Albo signanda lapillo

Albo signanda lapillo

di Maurizio Tiriticco

Gli Antichi Romani erano soliti contrassegnare con una pietra bianca un avvenimento positivo e con una pietra nera un avvenimento negativo, infausto. Ma vengo al dunque. Com’è noto, tra la Giannini e Renzi non corre buon sangue e sembra che il Presidente del Consiglio dei Ministri non veda l’ora per… per cui, basterebbe solo un piccolo “errore” della nostra ministra, bollato con la pietra nera, e la Giannini salterebbe. Ebbene, voglio dare una mano a Renzi e così sollecitare sorrisi di gioia – non parlo di risa, perché non si sa chi le succederebbe – di insegnanti e studenti! E veniamo al piccolo errore che la Giannini ha già commesso, che poi piccolo non è affatto! Però, occorre riandare lontano nel tempo!

Parliamo di un esame che tutti si ostinano a chiamare ancora di maturità, quando invece non lo è più, o meglio non dovrebbe più esserlo!!! Infatti, è dal 1996 – sono passati quasi venti anni… venti!!! – che con la legge 425 del 1997 abbiamo abrogato la legge precedente (L. 119/1969) che regolava l’esame – quello sì – di maturità. Tant’è che la legge di riforma non parla affatto di maturità; infatti in epigrafe così recita: “Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore”. La maturità, quindi, non esiste più! Ma l’innovazione più importante e innovatrice della riforma la riscontriamo soprattutto nell’articolo sei, in cui leggiamo: CERTIFICAZIONI – Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle COMPETENZE, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Oggi, con un linguaggio più “maturo” e più diretto, parleremmo di CERTIFICAZIONE delle COMPETENZE. Ma queste vengono certificate? No! Oggi, giostriamo con i punteggi come ieri giostravamo con i voti! Ma la modifica sostanziale dell’esame non viene detta… perché, di fatto, non c’è. E – lo ripeto – sono passati quasi vent’anni!

Il testo della legge è noto. Ma è opportuno sottolineare che un fattore fondamentale del riordino – oltre alla tipologia delle prove – consisteva – e dovrebbe consistere – nella sostituzione dei tradizionali voti decimali con i punteggi. Il che avrebbe dovuto rivoluzionare i criteri valutativi di sempre, ma… quando si legge sulla OM relativa agli esami di ogni anno (si veda l’articolo 20 dell’ultima OM del 19 aprile 2019) che la Commissione “dispone di 15 punti massimi per la valutazione di ciascuna prova scritta per un totale di 45 punti; a ciascuna delle prove scritte giudicata sufficiente non può essere attribuito un punteggio inferiore a 10”, emerge un dubbio grosso così! Non si può pensare in voti e tradurli in punteggi! Sono il diavolo e l’acqua santa! Il fatto è che un conto è valutare con i voti tradizionali, altro conto è misurare adottando punteggi. Si tratta di mondi diversi, di operazioni diverse che impongono approcci valutativi diversi! E non si possono assolutamente né comparare né confondere! Quali contributo viene dal Miur per gli insegnanti in materia di valutazione, se lo stesso Miur cade in errori così grossolani?

E ancora! All’articolo 6 della legge di riforma leggiamo: “A conclusione dell’esame di Stato è assegnato a ciascun candidato un voto finale complessivo in centesimi, che è il risultato della somma dei punti attribuiti dalla commissione d’esame alle prove scritte e al colloquio e dei punti per il credito scolastico acquisito da ciascun candidato”. La parola voto in tutta la legge viene citata una sola volta e riguarda solo l’attribuzione, da parte della commissione, del voto finale, che conclude la valutazione – o meglio la misurazione – in punteggi delle prove scritte e del colloquio. Va ribadito che – per norma – si tratta di un colloquio che è altra cosa rispetto ai consueti esami orali relativi a ciascuna delle singole discipline di studio. In effetti, si tratta di un colloquio che deve essere multidisciplinare, come si recita in tutte le ordinanze che di anno in anno disciplinano modi e tempi dell’esame. E’ bene ricordare che anche l’ultima OM del 19 aprile 2016, prot. N. 252, tra l’altro così recita: Il colloquio “si svolge su temi di interesse multidisciplinare”. Ma i nostri commissari, nonostante sia trascorso quasi un ventennio dalla riforma dell’esame, continuano a insistere sugli esami per disciplina, se non per materia (che è cosa ancora molto più scolastica) anche se alcune rarae aves probabilmente esistono. Il che accade perché predisporre, condurre, gestire un colloquio è molto difficile per moltissimi dei nostri insegnanti che, in effetti, sono scarsamente soliti colloquiare, ma soliti, invece a interrogare! Basterebbe una leggina di una riga: “Nella scuola italiana le interrogazioni sono abrogate!” Che festa per gli studenti! Che dramma per i nostri insegnanti, soliti alla tripletta di sempre: spiegazione, compito, interrogazione.

