Stili e poteri della dirigenza scolastica

Stili e poteri della dirigenza scolastica

di Stefano Stefanel

 

Poiché sono abbastanza disinteressato alle polemiche e alle lamentele che invece stanno molto interessando il mondo della scuola (chiamata diretta, organico dell’autonomia, concorsi ordinari, bonus premiante il merito, piani della trasparenza, accordi di rete, ecc.) il mio sguardo pur essendo immerso negli stessi argomenti spazia altrove. L’altrove è il mondo delle organizzazioni che ha nella scuola dell’autonomia un elemento di grande interesse e di possibile profonda lettura. Quando di questi tempi leggo le molte polemiche, le molte invettive e le molte lamentale di docenti e dirigenti sulle varie applicazioni della legge 107 e di quant’altro di nuovo è entrato nella scuola (fondi PON ad esempio, ma anche BES) mi chiedo: “Perché vogliono governare con sistemi vecchi un qualcosa di nuovo? E’ possibile governare efficacemente e con efficienza nuovi scenari didattici ed economici con sistemi nati in altri contesti?”. Mi rispondo di no, ovviamente, ma vedendo che molti vogliono continuare a farlo mi chiedo anche perché.

VICARI COME SPECCHIO DEL POTERE

Con la nascita della dirigenza scolastica (1999) e le successive e molte (troppe!) riforme la vecchia figura del vicario è da subito sparita. Non se ne trova traccia nelle norme, non se ne trova traccia nei contratti. Sarebbe interessate sapere quanti dirigenti scolastici nominano ancora “vicari” e sarebbe ancora più interessante sapere quanti ancora agiscono attraverso il “vicepreside”. Questi dati pur non essendo disponibili sono facilmente intuibili: quasi tutti. Interessante è osservare come l’estensione dei poteri di nomina fino al 10% dell’organico, introdotto dalla legge 107/2015, interessa o scalda poco o niente, perché magari l’organico non può concedere esoneri alla classe di concorso del proprio “vicario”. La questione attiene tutta al potere piramidale: la sommità della piramide è fatta dal dirigente scolastico, che “crea” una figura inesistente ma suggestiva (il vicario) e la affianca da un’altra ugualmente non esistente (il secondo collaboratore): entrambe le figure stanno sopra gli altri docenti ma sotto il dirigente scolastico. Ciò che la legge non prevede e non concede (delega di funzioni e delega di poteri: da lì nasce il problema delle reggenze) è ciò che affascina molti di noi. Una volta definita l’organizzazione della scuola come una struttura rigida il suo governo diventa immediatamente piramidale e questo tende a riportare qualsiasi novità verso quel meccanismo (che per me è perverso) per cui l’esonero dall’insegnamento viene dato alla persona e non alla funzione, quasi che il dirigente scolastico possa creare nell’organico didattico qualcosa che va a presidiare la gestione amministrativa dell’organizzazione scolastica. C’è in questo molto paternalismo: “so io chi può fare il bene della scuola!”. Concentrare l’esonero sulla persona e non sulla funzione è dare all’esonero un ruolo che non ha (che è di tipo gestionale e amministrativo). Il d.lgs 165/2001 diceva: “Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti”. Compiti, non funzioni o deleghe.

Vedo in tutto questo una sottovalutazione dell’entità del problema su alcuni elementi fondanti l’autonomia e l’applicazione della legge 107/2015, che certamente ha complicato la questione della governance scolastica. Elenco alcuni settori dove il governo della scuola richiede deleghe di compiti a soggetti che non hanno competenze dirigenziali e dove la struttura piramidale è d’inciampo:

  • Organico dell’autonomia: non è più un questione di “fare le supplenze”, chiunque diriga un Istituto comprensivo plurisede sa che la cosa non si risolve col vicario; la questione è invece quella di gestire in forma innovativa un organico complesso, funzionale, legato a obiettivi, progetti, interventi diretti su studenti e progetti.
  • Fondi Pon: ci vogliono competenze forti per la gestione di progetti e risorse molto ampie, che presentano peculiarità di grande progettualità e che attraverso una gestione piramidale rischiano di far deragliare tutta l’organizzazione scolastica.
  • Piano Nazionale Scuola Digitale: anche in questo caso le risorse in campo richiedono competenze diffuse e certificate.
  • Rapporto di Autovalutazione, Piano di Mglioramento, Piano Triennale dell’Offerta Formativa: in queste aree semiesoneri possono creare la coerenza tra progetti, documenti, sensibilizzazione, perché il redattore ha tempo per lavorare e confrontarsi con gli altri docenti.
  • Gestione decentrata dei plessi: anche in questo caso la funzionalità dell’organico della scuola primaria ha permesso già molto nel senso di una gestione della scuola più collegiale.

Gli esempi sopra riportati non sono esaustivi e sono solo esemplificativi. Se però osserviamo lo sconcerto sul non poter dare esoneri a “certe” persone ci troviamo di fronte ad una gestione della scuola che vuol essere paternalistica e impiegatizia. Il vicario è perfetto per la scuola degli adempimenti, mentre per quella del governo del cambiamento non serve a niente.

La questione del potere del dirigente connesso al suo stile di dirigenza mi pare invece ancora centrale: nel momento in cui è necessario ampliare i raggi di governo chi invece ritiene di dover dirigere un ente amministrativo che ha come primo obiettivo gli obblighi e gli adempimenti ha per forza di cose la necessità di costruire una piramide di gestione che è anche una piramide di potere. Re, vassalli, valvassori, valvassini, insomma, in un simpatico “dividi et impera” in cui si comanda magari attraverso rapporti stretti con la parte amministrativa della scuola, che affascina soprattutto chi non ci capisce nulla di amministrazione (e ci prende poco coi conti).

LE RETI DI AMBITO COME SISTEMA COMPLESSO

Non so che fine faranno le reti di ambito, ma la loro complessità è già sotto gli occhi di tutti, mentre la loro forza sta spaventando tutti quei dirigenti che amavano esercitare il potere a casa propria creando piccole piramidi locali, molto chiuse e molto forti, con cerchi magici dispensatori di classi, giornate libere, poche ore buche, incarichi, ecc.. Le reti di ambito portano il governo della scuola fuori dalla vecchia piramide (istituto, ambito territoriale il più simile possibile al provveditorato, ufficio scolastico regionale, ministero) e dentro un luogo in cui il governo viene gestito nella propria area da un rapporto tra pari. Come può essere appassionato da un rapporto tra pari chi nomina il “vicario” anche se questo non esiste più nel fatto e nel diritto? Chi persegue il potere piramidale a casa propria come può essere affascinato da un potere diffuso e da ridisegnare?

Anche perché reti, PON, piano nazionale scuola digitale, progetti nazionali e altre simili diavolerie stanno portando molti soldi e molto organico nelle scuole e il governo diventa complesso. Il personale amministrativo è contro tutto questo perché porta “più lavoro”. E quindi il cambiamento è spesso contro la parte amministrativa di una scuola, non favorito da essa. In realtà questo cambiamenti dovrebbero far sostituire il lavoro inutile con quello utile, ma poiché molti ancora stampano le PEC mi è ben chiaro cosa si sta difendendo. Mai come in questo momento lo stile e il potere del dirigente si intrecciano creando quella dimensione organizzativa che trasmette senso alla scuola, ma che con la nascita degli ambiti territoriali darà il senso anche a tutto il territorio di riferimento.

