Serve ancora la Giunta Esecutiva?

Serve ancora la Giunta Esecutiva?

di Cinzia Olivieri

 

La Giunta esecutiva è tra gli organi collegiali quello le cui funzioni, sul piano dell’utilità pratica, desta attualmente sempre maggiori perplessità anche per il suo progressivo esautoramento, così che si registrano prassi diverse: tra casi in cui la sua convocazione precede ordinariamente quella del consiglio ed altri in cui invece è caduta in desuetudine.

Quanto alla sua formazione e composizione, per l’art. 8 del Dlgs 297/94 la Giunta è eletta nel seno del consiglio di istituto (secondo le regole stabilite dallo stesso, normalmente dal regolamento), dura in carica anch’essa tre anni ed è composta da un docente, un A.T.A. e due genitori (ovvero uno studente e un genitore nella secondaria di secondo grado). Ne fanno parte di diritto il dirigente scolastico, che la presiede, la convoca e ne dispone l’ordine del giorno ed il DSGA, che svolge anche funzioni   di segretario. I suoi membri decadono e vengono surrogati come previsto per i consiglieri.Questa stessa composizione era richiamata dal DI 28 maggio 1975 (ora sostituito dal DI 44/01), pertanto non è necessaria la presenza del presidente del consiglio di istituto alle sue riunioni, a meno che non sia anche eletto come membro di giunta. Non è escluso però che regolamenti interni possano prevederla facoltativamente, senza che ciò pregiudichi il suo regolare funzionamento.L’art. 10 del Dlgs 297/94 dispone al comma 3 che il consiglio di istituto, esercita il suo potere deliberante “su proposta della giunta” per quanto concerne l’organizzazione e la programmazione della vita e dell’attività della scuola sulle materie analiticamente indicate:
a)            adozione del regolamento interno;
b)           acquisto, rinnovo   e   conservazione   delle   attrezzature tecnico-scientifiche e dei sussidi didattici e acquisto dei materiali di consumo occorrenti per le esercitazioni;
c)            adattamento del calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali;
d)           criteri generali per la programmazione educativa;
e)            criteri per la programmazione e l’attuazione delle attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche, con particolare riguardo ai corsi di recupero e di sostegno, alle libere attività complementari, alle visite guidate e ai viaggi di istruzione;
f)            promozione di contatti con altre scuole o istituti;
g)            partecipazione del circolo o dell’istituto ad attività culturali, sportive e ricreative di particolare interesse educativo;
h)           forme e modalità per   lo   svolgimento   di   iniziative assistenziali.  Pertanto quanto delibera su queste materie la norma prevede che il consiglio acquisisca la proposta della Giunta, che va quindi previamente convocata. Per il successivo comma 10 “La giunta esecutiva predispone il bilancio preventivo e il conto consuntivo; prepara i lavori del consiglio di circolo o di istituto, fermo restando il diritto di iniziativa del consiglio stesso, e cura l’esecuzione delle relative delibere.”Analogamente l’art. 3 del DI 28 maggio 1975 disponeva che la Giunta:
a)            predispone il bilancio preventivo e le eventuali variazioni, nonché il conto consuntivo;
b)           prepara i lavori del consiglio e cura l’esecuzione delle delibere dello stesso;
c)            designa nel suo seno la persona che, unitamente al direttore didattico o al preside e al segretario del circolo o dell’istituto, firma gli ordini d’incasso (reversali) e di pagamento (mandati).
Il compito di “preparare i lavori del consiglio” in quanto inserito soltanto in questo comma e con riferimento a queste specifiche materie, appare relativo alla sola predisposizione di bilancio (ora programma annuale) e conto consuntivo. Infatti il DI 28 maggio 1975 dettava le Istruzioni amministrativo-contabili prima che, a seguito dell’autonomia ed ai riconosciuti nuovi poteri del dirigente, fosse sostituito dal DI 44/01.Quest’ultimo ha ridotto le competenze della Giunta, avendo riconosciuto la capacità negoziale esclusivamente al dirigente (art. 31) ed individuato gli interventi del consiglio di istituto in tale attività (art. 33) e prevedendo che soltanto il programma annuale (art. 2) e le sue modifiche (art. 6) siano proposte al Consiglio dalla stessa. Dunque, secondo quanto si desume dal DI 44/01, solo prima dell’approvazione del programma annuale e delle sue modifiche la Giunta, che lo propone preparando i lavori del consiglio, deve essere previamente convocata, non altrettanto per il conto consuntivo.Anche le reversali (art. 10 DI 44/01) ora sono firmate solo dal Dirigente e dal DSGA.Per il resto, resta “fermo il diritto di iniziativa del consiglio” il quale quindi, nei limiti previsti, non può ritenersi totalmente vincolato al passaggio dalla Giunta.Ed in effetti, nei successivi comma da 4 a 8 dell’art. 10 del Dlgs 297/94 non è menzionato un coinvolgimento della Giunta allorquando il consiglio: delibera i criteri generali relativi alla formazione delle   classi,   l’assegnazione ad esse dei singoli docenti, l’adattamento dell’orario delle lezioni e delle altre attività scolastiche; esprime parere sull’ andamento generale, didattico ed amministrativo, dell’istituto, e stabilisce i criteri per l’espletamento dei servizi amministrativi (comma 4); ovvero altresì quando esercita le funzioni in materia   di   sperimentazione   ed aggiornamento (comma 5) nonché le competenze in materia di uso delle attrezzature e degli edifici scolastici (comma 6); infine quando delibera, le iniziative dirette alla educazione della salute e alla prevenzione delle tossicodipendenze (comma 7) o su ogni altro argomento attribuito dalle norme alla sua competenza (comma 8).La Giunta Esecutiva non ha inoltre più i compiti in materia disciplinare, stabiliti dai comma 11 e 12 del Dlgs 297/94, assegnati ora dal DPR 249/98, come modificato dal DPR 235/07 a: dirigente scolastico, consiglio di classe e consiglio di istituto e, in sede di ricorso, all’organo di garanzia interno e regionale. Anche quello di “curare l’esecuzione” delle delibere del consiglio (art. 10 comma 10 Dlgs 297/94 e art. 3 DI 28 maggio 1975 ) appare, specie a seguito dell’autonomia ed ai rinnovati poteri del dirigente di cui all’art. 25 Dgs 165/01, prerogativa essenzialmente di questi (art. 4 DI 28 maggio 1975 e art. 396 Dlgs 297/94) Lo schema di decreto interministeriale allegato alla  nota 01/06/2011 n. 4638 ha individuato però nuove competenze in merito alla determinazione della dotazione organica degli assistenti tecnici prevedendo che: “Art. 5 – Assistenti tecnici 5.1. La dotazione organica relativa al profilo professionale di assistente tecnico è determinata mediante deliberazione della giunta esecutiva di ciascun istituto in ragione di un’unità per ogni laboratorio funzionante e utilizzato in attività didattiche, programmate a norma dell’ordinamento degli studi ed effettivamente svolte per almeno 24 ore settimanali. Ove si verifichi la situazione descritta, la giunta esecutiva, anche al fine di evitare duplicazioni di competenze, nelle situazioni previste dagli ordinamenti didattici vigenti di compresenza tra docenti, insegnanti tecnico-pratici ed assistenti tecnici, deve commisurare la dotazione organica di ciascuna area professionale alle effettive necessità di impiego degli assistenti tecnici, con riguardo alle professionalità disponibili nell’ambito dell’istituzione scolastica nonché alle esigenze organizzative derivanti dalla contemporanea utilizzazione dei diversi laboratori compresi nella medesima area”.

Gli artt. 42 e 43 del Dlgs 297/94 non stabiliscono la pubblicità degli atti o delle sedute della Giunta Esecutiva, ma è sempre concesso l’accesso ai sensi della L 241/90.

Neanche la CM 105/75, che funziona come regolamento tipo, indica espressamente quanto tempo debba intercorrere tra la riunione di Giunta e quello del consiglio e di quanto la prima debba precedere la seconda, tanto che spesso essa si svolge abitualmente nella stessa giornata anticipandolo di qualche ora o anche meno. Anche in tal caso quindi è opportuno che intervengano i regolamenti delle singole scuole.

