Giornata delle persone con disabilita’ al MART di Rovereto

Arte.it del 30-11-2016

Giornata delle persone con disabilita’ al MART di Rovereto

Dal 03 Dicembre 2016 al 03 Dicembre 2016
Sito ufficiale: http://www.mart.trento.it

Il 3 dicembre in tutto il mondo si rinnova l’appuntamento con la Giornata delle persone con disabilità, istituita nel 1891 per “per promuovere una più diffusa e approfondita conoscenza sui temi della disabilità, per sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita e per allontanare ogni forma di discriminazione e violenza”.

Per ricordare questa significativa data e per confermare il proprio costante impegno, nella giornata di sabato 3 dicembre 2016 il Mart di Rovereto propone speciali visite all’interno delle sale espositive.

Alle 11 e alle 15 visite alla Collezione permanente con interprete in Lingua dei segni – in collaborazione con Ente Nazionale Sordi.

Alle 15.15 percorso tattile per persone cieche, alla scoperta delle opere del Mart – in collaborazione con Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.

Prenotazioni presso l’Area educazione del Mart: education@mart.tn.it 0464.454159/108

La proposta didattica.
Dal 2016 il Mart è completamente accessibile: l’unica barriera architettonica, che impediva l’accesso al mezzanino del museo, è stata eliminata la scorsa primavera.
A giugno, il team di Viaggio Italia ha inserito il Mart tra le 34 tappe del tour lungo la penisola compiuto dal designer Danilo Ragona e dal musicista Luca Paiardi a bordo delle loro carrozzine.
L’accessibilità al Mart, però, non si limita all’architettura e alla fruibilità degli spazi, ma si concretizza nell’organizzazione di programmi speciali che coinvolgono numerose realtà del terzo settore.
Visite guidate in Lingua dei segni, percorsi tattili, laboratori con mediatori dell’Area educazione, progetti per chi ha bisogni speciali vengono realizzati direttamente in museo o nelle sedi che ospitano e accolgono le persone con disabilità o malattia.

Nel 2016 l’Area educazione del Mart ha coinvolto oltre 30 soggetti provenienti da tutto il Trentino e da fuori Provincia: cooperative, associazioni, centri di salute mentale, case di riposo, enti pubblici e istituti socio-sanitari.
Un’attività capillare e diffusa, un lavoro continuo e in costante crescita: il numero delle persone che hanno frequentato i progetti speciali del Mart nel 2016 ha superato le 3mila unità (1750 nel 2015, 1.100 nel 2014).
L’utenza coinvolge persone con disabilità fisiche, motorie, sensoriali o cognitive.
Progetti specifici sono stati sviluppati per malati di Alzheimer e per autistici, con grande soddisfazione degli utenti e dei social worker. Nel 2015, l’A.G.S.A.T. – Associazione genitori soggetti autistici del Trentino ha consegnato all’Area educazione del Mart il marchio Autismo Accolgo. Il riconoscimento individua e premia le strutture che offrono servizi culturali, educativi e ricreativi accessibili a persone affette da disturbi dello spettro autistico.

Il museo inclusivo in un video
Per raccontare attraverso poche efficaci immagini un museo inclusivo e attento ai bisogni speciali, il Mart lancia un video sui social network nella Giornata delle persone con disabilità.

Realizzato per il Mart da Jacopo Salvi ed Emiliano Santinelli, il teaser racconta la storia di Sebastian, un ragazzo con disabilità motoria che, insieme alla sua mamma, visita il museo di Rovereto. Durante il percorso, persone sorde e cieche esplorano le sale dedicate alle Collezioni museali, guidate dai mediatori culturali o in autonomia. Il viaggio di Sebastian si conclude nell’Area educazione del Mart, dove è in corso un laboratorio.

L’anno scorso in questo periodo, il Mart aveva lanciato un video nel quale una pattinatrice professionista attraversava le sale dedicate all’arte contemporanea. Sabato 3 dicembre viene postato un altro video girato negli stessi ambienti. Cambia il testimonial, ma il messaggio resto lo stesso. Il museo è uno spazio da vivere, un luogo accogliente e speciale in cui incontrare l’arte, sviluppare la creatività e migliorare la qualità della vita, attraverso incontri, esperienze, sorprese, relazioni. Come sottolinea una delle frasi che compaiono nel video: al Mart non ci sono limiti, tutti sono benvenuti!

Premio citta’ accessibili

Redattore Sociale del 30-11-2016

Premio citta’ accessibili, al primo posto Chester. Bene Alessandria

La Commissione Ue ha assegnato l’Access City Award. Vince la britannica Chester, per il suo “impegno nel rendere accessibile il suo patrimonio storico e culturale”. Al secondo posto Rotterdam, al terzo Jurmala. Menzione speciale ad Alessandria.

La Commissione Europea ha assegnato alla britannica Chester l’Access City Award, ovvero il premio come città più accessibile d’Europa, grazie alle “sue misure inclusive per le persone con disabilità in differenti settori, in particolare il turismo”. Il premio è stato annunciato nell’ambito delle iniziative per la Giornata europea delle persone con disabilità del 29 novembre. 43 erano state le città candidate, da 21 Paesi dell’Unione europea. Pur non portando a casa la vittoria, come ha fatto lo scorso anno con Milano, anche questa volta l’Italia si è però distinta grazie ad Alessandria, che ha ricevuto un riconoscimento speciale per “l’impegno per l’accessibilità in condizioni finanziarie difficili”. Ecco di seguito tutti i premi e le relative motivazioni.

Chester, primo posto. La città britannica “si sforza di rendere il suo patrimonio storico e culturale accessibile alle persone con disabilità – ha detto la commissaria Marianne Thyssen – Le persone con disabilità devono essere in grado di partecipare a tutti gli aspetti della vita senza limitazioni: sociali, culturali, economici, turistici, e altro ancora. Vorrei congratularmi con Chester l’impegno nel rendere la vita più accessibile per tutti. Rendendo i suoi principali siti turistici accessibili ai disabili, Chester dimostra che turismo accessibile per tutti e conservazione del patrimonio storico e culturale possono andare di pari passo. Ciò che merita una menzione speciale è che non solo il settore pubblico, ma anche le imprese private di Chester sono coinvolti in iniziative di accessibilità. La giuria europea ha particolarmente apprezzato le strutture e le misure destinate ai visitatori più gravemente disabili. Chester si distingue non solo per le sue misure intraprese finora, ma anche per il suo approccio a lungo termine e i piani ambiziosi per il futuro”.

