La figura professionale dell’ Assistente Tecnico anche negli Istituti Comprensivi

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
On. MATTEO RENZI
Al Ministro dell’Istruzione
Sen. STEFANIA GIANNINI
Al Sottosegretario di Stato del MIUR
On. DAVIDE FARAONE

e, p.c. a tutto il Personale A.T.A. delle Istituzioni Scolastiche Italiane di ogni ordine e grado

Oggetto: La figura professionale dell’ Assistente Tecnico anche negli Istituti Comprensivi.

Spett/li Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro dell’Istruzione e Sottosegretario di Stato,
la Federazione del Personale ATA da sempre ha combattuto contro la mancata previsione della figura dell’Assistente Tecnico negli Istituti Comprensivi ed aver appreso la notizia che finalmente anche le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado avranno “il loro” Assistente Tecnico, ci riempie di orgoglio.
Durante l’incontro tenutosi il 10 Ottobre u.s. al M.I.U.R tra l’Ufficio di Gabinetto del Ministero e le OO.SS rappresentative sulle “Proposte normative di competenza del Ministero per il disegno di legge sul bilancio dello Stato, triennio 2017-2019, con particolare riferimento a quelle riguardanti il personale docente e ATA”, il vice-capo di Gabinetto, Dott. Pinneri, ha illustrato alle OO.SS le proposte del M.I.U.R per la legge di stabilità 2017 e si è proposto di voler istituire un organico di 500 Assistenti Tecnici per la scuola del primo ciclo.
Anche se è un numero veramente esiguo ed insufficiente a coprire le vere esigenze dell’utenza, siamo veramente fieri di essere stati i primi a rivendicare tale servizio da offrire ai nostri ragazzi degli Istituti Comprensivi.
Sapete bene che il profilo dell’Assistente Tecnico di laboratorio è una figura professionale tipica della scuola secondaria superiore, da sempre opera al fianco dei docenti per sostenere la realizzazione di attività tecnico-pratiche e di laboratorio. Come da C.C.N.L Comparto Scuola è addetto alla conduzione tecnica dei laboratori, delle officine o dei reparti di lavorazione e con il proprio lavoro deve garantirne la funzionalità e l’efficienza. Rientrano tra i compiti dell’assistente tecnico anche la conduzione e la manutenzione ordinaria delle attrezzature e degli strumenti utilizzati nell’ambito delle attività formative. Questa silenziosa categoria di personale ATA provvede pertanto all’assistenza tecnica, alle esercitazioni didattiche in compresenza del docente per almeno 24 ore settimanali e per le restanti 12 ore si dedica alla manutenzione e riparazione delle attrezzature tecnico/scientifiche dei laboratori e alla preparazione del materiale per le esercitazioni.
Viene richiesta specifica preparazione professionale, conoscenza di strumenti e tecnologie anche complesse, con l’assenza totale, purtroppo, di corsi di formazione ed aggiornamento da parte dell’Amministrazione; l’Assistente Tecnico, con una disponibilità finanziaria della scuola sempre più ridotta, è l’unico a poter riparare e rendere utilizzabili strumentazioni consunte che andrebbero sostituite; inoltre, a seguito di tagli, deve districarsi contemporaneamente in più laboratori, e molte volte le lezioni laboratoriali si svolgono con il solo insegnante, il quale, se pur perfettamente in grado di svolgere la lezione ed utilizzare le attrezzature, non può garantire la piena sicurezza degli studenti che utilizzano apparecchiature elettroniche, sostanze chimiche, macchinari, ecc…Finora questa figura professionale è stata presente solo nelle scuole secondarie di II grado, mentre nelle scuole secondarie di I grado e nelle scuole primarie si affida a ditte e tecnici esterni la manutenzione e il supporto dei laboratori utilizzati nelle attività progettuali, presenti nel piano dell’offerta formativa, con una spesa eccessiva a fronte di una scarsa comprensione della realtà lavorativa scolastica.
Inoltre i vari Istituti Comprensivi si sono dotati di una serie di innovazioni tecnologiche, e di attrezzature multimediali, tra le quali anche le LIM in classe, con un processo di trasformazione dell’organizzazione del lavoro e con nuove esigenze di personale tali da richiedere la presenza fissa e costante della preziosa figura dell’Assistente Tecnico, da non confondere con l’Animatore digitale introdotto dal Piano Nazionale Scuole Digitale P.N.S.D e individuato con nota M.I.U.R Prot. n° 17791 del 19/11/2015 che in genere “ non fa un bel niente di utile” all’interno delle scuole secondarie di II grado perché tutto viene “scaricato” sulle competenze dell’Assistente Tecnico in servizio.
Come sopra indicato purtroppo l’esiguo numero di 500 unità di Assistenti Tecnici destinati agli Istituti Comprensivi non soddisferà che una minima parte delle reali esigenze dell’utenza e si verificheranno seri e reali problemi di gestione quotidiana del servizio a causa delle tante e innumerevoli sedi dislocate su Comuni a volte molto distanti tra loro.
La Feder.ATA si propone come interlocutore serio e qualificato nella discussione di queste problematiche in quanto attualmente è l’unica organizzazione sindacale competente di questioni lavorative e professionali del personale ATA; noi siamo a Vostra disposizione per qualsiasi tematica e argomentazione da discutere relativamente alla Nostra categoria.
Vista la nostra esperienza e competenza in quanto presenti nella realtà scolastica, gradiremo essere invitati per un confronto serio, professionale e costruttivo per instaurare una collaborazione che possa contribuire a rendere più efficienti gli importantissimi servizi generali tecnici e amministrativi offerti dal personale ATA.

Università e persone con disabilità intellettiva

Superando.it del 18-10-2016

Universita’ e persone con disabilita’ intellettiva

di Salvatore Nocera*

«È utile per i nostri ragazzi con disabilità intellettiva la frequenza dell’Università per una loro crescita umana, intellettuale e sociale?»: a chiederselo – e a chiederlo alle Associazioni Nazionali di persone con disabilità – è Salvatore Nocera, a seguito di un articolo recentemente apparso su tale questione e cercando di aprire sulla stessa «un dibattito serio, pacato, documentato e soprattutto finalizzato al vero interesse di crescita dei nostri ragazzi con disabilità intellettiva».

Leggo un articolo pubblicato il 10 ottobre scorso dall’Agenzia «Redattore Sociale» (Disabilità intellettiva, con l’inclusione si aprono le porte dell’università) e a parte le questioni strettamente legali, relative ai ricorsi ai TAR (Tribunali Amministrativi Regionali), con conseguente attribuzione formale di un diploma, necessario ad essere ammesso agli studi universitari, mi chiedo e chiedo alle Associazioni Nazionali di persone con disabilità: è utile per i nostri ragazzi con disabilità intellettiva la frequenza dell’Università per una loro crescita umana, intellettuale e sociale?
Penso ad esempio al fatto che normalmente anche alunni senza disabilità trovano le nostre università orientate su studi molto astratti e quindi intellettivamente difficili.
Nell’articolo citato, poi, si legge che anziché mandare i nostri ragazzi ai Centri Diurni o tenerli a casa, è meglio mandarli all’Università. Ma il ruolo dell’Università, come istituzione di alta cultura, è quello di “parcheggiare” studenti con disabilità intellettiva, che possono non sapere né leggere né scrivere? Sarebbe logico mandare una persona sorda a frequentare un corso di alta cultura coreutica e musicale? Sarebbe logico mandare una persona cieca a specializzarsi in un corso di tiro al piattello?

So bene che con queste domande solleverò – provocatoriamente – una sorta di vespaio, ma è la notizia letta in quell’articolo che mi ha stimolato tali quesiti e che giro all’opinione pubblica, perché si possa aprire un dibattito serio, pacato, documentato e soprattutto finalizzato al vero interesse di crescita dei nostri ragazzi con disabilità intellettiva.

Presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) della quale è stato vicepresidente nazionale.