Gestire il nuovo col vecchio non si è mai potuto fare e anche le Restaurazioni che si sono succedute nella storia hanno battuto il passo davanti alle innovazioni che non si sono fatte ingabbiare. Ma se la questione attiene alla gestione del potere e chi lo perde invece di comprendere il nuovo assetto sbraita per cercare di ripristinare il vecchio assetto la scuola si trova con un problema in più.

Se le aree di interesse diventano plurime, se i centri di spesa diventano sempre più progettuali e sempre meno ordinari, se la questione della gestione dell’organico sta più dentro ad un piano di miglioramento della scuola che agli equilibri di un orario vuol dire che i vecchi arnesi della scuola degli adempimenti vanno eliminati e va creata una governance nuova in cui entri meno la questione del potere e della piramide e più quella dell’organizzazione e della cultura della gestione per obiettivi e processi.

In questo momento è molto grave avere docenti conservatori (non si sa per conservare cosa), ma avere dirigenti conservatori in questa fase è proprio una davastazione: speriamo che la valutazione attraverso il Piano di Miglioramento faccia mettere le ali alla parte innovativa che – magari in quantità diverse – c’è in ognuno di noi.

Università, il Ministro incontra il Presidente della Regione Sardegna

Università, il Ministro Stefania Giannini ha incontrato
il Presidente della Sardegna Pigliaru

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, ha incontrato questa mattina presso il Ministero il Presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru, l’Assessore sardo all’Istruzione e Cultura Claudia Firino e il Rettore dell’Università di Cagliari  Maria Del Zompo in rappresentanza degli atenei del territorio sul tema dei finanziamenti alle università della Sardegna sia in riferimento all’anno in corso che per il 2017.

Il Ministro Giannini ha dato certezza, numeri alla mano, del fatto che per quest’anno gli atenei di Cagliari e Sassari registreranno un miglioramento della quota-base del finanziamento ordinario, inclusiva della porzione basata sul costo-standard. Mentre per il 2017 il Ministro ha confermato che si terrà conto, in sede di revisione dei parametri che servono a definire il costo standard, della condizione peculiare di insularità della Regione, combinata, in primo luogo, con la bassa densità demografica.

D. Tartt, Dio di Illusioni

“Dio di Illusioni”, romanzo di Donna Tartt

di Mario Coviello

 

tarttE’ disponibile nelle edizioni Rizzoli Vintage Gold, a 15 euro con l’acquisto di un altro volume della stessa collana, due al prezzo di uno insomma,” Dio di illusioni” di Donna Tartt, il capolavoro che ha rivelato l’autrice de “ il Cardellino”, di cui vi ho parlato in una mia precedente recensione.

E’ un libro magnificamente riuscito che mi ha accompagnato durante il mio soggiorno a Ostuni, la meravigliosa città “bianca”, in provincia di Brindisi.

Nel giardino del Centro di spiritualità “ Madonna della Nova,un’oasi di serenità e calda ospitalità, e sulle spiagge dell’oasi naturale di Torre Guaceto mi hanno fatto compagnia le 633 pagine finemente cesellate, con una scrittura colta e scorrevole, di “ Dio di illusioni”. Il romanzo racconta un anno di vita di Richard Papen, un ragazzo di 19 anni che riesce ad entrare nell’ esclusivo Hampton College nel Vermont. Richard viene dalla California, scappa da un padre manesco e da una madre succube e fa amicizia con due gemelli orfani Charles e Camilla, con Francis, allevato dai nonni,Bunny, sportivo e dislessico e Henry, un genio ricco che recita Omero in greco e si appassiona al sanscrito.

Sono tutti allievi di Julian Marrow, professore di greco antico che ha solo questi sei alunni, è amico di Ezra Pound e T.S. Eliot, ha legami con il Vaticano e principi del Medio Oriente.

Julian diviene loro padre e maestro, li educa al bello e fa loro conoscere i riti dionisiaci. Julian contagia i giovani discepoli con la sua passione per quel mondo antico e misterioso. Un mondo in cui l’irrazionale, il dionisiaco non erano tabù. “È un’idea tipica dei greci, e molto profonda. Bellezza è terrore. Ciò che chiamiamo bello ci fa tremare. E cosa potrebbe essere più terrificante e più bello che perdere ogni controllo?”.

Nelle pagine della Tartt scorrono fiumi di alcool e droghe e i rapporti fra i protagonisti si complicano con sottili giochi erotici e un pericoloso senso di onnipotenza.

Alla ricerca di se stessi, non si pongono limiti e Richard, sempre più grato per essere stato accettato in questo circolo esclusivo, si lascia trascinare in un gorgo, diventa complice e spettatore di una caduta senza redenzione.

Donna Tartt racconta il mondo universitario americano degli anni settanta, quello degli hippy e il lettore viene afferrato da una sottile angoscia che non gli permette di staccarsi dalle pagine. Spera nella salvezza dei personaggi che impara a conoscere sempre più a fondo ma i giovani protagonisti, quando il loro padre e musa, il professor Julian li abbandona al loro destino, sono travolti dalle loro colpe.

A Richard non resta che raccontare, narrare per capire e andare fino in fondo.

Questi giovani che hanno vissuto “ l’onda improvvisa di potere e godimento, di sicurezza e di controllo. La sensazione della ricchezza del mondo, delle sue infinite possibilità” (pag. 483 ) quando hanno infranto tutte le regole, capiscono che “ non c’è nulla di sbagliato nell’ amore per la Bellezza, ma la Bellezza, se non è sposata a qualcosa di più profondo è sempre superficiale “ ( pag 573 ).

Raccogliete l’invito della Tartt che introduce “ Dio di illusioni” con queste parole tratte dal secondo libro de “ la Repubblica” di Platone : “Venite dunque, e trascorriamo/ un’ora dilettevole narrando storie,/ e la nostra storia sarà l’educazione dei nostri eroi”.

Non ve ne pentirete.

Università Rumena Dunarea de Jos Galati

Università Rumena Dunarea de Jos Galati – chiarimenti

(20.7.16) Con riferimento al caso dell’Università rumena Dunarea de Jos Galati il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca prende favorevolmente atto dell’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta depositata il 19 luglio, che ha ritenuto “fondate le doglianze del MIUR per ciò che concerne il profilo del fumus boni iuris” affermando che l’iniziativa relativa alla costituzione di una facoltà di medicina a Enna da parte dell’Università Dunarea de Jos di Galati e della Fondazione Proserpina è in contrasto con l’ordinamento nazionale e comunitario. Risulta pertanto confermato, come già fatto presente dal Ministero all’Università Dunarea de Jos e alla Fondazione Proserpina fin dallo scorso mese di settembre e come già pubblicato sul proprio sito internet (http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/universita/dettaglio-news/-/dettaglioNews/viewDettaglio/37701/11216) che “eventuali titoli rilasciati all’esito di tali corsi non avrebbero alcun valore né a fini accademici né ai fini professionali e non potrebbero essere riconosciuti né da altro Ateneo né da altra Autorità pubblica”.