Rotterdam (NL), secondo posto. “Persegue una vasta gamma di attività innovative, come la sensibilizzazione all’interno della comunità locale e progetti mirati alle esigenze specifiche di abitanti con varie forme di disabilità. poiché la normativa di accessibilità nei Paesi Bassi è molto completa, Rotterdam merita un riconoscimento speciale per essere in grado di soddisfare questi requisiti di alta qualità e realizzare l’accessibilità in tutte le politiche cittadine”.

Jurmala (LV) , terzo posto. “La città colpisce per il suo costante lavoro al fine di garantire l’accessibilità sia ai turisti che visitano questa città termale, sia alla popolazione locale nei settori dell’occupazione, dei trasporti e dell’istruzione. Sostenere la vita attiva di cittadini disabili e anziani è stato al centro degli sforzi della città, che una vasta gamma di attività all’aperto e sportive. Le misure volte a offrire attività fisiche alle persone anziane e una crescente cooperazione con le Ong locali sono stati particolarmente apprezzati dalla giuria europea”.

Lugo (ES), premio Smart City. La città spagnola ha ottenuto la menzione speciale di Smart City, “in riconoscimento del suo approccio olistico e inclusivo alla disabilità, che coinvolge il settore privato e delle imprese in tutte le loro attività. Lugo conduce programmi di sostegno alla carriera e si avvale di nuove tecnologie della comunicazione, nella progettazione di politiche di accessibilità. Rivolge anche una particolare attenzione all’inclusione sociale delle persone anziane”.

Skellefteå (SE). Alla città svedese è andata una menzione speciale per l’impegno nel migliorare l’ambiente di lavoro delle persone anziane e disabili. “La giuria europea ha riconosciuto l’altissima percentuale di persone con disabilità nel mondo del lavoro. Skellefteå impiega infatti 20 persone con una buona conoscenza della disabilità, che sono responsabili della creazione di posti di lavoro per 700 persone con disabilità ogni anno”.

Alessandria (IT). La città italiana è stata menzionata per l’impegno nell’accessibilità in circostanze finanziarie sfavorevoli “Le attività di Alessandria sono un esempio di come si possa fare molto con piccoli investimenti finanziari, ma grandi idee e pieno impegno, visto che la città pone l’accessibilità in cima alle sue priorità, nonostante i problemi finanziari gravi. Le attività in corso ad Alessandria includono iniziative di sensibilizzazione, inclusione sociale e costruzione di parchi giochi inclusivi.

Funchal (PT). La città portoghese ha ricevuto un riconoscimento speciale per l’impegno nell’accessibilità in condizioni geografiche complesse. “Questa città isola, nonostante il duro terreno vulcanico, ha fatto in modo che tutte le spiagge, i siti turistici, i taxi, gli alberghi e gli spazi pubblici siano accessibili, in modo che i residenti e i visitatori con disabilità abbiano le stesse opportunità degli altri di godersi la vacanza”. (cl)

Ascensore vietato se rende inaccessibili le parti private

Il Sole 24 Ore del 30-11-2016

Ascensore vietato se rende inaccessibili le parti private

Il condominio non può mettere l’ascensore, anche quando serve a eliminare la barriera architettonica per un portatore di handicap, se viene limitato l’accesso ai box di proprietà esclusiva di un condomino. Il no all’ascensore scatta a prescindere dal fatto che il proprietario del locali adibiti a box li abbia o meno usati per posteggiarci la macchina.
La Corte di cassazione, con la sentenza 24235/2016, accoglie il ricorso del proprietario di un’area adibita a “garage” che si trovava proprio alle spalle dell’ascensore che l’assemblea aveva deliberato di far installare. Secondo il ricorrente l’impianto avrebbe limitato l’accesso ai suoi box, lasciando un varco di un solo metro e 12 centimetri, come affermato dallo stesso condominio: una misura inferiore a quella, fissata in un metro e 20, dal Dm 235 del 1989 sul superamento delle barriere architettoniche per la lunghezza delle rampe di scale. La misura ridotta impediva, secondo i ricorrenti, anche il passaggio contemporaneo di due persone e quello di una barella.
Il tribunale aveva dato in prima battura ragione al condominio, con una decisione capovolta dalla Corte d’Appello che aveva respinto le ragioni dell’assemblea secondo la quale lo spazio lasciato libero era sufficiente ad accedere a manufatti, comunque mai usati dai proprietari per mettere l’auto.
La Cassazione, con una decisione in linea con il Codice civile, fa invece prevalere il diritto di proprietà sull’esigenza di eliminare gli ostacoli sul percorso dei portatori di handicap. La condizione di inservibilità del bene comune all’uso o al godimento anche da parte di un solo condomino rende, in base all’articolo 1120 secondo comma del codice civile, illegittima e dunque vietata qualunque innovazione deliberata dagli altri condomini.
Per i giudici è chiaro che il “paletto” non scatta solo in caso di inservibilità totale, ma anche nell’ipotesi in cui l’innovazione limiti l’utilità che il condomino aveva precedentemente. Alla regola non si può fare eccezione per i lavori diretti a togliere le barriere architettoniche, come nel caso dell’ascensore: l’articolo 1120 secondo comma del codice civile non può essere derogato. Per la Suprema corte hanno sbagliato i giudici di appello ad escludere la lesione sulla base dell’uso, o meglio del non uso, che i proprietari avevano fatto negli anni dei loro box. Il fatto che i “garage” non fossero mai stati utilizzati per metterci le vetture, secondo la Cassazione, è del tutto priva di significato a fronte della limitazione all’accesso, in virtù dello spazio ridotto, che compromette un diritto di proprietà che non viene meno per il mancato utilizzo. (P.Mac.)

