La scuola inventata

La scuola inventata

di Maurizio Tiriticco

 

Chebellochebellochebello! La nostra ministra Giannini è in difficoltà, dopo le critiche di Renzi! Mah! Troppo facile per il Presidente del Consiglio lanciare la caccia all’untore per tutti i pasticci che la 107 ha creato e continua a creare! Ma chi ha scritto la Buonascuola? Non si sa! Chi ha scritto la 107? Idem. Ricordo i bei tempi andati con i ministri DC (sempre democristiani!!! La scuola doveva rigare dritto, con tanti insegnanti comunisti o giù di lì), in effetti molto più “liberali” ed aperti della ministra del Governo Renzi. La velocità non era di casa è vero (in confronto con la rapidità con cui si scrive e si vara una 107 con ben 202 articoli). Ma non era di casa perché nessun ministro e nessun governo avrebbe pensato di sollecitare il varo di leggi profondamente innovative (quali la 107 è) senza “chiedere” e “ascoltare” i pareri altrui, in genere gli uffici scuola dei partiti, i sindacati scuola, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione e gli stessi ispettori (e ne sono testimone diretto!). E ciò valeva anche e soprattutto per le sperimentazioni cosiddette assistite, progettate e realizzate sempre in ordine ai rapporti continui e dialettici con le scuole che ne erano coinvolte. Molti dei vecchi come me ricorderanno, tra le tante iniziative, il Piano nazionale per l’informatica, le sperimentazioni assistite, il Progetto 92, il Progetto Qualità, varato dal ministro pro tempore Tullio De Mauro.

La scuola non è un panno da mettere in lavatrice! La scuola è un insieme di migliaia di persone, alunni, famiglie, insegnanti, dirigenti, dsga et al. E’ un corpo complesso, ricco, certamente, di risorse e di possibilità, con cui un ministro deve “fare i conti”, se si può dir così, prima di assumere una qualsiasi iniziativa. E una 107, se è vero che interessa migliaia e migliaia di persone, non poteva essere scritta, varata e imposta come una tredicesima tavola della Legge divina! Con la scuola – un “corpaccio” complesso – non si può scherzare! E i problemi della nostra scuola sono tanti e di diversa natura: in primo luogo i curricoli, che riguardano gli alunni con i loro bisogni e le loro attese. Basti un solo esempio: è corretto che un percorso obbligatorio decennale sia ancora frantumato in tre segmenti, che spesso tra loro si ignorano nonostante la buona volontà delle Linee guida per il primo ciclo? Ma il primo ciclo termina con la terza media ed un esame che nessuno sa perché ancora debba essere effettuato! O meglio, lo sappiamo! La Costituzione recita all’articolo 33 che alla fine di ogni ciclo di istruzione ci sia un esame di Stato. Ma allora, non sarebbe più opportuno legiferare che il primo ciclo è decennale e termina con il primo biennio dell’istruzione di secondo grado? Una leggina di un solo articolo! Che permetterebbe veramente agli insegnanti tutti dei primi tre cicli – se si può dir così – primaria, media e primo biennio, di progettare/programmare le loro attività con un respiro ampio e certamente produttivo.

Altro che il polpettone di una 107! Che ha complicato la vita e il lavoro di insegnanti e dirigenti con tutta una serie di adempimenti, tra RAV, PDM, bonus, comitati di valutazione, dieci insegnanti dieci scelti dal Ds come collaboratori, insegnanti a chiamata (che pacchia per l’amico dell’amico dell’amico) e/o non so che altro: comunque, tante altre diavolerie che tolgono solo tempi ed energie a quello che una scuola deve semplicemente fare: insegnare ad apprendere. Fortunati i miei anni di insegnante! Il mio lavoro al 99% era in aula con gli alunni! Ora un insegnante, sempre più demotivato e stremato nonché mal pagato, dedica ai suoi alunni la parte residua del suo tempo dopo i numerosi adempimenti formali, poco più poco meno, a cui deve attendere. Per non dire del DS che, come un incallito imprenditore, deve “assumere” un insegnante previa analisi di una documentazione ad hoc e successivo colloquio. E il concorso vinto? E se un DS nomina sulla base di “cose altre”, di cui un Paese in cui “cosa nostra” costituisce una sorta di silenzioso effettivo governo? Cui prodest? Si aboliscano i concorsi e si abbia il coraggio di scrivere una legge 108 di un solo articolo: “La scuola italiana non è più pubblica, ma privata”. Senza troppi ghirigori truffa-popolo! La scuola come corrida! Dove il povero toro finisce di essere tartassato dai picadores e ammazzato dall’estoque de descabellar di cui dispone il torero, perché la testa gli viene tagliata in un sol colpo! La 107 come una sorta di tauromachia nella/della scuola!

Insomma, la scuola una volta era semplicemente una scuola, pesante e noiosa per migliaia di alunni, anche se schola in latino significa otium, passatempo, e studium passione! Ma è l’organizzazione militaresca della scuola (scuole e caserme hanno la stessa struttura fisica: l’obbligo di leva e l’obbligo di istruzione sono state la grande “invenzione” postunitaria perché, una volta fatta l’Italia, bisognava fare gli Italiani) che l’ha resa insopportabile per gli alunni nonché per molti insegnanti, purtroppo! Fortunatamente le eccezioni ci sono, ma sono ancora poche, e la legge 107 certamente non le facilita.

In un mio recente pezzo scrivevo che, perché un’eccezione nasca, occorrono da parte degli insegnanti e dei dirigenti scolastici intelligenza, iniziativa, coraggio. “E queste sono le caratteristiche di un Salvatore Giuliano, dirigente scolastico dell’Istituto Superiore Majorana, di Brindisi. Ma io non voglio dire nulla. Vi affido solo il link per ricercarlo! http://www.majoranabrindisi.it/ Buona lettura! Comunque, Salvatore non è solo! Vi sono altri istituti in Italia che producono innovazioni, pur all’interno di una legislazione che è quella che è. Ricordo il Pacioli di Crema, il Fermi di Mantova, il Volta di Perugia, il Savoia Benincasa di Ancona, il Marco Polo di Bari. Ed altri che non conosco! In questi istituti dirigenti e docenti hanno sconvolto la didattica tradizionale! E vi sono insegnanti che… non insegnano, ma…! E si tratta di realtà attuate anche a norma vigente! Quindi – 107 sì o no – certe iniziative è possibile avviarle e portarle a compimento”.

E allora, se qualcuno – e non sappiamo chi – ha inventato la Buona scuola che non c’è, tanti dirigenti e insegnanti possono inventare e costruire tante scuole Buone che invece ci sono, alla faccia dei laccioli della 107. E se poi la Giannini cadrà, sarà una gran festa! Della quale bisogna approfittare e subito. Prima che un’altra Giannini si insedi a Viale Trastevere! Così alla scuola inventata della 107 potremmo opporre la scuola reale del giorno dopo giorno, faticosa come non mai, ma con delle prospettive che si potrebbero aprire: Insomma, come dicevano i latini – ma come sono bravo a copiare – “hic Rhodus, hic salta – appena il primo salto, a Roma, lo ha compiuto la Giannini!

Olimpiadi delle Neuroscienze

Olimpiadi delle Neuroscienze

Al via l’ottava edizione delle Olimpiadi delle Neuroscienze
Dal 1 novembre aperte le iscrizioni per l’ottava edizione delle Olimpiadi delle Neuroscienze,dedicate alle scuole secondarie di II grado

La memoria, le emozioni, il sonno, lo stress, l’invecchiamento, il sistema nervoso e le malattie a cui è soggetto: sono alcuni degli argomenti su cui gli studenti delle scuole secondarie di II grado sono chiamati a mettersi alla prova per partecipare alle Olimpiadi italiane delle Neuroscienze, per le quali le iscrizioni si aprono il 1 novembre. Quest’anno la competizione, giunta all’ottava edizione, è coordinata a livello nazionale dall’Istituto di Scienze Neurologiche del CNR di Catania, mentre per la fase regionale del Friuli Venezia Giulia si riconferma l’organizzazione a cura dell’Immaginario Scientifico e del Centro per le Neuroscienze BRAIN dell’Università di Trieste.

La competizione – che si svolge a tre livelli: locale, regionale e nazionale – rappresenta la selezione italiana della International Brain Bee, una gara internazionale, nella quale gli studenti delle scuole secondarie di II grado si sfidano sulla base delle proprie conoscenze nel campo delle neuroscienze.

Dal Nord al Sud del Paese, ragazze e ragazzi si sfidano a colpi di neuroni, per stabilire chi ne sappia di più sul cervello e sul suo funzionamento. Lo scopo principale dell’iniziativa è quello di stimolare l’interesse per la biologia in generale e per le neuroscienze in particolare, accrescendo la consapevolezza dei giovani nei confronti della parte più “nobile” del nostro corpo: il cervello.

La prima fase della competizione prevede le selezioni locali, che si svolgeranno il 17 febbraio 2017 all’interno dei singoli istituti che si iscrivono. Per partecipare a questa selezione gli insegnanti possono iscriversi online sul sito dell’Istituto di Scienze Neurologiche del CNR di Catania: www.isn.cnr.it/index.php/olimpiadi-delle-neuroscienze-2017. Le iscrizioni sono aperte dal 1 al 30 novembre 2016.

I 5 migliori studenti di ogni istituto accedono poi alla gara regionale, che per il Friuli Venezia Giulia si svolgerà venerdì 17 marzo 2017 a Trieste.