Del liceo classico ed altre amenità

Del liceo classico ed altre amenità

di Maurizio Tiriticco

Ho sempre detto e scritto che il latino e il greco dovrebbero essere studiati fin dalle elementari, oggi primarie! Ovviamente, si tratta di una provocazione, però… il fatto è che la culla della nostra civiltà – ed in parte anche della civiltà europea – è il mondo greco e latino. Là sono le nostre radici, e non solo linguistiche! E non è un caso che Keplero ebbe a dire: “La geometria ha due grandi tesori: il Teorema di Pitagora e la Sezione aurea di un segmento. Il primo lo possiamo paragonare ad un oggetto d’oro. Il secondo lo possiamo definire un prezioso gioiello”. Per non dire del pensiero filosofico, da Talete in poi, e della poesia, da Saffo in poi. Fortunato è colui che può accedere ai testi originali degli autori classici!

Per queste ragioni penso che in un Paese come il nostro, oggi purtroppo abbastanza incivile e scarsamente acculturato – basta vedere le statistiche dell’Ocse e le sofferenze di un De Mauro – un qualche bagno, o bagnetto, nella cultura classica non farebbe affatto male! E sono anche convinto che il liceo classico costituisca ancora quel canale di studi che meglio di altri può orientare nella cultura, nella scelta di un lavoro e nella vita stessa. Vorrei soltanto che possano accedere al classico – e per scelta convinta – non solo i figli dei professionisti, come di fatto accade, ma anche i figli di altre fasce della nostra popolazione! Purtroppo è la stessa organizzazione della nostra scuola secondaria che è classista: i licei, i tecnici e i professionali, aperti, di fatto, a tre fasce della nostra popolazione! Purtroppo la divisione in classi è sostenuta e “garantita” – direi – dall’organizzazione della nostra istruzione secondaria, all’interno della quale, purtroppo si disperdono gli ultimi due anni dell’istruzione obbligatoria! Ma problemi di questo tipo le Giannini e i Faraone se li pongono? Mah! Non credo proprio! Non avrebbero mai varato una 107, che intorbida le acque più che depurarle! Mah! Così va il mondo, almeno in Italia! Un po’ maluccio!

Anagrafe dell’edilizia scolastica

Scuola = Interrogazione Sinistra Italiana al governo.
on. Giancarlo Giordano (vice presidente commissione Cultura e Scuola): Vogliamo avere i dati aggiornati dell’anagrafe dell’edilizia scolastica, degli interventi previsti e quelli realizzati.
Non servono interventi decorativi e superficiali.
Passare dalla propaganda ai fatti
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Quali sono i dati aggiornati della Anagrafe generale dell’edilizia scolastica italiana riguardo la condizione degli stabili, gli interventi previsti e quelli gia’  realizzati collegati al cosiddetto programma di manutenzione della “Buona Scuola”. E vogliamo anche sapere se esiste un report aggiornato curato  dall’Agenzia per la Coesione Territoriale relativo a  sopralluoghi effettuati e a farsi negli edifici con piu’ criticita’ da parte di ispettori del Governo.

E’ quanto chiede al governo Sinistra Italiana, con un’interrogazione parlamentare (primo firmatario il vicepresidente della commissione scuola e cultura di Montecitorio, Giancarlo Giordano) alla ministra Giannini.

Negli ultimi tre anni secondo un attento  studio  elaborato dall’Associazione dei consumatori “Cittadinanzattiva” nelle scuole italiane  – si legge nell’interrogazione – si sono registrati in diverse zone del  Paese ben 117 crolli causando il ferimento di oltre 20 studenti e di alcune insegnanti.  Le certificazioni di agibilita’ degli edifici scolastici sono assenti nella quasi totalita’ dei casi fino a toccare punte di oltre il   90%  in Calabria.

Inoltre l’Anagrafe dell’edilizia scolastica da piu’ fonti  ( ad esempio Legambiente) “risulta non attendibile, per indicatori mancanti ed incomprensibili per i cittadini”,   mentre non si e’ provveduto ad aggiornare  i dati relativi alle certificazioni, e’ stata poi  prorogata di ancora un anno (31 dicembre 2016) l’entrata in vigore dell’obbligo per le scuole di dotarsi della certificazione prevenzione incendi.

Dal Rapporto Ecosistema scuola 2015 di Legambiente e dal Rapporto su Sicurezza, qualita’ e accessibilità a scuola 2015 di Cittadinanzattiva – insiste il vicepresidente della commissione scuola di Montecitorio – , emerge che il 39% delle scuole necessita di una manutenzione urgente, una su cinque (21%) presenta lesioni strutturali. Solo il 35,5% ha la certificazione antincendio, poco piu’  di una scuola su 3 possiede il certificato di agibilita’ statica (38%) e quello di agibilita’ igienico-sanitaria (35%).

Per Sinistra Italiana e’ evidente che l’aver previsto una politica di intervento edilizio  meramente decorativo  e superficiale senza la realizzazione di un programma strutturale di interventi  ha comportato il perseverare di una diffusa condizione inadeguata degli edifici scolastici esistenti.

A questo punto – conclude Giordano –  il Ministero dell’Istruzione e il governo, al di la’ di slides e propaganda, dovrebbe valutare la necessita’ di realizzare un serio “Piano di ristrutturazione edilizia, di manutenzione  straordinaria e di messa in sicurezza anche antisismica  ” per l’intero parco degli edifici scolastici attivi nel nostro Paese .

Compiti sì, compiti no o compiti come?

Compiti sì, compiti no o compiti come?
L’importanza di recuperare il patto di collaborazione scuola-famiglie

di Domenico Sarracino

Nei giorni appena trascorsi la questione dei compiti a casa ha suscitato una vivace discussione che si è svolta su vari mezzi di informazione e particolarmente  su Fb dove le caratteristiche del mezzo se da un lato conferiscono spontaneità e immediatezza, dall’altro non sempre consentono  la necessaria riflessività e l’esplicitazione della complessità delle situazioni.
Credo, perciò,  che essa dovrebbe continuare perché chiama in causa punti nevralgici del nostro sistema scolastico
Non ci vuole molto  a rilevare  che la questione  riguarda  non solo tutte le istituzioni scolastiche, gli alunni e loro famiglie  ma anche la più  vasta platea  dell’opinione pubblica a cui non  deve sfuggire quanto sia importante, in questo momento di disorientamento valoriale, ripensare  la “questione educativa”,  e dunque i diritti-doveri,  la responsabilità , l’impegno, le regole di cittadinanza che messe insieme costituiranno il profilo qualitativo del nostro Paese.
E per entrare subito nel merito osservo innanzitutto che il discorso va articolato a seconda dei livelli scolastici e dell’età degli alunni, dei modelli orari ed anche dei contesti scolastici. Una cosa è l’impegno  a casa che si deve chiedere ad uno studente delle Superiori, altra cosa  è quello che riguarda un bambino della Primaria; una cosa è se siamo di fronte a modelli di scuola a “tempo pieno” o “prolungato” altra cosa sono gli  orari ridotti all’osso e magari anche con l’ora di lezione contratta a 50 0 45 minuti.
Non mi appartiene l’idea di una scuola “leggera” tutta risolta all’interno degli orari e spazi scolastici e di una socializzazione non adeguatamente  nutrita da conoscenze e saperi. Si può e si deve continuare a migliorare sempre di più il rapporto  tra il soggetto che apprende, ciò che si deve apprendere (le materie – discipline )  e la capacità di mediazione esercitata dalla figura del docente,  di modo che il ponte tra il soggetto e l’oggetto dell’apprendimento sia il più naturale possibile e fondato sulla più avanzata ricerca socio-psico-pedagogica.