Bando per nuove residenze universitarie

Università, Giannini firma bando per nuove residenze universitarie
Tempi di esecuzione ridotti, aumento dei posti, progettazione innovativa

Tempi più rapidi per la realizzazione degli interventi, standard innovativi di progettazione che dovranno guardare, fra l’altro, all’integrazione con il tessuto cittadino e alla compatibilità ambientale, incremento dei posti disponibili.
Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini ha firmato i decreti con i nuovi standard minimi per la realizzazione degli alloggi e residenze universitarie e il nuovo bando di gara che consentirà di aumentare il numero delle strutture nel Paese. I due decreti sono stati inviati alla Corte dei Conti per la dovuta registrazione. Il bando per le nuove residenze uscirà entro gennaio.
“Innalzare la qualità degli alloggi, renderli più vicini alle esigenze degli studenti universitari, più integrati con il tessuto urbano, sono alcuni dei criteri che stanno alla base dei nuovi standard minimi – sottolinea il Ministro Giannini – Con il nuovo bando si riducono poi i tempi di esecuzione, semplificando le procedure burocratiche, si pone una maggiore attenzione alla scelta degli spazi dove realizzare gli alloggi. Grazie alla legge di bilancio del 2016 abbiamo un cofinanziamento già disponibile di circa 60 milioni ai quali si aggiungeranno le economie derivate dai bandi precedenti”.
“Il nuovo bando firmato dal Ministro Giannini – dichiara il Sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone – è un ulteriore importante passo sul percorso del diritto allo studio, che sta molto a cuore a questo Governo, come abbiamo dimostrato con le prime misure approvate in legge di Bilancio. Da quando abbiamo ricostituito la ‘Commissione paritetica alloggi e residenze per studenti universitari’ sono stati fatti importanti interventi in termini di investimento e di creazione di posti alloggio. Solo da settembre 2015 ad oggi sono stati investiti 100 milioni di euro per 22 residenze universitarie e un totale di oltre 3.300 posti. Per noi è fondamentale impegnarci per le nuove generazioni, costruire un tessuto sociale di pari opportunità. Vuol dire dare fiducia al futuro del Paese”.
Fra le novità del bando, una nuova linea di cofinanziamento per l’efficientamento energetico delle residenze, la riduzione dei temi di realizzazione degli interventi, una maggiore attenzione alla localizzazione degli interventi nelle vicinanze delle sedi universitarie.

Non autosufficienza: confronto al Ministero

Non autosufficienza: confronto al Ministero

Mentre la proposta di legge di bilancio per il 2017 è in attesa di discussione al Senato, assumono sempre più consistenza istanze per un aumento dello stanziamento destinato al Fondo per la non autosufficienza.

Già nel 2015 quel Fondo è stato reso finalmente strutturale con 400 milioni di euro di stanziamento annuale. Nella proposta di legge di bilancio di quest’anno il Fondo è stato aumentato a 450 milioni, ma è una destinazione ritenuta dai più insufficiente ad assicurare diritti e servizi certi a chi ne abbia davvero necessità.

La manifestazione promossa oggi dal Comitato 16 novembre, con un presidio davanti al MEF, è solo l’espressione più evidente e decisa di una diffusa e condivisa richiesta.

Di fronte a questa richiesta il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali ha convocato di urgenza, oggi, il Tavolo per la non autosufficienza, di cui fa parte anche FISH assieme ad altre organizzazioni e sindacati.

All’incontro era presente il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti. Il Ministro ha ripercorso la “storia” del Fondo che dal 2015 è strutturale ed ha ricordato l’impegno alla definizione condivisa di un Piano specifico per giungere a fissare livelli essenziali di assistenza. Dopo valutazioni sul bilancio del Ministero, Poletti ha dichiarato di poter offrire ulteriori 50 milioni aggiuntivi, portando il Fondo a 500 milioni. Permane la disponibilità a proseguire il percorso iniziato con il Tavolo per la non autosufficienza.

FISH, similmente ad altri convenuti, pur apprezzando lo sforzo e il valore del percorso avviato, ha espresso insoddisfazione per la copertura finale, ma ha anche ribadito la centralità di una pianificazione ed un monitoraggio su cui fondare politiche e servizi inclusivi e sostenibili.

L’impegno di FISH prosegue in sede parlamentare e istituzionale per una più significativa copertura economica.

Il Ministro Poletti, da parte sua, si è impegnato a perseguire tutte le vie per cercare ulteriori incrementi e renderli strutturali, non facili da ottenere con gli attuali vincoli di bilancio, e a riconvocare il Tavolo la prossima settimana.

Rinnovato il protocollo Miur-Coni: in campo 60 milioni di fondi Pon per lo sport in classe

da Il Sole 24 Ore

Rinnovato il protocollo Miur-Coni: in campo 60 milioni di fondi Pon per lo sport in classe

Almeno due ore di educazione fisica nelle primarie e potenziamento delle attività grazie a 60 milioni di fondi Pon. Con questi obiettivi il Coni e il Miur hanno rinnovato per i prossimi tre anni il protocollo d’intesa “Scuola e sport”. L’accordo, firmato dal ministro Stefania Giannini e dal presidente Coni Giovanni Malagò, prevede l’intensificazione del rapporto di collaborazione istituzionale per la promozione di azioni sui temi dello sport nelle scuole.