Alla fine della gara regionale, i 3 ragazzi che avranno ottenuto il punteggio più alto parteciperanno alla gara nazionale, in programma a Catania il 5 e 6 maggio 2017. In questa fase verrà selezionato il miglior studente italiano, che parteciperà alla finale internazionale, l’International Brain Bee, che si svolge d’estate, ogni anno in un paese diverso: nel 2017 la gara si terrà a Washington DC (USA) dal 3 al 6 agosto, nell’ambito della American Psychological Association’s Convention.

Per gli insegnanti interessati a iscrivere la propria classe alla competizione, o che sono semplicemente interessati all’argomento, è disponibile un corso di formazione, “Aspettando le Olimpiadi delle Neuroscienze”. Il corso, sui temi vicini alle neuroscienze, è dedicato ai docenti di area scientifica delle scuole secondarie di II grado, è gratuito e si svolgerà il 14 e 28 novembre al Polo didattico di Valmaura a Trieste. L’iscrizione si effettua tramite il form online sul sito www.immaginarioscientifico.it

Per ulteriori informazioni: www.immaginarioscientifico.it

PICCOLE E POVERE: QUESTO IL QUADRO DESOLANTE DELLE BIBLIOTECHE SCOLASTICHE

PICCOLE E POVERE: QUESTO IL QUADRO DESOLANTE DELLA PRIMA FOTOGRAFIA AIE E AIB DELLE BIBLIOTECHE SCOLASTICHE PER #IOLEGGOPERCHÉ

Hanno meno libri di cinque anni fa, spazi che rasentano lo zero e meno di 4 libri in media a studente

Giovedì 27 ottobre 2016. Piccole e povere. Potrebbe riassumersi così il quadro che emerge dall’indagine (scaricabile qui) a cura dell’Associazione Italiana Editori (AIE) e dell’Associazione Italiana Biblioteche (AIB) per #ioleggoperché e realizzata dall’Ufficio studi AIE sulla situazione delle biblioteche scolastiche italiane, così come evidenziato dalle risposte di 1.222 scuole aderenti al progetto che hanno accettato di partecipare all’indagine per fotografare la situazione.
Il 97,4% delle scuole italiane ha oggi una biblioteca scolastica, certo, ma con una dotazione di libri notevolmente inferiore rispetto a solo 5 anni fa: in media 2.501 volumi per scuola, nel 2.011 erano 3017. Pochi? Pochissimi se consideriamo che in media questo significa 3,9 libri per studente, mentre nel 2011 erano 4,7.
La situazione è peggiorata, non solo come offerta ma anche in termini di spazi: esiste quasi un 10% di scuole tra le intervistate che rispondono di avere sì una biblioteca ma con posti a sedere zero.
Emerge una situazione non certo rosea: la spesa complessiva per il funzionamento della biblioteca nel 2016 è di 441 euro, in pratica si è più che dimezzata rispetto ai 1.189 euro investiti nel 2011. Questo si traduce in una spesa media complessiva di 1,18 euro per studente nel 2016 (era di 1,56 euro nel 2011).
Non va meglio neppure se si osserva la spesa media per l’acquisto di libri per studente. La biblioteca di ogni istituto ha investito 0,37 euro nel 2016, in calo rispetto al 2011 quando era di 0,57 euro.
Calano anche i libri entrati nel patrimonio delle biblioteche: nel 2016 sono 113 in media, erano 130 nel 2011.
A rimanere costanti sono le ore giornaliere di apertura della biblioteca: nel 2016 sono 3 ore e 34 minuti in media mentre nel 2011 erano 3 ore e 44 minuti.
Una conferma arriva dalle persone addette alle biblioteche che nel 2016 come nel 2011 sono 1,5. Ma quali sono le tipologie professionali che fanno funzionare le biblioteche scolastiche? La maggioranza è rappresentata dagli insegnanti (57,9% nel 2016, erano il 63,5% nel 2011) seguiti dai volontari (nel 2016 sono il 37,1%, erano il 34% nel 2011) mentre solo il 5% è rappresentato da bibliotecari (nel 2011 erano il 2,5%).
Nessun dubbio almeno sullo scopo della biblioteca che è la promozione della lettura tra gli studenti (per il 94,7%), il prestito e la consultazione individuale (per il 70,2%) e il supporto alla programmazione didattica (per il 22,8%).
Del tutto mancante invece l’inserimento delle biblioteche nel sistema bibliotecario territoriale. Ne fanno parte solo l’11,3%, mentre nel 2011 erano il 10,4%.

L’iniziativa di #ioleggoperché per le biblioteche scolastiche è dunque necessaria e secondo le scuole che hanno partecipato al sondaggio “per avere effetti concreti dovrà replicarsi per più anni”: “Il quadro che ne emerge è davvero desolante – ha sottolineato Federico Motta, Presidente dell’AIE -. Contiamo davvero che #ioleggoperché possa essere una prima risposta. Per questo, lo ribadiamo, la partecipazione di tutti i cittadini che vorranno donare un libro fino al 30 ottobre alle biblioteche scolastiche può fare la differenza. In gioco non c’è una posta piccola, di qualche decina di migliaia di libri, ma il nervo scoperto del nostro Paese, la nostra crescita”.

“Gli esiti dell’indagine non ci sorprendono particolarmente; purtroppo la fotografia che se ne ricava è sconfortante, anche se conosciamo bene diversi casi che si collocano in controtendenza – ha commentato Enrica Manenti, Presidente dell’AIB -. I punti di massima debolezza sono la mancanza di obiettivi chiari e la conseguente scarsità di risorse finanziarie e umane. Sottolineiamo come le biblioteche scolastiche spesso non colgano l’occasione della presenza nei territori delle biblioteche civiche e dei sistemi bibliotecari , spesso lavorando da sole, il che è sempre sbagliato. Altra criticità è che la mancanza di personale professionale o ‘professionalizzabile’, sommando debolezza a debolezza, impedisce il governo e lo sviluppo di queste strutture, che invece sono fondamentali in un Paese civile”.

Sono 1.417 le librerie aderenti al progetto (qui l’elenco completo), che hanno attivato 4.487 gemellaggi con 2.378 scuole e possono contare sulla collaborazione di 1.500 Messaggeri. Partecipano all’iniziativa le librerie iscritte all’Associazione Librai Italiani e quelle delle catene Àncora, Giunti al Punto, laFeltrinelli, Libraccio, Librerie Claudiana, Librerie.coop, Mondadori Store, Paoline, San Paolo, Touring Club Italiano, Ubik.

Organizzata dall’AIE (Associazione Italiana Editori), sotto gli auspici del Centro per il libro e la lettura del MiBACT (Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo), in collaborazione con AIB (Associazione Italiana Biblioteche), ALI (Associazione Librai Italiani – Confcommercio) e Confindustria Gruppo Tecnico Cultura e Sviluppo, #ioleggoperché sta continuando a riscuotere grande successo e apprezzamento anche da parte dei Testimonial d’eccezione: sono 105 i personaggi di spicco della cultura italiana che hanno aderito con entusiasmo a favore delle biblioteche scolastiche. I loro video sono disponibili sul canale YouTube della campagna.

In questi giorni, in alleanza con #ioleggoperché, è in corso e prosegue fino a sabato 29 ottobre Libriamoci. Giornate di lettura nelle scuole (www.libriamociascuola.it), l’iniziativa promossa da MIUR e MiBACT giunta alla terza edizione, che ad oggi ha in calendario 3.500 eventi, fra i quali circa 400 incontri con gli autori nelle classi, e ha registrato l’iscrizione di 3.000 scuole in tutta Italia.

#ioleggoperché 2016 è organizzato con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e della RAI; main partner Pirelli. Media partner: Corriere della Sera, Gruppo Mondadori, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Tgcom24. Media supporter: Famiglia Cristiana, Giornale della Libreria, Ibs.it, Il Fatto Quotidiano, Il Libraio.it, laeffe, laFeltrinelli.it, La Stampa, Lettera43.it, Libraccio.it, Libreriamo.it, Mondadori Store.it, Pagina99, RadioLibri.it, Radio Radicale, ScuolaZoo, Studenti.it. Technical partner: Ceva, Messaggerie Libri. Con il supporto di Lions Club, Lega Nazionale Professionisti Serie B, Poste italiane, Serie A TIM, Trenitalia.

www.ioleggoperche.it

Social
Facebook: https://www.facebook.com/ioleggoperche
Twitter: https://twitter.com/ioleggoperche
YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCREx_4qlQqlI9pNF8aiwKiw
Instagram: http://instagram.com/ioleggoperche
Pinterest: http://www.pinterest.com/ioleggoperche/

Nessun cambiamento previsto per l’esame di Maturità

Scuola, nessun cambiamento previsto per l’esame di Maturità

Contrariamente a quanto riportato questa mattina da organi di stampa è necessario precisare che non c’è alcun cambiamento in vista per l’esame di Maturità del prossimo giugno. Soprattutto per quanto riguarda la composizione delle commissioni.
La legge delega in materia di valutazione è del resto ancora oggetto di consultazioni e non esistono testi definitivi. È del resto evidente che qualsiasi novità su un tema di questa rilevanza verrebbe comunicata tempestivamente e con modalità ufficiali al mondo della scuola da parte del Ministero, nel rispetto di migliaia di insegnanti, di studenti e delle loro famiglie. Non si cambiano le regole del gioco in corsa.
Nelle prossime ore saranno pubblicati peraltro i primi atti relativi all’Esame 2017 che non prevedono modifiche rispetto alle regole attuali.