Dunque, le incertezze attuali sono determinate dalla evoluzione normativa non seguita da un chiaro adeguamento che hanno portato ad un progressivo svilimento dell’organo tanto che nelle più recenti proposte di legge di riforma degli organi collegiali non ve n’è praticamente traccia.

Sulla chiamata diretta, alias “incarico”

Sulla chiamata diretta, alias “incarico”
Commento su possibili effetti della l.107/15 e della nota min. 2609/16

di Gabriele Boselli

 

Da una ventina d’anni il nome di Minerva, dea della conoscenza, non riceve più onori nelle sale del Palazzo a lei intitolato di viale Trastevere; né in quei lunghi corridoi s’intravede più uno straccio d’idea da moltissimi anni. Vi sono tutti i sintomi della carenza di pensiero politico alto. Nella miglior tradizione del pensiero d’Occidente la politica (la politica, non il mestiere dei politicanti) non era un luogo, era il luogo di stabilimento dei fini, l’ambito di tutti gli ambiti, il punto da cui venivano stabiliti i valori comunemente riconosciuti nello Stato a ogni valore, il luogo della decisione su criteri del potere. Oggi il “dove” e “l’a che scopo” della società degli uomini, il “così deve essere”, in altre parole il “mondo dei fini” di cui scrisse l’ultimo Kant, l’intenzionalità politica riformatrice in genere non sono considerati se non retoricamente; vengono sostituiti con obiettivi cortissimi e coincidenti strettamente con quelli dei gruppi al potere. Vedi alternanza scuola/lavoro ai licei, che sottrae tempo ed energie alle discipline senza gran guadagno in termini di preparazione al lavoro.

Non che l’ideologia manchi ma si propone non come tale ma come “dato di fatto”; non sorprenda allora la sempre più diffusa demotivazione dei docenti e l’inversamente proporzionale esaltazione della dirigenza. A mancare sono certamente le idee. E senza queste, Plato docet, non vi è vero governo ma allestimento di strutture d’arbitrio e soggezione.

 

Uno strumento di possibile arbitrio

Una di queste è la chiamata diretta, alias “incarico” conferito dal Dirigente scolastico. Dopo essere stata sperimentata per secoli ed esserlo ancora nel sud d’Italia nell’assunzione dei braccianti agricoli, la chiamata diretta viene ora estesa dal Governo di Matteo Jobsact anche agli insegnanti. In verità manca ancora l’istituzione del caporalato ma diamo tempo al tempo e del resto qualche preside (raro ma perniciosissimo) si appresta già a tale ruolo.

Mentre esiste qualche requisito oggettivo di scelta nel caso dei braccianti (aspetto robusto, muscolatura possente, sguardo basso) e delle braccianti (bell’aspetto, etc.) nel caso dei docenti e delle docenti questi requisiti vengono a perdere di significato e l’interpretazione del curriculum e della congruità con il PTOF viene lasciata di fatto alla discrezionalità (ma anche al possibile arbitrio) del capo d’istituto. Gli stessi criteri prospettati dal MIUR sono non vincolanti ma “indicativi e non esaustivi” (nota min. 22 07 16). Nulla potrebbero contare anni di studio disciplinare ed esperienze, pubblicazioni cartacee o elettroniche presso riviste e collane di fascia A, contributi creativi apportati alle varie diramazioni del sapere. Potrebbero invece essere privilegiati soggiorni reali o virtuali presso enti accreditati (con quali criteri?), certificazioni linguistiche rilasciate da enti privati, frequenza di corsi per attività espressive e danza (trullallero trullallà!), l’insegnamento in aree a rischio (favoriti ancora una volta gli insegnanti delle scuole private campane); conoscere bene l’italiano o la matematica sarà del tutto indifferente. In ogni caso il sig. superDirigente getterà una rapida occhiata e deciderà tra sé e sé, senza specifici controlli interni o esterni alla scuola scientificamente attendibili, chi deve professionalmente vivere o morire. Discrezionalità di fatto illimitata, senza un credibile sistema di deterrenza dalle (poco probabili ma possibili) deviazioni eticamente condannabili o tecnicamente insostenibili.

 

Spessore culturale di poca ma sempre troppa dirigenza

La grande maggioranza dei dirigenti scolastici è composta di persone oneste, di elevata cultura e moralità che amano studiare, hanno molto da dire e da dare, non vedono gli insegnanti come dipendenti e sanno intrattenere (non “gestire”) con essi relazioni armoniche. Non amanti del prepotere, cercheranno di cavarsela con 107 e 2609 arrecando il minor danno possibile alla propria dignità e a quella delle persone –ora è proprio il caso di dirlo- assegnate.

Daremo anche per scontato il rispetto della legalità di tutti i dirigenti e dunque la loro insensibilità nella decisione ad argomenti quali il denaro o il sesso; consideriamo pure universalmente accertata la loro capacità di resistenza alle sollecitazioni delle eventuali sedi di zona di mafia, camorra o n’drangheta. Tale resistenza potrebbe fa l’altro trovare supporto nelle reti di ambito: queste, variando i confini del potere amministrativo, potrebbero consentire al dirigente onesto di eluderne i dettati.

Occorre però, fatto più grave sul piano numerico, considerare i limiti della capacità di pochi ma sempre troppi dirigenti nel riconoscere il talento, dato che solitamente la capacità di riconoscerlo è riservata a chi ne possiede. Una parte della dirigenza è stata assunta senza veri concorsi per titoli ed esami oppure li ha superati in regioni (es. Campania o Sicilia) ove i candidati dichiarati idonei erano il triplo dei posti messi a concorso. Candidati che poi sono stati sistemati anche nelle regioni ove i concorsi erano stati condotti con il giusto rigore.

Va anche considerata la debole resistenza dei culturalmente meno solidi agli effetti perversi dei corsi di formazione; ivi ha dominato un’ideologia padronale ovvero managerialistica, giuridicistica o efficientistica, comunque tutt’altro che pedagogica ma da “uomo solo al comando” della “squadra”. Gli effetti di questi corsi si potrebbero riverberare anche nella scelta dei docenti, privilegiando in essi l’obbedienza su ogni altra virtù.

Piacerebbe alla sorella di Nietsche questa tipologia di superdirigenti resa “al di là del bene e del male” da normative recenti come la 107/2015 ma anche da un clima politico neoautoritario (vedi riforma della Costituzione); è una frazione certamente minima ma in grado comunque di intristire molte, troppe vite di docenti preparati e vocati all’insegnamento. Anzichè dialogare sui propri studi e sui propri alunni molti docenti finiranno per parlare solo di PTOF, tabelle di valutazione e altri orpelli di cattiva burocrazia, quando non per sgomitare e farsi belli agli occhi del Superdirigente. Certo, la conflittualità fra docenti non può che aumentare, accrescendo di riflesso il potere di che dirige.

 

Possibilità di resistenza

Se la diagnosi è fin troppo facile, la cura di stati di malattia prevedibilmente rari ma gravissimi come il mal di I S I S ( Io Sono Il Signore) nei dirigenti e di RATTO (Ruffianeria Anomia Tempismo Tafazzismo Obbedienza) nei docenti è obiettivamente difficile ma non impossibile:

sostenere come Collegio (innominato nella più recente normativa ma non ancora abolito) il criterio dell’esperienza e della preparazione culturale e scientifica su ogni altra considerazione;

stringersi attorno ai sindacati, dato che per limitata che sia la loro capacità di difesa non ne abbiamo molte altre;

fare sistematicamente ricorso ai giudici del lavoro e/o ai TAR: la normativa in proposito è contraddittoria specie rispetto alla norma costituzionale per cui i posti pubblici vanno attribuiti per concorso.