Potrei andare avanti per ore – o per caratteri – ma è venuto il momento in cui casca l’asino, o meglio potrebbe cadere la nostra ineffabile e sempre sorridente ministra! Che asina non è affatto! La ministra è di buona volontà e vorrebbe metter mano all’esame cosiddetto di maturità e da tempo, ma poi è sempre stoppata dal suo Presidente del Consiglio dei Ministri che non sembra avere fretta, anche se – con il suo linguaggio un po’ aziendalistico – riconosce che per questo tipo di esame sarebbe opportuno andare a qualche significativo ritocco, onde evitare – penso – una definitiva rottamazione.

Quest’estate – non ricordo esattamente quando – il Ministro Gianni nel corso di una videochat in diretta con la TV di Skuola.net, aveva parlato della necessità di metter mano all’esame di Stato: “La maturità in Italia valorizza ancora le conoscenze. E’ indubbio che, però, abbia bisogno di un tagliando. Lo stiamo facendo; l’anno prossimo ci saranno delle sorprese. Per dare agli studenti un esame più aggiornato, che apra verso il futuro sia esso all’università o nel mondo del lavoro”. In effetti, nella legge 107/15 si evince la necessità di un adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato. Ma ciò che più spaventa è che un ministro Miur parli ancora di maturità, ribadendo un concetto che nella testa di tanti, purtroppo, esiste ancora e che è duro a morire. Il che, dopotutto, non deve stupire più di tanto! Infatti, abbiamo cassato un esame centrato sulla MATURITA’ di un candidato, ma ancora non abbiamo individuato, descritto e definito quali sono le COMPETENZE finali che bisogna certificare. Ma allora che esame è? Mah!!!

Mi viene in mente un vecchio detto: tra zuppa e pan bagnato non corre alcuna differenza!

Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e tutela dei diritti

Superando.it del 29-10-2016

Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e tutela dei diritti

di Giampiero Griffo*

Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2015-2030, fissati nel settembre 2015 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, contengono numerosi passaggi in cui si parla esplicitamente dei diritti delle persone con disabilità, toccando temi che riguardano proprio una serie di tradizionali richieste delle Associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie. Pertanto, conoscere bene tale documento, intrecciandolo anche con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, può certamente contribuire all’elaborazione di concrete proposte d’azione, anche a livello italiano.

L’approvazione da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, dei diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals), avvenuta – come ampiamente riferito anche su queste pagine – il 25 settembre dello scorso anno, all’interno del documento Transforming our World: the 2030 Agenda for Sustainable Development, ha posto in evidenza la necessità di fare un salto di qualità nella definizione delle politiche di sviluppo in tutti i Paesi delle Nazioni Unite. Se infatti le strategie in passato si limitavano a fissare obiettivi senza specifiche relazioni tra di loro (eradicare la povertà; intervenire sui disastri umani e naturali; combattere i cambiamenti climatici; realizzare politiche di sviluppo), oggi invece è cresciuta la consapevolezza che tutti questi elementi critici hanno uno stretto legame tra loro: i disastri colpiscono lo sviluppo e aggravano le condizioni di povertà; lo sviluppo economico deve includere tutti i cittadini, senza lasciare nessuno indietro e prevenire i disastri e ridurre le emissioni di anidride carbonica e così via.
Quel documento impegna inoltre i Governi a includere nelle decisioni sia di politica interna sia di intervento nella cooperazione internazionale gli elementi contenuti negli Obiettivi. Conoscerlo bene, quindi, può aiutare il movimento per i diritti delle persone con disabilità nella sua azione di tutela dei diritti umani, intrecciandolo strettamente alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Come avevamo infatti annotato a suo tempo, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile includono i diritti di tutti i cittadini e in ben sette punti citano esplicitamente le persone con disabilità. Vediamoli da vicino.