Gli obiettivi dell’intesa
L’accordo definisce un piano di attività per il prossimo triennio (fino al 2019) con iniziative nazionali e territoriali finanziate con i 60 milioni di euro del Pon: tra queste, l’inserimento della figura di un tutor per garantire almeno due ore di educazione fisica nelle scuole primarie.«Questo progetto – ha detto Giannini – ci permetterà di avere in tutte le scuole almeno due ore di educazione fisica. Sembra poco ma partire con questa opportunità vuol dire avviare un percorso. Oggi sono 7 mila gli istituti coinvolti e 60 mila le classi inserite nel progetto, circa la metà delle scuole primarie: con i fondi del Pon possiamo completare il progetto. Perchè lo sport non e’ in conflitto con lo studio, ma sono due dimensioni fondamentali della vita».
In particolare, Miur e Coni si impegnano, tra l’altro, a sviluppare l’attività ludico-motoria nella scuola primaria attraverso il proseguimento del progetto “sport di classe”, a definire con cadenza annuale contenuti, modalità di svolgimento e risorse finanziarie dei campionati studenteschi, a promuovere azioni sullo sport anche nell’ambito dei fondi Pon 2014-2020 per garantire la massima diffusione delle pratiche sportive, oltre che a collaborare per la realizzazione della settimana dello sport a scuola e per la promozione di esperienze di alternanza scuola-lavoro. «Stiamo facendo un grandissimo passo – ha sottolineato Malagò- Vogliamo mettere a norma tutte le scuole italiane affinchè i ragazzi possano fare sport. E vogliamo farlo in fretta. I numeri ci stanno premiando, sono felicissimo anche se dobbiamo lavorare ancora. Il problema è al Sud e in particolare nelle regioni come Campania e Sicilia, che hanno una popolazione importante: i fondi andranno a sistemare queste strutture».

Scuola a un passo dal contratto

da ItaliaOggi

Scuola a un passo dal contratto

In ballo 85 euro e la riscrittura della riforma della 107

Alessandra Ricciardi
A ieri sera, tutto confermato. Il vertice sullo sblocco dei contratti degli statali e della scuola è in calendario per domani, a Palazzo Vidoni. Il ministro della funzione pubblica, Marianna Madia, aveva annunciato la scorsa settimana di dover verificare se c’erano ancora le condizioni per poter procedere sull’accordo dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionali di alcune parti della sua riforma del pubblico impiego.

Ieri è stato il premier Matteo Renzi a rimettere in pista l’intesa. «Cercheremo di chiudere mercoledì se ci sono le condizioni per farlo, il ministro Madia è impegnata in questa direzione…È chiaro che chiudere significa trovare un punto di equilibrio e di compromesso come è stato molto ben trovato sul tema dei metalmeccanici», ha aggiunto il premier. Dello stesso tenore le parole di Antonio Foccillo, segretario confederale della Uil con delega sulla pa: «Se ci sono le condizioni, noi mercoledì andiamo per chiudere». «La Cisl non darà alcun alibi a chi vuole fermare il processo di trasformazione della pubblica amministrazione», scandisce il segretario generale di via Po, Anna Maria Furlan.

Il segretario della Cgil, Susanna Camusso, ricorda che a mantenere ancora distanti governo e sindacati sono due temi: le risorse e le modifiche alla legislazione vigente.La scuola si gioca una partita decisiva. L’intesa riguarderà in prima battuta i dipendenti dello stato, del parastato e della scuola (una clausola impegna il governo, con le altre parti datoriali, a trovare le risorse anche per gli altri settori): 1,5 milioni di dipendenti pubblici, di cui il comparto più sostanzioso è proprio quello scolastico che da solo conta un milione di dipendenti. Nella bozza di accordo, a cui hanno lavorato in questi giorni tra governo e sindacati, si parla di aumenti medi di 85 euro al mese, che in verità i sindacati vorrebbero fossero «almeno» di 85 euro, a valere sul fondo per il pubblico impiego della Legge di Bilancio. I sindacati si sono battuti perché nell’accordo sia precisato l’aumento, prescindendo dalla copertura necessaria che diventa affare del solo governo se dovesse essere insufficiente.Il governo dovrà anche sciogliere il nodo degli 80 euro di bonus per i redditi inferiori ai 25 mila euro l’anno: una misura fiscale dovrà essere trovata per consentire che l’aumento non faccia superare il tetto e perdere il bonus. Così da assicurare che le due misure si possano sommare.E poi c’è l’altro pilastro dell’intesa: riportare a contrattazione alcuni pezzi del rapporto di lavoro che la riforma Brunetta aveva dato in esclusiva al legislatore. L’intesa parla di riequilibrio. Per la scuola significa potenzialmente mettere mano a chiamata diretta e bonus per il merito, ad oggi decisi dal solo dirigente scolastico e normati dalla legge 107, senza intesa con i sindacati. Dipenderà dal perimetro dell’accordo. Per fare l’intesa c’è tempo fino al 4 dicembre.

Nuovo divieto di supplenze over 36 Niente invece su organici e mobilità

da ItaliaOggi

Nuovo divieto di supplenze over 36 Niente invece su organici e mobilità

La camera ha approvato la legge di bilancio, ora il senato

Carlo Forte

Il calcolo dei 36 mesi, oltre i quali non sarà più possibile proporre e accettare supplenze annuali (fino al 31 agosto) decorre dal 1° settembre 2016. E per fare fronte agli effetti del contenzioso sull’abuso di contratti a termine il governo potrà disporre di 2 milioni di euro nel 2017 e altri 2 nel 2018. Lo prevede il disegno di legge di stabilità di quest’anno (C. 4127-bis-A). Che ieri ha ottenuto il via libera dalla camera dei deputati in prima lettura. Il testo passa ora all’esame del senato per l’ok definitivo. Nel novero degli emendamenti approvati, non figura la riformulazione della norma su organico di fatto in diritto, con la precisazione di 25 mila nuove cattedre, e neppure l’autorizzazione a un piano straordinario per la mobilità (si vedano le anticipazioni di ItaliaOggi di martedì scorso).