A ciascuno la sua parte
Ma sono anche altrettanto convinto che l’apprendimento, affinché possa consolidarsi e diventare una padronanza,  non possa sottrarsi ad uno sforzo che chiami in causa  la volontà del soggetto e che implica capacità di disciplinarsi (o essere disciplinato)   e anche  una certa fatica e sacrificio. Il che significa impegno di riflessione  e rielaborazione personale, se volete di rafforzamento e riorganizzazione in un dialogo con sé e dentro di sé, in cui rafforzando e rielaborando le conoscenze acquisite, si prende coscienza di  ciò che si è appreso o che ancora non è chiaro,  per poi riportarlo nella classe, per parlarne con l’insegnante e/o con i compagni. È esperienza di noi tutti che l’apprendere una cosa nuova, grande  o piccola che sia, costituisce  sempre una conquista, e come tale è sempre il frutto di impegno e volontà individuali  che  legano dialetticamente il dialogo con sé allo scambio collaborativo – cooperativo con gli altri, che siano  i compagni di classe o, ad altri livelli,  il gruppo di lavoro o di ricerca al quale partecipiamo.
Ma qui occorre ricordare che la discussione a cui ci riferiamo partiva dalla protesta , secondo me fondata,  di una mamma che lamentava il fatto che la figlia, tornata dalla scuola alle 5 del pomeriggio,  aveva ancora da svolgere compiti a casa per altre due – tre ore..
Ora situazioni del genere sono inaccettabili e direi inspiegabili, eppure accadono e perciò non possono non  richiamare l’attenzione innanzitutto delle scuole e dei suoi responsabili.  Il fatto è che nonostante tutto, tanti ammodernamenti restano di facciata e i vecchi modelli di insegnamento stanno sempre dietro l’angolo a rivelarci  che da tempo ci siamo messi sulla triste strada che tende a dare quasi per scontato e come cosa normale  la differenza che corre tra la scuola praticata e quella dichiarata.  E’ evidente che una doppiezza di tale portata è alla base , insieme ad altre ataviche questioni irrisolte, di buona parte del malessere che si sta vivendo nelle scuole e   tra  le famiglie con punte di asprezze, talvolta sfociate in episodi davvero raccapriccianti. Sarebbe bene perciò se questa problematica, dopo i fuochi d’artificio di qualche giorno fa,  non la si lasciasse cadere, e che le scuole , tutte, cogliessero l’occasione  per una buona e seria riflessione sulla qualità delle relazioni che pratichiamo, sulla questione educativa nel nostro tempo, su un ripensamento e rilancio  del rapporto scuola-famiglie.
I Pof o Ptof, le programmazioni, i vari piani di valutazione, i Pdm, etc.,  da soli non possono bastare a cambiare le vecchie pratiche didattiche perché poi certe abitudini, certi modi di lavorare  spesso ritornano, anche perché  certi ostacoli sono reali: il tempo è poco, le classi sono numerose e sempre più complesse, e gli adempimenti burocratici –firme, giustificazioni, comunicazioni, controlli- sono tanti ed implicano responsabilità non trascurabili. E buona cosa sarebbe quella di elaborare documenti meno ampollosi, più stringati, più realistici e per questo più veri ed attuabili, meno per l’apparire e più per l’agire.
Ed è in questo quadro che spesso il passato vince sul presente-futuro finendo con il rimandare alla famiglia – all’alunno da solo o aiutato dalla mamma -papà, quando possono-  pezzi importanti degli apprendimenti, che non sono quelli circoscritti e fattibili del ripasso-rinforzo  e della rielaborazione personale,  ma sono veri compiti di comprensione e apprendimento che dovrebbero  aprirsi e chiudersi  anzitutto a scuola, sotto la guida e l’aiuto dell’insegnante. Insomma si tratta di rimettere a fuoco in modo più chiaro il che cosa si debba fare a scuola e che cosa  a casa, in rapporto anche al tempo scuola che si è scelto.
Quando si demanda all’alunno ed alla mamma-papà pezzi di apprendimento, su cui non si è già lavorato e non ci si è  esercitati prima in classe, vuol dire che siamo di fronte  ad una scuola che non risponde adeguatamente al suo compito, che la sua azione è incompleta  ed ingiusta, che dichiara di essere scuola di tutti e di ciascuno, operativa e laboratoriale,  ma poi nei fatti è ancora appesa alla vecchia triade dei tempi passati, statica e rigida: verifica-interrogazione sui compiti fatti a casa e, nel poco tempo che rimane,  spiegazione frontale e , in fretta, l’”assegno” dei nuovi compiti da fare a casa …
Appare chiaro, in situazioni siffatte, quanto risultino declamatorie e fuorvianti le suggestive  auto-dichiarazioni di scuola flessibile e attiva,  che intende  mettere al centro degli apprendimenti gli alunni e  le loro diversità, peculiarità e bisogni. Né ci può mettere in pace più di tanto il fatto che  il quadro delle situazioni è differenziato e che accanto a sacche di arretratezza esistono realtà educative pregevoli, e che  il modello vecchio stile, pur senza generalizzare,  è  meno presente nella scuola di base.
Anzi sarebbe tempo  che i decisori politici del sistema scuola si impegnassero ad intercettare e contrastare : i segnali di crescente differenziazione nei “modus operandi” prodotti da variabili “casuali”  che rendono incerti i diritti-doveri; la divaricazione tra le scuole  anch’essa crescente, inerente la qualità dei servizi scolastici e che rispecchia passivamente gli squilibri territoriali, sociali e culturali esistenti: divaricazione  che si subisce troppo passivamente e verso cui bisognerebbe  intervenire con supporti e rafforzamenti tali da invertire la rotta, stimolare  processi  di riqualificazione, accorciare le distanze e  rendere più omogeneo  il sistema scolastico e con esso  il sistema-Paese.

Ripensare “la questione educativa” e il patto di collaborazione scuola-famiglie
A questa situazione difficile in sé si aggiunge il clima generale,  e in esso le trasformazioni che stanno riguardando le famiglie e i genitori, spesso accompagnate da disorientamento ed  eccessi di lassismo, a cui da parte delle scuole  si finisce con il rispondere talvolta con facili cedimenti, talvolta con chiusure ingiustificate o  con nette ed improduttive contrapposizioni.
Per tutto questo urge veramente che la “questione educativa” venga posta all’attenzione dell’intera società, di tutti noi e non solo delle scuole e delle famiglie per ripensare insieme  i diritti e i doveri, la responsabilità, gli impegni piccoli o grandi in rapporto all’età entro cui debba svolgersi la vita delle nuove generazioni.
Ricostruire un nuovo tessuto educativo non è impresa da poco e richiede necessariamente tempo  e “ritrovamento” di noi stessi in una società che corre tanto, ma non sa  bene in che direzione…
Ciò che è certo , comunque,  è che non si può rimanere a lungo con le mani in mano. Qualcosa si può cominciare a fare, ora e subito.
Nelle scuole esiste da tempo uno strumento che viene elaborato dai Consigli di Istituto con la componente genitori ed è  “Il Patto di corresponsabilità educativa”  – richiamato opportunamente in qualche intervento  sulla discussione in corso.  Ma quanto esso è veramente divulgato, rivisitato e reso vivo nella pratica quotidiana?  Eppure la querelle dei compiti sì, dei compiti no o, meglio, dei  “compiti come” dovrebbe trovare un momento di chiarificazione, accordo e condivisione proprio in esso. Certo i casi estremi, quelli deprecabilissimi riportati tristemente dalle cronache , non finiranno ma per essi ci sono le leggi che vanno richiamate ed applicate. Insomma il patto di collaborazione con le famiglie è davvero uno strumento irrinunciabile, a lla cui stesura coinvolgere non solo i genitori del C.I., ma anche i rappresentanti di classe, gli studenti, le associazioni  dei genitori laddove presenti e le stesse comunità locali. Ma la condizione indispensabile è che in esso si creda davvero,  investendo il  tempo e le  energie necessarie. Le scuole e le famiglie ne otterrebbero  certamente un ritorno positivo, recuperando fiducia reciproca, riducendo incomprensioni e contrasti e l’aria sarebbe per tutti più respirabile. Non risolveremmo tutto, ma qualche passo in avanti lo faremmo.