Innanzitutto viene sottolineata l’importanza di tutti gli strumenti internazionali di tutela dei diritti umani – tra cui, quindi, anche la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – e l’impegno degli Stati a rispettare la Carta delle Nazioni Unite, che sottolinea come i Paesi Membri debbano «rispettare, proteggere e promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti», anche per le persone con disabilità (punto 19).
Allo stesso tempo, il punto 23 afferma che tutte le persone vulnerabili – con citazione esplicita delle persone con disabilità – debbano essere rafforzate nelle loro capacità e nella partecipazione alla società e che gli Stati debbano assumere più forti ed effettive misure per rimuovere ostacoli e resistenze, rafforzando il sostegno ai bisogni speciali anche in situazioni di aiuti umanitari.
E ancora, tutte le persone – e anche quelle con disabilità -, come recita il punto 25, devono «avere accesso a opportunità di apprendimento permanenti che permettano loro di acquisire gli strumenti e le conoscenze necessarie per partecipare pienamente alla vita sociale».

Guardando poi specificamente ai diciassette Obiettivi, all’interno dell’Obiettivo 4 (Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti), il punto 4.5 impegna ad «eliminare entro il 2030 le disparità di genere nell’istruzione e garantire un accesso equo a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale delle categorie protette, tra cui le persone con disabilità», mentre il punto 4.a chiede di «costruire e potenziare le strutture dell’istruzione che siano sensibili ai bisogni dell’infanzia, alle disabilità e alla parità di genere e predisporre ambienti dedicati all’apprendimento che siano sicuri, non violenti e inclusivi per tutti».
Successivamente, all’interno dell’Obiettivo 8 (Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti), il punto 8.5 dichiara che entro il 2030 bisogna «garantire un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per donne e uomini, compresi i giovani e le persone con disabilità, e un’equa remunerazione per lavori di equo valore».
Anche l’Obiettivo 10 (Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni), prevede al punto 10.2 che entro il 2030 si debba «potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, genere, disabilità, razza, etnia, origine, religione, stato economico o altro», e l’Obiettivo 11 (Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili) parla al punto 11.2 della necessità di garantire a tutti, entro il 2030, «l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con disabilità e anziani». Il punto 11.7, quindi, sottolinea a propria volta che si dovrà «fornire, entro il 2030, accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e persone con disabilità».
Per quanto poi concerne le cosiddette “Attività sistemiche”, nell’area del Partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile (Obiettivo 17), al punto 17.18 si afferma che entro il 2020 – attenzione alla data diversa rispetto ai precedenti passaggi – si dovrà «rafforzare il sostegno allo sviluppo dei Paesi emergenti, dei Paesi meno avanzati e dei piccoli Stati insulari in Via di Sviluppo. […] Incrementare la disponbilità di dati di alta qualità, immediati e affidabili, andando oltre il profitto, il genere, l’età, la razza, l’etnia, lo stato migratorio, la disabilità, la provenienza geografica e altre caratteristiche rilevanti nel contesto nazionale».

Infine, il punto 74 del documento sottolinea che «i processi di monitoraggio e verifica sono orientati dai seguenti principi che si articolano su tutti i livelli: […] g. Saranno rigorosi e basati su delle prove, aggiornati da valutazioni condotte dai Paesi e da dati di alta qualità, accessibili, tempestivi, attendibili e disaggregati per reddito, genere, età, razza, etnia, stato della migrazione, disabilità, provenienza geografica e altre caratteristiche rilevanti nel contesto nazionale».