L’interminabile retorica dei ponti, dei muri e della tolleranza

L’interminabile retorica dei ponti, dei muri e della tolleranza

di Vittorio Zedda

Di ponti e di muri sentiamo parlare ogni giorno , da anni. E’ sempre il solito pistolotto retorico in cui si cimentano un po’ tutti, in tv, in chiesa, nelle piazze, nei partiti e nelle sedi istituzionali nazionali  e internazionali. E secondo le regole non scritte del pensiero unico dominante  i due termini architettonici a confronto, usati come metafore, sono uno irrimediabilmente cattivo e l’altro indiscutibilmente buono. O almeno così pareva fino a qualche tempo fa.  In epoca di relativismo c’è da chiedersi però fino a quando l’immagine di questi “manufatti”  , tanto evocata come fantasma ammonitore e grimaldello ideologico dai manipolatori  di coscienze, possa ancora reggere al logorio delle mode. Nonché al mutare degli slogan, con cui si vuole impedire alla gente di  affaticarsi a pensare “in proprio”, per  scegliere in autonomia. E’ questo il tempo delle “scelte non scelte” ,imposte dal potere e dalla sua propaganda come  indiscutibili  e buone,ma curiosamente camuffate con facili metafore. Anche le metafore,però, diventano obsolete.

Orbene i muri,metaforici o no, “non sono buoni”. Anzi sono cattivi. Anche l’Europa l’ha detto. E il presidente ungherese Orban è stato additato alla pubblica riprovazione per la barriera anti-immigrati che ha fatto erigere .Intanto però l’Inghilterra, col consenso  della Francia, sta costruendo un muro anti-immigrati sul territorio francese, a protezione degli accessi al tunnel sottomarino del Canale della Manica. Si dirà che i migranti rischiano la vita avventurandosi furtivamente nel tunnel, per raggiungere il Regno Unito. Forse si tratta di un “muro umanitario”, quindi “ buono”. L’eccezione è sempre ammessa. Negli USA di Obama, invece, la lunga barriera che ostacola l’immigrazione dal Messico non pare costituire motivo di esecrazione. O, quanto meno,sui “media” si preferisce parlarne poco.

Forse c’è muro e muro. O forse la differenza sta in chi lo fa. Poi, detto a margine, c’è anche  il muro del pianto a Gerusalemme che  vive una vicenda paradossale. Infatti questo  muro , ma anche il luogo in cui sorge, ha un nome “ buono” ,che è quello che gli hanno dato gli arabi, e uno“non  buono” che è quello assai più antico con cui lo appellano gli ebrei. Il tutto secondo una recente pronunzia dell ‘Unesco. Senza voler mancare di rispetto a nessuno,  c’è da batter la testa nel muro.

E qui si dovrebbe fare una digressione sulla “retorica dell’odio”,sempre esecrabile, salvo che per gli odiatori di Israele, che paiono gli unici ammessi. Ma questa tema lo tengo in fresco,per altra occasione.

In quanto ai ponti, questi sono “indiscutibilmente buoni”, come pare sia obbligatorio affermare .Relativamente obbligatorio. Sarei più cauto sul ponte dello stretto di Messina, oggetto di opposti giudizi.

Chi lo rifiutava, perché lo voleva  la destra , ora lo ripropone da sinistra . E viceversa. Anche  ideologicamente è  un ponte sospeso. Personalmente apprezzo  i ponti levatoi ( non solo quelli dei castelli : pensate al Tower Bridge di Londra), i ponti girevoli presenti in alcuni porti, e comunque non immobili, per la loro polivalenza funzionale. Ponti e muri, unire e separare ,non sono cose buone o cattive in sé stesse, ma solo in riferimento agli scopi, all’opportunità,al bene comune,alla giustizia.

E proprio la giustizia è il nodo . Infatti , la retorica dei ponti e dei muri è prevalentemente usata per infierire sulle vittime delle ingiustizie ,ma  poco  sui veri responsabili, come dirò più avanti. Allo stesso scopo si usa, o si abusa, del termine tolleranza,che è “ponte “ se c’è e “muro” se manca. E’ tanta la tolleranza  evocata nei discorsi sui  migranti ,i rifugiati, i rom, i diversi a vario titolo, il tutto  infuso e soffuso dal tenero  afflato dell’accoglienza. Verso cui ci sospinge naturalmente ,e va detto,una nostra antica propensione all’ospitalità ,alla carità, all’ attenzione verso il prossimo . Ma la benevolenza della buona gente  è per i manipolatori e i profittatori uno spazio di deboli difese da debellare o, peggio ,strumentalizzare.

Il termine tolleranza ha indicato per secoli l’atteggiamento di chi  fronteggiava pazientemente avversità ,opinioni non condivise,mali transitori,contrasti di varia natura non evitabili nell’immediato e quindi da sopportare  per non  incorrere in danni maggiori. Si sopportava ciò che non si stimava e non si amava e ciò che in qualche misura era un male , nella consapevolezza che la tolleranza ,di per se stessa,non potesse mutare  il male in un bene,ma comunque servisse per gestire l’ intoppo. Ne derivava la percezione della tolleranza come una virtù pratica, ispirata alla prudenza,che necessita di tempi adeguati attraverso i quali differire l’esito  d’una  questione,se risolvibile, o il suo superamento ,scansando l’ostacolo, se insolubile.

Nella storia del pensiero occidentale il concetto di tolleranza è però mutato nel tempo attraverso l’interpretazione che ne  hanno  dato tanti maestri, come John Locke,Erasmo da Rotterdam,Baruch Spinoza,Pierre Bayle,Voltaire e l’illuminismo in genere. Tappe e passaggi del pensiero, su cui chiunque voglia approfondire o verificare, può tornare a documentarsi. Per brevità , però,vediamo che cos’è diventato oggi il concetto di tolleranza, evocato spesso assieme con quello di accoglienza, in riferimento al fenomeno dell’immigrazione. La compresenza nello stesso paese di donne e uomini, immigrati ed autoctoni, diversi per lingua, tradizioni, valori di riferimento e leggi morali è inevitabilmente fonte di contrasti .

Spicca per problematicità il confronto col mondo islamico. Le leggi vigenti e il concetto stesso di legalità presente nel mondo occidentale è da tempo entrato in rotta di collisione con i principi giuridici legati alla shari’a . Basti pensare all’inferiorità della donna rispetto all’uomo  o alla legittimazione islamica  dell’uccisione  sia del convertito ad altra religione ,sia degli “infedeli” in genere. In questo caso la tolleranza ,che ci viene richiesta,si configura come accettazione acritica della compresenza nello stesso ambito territoriale ed umano  di culture,regole e comportamenti  inconciliabili  . Ci sono governi che tendono ad imporre autoritariamente  come doverosamente e obbligatoriamente condivisibili sia l’accoglienza, sia la tolleranza . L’accoglienza  necessiterebbe almeno della condivisione maturata,autonoma , convinta,sentita  e cosciente, anche se promossa e sostenuta dalle istituzioni, dei soggetti chiamati, ma non forzati, a condividere spazi e risorse scarse con i nuovi venuti. Questo, in un contesto di democrazia e partecipazione vissuta ,può essere  accettabile . Ma diventa inaccettabile, se sotto forma di imposizione ,quindi con poca o nessuna condivisione democratica, si riversa sempre sugli strati popolari più disagiati , sulle realtà ghettizzanti di periferie degradate o si realizza in forme di palese ingiustizia con una attenzione alle esigenze dei  nuovi venuti ,che è però negata a tanti italiani bisognosi.

E l’esortazione alla tolleranza, a fronte di fenomenologie comportamentali umane, radicate negli ambienti socioculturali d’origine di certi cosiddetti migranti, ma non per questo accettabili nell’ambito valoriale  dei paesi accoglienti, diventa di fatto la “tolleranza dell’intollerabile”. Tant’è vero che i paladini di questo tipo di tolleranza,non tollerano nemmeno le critiche al loro modo di concepirla. Tornando alla radice, la responsabilità del problema non è dei migranti, ma di chi , preposto ai pubblici poteri, impone ai cittadini le conseguenze di un’accoglienza disorganizzata ,caotica e incontrollabile,ovviamente gravida di difficoltà e contraccolpi.   E per giunta poi accusa di razzismo ,xenofobia ed intolleranza  i cittadini spazientiti che protestano,perché costretti  localmente  a fronteggiare disagi o conseguenze non condivisibili. Non è una “tolleranza virtuosa” quella che si va palesando ,ma è una versione strumentale e politica, quindi mistificata,della tolleranza, pericolosamente atta a realizzare imposizioni totalitarie e a indurre nuovi tipi di esclusione e di ingiustizia. Una pseudo-tolleranza che finirà per generare una società ideologicamente intollerante e forse c’è già riuscita. Oltre all’arroganza di un potere che impone  le sue scelte e insulta chi non le accetta mi infastidisce la retorica di certi intellettuali da salotto che rincarano la dose delle accuse di xenofobia e razzismo a carico di chi i problemi portati dall’immigrazione li subisce senza alcuna tutela. E li accusa, come ha fatto un noto personaggio, di regresso civile e “di ritorno alla cultura del nemico”. In una guerra tra poveri, come quella ormai in atto, il povero ulteriormente impoverito individua  il nemico  nel migrante, come responsabile visibile del disagio che ingiustamente  patisce, e non lo vede,purtroppo, in chi manipola i fenomeni economici e migratori in atto, entrambi legati e indotti da vasti e mal dissimulati interessi politico-economici globali, cui certi governi sono asserviti.