Anche per quando riguarda la libertà d’insegnamento, è chiaro che l’incertezza e la possibilità della non chiamata (o di finire negli elenchi del Provveditorato come quelli-che-nessuno-vuole) costituiscono un vulnus assai grave. Consola che dalle nostre parti non riusciamo a far bene le cose buone, ma nemmeno quelle potenzialmente esiziali, quindi i danni apportati alla funzione docente dovrebbero essere limitati.

Learning to drive di Isabel Coixet

Learning to drive Guida per la felicità, un film di Isabel Coixet

di Mario Coviello

 

guidaE’ disponibile in rete questo film che vi consiglio.

Un taxi notturno funge da tramite tra due mondi paralleli.
Wendy, critica letteraria, che vive a Manhattan, viene lasciata dal marito per una donna più giovane sul taxi guidato da Darwan, un Sikh,rifugiato politico che abita nel Queens,quartiere alla periferia di New Jork, che si avvia verso un matrimonio combinato con una donna del suo villaggio che non ha mai visto.

Wendy è un’ egocentrica arrabbiata con tutti gli esseri umani di sesso maschile, si sente tradita da chiunque la circondi e si rinchiude in se stessa.La figlia che vive in campagna nel Vermont e la sorella tentano di scuoterla. Quando decide di affermare propria indipendenza, si imbatte in un ostacolo comune a molti newyorkesi: non ha mai imparato a guidare. Allora assume Darwan che guida il taxi di notte e fa l’istruttore di scuola guida di giorno. Darwan nasconde lunghissimi capelli sotto un colorato turbante; scopriamo che in India era un professore universitario chiuso in prigione per molti anni per la sua religione, e fuggito negli Stati Uniti nel 2000. Oggi è un cittadino americano e nasconde rifugiati del suo paese nel suo appartamento.

Tra una cintura, un’occhiata agli specchietti ed un paio di frecce, vengono delineate le differenze tra fedeltà e abbandono, tra rispetto e violazione, avvicinandosi al concetto di fiducia.

Mentre lui le mostra come prendere il controllo del volante, lei gli insegna come fare colpo su una donna, e la loro improbabile amicizia risveglia in loro la gioia, l’umorismo, l’amore e l’inizio dei una nuova vita. Nonostante le diversità, Wendy e Darwan si aiuteranno a vicenda nel dare una nuova direzione alle loro esistenze. Un film dove non si spara, non si vedono scene di sesso, e si respira lamore per i libri, per la parola , per la poesia .
Interpretazione ottima, dialoghi spumeggianti, pellicola piacevole per trascorrere una serata serena in questa calda estate.

Genere : Commedia, Drammatico, Romantico; Durata 105 minuti; Regista Isabel Coixet ; Attori Patricia Clarkson, Ben Kingsley, Grace Gummer

Assegnazione temporanea triennale del docente con figli di età inferiore a tre anni

Scuola: assegnazione temporanea triennale del docente con figli di età inferiore a tre anni

I benefici previsti dall’art. 42-bis d.lgs. 151/01 in materia di ricongiungimento familiare sono fruibili anche dal docente con figli di età inferiore a 3 anni.

(a cura dell’Avv. Giancarlo Visciglio del Foro di Lecce)

 

A pochissimi giorni dalla pubblicazione dei trasferimenti e dell’apertura dei termini per la presentazione delle domande di assegnazione provvisoria – “ultima spiaggia” per chi, all’esito dei primi, non avrà ottenuto una sede che permetta di far fronte alle esigenze della propria famiglia – per i docenti con figli di età inferiore a tre anni si presenta una possibilità in più che si affianca, senza sostituirla, all’assegnazione provvisoria del personale docente, educativo ed A.T.A. disciplinata dal vigente Contratto Collettivo il quale, come noto, li colloca tra le ultime posizioni, dopo i beneficiari della L. 104/92, con chance di accoglimento delle relative istanze spesso pressoché nulle.

I Tribunali di tutta Italia, da Lecce a Sondrio, passando da Roma, Milano, Salerno, Perugia, Mantova, Verona, Monza, Ivrea, Lucca, Siena, ecc., con decine di ordinanze, molte delle quali collegiali, rese in favore di docenti patrocinate dallo scrivente avvocato, hanno ormai definitivamente sancito il diritto del docente con figli di età inferiore a tre anni, ai sensi e per gli effetti dell’art. 42bis D.lgs. 151/01, di godere della c.d. “assegnazione temporanea” per un periodo della durata complessiva non superiore a tre anni, presso una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione.

L’ultima ordinanza favorevole è stata resa l’11.7.2016 dal Tribunale di Torino, che ha condannato il M.I.U.R. a disporre l’assegnazione temporanea triennale di un’insegnate in provincia di Catania, ai sensi dell’art. 42-bis del d.lgs. n. 151/2001, accogliendo il ricorso d’urgenza con cui la stessa, assistita dallo scrivente avvocato, si era vista negare il ricongiungimento familiare nella provincia ove l’altro genitore del bambino prestava l’attività lavorativa.

La pronuncia, che segue precedente ordinanza collegiale che aveva definito i confini della fruibilità del beneficio nel comparto scuola, chiude una vicenda giudiziaria lunga e travagliata iniziata nel settembre 2015. Il caso posto all’attenzione del Tribunale ha visto protagonista, suo malgrado, un’insegnante di scuola primaria, titolare in provincia di Torino e madre di un bimbo di età inferiore a tre anni, che aveva richiesto di poter essere assegnata a prestare servizio per tre anni, come previsto dalla norma, ad una sede ubicata nella provincia di Catania ove il padre del bambino svolgeva la propria attività lavorativa. Per quanto le ragioni sottese all’istanza presentata fossero evidentemente di assoluto rilievo e la docente fosse in possesso di tutti i presupposti previsti dalla legge (essendo assunta a tempo indeterminato, avendo un figlio di età inferiore a tre anni ed essendo, ovviamente, abilitata all’insegnamento), il M.I.U.R. non dava accoglimento all’istanza, omettendo persino di comunicare le obbligatorie ragioni del dissenso.

La docente, pertanto, proponeva ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. innanzi al Giudice del Lavoro del Tribunale di Torino il quale, con l’ordinanza in commento, ha stabilito che le ragioni di tutela del diritto al ricongiungimento familiare e all’assegnazione temporanea fossero prevalenti sulle esigenze di servizio della pubblica amministrazione.

Lavoratrici madri e lavoratori padri dipendenti del comparto scuola della Pubblica Amministrazione, dunque, oltre alla domanda di assegnazione provvisoria, possono presentare l’ulteriore e diversa domanda di assegnazione temporanea, disciplinata dall’art. 42 bis del D.Lgs. 151/2001.

 

UN OCCHIO ALLA LEGGE

(a cura dell’avv. Giancarlo Visciglio del Foro di Lecce – tratto dal sito www.avvocatovisciglio.it)

L’ASSEGNAZIONE TEMPORANEA DEL PUBBLICO DIPENDENTE

AI SENSI DELL’ART. 42 BIS DEL D.LGS. 151/01.

Il Decreto Legislativo n. 151/2001 [“Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità”], nel disciplinare “i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità”, reca in sé un complesso di norme davvero importante per la tutela e il sostegno della famiglia.

Una delle più rilevanti, anche alla luce della durata del beneficio che è in grado di assicurare, è certamente quella contenuta nell’art. 42 bis in cui il Legislatore, recependo le direttive comunitarie dirette a tutelare l’istituto della famiglia, ha previsto che: “1. Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda. 2. Il posto temporaneamente lasciato libero non si renderà disponibile ai fini di una nuova assunzione.”.

La norma rientra inequivocabilmente tra quelle poste a tutela dei valori inerenti la famiglia e, in particolare, la cura dei figli minori in tenerissima età con entrambi i genitori impegnati in attività lavorativa, assicurati dagli art. 29, 30, 31 e 37 della Costituzione i quali, nel postulare i diritti-doveri dei genitori di assolvere gli obblighi loro assegnati nei confronti della prole, promuovono e valorizzano gli interventi legislativi volti a rendere effettivo l’esercizio di tale attività.