La lista di tutte queste indicazioni, pertanto, tocca molti temi che riguardano tradizionali richieste delle Associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie. Ecco quindi una buona ragione per approfondire questa strategia delle Nazioni Unite e conseguentemente ad essa elaborare proposte di azioni a livello italiano.

Giampiero Griffo,
Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International)

A. Barbero, Il divano di Istanbul

Un passato liberato

di Antonio Stanca

barberoAlessandro Barbero è professore ordinario di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale a Vercelli. Oltre alla storia medievale i suoi studi riguardano pure la storia militare e molti saggi ha pubblicato su questi argomenti. Tra gli altri sono comparsi quelli su Carlo Magno, sulle guerre in Europa, sulla battaglia di Waterloo, sulle invasioni barbariche, sulla battaglia di Lepanto fino al più recente dedicato alla storia dell’Impero ottomano e intitolato Il divano di Istanbul. E’ stato pubblicato nel 2015 dalla casa editrice Sellerio di Palermo (pp.207, € 13,00).

Barbero collabora con giornali e riviste e partecipa a trasmissioni televisive quali “Superquark”, “a.C. d.C.” e “Il tempo e la storia”. E’ anche autore di romanzi storici e nel 1996 il suo Bella vita e guerre altrui di M.Pyle gentiluomo ha vinto il Premio Strega ed è stato tradotto in sette lingue.

Molti sono gli interessi del Barbero che, nato a Torino nel 1959 e qui laureatosi nel 1981, ha cominciato d’allora con l’attività di ricercatore di storia medievale e in seguito con quella di scrittore di romanzi. Un’attività particolarmente intensa che lo ha fatto diventare un docente universitario e l’autore di molte opere storiche, di molti interventi su giornali, riviste e in televisione e di alcuni romanzi.

Nel 2005 è stato nominato Cavaliere dell’Ordre des Arts et des Lettres.

Nel recente Il divano di Istanbul compie un’operazione molto interessante, percorre la storia dell’Impero ottomano dagli inizi nel XIV secolo alla fine nel XX secolo, dalla sua nascita sulle rovine dell’Impero romano d’Oriente alla sua decadenza, da quando Costantinopoli si chiamava Bisanzio a quando si sarebbe chiamata Istanbul. Era stato un impero fondato da popoli nomadi che, a cavallo e armati di arco e frecce, si spostavano in continuazione con le loro mandrie di buoi e di cavalli. Da quei tempi remoti, da quando nel Trecento la dinastia ottomana aveva cominciato ad espandere i suoi possedimenti verso l’Anatolia, attuale Turchia, e verso i Balcani, il Barbero muove nel suo libro e giunge ai tempi moderni soffermandosi su ogni particolare di un avvenimento così importante, di un fenomeno storico così esteso, sulla varietà di popoli, stati, lingue, religioni, tradizioni, culture che avevano costituito l’Impero ottomano. Era stato un impero multietnico, multireligioso, aveva compreso l’intera aera dell’Asia Minore, si era formato tra Occidente ed Oriente, tra Europa ed Asia, i suoi confini erano andati da Algeri alla Mecca, da Baghdad a Belgrado. La stessa capitale, Costantinopoli, sede del palazzo del sultano, cioè dell’imperatore, delle sue donne, dei suoi domestici e del suo corpo diplomatico, era duplice: a nord il Bosforo conduceva verso il Mar Nero e l’Asia, a sud verso il Mar di Marmara, il Mediterraneo e l’Europa. Anche la posizione della capitale era significativa dei due mondi, delle due civiltà che componevano l’Impero.