Il Tribunale di Caltanissetta ha fatto presente che l’azione attivata ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile non consente al giudice di ordinare la cessazione delle attività didattiche, in quanto non è provata l’irreparabilità del danno causato dall’attivazione dei corsi. Tuttavia già il giudice di primo grado aveva affermato la possibilità di un provvedimento successivo del Ministero per disconoscere l’efficacia dei titoli di studio. Anche al fine di tutelare la posizione degli stessi studenti frequentanti tali corsi, il Ministero sta quindi valutando ogni possibile ulteriore azione al fine di ricondurre nel più breve tempo possibile questa spiacevole situazione nell’alveo della legalità e di fornire puntuali indicazioni alle Università per confermare la non riconoscibilità del titolo di studio.


Università Rumena Dunarea de Jos Galati – Comunicazione urgente

(14.12.15) La Prefettura di Enna ha comunicato a questo Ministero che in data 14 dicembre 2015 si è svolta presso tale sede una “cerimonia di apertura dell’a.a. 2015/2016 della facoltà di Medicina e Farmacia dell’Università Rumena Dunarea de Jos Galati” le cui attività didattiche, relative a corsi di area medico-sanitaria, saranno svolte presso locali reperiti dalla “Fondazione Proserpina S.r.l.”.

A tale riguardo, si ritiene necessario informare studenti e famiglie che, anche a tutela della qualità degli studi universitari, l’attivazione di corsi universitari sul territorio nazionale da parte delle Università, italiane o estere, è consentita soltanto subordinatamente all’adozione di un provvedimento di accreditamento da parte del Ministero su conforme parere, fra l’altro, dell’Agenzia nazionale di valutazione (ANVUR).

Nessun accreditamento è stato concesso dal Ministero per l’attivazione a Enna di corsi in area medico-sanitaria alla sopraindicata Università Rumena, né tantomeno può essere destinataria di un simile provvedimento la citata “Fondazione Proserpina s.r.l.”.

Si evidenzia pertanto che eventuali titoli rilasciati all’esito di tali corsi  non avrebbero alcun valore né a fini accademici né ai fini professionali e non potrebbero essere riconosciuti né da altro Ateneo né da altra Autorità pubblica.

Questo Ministero ha già provveduto a diffidare l’Università  Dunarea de Jos Galati e la Fondazione Proserpina e sta provvedendo, con la collaborazione anche dell’autorità giudiziaria, a ogni possibile azione al fine di ricondurre questa spiacevole situazione nell’alveo della legalità.

Assegnazione dei docenti dagli ambiti alle scuole: dannose le indicazioni del MIUR

Assegnazione dei docenti dagli ambiti alle scuole: dannose le indicazioni del MIUR

Mobilità scuola 2016/2017: il Ministero dell’Istruzione informa i sindacati sulle linee guida alle quali si dovranno uniformare i dirigenti scolastici.

Il 20 luglio 2016, nell’incontro di informativa sindacale, il Miur ci ha comunicato le linee operative che intende indicare ai dirigenti scolastici circa l’assegnazione dei docenti dagli ambiti alle scuole per l’anno scolastico 2016/2017.

Nulla di quanto era stato convenuto fra le parti in sede di negoziazione sindacale è stato conservato, a conferma della chiara intenzione della ministra Giannini di non tenere fede all’accordo politico e di rompere la trattativa.

Tali indicazioni risultano, infatti, essere la conferma di un indirizzo governativo tutto teso ad imprimere una torsione autoritaria e dirigistica che mal si concilia con un ambiente di lavoro che per sua stessa natura è basato sulla condivisione e sulla cooperazione.

Il dirigente scolastico potrà indicare a suo piacimento quali requisiti siano o no coerenti con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, attingendo ad una lunghissima e disparata tabella allegata o anche oltre questa stessa tabella, potrà svolgere un colloquio con i docenti che avanzano domanda, potrà arbitrariamente creare le connessioni fra requisiti e persone.

Si creano di fatto le condizioni per cui non esistono requisiti reali, oggettivi, trasparenti e verificabili per l’assegnazione dei docenti con rischi di tensioni e conflitti che possono determinare confusione e incertezza all’apertura del nuovo anno scolastico.

Per non parlare, poi, dei tempi emergenziali imposti dal MIUR che impediranno a docenti, personale di segreteria e dirigenti scolastici di operare con serenità e senza affanno.

È il trionfo del fai da te e della totale deregolamentazione che porta inevitabilmente il docente ad agire in uno stato di perenne soggezione con le più nefaste conseguenze sul piano dell’esercizio della libertà di insegnamento e del diritto all’apprendimento.

Non appena sarà noto il testo definitivo delle indicazioni ministeriali valuteremo, unitariamente con gli altri sindacati della scuola, tutti i passi necessari, compresi quelli da fare sul piano giurisdizionale, per contrastare gli effetti negativi di tali misure e per tutelare il personale nella sua dignità professionale, nella libertà di insegnamento e nell’esercizio dei suoi diritti di lavoratore.


Assegnazione dei docenti dall’ambito alle scuole
Sintesi dei punti delle linee-guida MIUR
www.flcgil.it

Definita dal MIUR “chiamata per competenze”.
Consente alle scuole di avere docenti competenti per realizzare gli obietti triennali del PTOF e del piano di Miglioramento dell’Istituto, partendo dalle esigenze concrete.
Richiamo ai commi 79-82 della legge 107/15.

In prima applicazione per l’a.s. 2016/2017, due fasi:
1) fase a cura dei docenti e delle scuole, in relazione ai criteri indicati dal dirigente scolastico
2) fase a cura dell’USR territoriale per l’individuazione d’ufficio dei casi residuali dopo la fase 1

1 fase
LA SCUOLA
• Indicazione di alcune caratteristiche richieste al docente (numero da definire) nell’elenco dell’allegato A (esperienze, titoli di studio, titoli culturali e certificabili, progetti, attività formative….).
• Il dirigente scolastico può stabilire un ordine di priorità, così come può far valere altre caratteristiche non inserite nell’elenco
• La legge NON è prescrittiva, quindi le linee-guida “suggeriscono” senza essere impositive
• Il range è consigliato tra i 3 e i 6 criteri (quelli dell’allegato sono i 40/44 già accennati)
• Può essere 1 avviso o più avvisi, quanti sono i posti, ma entro la data pre-fissata e comunque prima della pubblicazione dei movimenti
• Il dirigente scolastico valuta il curricolo a partire da quelli che si sono auto-candidati, proponendo eventuale colloquio
• Formula proposta di incarico con scelta motivata
• Pubblica gli esiti
IL DOCENTE
• Può provvedere a inviare il curricolo
• Invia mail di autocandidatura alle scuole
• L’eventuale colloquio gli consente di perfezionale il curricolo
• Accetta e sottoscrive l’incarico

2 fase
Ai docenti rimasti non assegnati, sono conferiti d’ufficio dall’USR territoriale gli incarichi su sede rimasta libera secondo l’ordine del bollettino ufficiale.