Lungi dal mirare a riconoscere un beneficio al lavoratore, dunque, nell’esclusivo interesse del minore, vero soggetto debole della tutela, l’art. 42 bis D.lgs. n. 151/2001 ha la finalità precipua di favorire il ricongiungimento di entrambi i genitori ai figli ancora in tenera età e la loro contemporanea presenza accanto ad essi nella fase iniziale della loro vita, garantendo, in tal modo, la massima unità familiare e salvaguardando esclusivamente le esigenze organizzative e funzionali della P.A., allorché pone quale condizione di applicabilità del beneficio la “… sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva”.

Il prodotto della volontà legislativa è stato quindi un istituto volto a garantire il diritto del figlio sia naturale che adottivo a godere dell’assistenza materiale e affettiva di entrambi i genitori durante i primi anni di vita, come tradito anche dal fatto che la norma è contenuta nell’ambito del Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, nel contesto della c.d. legge sui congedi parentali (L. 8.3.2000 n 53).

Ambito di applicazione

Il richiamo della norma alle “amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”, fa sì che del beneficio possano goderne i dipendenti di tutte le amministrazioni dello Stato e, pertanto, tutti i dipendenti di:

  • ministeri della Repubblica Italiana e loro articolazioni territoriali (ad es. motorizzazione civile, direzioni territoriali del lavoro, ufficio scolastico regionale ecc.);
  • istituti e scuole italiane di ogni ordine e grado, istituzioni universitarie (università e scuole superiori universitarie);
  • aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo (aziende autonome);
  • regioni, province, comuni, comunità montane e loro consorzi e associazioni;
  • enti pubblici di ricerca, istituti autonomi case popolari, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni;
  • tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali (es.: ACI e ARPA);
  • amministrazioni, aziende sanitarie locali ed enti del Servizio sanitario nazionale;
  • Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (es.: agenzia delle dogane e dei monopoli, agenzia del territorio, agenzia del demanio, agenzia delle Entrate).

Presupposti

Il beneficio dell’assegnazione temporanea disciplinato dall’art. 42 bis del D.Lgs. 151/01 può essere richiesto in presenza dei seguenti presupposti soggettivi in capo al richiedente:

  1. essere dipendente a tempo indeterminato di una P.A.;
  2. essere genitore di un bambino di età inferiore a tre anni e avanzare l’istanza prima del compimento del terzo anno di vita del figlio; sul punto si evidenzia che la norma è pienamente applicabile anche ai genitori affidatari ed adottivi, ai sensi dell’art. 45 del D.Lgs 151/01, a condizione che l’istanza venga presentata entro i primi tre anni dall’ingresso del minore nella famiglia, indipendentemente dall’età dello stesso;
  3. essere in possesso della professionalità corrispondente al posto da ricoprire (ad es., l’insegnate abilitata all’insegnamento nella scuola dell’infanzia, non potrà richiedere l’assegnazione temporanea nella scuola primaria).

Dal punto di vista oggettivo, altresì, l’accoglimento dell’istanza è subordinato alla verifica della sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva ed all’assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione. L’istanza, per questo, dovrà essere inoltrata sia all’amministrazione di provenienza (per il rilascio del nulla osta) che a quella di destinazione (per l’adozione del provvedimento di accoglimento).

Durata del beneficio

La norma prevede che Il genitore con figli minori fino a tre anni … può essere assegnato … per un periodo complessivamente non superiore a tre anni….”.

È evidente, pertanto, che il beneficio possa estendersi al massimo per tre anni. Ciò è stato chiarito dal Dipartimento della Funzione Pubblica che con parere 192 del 4 maggio 2004, ha chiarito l’inciso Il genitore con figli minori fino a tre anni …” indica il requisito soggettivo dell’età del bambino, entro il quale può essere richiesto il beneficio, laddove invece quello “per un periodo complessivamente non superiore a tre anni…” indica la durata massima che lo stesso potrà avere indipendentemente dall’età del minore.

Diritto soggettivo o interesse legittimo?

Secondo la Giurisprudenza dominante, l’art. 42 bis, in deroga a qualsivoglia ulteriore configgente portato normativo, con l’unico limite obiettivo della disponibilità di posti ed in presenza degli specifici requisiti soggettivi, configura in capo al lavoratore richiedente un diritto soggettivo non assoluto e incomprimibile, ovvero, “diritto condizionato”, quello che la giurisprudenza amministrativa in materia qualifica come “interesse legittimo” cedevole di fronte a riconosciute superiori esigenze organizzative dell’Amministrazione, identificabili con il buon andamento del servizio (Tar Lazio-Roma, sez. I quater, 22.3.2007, n. 2488).

Tale inquadramento ha visto d’accordo anche tutta la Giurisprudenza del Lavoro che, implicitamente o esplicitamente, nell’esaminare le istanze avanzate dallo scrivente in favore di insegnanti e personale amministrativo del comparto scuola della P.A., da Sondrio a Lecce, si è posta sulla stessa linea.

Certamente non si è di fronte ad una mera facoltà in capo all’amministrazione di concedere discrezionalmente il trasferimento di sede, alla luce del principio di completezza dell’ordinamento giuridico che non ammette vuoti normativi né norme inutili o ridondanti. Ed infatti, pur utilizzando, il legislatore, l’espressione “il genitore… può essere assegnato”, non può essere taciuta la necessità di attribuire alla norma una qualche utilità, un “quid pluris” che altrimenti verrebbe a mancare, se si lasciasse il lavoratore in balia della discrezionalità della P.A. di concedere il consenso in presenza degli altri requisiti (età del figlio, presenza del posto in organico). Ciò è tanto più ragionevole ove si consideri che, se non fosse riconosciuta all’art. 42 bis la portata di un vero e proprio diritto soggettivo, nei limiti anzidetti, la norma non avrebbe una effettiva utilità nell’ambito dell’ordinamento. Anche senza la disposizione in parola, infatti, ben potrebbe il datore di lavoro accordare, su richiesta del lavoratore, l’assegnazione temporanea, sulla scorta dei propri poteri di organizzazione del personale (poteri che già gli erano riconosciuti certamente prima della novella), senza perciò dover essere vincolato ad un precipuo obbligo.

Del resto, pare evidente che, anche aderendo a quella minoritaria Giurisprudenza che ritiene sussistere in capo alla P.A. una mera facoltà di accogliere o meno l’istanza, tale facoltà avrebbe bisogno di ben precisi limiti, consistenti nel carattere non arbitrario e strumentale delle decisioni, affinché il vaglio della stessa non si risolva nell’esercizio da parte della P.A. di un potere meramente discrezionale, affrancato da qualsiasi controllo e sindacato anche da parte del Giudice. In questa direzione conduce l’onere di motivare il diniego posto dall’art. 42 bis in capo alla P.A., di modo che, verificata la congruenza e consistenza delle motivazioni addotte, l’interessato, prima, ed eventualmente l’organo giurisdizionale, poi, possano verificare la correttezza del suo operato.

A ciò si aggiunga che la norma è stata recentemente oggetto di importantissima modifica che rende ancora più ristretto lo spatium deliberandi del dissenso che la P.A. può opporre rispetto all’assegnazione temporanea.

L’art. 14, comma 7, della Legge 7 agosto 2015, n. 124, in vigore dal 28.8.2015, ha infatti modificato il primo comma dell’art. 42-bis inserendo, in coda all’inciso “L’eventuale dissenso deve essere motivato” già contenuto nella vecchia formulazione della norma, il seguente: “e limitato a casi ed esigenze eccezionali”.

La modifica, che bilancia in maniera evidente a favore del lavoratore la ponderazione di interessi che il datore di lavoro può compiere nel momento in cui individua ostacoli all’esercizio della prerogativa di riunione del nucleo familiare che la disposizione tende a favorire, pertanto, comporta non solo che la motivazione dovrà essere seria, ragionevole e verificabile e non mera formula di stile (ex plurimis: Trib. di Roma, ord. Coll. 8/8/2013), ma che dovrà anche esprimere esigenze realmente eccezionali, tali da giustificare il sacrificio dell’interesse, anch’esso costituzionalmente protetto, ma oggi certamente preponderante, alla tutela del nucleo familiare, e non potrà più essere identificato col mero disagio, ma con l’effettivo vero e proprio pregiudizio all’attività della p.a..