La formazione «on the job» si rafforza: incentivi fino a 3.250 euro per le aziende che assumono giovani

da Il Sole 24 Ore

La formazione «on the job» si rafforza: incentivi fino a 3.250 euro per le aziende che assumono giovani

di Claudio Tucci

Uno sgravio fino a 3.250 euro l’anno per tre anni, mirato alle assunzioni stabili (o con l’apprendistato) dei giovani; con l’obiettivo di accorciare la transizione tra istruzione e mondo del lavoro (in Italia ancora troppo elevata, in media 13,9 mesi contro gli 8,5 in Europa) e “incentivare” così il turn-over, visto che con le nuove regole sull’anticipo pensionistico si stima usciranno dalle aziende circa 60mila lavoratori l’anno (e il ricambio generazionale non è affatto automatico, nè sui settori nè sulle stesse mansioni, considerato l’impatto delle nuove tecnologie). L’attuale decontribuzione generalizzata al 40% finirà a dicembre; ma il governo, con la legge di Bilancio prima, e con le risorse Ue messe in campo da Anpal (la neonata Agenzia nazionale per le politiche attive) poi, ha deciso di proseguire con la strada delle agevolazioni sull’occupazione fissa, focalizzando però le misure sui segmenti del mercato del lavoro ancora in sofferenza, vale a dire giovani e regioni Meridionali.

La nuova norma
Rimandando all’intervista al professor Maurizio Del Conte sugli interventi in arrivo targati Anpal (si veda l’anticipazione sul Sole24Ore di domenica), la seconda gamba della nuova strategia dell’esecutivo guarda più da vicino agli studenti (di tutti i segmenti formativi oggi esistenti), e le relative disposizioni entreranno nella manovra, che in settimana sbarcherà in Parlamento. «Non potevamo lasciar terminare in modo brusco gli incentivi alle assunzioni stabili in vista del taglio strutturale al cuneo fiscale e contributivo che il governo si è impegnato a realizzare nel 2018 – spiega Marco Leonardi, consigliere economico di palazzo Chigi -. E così abbiamo deciso di prorogare la decontribuzione, valorizzando la formazione duale, rilanciata da Jobs act e Buona Scuola».

La platea dei ragazzi
Il nuovo incentivo mirato sui ragazzi coinvolgerà tutte e cinque le categorie di studenti: gli alunni di scuola (per i quali la legge 107 ha reso obbligatoria l’alternanza fino a 400 ore nel triennio finale dei tecnici e professionali, 200 ore nei licei); gli studenti universitari; quelli degli Istituti tecnici superiori (gli Its, le super scuole di tecnologia post diploma alternative agli atenei, partecipate dalle imprese); i ragazzi dell’Istruzione e formazione professionale regionale (la Iefp); e i giovani assunti con l’apprendistato “formativo” di primo o di terzo livello.

L’idea, aggiunge Leonardi, è semplice: da un lato, provare a disegnare un nuovo percorso di primo inserimento in azienda, cancellando, o quanto meno riducendo drasticamente, le forme al momento prevalenti, come gli stage extracurriculari, le partite Iva e le collaborazioni più o meno genuine; dall’altro lato, rendendo l’assunzione stabile più conveniente per i datori di lavoro».

L’incentivo per le imprese
In quest’ottica, la bozza di norma contenuta nella manovra, prevede che se l’impresa, entro sei mesi dall’acquisizione del titolo di studio, assume il ragazzo che ha svolto al proprio interno un periodo di formazione “on the job” (o un tirocinio curriculare, se studente universitario), avrà uno sconto pressoché totale: fino a un massimo di 3.250 euro l’anno per tre anni. Saranno “premiate” le assunzioni a tempo indeterminato o in apprendistato effettuate dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2018 (per i prossimi due anni, cioè); e la stima del governo è di riuscire a stabilizzare 10mila giovani circa il primo anno, 20mila il secondo. Sul piatto vengono messi, per il 2017, 7 milioni di euro (considerati i sei mesi dal titolo, la norma sarà operativa non prima di giugno-luglio); che salgono a 40 e 80 milioni il secondo e il terzo anno.

La spinta all’apprendistato duale
La novità spingerà l’alternanza; ma avrà un impatto positivo (e forse maggiore) sull’apprendistato “duale”: «Oggi l’impresa che assume un’apprendista ha una serie di incentivi fiscali e normativi, che mantiene anche 12 mesi dopo la stabilizzazione della risorsa – sottolinea Leonardi -. Da domani, con questa norma, al momento della conferma a tempo indeterminato dello stagista e dopo il conseguimento del titolo, la decontribuzione piena varrà per tre anni. Ci aspettiamo un buon successo della misura; se così accadrà si potrebbe pensare anche di confermarla, accanto al taglio strutturale del cuneo, perchè potrebbe rappresentare davvero la via italiana all’applicazione del nuovo sistema formativo duale».

Nelle Americhe 500mila persone studiano italiano

da Il Sole 24 Ore

Nelle Americhe 500mila persone studiano italiano

di Silvia Pieraccini

 La lingua italiana può essere, ancor più di quant’è oggi, formidabile strumento per la diffusione di cultura, stile di vita e imprenditoria tricolore. Per questo il ministero degli Affari esteri ha deciso di affinare la strategia di promozione dell’italiano con la rete diplomatico-consolare e degli istituti italiani di cultura: un primo risultato è il portale, consultabile da ieri sul web (www.linguaitaliana.esteri.it) per acquisire informazioni sullo studio dell’italiano nel mondo: scuole, corsi, livelli, certificazioni, eventi. Per ora il sito è in italiano, ma è previsto anche l’inglese.

Il portale – realizzato dalla Farnesina su piattaforma del Poligrafico e presentato a Palazzo Vecchio a Firenze dove sono in corso (fino a oggi, chiuderà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella) gli Stati generali della lingua italiana nel mondo 2016 – è uno dei progetti lanciati due anni fa, in occasione della prima edizione degli Stati generali. La sua realizzazione è servita a raccogliere, per la prima volta, i dati sullo studio della lingua italiana all’estero. Oggi sono 2,2 milioni coloro che frequentano corsi di italiano all’estero, di cui quasi 1 milione nell’Unione europea e più di 500mila nelle Americhe. Solo negli Usa ci sono 400 cattedre di italianistica.

Le rilevazioni, secondo il ministro degli Esteri, indicano un consistente aumento degli studenti, passati da 1,5 milioni nell’anno scolastico 2012/2013, a 1,76 milioni nel 2013/2014, agli oltre 2 milioni dell’anno 2014/2015. L’incremento, si precisa, è dovuto sì a un aumento d’interesse degli stranieri per l’apprendimento dell’italiano, ma anche a un affinamento della ricognizione svolta dalla rete diplomatico-consolare e degli istituti italiani di cultura, che ora ha permesso di censire le scuole private e tutti quei contesti di insegnamento autonomo di solito non ricompresi nelle statistiche ufficiali. Tra i “diffusori” di lingua italiana, importanti sono i 400 Comitati presenti in tutto il mondo della Società Dante Alighieri (fondata nel 1889 da un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci per tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana).

«Oggi il nostro approccio è cambiato – ha spiegato presentando il portale Vincenzo De Luca, direttore generale per la promozione del sistema Paese della Farnesina – e guarda a fare sistema per riunire tutti i soggetti che si occupano di lingua italiana. Il portale è uno strumento di assoluto rilievo che costituirà un canale d’accesso completo e ordinato allo studio dell’italiano all’estero». Se il censimento degli studenti di lingua italiana oltreconfine può dirsi realizzato, resta però difficile dire quanto è parlato l’italiano nel mondo: si va da chi la definisce la quarta lingua per diffusione, a chi la mette al 18esimo posto. De Luca cita gli 80 milioni di discendenti di famiglie italiane nel mondo e aggiunge che «l’attrazione della nostra lingua è forte». E lo sarà ancora di più, sottolinea la Farnesina, grazie ai 50 milioni previsti nella Legge di bilancio appena presentata dal Governo e destinati a promuovere la lingua e la cultura italiana all’estero, attraverso un approccio integrato che coinvolgerà tutta la rete diplomatico-consolare.