Le date:
• sono differenti per grado di scuola
• entro il giorno prima dalla pubblicazione dei movimenti il dirigente scolastico pubblica gli avvisi
• entro i 2 giorni successivi ai movimenti l’ATP elenca i posti liberi e disponibili indicando le precedenze di legge
• mediamente dopo 5/6 giorni dalla pubblicazione dei movimenti i docenti inviano le autocandidature
• da lì a 4/5 giorni il dirigente scolastico esamina i curriculum, effettua i colloqui e propone gli incarichi
• viene reso noto l’elenco di coloro che hanno accettato
• il dirigente scolastico ratifica le operazioni all’USR di competenza
Dal giorno successivo l’USR di competenza assegna d’ufficio coloro che non hanno ricevuto proposte, secondo il punteggio di mobilità e per ordine di bollettino.

NOTE. Il curriculum non va inserito preventivamente e non sarà su format di Istanze on line. Può essere allegato (non è un obbligo) alla mail di autocandidatura secondo formato libero, con contenuti a discrezione dell’interessato. Unico vincolo è che sia in PDF.
Per il docente, tempi sono circa di 1 o 2 giorni.

“INACCETTABILE IL TESTO PROPOSTO DAL MIUR. LO IMPUGNEREMO

SCUOLA/PASSAGGIO DEI DOCENTI DAGLI AMBITI ALLE SCUOLE: NO ALLA CHIAMATA DIRETTA
NIGI (SNALS-CONFSAL): “INACCETTABILE IL TESTO PROPOSTO DAL MIUR. LO IMPUGNEREMO”

Roma, 20 luglio. “Il testo presentato dal MIUR, è inaccettabile – ha dichiarato il segretario generale dello SNALS-CONFSAL, Marco Paolo Nigi. Presenta molti punti peggiorativi rispetto agli elementi che avevano fatto sperare in una conclusione positiva della sequenza contrattuale. Tra l’altro, il testo ha carattere orientativo, tranne che per la tempistica, e lascia campo libero alla discrezionalità del dirigente scolastico”.
“Quanto proposto, ha continuato Nigi, oltre a non avere la necessaria trasparenza, prevede modalità e tempi che non hanno i requisiti della la fattibilità, tanto da non poter garantire un regolare inizio dell’anno scolastico”.

“Lo SNALS-CONFSAL non accetterà passivamente le misure proposte dall’amministrazione, che sono lesive della dignità professionale dei docenti e mettono in difficoltà sia le scuole sia chi opera nell’amministrazione a livello decentrato. Auspico un’unità di azione dei sindacati che hanno agito concordemente in questo lungo percorso – ha concluso Nigi. Ritengo anche che non sia possibile escludere il ricorso a impugnative giurisdizionali, con particolare riferimento alla libertà d’insegnamento, costituzionalmente garantita, che i provvedimenti in corso di emanazione potrebbero mettere a rischio”.

CHIAMATA DIRETTA, LINEE GUIDA DI AMBIGUO VALORE GIURIDICO

CHIAMATA DIRETTA, LINEE GUIDA DI AMBIGUO VALORE GIURIDICO

“Dopo un’attesa estenuante, figlia di un grave ritardo che con ogni probabilità avrà ripercussioni negative sul regolare avvio del prossimo anno scolastico, il Miur ha partorito le Linee Guida per la chiamata diretta dei docenti. Si tratta di un atto di dubbia validità giuridica perché demanda alla discrezionalità dei dirigenti scolastici e degli Uffici scolastici regionali l’applicazione del provvedimento. Inoltre le Linee Guida non tengono conto dei rilievi e delle richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali e, anzi, segnano passi indietro rispetto alle pur insufficienti aperture dimostrate dal ministero durante la trattativa con i sindacati”. A sostenerlo è Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti.

“Nel documento redatto da viale Trastevere, al quale dovranno fare riferimento i dirigenti scolastici per scegliere i docenti, – spiega Di Meglio – resta invariata la pletora di indicatori individuati dai tecnici del Miur che noi abbiamo ampiamente avversato, chiedendo di ridurne drasticamente il numero. Ciò farà scattare un’assurda caccia ai titoli che – contesta il coordinatore nazionale – nulla ha a che vedere con la professionalità necessaria per insegnare e che è legata, invece, all’esperienza didattica maturata sul campo. Resta poi la discrezionalità del dirigente scolastico che potrà svolgere colloqui con i docenti candidati. Ad aggravare ulteriormente la situazione – sottolinea ancora il coordinatore nazionale – si aggiungono anche i tempi strettissimi fissati dalle Linee Guida per tutte le procedure (candidature dei docenti, esame dei curricula e proposte di assunzione da parte dei dirigenti, accettazione da parte dei candidati, assegnazioni successive da parte degli Usr sui posti rimasti disponibili)”.

“La nostra battaglia contro la chiamata diretta, dunque, non finisce qui: valuteremo eventuali profili di illegittimità – conclude Di Meglio – e siamo pronti a presentare ricorsi a tutti i livelli”.

IMMISSIONI IN RUOLO DEI PRECARI ATA CON OLTRE 36 MESI DI SERVIZIO

IMMISSIONI IN RUOLO DEI PRECARI ATA CON OLTRE 36 MESI DI SERVIZIO

E NON RISARCIMENTO DEL DANNO !

Cari Colleghi,

avrete senz’altro appreso del comunicato del 12 Luglio u.s. della Corte Costituzionale relativo alla sentenza sull’abuso dei contratti a termine del personale precario, nella quale la Corte ha stabilito “ l’illegittimità costituzionale della normativa relativamente alle supplenze del personale Docente ed ATA, nella parte in cui si autorizza, in violazione della normativa comunitaria, il rinnovo potenzialmente illimitato dei contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti disponibili di personale Docente ed ATA, senza che ragioni obiettive lo giustifichino ”.

Temiamo tutti le conseguenze dell’art. 131 della ormai “disastrosa e massacrante per noi ATA” Buona Scuola del Governo Renzi che recita:
“A decorrere dal 1º settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi”.

Siamo pure a conoscenza dei limiti di illegittimità costituzionale, come da decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea, in merito alla “sentenza Mascolo”, la quale stabiliva che la normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato nel settore della scuola è contraria al diritto dell’Unione e che il rinnovo illimitato di tali contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato.

Sappiamo tutti che la legge n.107/2015 sulla “Buona Scuola“ non ha risolto nessuno dei problemi dei nostri colleghi ATA precari, anzi li ha aggravati creando situazioni di grande disagio lavorativo.

Si sentono da più parti “voci insistenti” le quali dicono che “… per quanto riguarda il personale docente la normativa sulla “Buona Scuola” prevede la misura riparatoria del piano straordinario di assunzioni, mentre per quanto riguarda il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario prevede, in mancanza di analoga procedura di assunzione, il risarcimento del danno”.

Attualmente però nessuno è in grado di fornirci direttive certe e concrete.

La Feder.ATA si opporrà fermamente al risarcimento del danno e si batterà per il piano di assunzioni a tempo indeterminato dei nostri Colleghi che hanno prestato servizio per oltre 36 mesi, come previsto per il personale Docente; pertanto seguiremo scrupolosamente gli sviluppi di questa delicata vicenda che interessa molti dei nostri Colleghi ATA.

Se sarà necessario, avvieremo un ricorso per vedere riconosciuta pari dignità lavorativa tra personale Docente ed ATA, CHIEDENDO L’IMMISSIONE IN RUOLO DI TUTTI I PRECARI ATA CHE HANNO SVOLTO OLTRE 36 MESI DI SERVIZIO !

