producendo strappi, e non con gradualità, con un piano preciso».

La contrattazione è l’obiettivo, «deve tornare nelle nostre scuole», prosegue Gissi. «Inoltre dalla valutazione alla gestione del precariato vogliamo cambiare la legge 107, che ha un’impostazione autoritaria», dichiara Pantaleo. E che, sostiene Turi, sta facendo subire alla scuola «una mutazione genetica dove c’è una dipendenza gerarchica che ammazza l’autonomia prevista dalla legge».

Varie le iniziative previste a livello regionale e territoriale: cortei e presidi davanti le Prefetture, manifestazioni nelle principali città (Cagliari, Napoli, Bari, Milano, Torino, Bologna), un corteo a Roma da San Paolo alla sede del Miur. Intanto, a sostegno delle loro rivendicazioni i sindacati hanno avviato una petizione nelle scuole che ha già raccolto in questa prima tranche 150mila firme.

Insegnanti a -1.440 euro annui Tanto costa il blocco del contratto

da ItaliaOggi

Insegnanti a -1.440 euro annui Tanto costa il blocco del contratto

Emanuela Micucci

Un taglio medio di 1.440 euro all’anno. Tanto si è ridotta la retribuzione pro-capite di fatto dei lavoratori della scuola nei sette anni del blocco del contratto: -4,71% secondo i dati del conto annuale del Mef. «Dai 30.570 euro del 2009 si è passati ai 29.139 del 2014», denunciano Cisl Scuola, Fcl-Cgil, Snals-Confsal e Uil Scuola. A certificarlo il ridimensionamento della spesa pubblica dello Stato per l’utilizzo del personale della scuola: – 5.130 milioni di euro, pari a -11,25%.

Pesanti, poi, sul blocco dei contratti gli effetti dell’inflazione, cresciuta nel 2009-15 dell’8,5%. Così, notano i sindacati, «le retribuzioni dei lavoratori della scuola sono state completamente erose dall’inflazione comportando una perdita cumulata in questi anni pari a 11.500 euro medi». Mentre i salari annui lordi dei docenti italiani sono tra gli ultimi della zona euro: tra 22.903 e 33.740 euro alla primaria contro i 26.212 e i 43.416 euro della media Ue, tra 24.669 e 37.055 euro alle medie contro i 28.182 e 47.295 euro europei, alle superiori tra 24.669 e 38.745 euro rispetto alla media Ue tra i 28.9562 e i 48.670 euro. E per arrivare alla retribuzione massima in Italia occorrono ben 35 anni, contro i 24 della media Ue.

«Se si considera 100 il valore di riferimento del salario nel 2005», aggiungono i sindacati, «quello dei docenti italiani della primaria nel 2013 registrava un decremento di 6 punti. Peggio di noi solo Portogallo, Grecia ed Ungheria, mentre in altri Paesi, dove il salario medio era già più alto, è ulteriormente aumentato» come in Finlandia, Germania, Irlanda.

Giannini: scuole aperte anche d’estate. E poi la domenica

da La Stampa

Giannini: scuole aperte anche d’estate. E poi la domenica

Ma i ragazzi non si ritroveranno a ripassare matematica ma a fare sport, musica, teatro
«Istituti aperti durante l’estate, per i ragazzi che restano a casa e che, inevitabilmente, finiscono a passare le giornate per strada. I ragazzi dei quartieri più disagiati di Milano, Roma, Napoli e Palermo. Un investimento da 10 milioni di euro». Così, in un’intervista ad un quotidiano, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini spiega il progetto “Scuola al Centro” illustrato Al G7 su educazione e ambiente a Tokyo.

Il progetto coinvolge scuole medie e superiori. «Napoli, per esempio, si contano 541 istituti. Di questi, 275 sono in zone considerate a rischio. Alla città andranno 4 milioni e 100mila euro», afferma Giannini. I professori «non sono obbligati, chi vorrà parteciperà», ricevendo «un compenso, ma non molto alto». Quanto ai ragazzi, non andranno a scuola per studiare: «Pensiamo allo sport, a scuole di musica, teatro. Ma anche vari laboratori artistici. Tutto quello che potrebbe interessare i ragazzi, farli divertire e toglierli dalla strada».

 

Sulle risorse, «potranno essere utilizzati i fondi europei destinati alla dispersione scolastica», dichiara Giannini. «Prevediamo che il progetto possa essere esteso anche ad altre città ed altri istituti in zone o quartieri complessi. L’esempio potrà essere seguito individuando gli istituti che, aprendo le porte quando normalmente sono chiusi, possano accogliere anche chi a scuola non ci va mai».

 

Quanto alla possibilità di aprire le scuole anche la domenica, «se il progetto che sperimenteremo quest’estate andrà bene, perché no? Una volta avviata la rete si potrà pensare anche al giorno di festa», dice il ministro.