Conclusioni

La finalità del Legislatore di favorire il ricongiungimento di entrambi i genitori ai figli ancora in tenera età e la loro contemporanea presenza accanto ad essi nella fase iniziale della loro vita, richiederebbe, da parte delle PP.AA., un’attenta analisi delle istanze e, conseguentemente, una motivazione congrua e seria, idonea a far sì che il minore, soggetto debole cui si è inteso assicurare tutela, non venga ingiustamente privato dell’affetto e delle cure di entrambi i genitori.

Purtroppo, ancora oggi, non sono pochi i casi in cui le amministrazioni esitano negativamente le istanze, ricorrendo spesso a motivazioni sterili e formule vuote. Occorre pertanto non accettare passivamente le immotivate (o mal motivate) decisioni della PA, impugnandole davanti Giudici del lavoro ed amministrativi che, per fortuna, le hanno sin qui pesantemente censurate non poche volte. Da questo punto di vista, lo sforzo profuso dallo scrivente nella specifica questione, da ché è stata affrontata per la prima volta e sino ad oggi, è stato sempre massimo e tale continuerà ad essere, patrocinando e presenziando personalmente alle udienze di fronte all’organo Giudicante al fine di assicurare il maggiore sforzo per il raggiungimento dell’obbiettivo finale.

Modalità di presentazione della domanda.

La presentazione è subordinata, dal punto di vista soggettivo, alla sussistenza dei seguenti presupposti:

  1. che l’istante sia docente, educatore o A.T.A. con contratto a tempo indeterminato;
  2. che l’istanza venga inoltrata prima del compimento del terzo anno di vita del figlio;
  3. che l’istante sia in possesso della professionalità corrispondente al posto da ricoprire (nel senso che, ad es., chi ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento nella scuola dell’infanzia, non potrà richiedere l’assegnazione temporanea nella primaria, ecc.).

Dal punto di vista oggettivo, altresì, l’accoglimento dell’istanza è subordinato alla verifica della sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva ed all’assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione. L’istanza, per questo, andrà inoltrata sia all’USP della o delle province presso cui si intende essere assegnati che a quello di titolarità per il rilascio del nulla osta.

L’Istanza, infine, dovrà essere corredata da:

  1. dichiarazione sostitutiva di certificazione dello stato di famiglia (a firma dell’istante);
  2. dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (a firma del coniuge) che attesti l’attività esercitata e la provincia in cui viene svolta (in alternativa, può essere presentata dichiarazione a firma del datore di lavoro).

Sentenza

Scuola e chiamata (quasi) diretta: i timori immotivati di alcuni prof

da Il Fatto Quotidiano

Scuola e chiamata (quasi) diretta: i timori immotivati di alcuni prof

di

La decisione del Ministero dell’Istruzione di confermare quanto previsto dal testo della riforma della Scuola circa la cosiddetta “chiamata diretta” dei docenti da parte dei presidi, è per me una positiva sorpresa. Probabilmente al Miur devono aver fatto due calcoli e hanno capito che l’arzigogolato meccanismo immaginato dai sindacati di categoria alcuni giorni fa, che mi aveva spinto a scrivere questo post, garantiva l’impossibilità di coprire diverse cattedre per l’inizio del prossimo anno scolastico. E nonostante questa semplificazione, i tempi rimangono strettissimi.

Così il Miur è tornato felicemente su un meccanismo di parziale chiamata diretta. Siamo ancora lontani dalla chiamata diretta vera e propria, quella in vigore in Regno Unito e altri Paesi occidentali, aperta a tutti i docenti abilitati sia inglesi che stranieri purché sappiano scrivere una lettera di presentazione, un curriculum e abbiano l’abilitazione del National College for Teaching and Leadership. Nel caso italiano, come ha spiegato Corlazzoli in questo suo articolo, la scelta dei presidi sarà invece vincolata su due livelli: ambito territoriale dei docenti e piano dell’offerta formativa della scuola, da cui derivare le caratteristiche dei prof da assumere.

Il meccanismo di assunzione sarà dunque molto semplice e meno lontano dal resto del mondo lavorativo italiano. L’enorme differenza col mondo del lavoro privato? Nessun docente di ruolo rimarrà disoccupato: i prof non assunti da nessun DS saranno assegnati d’ufficio dal provveditorato a una delle scuole del proprio ambito territoriale.

Interagendo con un po’ di colleghi sui gruppi Facebook (il migliore di tutti rimane PSN – Formazione docenti neoimmessi in ruolo) mi è stato possibile capire meglio quali sono i timori di molti docenti davanti a questa novità europea della chiamata quasi diretta.

Al primo posto c’è l’atavico timore italico per la corruzione o l’incompetenza di chi è chiamato ad assumere decisioni e responsabilità. La grande maggioranza dei docenti teme che i presidi assumino non sulla base delle competenze, ma sulla base di favoritismi vari. Ora, che questo in Italia sia un problema sarebbe sciocco negarlo. Però trovo che troppo spesso si dimentica che i presidi sono gente come noi, spessissimo ex docenti che hanno vinto un concorso pubblico da Dirigenti scolastici. Quindi fra loro c’è lo stesso livello di competenza e di onestà che c’è tra i docenti. Ai docenti che temono per la corruzione dei DS dico: non è possibile pensare di essere gli unici lavoratori onesti e competenti in Italia, circondati da una massa di raccomandati e di inetti. Non è così: c’è vita sulla Terra.

 Visto che l’Italia è al 61° posto al mondo su 200 per corruzione secondo la classifica di Transparency, ci sarà senza dubbio una percentuale di DS che farà scelte deleterie. Qui, e il mio è un appello al ministro Giannini, dovrà vigilare il Miur attraverso i suoi (oggi troppo pochi) ispettori: occorrerà mettere in piedi un istituto simile al britannico OFSTED, che ogni anno o due va scuola per scuola a fare un quadro della situazione, ascoltando i pro e i contro intervistando preside, docenti, studenti, genitori. L’Ofsted alla fine rilascia una vera e propria pagella a ogni scuola, preziosa per le famiglie per decidere dove iscrivere i loro figli. L’Ofsted naturalmente ha potere di rimozione dei presidi che sono mal valutati.

Sono poi altrettanto certo che la grande maggioranza dei presidi italiani (che per la cronaca, al 60% è donna) farà del suo meglio per assumere proprio le professoresse (sono donna l’88% dei docenti) di cui ha bisogno la sua scuola: aggiornate, brave pedagoghe, in grado di tenere corsi in lingua straniera al pomeriggio nell’ambito del progetto CLIL, con specializzazioni sul sostegno, con certificazioni aggiuntive per insegnare informatica e così via.

Il secondo timore di molte docenti è invece meno giustificabile. Si tratta spesso di persone che non hanno mai dovuto scrivere un curriculum o una lettera professionale di presentazione, e questi nuovi doveri le mandano in ansia. Parliamo però di doveri banali per quasi tutti i lavoratori: è come funziona il mondo reale. Sui gruppi Facebook dei docenti è invece tutto un chiedere a quale tipo di formato di CV occorre uniformarsi, se si devono allegare foto o no, come si crea un formato PDF (!). Non comprendo questa necessità di uniformarsi a un modello, mi pare una mentalità più da travet che da libera e autonoma insegnante. Un curriculum è un documento preciso: deve essere chiaro, razionale, breve e deve far risaltare e risultare il candidato attraverso il suo percorso educativo e professionale. Se volessi fare il fotomodello (povero me), di certo sarebbe indispensabile allegare una mia foto a formato intero, o magari proprio un book fotografico, ma se voglio fare il professore di Chimica, mi sa anche no. Occorre aver vissuto all’estero per capirlo?