Una “ cultura del nemico” attribuita a chi, portatore di scarsa consapevolezza della propria identità culturale, può individuare come metro di giudizio per un auto-riconoscimento identitario solo il confronto di se stesso con le diversità apparenti o reali di un oppositore concreto e visibile. Anche questo mi pare un modo spocchioso  per colpevolizzare delle vittime, invece di richiamare doverosamente le responsabilità del potere costituito, che riversa sui cittadini ridotti a sudditi politiche e strategie di cui dovrà prima o poi render conto. Assai peggiore di questa discutibile “ cultura del nemico”, imputata al cittadino vessato , è per me l’esibita “identificazione col nemico”dei “giustificazionisti” di mestiere,  che vogliono sorprendere l’uditorio, e guadagnarsi visibilità mostrandosi  contro corrente e fuori dagli schemi, collocandosi a parole sull’altro  versante della barricata. Affetti da permanente xenofilia “oicofobica”,questi non meritano nemmeno i trenta denari del traditore.

Dare un’anima alla collegialità

Dare un’anima alla collegialità

di Giuseppe Adernò

 

Nei giorni conclusivi del mese di ottobre si rinnova in tutte le scuole il rito delle operazioni di voto per il rinnovo degli Organi di democrazia partecipativa. Si eleggono i rappresentanti dei genitori nei consigli di classe, si rinnovano i Consigli d’Istituto, si rendono attivi i consigli di classe redigendo le programmazioni e presentandole ai genitori.

La collegialità nella scuola si consuma nella ritualità delle formule e delle prassi di urne, seggi elettorali, schede e verbali, ma resta molto lontana dalla reale e vitale collegialità che sollecita la coesione, la convergenza nei comuni ideali educativi e nell’impegno volto alla costruzione della personalità dello studente attraverso lo studio e lo sviluppo delle competenze, proiettate al futuro inserimento sociale.

Quanto auspicato e disegnato dalla Legge della “Buona scuola” ha necessità urgente e prioritaria di rinnovamento e modifica degli Organi collegiali, norme e disposizioni che meritavano una riforma anticipata rispetto alla stessa Legge 107/2015.

Operare nella direzione del “nuovo”, utilizzando ancora strumenti e modelli inadeguati e ormai privi di significato e di valenza anche democratica, rende vana l’azione rinnovatrice dell’impianto organizzativo della scuola che vorrebbe tendere all’apertura verso il mondo del lavoro e allo sviluppo di reali competenze per i singoli studenti.

Il collegio docente, cuore della progettualità del Piano Triennale dell’Offerta Formativa si riduce spesso ad una parata di formale approvazione di quanto deliberato da un piccolo gruppo e non dà vita all’auspicata democrazia partecipativa.

Il Consiglio di classe si limita ad un’elencazione dei casi difficili o problematici e non diventa il luogo privilegiato della progettazione didattica secondo i bisogni della classe e dei singoli studenti

Il Consiglio d’Istituto si blinda nella ritualità delle approvazioni di atti già deliberati, di progetti già avviati e non opera come specifico ambito d’indirizzo della politica scolastica, in risposta ai bisogni del territorio e dell’utenza.

Se questa è la radiografia dell’esistente, serve ben poco adempiere formali disposizioni di legge e lasciare la collegialità priva di vita e senza un’anima pulsante.

Oggi, poi, la nuova cultura di rete e l’operare per ambiti territoriali sollecita una nuova dimensione di apertura mentale alla cooperazione tra le scuole, al superamento delle barriere e degli ostacoli che finora hanno costretto le scuole a vivere di autoreferenzialità, chiuse nel recinto del proprio singolo istituto.

Operare in rete e in maniera collegiale con le altre realtà scolastiche significa aprirsi al cambiamento e guardare oltre, valorizzare le risorse interne e metterle a servizio degli altri per eliminare sprechi di tempo e di energie e dare maggiore efficacia ai servizi da offrire.

Un nuovo orizzonte disegna e colora la collegialità della “buona scuola” aperta e dinamica, moderna e attiva, propositiva ed efficiente.

La presenza negli ambiti territoriali delle scuole paritarie dovrebbe costituire inoltre una positiva opportunità di dialogo e di coinvolgimento nel comune intento educativo di un servizio pubblico.

N. Schingaro, Perché non sono un delinquente. Un’autoetnografia

QUANDO SCUOLE E FAMIGLIE IN SINERGIA “VINCONO” …:
UN’AUTOETNOGRAFIA ‘PARADIGMATICA’

di Carlo De Nitti

E’ un’idea universalmente diffusa tra le persone di scuola – perché sacrosantamente vera – che il proprio lavoro per conseguire risultati efficaci e duraturi nel tempo soltanto se l’opera dell’istituzione scolastica e degli educatori trova sinergico affiancamento in quella delle famiglie dei discenti di qualunque età: dalla scuola dell’infanzia, purtroppo non obbligatoria, alla secondaria superiore, segmento conclusivo dell’istruzione pre-universitaria.
Questo ‘postulato’ vale ancor di più in contesti che si potrebbero definire ‘periferici’, ‘borderline’, ‘a rischio’ nel lessico ministeriale: nelle periferie urbane degradate, come nei centri storici sventrati dalla speculazione edilizia e privati della loro anima ‘popolare’, come nei quartieri in cui il degrado e la violenza sono nelle strade e nelle abitazioni e, pertanto, non possono non entrare nelle aule scolastiche.
Chiunque, come persona di scuola ha operato o operi in contesti quali quelli sommariamente descritti – non può non sapere che determinati meccanismi sono figli di politiche scolastiche e sociali spesso dissennate praticate da molte amministrazioni locali.
Nel volume Perché non sono un delinquente. Un’autoetnografia – appena edito a Bari per i tipi della casa editrice Laterza nella collana “Edizioni della libreria” (pp. XV – 91) – Nicola Schingaro, sociologo e criminologo barese, tematizza la sua ‘storia di vita’ di bambino e di ragazzo nato e vissuto in un quartiere periferico: <<Sono nato e cresciuto in un CEP. Era il quartiere San Paolo, a Nord Ovest di Bari. Non era solo la periferia estrema di una città media dell’Italia meridionale, ma era anche e soprattutto un quartiere povero, un ghetto, uno slum>> (p. X).
Lo fa perché vuole rispondere a <<tre domande cruciali:
(1) In che misura le teorie della devianza e del crimine riescono a spiegare perche non sono un delinquente?
(2) Quali effetti ha prodotto il lungo processo di etichettamento che ho subito sulla mia identità?
(3) Quali suggerimenti può offrire alla politica la mia esperienza di vita?>> (p. XII).
Per conseguire questo obiettivo, Nicola Schingaro utilizza il metodo sociologico dell’autoetnografia, ovvero indaga prima sul suo milieu di appartenenza per poi passare ad indagare, scavando con puntualità, all’interno del suo proprio io. Spiega così la sua indagine: <<Si concentra piuttosto su un modello triadico, ovvero, su di un asse che scorre lungo il continuum ‘cultura-spazio / luogo/identità’, cercando di svelare il processo di produzione dello spazio periferico e di esprimere in tal senso il significato più profondo dello spazio vissuto ed il senso del luogo>> (p. XIV).
L’autoetnografia di Nicola Schingaro, attraverso le quattro ‘scene’ di cui si compone, risponde alle domande iniziali nell’Epilogo che riprende il titolo del volume. Tre sono i capisaldi, che l’Autore inviene nella sua vita, i quali gli hanno consentito di non ‘perdersi’ nei meandri della vita di un quartiere difficile…
La sua famiglia: <<era una famiglia operaia, poteva contare su una fonte di reddito stabile e organizzava quasi ogni cosa in funzione del lavoro […] era figlia della cultura della classe operaia […] riusciva a trasmettere ai figli norme e valori pro-sociali importanti, quali, ad esempio, il rispetto delle regole, il senso di responsabilità e lo spirito di sacrificio. Tutte cose, queste, che allontanano poderosamente dalla devianza>> (p. 72). In un’epoca in cui le famiglie di ogni quartiere sono spesso disgregate e fonte di disagio per i figli, di quante, ahimè, oggi si può dire la stessa cosa?
La scuola: <<mi sono salvato pure grazie alla scuola. Di certo, mi sono salvato perché alla fine su di me hanno avuti più influenza gli insegnanti che credevano nel mio progetto di vita rispetto a quelli che mi etichettavano per la mia provenienza. Ma soprattutto mi sono salvato perché il suo modello non era quello di una scuola-azienda>> (p. 72) Fondamentalissimo il ruolo di docenti ‘bravi’ ed ‘empatici’ ma ancora di più la mission che la società intera affida alla scuola. A chi scrive piace sintetizzarla così: <<[…] rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]>>.
La militanza politica: <<mi sono salvato anche grazie al partito, uno dell’estrema sinistra italiana, di massa>> (p. 73): istituzione del ‘900 i partiti di massa svolgevano un ruolo fondamentale nell’educazione alla cittadinanza delle masse spesso estranee alla scuola, ora soppiantato da diverse forme di organizzazione politica.
Riecheggiano – perché vissute in prima persona – nel volume di Schingaro le parole di Giorgio Gaber: <<Sì, qualcuno era comunista perché, con accanto questo slancio, ognuno era come… più di sé stesso. Era come… due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita. No. Niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare…come dei gabbiani ipotetici. E ora? Anche ora ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un corpo solo>>. Ed ora per le ragazze ed i ragazzi di questo inizio di millennio? << […] questi giovani hanno oggi molte meno chances di potersi salvare. E su questa questione così delicata che la politica deve necessariamente interrogarsi e giungere a soluzioni>> (p. 74). Il futuro di chi vive nelle periferie passa proprio attraverso questa messa al centro della questione da parte della politica e della sua filiazione diretta che è l’Amministrazione locale.
All’autore di queste righe, da uomo di scuola quale si onora di essere, interessa sottolineare l’efficacia del connubio scuola / famiglia per la massimizzazione dell’efficacia dell’azione educativa sui minori. Una scuola che non sia collegata con le famiglie e con le altre agenzie educative del territorio perde molte chances di riuscita nella sua mission educativa per combattere per la pro-mozione dei discenti affinchè possano affrancarsi da situazioni di disagio.
Il compito è improbo, ma – nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata dall’eclissi della politica e dalla fine della ‘militanza’ in senso novecentesco – per il bene delle future generazioni pascalianamente occorre ‘scommettere’ proprio su questa sinergia…

Diritti umani, Convenzione e movimento italiano sulla disabilità

Superando.it del 27-10-2016

Diritti umani, Convenzione e movimento italiano sulla disabilita’

di Giampiero Griffo*

«Sarebbe importante – scrive Giampiero Griffo – che il movimento italiano delle persone con disabilità e delle loro famiglie si interrogasse su come utilizzare i nuovi strumenti di pressione internazionale, provenienti dalle Nazioni Unite e anche dall’Europa. Spesso, invece, si ignorano i nuovi standard di politiche internazionali sui diritti umani delle persone con disabilità che i Governi si sono impegnati a rispettare, mentre sono temi che dovrebbero portare ad approfondimenti specifici, per rafforzare la nostra stessa capacità di partecipazione e interlocuzione sulle politiche e le decisioni che ci riguardano».