Liceo classico: no, il problema non è il latino

da Il Sole 24 Ore

Liceo classico: no, il problema non è il latino

di Luca Ricolfi

 Non so esattamente perché, ma ho sempre detestato gli appelli. Forse perché sono troppi, e i personaggi pubblici ne abusano (come i radicali con i referendum). O forse perché, assai spesso, sembrano strumenti di autopromozione dei firmatari, più che mezzi adeguati per risolvere i problemi che sollevano. Insomma, quali che siano le origini della mia diffidenza, non ho mai firmato appelli. Anzi, mi sono dato una regola: non firmare mai un appello, anche se lo condividi al 100%.

Oggi però sono crollato. Ho violato la mia regola, e ho firmato un appello, il primo (probabilmente l’unico) della mia vita. Non me la sentivo di non aderire. Così, venerdì ho aggiunto la mia minuscola firma alle 9.964 che già erano state raccolte. Probabilmente, nel momento in cui leggete questo articolo, le firme avranno superato la barriera delle 10mila, tantissime per il tipo di argomento considerato. Di che cosa si tratta? Si tratta della lettera-appello contro l’abolizione, parziale o totale, della traduzione dal latino e dal greco nell’esame di maturità (una proposta lanciata qualche mese fa dall’ex ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer a un convegno milanese). Qui non voglio aggiungere alcun argomento alle limpide e convincenti parole dell’appello, il cui testo è direttamente consultabile su internet (indirizzo utile anche per eventuale firma). Quello che vorrei fare, invece, è raccontare come può vedere le cose chi, come me, fa il sociologo e insegna materie scientifiche (matematica e analisi dei dati) agli studenti universitari. Ebbene, io sono convinto che la vera posta in gioco non sia la sopravvivenza della cultura classica nel nostro Paese. Certo, tutto fa pensare che la nostra epoca sia una sorta di contro-Rinascimento, un tempo in cui il pendolo fra l’ammirazione per i classici e la venerazione delle novità oscilla decisamente a favore di queste ultime. E, se devo fare una previsione, sono perfettamente persuaso che si continuerà sulla strada già imboccata con la soppressione della storia antica dalla scuola media inferiore: nelle scuole secondarie del futuro lo spazio riservato alla civiltà greco-romana da cui proveniamo sarà sempre più ristretto. E tuttavia a me pare che la ragione vera per cui si vuole (e quasi certamente si riuscirà) abolire la traduzione dal latino e dal greco non sia l’incapacità di apprezzare la cultura classica, o la volontà di promuovere la cultura scientifica, o il desiderio di modernizzare e svecchiare la scuola.
No, la vera ragione è molto più terra-terra: la traduzione dal latino e dal greco, insieme ad alcune parti della matematica (nei casi in cui vengono effettivamente insegnate), è rimasto l’ultimo compito davvero difficile della scuola secondaria superiore. È questo, semplicemente questo, che rende attraenti le tesi degli abolizionisti. È questo che – prima o poi – consentirà loro di imporsi. Perché, non nascondiamocelo, la domanda degli studenti e delle loro famiglie non è di alzare l’asticella, ma di abbassarla sempre più, come in effetti diligentemente facciamo da almeno quattro decenni. È questo, il livello dell’asticella, che fa la differenza fra una buona scuola e una scuola mediocre. Ed è questo, la tenace volontà di tenerla bassa, il non-detto che accomuna buona parte delle innovazioni nella scuola e nell’università. Se così non fosse, alla progressiva erosione dello spazio del latino e del greco, con la soppressione dell’analisi logica nella scuola media inferiore, la scomparsa quasi universale della traduzione dall’italiano, l’istituzione di licei scientifici “ma senza latino”, si accompagnerebbe l’introduzione di soggetti ritenuti più interessanti, o più utili, o più formativi, ma altrettanto impegnativi. Giusto per fare qualche esempio: studio del cinese, compresi gli ideogrammi; logica e calcolo simbolico; teoria della relatività; meccanica quantistica; filologia classica o moderna; algebra astratta; linguaggi di programmazione evoluti (al posto del ridicolo insegnamento del pacchetto Microsoft Office). Ecco perché dico che la cultura classica non è la vera posta in gioco. Le minacce alla cultura classica vengono un po’ da tutte le parti, ma il suo vero tallone di Achille è che c’è un momento di essa, quello in cui prendiamo in mano un testo di 2000 anni fa e proviamo a tradurlo, che richiede un livello di organizzazione mentale che non siamo più capaci di fornire a tutti. Per questo, essenzialmente per questo, la traduzione dal greco e dal latino è entrata nel mirino della politica. Non tanto perché «non è utile» (quasi nulla di ciò che si insegna a scuola ha un’utilità immediata), ma perché è difficile, molto difficile. Si potrebbe obiettare: perché mai dobbiamo difendere le cose difficili? Non c’è un po’ di sadismo nel rifiuto di alleggerire gli studi? È arrivati a questo punto, a questo nodo del problema, che mi sono convinto che, proprio per il lavoro che faccio, non potevo non firmare l’appello. Perché quel che osservo nel mio lavoro di docente universitario non mi può lasciare indifferenti.
Quel che vedo è terribile. Ci sono studenti, tantissimi studenti, che non hanno alcun particolare handicap fisico o sociale eppure sono irrimediabilmente non all’altezza dei compiti cognitivi che lo studio universitario ancora richiede in certe materie e in certe aree del Paese. Essi credono di avere delle “lacune”, e quindi di poterle colmare (come si recupera un’informazione mancante cercandola su internet), ma in realtà si sbagliano. Per essi non c’è più (quasi) nulla da fare, perché difettano delle capacità di base, che si acquisiscono lentamente e gradualmente nel tempo: capacità di astrazione e concentrazione, padronanza della lingua e del suo lessico, finezza e sensibilità alle distinzioni, capacità di prendere appunti e organizzare la conoscenza, attitudine a non dimenticare quel che si è appreso. La scuola di oggi, con la sua corsa ad abbassare l’asticella, queste capacità le fornisce sempre più raramente. E, quel che è più grave, questa rinuncia a regalare ai giovani una vera formazione di base non avviene certo in nome di un’istruzione “utile”, ovvero all’insegna di uno sviluppo delle capacità professionali, ad esempio sul modello tedesco dell’alternanza scuola-lavoro. No, il modello verso cui stiamo correndo a fari spenti è quello della liceizzazione totale: la scuola secondaria superiore è oggi un gigantesco liceo che non è più in grado di erogare una preparazione di base decente, e proprio per questo induce l’università a trasformarsi essa stessa in un immenso e tardivo liceo. L’unico baluardo che resta in piedi sono quelle scuole, ma forse sarebbe meglio dire – quegli insegnanti – che non hanno rinunciato a spostare l’asticella sempre più in su, per mettere i loro allievi nelle condizioni di affrontare qualsiasi tipo di studio, umanistico o scientifico che sia. È grazie a queste scuole e a questi insegnanti che all’università, nonostante tutto, arrivano ancora drappelli di studenti in grado di ricevere un’istruzione universitaria, e le materie più complesse non sono ancora state abolite del tutto. Ma si tratta di eccezioni, non di rado provenienti dalla minoranza di studenti (circa il 6%) che ancora scelgono il liceo classico, con la sua aborrita prova di traduzione dal latino e dal greco. La regola, purtroppo, è che chi ha un diploma di maturità non è in grado di frequentare un’università che non abbia drasticamente abbassato gli standard. È per questo che sto con la lettera-appello sulla traduzione dal latino e dal greco. Per me quella lettera non difende semplicemente la cultura classica, il latino o il greco. Quell’appello, difendendo l’ultima prova veramente difficile rimasta in piedi nella scuola, difende anche un’idea più generale: che se non vogliamo privare i nostri ragazzi delle capacità di cui prima o poi avranno bisogno, dobbiamo regalargli studi degni di questo nome, e smetterla di proteggerli da ogni sfida che possa metterli davvero alla prova.