Buona scuola, i presidi sceglieranno i professori con i colloqui

da Corriere della sera

Buona scuola, i presidi sceglieranno i professori con i colloqui

In arrivo le linee guida che cambieranno le modalità di scelta dei docenti utili all’istituto. Il dirigente dovrà selezionare i candidati attraverso i curricula ed eventualmente sottoporli ad un colloquio. Sindacati sul piede di guerra

Claudia Voltattorni

ROMA – Sessantamila professori in movimento. Sono soprattutto i neoassunti della Buona scuola, che circa un anno fa hanno ottenuto una cattedra definitiva. Ma poi hanno chiesto di spostarsi. E oggi sono in attesa di sapere quale sarà la loro destinazione. La legge 107 della Buona scuola prevede che siano assegnati nei cosiddetti «ambiti territoriali» da dove le scuole potranno sceglierli.
Come? Il ministero dell’Istruzione ha preparato delle linee guida per dare le indicazioni operative su come la «chiamata per competenze» dovrà essere gestita dalle scuole. Sarà il preside a decidere tutto. Tra la fine di luglio e i primi di agosto, farà un bando per cercare il docente che gli serve in base al Piano di offerta formativa (Pof) della sua scuola; definirà i requisiti che il suo prof dovrà avere (in base a esperienze, titoli di studio e attività formative); selezionerà i curricula e, se serve, convocherà i candidati anche per un colloquio di lavoro finale. Poi sceglierà.

Cosa cambierà

La «chiamata diretta» è quella che da mesi spaventa gli insegnanti perché assegnerebbe un potere discrezionale troppo ampio al dirigente scolastico. Per il prossimo anno scolastico, ogni istituto si troverà a cercare dai 2 agli 8 docenti. Il preside elencherà fino a 6 requisiti, poi partirà la «caccia».
«È un’innovazione profonda – dicono la ministra Stefania Giannini e il sottosegretario Davide Faraone -: si passa da un meccanismo che premiava l’anzianità, basato su punteggi e burocrazia, a una procedura che valorizza il percorso professionale dei docenti e consente alle scuole, per la prima volta, di poter scegliere gli insegnanti di cui hanno bisogno».

Sindacati pronti alle barricate

Ma i sindacati la pensano diversamente e sono pronti alle barricate. Già la settimana scorsa avevano interrotto le trattative contestando l’eccessivo numero dei requisiti elencati dal Miur ma soprattutto la discrezionalità dei presidi. Da ieri, dopo aver visto le linee guida ministeriali, la contrarietà è totale. «Inaccettabile», dicono Flc Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals Confsal e Gilda: «La nostra battaglia non finisce qui».

Chiamata diretta, appello al presidente Anticorruzione: ridateci le graduatorie!

da La Tecnica della Scuola

Chiamata diretta, appello al presidente Anticorruzione: ridateci le graduatorie!

Se si vuole evitare la “corruzione” anche nelle scuole, si provveda ad un “immediato ripristino” delle graduatorie d’insegnamento.

Tra i vari appelli nati a seguito della presentazione delle linee guida ministeriali per gestire la chiamata diretta, fa un certo effetto quello dei docenti “Partigiani della Scuola Pubblica”: si sono rivolti all’autorità massima in materia, quale è Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anticorruzione.

Il concetto espresso, a dire il vero, è lo stesso che ha evidenziato gruppo FB Professione Insegnanti, secondo cui la chiamata diretta “si presta a meccanismi di corruzione e mancanza di trasparenza per tanti motivi”.

Anche i Partigiani lo ricordano: “aggiungiamo il nostro appello a quello lanciato con una petizione dal gruppo Professione Insegnanti che ha già quasi raggiunto le 10mila firme in pochissimo tempo, il quale evidenzia che ‘La chiamata diretta da parte dei Dirigenti Scolastici è una norma illegittima che configge con numerosi articoli della Costituzione tra i quali spiccano l’Art.33 (libertà d’insegnamento) e l’art.97 (trasparenza e buon andamento della PA)’, chiedendone il ritiro“.

Al presidente dell’Anticorruzione chiedono, quindi, di fare da intermediario nei confronti del Governo “per il ripristino delle graduatorie di insegnamento, strumento realmente trasparente di valutazione dei titoli e dei requisiti dei docenti, esente da qualsiasi tipo di condizionamento e di suscettibilità al cambio di utilità, in quanto non soggetto ad interpretazioni ed arbitri”.

Chiamata diretta, la Cgil ai presidi: tutelatevi, fate valere solo il punteggio!

da La Tecnica della Scuola

Chiamata diretta, la Cgil ai presidi: tutelatevi, fate valere solo il punteggio!

Alla fine il Miur sulla chiamata diretta ha deciso di seguire la Legge 107 e abbandonare in buona parte gli accordi presi, ma non sottoscritti, con i sindacati.

Questi, però, anche dopo l’atto unilaterale delle linee guida, continuano a mandare messaggi operativi al personale. Lo fanno, in particolare, rivolgendosi ai dirigenti scolastici: come ravvisato anche dalla nostra testata giornalistica, infatti, i presidi più “coraggiosi” hanno ancora la piena facoltà di non pubblicare alcun avviso sul proprio sito internet sui posti da assegnare. E demandare tutto all’Usr di competenza.

Ora, però, il leader della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo, indica alla Tecnica della Scuola una possibilità ulteriore: quella di far inserire l’avviso di messa su “piazza” (telematica) dei posti da assegnare facendo valere solo il requisito tradizionale: l’anzianità di servizio. In questo modo, i capi d’istituto non potrebbero venire tacciati dall’amministrazione di venire meno ai propri doveri e pregiudicare il loro rendimento.

Si tratta di una soluzione forse più praticabile, ma che difficilmente seguiranno i presidi vicino ad altre associazioni sindacali dei dirigenti scolastici, non Confederali. Di sicuro, anche se la dovessero adottare solo una parte dei presidi, per il sindacato si tratterebe di un successo: perchè le indicazioni del Miur non avrebbero applicazione uniforme. Indebolendo, in tal modo, la mission per cui sono state sviluppate le linee guida sulla chiamata diretta.

 

Pantaleo, si rende conto che utilizzare il punteggio equivarrebbe ad un ritorno all’antico, senza avere mai nemmeno provato la strada nuova?

In realtà la soluzione di buon senso era rinviare il tutto di un anno (come già indicato dalla Cisl Scuola), utilizzando per questa estate i punteggi della mobilità che comprendono già molti dei titoli richiesti dalle scuole. Solo che, giunti a questo punto, non essendo le linee guida prescrittive, i dirigenti scolastici potrebbero comunque agire indicando negli avvisi come unico criterio quello del punteggio dei docenti (derivante comunque da anzianità di servizio e titoli acquisiti n.d.r.). In modo da evitare inutili contenziosi e incertezza sui tempi delle operazioni.

 

Però c’è da rispettare una legge, la 107/15, e ora anche le linee guida: come si fa?

Io dico che si è voluta imporre una soluzione pasticciata e priva di qualsiasi criterio oggettivo e trasparente. Per queste ragioni sono prevedibili tantissimi ricorsi e saranno i dirigenti a rispondere in giudizio, perché la ministra Giannini e il Miur hanno scaricato ogni responsabilità su di loro, limitandosi a ripetere stancamente le vecchie impostazioni ideologiche care al liberismo.

 

Quindi i dirigenti scolastici dovrebbero agire, come voi sostenete, anche per tutelarsi?

Le linee guida per la chiamata diretta dei docenti sono un colossale imbroglio e sottopongono le scuole a una inutile e faticosa rincorsa per l’assegnazione dei docenti che costringerà I dirigenti scolastici a saltare le ferie e con la concreta prospettiva di essere chiamati in giudizio. Si trasformano le scuole in un supermercato di titoli magari con sconti di fine stagione. Le linee guida è evidente che sono un imbroglio.

 

Allora, perché siete stati per giorni interi a trattare sui titoli da scegliere per assegnare i posti?

Le competenze alla fine si sono rivelate una pura finzione, perché in realtà decidono unilateralmente e senza alcun criterio oggettivo e verificabile i dirigenti scolastici.