Com’è noto ai Lettori di «Superando.it», agli inizi di settembre di quest’anno il Comitato ONU delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’organismo che ha il compito di vigilare sull’applicazione della Convenzione ONU nei vari Paesi che l’hanno ratificata, ha formulato le sue Osservazioni Conclusive nei confronti del nostro Paese.
Quando l’Italia ha ratificato la Convenzione – così come tutte le altre Convenzioni sui Diritti Umani dell’ONU – si è impegnata volontariamente a rispettarne i princìpi e le norme e ad incrementarne l’applicazione con legislazioni e politiche coerenti. Le Osservazioni Conclusive del Comitato ONU sono perciò richieste che impegnano il Paese a cui si rivolgono ad applicarle, per riferire in un successivo rapporto i progressi raggiunti rispetto all’implementazione della Convenzione.
Analizzando le esperienze di altre Osservazioni Conclusive – rispetto ai rapporti presentati dagli Stati che hanno ratificato la Convenzione – si evince che tali Osservazioni rappresentano veri e propri “Programmi d’Aazione”. Infatti, vengono analizzati articolo per articolo i progressi realizzati e indicati percorsi di tutela dei diritti umani delle persone con disabilità. Basti vedere quale impegno stia mettendo l’Unione Europea – il cui rapporto è stato esaminato lo scorso anno – nell’implementazione di sua competenza.
Per l’Italia, poi, quelle Osservazioni si intrecciano con il prossimo Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità (il secondo), che è in corso di discussione e approvazione da parte del Governo.

Un primo dato da cui partire è che nella recente Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità di Firenze, il bilancio riguardante il primo Programma di Azione Biennale (DPR del 4 ottobre 2013) è stato decisamente magro: dei circa 170 punti da sviluppare nel programma governativo, infatti, solo una decina sono stati realizzati e quasi tutti nell’àmbito della Cooperazione Internazionale (Linea di Intervento n. 7).
I temi indicati dal Comitato ONU fanno propri in maniera importante molti obiettivi del movimento italiano delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Vediamo da vicino i più significativi, rimandando il testo completo dei legami con il Programma Biennale a un documento che è circolato proprio durante la Conferenza di Firenze e di cui chi scrive è stato l’estensore.

Il Comitato ONU, dunque, ha la facoltà di indicare, per alcune azioni, l’immediato intervento (Immediatly Adopt), ovvero iniziative da attuare presumibilmente non oltre dodici mesi: si tratta, nello specifico, della richiesta di definire «il concetto di accomodamento ragionevole, in linea con la Convenzione, quando vi siano discriminazioni basate sulla disabilità, in ogni settore della vita pubblica e privata». In altre parole, mettere immediatamente in atto una soluzione pratica per superare ogni discriminazione di questo tipo.
Ricordo a tal proposito che il Decreto Legislativo 151/15 (Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183) indicava in sei mesi il tempo utile a elaborare la sua definizione, solo nell’àmbito del lavoro: quel tempo è largamente passato e ancora non si batte un colpo, mentre la richiesta di costituire una commissione con la presenza forte delle Associazioni consentirebbe di accelerare i tempi.
L’accomodamento ragionevole permette di ottenere, in ambito di egualizzazione delle opportunità, regole certe che da un lato rimuovano barriere, ostacoli e discriminazioni, evitando che la condizione di discriminazione si ripeta e assegnando un congruo risarcimento alla persone discriminata.
Un secondo tema immediato impone di procedere alla raccolta di dati che assicurino «l’individuazione, l’intervento e la tutela di tutti i bimbi con disabilità, in particolare per quelli da zero a 5 anni», annosa questione che riguarda la diagnosi precoce, la presa in carico dei servizi, l’assegnazione di sostegni appropriati, la formazione dei genitori.
E ancora, immediata è la richiesta di un serio monitoraggio sull’istituzionalizzazione, ovvero «sugli istituti psichiatrici o altre strutture residenziali per persone con disabilità, in particolare di quelle con disabilità intellettive e/o psicosociali». Tema urgente, che ha visto nell’ultimo anno un incremento di denunce per maltrattamenti, violenze e trattamenti inumani e degradanti che la soluzione istituzionalizzante permette.
Da anni chiediamo che l’istituzionalizzazione termini (e alcune Regioni, invece, tentano di incrementarla…). Quale strumento migliore, dunque, per chiedere di essere coinvolti nel monitoraggio e promuovere politiche di inclusione sociale?
Infine, la costituzione e l’implementazione di un «meccanismo indipendente di monitoraggio, adeguatamente finanziato per il suo funzionamento, con il pieno coinvolgimento, nei suoi lavori, delle organizzazioni di persone con disabilità». L’Italia è l’unico Paese ricco che non ha una Commissione Nazionale Indipendente sui Diritti Umani, che consentirebbe di arrivare in tempi rapidi a un giudizio sulla violazione di diritti umani, bypassando i costosi e lenti Tribunali italiani.

Già solo questi quattro punti, dunque, rappresenterebbero un vasto programma di obiettivi che potrebbero mobilitare le energie del movimento. Si dirà: ma le risorse necessarie a intervenire per sostenere i nostri diritti? Questi sono obiettivi del movimento! Ebbene, il Comitato ONU ha indicato all’Italia varie soluzioni, leggiamone alcune.
Si raccomanda ad esempio al Punto 52 di «assegnare omogeneamente in tutte le regioni specifiche risorse finanziarie, sociali o di altra natura per garantire a tutte le famiglie che hanno al loro interno un componente con disabilità, compresi i familiari con elevate necessità di sostegno, l’accesso a tutto il supporto di cui hanno bisogno oltre le esenzioni fiscali […], al fine di garantire il diritto al domicilio e alla famiglia, come pure all’inclusione e alla partecipazione nelle comunità di appartenenza e di prevenire il ricorso all’istituzionalizzazione».
Al Punto 66 di «velocizzare l’adozione, il finanziamento e l’attuazione dei Livelli essenziali di Assistenza sanitaria (LEA) che consentano ai bambini l’accesso all’identificazione e all’intervento precoci secondo le loro esigenze».
Al Punto 18 che «le politiche volte ad affrontare la povertà infantile includano specificatamente i minori con disabilità attraverso le loro organizzazioni rappresentative e che il monitoraggio della loro attuazione e dei livelli di povertà tra i minori con disabilità avvenga in stretta consultazione con i minori e le loro famiglie che vivono in povertà».
Al Punto 48, infine, il Comitato raccomanda: « a) di porre in atto garanzie del mantenimento del diritto ad una vita autonoma indipendente attraverso tutte le regioni; e, b) di reindirizzare le risorse dall’istituzionalizzazione a servizi radicati nella comunità e di aumentare il sostegno economico per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente su tutto il territorio nazionale ed avere pari accesso a tutti i servizi, compresa l’assistenza personale».

Altri importanti e ulteriori elementi che possono rafforzare la capacità di azione del movimento italiano della disabilità sono i riferimenti che il Comitato ONU fa rispetto ai Sustainable Development Goals (SDGs, “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”) che il 25 settembre 2015 le Nazioni Unite hanno definito per una strategia di sviluppo che coinvolga i Paesi dell’ONU a costruire politiche di sviluppo inclusive, sostenibili ed eque. In quegli Obiettivi – come rilevato a suo tempo su queste stesse pagine – vi sono vari riferimenti alle persone con disabilità, riportati nelle Osservazioni Conclusive del Comitato ONU. L’Italia dovrebbe quindi realizzarle nelle politiche interne e in quelle di cooperazione internazionale. Ma quante Associazioni italiane sono a conoscenza di questo nuovo strumento di azione sulle politiche di sostegno alla partecipazione delle persone con disabilità e al godimento dei benefìci dello sviluppo economico e sociale?