Vogliamo comunque lamentare, anzi “urlare” alle Istituzioni che “badino bene” di non penalizzare ancora il personale ATA come hanno sempre fatto e, se il personale Docente verrà “sistemato” con le assunzioni, lo facciano anche, senza esitazioni, per il personale ATA !

Noi non abbiamo bisogno di “contentini” !

Colleghi, ci terremo aggiornati in merito a questa sentenza che con molte probabilità verrà definita entro la fine di Luglio 2016.

Cordiali saluti a tutti dalla Direzione Nazionale Federata.

Dislessia, chi l’ha detto che e’ un handicap?

Vita.it del 20-07-2016

Dislessia, chi l’ha detto che e’ un handicap?

LONDRA. Dal 22 al 25 settembre 2016 a Londra va in scena la Design Dyslexic. Un Festival, sostenuto dalla British Dyslexia Association, dove saranno esposte, presso la designjunction, a King Cross, le opere di otto tra artisti e designer dislessici. L’obiettivo? «Spiegare la relazione fitta tra la dislessia e le capacità creative dei soggetti», dice il designer Jim Rokos promotore del festival.

Da Vinci, era dislessico. Eppure questo non gli ha impedito di diventare il grande Leonardo. L’attore Orlando Bloom, bellissimo e dislessico pure lui, più volte ha dichiarato: «La dislessia è un punto di forza grazie al quale i bambini possono sviluppare meglio la propria creatività». John Lennon. Un cantate dei Beatles dislessico? Sì. Ma questo non ha ostacolato la sua brillante carriera. Anzi, sono in tantissimi a sostenere che ci sia una relazione fitta, tra la dislessia e le capacità creative dei soggetti che ne soffrono.

La dislessia colpisce il 4% della popolazione mondiale, e ne è convinto il designer Jim Rokos, non può essere considerata un disturbo dell’apprendimento. Tanto che, per sfatare il mito su questa “finta disabilità” il prossimo 22 settembre Londra mette in piedi un Festival, sostenuto anche della British Dyslexia Association, lungo quattro giorni, la “Design Dyslexic”, una mostra a cui parteciperanno otto artisti dislessici per raccontare l’altro aspetto della dislessia.

Ad ospitare le opere di diversi designer dislessici la sede londinese della designjunction, a King Cross. I lavori dei design dislessici spazieranno in diversi campi: dall’architettura alla moda; dal design industriale alle decorazione d’interni; dall’illustrazione all’arte.

L’obiettivo principale del Design Dyslexic è quello di cancellare lo stigma di essere additato come “persona dislessica” e vedere, invece, la dislessia come un “dono”.

«Questa è una cosa che mi sta molto a cuore», dichiara Deborah Spencer, direttore creativo di designjunction. «Io sono stata una bambina dislessica, ed è stato proprio questo ad avvicinarmi al mondo dell’arte e del design. Per certi aspetti questo mi ha definito come persona».

Il logo Dyslexic design è realizzato con un font disegnato dal designer Daniel Britton: «Il carattere che ho utilizzato è in grado di diminuire i tempi di lettura tra un non dislessico e un dislessico. L’ho realizzato per far capire alle persone non dislessiche l’imbarazzo e la frustrazione che si prova tutti i giorni anche nelle letture più semplici».

I commissari del Concorsone pagati 50 centesimi a esame. «La nuova legge? È inutile»

da Corriere della sera

I commissari del Concorsone pagati 50 centesimi a esame. «La nuova legge? È inutile»

A cento giorni dalla denuncia del caso, mancano i decreti attuativi

Meglio raccogliere pomodori. Cento giorni dopo aver chiesto provocatoriamente se fosse peggio il caporalato agricolo che paga gli schiavi nei campi 2 euro l’ora o il caporalato statale che ai commissari del concorsone voleva dare 1 euro e 5 cent, abbiamo la risposta. Lo Stato, per ora, non dà lezioni neppure agli schiavisti. E l’ingaggio di 63mila docenti, a due mesi dall’apertura delle scuole, è sempre più complicato.
L’intervento di Renzi

Matteo Renzi c’entra e non c’entra. Dopo aver letto il 9 aprile la denuncia del Corriere, nata da quella di «Tuttoscuola», sulla difficoltà di trovare tutti i membri necessari per le commissioni di esame anche a causa di paghe da fame («50 centesimi di euro pari a mezzo caffè per la correzione di ogni elaborato e 50 centesimi di euro per ogni candidato esaminato all’orale») il premier era infatti andato (giustamente) su tutte le furie esigendo che l’Economia e l’Istruzione mettessero subito una pezza alla figuraccia. Lunedì 11 aprile il governo annunciava «un immediato intervento riparatorio». E già il giorno dopo, riconosce la rivista, il ministero dell’Economia chiese a quello dell’Istruzione «i dati necessari per quantificare l’onere finanziario e corrispondere all’impegno assunto dal premier. La macchina amministrativa pertanto si mosse con tempestività, dietro la diretta sollecitazione del capo dell’esecutivo». Imperativo: «massima urgenza».

L’emendamento in Parlamento

Il problema, come ricorda il periodico di Giovanni Vinciguerra, «è che serve una legge per modificare il compenso. Il 20 aprile il sottosegretario Faraone annuncia il raddoppio dei compensi per gli incarichi (un’integrazione di 8 milioni sui fondi stanziati). E dichiara che il Governo ha presentato un emendamento a un decreto legge in fase di conversione». La strada parlamentare «più rapida possibile». Il Senato accoglie l’emendamento «e il 12 maggio (un mese dopo le dichiarazioni del premier) approva in prima lettura le legge. Si passa alla Camera, che il 25 maggio approva definitivamente la legge, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 28 maggio. Il 29 maggio entra in vigore. Sono passati 49 giorni da quando il premier aveva preso la decisione». Ma non è finita. L’emendamento prevede «che entro un mese dall’entrata in vigore della legge venga emanato un decreto interministeriale di applicazione». Ma come: non ci era stato promesso mille volte il superamento dei decreti attuativi («ne abbiamo trovati in eredità 889», sbuffò Maria Elena Boschi) promettendo leggi e leggine «auto-applicative»? Macché. Anzi, quel mese di tempo scadeva il 28 giugno. Pochi giorni e ne scadrà un altro. E magari Renzi, alle prese con altre grane, è pure convinto che ormai quella pratica sia sbrigata… Morale: cento giorni, in scadenza esattamente oggi, non sono bastati a fare chiarezza neppure su un caso specifico, «minore» e relativamente semplice la cui soluzione era invocata da tutto l’arco parlamentare, da destra a sinistra, grillini compresi. E meno male che, per ordine del premier in persona, era stata decisa la «massima urgenza»… Cento giorni: quelli sufficienti a Napoleone (evaso dall’Elba, sbarcato a Cannes e tornato trionfante a Parigi in un mese) per riprendersi la Francia, fare una nuova costituzione, convocare su questa e vincere il plebiscito, riordinare un esercito di 300 mila uomini, attaccare i prussiani, invadere il Belgio e sfidare il Duca di Wellington a Waterloo… Per carità, i tempi della democrazia saranno anche sacri ma qui c’è qualcosa che non va. Tanto più che la chiarezza sulla (magra) mercede, ricorda Tuttoscuola, «doveva servire anche a incentivare dirigenti scolastici e docenti con determinati requisiti a farsi avanti per l’incarico di commissario». A quelle condizioni, «pochi erano votati al sacrificio». E pochi, nell’incertezza sui compensi (quanti? a chi? quando?), sono rimasti. Intanto, ricorda la rivista in uscita, «le prove scritte si sono concluse. Da settimane si tengono le prove orali di molte classi di concorso, e gli uffici scolastici regionali ancora si affannano a cercare i commissari». E questo, dicevamo, a meno di due mesi dall’inizio del nuovo anno scolastico che dovrebbe vedere l’ingresso, dalle materne alle superiori, di quei 63.712 nuovi docenti in corso di selezione tra i 165.578 candidati, alcuni dei quali «avevano presentato più di una domanda di partecipazione». Non bastasse, per alcune materie son previste prove tecniche e comunque tra la pubblicazione di chi ha passato gli scritti e gli orali devono passare «almeno 20 giorni». Risultato: «visti i tempi delle procedure», il termine utile per le graduatorie, che dovevano essere definite entro il 31 agosto, è stato spostato al 15 settembre. Auguri. Tanto più che per una ventina di queste graduatorie «si sono rese necessarie prove scritte suppletive per effetto di un’ordinanza di sospensiva del Tar che ha accolto il ricorso di candidati esclusi».