 

È curioso: al ministero dell’Istruzione sostengono l’esatto contrario.

Se si stabilisce che le scuole possono con uno o più avvisi richiedere da tre a sei requisiti nell’ambito di una lista lunghissima di titoli nazionali, con la possibilità anche di definire le priorità, la procedura non può essere definita oggettiva e trasparente. Quei meccanismi sono del tutto discrezionali e possono determinare in alcune aree del Paese elementi di dubbia legalità come in qualche caso si è verificato con l’organico potenziato.

Giannini: “La società andrà dove la porterà la scuola”

da La Tecnica della Scuola

Giannini: “La società andrà dove la porterà la scuola”

La ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, in visita alla Cittadella del cinema del Giffoni Film Festival, incontrando i 750 giovani giurati della sezione Generator +13, ha detto: “A Giffoni 45 anni fa è stato piantato un seme che adesso è diventato una foresta rigogliosa”.  Ai giovani “non descriverò il futuro – aggiunge prima di raggiungerli in Sala Truffaut – ma dirò come la scuola deve prepararli ad un futuro che è pieno di incognite. Parlerò di una scuola aperta che fa dell’inclusione il proprio punto di riferimento, il modello. Darò due parole chiave: cooperazione e competizione. La scuola è ma deve continuare ad essere il luogo nel quale si socializza e si cresce insieme ma anche il luogo nel quale si acquisiscono competenze e nascono le eccellenze, perché la società in futuro andrà dove la porterà la scuola”.

Parole ineccepibili quelle della ministra Giannini che però avrebbe dovuto aggiungere che la scuola, non solo è specchio della società, ma è anche scolpita sulle forme che i governi intendono adottare, quando non si ascolta per esempio chi la scuola ogni giorno la fa e la costruisce.  E infatti, proprio per chiarire questo concetto, e cioè di non disturbare il macchinista, la ministra ha aggiunto:  “Ogni volta che si cerca di introdurre un modello innovativo, e io sto cercando di fare questo assieme al Governo, si trova sempre una resistenza inerziale. Fare in modo che l’innovazione diventi trasformazione, non è cosa facile, ma è importante che sia trasformato ciò che si voleva trasformare”.

“La mia sfida è vincere le resistenze al cambiamento, che non è cosa da poco, ogni giorno si fa questo – aggiunge – si tratta di resistenze non sempre frutto di un disegno che si oppone, ma frutto dell’inerzia dei processi”.

Ma la ministra si è espressa anche sul tema – assai dibattuto – della chiamata diretta. “Aspetto cruciale, che interessa la selezione degli insegnanti. Mette un punto di novità: da una parte il fabbisogno della scuola, dall’altro il dirigente scolastico che si assume la responsabilità di convocare sulla base di criteri chiari e trasparenti”.

Da Giffoni Valle Piana, capitale del cinema per ragazzi ma anche osservatorio sul mondo, la ministra Giannini si è  soffermata sulla “situazione drammaticamente inquietante che si vive in Turchia”, riferendosi alla sospensione della Convenzione sui diritti umani.

Bonus merito, perché ho preso poco? Il preside non deve spiegare nulla al singolo docente

da La Tecnica della Scuola

Bonus merito, perché ho preso poco? Il preside non deve spiegare nulla al singolo docente

C’è ancora un po’ di confusione sulle modalità di assegnazione del bonus premiale introdotto dal comma 126 della Buona Scuola.

Lo “stanziamento di euro 200 milioni annui a decorrere dall’anno 2016”, spalmato sui circa 8.500 istituti sparsi per il territorio, ha infatti prodotto la formazione dei comitati di valutazione che hanno a loro volta realizzato i criteri di accesso ai finanziamenti ministeriali.

I comitati hanno agito, a loro volta, sulla base delle priorità e delle indicazioni contenute nei Piani dell’offerta formativa, realizzando delle linee guida interne ad ogni scuola più disparate.

Per guidare al meglio le varie fasi di questo processo innovativo, il ministero dell’Istruzione ha realizzato una serie di FAQ, aggiungendo ulteriori risposte nel corso dell’anno, sulla base delle richieste che pervenivano proprio dalle scuole.

Tra le ultime FAQ proposte dal Miur, segnaliamo quella su “come evitare eventuali conflitti di interessi”: nella fattispecie, i dirigenti di Viale Trastevere ricordano che “nell’assegnazione del bonus è importante evitare ogni situazione, anche potenziale, di conflitto di interessi. Infatti, se nell’individuazione dei criteri da parte del Comitato di valutazione eventuali relazioni parentali non determinano situazioni di conflitto di interessi, in quanto a livello collegiale si definiscono criteri sulla base dei quali il dirigente scolastico assegnerà il bonus, diversa è la situazione in cui si trova il dirigente scolastico, in quanto responsabile del procedimento di assegnazione del bonus”.

Pertanto, il ds “che incorra in unconflitto di interessi, anche potenziale, verificabile in una delle condizioni previste dalla normativa vigente (art. 51, Codice di procedura civile; art 6-bis – legge 7 agosto 1990 n.241) è tenuto ad astenersi dalla valutazione e dalla conseguente assegnazione del bonus, informando di tale situazione il Direttore (o il Dirigente preposto) dell ‘USR di competenza. Le determinazioni sulle astensioni sono rimesse al direttore dell’Ufficio scolastico regionale di appartenenza”.

Molto interessante è anche l’ultima risposta fornita da dicastero dell’Istruzione, a proposito su “come dare trasparenza alle scelte e come pubblicare i dati sull’assegnazione del bonus”: ebbene, su questo punto, il Miur sottolinea che dopo aver pubblicato “i criteri stabiliti dal Comitato, in merito alla pubblicazione dei premi per i singoli docenti, mancando un’indicazione di riferimento specifica per la scuola, è opportuno fare riferimento al D.Lgs. 33/2013 come aggiornato da D.Lgs. 9712016 (in vigore dal 23 giugno 2016) all’art. 20, comma 1 e comma 2, in cui si evidenzia che: “Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati relativi all’ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e l’ammontare dei premi effettivamente distribuiti”.

Pertanto, “le pubbliche amministrazioni pubblicano i criteri definiti nei sistemi di misurazione e valutazione della performance per l’assegnazione del trattamento accessorio e i dati relativi alla sua distribuzione, in forma aggregata, al fine di dare conto del livello di selettività utilizzato nella distribuzione dei premi e degli incentivi, nonché i dati relativi al grado di differenziazione nell’utilizzo della premialità sia per i dirigenti sia per i dipendenti”.

“Inoltre – conclude il Miur – risulta quanto mai opportuno che il Dirigente scolastico comunichi le motivazioni delle sue scelte al Comitato di valutazione e a tutta la comunità professionale, in forma generale e non legate ai singoli docenti, proprio per una continua regolazione e qualificazione del processo”.

Ciò significa che un docente dovrà “leggere” tra le motivazioni generali i motivi della sua inclusione o esclusione, ritenuta soddisfacente o meno, riguardo il bonus premiale annuale.

 

Tutte le domande di chiarimento del Miur sul bonus premiale:   

1. Da quale anno scolastico parte la valorizzazione del merito del personale docente nelle istituzioni scolastiche?

2. Quale sarà la somma destinata ad ogni scuola?

3. Il fondo è rivolto a tutti i docenti?

4. Chi stabilisce il bonus per i docenti?

5. Il bonus ha una cifra minima ed una massima a cui attenersi per ogni docente?

6. Come vengono “scelti” dal Collegio dei docenti gli insegnanti che fanno parte del Comitato di valutazione?

7. Per la “scelta” dei due componenti del Comitato di valutazione da parte del Collegio dei docenti è prevista la presentazione di liste come per altre elezioni?

8. Come vengono “scelti” dal Consiglio d’istituto il docente, i genitori (o lo studente per gli istituti d’istruzione secondaria di II grado) che fanno parte del Comitato di valutazione?

9. Gli eleggibili nel Consiglio d’istituto devono essere componenti di quell’organismo?

10. Chi nomina il componente esterno?

11. Come si può assicurare negli istituti comprensivi la rappresentanza dei diversi settori presenti (infanzia, primaria, secondaria di I grado)?