Quelli su cui ci siamo soffermati sono solo alcuni tra gli esempi inseriti nelle Osservazioni Conclusive dell’ONU che rappresentano tanti obiettivi che da anni il movimento delle persone con disabilità e delle loro famiglie rivendica e che non deve farsi sfuggire (ma ve ne sono tanti altri, qui non approfonditi, anch’essi legati a rivendicazioni decennali di organizzazioni come la FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e la FAND– Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità).
La posizione di chi dice che queste Osservazioni non sono impegnative per il Governo dimentica che il più alto impegno internazionale è proprio l’impegno sui diritti umani, che tutti gli Stati (e anche l’Italia) si sono impegnati a rispettare entrando nelle Nazioni Unite, perché contenuto nello Statuto stesso dell’ONU. Piuttosto va forse sottolineato che è proprio l’applicazione dei diritti umani alle persone con disabilità a non essere stata compresa dal Governo Italiano e oggi, anziché rivendicare ancora un welfare di protezione sociale, che vede tagliati i fondi a noi assegnati durante i periodi di crisi, andrebbe realizzato un welfare di inclusione sociale, che monitorasse il livello di partecipazione sociale rispetto agli altri cittadini, controllando il livello conseguito nei vari àmbiti (ad esempio nei trasporti, nel lavoro, nell’educazione, nell’accessibilità urbana ecc.).
In tal senso è importante che tutto il movimento italiano delle persone con disabilità e delle loro famiglie si interroghi su come utilizzare i nuovi strumenti di pressione internazionale, che vengono da un lato dalle Nazioni Unite, ma anche ciò che viene dall’applicazione della Convenzione da parte dell’Unione Europea: in Europa, infatti, è in discussione una Direttiva sull’Accessibilità e una revisione della Strategia Europea sulla Disabilità.
È diventato quanto mai importante essere informati e formati su quello che avviene a livello europeo e internazionale, dove la voce delle persone con disabilità (in Europa l’EDF-European Disability Forum, a livello internazionale l’IDA-International Disability Alliance) produce ottime esperienze di applicazione della Convenzione, riflessioni importanti nel campo della tutela dei diritti umani, significativi esempi di monitoraggio delle politiche sulla disabilità.
Il movimento italiano – che spesso ignora questi nuovi standard di politiche internazionali che i Governi si sono impegnati a rispettare – dovrebbe dedicare approfondimenti specifici su questi temi, per rafforzare la nostra capacità di partecipazione e interlocuzione sulle politiche e le decisioni che ci riguardano.

Giampiero Griffo,
Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peopoles’ International)

Da Senato ok a mozioni per somministrare farmaci a scuola

da Il Sole 24 Ore

Da Senato ok a mozioni per somministrare farmaci a scuola

Malattie come asma, epilessia, diabete di tipo 1 riguardano spesso anche bambini, costretti a sottoporsi a terapie anche in orario scolastico. Sono pensate per loro e per le loro famiglie le due mozioni approvate ieri dall’aula del Senato che hanno l’obiettivo di facilitare la somministrazione di farmaci in orario scolastico ad alunni con patologie croniche. Accolte con favore da medici diabetologi e dalle famiglie, le mozioni, a prima firma di Luigi d’Ambrosio Lettieri (CoR) e Luis Alberto Orellana (Gruppo per le autonomie), sono state votate quasi all’unanimità. «La risposta che tanti genitori di bimbi con diabete in Italia stavano aspettando da anni è arrivata», commenta Gianni Lamenza, presidente Associazioni giovani con diabete (Agd).
Nell’anno scolastico 2013/14 sono state 2.911 le scuole (15% del totale) che hanno ricevuto almeno una richiesta di somministrazione di farmaci per continuità terapeutica. Per
garantire su tutto il territorio nazionale un’uniformità di indirizzo in tal senso, le mozioni chiedono al governo l’attuazione delle Linee guida, già definite da un apposito comitato paritetico nazionale, così da avvicinare il più possibile ad una condizione di “normalità” la permanenza, a scuola, dei piccoli con malattie croniche. A muoversi per sensibilizzare sul tema erano stati in primis i genitori dei bimbi con diabete. Il testo della prima mozione presentata, quella di d’Ambrosio-Lettieri, si ispira al «documento strategico per l’inserimento di bambini con diabete in contesti scolastici e sociali» elaborato dall’Agd in collaborazione con i ministeri di Istruzione e Salute. «I bambini con diabete – denuncia Lamenza – rischiano di essere discriminati nel loro diritto allo studio. Perché in alcuni casi si è arrivati addirittura a rifiutare l’iscrizione scolastica per via della malattia». Ad oggi infatti solo in alcune regioni esistono dei protocolli che prevedono la collaborazione del personale della scuola nella somministrazione di insulina. «Laddove non esistono – prosegue – molti genitori sono costretti a lasciare il lavoro per assistere i bambini o raramente alcuni insegnanti ci aiutano volontariamente». Di particolare, nelle mozioni, rilievo il ruolo attribuito al personale scolastico, che diventa parte del percorso assistenziale. «Siamo ben felici di collaborare in un eventuale percorso di formazione – commenta il presidente della
Società italiana di diabetologia (Sid) Giorgio Sesti – perché un bambino che non assume correttamente l’insulina può avere serie complicanze sia a breve che a lungo termine».
«Con queste due mozioni si dà risposta a un problema che si trascina da anni, che molte Regioni hanno saputo risolvere con ottimi risultati ma per il quale in altre regioni ancora tutto è indefinito», sottolinea la senatrice Manuela Granaiola (Pd).
Esiste, precisa d’Ambrosio Lettieri, «un corto circuito in Italia tra diritto alla salute e diritto allo studio, che il Governo deve riparare». Il governo, conclude Orellana, «assumendo tali impegni dà un segnale importante di sensibilità e attenzione ad un tema serio che coinvolge migliaia di scuole e di studenti su tutto il territorio nazionale, al quale dovrà dare seguito».

La valutazione dei DS: una occasione per recuperare ruolo e autonomia nei processi di riforma?

da la Repubblica

La valutazione dei DS: una occasione per recuperare ruolo e autonomia nei processi di riforma?

di Antonio Valentino

Lo scorso anno scolastico, per le nostre scuole, ma soprattutto forse per i DS, è stato uno di quelli che a solo  pensarne  un bis crea angoscia più che sconforto.Doveva essere il primo anno della riforma.

Di una riforma che prevede per il DS nuove funzioni importanti, nei rapporti di lavoro e nella direzione complessiva, che hanno suscitato e continuano a suscitare tante discussioni e problemi[1] , ma che aprono forse qualche finestra promettente sul panorama piuttosto deludente della nostra scuola. Le richiamo sinteticamente nella Scheda in fondo.

“DS come leva e motore della scuola riformata”, si è detto e ripetuto.

Cosa ne è stato invece? Neanche prima dell’autonomia scolastica arrivavano alle scuole – tra  circolari e direttive, linee di indirizzo e provvedimenti di ogni tipo – tante disposizioni, tutte stringenti e soprattutto impegnative, in buona  misura nuove di zecca. E  tutte con scadenze talmente ravvicinate che hanno fatto pensare che al ministero si fossero persi agende e calendari.

Adempimenti che ovviamente andavano ad assommarsi  a scadenze e problemi sempre più complessi di gestione del quotidiano, che per una consistente fetta di DS andavano moltiplicati per due, per via delle reggenze.

Un elenco non completo: PTOF e PdM e impegni legati al RAV, la nuova problematica (molto) scommessa della valorizzazione del merito, con i  Comitati di Valutazione (tra l’altro, con un esterno nominato dall’USR con la velocità di un bradipo) da far eleggere in Collegio Docenti e Consiglio di Istituto, la costituzione delle reti di ambito che è novità complessa e particolarmente impegnativa, la cosiddetta  chiamata per competenze che ha, tra l’altro, impedito a tanti DS di fruire delle ferie, l’organizzazione dell’alternanza nelle scuole superiori, la formazione e la cura dei docenti nell’anno di prova secondo modalità completamente rinnovate, l’attribuzione del bonus , eccetera.

Potenziamento delle funzioni, come si è detto. Nuovi poteri dunque, che però difficilmente, nelle condizioni date, il DS poteva gestire con la necessaria preparazione e con la cura che sempre richiedono le cose nuove e impegnative.  Tra l’altro, molti DS erano di nuova nomina.

Tra errori e pressappochismo

Questa semplice constatazione, diffusamente condivisa, avrebbe  richiesto all’Amministrazione, in fase di prima attuazione soprattutto, che la loro gestione – delle nuove prerogative, intendo – fosse opportunamente curata. Non assumere questo dato,  e sottovalutarne l’impatto, ha fatto sì che non venissero prese misure e iniziative adeguate di necessaria formazione (e non solo di burocratica informazione, a suon di slide) e non venissero offerte adeguate garanzie.

La cattivissima gestione dei tempi – assieme all’assenza  di momenti adeguati (cioè veri) di approfondimento su senso e valore delle nuove disposizioni e della loro assimilazione – è stato forse l’aspetto più inquietante di tutta l’operazione sulla riforma messa in campo lo scorso anno.

Il DS, per il quale era previsto un profilo potenziato per esercitare la sua leadership nei processi ,  è stato di fatto ridotto a esecutore succube di disposizioni e provvedimenti che arrivavano nelle scuole – senza che se ne fosse parlato o discusso prima nelle sedi opportune – e di cui molte volte era difficile capirne il senso e condividerlo.

C’è da chiedersi pertanto che dirigente è stato – è potuto essere – il DS lo scorso anno: senza spazi e possibilità  per la riflessione e la metabolizzazione delle nuove funzioni, mandato  allo sbaraglio, assediato dall’accavallarsi di sempre nuovi adempimenti, stressato da un clima interno spesso conflittuale e, in non pochi casi, ulteriormente appesantito dalle responsabilità delle reggenze e  da una gestione delle scadenze ordinarie e del quotidiano sempre più difficile.

Con tutta la buona volontà, anche il più integrato dei dirigenti ministeriali avrebbe  difficoltà a vedere, nel DS all’opera lo scorso anno – e nonostante la disponibilità individuale -, “il motore e la leva” dei nuovi processi;  o il costruttore di “comunità professionale e sociale” che pure fa capolino in qualche passaggio della Legge (soprattutto nei commi 3 e 93)[2]; o   il leader di Learning Organizzations per una scuola con curricoli “arricchiti”[3].

Prospettive per l’anno in corso? A quali condizioni?