Le graduatorie

Ma quante graduatorie saranno definite in ritardo, «dispiegando la loro efficacia soltanto dal 2017-18?». Tuttoscuola è pessimista: «Certamente arriveranno fuori tempo massimo i concorsi di scuola dell’infanzia e scuola primaria per posti comuni, che riguardano circa la metà dei candidati». Auguri bis.

L’ordinanza del ministro Giannini

Peggio: giovedì scorso Stefania Giannini ha dovuto firmare un’ordinanza: poiché «in alcune regioni non è stato possibile reperire un numero sufficiente di presidenti, commissari e componenti aggregati per l’accertamento delle conoscenze informatiche e delle competenze linguistiche», i responsabili regionali per questi settori possono «prescindere dai requisiti» fissati dal Decreto ministeriale «ferma restando la conferma in ruolo». Se proprio non ce la fanno neppure in questo caso, cioè con la precettazione e l’abbuono dei requisiti («ad esempio almeno 5 anni di ruolo: in teoria sarebbero possibili commissari anche i neo-assunti», spiega Vinciguerra) potranno «ricorrere con proprio decreto motivato alla nomina di componenti aggregati assicurando la partecipazione alle commissioni giudicatrici di esperti di comprovata competenza». Cioè gente presa, par di capire, sul libero mercato. Scommettiamo? C’è chi sta già scrivendo i ricorsi…

Chiamata diretta, decide il preside

da ItaliaOggi

Chiamata diretta, decide il preside

Da 3 a 6 i requisiti per i candidati, possibile il colloquio

Alessandra Ricciardi

Presidi protagonisti della chiamata diretta dei docenti. Dopo il fallimento della trattativa per un accordo con i sindacati sui criteri di scelta dei docenti dagli ambiti, il ministero dell’istruzione ha deciso di recuperare gli spazi di flessibilità previsti dalla Buona scuola. Flessibilità che si traduce in una maggiore discrezionalità dei dirigenti scolastici nella selezione dei docenti rispetto ai paletti che la sequenza contrattuale, arrivata a un passo dalla firma, fissava. Il ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, firmerà in queste ore le Linee guida con le quali saranno impartite le indicazioni ai presidi e ai docenti, circa 100mila i prof di ruolo interessati, con la tempistica di una procedura che si presenta complessa anche dal punto di vista dei flussi informatici.

Il preside nei bandi di prossima pubblicazione per la chiamata dei docenti potrà prevedere dai tre ai sei requisiti scelti nel calderone di un elenco nazionale diviso per esperienza, titoli e attività formative: erano quattro secondo la bozza di accordo. Restano tra i titoli valutabili, una trentina, anche i ruoli di coordinamento di attività e dipartimento, che avevano fatto infuriare i sindacati. Il dirigente potrà anche graduare i vari requisiti, stabilendo delle priorità che invece l’accordo evitava. Così come, a parità di situazione tra due o più candidati, potrà fare ricorso al colloquio, che l’intesa non prevedeva a favore della prevalenza del punteggio in graduatoria.

Fino a ieri sera era anche in ballo la possibilità per i presidi di chiamare docenti che non avessero presentato espressa candidatura all’istituto. Una facoltà che era stata eliminata al tavolo con i sindacati e che potrebbe alla fine essere sacrificata solo per le difficoltà tecniche: il dirigente dovrebbe avere accesso al database di tutti i curriculum degli insegnanti dell’ambito di appartenenza. Ed è proprio la capacità del sistema di reggere al flusso dei dati una delle preoccupazioni che serpeggia al dicastero di viale Trastevere.

Stretti i tempi dell’intera procedura: i docenti che hanno ottenuto la titolarità su ambito territoriale in seguito alle procedure di mobilità dovranno vedersi assegnata la scuola entro il 31 di agosto, vale invece la scadenza del 15 settembre per i neo immessi in ruolo dall’ultimo concorso e dalle graduatorie.

Gli interessati dovranno caricare il proprio curriculum, secondo un nuovo modello che sarà diffuso dall’amministrazione (anche se non è da escludere la possibilità di utilizzare i profili professionali già a disposizione degli uffici) sul sito Sidi. La pubblicazione degli avvisi sui siti delle singole scuole dovrebbe essere possibile già dalla prossima settimana.

Entro il 27 luglio dovranno essere inviate le candidature per la scuola dell’infanzia e la primaria, entro il 2 agosto per la superiore di primo grado e il 12 agosto per il II grado. Poi scatteranno le selezioni.

Per i sindacati resta netta la contrarietà all’impianto. «Il Miur aveva presentato ai sindacati una pletora di requisiti nazionali molti dei quali non avevano alcun riferimento alla concreta attività didattica, culturale e pedagogica dei docenti», dice Mimmo Pantaleo, segretario Flc-Cgil, in merito alla rottura delle trattative. «Impossibile accettare che la scuola diventi un mercato dei titoli, ci hanno presentato un album di figurine», rincara la dose Pino Turi, numero uno della Uil scuola, «di questa scelta il ministro porta per intero la responsabilità». Rimarca Lena Gissi, segretario Cisl scuola: «È necessario garantire trasparenza ed oggettività della scelta, se le indiscrezioni sulle linee guida saranno confermate invece si inasprirà il contenzioso a livello locale e individuale

La beffa della Buona scuola Appena assunti e già in esubero

da ItaliaOggi

La beffa della Buona scuola Appena assunti e già in esubero

Circa 2200 neoimmessi in ruolo su posti inesistenti

Sandra Cardi e Marco Nobilio

Docenti neoimmessi in ruolo e già in esubero. Sono circa 2.200, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, i docenti assunti a tempo indeterminato nelle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni disposto con la legge 107/2015, la cosiddetta Buona scuola, che non troveranno posto nella fase dell’assegnazione agli ambiti. Il motivo è semplice, i loro posti sono stati utilizzati per riassorbire i docenti in esubero già in ruolo nel 2014/2015. A questi si aggiungono altri 1000 esuberi strutturali a vario titolo che residuano dalla mobilità. Ieri si è parlato di questo a viale Trastevere, in una riunione alla quale hanno partecipato i vertici dell’amministrazione centrale e i direttori regionali. Obiettivo: provare a modificare gli organici per evitare la soprannumerarietà. La gestione di questi esuberi, questione già sollevata al ministero dalla Cisl scuola la scorsa settimana, è infatti assai problematica visto che derivano dall’assorbimento dei docenti della ex Dop (dotazione organica provinciale) e da situazioni strutturali a vario titolo. E risultano difficilmente ricollocabili perché appartengono in gran parte a classi di concorso di nicchia, infungibili per loro natura, che sono presenti solo in alcuni istituti. Come per esempio la classe A017 (economia aziendale) e la A019 (discipline economiche e giuridiche).