Contro il bullismo c’è un piano: per le scuole, in arrivo 2 milioni di euro

da Corriere della sera

Contro il bullismo c’è un piano: per le scuole, in arrivo 2 milioni di euro

Formazione dei docenti, campagne di comunicazione e una Giornata contro il bullismo a scuola, il 7 febbraio. Dieci azioni per combatterlo e un protocollo per sensibilizzare i giovani su diritti e doveri del web. Giannini: «Non un’ora in più ma alleanza educativa»

Antonella De Gregorio

Un’alleanza tra scuola, famiglia e studenti. Ma anche un Piano massiccio in dieci azioni (e due milioni di euro). Così le istituzioni dichiarano guerra al bullismo, con un occhio alle vittime, una «call to action» agli educatori e nessuna scusante: «i bulli sono dei vigliacchi». «La forza del bullo è quella di mettervi al margine ma voi non vi dovete sentire di meno di nessuno. Parlatene e reagite», ha detto Laura Boldrini, Presidente della Camera dei deputati, in occasione dell’evento «In scena contro il bullismo», al teatro Palladium a Roma. Insieme alla presidente Boldrini, sul palco la ministra dell’istruzione, Stefania Giannini: insieme hanno sottoscritto un Protocollo d’Intesa per la diffusione dei contenuti della Dichiarazione dei diritti e doveri in Internet, elaborata dall’omonima Commissione di studio istituita dalla presidente della Camera. La firma è arrivata al termine di un incontro-performance in cui sono state presentate varie iniziative promosse dalla Camera dei deputati e dal Miur per un uso consapevole di Internet, per la conoscenza dei diritti e dei doveri di ciascuna persona, per la prevenzione e il contrasto del bullismo, del cyberbullismo e del discorso d’odio in Rete. L’attrice Paola Cortellesi ha portato sul palco il suo monologo contro il bullismo. Presenti anche i ragazzi di «Mabasta», il primo movimento anti bullismo animato da studenti, nato al Galilei-Costa di Lecce; Ernesto Caffo, presidente di Sos Telefono Azzurro e la direttrice dei programmi Italia-Europa di save The Children, Raffaela Milano.

«Diritti e doveri»

«Internet è qualcosa che è entrato sempre più nelle nostre vite. È un’opportunità ma è uno strumento che bisogna conoscere molto bene, perché ci sono tanti rischi e incognite. I ragazzi molto spesso dimenticano che hanno dei diritti anche in Internet ed è giusto che le scuole li preparino ai loro diritti e doveri sul web», ha detto Boldrini, che ha parlato del Protocollo e dei «14 articoli per sensibilizzare i giovani a un uso responsabile di Internet, perché la rete bisogna saperla usare e non fare errori o commettere leggerezze che possono costare molto cari».

Dieci azioni

Accanto al protocollo, il Piano del Miur. Che tra le «azioni» per scardinare il fenomeno, prevede l’istituzione della «Prima Giornata nazionale contro il bullismo a scuola». Appuntamento il 7 febbraio 2017, la stessa data del Safer Internet Day indetto dalla Commissione Europea, per sottolineare come sempre più spesso il bullismo prenda la forma di cyberbullismo. In quella giornata verranno presentate le migliori proposte didattiche elaborate dalle scuole per sensibilizzare, prevenire e contrastare bullismo e cyberbullismo. Ci sarà poi una Campagna Nazionale di comunicazione, «Il Nodo Blu contro il Bullismo», primo spot istituzionale, che sarà progettato e realizzato interamente dagli studenti. E poi il rafforzamento del Sic Italia, Safer Internet Centre, come punto di riferimento per la sicurezza dei giovani sul web; il proseguimento della collaborazione tra Miur e Polizia di Stato e tra Miur e Telefono azzurro, la realizzazione di un format televisivo dal titolo «Mai più bullismo» in collaborazione con Rai 2 e la sigla di due altri protocolli d’intesa tra Miur e R. F. Kennedy Foundation of Europe onlus e tra Miur e azienda ospedaliera Fatebenefratelli. E, ancora, tre progetti rivolti direttamente ai ragazzi: «Verso una scuola amica, bulloff» in collaborazione con Unicef, il tour del film «Un bacio», di Ivan Cotroneo, attraverso matinée nei cinema dedicate alle scuole e il concorso «No hate speech».

Formazione

Un capitolo è dedicato alla formazione per i docenti, prevista nell’ambito del Piano Nazionale di Formazione appena presentato dal ministero: a partire dal 2017, 16mila docenti di ogni ordine e grado di scuola saranno formati per l’acquisizione di competenze psico-pedagogiche e sociali per la prevenzione del disagio giovanile nelle sue diverse forme e per l’attivazione di percorsi di formazione di tipo specialistico legati al fenomeno del bullismo e cyberbullismo.

Strumenti per scegliere

Il Piano arriva un anno dopo l’emanazione delle «Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo». E mira a dare ai ragazzi «la capacità di scegliere sempre e comunque». «Quello che vogliamo fare adesso è darvi gli strumenti perché questa capacità di scelta» possa orientare i ragazzi nella «selezione di ciò che è positivo o negativo», ha detto Giannini.

Alleanza educativa

Che ha ricordato come da alcuni anni «più di 80mila ragazzi sono stati coinvolti nel programma Generazioni Connesse». Da oggi le istituzioni scolastiche potranno realizzare interventi di sensibilizzazione, prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo. «Il rispetto si trasmette con il linguaggio, gli atteggiamenti e i comportamenti, a scuola e fuori dalla scuola – ha aggiunto il ministro -. La scuola deve insegnare, e praticare, la cultura del rispetto. Non può esistere un’ora in più per insegnare questo ma un modello educativo che va praticato tutti i giorni» e serve «una gigantesca alleanza educativa, anche con la famiglia. È l’unica vera arma – ha concluso Giannini – che noi abbiamo contro forme di drammatica solitudine».

Tutti in classe a programmare: scuola scocca l’ora del codice

da Corriere della sera

Tutti in classe a programmare: scuola scocca l’ora del codice

Lanfrey (Miur): «Le lezioni di programmazione presto diventeranno strutturali» e quest’anno coinvolgeranno due milioni di studenti. Al via la settimana europea del Codice: Italia prima per eventi organizzati. Sfida (con premio) a chi coinvolge più alunni

Antonella De Gregorio

Il  «coding» raddoppia: se l’anno scorso un milione di studenti si è cimentato con la programmazione informatica, quest’anno l’obiettivo è arrivare a due milioni. Parola di Damien Lanfrey, membro della segreteria tecnica del Miur e del team che ha scritto il piano di riforme della scuola. Laurea in Economia a Parma, varie esperienze all’estero come ricercatore, esperto di politiche per l’innovazione, Lanfrey sta seguendo da vicino il processo di «ammodernamento» della scuola italiana. E monitorando il livello di soddisfazione degli insegnanti – dice – «si vede che il Coding è una delle novità più apprezzate». «È una delle aree di competenza che hanno generato più entusiasmo e che i docenti hanno maggiormente identificato come veicolo di metodologie interessanti».

Nuova lingua

Non attività per informatici, ma competenza trasversale. Nuova lingua che è fondamentale acquisire fin dai primi anni di studio e che «costituisce un modo straordinario per entrare nel mondo con il piede giusto», aveva riassunto il ministro dell’Istruzione a chiusura del secondo anno di attività di «Programma il Futuro», l’iniziativa realizzata dal Ministero dell’Istruzione in collaborazione con il Cini (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica) per introdurre tra i banchi di scuola i primi rudimenti della cultura informatica in maniera semplice, divertente e accessibile.