Il limite dei 36 mesi di supplenza parte da quest’anno. E non si contano i mesi di supplenza antecedenti al 1° settembre 2016, precisa la legge di Bilancio. Il divieto di cumulo, peraltro, vale solo ed esclusivamente per le supplenze annuali. E cioè per le supplenze su posti vacanti e disponibili che vengono disposte con termine al 31 agosto. Su questo aspetto, a fugare ogni dubbio è intervenuta prima la Corte di Giustizia Europea e poi la Corte costituzionale. La Corte del Lussemburgo, interpellata dal Giudice delle leggi italiano, ha spiegato che il divieto di reiterazione senza limite dei contratti a termine, previsto dalla legislazione europea, vale solo per i contratti stipulati su posti stabilmente vacanti (sui quali, invece, c’è l’obbligo di disporre assunzioni con contratti a tempo indeterminato) e non sui posti disponibili per esigenze temporanee. Ed ha accolto la tesi interpretativa proposta dalla nostra Corte costituzionale, secondo la quale, il limite non debba applicarsi alle supplenze brevi e saltuarie e alle supplenze temporanee anche fino al termine delle attività didattiche (contratti fino al 30 giugno). Il responso della Corte di Giustizia ha indotto la Corte costituzionale, il 12 luglio scorso, a emettere una sentenza rigidamente informata al verdetto dei giudici europei (si veda ItaliaOggi del 19 luglio scorso). Nel frattempo, però, il legislatore ha rimosso dall’ordinamento la norma che consentiva la reiterazione, senza limite, dei contratti a termine anche sui posti vacanti e disponibili. E lo ha fatto con una precisa disposizione contenuta nella legge 107. Resta il fatto, però, che sebbene il limite introdotto dalla legge 107 non sia retroattivo, la Consulta abbia dichiarato incostituzionale la norma (contenuta nella legge 124/99) che consentiva la reiterazione dei contratti a termine anche sui posti vacanti e disponibili. E ciò potrebbe dare adito ad aspettative foriere di contenzioso in capo ai circa 18mila docenti che hanno scelto di rimanere nelle graduatorie a esaurimento, astenendosi dal presentare la domanda di partecipazione al piano straordinario di assunzioni della legge 107. Fermo restando, però, che la Corte di cassazione, con alcune sentenze depositate il 7 novembre scorso (22252,22253,22254 e 22257) ha chiarito definitivamente che la reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi su cattedre e posti dell’organico di fatto è legittima. Ed è legittima anche la reiterazione delle supplenze su cattedre e posti dell’organico di diritto, purché non ecceda i 36 mesi. La Suprema corte ha spiegato in quali casi sia dovuto il risarcimento del danno da abuso di contratti a termine, fissando l’entità del relativo importo da un minimo di 2,5 mensilità di retribuzione a un massimo di 12, fatte salve le maggiorazioni da 10 a 14 mensilità per i precari che vantino un’anzianità di servizio superiore, rispettivamente, ai 10 e ai 20 anni di servizio. Infine, con la sentenza 22258, sempre del 7 novembre, ha confermato la non applicabilità degli scatti biennali ai docenti precari che abbiano insegnato materie diverse dalla religione cattolica.

Ma ha dichiarato il diritto di questi ultimi a vedersi riconoscere i gradoni così come avviene per i docenti di ruolo. Di qui la necessità, da parte del governo, di promuovere il rifinanziamento del fondo per il contenzioso collegato alla questione dell’abuso di contratti a termini. La legge 107/2015, infatti, prevedeva una stanziamento di 10 milioni di euro per coprire gli oneri delle soccombenze in giudizio dell’anno 2015 e altri 10 milioni per il 2016. Ma siccome la Corte di cassazione ha sancito definitivamente il diritto al risarcimento per i precari ultratriennalisti che abbiano cumulato oltre 36 mesi di supplenze su posto vacante e disponibile, il legislatore ha dovuto fare fronte alle relative necessità

Carriera, preruolo controverso

da ItaliaOggi

Carriera, preruolo controverso

Nel mirino dei giudici il riconoscimento parziale del servizio

Carlo Forte

I docenti che hanno superato il periodo di formazione e di prova hanno tempo fino al 31 dicembre prossimo per presentare la domanda di ricostruzione di carriera. Il nuovo termine è contenuto nella legge 107/2015, ma non è perentorio: il diritto alla ricostruzione di carriera, infatti, si prescrive una volta decorso inutilmente il decimo anno dalla maturazione del diritto. All’atto dell’emissione del decreto di riconoscimento dell’anzianità di servizio preruolo, che gli addetti ai lavori chiamano «ricostruzione di carriera», al docente interessato non viene riconosciuto subito tutto il servizio preruolo: i primi 4 anni vengono valutati per intero e i successivi per i due terzi. Salvo ottenere il riconoscimento per intero dopo un certo periodo di anni di servizio. Il diritto a chiedere la ricostruzione di carriera insorge all’atto del superamento del periodo di formazione e di prova. Tale periodo ha la durata di un anno scolastico. Così come previsto dall’articolo 498 del decreto legislativo 297/94 che così dispone: «La prova ha la durata di un anno scolastico. A tal fine il servizio effettivamente prestato deve essere non inferiore a 180 giorni nell’anno scolastico».

Dunque, ai fini del superamento del periodo di prova, deve essere decorso il termine del 31 agosto dell’anno solare successivo a quello in cui è stata disposta l’immissione in ruolo. E in ogni caso, affinché sia valido, il docente deve avere prestato almeno 180 giorni di servizio effettivi. In pratica, non basta che il docente abbia superato il colloquio finale, ma è necessario anche sia decorso il termine del 31 agosto. Per lo meno stando ad una interpretazione letterale della normativa in vigore. Nella prassi, però, questo termine viene inteso in maniera meno rigorosa. Specie per quanto riguarda l’accesso alla mobilità annuale in altre classi di concorso. In tali occasioni, infatti, non sono rari i casi di docenti a cui viene concessa l’assegnazione provvisoria in altra disciplina di insegnamento dove vantino il possesso dell’abilitazione anche in caso di mero superamento del colloquio finale. D’altra parte, se la normativa generale venisse applicata in senso restrittivo i docenti neoimmessi in ruolo non potrebbero accedere alla mobilità professionale annuale. Perché all’atto della scadenza della presentazione del termine delle domande l’anno scolastico, comunque, non risulta ancora concluso. Per le ricostruzioni di carriera, invece, il termine viene applicato rigorosamente. Anche perché i relativi provvedimenti, pur essendo di competenza dei dirigenti scolastici, per diventare esecutivi senza il rischio di azioni di rivalsa a carico dei dirigenti scolastici interessati, è necessario che ottengano il placet delle ragionerie territoriali dello stato.