Per comprendere come sia potuto succedere, che siano state disposte immissioni in ruolo in classi di concorso gravate da esuberi strutturali, occorre risalire alla questione del contenzioso seriale sull’abuso dei contratti a termine. Da più di 10 anni, infatti, un numero sempre crescente di docenti precari si rivolge ai giudici del lavoro intentando azioni risarcitorie, lamentando l’abuso di contratti di supplenza da parte dell’amministrazione. E nella fase di merito l’amministrazione risulta sistematicamente soccombente. Nella fase di legittimità, però, la situazione sembrava essersi capovolta. La Cassazione, infatti, aveva statuito che la reiterazione dei contratti a termine sarebbe da considerarsi legittima. Alcuni docenti precari, però, non si sono dati per vinti, e hanno adito il giudice del lavoro sollevando, in via incidentale, una questione di legittimità costituzionale sulla normativa che consente la reiterazione. E la questione è stata dichiarata non manifestamente infondata dal giudice del lavoro, che ha trasmesso gli atti alla Consulta.

Infine, il 12 luglio scorso, la Corte costituzionale, dopo una pronuncia chiarificatrice da parte della Corte di giustizia europea, ha dichiarato incostituzionale la norma che consente la reiterazione delle supplenze annuali perché non prevede sanzioni.

Nel frattempo il governo non è rimasto a guardare e, prevedendo una sentenza sfavorevole, ha promosso l’approvazione di una legge finalizzata a svuotare le graduatorie a esaurimento, tramite l’immissione in ruolo di oltre 60mila docenti, in aggiunta alle immissioni in ruolo ordinarie. Lo svuotamento, però, c’è stato solo in parte. Perché 18mila docenti sono rimasti nelle graduatorie. E le immissioni in ruolo aggiuntive non sono state disposte su cattedre vacanti in organico di diritto, ma su cattedre costituite su misura per i diretti interessati: le cosiddette cattedre di potenziamento.

Questa operazione ha avuto come effetto l’immissione in ruolo di docenti appartenenti a classi di concorso in esubero. Perché nelle classi di concorso in esubero le graduatorie erano più pingui. Di qui l’insorgenza di nuovi esuberi, proprio perché le cattedre di potenziamento costituite ex novo sono state in gran parte occupate, nella fase dei trasferimenti, dai docenti già in ruolo nell’anno 2014/2015 già in esubero da anni. Insomma, una specie di reazione a catena che renderà particolarmente difficile il riassorbimento dei nuovi esuberi. E vincolerà le scelte degli uffici scolastici in sede di autorizzazione delle cattedre di potenziamento.

D’altra parte, non sono rari i casi in cui, già da quest’anno, le scuole abbiano chiesto cattedre di una specifica classe di concorso e si siano viste assegnare uno o più docenti appartenenti a classe di concorso del tutto diverse. Questo fenomeno, peraltro, è destinato a continuare e ad aggravarsi nei prossimi anni. Perché le esigenze di bilancio non consentono all’amministrazione di ampliare ulteriormente l’organico.

Tetto di 36 mesi alle supplenze

da ItaliaOggi

Tetto di 36 mesi alle supplenze

La Corte costituzionale ha dato lo stop alla reiterazione dei contratti fino al 31 agosto

Antimo Di Geronimo

No alla reiterazione delle supplenze annuali oltre i 36 mesi. Il monito viene dalla Corte costituzionale che, il 12 luglio scorso, si è finalmente pronunciata dichiarando costituzionalmente illegittimi i commi 1 e 11, dell’articolo 4 della legge 124/99. Il giudizio pendeva davantialla Consulta da 4 anni, per effetto di almeno 4 ordinanze di rimessione. Le più datate sono la 143 e la 144, entrambe emesse dal Tribunale di Roma, che risalgono al 2 maggio 2012. Seguono a ruota due ordinanze emesse dal Tribunale di Lamezia Terme il 30 maggio, sempre del 2012. Va detto subito che la questione non riguardava la legittimità della reiterazione dei contratti in senso lato.

L’oggetto del giudizio riguardava la mera reiterazione dei contratti a termine (sempre oltre i 36 mesi e comunque senza limite) sui posti e le cattedre vacanti e disponibili. Vale a dire: sull’abuso delle cosiddette supplenze annuali con termine al 31 agosto. La Consulta non ha ancora reso note le motivazioni della sentenza, limitandosi ad uno scarno comunicato. Che si limita a dare notizia della illegittimità costituzionale della normativa che disciplina le supplenze del personale docente e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (art. 4, commi 1 e 11 della legge 3 maggio 1999, n. 124) nella parte in cui autorizza, in violazione della normativa comunitaria, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino.

Si tratta, dunque, di una sentenza additiva, che lascia intatto l’impianto giuridico del reclutamento, limitandosi a dire che in una norma manca qualcosa. Nel caso specifico, mancherebbe il limite massimo temporale oltre il quale non si dovrebbe più consentire la reiterazione dei contratti a termine e la relativa sanzione. Ma solo ed esclusivamente nel caso delle supplenze annuali. Nel comunicato la Consulta spiega che gli effetti della sentenza dovrebbero essere comunque limitati. Perché la legge 107 ha previsto un massiccio piano di assunzioni a tempo indeterminato, per effetto del quale sarebbero state effettuate circa 60mila assunzioni di docenti. Assunzioni che sono state disposte proprio a vantaggio di coloro che, potenzialmente, avrebbero potuto giovarsi della sentenza della Consulta. E in ogni caso, per il personale Ata, la reiterazione senza limite, sempre secondo quanto previsto dalla legge 107, darebbe comunque luogo all’applicazione di una sanzione a carico dell’amministrazione, pari all’importo di circa 12 mensilità di retribuzione.