Coding, la materia

Ora che è arrivata al suo terzo anno nelle classi della Penisola, dalle elementari alle superiori, il Miur alza l’asticella e punta a coinvolgere molti più insegnanti (quasi 14mila di 54mila classi, lo scorso anno). Ma soprattutto sta pensando di rendere l’ora del codice un percorso strutturale, «quasi ordinamentale», spiega Lanfrey.
L’adesione oggi è lasciata alla libera scelta delle scuole («ma è fortemente consigliata», spiega l’esperto). E il programma è ancora solo un «assaggio»: si va dal percorso-base, con una sola «ora del Codice», un avviamento soft al pensiero computazionale; a uno più approfondito, in dieci lezioni. Però lo scorso anno «la maggior parte delle scuole ha svolto il percorso da dieci ore», dice Lanfrey; e il pensiero computazionale prende sempre più piede. Nelle primarie, c’è un’«azione», la n. 17 del Piano Nazionale Scuola Digitale, che spiega che ogni studente deve svolgere un corpus annuale di 10 ore. Non si tratta di chiedere agli insegnanti di ritagliare nel proprio orario un’ora o due di coding, come se fosse qualcosa da fare a parte, ma «di applicarlo come competenza durante l’insegnamento per concettualizzare procedimenti e soluzioni», spiegano dal Miur.

Settimana del Codice

Intanto, l’entusiasmo delle scuole si manifesta con l’alta partecipazione alla European Code Week, la Settimana europea della programmazione, campagna di alfabetizzazione funzionale promossa dalla Commissione Europea per stimolare lo sviluppo e la diffusione del pensiero computazionale. La quarta edizione, appena inaugurata, vedrà fino al 23 ottobre decine di migliaia di partecipanti, in ogni parte d’Europa, coinvolti in eventi ed esperienze di programmazione. Lo scorso anno l’Italia è stato il Paese guida per numero e varietà di iniziative: 2.369 eventi (il 31% del totale) che hanno coinvolto più di 150mila persone (il 27% del totale). E anche l’edizione 2016 vede il nostro Paese protagonista con attività di coordinamento e 4600 eventi registrati (qui la mappa): fab lab, cacce al tesoro, programmazione con Scratch, con i mattoncini Lego, con l’arte. Per tuta la settimana, sarà possibile inserire eventi nella mappa europea.

Eccellenti

L’obiettivo rimane quello di offrire a giovani e giovanissimi l’opportunità di applicare il pensiero logico per capire, controllare, sviluppare contenuti e metodi per risolvere problemi e cogliere opportunità. Gli istituti che riusciranno a coinvolgere in attività di coding più del 50% degli alunni iscritti, riceveranno dalla Commissione Europea un «Certificate of Excellence in Coding Literacy» (certificato di eccellenza nella diffusione del coding).

Student Act? Giannini: il termine non l’ho inventato io, ma siamo abituati ai forestierismi

da La Tecnica della Scuola

Student Act? Giannini: il termine non l’ho inventato io, ma siamo abituati ai forestierismi

“Il termine Student Act non l’ho inventato io: io lo chiamo diritto allo studio, però va bene lo stesso”.

Lo ha precisato a Firenze il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, partecipando agli Stati generali della lingua italiana.

A colloquio con i giornalisti, che le chiedevano un giudizio sulla possibile contraddizione tra il ricorso eccessivo ai termini inglesi e la volontà di diffondere l’italiano nel mondo, il responsabile del Miur ha tenuto a dire: “una delle caratteristiche della lingua italiana – ha detto – è quella di essere permeabile. L’italiano è una delle lingue più permeabili ai forestierismi fin dalla sua storia più antica”.

Soffermandosi sulla manovra finanziaria di fine 2016, il ministro Giannini, ha detto che gli investimenti sulla scuola e sulla lingua italiana nell’ultima legge di bilancio “sono importanti per quantità”.

E ancora: “facendo una considerazione generale su tutte le competenze del mio ministero – ha continuato il ministro – quindi scuola, università e ricerca, abbiamo un miliardo di risorse nuove disponibili per una serie di cose che vanno dal diritto allo studio potenziato e sollevato a livelli che non erano mai stati conosciuti dal nostro Paese, vanno alla valorizzazione dei dipartimenti di eccellenza, al proseguimento nell’assunzione dei giovani ricercatori, quindi tutte cose assolutamente importanti ma soprattutto per qualità, io vorrei sottolineare la coerenza di un governo che ha avviato dei processi”, ha concluso Giannini.

Iscrizioni, l’Alberghiero è in calo: però non è crisi

da La Tecnica della Scuola

Iscrizioni, l’Alberghiero è in calo: però non è crisi

Anche l’istituto superiore Alberghiero è in flessione di iscritti: dopo 5-6 anni di continua ascesa, queste scuole registrano per la prima volta un calo delle iscrizioni.

Sono passate dalle 46.600 del 2015/16 a 42.000 dell’anno in corso: il calo è considerato fisiologico e per certi versi positivo dagli operatori, secondo quanto emerso in un convegno nell’ambito di Food and Book, Festival del libro e della cultura gastronomica conclusosi il 16 ottobre a Montecatini Terme (Pistoia).

L’interesse complessivo per il settore formativo, comunque, rimane alto. In Italia sono attivi circa 100 istituti alberghieri, ai quali si aggiungono altrettanti istituti superiori con indirizzo enogastronomico.

“Il problema – ha detto Giorgio Rembado, presidente di Anp, Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola – non è tanto il numero degli iscritti, quanto la possibilità di garantirne l’inserimento nel mercato del lavoro, contribuendo positivamente allo sviluppo e alla qualificazione della ristorazione italiana, che ovviamente non è solo l’alta ristorazione”.

“Da questo punto di vista – per Rembado – l’alternanza scuola-lavoro rappresenta uno dei punti qualificanti del provvedimento legislativo della Buona Scuola. Come tutte le novità, è necessario un periodo di rodaggio per migliorarne le modalità di attuazione, eliminando gli ostacoli che non consentono ancora di esprimere tutte le potenzialità presenti nella legge”.

“Il rapporto della scuola con il mondo del lavoro – secondo Marilena Ferri, responsabile risorse umane di Autogrill per l’Europa e relatore al convegno di Montecatini – è fondamentale. In altri Paesi dell’Unione europea in cui operiamo l’alternanza scuola lavoro sta dando dei risultati straordinari e crediamo che anche in Italia possa favorire la qualità della formazione e di conseguenza l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”.

Contratto, fondo unico per turn over ma il piatto del rinnovo piange: solo 35 euro lordi

da La Tecnica della Scuola

Contratto, fondo unico per turn over ma il piatto del rinnovo piange: solo 35 euro lordi

Con la Legge di Stabilità, arriva un fondo unico per sbloccare il turn over nella Pubblica Amministrazione e tornare ad assumere laddove ce n’è bisogno.

Il budget, pari a 350-400 milioni di euro, è una sezione della fetta della torta da 1,9 miliardi destinata al pubblico impiego, dove il rinnovo del contratto dovrebbe fare la parte da leone.

Il fondo unico servirà a sbloccare più di 10 mila posti in concorso, oltre a quanto già previsto per la sanità: dal personale per smaltire l’arretrato nei tribunali ad architetti per tenere in piedi il patrimonio artistico italiano.

Tornando all’aumento stipendiale, inizialmente il budget per l’aumento delle buste paga era stato fissato in 900 milioni, ma sarebbe in corso il tentativo per superare la soglia del miliardo, per il triennio 2016-2018, anche in risposta alle richieste dei sindacati, per ora tutt’altro che contenti per gli investimenti programmati dal Governo.

Il resto delle risorse sarebbe dedicato alle forze dell’ordine, per cui è in arrivo il riordino delle carriere.