Il provvedimento definitivo dovrebbe essere emesso dai dirigenti scolastici entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, così come previsto dalle nuove norme sui termini dei provvedimenti amministrativi (si veda la circolare 4 luglio 2010 della presidenza del consiglio). Quanto all’utilità dei periodi da riconoscere, l’articolo 485 del testo unico prevede che al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo.

L’articolo 4 del decreto del presidente della repubblica prevede , però, che al compimento del sedicesimo anno per i docenti laureati della scuola secondaria superiore, del diciottesimo anno per i docenti della scuola materna ed elementare, della scuola media e per i docenti diplomati della scuola secondaria superiore, del ventesimo anno per il personale ausiliario e collaboratore, del ventiquattresimo anno per i docenti dei conservatori di musica e delle accademie, l’anzianità utile ai soli fini economici debba essere considerata interamente valida ai fini dell’attribuzione delle successive posizioni stipendiali. Questa prassi è considerata illegittima dalla prevalente giurisprudenza di merito, secondo la quale, ai sensi della clausola 4 della direttiva dell’unione europea 1999/70/CE, ai docenti neoimmessi in ruolo l’anzianità pregressa andrebbe valutata per intero fin dall’atto della emissione del primo decreto di ricostruzione di carriera (Corte d’appello di Venezia 440/2015, Tribunale di Torino 1319/2015, Corte d’appello di Trieste 374/2015). In ogni caso, il termine di prescrizione degli eventuali arretrati spira dopo 5 anni dall’atto della maturazione del diritto. E cioè a far data dal 1° settembre dell’anno scolastico successivo al periodo di formazione e di prova. Che di norma coincide con il decorso del primo anno di servizio prestato a seguito dell’immissione in ruolo

Coordinatore? Possibile dire no

da ItaliaOggi

Coordinatore? Possibile dire no

Un tribunale ha smentito la prassi: nessuna norma prevede l’obbligatorietà dell’incarico

Marco Nobilio

Fare il coordinatore di classe non è obbligatorio. Lo ha stabilito il giudice del lavoro di Cosenza con la sentenza 1830/2016. Con la quale ha anche annullato la sanzione disciplinare dell’avvertimento scritto, ingiustamente inflitta ad una docente che aveva legittimamente rifiutato l’incarico. «La mancata previsione legale del ruolo di coordinatore che pure può essere individuato da un atto interno», si legge nella sentenza, «esclude che le relative funzioni siano da ritenere doverose, con la conseguenza che, in difetto di una fonte normativa (legge, regolamenti, contratti collettivi, le circolari non sono fonti del diritto) l’incarico eventualmente attribuito può essere rifiutato».

La pronuncia costituisce un autorevole presupposto interpretativo per fare luce sull’incarico di coordinatore di classe. Che consiste in una delega che viene attribuita dal dirigente scolastico a un docente del consiglio di classe, per svolgere mansioni di coordinamento della didattica, per provvedere alla sintesi dei giudizi complessivi che vengono approvati in sede di consiglio e, spesso, per rappresentare l’intero consiglio davanti ai genitori. In pratica si tratta di mansioni dirigenziali che spetterebbero al dirigente scolastico. Che però vengono svolte, per prassi, da un docente da lui individuato. La prassi, però, non si fonda su una norma di legge specifica che imponga al docente interessato di accettare tale incarico. Oltre tutto, anche gli incarichi espressamente previsti dalle disposizioni di legge non comportano alcun obbligo di accettazione.

Trattandosi di incarichi aggiuntivi, infatti, le relative prestazioni comportano un aggravio dell’onerosità della prestazione ordinaria per lo svolgimento della quale i docenti percepiscono la retribuzione. Dunque, per essere considerati validi, tali incarichi devono fare seguito ad uno scambio di proposta e accettazione tra il dirigente e il docente interessato e, soprattutto, previa indicazione della retribuzione spettante. Il tutto pattuito in un accordo scritto e sottoscritto dalle parti. Nella prassi, però, questi incarichi aggiuntivi vengono attribuiti d’ufficio e, il più delle volte, senza prevedere alcun compenso, nella convinzione che tutto ciò sia dovuto. Sintomatico di questa diffusa convinzione è il fatto che un docente, per essersi rifiutato di svolgere l’incarico, sia stato fatto oggetto, addirittura, di una sanzione disciplinare. Sebbene molto blanda (l’avvertimento scritto). Pertanto, il docente interessato, per far valere il suo diritto a non essere sanzionato per avere rifiutato ciò che non è obbligatorio ha dovuto investire della questione un giudice togato. Che gli ha dato ragione.

Il principio della connotazione non autoritativa degli atti di gestione del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione è ormai assodato. Ed è spiegato chiaramente anche in una sentenza del Tribunale di Catanzaro (sentenza 29 aprile 2003) che si rifà alla giurisprudenza delle Sezioni unite: «Ed infatti», spiega il giudice, «nello svolgimento del rapporto, assoggettato alla disciplina del codice civile e dalle leggi speciali per i rapporti di lavoro nell’impresa privata, ai sensi dell’art. 2 c. 2, d. lgs. 30-3-2001 n.165, la pa agisce con i poteri del privato datore di lavoro e i suoi atti di gestione del personale, svuotati di ogni contenuto autoritativo, sono atti di diritto privato».

Rinnovo del contratto a 85 euro: servono 5 miliardi, ecco perché si spalmeranno in più anni

da La Tecnica della Scuola

Rinnovo del contratto a 85 euro: servono 5 miliardi, ecco perché si spalmeranno in più anni

Supera i 5 miliardi di euro il costo che lo Stato dovrà sostenere per il rinnovo dei contratti pubblici, se dovesse essere confermato l’incremento di 85 euro.