Resta il fatto, però, che sono circa 18mila i docenti precari che, volontariamente, non hanno usufruito del piano straordinario di assunzioni disposto dalle legge 107. E ognuno di loro potrebbe essere un potenziale ricorrente interessato ad avvalersi degli effetti della sentenza della Corte costituzionale. Che però va letta tenendo presente il consolidato orientamento della Corte di cassazione, secondo il quale la reiterazione senza limite dei contratti a termine sarebbe legittima perché prevista da norme speciali (sezione lavoro, sentenza 20/06/2012 n.10127). Dalla lettura combinata delle due sentenze emerge la risarcibilità dell’abuso di contratti di supplenza annuale se eccedente un periodo massimo di 36 mesi. Anche se permane un vuoto normativo relativo alla sanzione applicabile. La legge 107, infatti, non ha fissato alcuna sanzione e la giurisprudenza di legittimità, allo stato attuale, non ha confermato il prevalente orientamento della giurisprudenza di merito, incline a ritenere che la sanzione debba essere fissata in una somma di importo pari a quello che sarebbe spettato al docente-ricorrente se fosse stato immesso in ruolo. Finora, infatti, le pronunce che prevedono la cosiddetta stabilizzazione sono rimaste casi isolati. Per lo più spazzate via dalle relative corti d’appello, salvo casi, assolutamente residuali, di stabilizzazioni derivanti da sentenze di primo grado divenute definitive (più propriamente: passate in giudicato) per omessa impugnazione da parte dell’amministrazione.

Resta da vedere se il legislatore si limiterà a prendere atto della sentenza oppure provvederà a recepire l’indirizzo della Consulta con un provvedimento legislativo che fissi una sanzione in caso di reiterazione abusiva. Tra le due ipotesi, la più probabile è la prima. La legge 107/2015, infatti, prevede espressamente il divieto di reiterazione dei contratti di supplenza su posti vacanti e disponibili oltre i 36 mesi e dispone anche uno stanziamento di risorse per coprire le spese del contenzioso. In pratica, sembrerebbe che il legislatore abbia già considerato l’ipotesi di una sentenza sfavorevole e che non sarebbe stato conveniente invogliare nuovi ricorsi, prevedendo espressamente una sanzione collegata alla reiterazione abusiva dei contratti di supplenza annuale, fatto salvo il divieto assoluto per il futuro.

Scuola e università, un contratto

da ItaliaOggi

Scuola e università, un contratto

Siglato l’accordo sui comparti del pubblico impiego, ora è possibile il rinnovo delle intese

Carlo Forte

La scuola si fonde con l’università e la ricerca in un unico comparto di contrattazione. È l’effetto del contratto quadro sui nuovi comparti ed aree di contrattazione del pubblico impiego siglato dai rappresentanti dell’Aran e delle confederazioni sindacali il 13 luglio scorso. Che nelle intenzioni del governo dovrebbe servire a dare il via alle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro fermo ormai dal 2009. L’accordo dà attuazione alle nuove disposizioni sulla contrattazione nel pubblico impiego, contenute nell’articolo 40, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Che prevede, la riduzione dei comparti da 11 a 4 e delle aree dirigenziali da 8 a 4. E consentirà di ridurre il numero dei contratti collettivi nella pubblica amministrazione dagli attuali 38 ad 8 in tutto per ogni triennio contrattuale.

I nuovi ambiti di riferimento della contrattazione nella pubblica amministrazione derivano dall’accorpamento delle strutture preesistenti. Nel neocostituito comparto delle funzioni centrali confluiscono comparti ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici ed altri enti e comprende circa 247.000 lavoratori. Il comparto regioni e autonomie locali mantiene la sua attuale conformazione e i suoi 457.000 addetti, ma cambia nome in funzioni locali. Il comparto scuola si fonde con quello dell’Afam (alta formazione artistica e musicale: accademie e conservatori), l’università (che non comprende i docenti universitari il cui rapporto di lavoro è ancora in regime di diritto pubblico) e la ricerca, per complessivi 1.111.000 lavoratori di cui, circa un milione solo nella scuola. Infine la sanità, che rimane più o meno identico con 531mila addetti.

I nuovi assetti rischiano di provocare un terremoto all’interno delle organizzazioni sindacali. L’accorpamento dei comparti, infatti, costringerà i sindacati a rivedere l’impianto delle dirigenze centrali e periferiche. E per i sindacati più piccoli sarà molto più difficile mantenere la rappresentatività, sia per quanto riguarda le federazioni di comparto che le confederazioni. La posta in gioco è la partecipazione alla contrattazione collettiva nazionale e integrativa e l’accesso alle altre prerogative sindacali: distacchi, aspettative, permessi.

La soglia da superare per la sopravvivenza è il 5% calcolato facendo la media tra il dato associativo e il dato elettorale ai fini del conteggio finale (art. 43, comma 1 del decreto legislativo 165/2001). In buona sostanza, dunque, il 50% del risultato finale è dato dal rapporto tra il numero degli iscritti al sindacato e la somma di tutti gli iscritti ai sindacati. E il rimanente 50% viene calcolato facendo il rapporto tra il numero dei voti riportati alle elezioni delle Rsu dal sindacato e la somma di tutti i voti riportati dai sindacati nella stessa consultazione elettorale. Se dalla somma delle due percentuali il sindacato raggiunge almeno il 5% del totale, la rappresentatività è salva. Se invece l’organizzazione sindacale si colloca al di sotto di questa soglia, non può accedere né ai tavoli negoziali, né alle altre prerogative. Quanto alle confederazioni, la legge prevede che una confederazione per essere rappresentativa deve comprendere almeno due federazioni rappresentative in altrettanti comparti.

Dal calcolo della rappresentatività effettuato dall’Aran, tenendo conto dei nuovi megacomparti e delle ultime elezioni delle rsu che si sono tenute dal 3 al 5 marzo 2015, nella scuola rimangono rappresentativi 5 sindacati: Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams. E risultano rappresentative anche le confederazioni di cui fanno parte, rispettivamente: Cgil, Cisl, Uil, Confsal e Cgs. Il nuovo contratto quadro prevede, però, che i sindacati dei neocostituiti 4 comparti possono scegliere di fondersi e possono anche ridefinire la composizione delle confederazioni. Pertanto, i sindacati che sono rimasti fuori, se decidessero di fondersi e raggiungessero così il fatidico 5% di rappresentatività tra deleghe in busta paga e voti alle Rsu, potrebbero essere ammessi alla fruizione delle prerogative sindacali anche tardivamente. Idem per le confederazioni. L’operazione, però, è tutt’altro che facile, perché comporta l’unificazione della delega in busta paga e, conseguentemente, anche l’unificazione di strutture e patrimoni.

L’Aran ha diffuso anche gli esiti delle elezioni delle Rsu, a distanza di ben 16 mesi dalle elezioni, sebbene aggregati sulla base dei nuovi comparti. A guidare la classifica è la Cgil con 140.694 deleghe pari al 23,39% della rappresentatività e 259.858 voti con il 30,34% di rappresentatività pari al 26,81% di rappresentatività finale. Segue la Cisl, con 153.505 deleghe che danno luogo ad una rappresentatività parziale più elevata rispetto a quella della Cgil, con un tasso del 25,41%. Che però scende 22,64% se si fa riferimento al dato elettorale, pari a 193,926 voti e che danno luogo ad una rappresentatività finale del 24.02%. In terza posizione lo Snals con una rappresentatività del 14,24%, derivante dalla media tra 96.771 deleghe (16,02%) e 106.820 voti (12,47%). Segue di misura la Uil, con il 14,04% di rappresentatività finale, pari alla media tra 79.320 deleghe (13,13 %) e 128.002 voti (14,94 %). Infine, ultimo tra i sindacati rappresentativi, la Gilda-Unams, con l’8,07% di rappresentatività finale, che è il risultato della media tra 54.300 deleghe (8,99%) e 61.185 voti alle elezioni delle Rsu (7,14 %).