Che fare? Penso a questo punto che, se si vuole contrastare l’immagine di un DS come funzionario senza autonomia, puro esecutore di direttive ministeriali, e recuperare il senso di una leadership impegnata a costruire un clima cooperativo e produttivo, occorra mettere al primo posto l’idea che il rinnovamento ha bisogno di persone consapevoli, “attrezzate” e motivate e di tempi non ansiogeni.  Occorrano quindi, rispetto alle varie partite dello scorso anno, letture critiche delle esperienze fatte  e ripensamenti sensati, aggiustando  di volta in volta quel che si ritiene, come singola scuola e come sistema, di dover  aggiustare[4].

Ma l’obiettivo prioritario:  riconsiderare i provvedimenti dello scorso anno e ricollocarli in una diversa agenda (che significa: individuazione delle priorità e tempistica ragionevole, predisposta cioè in modo che tempi delle varie operazioni siano opportunamente distesi; che non vuol dire opportunisticamente dilatati) richiede un primo passo che è oggi un vero e proprio

imperativo: ricreare a tutti i livelli un clima di ascolto (attivo, direbbe Marinella Sclavi) e di fiducia reciproca,  soprattutto tra l’Amministrazione e chi, a vario titolo, rappresenta il mondo della scuola  (penso soprattutto alle organizzazioni sindacali e al loro ruolo di concertazione e contrattazione, importante in questa fase, e alle  Associazioni professionali che di cose utili ne hanno da dire).

La valutazione dei DS come occasione strategica?

Se si assume tale obiettivo prioritario, ma dentro relazioni – tra i soggetti protagonisti – che superino finalmente contrapposizioni, spesso di principio, che non aiutano nessuno e soprattutto la nostra scuola a uscire dallo stallo attuale –  si tratta di capire su quali leve e opportunità poter contare e a quali  condizioni pensare.

In questa ottica, – domanda – la novità della valutazione del DS prevista per l’anno in corso  – ma anche le indicazioni e le risorse per la formazione dell’apposito recente Piano  Nazionale [5] – possono essere viste e “agite” come opportunità per approfondire  e ripensare criticamente sia i provvedimenti dello scorso anno sul potenziamento delle funzioni del DS, sia, soprattutto, la loro gestione? Potrebbe  essere una sfida sensata farli diventare momenti in cui si sviluppi autoanalisi delle esperienze fatte e ci si attrezzi meglio rispetto a senso e procedure per i vari provvedimenti?

Non ci si può negare che, per i nostri ragionamenti, il modello valutativo scelto dal Ministero – in continuità con quello già utilizzato per l’Auto Valutazione di Istituto (AV) e il Rapporto di Autovalutazione (RAV) – presenta, rispetto alla valutazione prevista, oggettivi livelli di debolezza (come ha argomentato recentemente Franco De Anna[6]), di cui avere consapevolezza.

La valutazione del DS infatti, nelle Linee Guida:

  1. si configura essenzialmente come AV (con tutti i forti rischi di autoreferenzialità che essa si tira dietro); risultando di modesta rilevanza la valutazione esterna. Infatti, la lettura, da parte del Nucleo Esterno di Valutazione (NEV), dei documenti che il DS è chiamato a produrre (18!) e  qualche incontro sporadico con i valutatori non garantiscono affatto  rispetto ai rischi prevedibili. Da cui  “l’intrinseca debolezza validativa e la difficoltà di individuare correttivi” (Franco De Anna) che valgano a produrre miglioramenti e sviluppo professionale. È lo stesso senso. della valutazione che ne uscirebbe fortemente indebolito.
  2. Utilizza sostanzialmente schede  e griglie standard che di fatto automatizzano e “conformizzano” il processo valutativo. Si riduce così la possibilità di cogliere, attraverso un approccio analitico e clinico (vs standardizzato),  le esigenze specifiche e prioritarie del valutato, e quindi le eventuali direzioni del suo sviluppo professionale.
  3. Assume a riferimento “criteri” di valutazione (quelli del comma 93)  che presentano però sovrapposizioni e sconnessioni e rinviano a  un profilo professionale di difficile decifrazione;  e tale comunque da non permettere di cogliere il core della figura del DS (La gestione delle risorse umane – in termini di valorizzazione e  cura dello loro sviluppo professionale – e in essa la centralità della relazione? L’orientamento al risultato come priorità? Il miglioramento delle pratiche professionali interne per il raggiungimento degli obiettivi formativi attesi? La costruzione di una comunità di pratiche e quindi di una leadership condivisa? …).

Le condizioni

Questi rilievi critici hanno certamente un peso che non può essere trascurato nel complessivo impegno di ripensamento che qualcuno dovrà pure prevedere, se non si vuole compromettere tutto e continuare con le solite litanie. Tuttavia penso – mi piace pensare – che, nonostante queste oggettive debolezze, nella fase attuale, privilegiare l’ AV nel processo valutativo, possa ancora essere, a determinate condizioni, unaoccasione / opportunità per mettere ordine, nelle pratiche delle scuole,  tra i vari provvedimenti e processi attivati e mettere in fila gli adempimenti prioritari, secondo criteri di fattibilità e di efficacia; ma anche per attrezzarsi (sviluppare professionalità) per presidiare e orientare al meglio i processi in atto.

Le condizioni che le esperienze dello scorso anno, come si è visto, hanno indicato come fondamentali per recuperare senso e fattibilità, mi sembrano soprattutto queste:

–          La prima condizioneche l’AV sia sostenuta da una formazione che assuma la valutazione come “mossa riflessiva” (Egle Becchi) e si caratterizzi come ricerca sul campo, individuale e “collettiva”. Dove, ricerca sul campo significhi ricerca-azione e il lavoro in gruppo sia garanzia dello sguardo altro che  sempre una seria valutazione (e formazione) comporta.

–          La seconda: i tempi (in tutti i casi in cui ciò sia possibile; che sono la maggioranza) siano definiti in rapporto alle specificità delle diverse situazioni e ben schedulati (come si dice), dentro un agenda che abbia un respiro biennale (per stare dentro l’arco triennale del PTOF)[7]. E ciò, proprio per permettere di approfondire, sistematizzare e aggiustare obiettivi e procedure su cui le scuole si sono tormentate lo scorso anno.

Le due precedenti condizioni però – se anche rendono possibile, per il DS, un ruolo attivo di motore e una funzione di leva nei processi di riforma – non garantiscono, ovviamente, e in modo automatico, percorsi qualificati e risultati accettabili al suo lavoro (altre e fondamentali condizioni si richiedono, ovviamente, perché le scuole possano fare bene e fino in fondo la loro parte).

Possono Introdurre tuttavia elementi qualificanti di senso e di razionalità operativa e favorire lo stesso processo di valutazione[8].

La pre-condizione

Questi ragionamenti e ipotesi di lavoro presuppongono, però,a loro volta, una pre-condizione.

E cioè che il Ministero

  • riconosca (come ha cominciato a fare – se sono veritiere, come penso lo siano, le affermazioni di Faraone nell’intervista a Orizzonte scuola dello scorso fine luglio -) l’insostenibilità delle modalità di gestione della riforma che si sono viste lo scorso anno;
  • recuperi il senso di una gestione delle proprie funzioni  meno invadente e dirigistica. Che significa anche: più rispettosa delle prerogative del DS e delle scuole;
  • emani direttive sobrie e operativamente essenziali
  • garantisca le risorse necessarie in modo tempestivo.

È questa pre-condizione quella necessaria per ricreare un clima di  fiducia reciproca tra i vari soggetti in campo e di riconoscimento dei rispettivi ruoli.

–          Si vuole la luna?

 LE NUOVE FUNZIONI DEL DS NELLA LEGGE 107/2015

  • Valuta motivatamente gli insegnanti per l’attribuzione del bonus (sulla base di criteri elaborati dal Comitato di Valutazione di ciascuna scuola) e valorizza meriti professionali e impegno del personale,
  • Contribuisce, secondo le prerogative del suo ruolo, alla realizzazione degli obiettivi di miglioramento previsti nel RAV e nel PdM,
  • Definisce gli indirizzi per il POF triennale,
  • Individua,  tra i docenti che fanno domanda di far parte dell’organico dell’autonomia, quelli che ritiene più adatti al buon funzionamento; sulla base comunque  di definiti e formalizzati criteri,
  • Utilizza  i  docenti  in classi di concorso diverse da quelle per  le  quali  sono  abilitati, purché posseggano titoli validi per  gli insegnamenti  da impartire,.
  • Promuove la partecipazione e la collaborazione delle componenti scolastiche alla vita della scuola e i rapporti con il contesto sociale e le altre scuole

Può inoltre – il DS – individuare, fino al 10% dell’organico, i docenti che lo coadiuvano nelle funzioni didattico-organizzative.

[1] Con  “la cosiddetta “chiamata diretta” dei docenti e l’autorità salariale sulla premialità dei docenti (….) la figura del ds non è più quella che avevamo conosciuto”. Così Dario Missaglia, in Dirigenti scolastici e  Collegio docenti: un nodo da ripensare, in un articolo recente reperibile su  www.scuolaoggi.org

[2] V. in proposito, di Giancarlo Cerini (a cura di), Dirigenti scolastici di nuova generazione, Maggioli editore, 2015; in particolare, dello stesso curatore, “I Dirigenti come costruttori di comunità” pp. 163 sgg

[3] Comma 7 della legge di riforma.

[4] Il sottosegretario Faraone, nell’intervista di fine luglio a Orizzonte Scuola, ha detto sul punto, cose analoghe.