L’Islam era la religione ufficiale di un Impero dove il sultano era anche il califfo, cioè la massima autorità religiosa, dove i funzionari politici, i magistrati erano anche capi religiosi, dove non si distingueva tra politica e religione e, in mancanza di un clero, gli imam erano le guide spirituali che operavano presso il popolo e guidavano alla preghiera. Non solo quella islamica, però, era la religione praticata ma anche altre come il cristianesimo e l’ebraismo erano diffuse e venivano tollerate diversamente da quanto succedeva nell’Europa Occidentale dove l’Islam era vietato e perseguitato, dove agivano i tribunali dell’Inquisizione. Gli ottomani rispettavano la fede, e non solo, dei popoli sottomessi. A Costantinopoli insieme alle moschee c’erano chiese e sinagoghe e questa è solo una delle tante differenze tra l’Impero e l’Europa, tra l’Oriente e l’Occidente di allora, tra musulmani e cattolici ed ebrei. Altre, molte altre sono state rilevate dal Barbero nel suo libro, che oltre a dire della storia dell’Impero, delle sue origini, della sua formazione, della sua espansione, dei suoi grandi personaggi, dei suoi memorabili eventi, delle sue epiche vicende, delle sue date storiche, dei suoi intrighi, dei suoi segreti, dei suoi eserciti, delle sue flotte, delle sue guerre, delle sue battaglie, delle sue conquiste, degli usi, dei costumi, della vita, della cultura dei suoi popoli, dice pure delle tante differenze che esistevano con l’Occidente europeo. Un confronto continuo compie lo studioso mentre ricostruisce i molti secoli della storia ottomana, un confronto che fa durare per tutti questi secoli durante i quali in Oriente si rimase unici mentre in Occidente si verificarono tanti cambiamenti nella politica, nell’economia, nella cultura. E’ questa una grande differenza tra le due realtà ed un’altra ancora, molto importante, il Barbero indica nella mentalità, nel costume degli orientali. Se rispetto all’Occidente questi rimasero arretrati riguardo alla tecnologia, al sistema finanziario, bancario e ad altri aspetti della vita individuale, sociale, militare, lo superarono nel modo d’intendere, di essere, di fare, di stare. Più aperti, più disposti si mostrarono gli orientali verso l’esterno, verso l’altro, verso quanto di nuovo, di diverso giungeva loro si trattasse di persone o cose, pensieri o azioni. Nell’Impero ottomano gli stranieri trovavano ospitalità, potevano inserirsi senza problemi nei suoi ambienti, tra i suoi abitanti, potevano fare fortuna, carriera, raggiungere alti livelli sociali, diventare comandanti militari, funzionari, ministri dell’imperatore. Più che in Occidente in Oriente contava, veniva apprezzato il merito qualunque fosse la provenienza di chi lo possedeva e questa è una nota molto positiva della civiltà musulmana.

Più civili , più moderni degli europei sono stati gli ottomani dei secoli scorsi se si pensa che ai popoli sottomessi durante le loro conquiste diedero la possibilità di continuare non solo con la loro religione ma anche con tutto ciò che aveva fatto parte della loro vita, se si tiene conto che molti dei notabili operanti a Costantinopoli intorno al palazzo imperiale, molti dei capi militari furono di origine diversa da quella musulmana, furono persone cadute prigioniere o figli di queste, vennero dalle popolazioni conquistate. Molte erano quelle popolazioni e operando in questo modo gli ottomani sono stati capaci di governarle, di far durare per secoli il loro immenso impero. Lo hanno reso unico e multiplo, lo hanno fatto agire da solo e per tutti, lo hanno popolato di gente che solo per metà era musulmana, lo hanno fatto diventare per i poveri d’Europa un punto di riferimento, un posto da raggiungere dove non sarebbero stati trattati come servi ma avrebbero avuto un’alimentazione ed una casa assicurate.

E’ un attributo degno di lode quello che l’opera del Barbero procura ai vecchi popoli del Medio Oriente, è una verità che li libera da quanto di negativo, di pauroso si era formato nell’opinione pubblica occidentale riguardo alla loro storia e altro merito dello studioso sta nell’essere riuscito ad ottenere tanto tramite un linguaggio così chiaro, così semplice, così discorsivo da far assumere a luoghi, tempi, personaggi remoti connotati che li animano, li fanno sembrare vicini quasi fossero quelli di un romanzo.