“Il nuovo fondo per le assunzioni – spiega l’Ansa – nascerebbe senza vincoli, che legano tot posti a un settore, e in aggiunta a quanto previsto per il reclutamento e le stabilizzazioni nella sanità e nella scuola (si parla di 25mila posti spostati dall’organico di fatto a quello di diritto), che vengono trattate a parte con appositi stanziamenti. Solo tra medici e infermieri sono stati già sbloccati ingressi per 7mila. E ora, grazie alle nuove risorse, le amministrazioni sotto organico potranno sforare i limiti imposti dal turnover, fermo al 25% nella maggior parte degli uffici (con i risparmi di 4 uscite si guadagna un’entrata)”.

L’aiuto concreto, “che segnala l’emergenza occupazionale è già stato lanciato dal comparto della giustizia, con tribunali e cancellerie in cronico affanno.

Ad avere ambizioni per attingere al fondo, ci sarebbe anche il ministero dei beni culturali, a caccia di nuove leve (tra archeologi, storici dell’arte, architetti, bibliotecari) per rinforzare le dotazioni a disposizione di musei e altri siti.

L’Inps, come più vuole rilanciato dal presidente Tito Boeri, vuole mettere dentro 900 nuove professionalità. E, lo ha annunciato lo stesso premier Matteo Renzi, di sicuro saranno accresciute le unità che compongono le forze dell’ordine, dai carabinieri ai vigili del fuoco”.

La Uil ha ricordato che ci sono “80mila” precari da assumere a titolo definitivo. Poi c’è il nodo dei contratti scaduti da oltre sei anni: “é evidente che una miliardata è insufficiente”, ha detto il segretario della Cisl, Annamaria Furlan.

Anche Susanna Camusso, leader Cgil, mastica amaro.

Come la Confsal Unsa, secondo cui “una cifra di 1,2 miliardi di euro resta inaccettabile, visto che si tratterebbe di 35 euro lordi”.

Nei prossimi giorni, i sindacati torneranno ad incontrarsi con il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, per parlare delle regole attraverso cui procedere al rinnovo, a cominciare dalla legge Brunetta. In quell’occasione, è inevitabile, torneranno alla carica: i contratti non si rinnovano solo con le nuove regole.

Intanto, in attesa di vedere le carte, Bruxelles non si sbilancia e nonostante sottolinei come i “numeri” presentati dal governo siano “diversi da quelli concordati” fa sapere di voler capire cosa ci sia “dietro” le tabelle prima di chiedere chiarimenti. L’aspetto quantitativo conta – è il ragionamento – ma conta anche quello qualitativo e “non c’è volontà” di alimentare tensioni con l’Italia, ci tengono a sottolineare fonti della Commissione di Bruxelles.

Venerdì 21: sciopero dei sindacati di base

da La Tecnica della Scuola

Venerdì 21: sciopero dei sindacati di base

Per il 21 ottobre i sindacati di base che hanno proclamato lo sciopero generale vogliono fare il botto non solo a Roma ma in tante altre città italiane.
Le manifestazioni in programma per il prossimo veneridì sono davvero molte: Torino, Novara, Milano, Vicenza, Genova, Bologna, Firenze, Pisa, Viterbo, Napoli, Foggia, Bari, Potenza, Catania, Cagliari; e ancora altre si aggiungeranno nei prossimi giorni.
Allo sciopero, proclamato da Unicobas, Usb e Usi, aderiscono diverse associazioni come per esempio i Partigiani della Scuola Pubblica e il Comitato nazionale LIP Scuola. Anche l’ex giudice Ferdinando Imposimato ha assicurato la propria partecipazione.
La protesta riguarda non solo il pubblico impiego ma anche le altre categorie private, anche se gli occhi di molti sono puntati proprio sulla scuola.
La legge 107, infatti, sembra ormai essere stata metabolizzata non solo dai sindacati rappresentativi ma forse anche dallo stesso mondo della scuola.
Il Governo pensa anzi di chiudere definitivamente la partita inserendo nella leggendo di stabilità alcune misure che potrebbero piacere al mondo della scuola (25mila assunzioni, risorse per il sistema 0-6 anni e per altre deleghe previste dalla “Buona scuola”, pensioni anticipate per gli insegnanti dell’infanzia), ma il sindacalismo di base sembra proprio poco propenso a prendere per buone le “promesse” di Matteo Renzi.
“Le misure della legge di stabilità – commenta Stefano d’Errico, segretario nazionale Unicobas – rappresentano una vera e propria bolla elettolaristica che di fatto non crea nessuna occasione di svilluppo; alcune misure sono addirittura regressive, come il prepensionamento con il mutuo o i tagli previsti per la sanità; inaccettabile la discriminazione fra insegnanti di infanzia che potranno godere dei benefici previsti per chi svolge un lavoro usurante e docenti della primaria ai quali non sarà riconosciuta nessuna agevolazione”.
A Roma il corteo si concluderà a Piazza San Giovanni dove ci sarà una no-stop di dibattiti e musica fino alle 14 del giorno successivo quando partirà la manifestazione nazionale
del “No Renzi day”.

Formazione obbligatoria docenti: a cosa serve il portfolio?

da La Tecnica della Scuola

Formazione obbligatoria docenti: a cosa serve il portfolio?

Non c’è solo la formazione obbligatoria: per i docenti, fra i nuovi adempimenti ci sarà anche la compilazione e l’aggiornamento del portfolio.

Lo stabilisce il piano nazionale della formazione. Ma cos’è il portfolio?

La formazione permanente, ci spiegano nelle 88 pagine del piano presentato dal Miur, dovrà avere una ricaduta riscontrabile sul piano pratico. Il Miur sta lavorando all’adozione di “standard professionali”, in modo che ogni docente possa documentare in un sistema online la propria“storia formativa e professionale”, costruendo il proprio portfolio professionale. Il modello di riferimento è il bilancio delle competenze, un format adottato lo scorso anno per la formazione dei neoassunti.

Il portfolio non sarà certamente un documento snello. Oltre al curriculum e alle competenze professionali, dovrà documentare le unità formative acquisite con grande quantità di particolari, che troviamo dettagliati a pagina 20: tipologia dei percorsi frequentati, modalità, contenuti, risorse, report narrativo, presentazione, autovalutazione, partecipazione al progetto formativo della scuola.

A cosa serve davvero questo portfolio professionale? Permette all’amministrazione di avere tutte le informazioni relative al percorso professionale dei docenti, mettendo “a disposizione dei dirigenti scolastici il curriculum come supporto alla scelta nella chiamata per competenze per l’assegnazione dell’incarico triennale”. Insomma, compilare il portfolio serve alla chiamata diretta, per far funzionare il nuovo meccanismo introdotto con la Buona Scuola e assolve alla funzione amministrativa che una volta avevano le graduatorie con i punteggi. Può servire anche al dirigente scolastico per assegnare incarichi e bonus.

Burocratizzazione esponenziale?Il rischio c’è. Si teme che tutto finisca col riempire montagne di moduli, con nuovi carichi di adempimenti formali in aggiunta alla mole a cui nessuno ormai riesce più a stare dietro. E pensare che la lotta alla burocrazia era stata annunciata, anche questa, come la madre di tutte le battaglie!

In sintesi, le scuole dovranno integrare il PTOF, a sua volta collegato col RAV e col PdM, col Piano Formativo triennale, coniugando le priorità nazionali, con i bisogni di miglioramento del singolo istituto, con i bisogni formativi individuali del docente e in raccordo con le reti d’ambito. I docenti dovranno formulare il loro Piano individuale di Sviluppo Professionale articolato in tre macro aree (didattiche organizzative, professionali), elaborare il bilancio delle competenze, e compilare il portfolio professionale nella apposita piattaforma on-line  che sarà predisposta dal Miur.

 

Documenti:

Miur, Piano nazionale per la formazione dei docenti 2016-2019

 

Per approfondire:

Piano formazione docenti: le buone intenzioni e le criticità