[5] La direttiva per la valutazione dei DS prevede, come è noto,  momenti formativi  ad hoc per ds e valutatori (art. 11): “Per una piena e approfondita comprensione dei passaggi che hanno portato alla definizione del nuovo quadro, risulta determinante il coinvolgimento e la partecipazione attiva da parte dei Dirigenti, soprattutto attraverso le prime azioni di informazione e formazione”.

[6] In “Le linee e il fronte”,  reperibile on line http://www.pavonerisorse.it/buonascuola..htm. Per una analisi complessiva del modello valutativo si rinvia anche ad altri più recenti articoli  di Franco De Anna, sempre sullo stesso sito: “Il dirigente scolastico, tra idealtipi e ricerca di status” ; “L’aquila e il cavallo. Ovvero la valutazione dei Dirigenti”.

[7] L’utilizzo sia per le attività formative che per la gestione dei processi previsti nel comma 93, a strumenti di pianificazione e di controllo di tempi e di risorse come ad esempio, Il diagramma di Gannt, già utilizzato in alcune scuole,  può certamente favorire la messa in campo e la realizzazione di una tale ipotesi di lavoro.

[8] Penso che una tale prospettiva sia conciliabile con (percorribile dentro) i percorsi e i passaggi previsti dalle Linee guida per la valutazione dei DS. Non si negherebbe alla valutazione del DS il suo essere strumento di controllo e di verifica dell’efficacia dell’azione dirigenziale su base annuale e modalità con  cui riconoscere alla stessa efficacia ed efficienza attraverso la Retribuzione di Risultato. Si caratteri rizzerebbe invece la valutazione come attività formativa volta a sviluppare capacità di autoanalisi e di autovalutazione e quindi di interrogazione delle proprie esperienze e di conseguente mirato sviluppo professionale da documentare nel previsto Portfolio. Si aprirebbero così finestre, che le Linee Guida tengono chiuse, attraverso cui recuperare  misure di supporto ai processi di autovalutazione (e di preliminare autoanalisi) e contestualmente  misure di sostegno per gestire in modo ottimale le novità dei processi di riforma in atto

Alternanza scuola-lavoro, al Sud ci sono difficoltà: lo dice anche il Miur

da La Tecnica della Scuola

Alternanza scuola-lavoro, al Sud ci sono difficoltà: lo dice anche il Miur

Dopo la presentazione dei giorni scorsi, su un anno di attività post riforma, ora anche il Miur ammette che vi sono delle difficoltà nell’organizzare esperienze di stage in azienda.

Soprattutto al Sud. Lo ha detto, il 26 ottobre a Firenze, il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, parlando a margine della presentazione del progetto ‘Campus per l’Innovazione del Made in Florence risultato vincitore di un bando del Miur per la realizzazione di laboratori territoriali nell’ambito del piano nazionale per la scuola digitale.

” Registriamo difficoltà nel sistema dell’alternanza scuola-lavoro al Sud dove molte sono le richieste e molti i ragazzi, ma assai minori le possibilità del tessuto produttivo su questo fronte”, ha spiegato il rappresentante di Governo.

“Penso – ha aggiunto – che sarà necessario effettuare un attento monitoraggio su come aiutare i ragazzi del Sud ad avere le possibilità offerte ai ragazzi di altre zone geografiche”.

“Su questo, mi appello anche alle imprese, al settore del turismo, dei musei e delle amministrazioni comunali perché in quelle aree aprano le porte ai giovani dell’alternanza scuola-lavoro”, “sono anche fiducioso che nella legge di stabilità si possano avere risorse per aiutare le imprese che fanno alternanza”, ha concluso il sottosegretario.

Arriva la proroga per la chiusura dei PON Lan/Wlan e Ambienti digitali

da La Tecnica della Scuola

Arriva la proroga per la chiusura dei PON Lan/Wlan e Ambienti digitali

Le scuole non ce la faranno a rispettare la scadenza del 31 ottobre per la chiusura dei PON rete LAN/WLAN e Ambienti digitali. Infatti, sono state diverse le istituzioni scolastiche che hanno richiesto la proroga.

In risposta a queste richieste e anche considerato che si tratta dei primi avvisi della programmazione 2014-2020, il Miur ha disposto una proroga a dicembre, in particolare al 15 dicembre per l’avviso prot. n. 9035 del 13/07/2015 (rete LAN/WLAN) e al 31 dicembre per l’avviso prot. n. 12810 del 15/10/2015 (Ambienti digitali).

Come precisato dal Ministero, “si tratta di proroghe eccezionali in quanto eventuali ritardi maturati nelle varie fasi di avanzamento dei progetti possono comportare il rischio di disimpegno finanziario del Programma Operativo di riferimento, nonché avere una ripercussione sulla stipula dei contratti e sulle relative consegne”.

Le scuole, dunque, per il futuro sono invitate a programmare più adeguatamente le procedure di gara, al fine di evitare che i ritardi delle stazioni appaltanti possano comportare una eccessiva riduzione non giustificata dei tempi per la presentazione delle offerte, la stipula dei contratti, le consegne ecc.

Alternanza scuola lavoro: via libera alla personalizzazione

da La Tecnica della Scuola

Alternanza scuola lavoro: via libera alla personalizzazione

400 ore di alternanza scuola lavoro (200 nei licei) sono tante. Non è possibile standardizzare i percorsi per tutti gli alunni. Via libera dunque ai percorsi personalizzati, basta che siano esplicitati nel Ptof.

Lo dice una faq del Miur pubblicata il 25 ottobre, che suggerisce di evitare di applicare nei progetti di alternanza modelli standardizzati, concepiti per percorsi identici per tutti, bensì di adeguare i progetti alle esigenze specifiche degli studenti, che spesso esprimono bisogni formativi differenziati. “L’alternanza entra a tutti gli effetti nel curricolo personalizzato dello studente e, più in generale, della scuola che, attraverso le proprie scelte e le forme di collaborazione sviluppate con il territorio, esprime e valorizza la propria autonomia didattica e organizzativa”.

Il progetto o i progetti di alternanza elaborati dalla scuola devono essere inseriti nel Ptof in modo da assicurare sia l’unitarietà complessiva, sia la personalizzazione, tenendo conto delle attitudini e degli interessi dei singoli alunni

Il Ptof può comprendere e valorizzare anche i periodi di apprendimento all’estero, tenuto conto dell’indubbio valore formativo che un periodo di formazione all’estero rappresenta per uno studente della scuola secondaria di II grado sotto il profilo personale, culturale e professionale. Le modalità con cui inserire l’esperienza realizzata all’estero nel progetto di alternanza possono essere varie e stabilite in autonomia.

La finalità dell’ASL è quella di motivare gli studenti, orientarli e far acquisire competenze spendibili nel mondo del lavoro, coerenti col profilo educativo, culturale e professionale del corso di studio. Alle scuole è richiesto un grande sforzo progettuale e la capacità di valorizzare al massimo la propria autonomia e gli strumenti a disposizione, coniugando le scelte educative/formative con i fabbisogni professionali del territorio e le personali esigenze formative degli studenti.

Una cosa tuttavia deve essere chiara: i percorsi in alternanza sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica (D.lvo 15/04/2005, n. 77). I criteri organizzativi e valutativi e le competenze da acquisire devono essere elaborati nel progetto ed esplicitati nel Ptof.

Farmaci a scuola, accolte prime mozioni in Senato

da La Tecnica della Scuola

Farmaci a scuola, accolte prime mozioni in Senato

Il senatore Luis Alberto Orellana (Gruppo per le Autonomie), rende noto l’accoglimento di una mozione approvata dal Senato sulla somministrazione farmaci a scuola.

“L’accoglimento delle mozioni in Senato sulla somministrazione dei farmaci durante l’orario scolastico ai minori affetti da patologie croniche, quali il diabete, dichiara Orellana, rappresenta un primo passo nella salvaguardia dei loro diritti alla salute e all’istruzione”.

Il parlamentare chiede al governo “impegni puntuali al fine di rendere più serena e sicura la vita scolastica di tanti bambini e ragazzi, la cui assistenza ricade prevalentemente sulle famiglie, che quotidianamente si trovano in una condizione di solitudine e di affaticamento.”

“Il nostro obiettivo – prosegue – è dotare gli istituti scolastici dei mezzi necessari per sostenere gli studenti con patologie croniche, con riferimento alla formazione del personale, ai controlli periodici della glicemia, alla gestione di eventuali crisi glicemiche e alla somministrazione di farmaci in orario scolastico, tramite personale competente.”

“Il governo – conclude Orellana- assumendo tali impegni dà un segnale importante di sensibilità e attenzione ad un tema serio che coinvolge migliaia di scuole e di studenti su tutto il territorio nazionale, al quale dovrà dare seguito assicurando ai minori tutta l’assistenza necessaria anche, mi auguro, attraverso personale infermieristico.”

Concorsi pubblici, graduatorie prorogate di un anno

da La Tecnica della Scuola

Concorsi pubblici, graduatorie prorogate di un anno

Le graduatorie dei concorsi pubblici in scadenza al 31 dicembre 2016 saranno prorogate di un anno: al 31 dicembre 2017. Lo slittamento di un anno lascerà in vità – come riporta Italia Oggi – le speranze di 4.471 vincitori di concorso e 151.378 idonei. Questi sono i numeri, secondo il monitoraggio della Funzione Pubblica (sul sito monitoraggiograduatorie.it) che riguarda l’enorme mole di aspiranti dipendenti pubblici che da anni aspettano il loro posto. L’annuncio è arrivato dal ministro Madia in risposta alla richiesta dell’Anci. Il tutto avverrà attraverso il decreto milleproroghe di fine anno. Per quanto riguarda l’Università sono 21 i vincitori da assumere, mentre gli idonei per un’eventuale assunzione sono 8.969.