Il conteggio, realizzato dall’Ansa, deriva dal conto annuale della Ragioneria generale dello Stato e dalle simulazioni sul costo del rinnovo. E conferma le previsioni della Tecnica della Scuola, secondo cui – prendendo atto degli stanziamenti previsti nella legge di stabilità 2017 – gli aumenti dovranno necessariamente essere “spalmati” negli anni.

Anche se è vero che nella manovra di fine anno, sottolinea l’Ansa, “si stanziano solo i fondi per le amministrazioni che rientrano nel budget dello Stato, ovvero per quelle centrali (dai ministeri alla scuola) e per i comparti cosiddetti non contrattualizzati (come le forze dell’ordine). Tutte le altre amministrazioni, anche Regioni e Comuni, fanno fronte con le loro casse, rispettando gli stessi parametri (gli incrementi sono omogenei)”.

Ma anche sommando le amministrazioni centrali e i comparti non contrattualizzati, l’impegno economico sfiora i 2 miliardi e 800milioni di euro. Che non risultano essere stati stanziati nella ex Finanziaria.

In ogni caso, la scuola (che le ultime indiscrezioni danno per essere parte integrante dell’accordo) rappresenta, di gran lunga, il comparto pubblico più ingente, con 1.038.606 dipendenti: dei 1.943.780 euro necessari a questa tranche di lavoratori pubblici, a docenti, Ata e dirigenti scolastici va una percentuale altissima: tra il 70% e l’80%.

Qui di seguito, sono riportate le amministrazioni principali, il numero dei dipendenti e il costo del rinnovo, in migliaia di euro.

 

DIPENDENTI COINVOLTI

Scuola 1.038.606

Accademie 9.365

Ministeri 157.808

Presidenza 2.209

Agenzie fiscali 52.570

Totale dipendenti P.A. CENTRALE 1.260.558 (A)

Costo del rinnovo: 1.943.780 euro (a)

 

DIPENDENTI COINVOLTI

Vigili del fuoco 33.139

Corpi di polizia 313.987

Forze armate 187.388

Magistratura 10.588

Altro 2.514

Totale dipendenti NON CONTRATTUALIZZATI 547.616 (B)

Costo del rinnovo: 844.424 (b)

 

DIPENDENTI COINVOLTI

Enti non economici 45.739

Università 101.383

Enti di ricerca 20.810

Sanità 663.793

Autonomie locali 472.523

Altro 140.645

Per un totale di 1.444.893 DIPENDENTI ULTERIORI (C)

Costo del rinnovo: 2.228.025 (c)

TOTALE PERSONALE P.A. 3.253.067 (A+B+C)

che necessita di una spesa complessiva pari a 5.016.229 euro (a+b+c)

Periodo di formazione e prova, piattaforma Indire disponibile dal 5 dicembre

da La Tecnica della Scuola

Periodo di formazione e prova, piattaforma Indire disponibile dal 5 dicembre

L’Ufficio scolastico per la Lombardia ha emesso la nota prot. n. 22866 del 29/11/2016 con la quale riepiloga le regole per il periodo di formazione e prova per il personale docente ed educativo neoassunto.

Sono tenuti al periodo di formazione e di prova docenti e personale educativo con incarico a tempo indeterminato che:

  • prestano il primo anno di servizio;
  • non abbiano potuto completare il periodo di formazione e di prova negli anni precedenti;
  • debbano ripetere il periodo di formazione e di prova per effetto di valutazione negativa (in tal caso il periodo di formazione e di prova non è ulteriormente rinnovabile);
  • hanno ottenuto il passaggio di ruolo.

Le attività di formazione sono parte integrante del servizio in periodo di formazione e di prova e non possono essere rinviate o anticipate ma devono essere svolte contestualmente allo stesso.

Servizi utili

Il superamento del periodo di formazione e di prova è subordinato alla effettiva prestazione di almeno 180 giorni di servizio nel corso dell’anno scolastico, di cui almeno 120 di attività didattiche.

Se l’orario è inferiore all’orario di cattedra o posto, il numero dei giorni suddetti deve essere proporzionalmente ridotto, fermo restando l’obbligo formativo che non è soggetto a riduzione.

Nei 180 giorni sono comprese tutte le attività connesse al servizio scolastico:

  • periodi di sospensione delle lezioni e delle attività didattiche, anche per motivi di pubblico interesse, purché intermedi al servizio;
  • esami e scrutini;il primo mese del periodo di astensione obbligatoria dal servizio per gravidanza;
  • i giorni di frequenza a corsi di formazione organizzati dall’Amministrazione.

L’art.3 del D.M. 850/15 afferma che si devono computare nei 120 giorni di attività didattiche “sia i giorni effettivi di insegnamento sia i giorni impiegati presso la sede di servizio per ogni altra attività preordinata al migliore svolgimento dell’azione didattica”, ossia devono essere computati i giorni di svolgimento di attività:

  • di lezione;
  • di recupero;
  • di potenziamento;
  • valutative;
  • progettuali;
  • formative;
  • collegiali.

Non sono invece computabili nei 180 giorni, e di conseguenza neppure nei 120 giorni:

  • giorni di ferie e recupero festività;
  • assenze per malattia;
  • congedi parentali;
  • permessi retribuiti;
  • aspettative.

Il tutor

L’individuazione del tutor spetta al Dirigente Scolastico attraverso l’opportuno coinvolgimento del Collegio. Tale figura assume un ruolo significativo nel corso dell’intero anno scolastico con funzioni di accoglienza, accompagnamento, tutoraggio e supervisione professionale. Il compito istruttorio affidato al tutor è impegnativo e richiede competenze organizzative, didattiche e relazionali, in un intreccio continuo tra pratica e riflessione, con lo scopo di caratterizzare il periodo di formazione e prova come effettivo momento di crescita e di sviluppo professionale.

Il modello formativo

Il percorso formativo comporta 50 ore complessive di attività suddivise in:

  • incontro iniziale a cura degli USR e UST, durata 3 h;
  • attività laboratoriali in presenza, durata 12 h;
  • attività tra pari, docente neo assunto e tutor, durata 12 h;
  • rielaborazione professionale, durata 20 h;
  • incontro conclusivo a cura degli USR e UST, durata 3 h.