12. Come si procede nella scelta dei membri del Comitato nei CPIA, negli Istituti omnicomprensivi, nei Convitti ed Educandati e nelle Scuole militari?

13. Quando si può ritenere che il Comitato è validamente costituito?

14. Una volta conclusa la fase di scelta dei componenti, il Comitato quando può cominciare a funzionare?

15. Quali sono le regole per la validità delle convocazioni e delle deliberazioni del Comitato?

16. Il Collegio dei docenti e il Consiglio d’Istituto hanno titolo a definire i criteri valutativi per il riconoscimento del merito?

17. La legge 107/2015 individua come base per la definizione dei criteri valutativi tre distinte aree. Il Comitato deve definire i criteri su ogni area oppure può anche escluderne una o due?

18. Molte istituzioni scolastiche sono strutturate in diversi settori, come, ad esempio, gli istituti comprensivi. È opportuno tener conto della presenza di tali settori per l’assegnazione del bonus?

19. Come evitare eventuali conflitti di interessi?

20. Come dare trasparenza alle scelte e come pubblicare i dati sull’assegnazione del bonus?

 

Per tutte le risposte del Miur alle FAQ cliccare qui.

Posti aggiuntivi di sostegno, la distribuzione è iniqua

da La Tecnica della Scuola

Posti aggiuntivi di sostegno, la distribuzione è iniqua

C’è un’importante pronuncia del Tar Lazio sul reclutamento aggiuntivo su posti di sostegno disposto dalla legge 128/2013.

Con sentenza pubblicata il 22 luglio, su un ricorso promosso da alcuni docenti patrocinati dall’avvocato catanese Salvatore Spataro (nella foto a fianco), il Tar Lazio ha annullato le disposizioni ministeriali relative all’insegnamento di sostegno che a seguito della L.128/2013 ha visto un ampliamento del contingente in tutto il paese.

Confermando l’orientamento già espresso in sede cautelare lo scorso anno, il Giudice ammnistrativo ha chiarito in quali parti il Ministero ha operato in maniera non corretta rispetto al reclutamento dei docenti di sostegno.

Abbiamo contattato in merito l’avv. Spataro, il quale ha chiarito che “quando venne bandito il concorso del 2012, la Tabella allegata al Bando prevedeva pochi posti di sostegno ed in particolare, in Sicilia, per le 4 aree della scuola secondaria erano previsti solo 20 posti. Nelle more dell’espletamento del concorso, però, era intervenuto il Legislatore che con la citata Legge 128/2013 aveva imposto un più ampio reclutamento sul sostegno per assicurare quella tendenziale copertura dei posti su cui il nostro Paese da anni per ragioni finanziarie appare deficitario. Tale incremento di posti era stato però gestito in maniera maldestra dal MIUR, che aveva effettuato le nuove assunzioni frustrando i diritti dei docenti inseriti nella graduatoria del concorso, giacché aveva previsto che solo apparentemente i posti sarebbero stati distribuiti equamente fra Concorso e Gae, ma – in sostanza – imponendo il rigoroso rispetto della Tabella allegata al Bando (20 soli posti in Sicilia) decine e decine di posti erano stati travasati sullo scorrimento delle Gae”.

Comportamento questo, che l’avv. Spataro ha denunciato come illegittimo in quanto, venendo messi a disposizione dei posti che modificavano la programmazione del fabbisogno del personale sulla cui scorta era stata formata la Tabella di posti disponibili allegata al bando, il MIUR avrebbe dovuto ampliare la stessa Tabella e disporre un equo reclutamento per i docenti che avevano sostenuto il concorso anziché riversare tutte la cattedre sulle Gae.

Vero è che il MIUR, con il D.M. 356/2014, aveva corretto il tiro, disponendo l’ampliamento della predetta tabella per reclutare ben oltre i posti originariamente previsti anche gli idonei al concorso non originariamente vincitori, ma è altrettanto vero che questo correttivo è stato attuato solo parzialmente, in quanto disponeva che ciò avvenisse dopo un anno (ossia solo a far data dal 2014/15), quando ormai numerosissime cattedre di sostegno erano migrate nel precedente anno 2013/14 dagli aspiranti inseriti nella graduatoria di concorso a quelli inseriti in GAE.

La pronuncia in esame, precisa l’avv. Spataro, ristabilisce quindi l’equa distribuzione violata originariamente dal Ministero, rendendo giustizia ai docenti che avevano ricorso originariamente ed aprendo prospettive di certo interesse per coloro che, invece, hanno perso la possibilità di essere immessi in ruolo a causa dell’illegittimo operato del MIUR.

Chiamata dagli albi: indicazioni pratiche

da La Tecnica della Scuola

Chiamata dagli albi: indicazioni pratiche

Mentre i sindacati confederali e lo Snals stanno cercando ogni strada per bloccare la “chiamata diretta”, l’Anp fornisce già le proprie indicazioni pratiche su come realizzare l’inter procedura.

“In attesa della conclusione delle procedure di mobilità – spiega l’Anp nel proprio dito – suggeriamo che ciascun dirigente proceda, fin da subito, ad un esame del PTOF e del PdM finalizzato ad individuare i requisiti che ritiene debbano avere i docenti candidati a coprire i posti rimasti disponibili dopo la conclusione della mobilità. Tale operazione potrà essere condotta avvalendosi dell’elenco allegato alle Linee Guida, eventualmente integrato con requisiti scelti in autonomia ma comunque sulla base dei documenti su indicati”.
Conclusa la mobilità il dirigente dovrà provvedere a “pubblicare sul sito un avviso recante l’elenco dei posti rimasti vacanti, con l’indicazione per ciascuno dei soli requisiti individuati e attendere la data entro cui i docenti dovranno far pervenire il loro curriculum”.
A quel punto, “scaduto il termine per la presentazione delle candidature, partendo dalle autocandidature ricevute e in base alla documentazione presentata dagli interessati, è opportuno selezionare un ridotto numero di docenti (2 o 3 per ogni posto) da chiamare a colloquio”.
Tutta la procedura si dovrà concludere con l’individuazione di un docente per ogni posto “motivando la scelta con esclusivo riferimento al possesso dei requisiti richiesti e accertati”.

Dichiarata illegittima la normativa in materia di supplenze nella scuola

da La Tecnica della Scuola

Dichiarata illegittima la normativa in materia di supplenze nella scuola

Tuttavia, fa sapere la Flc-Cgil Sicilia, per la Consulta la L. 107/2015 avrebbe cancellato l’illecito.

La Corte Costituzionale ha pubblicato in data 20 luglio 2016 la sentenza 187 in materia di supplenze nella scuola dichiarando l’illegittimità della normativa che disciplina l’attribuzione delle supplenze nel sistema scolastico italiano perché ritenute in contrasto con il diritto europeo.

Secondo la Corte la norma sulle supplenze (art. 4 commi 1 e 11 della legge 124/1999) è illegittima “nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la coperturadi posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino”.

Rispetto alle conseguenze di questa sentenza emergono però alcune perplessità poiché secondo la Corte Costituzionale alcune misure nel frattempo sopravvenute avrebbero riparato al danno subito da parte di precari.

Il riferimento è ad esempio al piano straordinario di immissioni in ruolo, alla previsione triennale dei concorsi nonché all’introduzione del limite dei 36 mesi per le supplenze, tutte disposizioni che secondo la Corte sarebbero state introdotte con la legge 107/2015 proprio per far fronte alle censure subite dall’Italia con la pronuncia della Corte di Giustizia europea.

Senonché occorrerebbe capire di quale tutela, ai sensi dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea, potranno beneficiare le migliaia di docenti precari, spesso abilitati e con oltre 36 mesi di servizio, che non sono stati inclusi nel piano di immissioni in ruolo. Per non parlare poi del personale ATA che non è stato neanche coinvolto in alcun piano di stabilizzazione e la cui tutela non si può limitare al risarcimento del danno.