Per consentire alle singole Istituzioni scolastiche e ai docenti in periodo di formazione e prova di ipotizzare le tempistiche di realizzazione delle fasi di loro competenza si comunica che INDIRE ha annunciato l’apertura della piattaforma per il 5 dicembre, anticipando che alcuni documenti, tra cui il modello di bilancio di competenze, saranno revisionati per semplificarne l’utilizzo.

Prove Invalsi, dati di contesto entro il 30 novembre

da La Tecnica della Scuola

Prove Invalsi, dati di contesto entro il 30 novembre

Ricordiamo che entro domani, 30 novembre 2016, le scuole secondarie di secondo grado dovranno procedere alla trasmissione all’Invalsi delle informazioni di contesto escluso il voto di Italiano e Matematica del primo periodo di valutazione (trimestre, quadrimestre. ecc.).

Successivamente, dal 1° marzo al 24 aprile 2017 dovranno effettuare una nuova trasmissione delle informazioni di contesto con l’indicazione del voto di Italiano e Matematica del primo periodo di valutazione (trimestre, quadrimestre, ecc.).

La comunicazione dei dati di contesto per tutte le regioni, le provincie autonome e le scuole italiane all’estero dovrà avvenire tramite l’inserimento e la convalida degli stessi su un apposito modulo online nell’Area riservata del sito Invalsi, accedendo con il ruolo di Segreteria scolastica.

Il 6 dicembre i risultati delle indagini TIMSS e OCSE PISA 2015

da La Tecnica della Scuola

Il 6 dicembre i risultati delle indagini TIMSS e OCSE PISA 2015

Con un comunicato stampa l’Invalsi ha fatto sapere che oggi, 29 novembre, sono stati resi noti dalla IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement) i risultati delle indagini TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Study) e TIMSS ADVANCED realizzate nel 2015 a cui hanno partecipato, oltre all’Italia, rispettivamente 50 Paesi per l’indagine TIMSS e 9 Paesi per l’indagine TIMSS ADVANCED.

Per il nostro Paese, la realizzazione delle indagini è affidata all’INVALSI.

TIMSS ha come obiettivo la rilevazione degli apprendimenti degli studenti in matematica e scienze al quarto e all’ottavo anno di scolarità (quarta primaria e terza secondaria di primo grado). Condotta ogni quattro anni, la rilevazione TIMSS fornisce anche informazioni circa il progresso degli studenti attraverso i gradi di istruzione, mentre l’indagine TIMSS ADVANCED rileva gli apprendimenti degli studenti in matematica di livello avanzato e in fisica all’ultimo anno di scolarità (in Italia il quinto anno della scuola secondaria di secondo grado).

Poiché il 2015 è stato l’anno in cui sono state effettuate anche le rilevazioni afferenti all’indagine triennale OCSE PISA (che misura le competenze degli studenti quindicenni in lettura, matematica e scienze), l’INVALSI presenterà i risultati di tutte e tre le rilevazioni internazionali il 6 dicembre 2016 in occasione del rilascio degli esiti di PISA 2015.

Il preside non può sospendere il docente. Per il Miur non è così

da La Tecnica della Scuola

Il preside non può sospendere il docente. Per il Miur non è così

Per il Tribunale di Potenza il preside non può sospendere il docente, ma solo limitarsi al richiamo scritto e alla censura. Ma la circolare Miur 88/2010 stabilisce il contrario.

Il giudice monocratico, con la sentenza del Tribunale di Potenza depositata il 22 novembre scorso (700/2016), ha spiegato che per quanto riguarda i docenti, il Ds non può applicare il decreto Brunetta che prevede la possibilità, per i dirigenti della pubblica amministrazione, di sospendere il dipendente fino a 10 giorni, una volta accertata la responsabilità disciplinare.

Come riporta Italia Oggi, il motivo di tale preclusione va individuato nel fatto che il ruolo particolarmente rilevante svolto dai docenti giustifica l’individuazione, da parte del Legislatore, di un soggetto diverso dal dirigente scolastico ogni qualvolta venga in rilievo una sanzione più grave dell’avvertimento scritto o della censura.

Ma non si tratta di una novità: il Tribunale di Foggia il 27 ottobre scorso ha emesso una pronuncia che ribadisce la questione, sottolineando che la responsabilità disciplinare dei docenti è dettata dalle norme (più rigorose) contenute nel testo unico (il decreto legislativo 297/94), che sono speciali rispetto al decreto Brunetta. E quindi, quando si tratta di docenti, le norme da applicare sono quelle del Testo Unico e non le disposizioni previste dal decreto Brunetta.

Seguire il Testo Unico e non il decreto Brunetta non significa avere vantaggi per quanto riguarda le sanzioni disciplinari. Anzi. La normativa che racchiude le sanzioni disciplinari dei docenti è molto più rigorosa rispetto a quella dei restanti lavoratori del pubblico impiego; per esempio, citando ancora Italia Oggi, “le sospensioni prevedono anche sanzioni accessori quali il ritardo della progressione di carriera (che si traduce in una perdita salariale permanente che si riverbera anche sulla pensione) e la preclusione della possibilità di partecipare agli esami di stato e ai concorsi a preside. Oltre tutto, i docenti, proprio per la delicata funzione che svolgono quotidianamente, sono assistiti dalla libertà di insegnamento prevista dall’articolo 33 della Costituzione e ciò giustifica la necessità di garantire la terzietà del giudizio disciplinare, la cui competenza si radica in capo all’ufficio dei provvedimenti disciplinari costituito presso l’ufficio scolastico regionale”.

Resta però il giallo della circolare Miur 88/2010, che invece sancisce poteri al dirigente scolastico.
In realtà, la circolare ministeriale conferisce responsabilità al preside per le sanzioni disciplinari di sospensioni inferiori ai dieci giorni, che con la complicità degli USR, ha scaturito un grande carico di responsabilità nelle spalle dei DS, anche per scongiurare la responsabilità disciplinare dirigenziale, prevista dal decreto Brunetta in caso di inerzia.